Come si raggiunge? Riflessioni per arbitri di calcio

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Come si raggiunge? Riflessioni per arbitri di calcio
Come si raggiunge?
Riflessioni per arbitri di calcio
La tentazione di parlare di ciò che è successo a Luca, e di incentrare una riflessione sulla sua morte, c’è ed è
forte. Tuttavia penso ci siano momenti della vita in cui bisogna tacere. Arriverà il momento opportuno per
parlarne.
Da uomo, da seminarista, da arbitro sono vicino a tutti quei colleghi che, come me, sono tristi per il tragico
avvenimento. A tutti loro, alla famiglia e alla ragazza di Luca mi sento particolarmente vicino.
Dal vangelo secondo Luca cap. 9 vv. 51
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese
la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri
davanti a sé.
Abbiamo visto come ognuno di noi nella vita ha una chiamata, un invito a giocare
nella storia un ruolo unico. Un compito che ognuno di noi può adempiere o meno.
Ma come capirlo? Se ognuno di noi nella vita ha una designazione, una partita che ci
aspetta, come si raggiunge?
Tornano i temi del conoscere se stessi e del decidere della propria vita, tante volte
affrontati in passato. Rimandando a quanto già scritto,
È sempre importante mantenere una certa conoscenza di se stessi. In questo
l’arbitraggio ci insegna molto: è importante ripensare ai momenti importanti della
gara per rivedere i nostri errori e cercare di capire come evitarli. Bisogna poi saper
accettare le critiche mosse dall’Osservatore o dall’Organo Tecnico, che a volte ci
rivelano pregi e difetti che da soli non potremmo vedere.
Nella vita è importante saper sempre rivedere i propri comportamenti quotidiani,
anche quelli più banali. Per fare questo è necessario prendere un momento ogni
giorno, magari prima di andare a dormire, per riflettere sulla giornata, sulle cose
belle vissute, sui propri errori e su ciò che si potrebbe migliorare. Questo ci aiuta
anche a capire quello che ci succede. Ci si può abituare, pian piano, a parlare così
con Dio: pregare non significa ripetere formule a memoria, ma confidare a Lui i
propri desideri e le proprie paure, in un dialogo continuo
Inoltre, un confronto con qualche amico fidato che si ritiene maturo può spesso
essere utile. Raccontarsi serve sempre a conoscersi e il parere di un altro ci
permette di scoprire cose su noi stessi che da soli non potremmo vedere.
Io penso che questo atteggiamento – cioè, il consiglio – sia la caratteristica
principale dell’amicizia umana. Per questo, spesso, frasi come “fai come ti senti”
rappresentano più un sentimento di disinteresse nei confronti dell’altro che di
amicizia.
Ecco allora che così può essere compreso il sacramento della Confessione: non un
luogo in cui essere giudicati, ma un momento in cui riconoscere ciò che ci viene
donato e chiedere scusa per gli errori; un momento in cui raccontarsi senza
vergogna per capire le radici del male che compiamo.
Conoscere se stessi è sempre doloroso, perché porta a scoprire anche i propri limiti,
a volte in modo inaspettato, ed è un esercizio che richiede la pazienza di sopportare
un lavoro lungo e la fatica di ascoltare delle critiche.
Conoscere se stessi, stare attenti alla propria vita, porta ad essere più sicuri nei
momenti in cui è necessario prendere decisioni importanti.
E’ come quando si fa un tuffo. Prima si prende la misura della rincorsa e si controlla
che sotto non ci siano gli scogli, cioè ci si conosce. Poi si prendi la decisione, cioè ci si
butta. Una volta staccato dalla roccia, e sospeso in aria, non si può fare altro che
cadere in acqua anche se è gelida o se sotto c’è una pietra: in ogni caso ormai si è in
gioco. Se però si sono prese bene le misure, cioè si conosce bene la situazione, si
sono valutati i consigli di persone di cui abbiamo fiducia, non si ha niente da temere.
Amare significa sempre rischiare, affidarsi ad un’altra persona. Chi non ha il coraggio
di rischiare non riesce a prendere decisioni su se stesso, non riesce ad amare.
Come vedremo nelle prossime settimane, Gesù ci salva, cancella i nostri peccati, ci
apre le porte del Paradiso non semplicemente perché muore in croce, ma perché
decide di obbedire al Padre fino alla fine, fino alla sua crudelissima Passione. In
ultima analisi, dunque, è la sua decisione di essere obbediente che ci procura la
felicità.
Vi è però un altro punto importante: se ci è dato un compito, è perché qualcuno ha
fiducia in noi. Così, banalmente, un arbitro può avere fiducia nelle sue capacità e
non andare eccessivamente in ansia prima della partita, sapendo che è stato scelto
dal suo OT per questo. Ugualmente il cristiano può trovare conforto nel fatto che
nessuna situazione, anche quella che sembra più difficile, va oltre le nostre forze.
Nessuna scelta è più grande di noi.