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Loredana Di Lucchio
La ‘stanza intelligente’ del Design
The ‘smart room’ of Design
Francesca Giofrè
L’era della scarsità: autoproduzione tra necessità e opportunità
The era of scarcity: self-production between need and opportunity
Giacinto Donvito
Grandi e insieme. Una strategia inclusiva
Large and Together. An inclusive Strategy
Carmela Mariano
Confini territoriali ‘molli’ e identità forti
Soft territorial bounderies and strong identity
Barbara Pizzo
Variazioni sul tema del ‘possibile’ a partire da rischio,
emergenza ambientale e pianificazione
Variations on the theme of ‘possibility’ related to risk,
environmental emergency and planning
Fabrizio Tucci
Riduzione, riconversione e reimpiego delle risorse ambientali
nel futuro dell’architettura
Reduction, conversion and re-employment of environmental resouces
in the future of architecture
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Francesca Giofrè
Professore associato / Associate professor
Sapienza Università di Roma / [email protected]
L’era della scarsità: autoproduzione tra necessità e opportunità
The era of scarcity: self-production between need and opportunity
>>> self-production, slum, laboratories, construction, technologies
The ongoing social, political, economic and ecological crisis has accelerated the awareness that the model of growth guided by speculation and unstable financial markets is
leading the planet to a chronic scarcity of resources. By 2050 the world population will
reach 9.3 billion. In 2025 there will be 27 megalopolis with unimaginable consequences
in terms of demand for services, consumption of resources and on the system of spaces
and social relations. In 2010 about one-third of the urban population in the developing
countries lived in slums and the numbers are destined to grow. If traditionally the role
of architecture was prevalently linked to “wealth”, to its potentiality to highlight a status symbol, today it is held to be necessary to strengthen its field of action in the wider
city and in the informal settlements, as self-determining locations with spontaneous
practices. The era of scarcity of materials and resources o≠ers the opportunity to reconfigure the practice in a radically new way, from the di≠erent scales of intervention, from
planning to design in a direction that some define as belonging to post-sustainability. A
new approach is appearing in architecture that can be defined as materialist and sensitive practice, marked by a strong ethical dimension. Of notable interest, in this specific
field, is the trend of self production and which, for certain sectors of the population is
an opportunity to ‘launch’ a new model of development while for others it is a necessity in the absence of institutional responses. An example is the transformation of the
Torre Confinanzas, called now Torre David, presented at the Venice Biennale in the Arsenals section. In the centre of Caracas, a 45-floor skyscraper was left unfinished and
abandoned. 28 floors were spontaneously occupied and the Torre David with its 2,500
squatters, lodgings and workshops, became a model of “shared space” and of “collective
and informal living”. This project of transformation has been recognized as having the
capacity to grasp the potentialities of informal associations. A future can be glimpsed
from this contexts: the close collaboration between technicians, businesses and local
population. A permanent laboratory, whose methods are not traditional one and in
which it is possible to cultivate the means of subsistence, recuperate local tradition and
study the adaptation, with a strong potential for innovation and experimentation.
Attualmente il mondo sta facendo esperienza di una ‘tempesta perfetta’ di grandissime proporzioni dal punto di vista sociale, politico, economico ed ecologico (Beddington, 2009). La grande estensione e la gravità delle attuali condizioni devono ancora
essere determinate, sebbene vi sia la consapevolezza che il prossimo futuro non potrà
essere come il recente passato. I più grandi scienziati, economisti e studiosi mondiali
sostengono che le nostre risorse – acqua, cibo, materiali, energia e finanze – si stanno
esaurendo e che il modello di crescita guidato dalla speculazione e dai mercati finanziari instabili, sta portando il pianeta ad una scarsità cronica di risorse. Nell’epoca dell’Antropocene (Crutzen, 2005) dove un’unica specie, quella dell’uomo, governa e modifica il pianeta, abitato da 7 miliardi di persone (unep, 2011) in continuo aumento e
dove è previsto che nel 2050, in uno scenario senza modificazioni, l’economia quadruplichi è, come a≠ermato da Bologna (2012), “diventato impossibile coniugare i nostri
modelli di crescita economica, materiale e quantitativa alle capacità degli stessi sistemi naturali di sopportare questo continuo e crescente impatto e di supportare, quindi, conseguentemente il benessere e la stessa economia delle nostre società” (p.11). La
crescita economica non controllata ha contribuito in maniera diversificata a seconda
dei Paesi alla riduzione della povertà e a volte è stata accompagnata dall’aumento delle disparità; in generale, il processo di globalizzazione ha generato nuove disuguaglianze e amplificato quelle già esistenti. Entro il 2050 la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere i 9,3 miliardi, di questa 6 miliardi vivrà in aree urbane (ocse,
2012). Nel 2025 le megalopoli saranno 27 a fronte delle 21 del 2010, con conseguenze
inimmaginabili in termini di domanda di servizi, di consumo delle risorse e sul sistema degli spazi e delle relazioni sociali. Si consideri che al 2010 circa un terzo della popolazione urbana dei cosiddetti paesi in via di sviluppo vive negli slum: quegli insediamenti informali dove i numeri sono destinati a crescere con il conseguente
aumento della povertà urbana. È in questo scenario complesso e globale, che si inserisce l’a≠ascinante dibattito intorno al modello di sviluppo definito green economy –
ovvero quel modello economico che porta a “un migliorato benessere umano e all’equità sociale, riducendo anche sensibilmente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche…, un’economia a basso tenore di carbonio, che fa un uso e∞ciente delle risorse
e promuove l’inclusione sociale” (unep, 2011) – e come questo sia compatibile con la
crescita economica infinta, tant’è che molti sono gli studiosi che invocano la ‘decrescita’ del sistema, quale unica via di uscita dalla crisi globale.
Il ruolo dell’architettura oggi è chiamato a confrontarsi con questo scenario globalizzato sinteticamente descritto e, come nella sua natura, ad anticipare i bisogni futuri
per darne risposta. Se tradizionalmente il ruolo dell’architettura è stato legato prevalentemente alla ‘ricchezza’, alle sue potenzialità di evidenziare lo status symbol di
una città, di una comunità, di un singolo, oggi si ritiene necessario ra≠orzare il suo
campo di azione nella città di≠usa e, là dove sono una realtà ormai consolidata, negli
insediamenti informali, quali luoghi autodeterminati con pratiche spontanee.
L’era della scarsità, di materiali e di risorse, o≠re l’opportunità di riconfigurare la pratica
in un modo radicalmente nuovo, alle diverse scale di intervento, dalla pianificazione al
design in una direzione che alcuni definiscono della post-sostenibilità (Goodbun, Till, Ios-
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sifova, 2012). Uno dei primi impatti immediati della scarsità nell’architettura è l’insu∞cienza dei materiali da costruzione; ciò implica una riflessione non solo sulla disponibilità delle risorse – a livello globale circa il 40% del consumo di materiali ed energia è imputabile alle attività di costruzione – ma anche sull’attivazione di nuovi processi che si
estendono in una dimensione spaziale e temporale. La dicotomia tra high tech e low tech,
è superata nel confronto dialettico con la realtà sociale ed economica del contesto di riferimento (tecnologie appropriate, tecnologie intermedie) e la scelta dei materiali orientata
da considerazioni relative alla natura e provenienza delle materie prime, come sono trasformate e realizzate (processo industriale), come sono distribuite, quanto costano, come
e da chi sono usate e cosa accade al termine del loro ciclo di vita: un nuovo approccio nell’architettura definibile materialist and sensitive practice, connotato da una forte dimensione etica (Goodbun, Jaschke 2012).
references
– aa.vv. (2012). Biennale Architettura 2012 Common Ground Catalogo.
Di notevole interesse, in questo
Venezia, Italia: Marsilio (p. 154). ¶ – Beddington , J. (2009). World faces
ambito specifico, è il filone dell’au‘perfect storm’ of problems by 2030, chief scientist to warn. In Sample I.
toproduzione che si sta sempre
The Guardian Wednesday 18 March 2009. Retrieved October 10, 2012,
più sviluppando in diversi comfrom http://www.guardian.co.uk/science/2009/mar/18/perfect-storm-john- parti produttivi della società (dalbeddington-energy-food-climate. ¶ – Belsky, S. E. (2012), Pianificare
l’alimentare all’ingegneria elettrouno sviluppo urbano inclusivo e sostenibile. In G. Bologna (ed.) State of the World
nica, dal design alle costruzioni), e
2012: verso una prosperità sostenibile. Milano, Italia: Edizioni Ambiente.
che, se per alcune fasce di popola– Bologna, G. (2012), La sfida del nostro futuro: imparare a vivere nei limiti
zione è un’opportunità per avviadi un solo pianeta. G. Bologna (ed.) State of the World 2012: verso una prosperità
re dal basso un nuovo modello di
sostenibile. Milano, Italia: Edizioni Ambiente. ¶ – Collins R. (2006),
sviluppo, come testimonia il conTeorie sociologiche, Bologna, Il Mulino ¶ – Crutzen P.J. (2005), Benvenuti
temporaneo movimento dei ‘manell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era.
ker’, del ‘do it yourself’, per altre è
Milano, Italia: Mondadori. ¶ – Goodbun, J., Till, J., Iossifova, D. (2012).
una necessità in assenza di rispoIntroduction. Themes of Scarcity. Architectural Design, (04), 8-15.
ste istituzionali.
– Goodbun, J., Jaschke, K. (2012). Architecture and relational resources.
Esemplificativo in tal senso è il
Towards a new materialist practice. Architectural Design, (04), 28-33.
progetto della Torre Confinanzas,
– Latouche, S. (2012). Limite. Italia: Bollati Boringhieri.
chiamata Torre David – dal nome
del progettista venezuelano David Gómez – presentato alla Biennale di Venezia nella sezione degli Arsenali e ritenuto
meritevole di essere premiato con il Leone d’Oro per avere maggiormente rappresentato il tema del Common Ground.
L’autoproduzione come necessità
Nel centro di Caracas un grattacielo di 45 piani, che avrebbe dovuto ospitare un centro direzionale e appartamenti di lusso, finanziato da privati e successivamente rilevato dal Governo, è stato lasciato incompiuto ed abbandonato, a seguito della crisi
economica sopraggiunta nei primi anni ’90. Vengono occupati spontaneamente 28
piani, non senza incidenti e polemiche e la Torre David con i suoi 2.500 squatter, alloggi e botteghe, nel tempo diviene un modello di ‘spazio comune’ e di ‘abitare collettivo
e informale’ con una propria identità. Al progetto di Justin McGuirk e Iwan Baan e Urban-Think Tank (u-tt, Alfredo Brillenbourg, Hubert Klumpner), definito uno slum
verticale, è stata riconosciuta la capacità di cogliere il carattere trasformazionale e le
potenzialità delle associazioni informali. La stessa presentazione del progetto alla
Biennale è stata allestita in maniera informale con materiali poveri. Le immagini dell’edificio in trasformazione, del quotidiano della comunità e manifesti con slogan, sono attaccati sul perimetro esterno ed interno di un muro in mattoni che crea un recinto, quasi a sottolineare il senso di una costruzione in evoluzione materiale (edificio)
ed immateriale (identità). Dagli scatti fotografici della Torre si percepisce come gli
unici elementi fissi dell’edificio siano le strutture in calcestruzzo, il resto è un flusso
in continuo movimento; gli spazi esterni ed interni vengono ridisegnati e realizzati
dagli occupanti attraverso materiali di scarto nell’a≠annoso tentativo di raggiungere
un migliore qualità di vita. Più che un edificio, la Torre è la rappresentazione concreta di un laboratorio di sperimentazione sociale e architettonica in una megalopoli che
vive la contraddizione tra città formale ed informale e in assenza di risposte istituzionali, come scritto in uno dei manifesti “squatting is both the possibility and the limitation of housing failures”. All’interno del recinto in mattoni, un chiosco per la vendita di cibo etnico, che ha il nome di un vero locale di Caracas, il Gran Horizonte, ne
riproduce l’atmosfera tipica, dalle insegne luminose al neon, agli odori delle pietanze,
al televisore che trasmette cortometraggi sulla vita della comunità. In questa scelta, si
sottolinea la rappresentazione della costruzione del senso di comunità in tutte le sue
componenti ed il cibo stesso svolge la funzione di livellatore sociale, la condivisione
del pasto diviene il momento per lo scambio delle idee (aa.vv., 2012). Il progetto, per la
sua storia, viene considerato come “il simbolo del fallimento del neoliberismo e del
self – empowerment dei poveri”, ovvero della loro possibilità di scegliere ed influire in
maniera proattiva sulla propria vita.
Diversi e molteplici sono gli spunti di riflessione sul come creare e riconsiderare le comunità urbane ed il ruolo dell’architettura e delle tecnologie nel prossimo futuro. Certo è che oggi emerge in maniera sempre più dirompente come il ruolo dei tecnici (pianificatori, designers, architetti, ecc.) non può più solo concentrarsi verso la ricerca di
soluzioni per il soddisfacimento dei bisogni di una minoranza della popolazione e trascurare quella maggioranza in continuo aumento, al di là delle finalità sociali che si pone una data società. Gli slum rappresentano dei punti di rottura e di fragilità nel contesto urbano, in assenza il più delle volte delle infrastrutture di base con un elevato tasso
di densità di popolazione e lungi dall’avere un carattere di temporaneità, si sviluppano
con un linguaggio architettonico e tecnologico proprio. Visti ‘dagli altri’, gli slum sono
luoghi illegali, insicuri, con problemi cronici profondi e da un punto di vista teorico
l’informale è un sistema complesso e non lineare in cui vari modelli si intersecano e
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mutano in modi inaspettati (Brillembourg, Klumpner). Belsky (2012) a≠erma che “i poveri delle città sono componenti importanti dell’economia e della società urbana. Mettere a frutto la loro capacità di contribuire alle crescita economica e di uscire dalla povertà è fondamentale per il successo complessivo dello sviluppo economico e sociale, a
livello nazionale e globale, …. E a≠rontare gli impatti ambientali,…, è fondamentale per
raggiungere l’obiettivo globale di uno sviluppo urbano sostenibile” (p.113-114).
Il gruppo u-tt non è il solo a sostenere con forza che il futuro nasce dalla stretta collaborazione tra tecnici, imprese e popolazione locale, in una sorta di laboratorio permanente, i cui metodi trascendono quelli tradizionali e nel quale è possibile coltivare i mezzi di sussistenza, recuperare la tradizione locale e studiare l’adattamento, con
un forte potenziale di innovazione e sperimentazione ai diversi livelli, proprio negli
insediamenti informali. Il modo
references
– Neuwirth R. (2005). Shadow Cities: A Billion Squatters, a New Urban World.
in cui le novità emergono per
New York, usa: Routledge. ¶ – oecd, Organisation for Economic
farsi strada è l’imperfezione, che
Co-operation and Development. Environmental Outlook to 2050:
non deve essere negata, ma che
The Consequences of Inaction. Retrieved November 8, 2012 from
anzi rappresenta il punto di forhttp://www.oecd.org/env/environmentalindicatorsmodellingandoutlooks
za di tali esperienze. Il loro carat/49846090.pdf. ¶ – unep, United Nations Environment (2011). Programme
tere di sperimentalità, fa rifletteannual report 2011. Retrieved October 10, 2012, from http://www.unep.org/ re su come oggi sia possibile
annualreport/2011/. ¶ – Worldwatch Institute (2012). State of the World
moltiplicarne e di≠onderne i
2012: verso una prosperità sostenibile. Milano, Italia: Edizioni Ambiente.
metodi, le tecniche ed i risultati
– wwf, World Wildlife Fund (2012), Living Planet Report 2012, Biodiversity,
in un’ottica strategica più ambiocapacity and better choices. Retrieved October 24, 2012 from
pia. Un ruolo chiave, come nel
http://awsassets. panda.org /downloads/1_lpr_2012_online_full_size_single_ progetto presentato, lo svolgono
pages_final_120516.pdf
i network, l’uso di tutte le forme
di libera comunicazione, utili
per realizzare delle reti di dialogo su scala mondiale, che però, a volte, si scontrano
con quanto di≠uso dai media tradizionali locali, strumento di potere utilizzato, a volte, per veicolare l’informazione manipolandola. Uno dei tanti interrogativi che è necessario porsi è fino a quanto la comunità coinvolta riesca a contenere e controllare
quei comportamenti dei singoli che potrebbero inficiare la credibilità del progetto
stesso e come e quanto, entro quali limiti, sia possibile attivare dei processi di coordinamento e pianificazione di tali iniziative a livello istituzionale. La risposta a quest’ultima domanda è complessa in quanto non sono esperienze che operano nella legalità, ma il più delle volte ai margini o fuori dalle stessa; ma la ricerca di una
possibile soluzione potrebbe passare attraverso un’ottica anticipatoria e programmatoria da parte delle stesse istituzioni.
Al di là di tali considerazioni si ritiene, che nonostante la limitatezza territoriale degli interventi, tali laboratori rappresentino inoltre un utile strumento per la presa di
coscienza della propria condizione, per la crescita ed il riscatto della comunità. Inter-
venti puntuali, perimetrati all’interno di contesti, come le megalopoli, i cui confini
sono sempre più di∞cilmente tracciabili.
Oggi si sente la necessità di individuare su scala globale i planetary boudaries, così ad
una scala minore andrebbero definiti i city boundaries, ovvero quei confini che la città
non dovrebbe superare per evitare e≠etti negativi sui diversi sistemi (sociale, economico, risorse, infrastrutture, ecc.) (Latouche, 2012). Il raggiungimento degli obiettivi
‘better city, better life’ e ‘feeding the planet, energy for life’, passando per la ricerca di
un common ground, possono essere perseguiti mettendo a servizio nuovi processi,
metodi di progettazione e tecnologie per la costruzione di un futuro più equo e sostenibile per tutti. Facendo in qualche modo proprie, in un contesto ormai complessivamente globalizzato, le teorie sociologiche ‘conflittualiste’, Randall Collins fra tutti, –
secondo le quali è proprio nel conflitto che emergono e, scontrandosi, vengono a evidenza non rimandabile, ma piuttosto da governare, le necessità e le direzioni dell’umano al di là di ogni correttezza e accettabilità, – l’ottica di chi pensa la città dovrebbe spostarsi da un confinare e limitare a un includere le marginalità,
trasformandola addirittura in elemento protagonista e manifestazione più evidente
del normale evolversi delle società contemporanee. In altri termini dovrebbe finalmente apparire evidente e normale che le direzioni socio-economiche delle dinamiche planetarie, in contesti non privilegiati e occidentali si orientino verso forme urbane e di convivenza conflittuali e complesse. Preso atto che non possono, o meglio
politicamente non devono esserci, dighe possibili contro questo fiume, ecco allora
che compito di architetti e urbanisti, e più in generale di chi si assume il compito di
programmare e immaginare le convivenze umane, può e deve diventare il trasformare tali forme, non più in questo senso marginali, in normali a±uenti del generale contesto sociale, considerandole dunque vere e proprie risorse, modelli autoctoni e naturali la cui organizzazione può aprire prospettive migliori, nuovi modi,
immaginazioni progettuali e materiali capaci di allargare e includere nelle città convivenze diverse e possibilità più ampie e migliori per tutti.