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L’alfabeto, la scrittura e la pronuncia del greco antico
(di Eriberto d’Altamura)
Breve introduzione storica
L’alfabeto è il secondo, in ordine di tempo, dei sistemi di scrittura adottati dai Greci.
In una data che ancora non è possibile precisare con esattezza, ma che le testimonianze
archeologiche consentono di fissare almeno a partire dal periodo attorno al 1400 a.C., la
cosiddetta età del bronzo, gli Achei o Micenei, stirpe protogreca (quelli di Achille e della
guerra di Troia, tanto per intenderci), impiegarono un tipo di scrittura sillabica, consistente
d’una novantina di segni, ciascuno dei quali indicava una consonante seguita da vocale.
Il famoso archeologo britannico Sir Arthur Evans chiamò questo sistema Scrittura lineare
B, poi coinvolta nel generale collasso della civiltà achea, iniziato attorno al 1200 a.C..
Vediamone, a titolo di pura curiosità, un esempio:
Hó dìdosi durutómo = ˘ d¤dvs drutÒmw = “Ciò che dà il tagliaboschi”1.
Sul finire del cosiddetto Medioevo ellenico, quando la scrittura precedente venne
dimenticata, tranne che a Cipro, dove essa rimase presente in una forma autonoma fin
verso l’età ellenistica, attorno al IX secolo a.C. fu introdotto in Grecia l’alfabeto fenicio.
Il sistema di scrittura alfabetico era acrofonico, ovvero fondato su quel principio per cui
ciascun carattere indica la prima articolazione d’una parola e ne allude al significato.
Ad esempio, l’aleph indicava l’elemento iniziale del termine che in semitico significa
toro/bue; beth la casa2; ghimel il cammello e così via.
Se ci rappresentiamo una A rovesciata (∀), non sarà difficile scorgere i tratti stilizzati d’una
testa bovina.
Lo stesso avviene per gli altri caratteri, nei quali si trova espresso il principio di contiguità
fra immagine richiamata alla mente e suono.
L’alfabeto fenicio, di ventidue segni, presentava tuttavia la difficoltà d’indicare solamente i
suoni consonantici, mentre quelli vocalici erano affidati alla memoria dei singoli
scriventi/lettori.
Ancora oggi, nell’ebraico, l’aleph (‫א‬, secondo i caratteri aramaici, oggi in uso) non è una
vocale, bensì una consonante che può essere articolata in differenti modi.
I Greci, per ovviare a questa indeterminatezza, adattarono l’alfabeto fenicio alle loro
esigenze fonetiche ed espressive, fissando i suoni vocalici mediante segni distinti e
specifici. Individuarono e contrassegnarono cioè le vocali.
Tuttavia l’introduzione dei caratteri fenici modificati, associata ad una tale innovazione,
produsse molteplici varianti del sistema alfabetico, anche molto diverse da luogo a luogo,
nel solco e nel costume del tipico particolarismo greco.
Ad esempio, in alcuni dialetti il segno H veniva identificato col suono di -e- lunga e aperta,
mentre presso altri, specie quelli occidentali, esso rappresentava l’aspirazione.
Tra i vari alfabeti, che si generarono nella Grecia arcaica, quello ionico si distinse per
praticità e coerenza.
Fu così che a partire dal 403 a.C., durante l’arcontato d’un certo Euclide, su proposta di tal
Archino, ad Atene venne adottato, come alfabeto ufficiale, quello ionico, diffusosi poi
1
2
Tavoletta di Pilo Vn10, in M. Doria, Avviamento allo studio del Miceneo, Roma,1965, pp. 172-173.
Ancora oggi beth lehem = casa del pane, in it. Betlemme.
1
nell’età successiva in tutta l’area greca, e pure oltre, grazie al prestigio culturale di cui
godette questa città.
Per tutto l’antico i Greci conobbero un’unica tipologia d’alfabeto, quella cioè che è nota a
noi come maiuscolo. Le parole venivano scritte l’una di seguito all’altra senza soluzione di
continuità.
A partire dall’età ellenistica (323 - 31 a.C.) i papiri attestano la timida e non sistematica
introduzione di segni diacritici e sporadiche spaziature interverbali. Compare il corsivo per
testi non letterari.
Solo tardivamente, dal IX secolo d.C.3, venne introdotta o, per meglio dire, normalizzata la
scrittura minuscola, la più comune a tutt’oggi, anche per la riproduzione dei testi letterari.
L’alfabeto, il nome e la pronuncia dei grafemi
La pretesa di restituire fedelmente la pronuncia del greco antico, se non altro perché una
pronuncia uniforme (così come, del resto, una grafia omogenea) non ci fu4, tanto nello
spazio quanto nel tempo, è una chimera, posto che mancano gli strumenti necessari per
un recupero completo e sicuro, soprattutto dei tratti prosodici (in particolare le durate) e
melodici. Sarebbe come se volessimo imparare una lingua straniera sulla scorta della sola
grammatica: il contatto coll’idioma vivo ci mostrerebbe una realtà ben diversa.
A tal proposito non si dovrebbero mai dimenticare le acute osservazioni di A. Martinet:
“…nessuna comunità linguistica si può considerare composta da individui che parlino una
lingua simile in ogni punto…” – “…….Nel sesto secolo prima della nostra era si parlava ad
Atene non il «greco», ma il dialetto attico, come i Tebani parlavano il beotico e gli Spartani il
laconico, ciò che probabilmente non impediva la comunicazione reciproca, almeno al centro
del mondo greco.”-“…..Un gruppo umano, aggressivo e prolifico, estende il suo dominio al
punto che i contatti fra le sue diverse tribù diventano meno stretti e frequenti. Questo
comporta un processo di differenziazione linguistica che, se i contatti continuano ad
attenuarsi, diverrà sempre più intenso, tanto più se si istituiscono nuovi contatti con tribù di
altri gruppi ”5.
Un’esclamazione piuttosto comune come “Per le due dee!”, ad esempio, ad Atene veniva
espressa con “Nḕ tṑ theṑ”, a Sparta “Nai tṑ siṑ”, a Tebe “Nei tṑ thiṑ”.
Ci si deve pertanto accontentare d’un’approssimazione in larga misura convenzionale, non
scevra, come vedremo, da insoddisfacenti, pur tuttavia necessari compromessi.
Ciò, comunque, non significa che la lettura, primo gradino indispensabile per la corretta
traduzione, debba essere arbitraria.
Dovendosi assumere un criterio, sarà opportuno attenersi, il più possibile, a quella che, in
base ai dati a nostra disposizione, è da ritenere, grosso modo, la pronuncia attica,
d’estrazione colta, tra V e IV secolo a.C..
Comunque, nella prassi corrente, la lettura del greco antico si manifesta come una sorta di
mélange, dovuto a stratificazioni consolidate di pronunce classico/ellenistiche e bizantine,
non esente, come si vedrà, perfino da realizzazioni infondate sul piano storico.
3
Primo esempio documentato: 835 d.C. i Vangeli di Uspensky; cfr. Reynolds e Wilson, Copisti e filologi, trad.
it. Padova, 1974, p. 57 – ora anche Crisci e Degni, La scrittura dall’antichità all’epoca della stampa, Roma,
2011, pp. 129 -132.
4
Le grammatiche scolastiche suggeriscono surrettiziamente l’idea che da Omero a Luciano, ovvero per
1.000 anni, i Greci abbiano impiegato la medesima lingua, un identico alfabeto e una stessa pronuncia
immutabile. Qui non si ritiene che l’insegnare il falso nel nome della facilitazione dell’apprendimento sia un
principio didattico e pedagogico d’indiscutibile validità.
5
A. Martinet, Elementi di linguistica generale, trad.it. UL, 1977, p. 168 e pp. 176-177.
2
Nel Rinascimento s’accese una disputa tra i sostenitori delle tesi di Johannes Reuchlin
(1455-1522; pron. Iohànnes Ròichlin) e i seguaci della teoria di Erasmo da Rotterdam
(1467-1536).
Il primo, non tenendo conto della dimensione evolutiva delle lingue, individuava nella
pronuncia contemporanea, di derivazione bizantina, nella sostanza ancor oggi in uso in
Grecia, il canone corretto di lettura dell’ellenico antico, per cui questo tipo di lettura venne
chiamata itacistica o reuchliniana (pron. roichliniana), dal nome del suo fondatore.
Il secondo, basandosi sulle testimonianze di documenti ove si trovano indicazioni
inoppugnabili circa la pronuncia in età classica, sostenne un genere di lettura, da lui detta
erasmiana o etacistica, attualmente la più diffusa tra coloro che si occupano di greco
antico, sia pure con qualche sporadica oscillazione per quanto riguarda taluni caratteri,
dovuta ad usanze affermatesi a livello locale.
In primo luogo è da tenere ben presente che, quanto al genere, le lettere greche vanno
considerate tutte, senza distinzione, maschili, poiché il neutro, genere proprio dei caratteri
greci, di norma passa al maschile in italiano, come ad esempio: problema, sistema, asma.
Ottima e corretta, quindi, è la pronuncia dell’insegnante elementare, allorché illustra agli
alunni le proprietà del pi greco; errata viceversa è quella di chi considera femminile il nome
dei grafemi ellenici, richiamandosi ad un’antistorica ed immotivata analogia col genere
delle lettere nell’italiano, come ancora si constata in alcune grammatiche scolastiche.
Passando poi al nome dei caratteri, quelli attualmente diffusi nelle scuole e negli ambienti
accademici sono giunti a noi attraverso la mediazione bizantina.
In epoca classica alcuni di questi termini erano leggermente o parzialmente diversi.
Per la nomenclatura più antica è bene rileggere un passo fondamentale di Platone
(filosofo greco, 427 – 347 a.C.):
“…come sai che pronunciamo i nomi dei caratteri ma non gli elementi stessi che li
compongono, tranne quattro, cioè l’ Ε, l’ Υ, l’ Ο e l’ Ω; quanto agli altri, sia vocali sia
consonanti, sai che li pronunciamo aggiungendo altre lettere nella formazione dei loro nomi ” 6.
Nella descrizione seguente dell’alfabeto greco verrà segnalata la terminologia platonica, là
dove quest’ultima, disponibile, differisca dal nome corrente. I semplici grafemi saranno
indicati mediante il segno - -, mentre i fonemi col segno convenzionale / /.
Lettera 1: A (maiuscolo) - α (minuscolo). Nome: alpha (l’alfa<*lo alfa)
Equivale alla /a/ dell’italiano.
Lettera 2: B (maiuscolo) - b (minuscolo). Nome: beta (il bèta).
Equivale alla bi dell’italiano, cioè alla be del latino, come dimostra ad esempio un passo
del bilingue Cicerone, di cui si discuterà più avanti a p. 10. Nel greco moderno si legge -v-.
Lettera 3: G (maiuscolo) - g (minuscolo). Nome: gamma (il gamma)
Equivale alla gi cosiddetta “dura” (occlusiva gutturale sonora) dell’italiano, quella di
“gomma, ghiro, gara”. Non esiste in greco antico il suono alveopalatale del nostro “gelato”.
Lettera 4: D (maiuscolo) - d (minuscolo). Nome: delta (il délta)
6
Cràtilo, 393 d = vol. I, p. 188, ed. oxoniense.
3
Equivale alla di dell’italiano.
Lettera 5: E (maiuscolo) – e (minuscolo). Nome: e psilón (l’epsìlon<*lo epsìlon )
Il nome di questa lettera risale all’epoca tarda bizantina e significa letteralmente “e
semplice”, per distinguerla dal dittongo alpha/iota (a) che in quel tempo, avendo subito
monottongazione, veniva, come viene tuttora in Grecia, letto -e-.
Ancora al tempo di Plutarco (I-II sec. d.C.)7 questa lettera era chiamata éi (tÚ e‰). Ma forse
sarebbe meglio pronunciare il segno suddetto /e:/, dov’è probabile che lo iota sia muto,
una sorta di pura convenzione grafica che indica semplicemente l’articolazione anteriore
del suono, in versione allungata, distinto dal dittongo omografo, se interpretiamo in modo
corretto quanto ci dice Platone, la cui testimonianza pare essere seguita, in epoca
moderna, da Antoine Meillet 8. Equivale, in italiano, ad una /e/ chiusa e breve, come nella
parola “detto” o “gretto”.
Lettera 6: Z (maiuscolo) – z (minuscolo). Nome: zeta (lo zéta)
Corrisponde all’italiana zeta di “zero”. È la prima delle tre consonanti cosiddette doppie,
poiché risulta dall’unione di due diversi suoni, es. * 'AyÆnas-de9 →'AyÆnaze = verso Atene;
*§lp¤d-ȷo → §lp¤zv = spero. A proposito di questa lettera, così Aristotele (IV sec. a.C.):
“Alcuni dicono che zα è composto da s + d + α, altri che si tratti d’un suono diverso e nessuno
di quelli noti ”10.
Lettera 7: H (maiuscolo) –  (minuscolo). Nome: eta (l’èta<*lo èta)
Un frammento d’un commediografo del V secolo a.C. ci fornisce testimonianza esatta della
pronuncia, in antico, di questa lettera, che viene in quel testo utilizzata, preceduta da beta,
come mimési del belato delle pecore (b∞ b∞ - ciò che oggi, nel greco moderno, si
pronuncerebbe vi vi). È questa testimonianza che dette ad Erasmo la prova regina su cui
fondare il proprio metodo di lettura11.
Consiste quindi in una -e- (/e:/) aperta e lunga (come in “idee”, “maree”, “ninfee”, “talee”).
Si rende convenzionalmente con -e- (lettura etacistica), senza distinguerlo dall’epsilon.
Come si è già detto, l’eta viene pronunciato, oggi, nel greco moderno, sviluppatosi dal
bizantino, come /i/ (ita:lettura itacistica); es. KÊre, §l°sn = Kyrie, elèison; Signore, pietà!
Lettera 8: Y (maiuscolo) - y/ϑ (minuscolo). Nome: theta ( il thèta)
È un’occlusiva dentale sorda aspirata (simbolo fonetico: /th/ - v. infra) e la sua pronuncia
rappresenta un problema.
Doveva corrispondere ad una ti aspirata, molto simile al /th/ peculiare della parlata di certe
aree della Calabria, come, del resto, si può evincere dalla trascrizione d’un’intervista
7
Mor. 24, 3-4
A. Meillet, Aperçu d’une histoire de la langue greque, trad it. Lineamenti di storia della lingua greca PBE, p. 280.
9
Per questo de, chiamato “pospositiva”, si confronti il to dell’inglese e lo zu del tedesco.
10
Met. A 993a.
11
Confermato del resto anche da Varrone, il quale (Rust. II, 1, 6) trascrive la parola m∞la come mela non
come *mila, nonché da Seneca, che (N.Q. I, 11) translittera parÆla in parhelia, non in *parhilia. Curzio
Rufo, IV, 13, 26, scrive agēma da ¥ghma, non *agima. Ma gli esempi potrebbero continuare.
8
4
televisiva, registrata nel 1996 in quel di Catanzaro, dove, tra l’altro, si dice: “Tutthi questi
tetthi rotthi…Non ne ha sentito parlare… per nienthe?”.12
Nel nord Italia, in quanto trattasi di suono ivi particolarmente estraneo e di conseguenza
d’ardua riproduzione, viene di solito interpretato, in modo affatto convenzionale, mediante
una cosiddetta affricata alveolare sorda (zeta - /tz/), come nella parola “tazza” o “pozzo”.
Alcuni sostengono, ma non a ragione, che vada pronunciato come il ti acca dell’inglese, il
quale però, essendo una fricativa piatta interdentale, ora sorda (/θ/: thing) ora sonora (/ð/:
though), non può rendere il suono d’un’occlusiva.13
Ulteriore prova del fatto che il suono del theta fosse più vicino a quello d’una ti che ad altre
articolazioni, è costituita dalla sua evoluzione culturale, riscontrabile in alcuni termini dotti
quali, ad esempio, “teologia” (e non *zeologia), “ittico” (e non *izzico), o entrati nell’uso più
comune come “teatro” (e non *zeatro), “tema” (e non *zema), matematica (e non
*mazematica), aritmetica (e non *arizmetica), ritmo (e non *rizmo), eccetera.
Nella pronuncia scolastica diffusa è questo il caso di soluzione compromissoria ed
oscillante, nonché del tutto infondata sul piano storico, di cui si diceva sopra.
Lettera 9: I (maiuscolo) -  (minuscolo). Nome: iota (lo iota)
Si pronuncia tale e quale la /i/ italiana.
Lettera 10: K (maiuscolo) - k (minuscolo). Nome: cappa (il cappa)
Equivale alla ci “dura” (occlusiva gutturale sorda) dell’italiano in “casa, cosa, chiesa”.
Come per il g (gamma), non esiste in greco il suono affricato alveopalatale di “cielo”.
Lettera 11: L (maiuscolo) - l (minuscolo). Nome: labda (più antico: così Platone, Cràtilo)/
lambda (più recente) - (il lambda)
Si pronuncia come la elle dell’italiano.
Lettera 12: Μ (maiuscolo) - m (minuscolo). Nome: my (il mi)
Corrisponde alla emme dell’italiano.
Lettera 13: N (maiuscolo) - n (minuscolo). Nome: ny (il ni)
Si rende come la enne dell’italiano. I neofiti tendono a confondere la minuscola e a
leggerla come vu.
Lettera 14: Ξ (maiuscolo) – ξ (minuscolo). Nome: xi ( lo ksi )
È la seconda consonante doppia. Si pronuncia come la -x- (ics).
Lettera 15: O (maiuscolo) -  (minuscolo). Nome: o micrón ( l’omìcron<*lo omìcron )
Il nome di questo segno, derivato dall’età tarda, significa letteralmente “o piccolo” (per
distinguerlo da quello “mega” ovverossia “grande”).
12
13
In I dialetti Italiani. Struttura e uso, Torino, 2003, p. 802.
Così, del resto, Meillet, op. cit. p. 32.
5
Platone chiama questa lettera14 tÚ Ô, da leggere, forse, /o:/. Anche qui, come osservato
sopra per la lettera n. 5, è altamente probabile che l’ipsilon sia muto ed indichi
l’articolazione anteriore del suono15, per l’occasione allungata. Corrisponde, nella
realizzazione sulla catena fonica, ad una /o/ breve e chiusa, come nell’italiano “coppo”.
Lettera 16: P (maiuscolo) - p (minuscolo). Nome: pi (il pi)
Corrisponde, né più né meno, alla pi italiana. È il già ricordato pi greco, lettera iniziale della
parola periphéreia (perf°rea) che significa circonferenza.16
Platone, nel dialogo citato, lo chiama pe›17.
Lettera 17: R (maiuscolo) - r (minuscolo). Nome: rho (il rho)
Si pronuncia come erre in italiano. All’inizio di parola è sempre aspirato.
Le difficoltà connesse con l’identificazione di questa lettera consistono, per coloro che
s’accostano alla lettura del greco, nello scambio con la pi dell’italiano.
Lettera 18: S (maiuscolo) - s/w (minuscolo). Nome: sigma (il sigma)
Corrisponde sempre alla esse sorda dell’italiano che si ritrova in parole come “scuola” o
“costo”, diversa da quella intervocalica, sonora, presente in altri termini quali: “cosa” o
“resa” o “teso”. Nella grafia minuscola il segno s si trova ad inizio di parola o in posizione
intermedia, il segno w in fine di parola.
Esiste altresì il cosiddetto “sigma lunato” c (conservatosi nel cirillico), poco impiegato in
genere. Per nulla in ambito scolastico.
Lettera 19: T (maiuscolo) - τ (minuscolo). Nome: tau (il tàu)
Si legge come la ti italiana. Si noti che, nella grafia del tau, accolta nella prassi tipografica
attuale, a differenza della ti, la traversa poggia soltanto sulla verticale, ma non l’incrocia.
Lettera 20: U (maiuscolo) - u (minuscolo). Nome: y psilón ( l’ipsìlon/ypsìlon)
Il nome di questa lettera risale all’epoca tarda bizantina e significa letteralmente “i
semplice”, per distinguerla da altri caratteri che, in quella fase dell’evoluzione del greco,
avevano subito il fenomeno dello “iotacismo” o trasformazione in /i/, es. KÊre, §l°sn =
Kyrie, elèison; Signore, pietà!
Quando non è preceduto da vocali come alpha (a), epsilon (e), omicron (), l’ipsilon
corrisponde alla -u- francese o lombarda, ovvero allo /ü/ del tedesco.
È Quintiliano (I sec. d.C.) che, dal punto di vista di un latino bilingue, ci fornisce importanti
indicazioni, sebbene non dettagliatissime, sulla pronuncia di questa lettera. Trattando della
differenza di suoni tra il latino e il greco e della maggiore ricchezza fonetica di quest’ultima
lingua rispetto alla prima, in I.O. I, 4, 7-8 osserva:
“….....se cioè a noi manchino alcune lettere necessarie non soltanto quando scriviamo in greco
14
P. es. op. cit. 420b = p. 224, vol. I, ed. oxoniense.
V. infra p. 9.
16
William Jones, 1706.
17
Cfr. la lettera latina pē, con la stessa vocale lunga e chiusa.
15
6
(in questo caso infatti ne prendiamo in prestito due da loro) ma addirittura quando scriviamo in
latino: se nelle parole seruus e uulnus si sente la necessità del digamma eolico, e c’è un
suono intermedio tra la lettera u e la lettera i….”.
Inoltre in alcune scritte murarie a Pompei, d’origine popolare, la translitterazione
dell’antroponimo D¤dumw oscillò tra DIDIMUS e DIDUMO, segno palese della difficoltà per
i parlanti latini a rappresentare graficamente il suono intermedio che da /u-/ scivoli verso
/i /18.
Ma c’è un altro passo del medesimo autore abbastanza illuminante, ovverossia là dove
nota, in I.O. XII, 10, 27-28, :
“ Per prima cosa la lingua latina è più dura proprio in quei suoni, in quanto manchiamo di
quelle lettere d’origine greca, una vocale (y – n.d.t.), l’altra consonante (z – n.d.t.), rispetto
alle quali nessuna ha un suono più dolce. Noi le prendiamo a prestito ogniqualvolta
utilizziamo le loro parole. E quando ciò accade, subito il discorso si fa, non so ben come, più
allegro, come in zephyris e zopyris, mentre se le scrivessimo con le nostre lettere,
provocherebbero un effetto sordo e barbaro….”
Alcuni secoli più tardi (IV) fu un grammatico d’origine greca a decidere la questione,
adottando la grafia ellenizzante (Sylla) per la scrittura latina d’un nome di solida tradizione
romana (Sulla).19
Erroneamente l’ypsilon viene letto ora nelle scuole, con una certa frequenza e in modo
indistinto, come se fosse -u- (così solo nei dittonghi), o addirittura realizzato come dittongo
ascendente -iu-.
In realtà andrebbe pronunciato piuttosto come una -i- dal timbro un po’ scuro, con
protrusione labiale.
Lettera 21: F (maiuscolo) - f (minuscolo). Nome: phi ( il phi = fi)
Viene reso, secondo un’evoluzione tarda, come effe, anche se, propriamente,
rappresenterebbe il suono pi accompagnato da aspirazione.
Fra diverse altre, ancora la decisiva testimonianza di Quintiliano, in I.O., XII, 10, 57 ,
suggerisce, in modo inequivocabile, che i due suoni, simboleggiati dalle lettere –f– e f,
non fossero identici20, ma che quest’ultimo carattere indicasse un fonema consonantico
occlusivo labiale (/p/) accompagnato da aspirazione:
“Ha capito infatti al volo la situazione un avvocato. Quando chiese ad un testimone
proveniente dal contado se conosceva Amphīone21, questi rispose di no. Ma quando rifece la
domanda, togliendo l’aspirazione e abbreviando la seconda sillaba22, allora rispose di
conoscerlo molto bene.”
Inoltre lo stesso autore aveva già in precedenza asserito23:
18
Per questo riferimento, come per tutta la questione, si veda il fondamentale A. Traina, L’alfabeto e la
pronuncia del latino, Bologna 1984, pp. 43-45.
19
Charisii, Artis Grammaticae Libri V, a c. di C. Barwick, Leipzig, 1964 p. 140.
20
insuavissima littera per Cicerone, Or. 49, 163.
21
Nome greco ('Amf¤vn): si noti che Quintiliano non scrive *Amfione (n.d.t).
22
Disse cioè: “Ampĭone” (n.d.t.).
23
Ib. XII, 10, 29.
7
“ La sesta delle nostre lettere24 deve essere pronunciata soffiando in mezzo ai denti con una
voce che quasi non è umana, anzi addirittura nient’affatto una voce”.
In questo caso, tuttavia, la consapevolezza storico/linguistica non è riuscita a sovvertire la
consuetudine ormai a fondo radicata, e si continua a pronunciarlo come effe.
Platone lo chiama fe›.
Lettera 22: X (maiuscolo) - x (minuscolo). Nome: khi (il khi).
È un’occlusiva sorda aspirata e si pronuncia come una ci “dura” accompagnata da
aspirazione, come nel toscano.
I principianti tendono a confonderlo e a leggerlo come -x-. Per Platone è xe›.
Lettera 23: C (maiuscolo) - c (minuscolo). Nome: psi (lo psi).
È la terza delle consonanti doppie del greco. Si legge come -ps-. Platone scrive ce›.
Lettera 24: Ω (maiuscolo) - v (minuscolo). Nome: o méga (l’òmega)
Il suo nome significa “o grande” per distinguerlo da quello piccolo, visto sopra.
Corrisponde ad una -o- aperta ( come in “cuore”) tenuta lunga. Platone (op. cit. p.es. 420b
= p. 224 ed. oxoniense) lo indica come tÚ Œ, da leggere come tó òo.
Nella prassi diffusa, tanto scolastica quanto universitaria, la pronuncia non si distingue da
quella dell’omicron.
Esempi di scrittura antica: iscrizioni su monete del IV sec. a.C..
Particolare: si leggono rispettivamente Philippoy e Alexandroy.
Caratteri extra-alfabetici
Il greco possedeva altri segni i quali, una volta scomparso il suono da essi rappresentato,
o risultando doppioni di altri, caddero in disuso nella loro funzione di grafemi linguistici.
I casi più importanti sono quello del # (digamma o, più propriamente, vau) e dello ȷ (ȷod25,
da scrivere rigorosamente senza puntino), ipotizzato dai grammatici dell’ ‘800.
Il primo consisteva d’un suono intermedio tra -u- e -v-; il secondo equivaleva alla -i- iniziale
della nostra parola “ieri”.
I suoni, da questi segni rappresentati (suoni semivocalici), o sono scomparsi o si sono
vocalizzati rispettivamente in ipsilon e iota.
Tuttavia per lo studio del greco questi segni devono essere tenuti ben presenti, al fine di
comprendere il comportamento, altrimenti inspiegabile, di sostantivi, aggettivi e,
soprattutto, verbi.
Altri segni hanno assunto semplice funzione di numerali.
24
-f- (n.d.t.).
pron. iod, alla maniera italiana, non secondo l’alveopalatale anglosassone che si ritrova, ad esempio, nel
nome James o in job.
25
8
Lo stigma (˚) = 6 (evoluzione del #)
Il coppa (q) = 90
Il sampi (Q) = 900.
Tabella riassuntiva
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
Α α
alfa
alpha
Β β
beta
Γ
g gamma
∆ δ
delta
Ε
ε
epsilon
ée
z
Ζ
zeta
Η η
eta
Θ θ/ϑ
theta
Ι
iota
ι
Κ κ
cappa
Λ λ
lambda labda
Μ µ
my
mü
Ν ν
ny
nü
ξ
ksi
(ksée)
Ξ
Ο ο omicron
óo
Π π
pi
pée
Ρ ρ
rho
Σ σ/ς sigma
Τ
tau
τ
Υ u
ipsilon
ü
Φ φ
phi
phée
Χ χ
khi
khée
Ψ ψ
psi
psée
Ω ω omega
òo
I suoni del greco
Nel greco antico erano presenti suoni vocalici, semivocalici, consonantici e
semiconsonantici. Nello studio della lingua greca la classificazione dei suoni è basilare per
un apprendimento corretto della morfologia, poiché essi danno luogo ad una serie di
combinazioni (fonosintassi) che non si saprebbe come spiegare, prescindendo da tale
approccio.
Le vocali
In italiano alcune parole, come partii e partì, si differenziano tra loro per la durata, cioè la
lunghezza, della vocale d’una sillaba, che, in questo caso, è distintiva, indica cioè se si
tratti d’una prima o terza persona singolare.
Tuttavia ciò, che in italiano è eccezionale, nel greco (e nel latino) è strutturale e funzionale,
per cui ogni suono vocalico possiede una propria specifica identità di lunghezza.
Si contrassegna la “quantità” breve mediante il segno ˘ , mentre la lunga con il segno ¯,
(che – si badi bene – non sono accenti) posti al di sopra della lettera (ᾱ ≠ ᾰ).
Così alcune vocali sono sempre lunghe, come eta (H, ) e omega (Ω, v).
9
Altre sono sempre brevi, come epsilon (E, e) e omicron (O, )26.
Le restanti, cioè alpha (A, a), iota (I, ), ipsilon (U, u), vengono articolate ora lunghe ora
brevi, a seconda dei casi. Sono dette perciò “ancìpiti”.
I dittonghi
Sono costituiti da due vocali successive, una piena, l’altra indebolita, comprese in un’unica
sillaba27, e si distinguono in due diverse categorie.
A) I dittonghi propri o a primo elemento breve (a/e/), con secondo elemento semivocalico
(/u). Sono: a (leggi ài), au (leggi àu), e (leggi éi), eu (leggi éu),  (leggi ói).
Fa eccezione il dittongo u, il quale si è ben presto monottongato nell’unico suono /u/.
Pare, d’altro canto, che, nell’attico del V sec. a.C., la pronuncia di questo doppio grafema fosse /o:/ chiusa e
lunga. In molte iscrizioni dell’epoca, infatti, rinvenute in quella regione, si nota una curiosa oscillazione della
duplice grafia u/ collo stesso valore fonetico. Per tutte basti un famoso óstracon (= coccio su cui il cittadino
scriveva il nome del personaggio che intendeva fosse colpito da esilio):
ΘOKYΔIΔEΣ
ΜEΛEΣIO28 = Θοuκυδίδης Μελεσίοu (Tucìdide di Melesia)
Tuttavia il confronto non è decisivo, poiché potrebbe trattarsi di semplice incertezza ortografica.
Sull’evoluzione della pronuncia di e nel corso dei secoli, invece, i glottologi hanno a lungo discusso. Almeno
nell’epoca arcaica in esso dovevano avvertirsi bene i due suoni distinti, come prova, ad esempio, Iliade, N
(XIII), 69 “Ïtv pu D‹ m°lle Ípermen°Û f¤ln e‰na" ("così almeno a Zeus fortissimo sarà caro”), dov’è
assolutamente necessario, per complicate ragioni metriche, far sentire staccati l’e e lo  della parola
Ípermen°Û.
In conclusione, il gruppo e doveva esser letto ad Atene tra V e IV sec.a.C. :
a) come epsilon/iota, qualora si tratti d’un autentico dittongo;
b) come epsilon lungo /e:/, nel caso in cui sia il risultato d’un allungamento di compenso o di contrazione: si
trova infatti in alcune iscrizioni fiden per fide›n e §na per e‰na ;
c) ancora come epsilon lungo /e:/ per indicare il nome della lettera (piano paradigmatico): tuttavia l’epsilon
29
veniva articolato breve /e/ nel corpo della parola (piano sintagmatico) .
Nell’uso corrente attuale, com’è ovvio, non si tiene alcun conto di queste sottili distinzioni.
È certo comunque che Cicerone, che il greco conosceva e parlava benissimo, verso il 46 a.C. pronunciasse
30
e come /i:/; tant’è vero che in una lettera ad un amico egli riscontra come la parola “bini” (due) per un
romano avesse un significato neutro, mentre per un greco gli stessi suoni, che quella parola compongono
(b¤ne),veicolassero un’immagine oscena. D’altro canto già assai prima, nel III sec., un greco di Taranto di
nome Andronìco (ŒAndrónikoj) translitterò il titolo ŒOdusseía in Odusìa, non in *Oduseia, segno
31
dell’avvenuto cambiamento di pronuncia, almeno in area periferica .
(N.B. quando il dittongo proprio è colpito da accento, il segno del medesimo si pone
sul secondo elemento, ma viene fatto sentire sul primo, es. Â (leggi hói, non hoì).
(Vedi infra).
26
Sulla durata di h si è già detto, a proposito del belato delle pecore. Quanto alla differente lunghezza di o e di w, può
essere utile un verso delle Rane di Aristofane (V sec. a.C.), v. 208, là dove il timoniere d’una barca, per dare il tempo di
vogata al rematore, emette un suono lungo (distensione) seguito da due brevi (immersione e spinta): “ð ÑpÒp”.
27
Questa è, a un di presso, la definizione dei grammatici antichi. Oggi i linguisti non sono tanto d’accordo, ma ulteriori
precisazioni esulano dagli scopi di questo lavoro.
28
IG I² 911,1A
IG I² 910,2 IG I² 911,1B Att. — Ath.: Kerameikos — [ostrakon] — c. 443? a.C..
29
D. Pieraccioni, Morfologia storica della lingua greca, Firenze 1975, p. 20 n. (1); R. Schmitt, Einführung in
die griechischen Dialekte, Darmstadt, 1977 p. 109.
30
Fam. IX, 22.
31
Sulla lettura del dittongo e si veda il solito Quintiliano, op. cit. I, 7, 15 “Piuttosto a lungo permase la consuetudine di
unire e ed i come fanno i Greci con e”.
10
B) I dittonghi impropri o a primo elemento lungo. Ne è un esempio u (leggi èu). Lo iota, in
questo contesto, si è affievolito e non si pronuncia32. Tuttavia esibisce una serie di
comportamenti ortografici piuttosto complessi, qui sotto elencati e descritti.
1) Entrambi gli elementi sono in minuscolo: lo iota si sottoscrive. Esempio: & (leggi -a-), +
(leggi -e-), ƒ (leggi -o-).
2) Il primo elemento è maiuscolo e il secondo è minuscolo: lo iota si ascrive (cioè si pone
accanto alla lettera precedente) e non si pronuncia. Esempio: Ω (leggi -o-); A (leggi -a-);
H (leggi -e-).
Nel caso di primo elemento alpha, che, come si è detto, può essere breve o lungo, la
posizione dei segni diacritici (spiriti e accenti – v. infra) ci suggerirà se si tratti d’un dittongo
proprio o improprio.
Ad esempio, nella parola A‡guptw (pron. Àighyptos = Egitto) i segni diacritici sono posti
sul secondo elemento del dittongo e si leggono sul primo. Si tratta quindi d’un dittongo
proprio, per cui lo iota nella pronuncia si percepisce, anche se è semivocalico.
Nella parola ÜAdw, invece, gli elementi diacritici si trovano sul primo elemento del
dittongo, per cui lo iota non s’avverte. Questa parola si legge infatti Hàdes.
Altri esempi: ÉHsyÒmn (leggi esthómen = mi accorsi); Ωmvξa (leggi òmoxa = gemetti).
3) Tutti i caratteri sono maiuscoli. In questo caso occorre conoscere già la parola, in
quanto l’assenza di segni diacritici non fornisce alcuna indicazione sulla tipologia del
dittongo.
Esempi: AIDHS (leggi Hàdes); HISYOΜHN (leggi esthómen); ΩIΜΩΞA (leggi òmoxa).
Le semivocali
Sono suoni vocalici attenuati. Oltre ai già menzionati secondi elementi dei dittonghi a
primo elemento breve, sono da ricordare il vau o, meno propriamente, digamma # e lo ȷod
ȷ, di cui si è già parlato, da tenere in considerazione nello studio del greco.
Le consonanti (contoidi)
Si dividono in occlusive (altrimenti dette mute, momentanee, esplosive) e spiranti o
continue.
Le prime consistono di quei suoni che non possono essere prolungati (momentanee).
Questi si ottengono con l’occlusione degli organi fonatori, che, aprendosi, rilasciano l’aria
immediatamente, producendo un piccolo colpo (esplosive).
Le consonanti vere e proprie si classificano in base al punto d’articolazione (gola, labbra,
denti) e al modo d’articolazione (con modesta o nulla vibrazione delle corde vocali, con
piena vibrazione delle corde vocali, con aspirazione).
Viene riprodotta qui sotto la tabella della classica tassonomia delle consonati mute.
gutturali
o velari
labiali
dentali
sorde
cappa (k)
sonore
gamma (g)
sorde aspirate
khi (x)
pi (p)
tau (t)
beta (b)
delta (d)
phi (f)
theta (y)
32
Quintiliano, op. cit. I, 7, 17, “…come fanno i Greci che aggiungono la lettera i, non solo aggiungendola alla fine nei dativi, ma
anche per interposizione, come in LHISTHI, poiché per ragioni etimologiche la suddivisione trisillabica richiede tale lettera”.
11
La spirante o continua è rappresentata dal sigma (S,s,w).
Questa classificazione, in apparenza cerebrale e sterile, risulterà, come le altre, molto
importante per lo studio della lingua.
Da osservare che il ny (N, n), seguito da gutturale, viene notato come gamma (g).
Esempi: §gke¤menw (leggi enchéimenos); êggelw (leggi ànghelos); §gxe›n (leggi enchéin).
Si tratta d’un suono tra /n/ e /g/, la cosiddetta nasale approssimante velarizzata - simbolo
fonetico [ŋ] -, come nell’italiano “fango”.
Le semiconsonanti
Sono suoni parzialmente consonantici, intermedi tra le consonanti e le vocali. Tant’è vero
che, potendo essere prolungati, possiedono la facoltà, in certi casi, di sviluppare, mediante
espansione, suoni vocalici (alpha) o trasformarsi essi stessi in vocale (vocalizzazione).
Si classificano normalmente come liquide: lambda (L, l) e rho (R, r); bilabiale: my (Μ, m) e
nasale: ny (N, n). Tutte queste ultime, per comodità, vengono generalmente comprese
sotto l’unica denominazione di “liquide”.
I segni diacritici
Sono indicatori di modalità di lettura e sono rappresentati da spiriti e accenti da un lato,
nonché coronide e punteggiatura (che in questa sede non verranno trattati) dall’altro.
Gli accenti
A differenza dell’italiano che possiede un accento intensivo, cioè un incremento
dell’emissione sonora in corrispondenza della sillaba interessata, il greco e il latino
possedevano un accento melodico consistente in un’acutizzazione e un abbassamento del
tono della voce.
I segni, pertanto, che indicano l’accento, rappresentano l’idea di questo fenomeno.
Avremo così un accento acuto  (un piccolo segmento inclinato nel senso della lettura), il
quale rappresenterà l’innalzamento del tono della voce (arsi) verso la tessitura più acuta,
ed un accento grave Å (un segmento inclinato in senso opposto a quello della lettura) che
indicherà l’abbassarsi del tono della voce (tesi).
I due fenomeni, che avvengono in rapida successione all’interno della stessa sillaba,
vengono simboleggiati coll’accento circonflesso, risultato della giustapposizione dei
precedenti ( prima ^, poi evolutosi in ).
Tuttavia, avendo noi moderni smarrito la sensibilità verso queste distinzioni, tutti gli
accenti, in greco, vengono resi convenzionalmente secondo le modalità dell’accento
intensivo.
Gli spiriti
Si trovano, quasi esclusivamente, all’inizio di parola, allorché questa cominci per vocale,
dittongo e rho (R, r, sempre aspro ad inizio di parola, come l’ipsilon).
Si distinguono in dolce (
É
), il quale indica l’assenza d’aspirazione, ed aspro (
Ñ ),
che
segnala al contrario la presenza dell’aspirazione (come avviene, ad esempio, nell’inglese
con le parole and (e) ≠ hand (mano), o nel tedesco in und (e) ≠ Hund (cane).
In più d’un caso, parole omografe (di uguale scrittura) si distinguono solo dallo spirito.
Occorre quindi prestare molta attenzione alla qualità degli spiriti.
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Es. ¶jv
ˆrw
‰w
e‰na
êtta
(pron. éxo, fuori)
≠ ßjv
(pron. óros, monte)
≠ ˜rw
(pron. óios, solo)
≠ Âw
(pron. éinai, essere)
≠ eÂna
(pron. àtta, alcune cose) ≠ ëtta
(pron. héxo, avrò);
(pron. hóros, limite, confine, definizione);
(pron. hóios, quale);
(pron. héinai, mandare);
(pron. hàtta, le cose che).
N.B. i simboli degli spiriti e degli accenti si pongono sopra la lettera, se questa è
minuscola (é/ è); di fianco in alto a sinistra, se la medesima è maiuscola (ÉA/ ÑA).
Nella compresenza di spirito e accento acuto/grave, la successione sarà: spiritoaccento. Es:A
ÜA
ê
ë.
In quella di spirito e accento circonflesso, quest’ultimo viene indicato sopra lo
spirito. Es. H
H
∑
∏.
La lettura
Proviamo ora a leggere, cominciando con qualche semplice parola, che verrà in una prima
versione trascritta con tutti i caratteri maiuscoli, poi con la sola prima lettera maiuscola,
infine in completo minuscolo (eccezion fatta, ovviamente, per gli antroponimi).
1) ANYRΩPOS; Anyrvpw; ênyrvpw (uomo, nel senso di essere umano non
sessualmente connotato). Le lettere sono nell’ordine: alpha, ny, theta, rho, omega,
pi, omicron, sigma. Lettura: ànthropos.
2) EURHKA; EÏrka; eÏrka (“Ho trovato”. Celebre esclamazione attribuita ad
Archimede, fisico del III secolo a.C.). Le lettere sono: epsilon, ipsilon, rho, eta,
cappa, alpha. Lettura: héureca.
3) ZΩION; Z“n; z“n (animale). Le lettere sono: zeta, omega, iota (sottoscritto),
omicron, ny. Lettura zòon.
4) BIOS; B¤w; b¤w (vita). Le lettere sono: beta, iota, omicron, sigma. Lettura: bìos.
5) YANATOS; Yãnatw; yãnatw (morte). Le lettere sono: theta, alpha, ny, alpha,
tau, omicron, sigma. Lettura: thànatos.
6) CUXH; CuxÆ; cuxÆ ( vita, anima). Le lettere sono: psi, ipsilon, chi, eta. Leggi:
psychè.
7) OUDEIS; OÈde¤w; Ède¤w (nessuno). Le lettere sono: omicron/ipsilon (dittongo),
delta, epsilon/iota (dittongo), sigma. Leggi: udéis.
8) UGIEIA; ÑUg¤ea; Íg¤ea (salute). Le lettere sono: ipsilon, gamma, iota, epsilon/iota
(dittongo), alpha. Leggi: hyghìeia (cfr. l’italiano igiene, con la –i– muta, etimologica).
9) FILIPPOS; F¤lppw (Filippo, antroponimo). Le lettere sono: phi, iota, lambda,
pi, pi, omicron, sigma. Leggi: Fìlippos.
10) ΞΕΡΞΗΣ; Ξέρξης (Serse, antroponimo. Nome di re persiano). Le lettere sono: xi,
epsilon, rho, xi, eta, sigma. Leggi: Xérxes.
Esempio d’alfabeto corinzio della prima metà del VI sec. a.C.: Pyr#ìas prochoreuómenos = Pirrìas che guida
il coro. Pittura vascolare. Corinto, Museo Archeologico.
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Esopo
ÉElãt ka‹ bãtς
Hrzn prÚς éllÆlaς §lãt ka‹ bãtς . ÑH d¢ §lãt •autØn §panËsa ¶f ˜t « kalÆ
efim ka‹ eÈmÆkw ka‹ ÍclØ ka‹ xrsmeÊv efiw na«n st°g ka‹ efiw pl›a: ka‹ p«w §m‹
sugkr¤n˙ ; » ÑH d¢ bãtς e‰pen : « Efi mnsyªw t«n pel°kevn ka‹ t«n prÒnvn t«n se
kptÒntvn, bãtς gen°sya ka‹ sÁ mçlln yelÆsew . »
ÜOt È de› §n b¤ƒ ˆntaw §pa¤resya §n tª dÒj˙ : t«n går eÈtel«n ék¤ndunÒw §st ı
b¤w.
Translitterazione
Elàte kài bàtos
Èrizon prós allèlas elàte kài bàtos. He-dé elàte heautèn epainùsa éfe hóti « kalè-eimi kài
eumèkes kài hypselè kài khresiméuo eis-naòn stéghe kài eis-plóia; kài pòs emói
synkrìne?» He-dé bàtos éipen: « Ei-mnesthès tòn pelékeon kài tòn priónon tòn-se
koptónton, bàtos ghenésthai kài sý màllon thelèseis. »
Hóti u-déi en-bìo óntas epàiresthai en-tè dóxe ; tòn gàr eutelòn akìndynós-esti ho-bìos.
Traduzione
L’abete e il rovo
Un abete e un rovo litigavano tra loro. « Sono bello, grande, alto e utile per costruire tetti di
templi e navi » si vantava l’abete, « e tu hai il coraggio di confrontarti con me? » Ma il rovo
rispose: « Se tu ti rammentassi delle scuri e delle seghe che ti spaccano, preferiresti
essere un rovo anche tu! ».
Nelle vita la fama non deve far inorgoglire, perché l’esistenza degli uomini comuni è al
sicuro da ogni pericolo33.
33
Esopo, Favole, Mondadori, Milano, 1996, pp.108/9. Traduzione di Cecilia Benedetti.
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Esempio di scrittura su stele funeraria efesina del IV-V sec. d.C.
“EYDIKÍES MÒLOIO SAOPHROSÝNES ARETÀON MÀRTYS EGÒ STÈLE
THEYDOSÍO(I) TELÉTHO = Io la stele sono testimone a Teodosio delle virtù di Molo: rettitudine
e prudenza. (Distico elegiaco – lingua arcaizzante).
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