Cambiamenti climatici

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Cambiamenti climatici
VIII CONGRESSO NAZIONALE
un Nuovo Ambientalismo
per un Altro Progresso
fermare i mutamenti climatici,
umanizzare l’economia e lo sviluppo,
socializzare la conoscenza,
valorizzare e mettere in rete le identità territoriali
CAMBIAMENTI CLIMATICI
Ex Fiera di Roma
7-8-9 dicembre 2007
L’attenzione da parte del mondo politico e dell’opinione pubblica sui cambiamenti
climatici sta crescendo in modo eclatante a livello internazionale. L’ampio spazio
riservato dalla stampa all’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on
Climate Change), il gruppo di esperti dell’Onu sui cambiamenti climatici che ogni
cinque anni fa il punto sullo stato del clima, è solo un esempio dell’accresciuta
sensibilità sull’effetto serra. Questo rapporto ha confermato quanto da tempo le
associazioni ambientaliste sostengono: la variazione del clima è un fenomeno
inequivocabile causato principalmente dall’uomo. Eppure, nonostante gli impatti del
surriscaldamento siano evidenti, la quantità di gas serra riversati nell’atmosfera non
accenna a diminuire aggravando una situazione già critica. Nel 2005 le emissioni dei
paesi industrializzati, escludendo quelli dell’ex blocco sovietico, sono arrivate a un
+11% rispetto ai livelli del 1990. In testa alla classifica dei maggiori inquinatori ci
sono sempre gli Stati Uniti con 7,24 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente rispetto
ai 7,19 miliardi riversati nel 2004, mentre il dato più positivo è quello dell’Unione
europea i cui livelli dal 1990 al 2005 sono scesi dell’1,5 per cento. Eppure bisogna
aumentare gli sforzi. Continuando agli attuali ritmi e senza provvedere a una
riduzione molto più drastica dei gas a effetto serra, la temperatura a livello globale
potrebbe aumentare oltre i 2 °C, considerati il punto di non ritorno, la soglia limite
che il pianeta può sopportare senza subire conseguenze irreversibili. Invertire la rotta
è ancora possibile, ma per farlo c’è bisogno:
1) di scelte credibili per l’abbattimento dei gas climalteranti nei paesi industrializzati;
2) di un solido negoziato internazionale che definisca la rotta sul clima anche dopo il
2012
Bali, un appuntamento cruciale per il dopo Kyoto
Il protocollo di Kyoto è solo il primo piccolo passo nella lotta ai cambiamenti
climatici. Nei prossimi decenni, se si vuole invertire la rotta, si dovranno prevedere
obblighi di riduzione molto più consistenti. E’ quanto ci si aspetta dalla prossima
conferenza dell’Onu prevista proprio a dicembre a Bali, in Indonesia. Un
appuntamento cruciale il cui primo obiettivo deve essere il negoziato sui target di
riduzione per i paesi industrializzati per il periodo successivo al 2012. Per rimanere al
di sotto della soglia limite dei 2°C, è necessario infatti che i paesi industrializzati
sanciscano l’obiettivo di ridurre le emissioni:
¾ del 30 per cento entro il 2020
¾ dell’80 per cento entro il 2050
Membro del Climate Action Network Europe, Legambiente ritiene fondamentale il
raggiungimento di un nuovo accordo complessivo sul clima entro e non oltre il 2009.
Oltre a prevedere nuovi target vincolanti di qui al prossimo decennio, il Kyoto-plus,
come è stato denominato l’accordo in vista della conferenza di Bali, dovrà prevedere:
¾ L’introduzione di nuovi incentivi per favorire sia la diffusione di energie pulite
nei paesi a rapida industrializzazione che l’adattamento ai cambiamenti
climatici per i paesi in via di sviluppo più vulnerabili, che la lotta alla
deforestazione.
¾ La revisione delle distorsioni prodotte dagli attuali meccanismi previsti dal
protocollo, e in particolare dei meccanismi per lo sviluppo pulito (CDM, Clean
Development Mechanism)
L’Europa e il mercato delle emissioni
L’Europa continua ad essere il punto di riferimento nelle trattative sulla lotta ai
cambiamenti climatici. Ma la credibilità dei 27 non potrà sostenersi se non attraverso
i risultati raggiunti sul proprio territorio. Attualmente l’unico settore vincolato a
riduzioni obbligatorie in Europa è quello dei grandi impianti industriali. Sottoposte al
regime del mercato europeo delle emissioni (Ets), circa 11mila industrie del vecchio
continente devono rispettare i limiti fissati dai rispettivi governi approvati dalla
Commissione. Nel periodo 2005-2007 l’Ets ha mostrato tuttavia evidenti lacune a
causa del numero eccessivo di permessi ad inquinare concessi dai singoli stati. Anche
sulla base di questi errori, il sistema europeo, su cui si concentrano l’attenzione e le
aspettative di tutta la comunità internazionale, deve essere profondamente rivisto in
modo da rendere effettivo il principio del “chi inquina paga”. Le consultazioni per la
revisione dell’Ets nel periodo successivo al 2012 sono state già avviate e dovrebbero
sfociare in una proposta di direttiva da parte della Commissione europea. Se si vuole
che il nuovo Ets sia uno strumento credibile e che porti ad un’effettiva riduzione della
CO2 generata dai grandi impianti industriali è necessario:
¾ fissare limiti di emissione coerenti con l’obiettivo di tagliare del 30 per cento
entro il 2020 le emissioni europee.
¾ armonizzare il sistema estendendo le competenze dell’Unione europea
¾ eliminare la quota gratuita di permessi ad inquinare in modo da far valere il
principio del “chi inquina paga”
Kyoto-Italia: le strategie di mitigazione
Nonostante siano passati 10 anni dalla firma del protocollo di Kyoto e quasi tre dalla
sua ratifica, l’Italia continua a trovarsi in ritardo rispetto all’obiettivo sottoscritto, e
cioè di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra del 6,5% rispetto ai livelli del
1990. Con 579 milioni di tonnellate di CO2 equivalente generate nel 2005 rispetto ai
519 milioni del 1990, il nostro paese ha oramai superato il +12% delle emissioni
climalteranti riversate nell’atmosfera dal 1990 a oggi. Il risultato è che in soli cinque
anni bisognerà fare quello che sarebbe stato necessario iniziare almeno un decennio
fa. Il rischio è invece che il grosso dello sforzo, anche finanziario, per rispettare il
protocollo si traduca nell’acquisto di crediti di carbonio, come quelli dei progetti
CDM realizzati nei paesi in via di sviluppo. In mancanza di misure efficaci per
abbattere le emissioni nazionali, potremmo spendere fino a 6 miliardi di euro nella
borsa dei titoli climatici, senza ottenere nessun vantaggio per il paese in termini
ambientali e di innovazione. Il tutto mentre l’Unione europea si è già impegnata ad
abbattere le proprie emissioni del 30% entro il 2020. Il primo elemento che salta agli
occhi è che in Italia manca ancora una strategia complessiva e credibile di
mitigazione ai cambiamenti climatici di qui al 2012. Le linee guida, a cominciare
dagli obiettivi di riduzione dei singoli settori, sono ancora quelle fissate dalla delibera
CIPE del 2002. Una normativa inadeguata che, come sostenuto a più riprese da
Legambiente, necessita di un tempestivo aggiornamento in modo da definire indirizzi
chiari a cominciare dal settore energetico, da quello residenziale e da quello dei
trasporti. Nel settore della produzione di energia, la promozione di rinnovabili ed
efficienza energetica devono rimanere le priorità di una politica amica del clima. In
mancanza di un indirizzo politico chiaro in questa direzione, rischiano di prevalere
scelte poco lungimiranti. I progetti di riconversione a carbone di alcune centrali, a
cominciare da Civitavecchia e Porto Tolle costituiscono una delle principali minacce
per l’effetto serra. Attualmente non esiste alcuna tecnologia in grado di rendere pulito
il carbone, che, con i suoi 770 grammi di CO2 per ogni Kwh, resta in assoluto la
fonte fossile più nociva per il clima. Ma un’azione decisa è necessaria anche nel
settore residenziale, con la priorità dell’efficienza energetica e del risparmio, e in
quello dei trasporti, che con un più 25% di emissioni rispetto ai livelli del 1990, è il
settore in maggior controtendenza rispetto agli obiettivi di Kyoto.
Kyoto-Italia: le strategie di adattamento
L’ultimo rapporto sugli impatti dei cambiamenti climatici dell’Ipcc non presenta un
quadro particolarmente rassicurante per il nostro paese. Reso pubblico a gennaio il
documento conferma la situazione critica del nostro territorio rispetto ai possibili
stravolgimenti futuri. Di qui al 2100 l’Italia potrebbe subire una riduzione tra il 20 e
il 30% delle precipitazioni; la portata dei fiumi potrebbe ridursi del 60% e fino al
80% nei mesi estivi; l’aumento della temperatura media si prospetta invece
nell’ordine di diversi gradi centigradi, con punte massime di 5° C tra giugno e
settembre. Situato nel cuore dell’area mediterranea, il territorio italiano è uno dei più
esposti in Europa rispetto ai cambiamenti futuri: desertificazione, riduzione dei
ghiacciai, drastico calo delle risorse idriche sono alcuni dei rischi che ci riguardano
da più vicino, insieme all’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, all’erosione
delle coste e al dissesto idrogeologico. Una situazione di allarme che tuttavia non ha
generato la necessaria presa di coscienza da parte della politica. Le azioni da
intraprendere sono invece molteplici e di estrema urgenza: in primo luogo si tratta di
attuare concretamente le norme che riguardano il territorio e che sono formalmente
già in vigore, come la direttiva quadro acque del 2000 o la convenzione
internazionale per la protezione delle Alpi; in secondo luogo, come già fatto in
diversi paesi europei, si tratta di adottare un piano nazionale di adattamento ai
cambiamenti climatici, capace di integrare le misure necessarie per prevenire gli
scenari sul clima.