5.1.2 Il caso Kon - Dal rifugio all`inganno

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5.1.2 Il caso Kon - Dal rifugio all`inganno
4.1.2 Il caso Kon (oggi Cohen)
La storia della famiglia Kon, internata in provincia di Treviso, presenta molte somiglianze con la
storia degli Strasser, oltre che per ragioni temporali (stesso periodo di internamento) e spaziali
(stessa regione, anche se in una provincia diversa), anche per ciò che accadde dopo lo spartiacque
dell’8 settembre 1943.
A differenza degli Strasser, la storia della famiglia Kon è venuta a galla grazie alla voglia di
raccontare del signor Milan che mi ha contattato, il 17 agosto del 2011, a seguito della
consultazione del sito www.dalrifugioallinganno.it.
Si propone il suo contributo, scritto in un ottimo italiano. Ho ritenuto comunque opportuno, in
alcuni casi, per una lettura più scorrevole, intervenire sulla punteggiatura o su altri aspetti
grammaticali (accenti, doppie, tempi verbali, ecc.). La versione originale si basa in parte su un
racconto libero del signor Kon, in parte su risposte a specifiche domande. La seguente
testimonianza viene riportata in modo da permettere una ricostruzione cronologica degli eventi.
“Mi presento: sono Milan Kon (Kohn). Nell’internamento fummo, della nostra famiglia, sei persone: il
più anziano era il nonno, David Kabilio, poi mio padre, Drago Kon, mia madre Bukica Kabilio Kon, il
fratello di mia madre, Cevi (Zizo) Kabilio, la nuora del nonno, Luncica Barhu Kabilio, e per ultimo io,
Milan Kon, figlio di Drago e Bukica.
La Croazia, nei primi giorni della sua esistenza, incominciò a perseguire gli ebrei ed i serbi. Le
persecuzioni non furono solo morali o materiali. Gli ebrei, che furono minacciati e trucidati, capirono che
nelle zone occupate dagli Italiani ci si poteva salvare dal pericolo. Mio nonno che ha visto, nei primi
giorni, che la situazione in Croazia non era buona per gli ebrei, prese il lasciapassare e partì per Spalato
che si trovava sotto l’occupazione italiana per vedere che situazione c’era a Spalato. Questo fu verso la
metà di maggio del 1941, cioè un mese dopo l’occupazione della Jugoslavia. Come lui, c’erano parecchi
che trovarono asilo sotto la protezione italiana. Incominciò il trafico di lasciapassare falsi e così, nei mesi
successivi, ci mandò i documenti falsi e fuggimmo a Spalato. Questo successe nel mese di ottobre del
1941. Molti ebrei, e tra di loro la nonna e una zia giovane, non volevano lasciare le case e così persero le
vite. Ci salvammo solo in sei su 15 persone della nostra famiglia!!
Nei sei mesi del nostro soggiorno sotto l’occupazione tedesca, i croati ci resero la vita molto difficile.
Nessuno poteva lavorare, dovevamo portare sul petto e sulla schiena il segno giallo, c’erano confische dei
beni, arresti temporanei o senza ritorno, e soprattutto intimidazioni, spargendo delle voci sugli arresti o
sulle deportazioni che sarrebbero successe durante la notte o nei giorni successivi. E questa situazione ci
portò al ‘si salvi chi può’.
Per concludere, rciordo le parole che ripeto ogni volta: I MIEI AMICI VOLEVANO ANNIENTARCI. I
NOSTRI NEMICI CI SALVARONO!!! Chi non ha passato questo inferno non lo può capire!
Alla fine di novembre del 1941, al momento del nostro arrivo a Follina, io avevo 14 anni e mezzo, cioè
ero un ragazzino, però i ricordi di quei tempi lontani mi sono rimasti vivi nella memoria, come anche la
bella lingua italiana!!
Dalla città di Treviso ci trasportarono a Follina con tutta la nostra roba, con le ‘corriere’, alloggiandoci in
due alberghi, noi sei in uno che si trovava di fronte al cinema e gli altri sette nel secondo situato in
piazza 86 . Qui ci fu il nostro primo incontro con gli abitanti del paese, e da parte dei paesani con noi, il
primo incontro con gli stranieri o come ci chiamavano Slavi. Nei primi giorni del nostro soggiorno tutti
erano affabili e cercarono di aiutare ‘questa povera gente’.
Nei primi giorni ci invitarono al Municipio, il podestà ci radunò nel suo ufficio e ci spiegò la nostra nuova
posizione. Avevamo il permesso di trovarci tra i confini del comune dall’alba al tramonto, ma non ci fu
permesso di lavorare, di andare al cinema, di avere relazioni con la gente del paese. Ci informarono che
per poter vivere avremmo ricevuto un sussidio di 30 £ per il capofamiglia, 25 per la moglie e 20 per il
figlio 87 . Inoltre 50 £ per l’affitto. Tutto sommato 125 £ al mese!! Inoltre abbiamo ricevuto le carte
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Il numero degli internati a Follina corrisponde con quanto riportato in Ceschin, Daniele, In fuga da Hitler. Gli ebrei
stranieri internati nel trevigiano (1941-1943), ISTRESCO, Treviso 2008. Si veda anche la sezione dedicata a Follina in
http://www.dalrifugioallinganno.it/intern_veneto_tv.htm.
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Come risulta dalla documentazione dell’epoca e come già detto per la famiglia Strasser, il sussidio ammontava a 8 £
al giorno per il capofamiglia, a 4 £ per la moglie e 3 £ per ogni figlio. Tali quote furono aumentate, negli ultimi mesi
annonarie, le ‘tessere’ come tutti i cittadini. Tutto questo ci fu tradotto da un nostro compatriota, Danco
Kabiljo 88 , che era ufficiale di marina mercantile e che conosceva la lingua italiana.
Dunque, ci hanno accomodato, noi sei, nell’albergo di fronte al cinema, ci hanno dato due camere e
abbiamo incominciato la nuova parte della nostra vita in emigrazione. Il freddo fu intenso, freddo asciutto
senza pioggia, tutto ghiacciato anche nei nostri cuori! La padrona dell’albergo cercò di aiutarci in tutti i
possibili modi, preparandoci mangiare caldo, mettendoci nel letto la bottiglia di acqua calda. Tutto questo
senza poter dire una sola parola in italiano. Mia madre sapeva, ancora dalla sua casa, parlare il ‘LADINO’
che è una versione dello spagnolo antico, molto cambiato dalle circostanze del posto. La padrona parlava
il bel dialetto veneto, ma ci siamo intesi in qualche modo. Ci incontrammo con una giovane donna
proveniente dall’Istria e che parlava la lingua slovena, molto simile alla nostra, e che ci aiutò molto nei
primi giorni. Si chiamava Rosa ed era sposata con un carabiniere.
Il cibo era molto semplice, naturalmente, per via della guerra, così per la prima volta ci incontrammo con
la ...............POLENTA! Nessuno di noi aveva la minima idea di che cosa era questa cosa gialla e rotonda
che portarono sul tavolo. Quando l’abbiamo provato capimmo subito di che cosa si trattava e da allora fin
oggi giorno la mangiamo volentieri!
Passata una settimana, il Podestà, il sig. Meneghin, ci trovò degli alloggi nelle case private. Potevamo
cambiare il posto però avevamo l’obbligo di informare il municipio e ricevere il permesso che ci davano
senza problemi. Difatti, noi abbiamo cambiato il posto per altre due volte.
Quando passammo a vivere da soli incominciammo a cucinare di tutto che si poteva comperare con le
carte annonarie. Riso, pasta e soprattutto fagioli. Chi poteva cercava di venirci incontro. Dalla padrona di
casa fino alla gente che incontravamo per la strada. Io andavo ogni mattino dal fornaio a comperare il
pane. La signora che vendeva il pane mi dava ogni volta una pagnotta in più dicendomi ‘questo è per te’ e
senza pagarla. Sono cose che non si possono scordare!!
Come ci passava il tempo? Le due donne, mia madre e la zia, faccevano i lavori di casa, gli uomini
andavano a ‘spasso’ intorno al paese o si trovavano da noi per la partita di carte. Di tanto in tanto
passegiavano nei dintorni e chiedevano ai contadini un po’ di lardo, un po’ di fagioli, farina di polenta che
diventò la pietanza principale insieme con i fagioli.
Passato l’inverno, incominciammo a parlare chi più e chi meno, tutto dipende dell’età. La mamma pregò
una maestrina bella, dal nome ‘Pinuccia’, Giuseppina, che mi insegnò i principi della lingua che mi
servono fino ad oggi. Oltre l’italiano, parlando con la gente ho imparato anche il dialetto veneto cosi bene
come uno del paese.
Ci era vietato di andare in cinema? Una domenica io volevo andare in cinema, così incontrai il Podestà
che passeggiava nella piazza e gli chiesi: ‘Posso andare in cinema?’ E la risposta: ‘Ma sì, figlio mio,
quando vuoi puoi andare’. Mia madre non voleva vedermi gironzolare per le strade, così anche lei chiese
al Podestà se poteva mettermi da una donna che faceva la maglirista e ricevendo il permesso ogni mattino
mi presentavo dalla signora Maria Roncato che mi insegnò come si fanno le calze e che col tempo, dopo
la guerra, diventò il mio mestiere.
Oltre a comperare il pane e andare a far calze dalla sig. Maria, una volta a settimana entravo nell’ufficio
del sig. Podestà per ricevere la posta che ci arrivava dalla Croazia. La posta doveva passare le mani degli
organi del governo, il municipio, come nella spedizione così anche nella ricevuta. Io entravo dal Podestà,
lo salutavo con un bon giorno e saluto fascista. Questo ci hanno detto di fare. Un giorno di primavera
1942 non ricevemmo più lettere da nessuno di Croazia. Questo fu un brutto segno. I nostri cari sono stati
deportati e non hanno fatto ritorno. Dopo la guerra abbiamo sentiro l’amara verità.
Nel frattempo, abbiamo cambiato d’appartamento e qui ci è venuta l’occasione di sentire anche la radio
che la nuova padrona teneva in cucina che si trovava nel pianterreno. Certe notti che la padrona andava a
dormire, nel piano superiore, entravamo in cucina di nascosto e sentivamo radio Londra. Le notizie le
diffondevamo tra di noi ed anche ai nostri amici internati, come noi, a Cison di Valmarino. Ci
incontravamo a mezza strada in qualche posto nascosto e scambiavamo le notizie tra di noi.
Io, come ragazzo, ho fatto presto amicizia con i miei coetanei e specialmente con Angelo Gusatti che nel
tempo delle vacanze visitavo la sua casa, che era situata in piazza, e insieme passavamo delle liete ore
prima dell’armistizio, a 9 £ per il capofamiglia e 6,5 £ per la moglie. Di conseguenza il ricordo del signor Kon non
coincide con la documentazione esistente sull’argomento.
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Danko Kabiljo, di Leon e Donka Salom, nato a Sarajevo il 4 febbraio 1913. Professione: marinaio. Arrivò in Italia il
30 novembre 1941 da Spalato e venne internato a Follina assieme alla madre, alla sorella Berta e al fratello Loni.
giocando o passeggiando nei dintorni, sulle belle colline raccogliendo funghi, fragole o nella stagione, le
castagne che erano gran parte di nostro nutrimento. Quando entravo in casa di loro nel tempo di merenda,
anch’io ricevevo la mia parte. Di questa famiglia non mi scorderò MAI!
Incontradomi con la sorella Celestina, a Verona, mi disse che Angelo è morto, il fratello Benvenuto vive a
Torino. Abbiamo passato qualche buon tempo insieme. La incontrai per due volte a Verona.
La Chiesa aveva un ruolo nella nostra vita a Follina. Per il Natale 1941 ci siamo radunati ed abbiamo
deciso che era nostro obbligo visitare la basilica di Follina, per la Messa di Natale. Credo che hanno
chiesto il permesso o il consiglio del Podestà. La messa fu, per noi, un grande concerto, eravamo sorpresi
dalla bellezza della musica dell’organo ed il coro. Da quel tempo in poi per ogni festa eravamo presenti
alle Messe solenni.
La seconda famiglia era composta di quattro persone. La familia Kabiljo composta dalla madre Donca,
dalle figlie Berta e Lonica 89 e dal figlio Danco. Questo era il nostro interprete. Conoscendo la lingua gli
fu molto più facile farsi amicizie, oltre che era anche un bell’uomo e così si imbrogliò con una donna del
paese e quando tutto fu scoperto lo mandarono al campo di Ferramonti dove passò parecchi mesi 90 . La
sorella era ammalata di diabete però ha ricevuto tutte le medicine, insulina e anche zaccarina ma
purtroppo morì nell’ospedale di Vittorio Veneto ed è stata anche sepolta nel cimitero di Vittorio Veneto.
Dopo non lungo tempo il fratello Danco ritornò dal campo a Follina.
Nella stessa piazza in cui c’era la casa dei Gusatti, di fronte abitava la segretaria dei fascisti. Non conosco
il suo nome e cognome, ma so che tutti del paese non la volevano ‘molto bene’ e le hanno dato il nome
Maestra Robazza. Lei aveva una figlia di nome Vanda ed era maestra di musica. Io avevo una piccola
fisarmonica e mia madre la pregò di insegnarmi un po’ di musica. Così una volta a settimana o forse due,
ho imparato da lei un po’ di arte. Questa famiglia nella mia vita ha avuto un ruolo importante.
La terza famiglia, solo due persone: marito e moglie Jacob e Erna Wasserstein 91 . Lui era orologiaio ed è
stato molto benvisto a Follina. Tutti i paesani gli portavano vecchi orologi per riparare così che lui fu
unico a lavorare. Veramente non prendeva denaro, ma la gente gli portava piccoli regali come un po’ di
farina, due uova, etc. Dopo la guerra anche loro sono venuti in Israele ed erano vicini dei miei genitori.
C’era anche una certa Nina 92 . Io non mi ricordo molto di lei. In tutto eravamo 13 persone.
Dopo non molto tempo è arrivato un uomo austriaco veramente anziano di cui non ricordo il nome. In
tutto 14 persone. E cosi arrivò l’anno 1943. I mesi di freddo passarono e venne la primavera. Tutto si
svolgeva nel modo più ‘normale’, quello che si poteva in quel tempo chiamare normale, non solo per noi
ma per tutti gli altri del paese. Alla fine di luglio ho avuto la febbre alta per via di tifo intestinale. In quel
tempo c’è stata in tutta l’Europa un’epidemia di tifo, e mi mandarono all’ospedale di Vittorio Veneto
dove passai tutto il mese di agosto con altri ammalati della stessa malattia. I dottori mi hanno curato come
tutti gli altri, a quanto posso ricordare. È viva nella memoria la visita del Vescovo che è venuto a benedire
gli ammalati e quando gli dissero che c’era un ebreo, è venuto direttamente da me con una speciale
benedizione. Questo episodio mi è rimasto impresso nelle mente.
E cosi arrivò anche l’8 settembre che mi trovò ancora in ospedale, però gia verso la fine della malattia. La
mamma, che durante tutta la malattia mi è stata vicino, mi disse che avevamo ricevuto la libertà e che
eravamo liberi di andare dove volevamo. Così uno per uno lasciarono Follina e, forse per causa mia, i
miei restarono sul posto sperando per bene. Uscendo dall’ospedale magro 28 kg molto debole, andai a
trovare la mia maestra di musica e sua madre mi regalò una bottiglia di Marsala dicendomi di berla con lo
zabaglione perchè mi avrebbe aiutato nella convalescenza. Mi sono ripreso abbastanza presto così, senza
saperlo, ero pronto per i mesi futuri.
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Dai dati, vedi nota 108, Loni risulta il fratello di Danco.
Si veda http://www.annapizzuti.it/database/ricerca.php?a=show&sid=3795. Danko fu mandato a Ferramonti il
10.08.1942. Risulta nuovamente a Follina 21.07.1943.
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Si tratta di Montilia Erna, nata a Sarajevo il 10 giugno 1899, e di suo marito, Jacob Wasserstein, nato a Sarajevo il 10
dicembre 1898.
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Probabilmente il riferimento è a Sarina Altaraz, di Avram e Rachela Elazar, nata a Doboj (Bosnia) il 16 maggio 1909.
Era una maestra. Arrivò in Italia il 30 novembre 1941 da Spalato e fu internata a Follina. Dopo l’armistizio fu nascosta
da Clelia Caligiuri De Gregorio nella sua casa di Piavon. Nel luglio del 1944 si trasferì a Lutrano, nel comune di
Fontanelle, dove fu protetta dal parroco ed aiutata ancora dalla Caligiuri, che il 18 ottobre 1966 fu riconosciuta “Giusta
tra le Nazioni” dallo Yad Vashem.
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Al principio di dicembre arrivò il fumine! Siccome eravamo solo noi sei, arrivò un servitore del
municipio dicendoci di spargerci dove potevamo perchè i tedeschi ci cercavano. Non mi ricordo dove si
sono nascosti gli altri, ma io andai direttamente dalla mia maestra di musica e da sua madre, segretaria dei
fascisti, che mi presero sotto la loro protezione, calmandomi con parole calde e dicendomi che da loro ero
al sicuro. Dopo parecchie ore vengono ad avvisarci che il pericolo, per ora, era passato. Scese la notte, ci
trovarono un rifugio in un borgo tra Follina e Cison di Valmarino. Si radunò il consiglio familiare per
cercare un’uscita da questa situazione. Uno dei familiari ha sentito che il sig. avvocato-notaio si
preoccupava della gente come noi, specialmente ebrei italiani, e provvedeva delle carte d’identità false.
La zia Lunci si mise in viaggio per Treviso e si incontrò con l’avvocato e lui da parte sua accettò di
fornirci sei carte d’indentità. Ci radunò in casa sua con grandissimo pericolo e in tre giorni tutto fu pronto.
Abbiamo ricevuto la nuova identità, nomi nuovi di profughi da Bari che era già occupata dagli alleati, con
alcune storielle di fianco, e ci spedirono a San Donà di Piave direttamente dal parroco. Di lì non uscì
nulla, forse non avevano posto per sei persone e cosi arrivammo a Oderzo. Il parroco ci sistemò in casa
dei suoi contadini a Lutrano. Siamo già al principio del 1944. Noi tre abbiamo cambiato il luogo un’altra
volta e, con il grande aiuto del parroco di Fontanelle e del Conte Alessandro Marcello, ci trovarono una
abitazione dai mezzadri del Conte Marcello, dovo siamo rimasti finno alla fine della guerra.
Ora, la storia comincia ad andare in un modo molto curioso. Certe volte anch’io che fui il protagonista
maggiore, non posso crederci! La storia incominciò col principio dell’anno. Le carte annonarie, le
‘tessere’, che abbiamo ricevuto a Follina con il nostro vero nome, sono state, anche loro, falsificate dal
nostro benefattore, l’avvocato, che con un certo liquido, la ‘scolorina’, aveva cancellato i nomi veri e
scritto i nomi falsi. Con un po’ d’attenzione ce ne si poteva accorgere. Tutti quanti, noi sei, stavamo in
ansia ma si doveva cambiarle. La missione fu data a me. Dovevo andare in municipio e chiedere il
cambio per le nuove tessere. Hanno mandato me perchè parlavo meglio di tutti. Andai al municipio,
all’ufficio annonario e al capo ufficio, Sig. Gina Tonello, pregai di cambiarcele. Senza far storie in pochi
minuti ho ricevuto le nuove e le vecchie finirono nel cestino! Qui ho fatto la mia prima conoscenza con la
sig. Gina. Venne la primavera ed i partigiani bruciarono il municipio con tutta l’anagrafe. Era urgente
riscrivere di nuovo tutti i dati, andando di casa in casa. Ci fu il nuovo censimento della popolazione del
comune di Fontanelle. Mi chesero se ero pronto ad aiutarli in questa azione, natutalmente mi avrebbero
pagato, e così per il resto della guerra, quasi un anno, ho fatto l’impiegato portando a casa ogni mese una
piccola paga! I paesani che incontravo per la strada o nell’ufficio mi salutavono con un bel ‘bon dì scior
Emilio’. Veramente una situazione molto strana!!
Amicizie c’erano anche qui. Con i due contini, Marco e Girolamo, e con uno o due profughi o sfollati ci
incontravamo per giocare insieme o per fare qualche gita in bicicletta, una partita a crichet, etc.
Chi lo sapeva che eravamo ebrei? Dunque, per primo lo sapeva il Conte Marcello e la sig. Contessa. Poi il
parroco e forse ancora una o due persone di cui ci si poteva fidare. Nell’ufficio nessuno lo sapeva,
sebbene un impiegato, che prima dell’8 settembre, nel periodo in cui sono stato in ospedale, per un breve
tempo si trovava come soldato a Follina ed aveva visto alcuni membri della mia famiglia, aveva qualche
dubbio. Una volta mi chiese la mia carta d’identità, la osservò per bene da tutte le parti senza dire una
parola e me la restituì. Mi sono scordato il suo nome, ma mi potevo fidare del suo silenzio, e così
continuai a lavorare nell’ufficio fino alla liberazione. Quando tutto finì, un pomeriggio radunai tutti gli
impiegati nell’ufficio annonario e racontai la mia storia e ringraziai caldamente per la bella accoglienza
che abbiamo ricevuto a Fontanelle ed io specialmente per tutti quelli del municipio di Fontanelle.
Dopo moltissimi anni ho fatto ritorno a Fontanelle, trovando il Conte Marco Marcello che, dopo che mi
sono presentato, fu sorpreso che dopo tanti anni ci siamo incontrati di nuovo. Abbiamo passato un
mattino pieno di ricordi e alla fine ho fatto visita alla Sig. Gina Tonello, anche lei molto sorpresa e felice
di avermi visto di nuovo.
Ora, dopo che ho finito questa storia, raccontata per mile volte, e che anche a me sembra di fantasia, non
mi resta che RINGRAZIARE ANCORA UNA VOLTA IN NOME DI TUTTI QUELLI CHE NON CI
SONO PIÙ E ANCHE IN NOME MIO, A TUTTI TUTTI QUANTI CHE CI AIUTARONO A
PASSARE QUEGLI ANNI DI PERSECUZIONI!!!!
E alla fine, presento i nostri nomi e le nostre identità false:
- il nonno, David Kabiljo - De Bono Dario;
- la zia, Baruh Kabiljo Lunci - De Bono Lucia;
- lo zio, Zevi Kabiljo - De Bono Giuseppe;
- mio padre, Kohn Drago - Conte Carlo;
- mia madre, Bukiza Kabiljo Kohn - Contessa Prima;
- io, Milan Kohn - Conte Emilio.
Alla fine, abbiamo lasciato l’Italia nel 1949 e ci siamo trasferiti in Israele, dove vivo ancora sebbene ogni
mezzo anno, cioè in autuno-inverno, mi trasferico negli Stati Uniti, in Florida, essendo la mia seconda
moglie americana. Da allora ho visitato parecchie volte Follina.
Qualche anno fa ho ricevuto l’informazione sull’avvocato che ci fece i documenti falsi e in un modo
veramente curioso: in Florida ho incontrato, da comuni amici, il farmacista di Oderzo e parlando, tra le
altre cose, gli ho chiesto se lui conosceva chi, durante la guerra, faceva l’avvocato a Follina e la risposta
fu positiva. Il nome è Elio Gallina 93 . Lo stesso anno abbiamo fatto un viaggio in Italia ed andammo a
trovarlo. Era una persona ‘vegliarda’ come si definì lui stesso, ma i ricordi erano ancor vivi. Certamente
si ricordava ancora di noi, mi chiese i nomi che ci aveva dato e dopo una conversazione ci siamo lasciati
senza aver piu notizie di lui.
La seconda persona che ci aiutò fu il Sig. Conte Alessandro Marcello. Pur sapendo bene chi eravamo ci
diede un piccolo appartamento dai suoi mezzadri e ci aiutò con molta discrezione in tante cose che non
sapevamo che provenivano da lui.”
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La foto è tratta dal sito http://www.geocities.ws/italiaisraeletreviso/gallina.html.
Dal sito http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?id=14663:
“Elio Gallina è nato a Treviso il 22 febbraio 1913. Notaio nella città di Treviso e Follina, sfruttò la sua professione per
aiutare i perseguitati dal fascismo e dal nazismo. In particolare aiutò la famiglia dell’avvocato Carlo Ottolenghi,
composta dalla moglie Annamaria Levi Morenos e dal piccolo Alberto, di soli tre anni, ospitandola nella sua casa di
Treviso: procurò loro documenti falsi, intestati ai signori “Vianello” e ne organizzò la fuga in Svizzera.
Contemporaneamente si adoperò per cercare di salvare la famiglia di Adolfo Ottolenghi, rabbino di Venezia. Il rabbino
si rifiutò di abbandonare la sua gente e scelse di rimanere nella casa di riposo di Venezia, dove si era rifugiato nel
dicembre del ’43. Fu arrestato e deportato la notte del 17 agosto 1944. Sua moglie, Regina Ottolenghi Tedeschi, fu
invece ospitata dal gennaio 1944 fino al bombardamento di Treviso, il giorno 7 aprile, in casa del notaio Gallina, che le
procurò un documento falso intestato alla signora “Pennella” e l’aiutò a raggiungere una sorella in Piemonte. Elio
Gallina andava regolarmente a Trieste per reperire le schede e il materiale necessario per i documenti falsi,
accompagnava personalmente le persone perseguitate (ebrei, albanesi, sfollati) all’Ufficio Anagrafe del Comune di
Treviso e con la collaborazione del Sindaco faceva giungere agli interessati i nuovi documenti con i quali riuscivano a
raggiungere la Svizzera. Fino a quando non riusciva a ottenere i visti e i falsi documenti per l’espatrio ospitava gli ebrei
nella soffitta di casa sua. Nel 2007 Elio Gallina, all’età di 94 anni, ha ricevuto da Yad Vashem il riconoscimento di
Giusto tra le Nazioni e l’anno successivo, alla memoria, la Medaglia d’oro al Merito Civile dal Presidente della
Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Morì a Treviso, pochi giorni prima, il 6 gennaio 2008”.
Si veda anche http://www.hakeillah.com/4_07_22.htm e http://www.hakeillah.com/2_06_19.htm.