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leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it Dramatis Oves Miss Maple la pecora più intelligente del gregge e, forse, del mondo. Mopple the Whalela grassa pecora dalla memoria portentosa, un montone merino perennemente affamato. Sir Ritchfield il vecchio montone capo, ha ancora la vista migliore del gregge. Othello il nuovo montone capo, nero, ha quattro corna ed è molto risoluto. L’agnello invernale un giovane outsider in cerca del proprio nome. Ramses un montone giovane e nervoso con delle buone idee. Zora una pecora con il muso nero e un debole per i precipizi. Heide un’energica, giovane pecora. Cloud la pecora più lanosa del gregge. Cordelia una pecora idealista. Maude il miglior fiuto del gregge. Lane è la pecora con le zampe più lunghe e la più veloce che ci sia. 7 0050.Testo_CS4.indd 7 28/01/11 17.14 Melmoth il fratello gemello di Ritchfield. Un montone indimenticato. Willow la seconda pecora più taciturna del gregge. La pecora più taciturna del gregge Il non tosato uno straniero arruffato. Dramatis Caprae Madouc una piccola capra nera piena di idee pazzesche. Megära la capra con l’orecchio nero. Amaltée una giovane capra grigia. Circe una giovane capra rossiccia. Kalliope una giovane capra pezzata bianca e marrone. Kassandra una vecchia capra cieca. Bernie un caprone leggendario. La capra con un corno solo una scettica. Dramatis Personae Rebecca la pastora. Mamma sua madre. Il Picchio è il signore del castello e zoppica un poco. 8 0050.Testo_CS4.indd 8 28/01/11 17.14 Hortense profuma di violetta e si occupa dei cuccioli d’uomo. Jules e Jean due cuccioli d’uomo. Madame Fronsac la governante, Mamma la chiama “la Balena”. Monsieur Fronsac guarda. Mademoiselle Plin l’amministratrice dall’austera pettinatura. Paul il pastore di capre tace. Yves un tuttofare. Il giardiniere sorveglia il meleto. Eric fa il formaggio di capra. Zach un agente molto segreto. Malonchot un poliziotto. Il veterinario non è benvoluto dalle pecore. Il piccolo passeggiatore Il grosso passeggiatore un ospite invernale. un secondo ospite invernale. Dramatis Canidae Tess il vecchio cane pastore. Vidocq un cane pastore ungherese. Il Garou 9 0050.Testo_CS4.indd 9 28/01/11 17.14 0050.Testo_CS4.indd 10 28/01/11 17.14 “Cosa state facendo?” domandò la capra con un corno solo. “Un thriller!” proclamò la capra grigia, agitando drammaticamente le orecchie. “Con le pecore?” domandò la capra con un corno solo, strizzò un occhio e sbirciò con aria critica attraverso lo steccato. “Un capriccio!” disse la capra grigia scalpitando. “Una commedia!” disse la capra sul comò. “Non sarà mai e poi mai una commedia,” disse la capra con un corno solo e guardò ancora attraverso il recinto. “È tutto una commedia!” brontolò la capra sul comò. “Una commedia con tanto rosso!” Le tre capre guardarono le pecore che pascolavano ignare. “Tutto questo ce lo immaginiamo soltanto!” disse la capra con un corno solo. 11 0050.Testo_CS4.indd 11 28/01/11 17.14 0050.Testo_CS4.indd 12 28/01/11 17.14 Prologo Passato. Finito. Era sempre bello, dopo. Gli piaceva starsene lì, appoggiato a un albero, ad ascoltare l’eccitazione della caccia che si disperdeva nella neve. Come il sangue. Il cielo e il fruscio del bosco sopra di lui, il terreno sotto i suoi piedi. E davanti, un quadro. Era tutto così tranquillo. Senza paura. Senza fretta. Si sentiva libero. Rinato. Sorpreso di possedere due mani – com’erano rosse! – e due gambe e una forma. Durante la caccia tutto era informe, c’era soltanto un davanti e un dietro, una traccia, una preda e la velocità. Vita e morte. Quattro o due zampe? Non era importante. E talvolta le prede gli sfuggivano. Raramente. Andava bene così. Andava tutto bene. Un pettirosso si posò su un ramo. Così grazioso, così vicino, così pieno di vita. Amava il bosco. Non era importante ciò che era successo o quello che sarebbe successo: il bosco lo accoglieva comunque e lui diventava un animale come gli altri. Se fosse stata notte, adesso, avrebbe ululato alla luna per la felicità. Ma non era notte e anche questa era una buona cosa. Era giorno fatto e i colori scintillavano. 13 0050.Testo_CS4.indd 13 28/01/11 17.14 E il tempo passava. Sospirò. Il tempo che seguiva era sempre troppo breve. Presto avrebbe cominciato a sentire freddo. Doveva fare ritorno. Lavare le mani nella neve fino a farle tornare bianche. Indossare i guanti. Un altro paio di stivali. Zigzagare. Far sparire le sue tracce. Ricominciare a pensare. Alle compere da fare, all’ispettore delle imposte e, naturalmente, a loro. Alle cose cui pensano gli uomini, appunto. C’era un vestito da portare in tintoria. Il dopobarba era finito. Nella stanza da letto c’era una pianta dall’aria triste. Doveva innaffiarla? Forse. Non ne capiva granché di piante. Il lavoro lo aspettava. E il pranzo. Funghi cotti nel burro, una salsa alla panna e una bistecca. Patate fritte? Perché no! Pâté di fegato d’oca? Che giorno era oggi? E pane fresco! Del pane con una crosta croccante ci sarebbe stato bene. Dette un’ultima occhiata al quadro davanti a lui – di nuovo la volpe! La volpe era una nota interessante – poi se ne andò sulle sue due gambe e a ogni passo si trasformava un poco. Quando uscì dal bosco gli venne da ridere. Pecore! Con la neve e le pecore, il castello aveva un aspetto molto più interessante. Com’erano bianche, tutte tranne una. La pecora nera lo innervosiva. Proseguì lungo il recinto, diretto al castello, sbirciando di nascosto la sua finestra. Non poteva fare altrimenti. Niente. Nel profondo, dentro di lui, il Garou si raggomitolò sazio e soddisfatto, e si addormentò. 14 0050.Testo_CS4.indd 14 28/01/11 17.14 Prima parte PELLI 0050.Testo_CS4.indd 15 28/01/11 17.14 0050.Testo_CS4.indd 16 28/01/11 17.14 1 “E poi?” chiese l’agnello invernale. “Poi le pecore madri portarono gli agnelli al sicuro, lontano dall’uomo con il piccolo cane. E trovarono un… un…” Cloud, la pecora più lanosa del gregge, non sapeva più come continuare. “Un mucchio di fieno!” suggerì Cordelia. Cordelia era una pecora molto idealista. “Esatto, un mucchio di fieno!” disse Cloud. “E le pecore madri si sfamarono e gli agnelli si rotolarono tutti insieme nel fieno, e tacquero!” Le pecore belarono entusiaste. A forza di raccontarla, la storia di The Silence of the Lambs1 aveva subito, di volta in volta, alcune variazioni e ogni volta ci aveva guadagnato un po’. Rebecca, la pastora, aveva letto loro quel libro in autunno, quando le foglie erano già ingiallite, ma il sole era ancora rotondo, maturo e sano. Nel frattempo, le pecore non sapevano più spiegarsi perché allora, nelle prime fredde e argentee notti autunnali, quella storia le avesse fatte rabbrividire. Soltanto Mopple the Whale, la grassa pecora dalla memoria di ferro, si 1 Si è deciso di utilizzare il titolo originale del romanzo di Thomas Harris, poiché la traduzione italiana, Il silenzio degli innocenti, non giustificherebbe l’interesse delle pecore per la storia raccontata. (N.d.T.) 17 0050.Testo_CS4.indd 17 28/01/11 17.14 ricordava ancora che nel libro che Rebecca leggeva sui gradini caldi di sole del capanno, di agnelli ce n’erano ben pochi, e pochissimo fieno. Il vento tesseva fili di neve tra le loro zampe. Più in basso, presso il recinto del pascolo, gli arbusti spogli tremolavano e la storia era finita. “Era un grande mucchio di fieno?” domandò Heide che era ancora giovane e non voleva che le storie finissero così, semplicemente. “Molto!” disse Cloud con convinzione. “Grande come… grande come…” Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa di grande. Heide? No. Per una pecora, Heide non era molto grande. Mopple the Whale era già più grande di lei. E più grasso. Il capanno, che stava al centro del loro pascolo, era più grande di tutte le pecore, ma il fienile lo era ancora di più. La cosa più grande in assoluto era la vecchia quercia che cresceva al margine del bosco e che, in autunno, aveva fatto cadere a terra un’infinità di foglie scricchiolanti, marroni e amare. Era stato un lavoraccio pascolare in mezzo a tutte quelle foglie. Sui lati del pascolo, a sinistra, c’era il frutteto e, a destra, il pascolo delle capre. Sul pascolo delle capre non c’era niente di grande. Soltanto le capre. Dietro i due pascoli c’era il bosco, sconosciuto, frusciante e fin troppo vicino. Davanti a loro c’era il cortile, con le stalle, le abitazioni, i camini che fumavano e la gente chiassosa, e subito accanto, vicino, grigio e massiccio come una zucca, il castello. Dato che il loro pascolo saliva leggermente verso il bosco, le pecore lo vedevano benissimo. “Grande come il castello!” disse Cloud trionfante. Le pecore si meravigliarono. Il castello era davvero molto grande. Aveva una torre appuntita e tante finestre e ogni sera 18 0050.Testo_CS4.indd 18 28/01/11 17.14 toglieva loro il sole troppo presto. Un mucchio di fieno sarebbe stato un felice cambiamento. Si sentì un colpo. Le pecore si spaventarono. Poi allungarono il collo, curiose. Un oggetto era volato fuori dalla finestra del capanno. Di nuovo! Il gregge si mise in movimento. Di recente volavano spesso degli oggetti dalla finestra del capanno e ogni tanto c’era qualcosa di interessante. Un tegame con della pappa d’avena appena un po’ bruciacchiata, per esempio, o una pianta, un giornale. La pianta aveva provocato flatulenza. Il giornale era piaciuto soltanto a Mopple. Quella era una giornata niente male: davanti a loro, nella neve, c’era un maglione di lana. Il maglione di Rebecca. Il maglione. Alle pecore quel maglione piaceva più di tutti gli altri. Era l’unico capo d’abbigliamento che capivano. Bello e nel colore delle pecore, spesso e lanoso, e poi aveva un odore. Non odorava solo vagamente di pecora, come accadeva con molti maglioni di lana, bensì di un certo tipo di pecora. Di un gregge che aveva vissuto sul mare, pascolato erbe salate, trottato su terreni sabbiosi, respirato un vento che veniva da lontano. Chi lo annusava attentamente, riusciva addirittura a distinguere la personalità delle diverse pecore. C’era dentro la lana di una pecora madre che sapeva di latte, di un montone sporco di resina e della pecora scarna e arruffata ai margini del gregge. C’era l’odore dei denti di leone e del sole e le grida dei gabbiani nel vento. Le pecore respirarono quell’aroma lanoso e sospirarono. Avevano nostalgia del loro vecchio pascolo in Irlanda, dei grandi spazi aperti e del grigio mormorio del mare, degli scogli, della sabbia e dei gabbiani, e addirittura del vento. Nel frattempo era 19 0050.Testo_CS4.indd 19 28/01/11 17.14 chiara una cosa: era il vento a dover viaggiare, le pecore dovevano restarsene a casa. La porta del capanno si aprì e Rebecca, la pastora, scese pesantemente le scale, con le labbra tirate, a piccoli passi rabbiosi. Raccolse il maglione dalla neve mettendo fine a quella gioia per l’olfatto. “Basta!” mormorò con le sopracciglia pericolosamente aggrottate, mentre scuoteva i cristalli di neve dal maglione. “Basta! Le faccio fare un bel volo! Questa volta le faccio fare un bel volo!” Le pecore la sapevano meglio. Dalla finestra del capanno volava ogni tipo di oggetto, ma non lei. In genere si muoveva di rado, ma quando lo faceva, allora, era sorprendentemente veloce. Le pecore dubitavano addirittura che sarebbe potuta passare attraverso la finestra del capanno. Anche Rebecca sembrò dubitarne. Abbassò lo sguardo sul maglione e sospirò profondamente. Dietro il vetro opalino della finestra del capanno apparve un volto, singolarmente dolce e largo, che fissò con disapprovazione Rebecca e le pecore. Rebecca non lo guardò. Le pecore ricambiarono lo sguardo affascinate. Poi il volto scomparve di nuovo e, in compenso, si aprì la porta del capanno. Ma nessuno uscì. “Quella cosa puzzolente non entra più in casa mia!” si udì strillare da dentro. Rebecca fece un profondo respiro. “Non è una casa,” disse minacciosamente piano. “E non è affatto casa tua. Questo è un capanno. Il mio capanno. E il maglione non puzza. Odora di pecora! È normale quando è umido. Anche le pecore odorano di pecora quando sono bagnate! Le pecore odorano sempre di pecora!” “Esatto!” belò Maude. 20 0050.Testo_CS4.indd 20 28/01/11 17.14 “Esatto!” belarono le altre pecore. Maude era la pecora con il miglior fiuto del gregge. Di odori se ne intendeva. Dal capanno spirò un silenzio gelido. “E non puzzano!” disse Rebecca con rabbia. “L’unica cosa che puzza qui, sono le tue…” S’interruppe e sospirò di nuovo. “Bottigliette!” belò Heide. “Ciprie!” belò Cordelia. “E le capre!” aggiunse Maude per amor di completezza. Le pecore avvertirono che il silenzio all’interno del capanno si addensava, formando una nuvoletta scura. E la nuvola pensava. “E con questo?” strillò poi. “Per quel che m’importa, che odorino pure di pecora! Possono starsene lì tutto il santo giorno e odorare di pecora! Là fuori! Ma non qui dentro. Qui dentro le pecore non sono ben accette!” “Esatto!” belò Sir Ritchfield, il vecchio montone capo. Sir Ritchfield era sempre stato per l’ordine. Le altre tacquero. La vita all’interno del capanno, con tutti i suoi odori di cibo e di piante da appartamento, le aveva sempre interessate. “Sul serio, Reba, un po’ di igiene!” disse la voce, questa volta in un tono dolce e materno. Igiene non suonava male. Un po’ come l’erba fresca, verde e scintillante. “Igiene!” belarono con approvazione le pecore. Tutte meno Othello, il nuovo montone capo, nero come un corvo. Othello aveva trascorso la gioventù in uno zoo e lì aveva visto da lontano – e soprattutto fiutato – alcune ig-iene e sapeva che non c’era motivo di farsi prendere dall’entusiasmo. Niente affatto. Rebecca abbassò le braccia e una manica del maglione che aveva appena finito di scuotere con cura, finì di nuovo nella 21 0050.Testo_CS4.indd 21 28/01/11 17.14 neve. Sembrava smarrita, un po’ come un giovane montone che non sa esattamente se deve scappare o attaccare. “Attacco!” belò Ramses. Anche Ramses era un giovane montone, e per lo più sceglieva la fuga. Rebecca abbassò la fronte, si strinse il maglione al petto sgualcendolo, e si mise ben eretta. Non era molto alta. Ma riusciva a sembrare molto alta quando voleva. “Questo è il mio capanno. E queste sono le mie pecore. E il mio maglione. E qui nessuno ha bisogno dei tuoi consigli. Ho ereditato tutto da papà, perché ha avuto fiducia in me, e sai una cosa? Non me la cavo affatto male!” Le pecore sentirono che all’interno del capanno si stava verificando un cambiamento. La nuvola si dilatò, divenne più chiara e umida. Poi cominciò a piovere. “Tuo paaadre!” sussurrò Heide all’orecchio di Lane. “Tuo paaaaadre!” si sentì gemere dentro il capanno. “Be’, fantastico. Brava, Rebecca!” mormorò Rebecca. Il capanno sospirò profondamente, poi sulla porta apparve una donna. Non pareva che stesse semplicemente in piedi. Dava l’impressione di essersi attaccata alla cornice della porta con delle ventose, come un’elegante lumaca senza guscio, pulita, marrone e lucida. L’acqua le scorreva dagli occhi e le sfocava il viso. Le pecore la guardarono inquiete. Avevano visto quel volto la prima volta sotto la pioggia scrosciante, strano e bagnato in egual misura. Nel frattempo le pecore si erano convinte che la donna avesse portato la pioggia, forse nella sua borsetta blu oceano, forse dentro la sua piccola valigia di metallo scintillante, probabilmente dentro le tasche del suo impeccabile cappotto. La pioggia era stata sua alleata, quando aveva bussato alla porta del capanno, la pioggia e una crema di liquore fatta in casa. 22 0050.Testo_CS4.indd 22 28/01/11 17.14 Rebecca le aveva aperto e la portatrice di pioggia aveva cominciato a rovesciarle addosso un fiume di parole: nostalgia, figlia, ma che bel nido, d’ora in poi volerò solo in prima classe, figlia, preoccupazioni, soltanto per le feste, sei molto magra, e ti ho portato anche la buona crema di liquore. A Rebecca erano cadute le braccia. “Mamma!” Non era suonato proprio come un invito, ciononostante la donna e la pioggia erano rimaste. Prima non aveva mai piovuto, per tutto l’autunno, al massimo un acquazzone che aveva fatto gracidare di felicità le rane nel fossato del castello. Ma a parte questo, niente. Da quando la donna era arrivata, aveva piovuto e basta. Dal tetto del fienile gocciolava l’acqua. Il suolo era fangoso e sdrucciolevole, soprattutto sotto il trogolo. Il mangime sapeva di umidità. Il piccolo ruscello che attraversava il loro pascolo era diventato marrone e Mopple the Whale, mentre andava a caccia d’erba sulla scarpata, c’era finito dentro. “Panta rei,” dissero le capre, presso il recinto. Prima cadde la pioggia. Poi la neve. Poi la crema di liquore volò dalla finestra. Poi altri oggetti. Rebecca riportò nel capanno alcune delle cose che erano state così bandite, Mamma ne riportò delle altre, e alcune non le riportò dentro nessuno, e così Mopple aveva mangiato il giornale e la notte aveva sognato un uomo con la testa di volpe. C’era una qualche relazione in tutto questo, ma le pecore non capivano quale. “Questo non ha niente a che vedere con papà,” disse Rebecca, dolcemente adesso, e s’infilò il maglione. “Si tratta solo di me e di te. Tu sei un’ospite qui e io voglio che ti comporti come tale. Tutto qui. Okay?” 23 0050.Testo_CS4.indd 23 28/01/11 17.14 “Okay,” disse Mamma sulla porta, tirando su con il naso e asciugandosi gli occhi con un fazzoletto bianco. “Okay!” belarono le pecore. Sapevano cosa sarebbe venuto adesso: le sigarette. Mamma seduta sui gradini del capanno, Rebecca un po’ più in alto, sul pendio, appoggiata all’armadio che, misterioso e misteriosamente, si trovava sotto la vecchia quercia. Fumo e silenzio. Anche le pecore tacevano, raspavano nella neve, brucavano l’umida erba invernale o almeno così sembrava. Tutte aspettavano quello che sarebbe successo a breve. Qualcosa che si vedeva appena, ma che in compenso si fiutava distintamente. Sul loro pascolo c’era una pecora straniera. Era lì da prima di loro, non sul pascolo, bensì nel meleto e sulla sottile striscia di prato tra il pascolo e il limitare del bosco. Adesso stava con loro e, giorno dopo giorno, gironzolava intorno al recinto del pascolo. Ogni volta che Rebecca si appoggiava all’armadio a fumare, lo straniero s’impietriva. Non muoveva più niente, né un orecchio, né un ciglio, nemmeno la punta della coda. Ma emanava un odore. Quello del panico più puro e cieco. Come quello di un agnello che fugge nella palude davanti ai cani selvaggi. Non che alle pecore fosse già capitato di fuggire nella palude davanti a dei cani selvaggi, per fortuna no, ma riuscivano a immaginarselo molto bene. Quella faccenda le innervosiva. Lo straniero non era, di solito, pauroso. Non aveva paura di Tess, la vecchia cagna che, per lo più, dormiva sui gradini del capanno, e non aveva paura neanche delle quattro corna nere di Othello. Però aveva paura di Rebecca, quando la pastora si appoggiava all’armadio a fumare, guardando il pascolo. Aveva una paura pazzesca. 24 0050.Testo_CS4.indd 24 28/01/11 17.14 Rebecca spense infine la sigaretta, se la mise scrupolosamente in tasca e ridiscese al capanno. Lo straniero si rilassò e iniziò a mormorare. Le altre pecore abbassarono le orecchie e la coda e cercarono di scuotersi di dosso quel silenzio. Lo straniero dava loro sui nervi. Non aveva veramente l’odore di una pecora, non si comportava come una pecora e, soprattutto, non aveva l’aspetto di una pecora. Sembrava piuttosto una grande pietra informe, coperta di muschio. Ciononostante, Miss Maple, la pecora più intelligente del gregge e forse del mondo, sosteneva che lo straniero fosse una pecora. Una pecora solitaria che nessuno aveva più tosato da anni, con una massa di lana infeltrita e indurita sulla schiena, e una storia che nessuno conosceva. “Si abitueranno a stare insieme!” aveva detto Rebecca quando, insieme al capraio, aveva spinto la pecora straniera dal meleto sul loro pascolo. Il capraio aveva strizzato gli occhi e tossito. O forse si era trattato di una risata polverosa. Non si erano abituate, neppure un po’. Al contrario: ogni giorno che passava il montone non tosato sembrava loro un poco più estraneo. E un po’ più distante. Stava tra di loro, ma non con loro, si muoveva in un gregge che, però non era il loro. Qualche volta avevano l’impressione che non le vedesse affatto. Vedeva altre pecore, che nessun’altro, oltre a lui, era in grado di vedere. Pecore fantasma. Fantasmi. Adesso il non tosato abbandonò la sua postazione in alto, sul limitare del bosco, e attraversò il pascolo al trotto, superò il fienile e il capanno, saltò il ruscello e si diresse nell’angolo che confinava con il meleto, mormorando esortazioni a una schiera di pecore invisibili che lo seguivano. 25 0050.Testo_CS4.indd 25 28/01/11 17.14 Le pecore non lo guardarono. Tutte eccetto Sir Ritchfield. “Credo… che sia una pecora!” belò Ritchfield eccitato. In quel periodo, il vecchio montone capo era molto interessato alla questione su chi fosse una pecora, e chi no. Le altre sospirarono. Ancora una volta si chiesero se quel viaggio in Europa fosse stata davvero una bella idea. Avevano ereditato il viaggio da George, il loro precedente pastore. Un giorno avevano trovato George sdraiato sul loro pascolo, semplicemente, con una vanga nel ventre. Le pecore non avevano avuto niente a che fare con ciò – be’ insomma, non molto comunque –, ma avevano ereditato: un viaggio in Europa, il capanno con dentro Rebecca, la figlia di George, che aveva il compito di foraggiarle e leggere per loro. C’era scritto nel testamento. Poi però doveva essersi verificato un errore. L’Europa di cui aveva parlato George era piena di meli in fiore, di campi di erbe aromatiche e di uno strano pane lungo. Nessuno aveva mai parlato delle auto strombazzanti, delle strade polverose e delle zanzare ronzanti, della neve, delle pecore fantasma, e meno che mai delle capre. Le pecore davano la colpa alla carta stradale. Rebecca aveva portato con sé una carta colorata che, durante le loro escursioni, fissava spesso e a lungo, e quella carta evidentemente non ne sapeva niente dell’Europa. Tre pecore avevano attirato Rebecca in un campo di girasoli, mentre Mopple the Whale aveva addentato la carta che si trovava sui gradini del capanno e l’aveva mangiata tutta, perfino la parte di cartone, dura e brillante. E davvero: un paio di giorni più tardi, davanti al capanno, era comparsa una donna con i capelli raccolti sulla testa in un’austera pettinatura, che con qualche lusinga aveva invitato le pecore. Poco dopo, l’este26 0050.Testo_CS4.indd 26 28/01/11 17.14 nuante vita nomade era finita e loro avevano adesso di nuovo un pascolo, un fienile, un magazzino per il foraggio e questa volta addirittura un armadio. E tuttavia, non era il loro vecchio pascolo. “Dimmi un’altra volta perché siamo qui,” sospirò Mamma che stava ancora attaccata alla porta come una lumaca e si era accesa un’altra sigaretta. Tess riuscì a infilarsi tra lei e la porta e salutò Rebecca sui gradini del capanno agitando la coda. Rebecca si accovacciò e accarezzò Tess dietro le orecchie. Tess cercò di infilare il muso brizzolato sotto l’ascella di Rebecca. “Io sono qui perché le pecore hanno bisogno di un ricovero per l’inverno,” disse Rebecca. Lo aveva già spiegato cento volte, prima alle pecore, poi a Mamma, qualche volta anche a se stessa. “Il pascolo è buono, l’affitto conveniente. Il paesaggio è idilliaco. Sono stata invitata. Perché tu sei qui, non lo so.” Le pecore sapevano perché Mamma era lì: era una parassita. Rebecca lo aveva confidato loro una volta, mentre distribuiva il fieno. “Fa la raffinata, ma in realtà è al verde. E come potrebbe essere altrimenti, con il lavoro che fa? Poi intruglia un po’ di crema di liquore e non si sposta più per settimane. Soltanto per il periodo delle feste? Bah! Lo vedrete. Non ho ancora idea di come farò a liberarmene.” Non certo attraverso la finestra del capanno, questo era poco ma sicuro. Mamma soffiò il fumo su Rebecca e Tess e guardò con aria critica verso il castello. “Dovremmo andarcene da qui. Guardati intorno, bambina mia! È un posto abbandonato da Dio, e poi qui sono tutti pazzi.” “Hortense è a posto,” disse Rebecca. “Non ha stile,” disse Mamma sprezzante. “Pensavo che le francesi avessero stile. E che mi dici del capraio laggiù? Se ne va in giro tutto il giorno per il bosco e quando passa di qui non dice 27 0050.Testo_CS4.indd 27 28/01/11 17.14 una parola. È forse normale questo? Hai notato che gli altri gli stanno alla larga? Ci sarà pure un motivo.” “Stanno alla larga anche da noi,” disse Rebecca. Tess si era girata sulla schiena e adesso Rebecca le accarezzava la pancia. “C’è una ragione anche per questo,” disse Mamma. “Tu non la capisci la gente, Reba. Proprio come tuo padre. Le persone non ti sono mai interessate. A me sì. Io le sento. Io le vedo. Idilliaco? Le carte dicono qualcosa di diverso!” Le pecore si scambiarono uno sguardo eloquente. Le carte dicevano spesso qualcosa di diverso. Proprio come la carta stradale, fino a quando Mopple non l’aveva mangiata. Tutti i loro problemi erano cominciati con quella carta stradale. “Sai quale carta compare in ogni mia seduta, da due settimane?” Rebecca sospirò, si rialzò e si stirò come un gatto. “Il Diavolo!” belarono le pecore in coro. Era sempre la stessa cosa. “Il Diavolo!” riecheggiò Mamma trionfante dai gradini del capanno. Rebecca rise. “Questo succede perché nel tuo mazzo ci sono tre diavoli, mamma. La Giustizia e la Temperanza le hai scartate!” Tess si stirò alla maniera dei cani e, scivolando accanto alle pantofole di Mamma, rientrò nel capanno. “E allora? Bisogna adattare un poco le carte alle circostanze attuali, tutto qui. Da quando la Temperanza è fuori, ho una percentuale di successo pari al 75 per cento! Sai che gli altri…” Rebecca agitò la mano come se volesse scacciare delle mosche invisibili – e molto insensibili al freddo –, e Mamma sospirò. “Onestamente, bambina mia, ti senti a tuo agio qui? Chiedi domani al veter…” 28 0050.Testo_CS4.indd 28 28/01/11 17.14 Più agile di una gazzella, Rebecca risalì con un balzo i gradini del capanno e premette una mano sulla bocca di Mamma. “Sei impazzita?” sibilò. “Sai cosa si scatenerà qui, se pronunci quella parola?” “L’inferno!” belarono le pecore. Quando lì si scatenava qualcosa, allora era quasi sempre l’inferno. Quella sera le pecore rimasero più a lungo del solito davanti al fienile a guardare fuori, nella notte. Gli edifici del cortile si stringevano attorno al castello in cerca di protezione. Il meleto taceva. C’era odore di fumo e di neve fresca. L’ombra di una civetta scivolò silenziosa sul pascolo diretta verso il bosco. Si sentivano a loro agio lì? Forse Cloud. Cloud era la pecora più lanosa del gregge e si sentiva a suo agio ovunque. Lanosa e comodosa andavano insieme. Quel posto sembrava piacere anche a Sir Ritchfield, perché lì aveva molti interlocutori che non potevano scappare: la vecchia quercia, l’armadio, il ruscello, qualche volta lo straniero non tosato e, se aveva fortuna, l’una o l’altra capra. Le capre sembravano addirittura gradire le chiacchierate ad alta voce e unilaterali di Ritchfield e spesso un intero drappello si riuniva nei pressi del recinto, ridacchiando e saltellando. Le altre non ne erano così sicure. C’era qualcosa che non andava. Nel meleto c’era ancora un’unica mela dimenticata, rossa come una goccia di sangue. La vedevano ma non riuscivano a sentirne l’odore. Forse era di nuovo giunto il momento di mangiare una carta. Ma quale? “Cosa mai avrà voluto dire?” domandò a un tratto Miss Maple. “Chi?” chiese Maude. 29 0050.Testo_CS4.indd 29 28/01/11 17.14 “Mamma,” disse Maple. “Prima che Rebecca le chiudesse la bocca.” Le pecore non lo sapevano e tacquero. Una mezza luna pendeva sopra il pascolo come un biscotto d’avena già morsicato. “Rebecca si è veramente spaventata,” disse Miss Maple. “Come se dovesse succedere presto qualcosa. Qualcosa di terribile.” “Che cosa dovrebbe succedere?” disse Cloud gonfiando la lana. “Che cosa dovrebbe succedere?” belarono le altre pecore. Ogni giorno c’era del mangime nel trogolo e una storia sui gradini del capanno. Quando la sorgente era gelata, Rebecca spaccava il ghiaccio con una scure. Quando nevicava troppo, restavano nel fienile. Quando si annoiavano, mangiavano o si raccontavano delle storie. Alla fine di ogni storia c’era un profumato mucchio di fieno che aspettava. Le pecore guardarono la neve blu, fuori, e si reputarono audaci. In quel momento un suono tagliò il silenzio, lungo e sottile, lontano e straziante. Un lamento. Un ululato. 30 0050.Testo_CS4.indd 30 28/01/11 17.14