Forme differenziali su una curva algebrica

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Forme differenziali su una curva algebrica
Forme differenziali su una curva
algebrica
Lucio Guerra
Prefazione. Questi appunti presentano una introduzione all’idea delle
forme differenziali su una curva algebrica e alla definizione del genere di
una curva proiettiva, e sono concepiti come un supplemento al testo di W.
Fulton, Algebraic Curves. Sono stati preparati per un corso che intendeva
rivolgersi anche a studenti della laurea triennale in matematica.
Da qui la scelta di esporre con accuratezza le definizioni fondamentali,
e di corredarle con esempi significativi sviluppati in modo diretto, mediante
calcoli diretti anche se laboriosi e senza l’ausilio di teoremi generali, in modo
che l’esempio possa chiarire la definizione. La trattazione degli esempi segue
piuttosto il testo di I. Shafarevich, Basic Algebraic Geometry, nella seconda
edizione riveduta e ampliata con la collaborazione di M. Reid.
Il concetto di forma differenziale viene presentato in un modo formale,
seguendo una impostazione che si è affermata in geometria algebrica, nel
corso di un processo di algebrizzazione della trattazione geometrica, e viene
adottata nel libro di Fulton. Le forme differenziali sono introdotte come
simboli, soggetti alle regole di calcolo usuali, e questi simboli possono essere interpretati nel senso classico, come campi di forme lineari sui vettori
tangenti.
Una scelta ulteriore, adatta allo scopo di mantenere l’esposizione a un
livello introduttivo, evitando in particolare il procedimento di risoluzione
delle singolarità, è la scelta di lavorare solo con le curve piane non singolari. Gli enunciati hanno una forma che rimane valida in generale per curve
non singolari arbitrarie, mentre le dimostrazioni sono semplificate per le
curve piane e si possono ritrovare nel libro di Fulton. Non sarebbe difficile
d’altronde estendere la trattazione alle curve non singolari arbitrarie.
Questi appunti sono stati preparati per il corso di Geometria Superiore
che ho tenuto presso l’Università di Perugia in diversi anni nel periodo dal
2001 al 2009.
(maggio 2011)
1
Indice
2
1 Differenziali di un anello
3
2 Differenziali razionali su una curva
5
3 Derivata rispetto a un parametro
7
4 Ordine di un differenziale in un punto
7
5 Campi di forme
9
6 Differenziali regolari
9
7 La formula del genere per una curva piana proiettiva
11
8 La classificazione delle curve proiettive
14
9 Appendice
15
9.1 Derivazioni formali
15
9.2 La derivazione universale
17
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
1
Differenziali di un anello
Sia A un anello commutativo unitario, sia K ⊆ A un sottoanello unitario.
La definizione generale di K-derivazione di A a valori in un A-modulo M è
ricordata nell’appendice, §9.1.
Definizione 1.1. La derivazione universale di A su K è una K-derivazione
d : A −→ ΩA/K
a valori in un A-modulo ΩA/K che soddisfa la seguente proprietà universale:
per ogni K-derivazione δ : A → M esiste una unica applicazione Alineare ϕ : ΩA/K → M tale che δ = ϕ ◦ d
δ
A
d
−→
M
& %ϕ
ΩA/K
(ovviamente per ogni applicazione A-lineare ϕ come sopra la composizione ϕ ◦ d è una K-derivazione di A).
Il modulo ΩA/K è detto il modulo dei differenziali di Kähler di A su K.
La derivazione universale è determinata a meno di isomorfismi di moduli. Esistono diverse costruzioni esplicite della derivazione universale, la più
semplice delle quali è riportata nell’appendice, §9.2. Il contenuto di questa
definizione sta nelle seguenti proprietà:
1. il modulo ΩA/K è generato su A dall’insieme dA, cioè ogni elemento
ω ∈ ΩA/K si rappresenta come
ω = a1 dx1 + · · · + ak dxk
con ai e xi elementi di A;
2. le relazioni di dipendenza A-lineare tra generatori, elementi di dA,
sono quelle date dalle regole formali di derivazione:
d(x + y) − dx − dy = 0, d(xy) − x dy − y dx = 0, dc = 0,
per ogni x, y ∈ A, c ∈ K, oppure sono combinazioni lineari di relazioni
ottenute in quel modo (e non ne esistono altre).
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Queste proprietà possono essere dedotte dalla definizione, oppure verificate in una costruzione esplicita della derivazione universale, anzi si può vedere che le due proprietà costituiscono una formulazione equivalente della
definizione della derivazione universale.
Osservazione 1.2. Un omomorfismo di anelli α : A → A0 che induce l’identità su K determina un omomorfismo α
b : ΩA/K → ΩA0 /K e un diagramma
commutativo
α
A
−→
A0
↓d0
d ↓
ΩA/K
−→ ΩA0 /K
α
b
Il significato del termine omomorfismo, per l’applicazione α
b tra due insiemi che sono moduli su anelli diversi, richiede una precisazione. Il modulo
ΩA0 /K sull’anello A0 si può considerare un modulo sull’anello A, grazie all’omomorfismo di anelli α. Dato ω ∈ ΩA0 /K e uno scalare a ∈ A si definisce
a ω := α(a) ω. L’applicazione α
b è un omomorfismo di moduli sull’anello A.
In altre parole α
b è additiva e tale che:
se a 7→ a0 e x 7→ x0 tramite α allora a dx 7→ a0 d0 x0 tramite α
b.
Come corollario si ottiene l’invarianza del modulo dei differenziali. Un
isomorfismo di anelli A ∼
= A0 che induce l’identità su K determina un
isomorfismo ΩA/K ∼
= ΩA0 /K , nel senso definito sopra.
La dimostrazione dell’enunciato iniziale dell’osservazione è un esercizio.
Dimostrazione. Poichè α è un omomorfismo di anelli che induce l’identità su
K e d0 è una K-derivazione di A0 , la composizione d0 ◦ α è una K-derivazione
di A. Per la proprietà universale della derivazione d esiste una applicazione
A-lineare α
b tale che d0 ◦ α = α
b ◦ d.
Esempi 1.3. Sia K un campo. Se A = K[x1 , . . . , xn ] allora ΩA/K ∼
= An .
n
Analogamente se F = K(x1 , . . . , xn ) allora ΩF/K ∼
=F .
Dimostrazione. Le due affermazioni si dimostrano nello stesso modo. La
∂f
∂f
dx1 + · · · + ∂x
dxn è conseguenza delle proprietà formali
formula df = ∂x
n
1
di una derivazione (appendice, §9.1). Implica che dx1 , . . . , dxn generano il
modulo dei differenziali. Inoltre sono linearmente indipendenti. Infatti pos∂
siamo scrivere ∂x
= ϕi ◦ d con ϕi lineare, per la proprietà universale. Allora
i
∂x
ϕi (dxj ) = ∂xji = δij . Questo implica che dx1 , . . . , dxn sono linearmente
indipendenti, e ϕ1 , . . . , ϕn è la base duale.
4
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2
Differenziali razionali su una curva
Da questo punto in poi, supponiamo che il campo base sia (algebricamente
chiuso) di caratteristica 0. Le differenze che si presentano in caratteristica
> 0 saranno indicate in note alla fine dei paragrafi. La trattazione che segue
vale per una curva irriducibile, affine o proiettiva. Alcune dimostrazioni
sono date per una curva piana, per semplicità di esposizione. Conveniamo
che il termine curva sottointenda tutte queste proprietà.
Sia C una curva, sia K(C) il suo campo delle funzioni razionali.
Definizione 2.1. Lo spazio dei differenziali razionali sulla curva è
Ω(C) := ΩK(C)/K ,
uno spazio vettoriale sul campo K(C).
Osservazione 2.2. Una applicazione razionale dominante di curve C 99K D
induce un omomorfismo Ω(D) → Ω(C), per la precisione un omomorfismo
di spazi vettoriali su K(D). Infatti è indotto un omomorfismo di campi K(D) → K(C) e questo induce Ω(D) → Ω(C) per l’osservazione 1.2.
In particolare, il modulo dei differenziali razionali Ω(C) è invariante per
isomorfismi birazionali della curva C.
Descriviamo la struttura dello spazio Ω(C).
Proposizione 2.3.
(1) dimK(C) Ω(C) = 1;
(2) se t ∈ K(C) r K allora dt forma una base di Ω(C).
Quindi un elemento di Ω(C) si scrive in modo unico come
ω = f dt.
Dimostrazione. Riduzione al caso di una curva affine. Se C è proiettiva, se
C∗ è una sua parte affine, l’isomorfismo K(C) ∼
= K(C∗ ) induce un isomorfi∼
smo Ω(C) = Ω(C∗ ), per l’osservazione precedente. Supponismo dunque che
C sia una curva nel piano A2 , di equazione f (x, y) = 0.
Dimostrazione del punto (1). In K(C) le funzioni x̄, ȳ, le funzioni coordinate ristrette alla curva, soddisfano f (x̄, ȳ) = 0. Quindi in ΩK(C)/K i
differenziali dx̄, dȳ soddisfano
∂f
∂x
dx̄ +
∂f
∂y
dȳ = 0
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(§9.1, formula (∗)). Possiamo supporre
∂f
∂y
6= 0. Allora dȳ = u dx̄ con
∂f
u = − ∂f
∂x / ∂y ∈ K(C).
I differenziali dx̄, dȳ generano il modulo dei differenziali (§9.1, formule di
derivazione). La relazione precedente implica che da solo dx̄ genera. Resta
da verificare che dx̄ 6= 0.
A questo scopo è sufficiente costruire una derivazione δ : K(C) → K(C)
tale che δ x̄ 6= 0. Per la proprietà universale di d si può scrivere δ = ϕ ◦ d, e si
ha di conseguenza dx̄ 6= 0. Una derivazione come sopra si definisce ponendo
∂g
∂g
δḡ := ∂x
− u ∂y
per una ḡ polinomiale, e quindi estendendo la definizione
alle funzioni razionali arbitrarie (§9.1, lemma).
Dimostrazione del punto (2). Riduzione al caso in cui t è una funzione
coordinata. L’estensione K(t) ⊂ K(C) è finita. Per il teorema dell’elemento
primitivo, si può scrivere K(C) = K(t, α) con α opportuno. Il polinomio
minimo di α su K(t) si scrive come: y n + aa01 y n−1 + · · · + aan0 , con coefficienti
ai ∈ K[t], senza fattori comuni. Consideriamo l’omomorfismo K[x, y] →
K(C) tale che f (x, y) 7→ f (t, α). Il nucleo dell’omomorfismo coincide con
l’ideale generato dal polinomio g(x, y) := a0 (x)y n + a1 (x)y n−1 + · · · + an (x).
La curva C 0 : g(x, y) = 0 è irriducibile. Inoltre K[C 0 ] ∼
= K[x, y]/(g) ∼
=
0
∼
K[t, α] ⊂ K(C) implica K(C ) = K(t, α) = K(C) che induce Ω(C 0 ) ∼
=
∂g
∂g
0
Ω(C). Inoltre in K[C ] si ha ∂y 6= 0 perchè ∂y 6= 0. In questa situazione
la dimostrazione del punto (1) ci dice che dx̄ 6= 0 in Ω(C 0 ) da cui segue che
dt 6= 0 in Ω(C).
Nota 2.4. In caratteristica > 0 la proprietà (1) continua a valere mentre la
(2) va sostituita con la seguente:
(20 ) se t ∈ K(C) r K e se l’estensione K(C) ⊇ K(t) è (finita) separabile,
allora dt forma una base di Ω(C).
L’esistenza di una t come sopra è conseguenza del fatto che l’estensione
K(C) ⊃ K ammette una base di trascendenza separante. Con queste precisazioni la dimostrazione è la stessa di prima (la separabilità entra in gioco
∂g
per garantire che ∂y
6= 0).
Esempio. Se p è la caratteristica, consideriamo la curva C : y = xp ,
il grafico dell’endomorfismo di Frobenius di A1 . Allora K(C) è generato
dalle coordinate x̄, ȳ. La x̄ forma una base di trascendenza separante di
K(C), quindi dx̄ forma una base di Ω(C). La ȳ invece forma una base di
trascendenza ma non separante, e si ha dȳ = 0.
6
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Derivata rispetto a un parametro
Sia C una curva. Sia t ∈ K(C) r K. Allora dt è una base di Ω(C), per
la proposizione 2.3. Per ogni f ∈ K(C) si può scrivere: df = v dt con
v ∈ K(C). Si definisce un simbolo di derivata ponendo:
df
:= v
dt
e l’applicazione
d
dt
: K(C) → K(C) è infatti una K-derivazione.
Proposizione 3.1. Sia p ∈ C un punto semplice, e supponiamo che t sia
un parametro locale in Op (C). Se f ∈ Op (C) allora df
dt ∈ Op (C).
Dimostrazione. Riduzione al caso di una curva affine. Se C è proiettiva, se
C∗ è una sua parte affine contenente p, l’isomorfismo Op (C) ∼
= Op (C∗ ) è
compatibile con la definizione della derivata. Supponismo dunque che C sia
una curva nel piano A2 , di equazione f (x, y) = 0.
Siano x̄, ȳ le funzioni coordinate, ristrette alla curva. Sia N ≥ 0 un
dȳ
intero tale che: ordp ( dx̄
dt ), ordp ( dt ) ≥ −N .
Allora si ha ordp ( df
dt ) ≥ −N per ogni f ∈ Op (C). Per una ḡ polinomiale
dḡ
∂g dx̄
∂g dȳ
ḡ
dt = ∂x dt + ∂y dt . Per una f = h̄
1 dḡ
( h̄ − ḡ ddth̄ ) e dalla osservazione precedente.
h̄2 dt
dimostrare che infatti si ha df
dt ∈ Op (C) per ogni
questo segue dalla formula
df
dt
=
espressione
Possiamo ora
Si può scrivere
segue dalla
f ∈ Op (C).
f = λ0 + λ1 t + · · · + λN −1 tN −1 + tN g
con λi ∈ K e g ∈ Op (C), una approssimazione di Taylor rispetto al parameN dg
tro (f = λ0 + tf1 , f1 = λ1 + tf2 , ....). Derivando si ottiene df
dt = h + t dt
N dg
con h ∈ Op (C). Infine ordp ( dg
dt ) ≥ −N implica ordp (t dt ) ≥ 0 e quindi
df
tN dg
dt ∈ Op (C) e dt ∈ Op (C).
Nota 3.2. In caratteristica > 0, la definizione iniziale si può dare solo se t
soddisfa la proprietà (2’) nella nota 2.4, e si dimostra che se t è un parametro
locale in un punto semplice p allora t soddisfa tale proprietà, e pertanto la
proposizione continua a valere.
4
Ordine di un differenziale in un punto
Da questo punto in poi, in aggiunta alle ipotesi enunciate nel §2, supponiamo
che la curva sia non singolare, e conveniamo che il termine curva sottointenda anche questa proprietà in aggiunta alle altre.
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Sia C una curva (non singolare). Sia ω ∈ Ω(C) r {0}. Dato p ∈ C, preso
un parametro locale t ∈ Op (C), si può scrivere: ω = f dt con f ∈ K(C)∗ .
Definizione 4.1. L’ordine del differenziale nel punto è
ordp (ω) := ordp (f )
e non dipende dalla scelta del parametro locale.
Dimostrazione. Se u ∈ Op è un secondo parametro, se ω = f dt = gdu nelle
due rappresentazioni, allora f /g = du/dt ∈ Op , per la proposizione 3.1, e
analogamente g/f ∈ Op , quindi ordp (f /g) = 0 e ordp (f ) = ordp (g).
La funzione ordp : Ω(C) r {0} −→ Z cosı̀ definita soddisfa le proprietà:
− ordp (f ω) = ordp (f ) + ordp (ω),
− ordp (ω + ω 0 ) ≥ min {ordp (ω), ordp (ω 0 )}
se ω + ω 0 6= 0,
per ogni f ∈ K(C)∗ e per ogni ω, ω 0 ∈ Ω(C) r {0}, che seguono dalle
proprietà della funzione ordp : K(C)∗ −→ Z. A volte si pone convenzionalmente: ordp (0) := ∞.
Osservazione 4.2. Se C 99K D è un’applicazione birazionale di curve, definita in p e tale che p 7→ p0 , se nell’isomorfismo indotto Ω(D) → Ω(C) si ha
ω 7→ ω 0 , allora ordp (ω 0 ) = ordp0 (ω). Basta osservare che l’isomorfismo indotto Op0 (D) → Op (C) trasforma un parametro locale in p0 in un parametro
locale in p.
Proposizione 4.3. L’insieme dei punti p ∈ C per cui ordp (ω) 6= 0 è finito.
Dimostrazione. È sufficiente considerare il caso di una curva C affine, di
equazione f (x, y) = 0. Esiste un aperto U con una funzione razionale t
definita su U tale che per ogni p ∈ U la funzione t − t(p) è un parametro
locale in p. Notare che d(t − t(p)) = dt.
Ad esempio, supposto che ∂f
∂x 6= 0 su C, possiamo prendere t = ȳ e come
U l’insieme dei punti di C in cui ∂f
∂x 6= 0. Per ogni p ∈ U , poiché la tangente
in p non è orizzontale, la funzione ȳ è un parametro locale in p, per un
lemma dimostrato in precedenza.
Scriviamo ω = f dt. Per ogni p ∈ U si ha ordp (ω) = ordp (f ). Di
conseguenza {ordp (ω) 6= 0} ⊆ (C r U ) ∪ {ordp (f ) 6= 0}.
8
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
5
Campi di forme
Sia ω ∈ Ω(C) e sia p ∈ C. Ricordiamo che abbiamo in precedenza definito
una naturale K-derivazione
dp : Op (C) −→ Tp (C)∗ .
Si dice che ω è regolare in p se ordp (ω) ≥ 0, cioè se esiste una rappresentazione ω = f dt in cui t è un parametro locale in Op (C) e f ∈ Op (C). In
questo caso si definisce:
ωp = f (p) dp t
un elemento di Tp (C)∗ , e questa forma lineare ωp è ben definita, indipendente
dalla rappresentazione di ω.
Dimostrazione. Osservazione preliminare: se f ∈ Op (C) e se df = vdt allora
dp f = v(p)dp t. Scriviamo f = λ0 + tf1 con f1 ∈ Op (C). Possiamo scrivere
df1 = v1 dt con v1 ∈ Op (C), per la proposizione 3.1. Applicando d si calcola
df = vdt con v = f1 +tv1 . Applicando dp si calcola dp f = f1 (p)dp t = v(p)dp t.
Conseguenza: se f dt = gds allora f (p)dp t = g(p)dp s. Scriviamo dt = uds,
allora f u = g, inoltre dp t = u(p)dp s per l’osservazione preliminare, quindi
f (p)dp t = f (p)u(p)dp s = g(p)dp s.
Sia ω ∈ Ω(C). I punti di C in cui ω è regolare formano un aperto non
vuoto U ⊂ C, per la proposizione 4.3, e su questo aperto è definito un campo
di forme lineari
p ∈ U 7→ ωp ∈ Tp (C)∗ .
6
Differenziali regolari
Sia C una curva (non singolare).
Definizione 6.1. Un differenziale ω ∈ Ω(C) r {0} si dice regolare su C
se ordp (ω) ≥ 0 per ogni p ∈ C. Anche il differenziale nullo si considera
regolare.
Lo spazio dei differenziali regolari su C si indica con il simbolo
Ω[C].
È uno spazio vettoriale sul campo K.
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Osservazione 6.2. Lo spazio dei differenziali regolari è invariante per isomorfismi della curva C. Infatti un isomorfismo di curve C → D induce
un isomorfismo Ω(D) → Ω(C) per l’osservazione 2.2, e questo induce un
isomorfismo Ω[D] → Ω[C] per l’osservazione 4.2.
Studiamo i differenziali regolari sulle curve affini.
Esempio 6.3. L’isomorfismo Ω(A1 ) ∼
= K(x) è spiegato nell’esempio 1.3.
1
∼
Questo induce un isomorfismo Ω[A ] = K[x]. In altre parole, i differenziali
regolari su A1 sono quelli del tipo g(x)dx con g ∈ K[x].
Esempio 6.4. Sia C ⊂ A2 una curva affine, di equazione f (x, y) = 0. In
∂f
Ω(C) si ha ∂f
∂x dx̄ + ∂y dȳ = 0. Supponiamo
Allora si ricava un differenziale
1
∂f /∂x
dȳ = −
1
∂f /∂y
∂f
∂x
e
∂f
∂y
entrambe 6= 0 su C.
dx̄ =: ω
che è un differenziale regolare. Se invece ad esempio ∂f
∂x = 0 allora C è una
retta orizzontale y = a e si ha dȳ = 0, in questo caso si consideri dx̄ =: ω.
Proposizione 6.5. Se C è una curva piana affine, lo spazio Ω[C] come
modulo su K[C] è generato dal differenziale ω definito sopra.
Dimostrazione. Osserviamo che ordp (ω) = 0 in ogni punto p ∈ C. Ogni
differenziale in Ω(C) si ottiene come gω con g ∈ K(C). Poiché ordp (gω) =
ordp (g) si deduce che: gω ∈ Ω[C] se e solo se g ∈ K[C].
Una curva affine ha sempre una quantità di differenziali regolari, come si
vede negli esempi precedenti. Per le curve proiettive invece si ha il seguente
teorema di finitezza.
Teorema 6.6. Se C è una curva proiettiva non singolare, lo spazio Ω[C]
ha dimensione finita su K.
Vedremo la dimostrazione nella parte finale del corso. Questo risultato
porta a introdurre la seguente definizione.
Definizione 6.7. Il genere di una curva proiettiva non singolare è
g(C) := dimK Ω[C].
Il genere è invariante per isomorfismi. Infatti è il principale invariante
nella teoria delle curve proiettive, si veda il §8 per una breve discussione.
10
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
Esempio 6.8. Ω[P1 ] = 0.
Dimostrazione. Utilizziamo la descrizione di P1 come unione di due aperti
Y
affini: l’aperto U : X 6= 0 con la coordinata X
=: y, e l’aperto V : Y 6= 0
X
con la coordinata Y =: x. Abbiamo isomorfismi
K(P1 ) ∼
= K(U ) ∼
= K(V )
e ad esempio nel secondo isomorfismo y 7→ x1 .
Si deducono isomorfismi
Ω(P1 ) ∼
= Ω(U ) ∼
= Ω(V )
in cui ad esempio dy 7→ − x12 dx. Un differenziale su P1 è rappresentato da
un differenziale su U e un differenziale su V . Supponiamo che
ω ↔ f (y) dy ↔ g(x) dx.
Allora f (y)dy 7→ − x12 f ( x1 ) dx = g(x)dx e quindi
g(x) = − x12 f ( x1 ).
Questa è la relazione che intercorre tra le rappresentazioni di ω nelle coordinate dei due aperti affini.
Si ha che ω è regolare in ogni punto se e solo se entrambe le funzioni
razionali f (y) e g(x) sono regolari in ogni punto. Se f (y) è un polinomio, la
funzione razionale g(x) :=P− x12 f ( x1 ) è un polinomio solo se f = 0 (se f (y) =
P
1
ad y d allora g(x) = − ad xd+2
). Dunque ω = 0 è l’unico differenziale
1
regolare su P .
7
La formula del genere per una curva piana
proiettiva
Teorema 7.1. Sia C ⊂ P2 una curva non singolare, di grado n. Allora
g(C) =
(n − 1)(n − 2)
.
2
Osserviamo alcuni casi particolari: per n = 1, 2 si ha g = 0, per n = 3 si ha
g = 1. Osserviamo anche alcune prime conseguenze:
• se n ≥ 3 si ha una curva non razionale;
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• due curve di gradi diversi n 6= m ≥ 3 non sono isomorfe.
Dimostrazione. Una curva proiettiva C è unione di curve affini
C1 = C ∩ {X 6= 0},
C2 = C ∩ {Y 6= 0},
C3 = C ∩ {Z 6= 0}.
Supponiamo che le tre parti affini siano tutte non vuote, altrimenti la curva
è una retta e in questo caso il risultato è noto dall’esempio 6.8.
Abbiamo isomorfismi tra i campi di funzioni razionali
K(C) ∼
= K(C1 ) ∼
= K(C2 ) ∼
= K(C3 )
che inducono isomorfismi tra gli spazi di differenziali razionali
Ω(C) ∼
= Ω(C1 ) ∼
= Ω(C2 ) ∼
= Ω(C3 ).
Se mediante questi isomorfismi si ha
ω ↔ ω1 ↔ ω2 ↔ ω3
allora: ω ∈ Ω[C] se e soltanto se ωi ∈ Ω[Ci ] per i = 1, 2, 3.
Studiamo la corrispondenza tra i differenziali su C1 e su C2 . Nell’aY Z
perto affine X 6= 0, nelle coordinate affini (u, v) = ( X
, X ), la curva C1
ha equazione f (u, v) = 0. Cosı̀ nell’aperto Y 6= 0, nelle coordinate affini
Z
(w, z) = ( X
Y , Y ), la curva C2 ha equazione g(w, z) = 0. Le due equazioni
si ottengono dalla equazione omogenea F (X, Y, Z) = 0 della curva C. Nei
calcoli che seguono per semplicità di scrittura omettiamo il segno che indica
restrizione di polinomi.
L’isomorfismo K(C1 ) ∼
= K(C2 ) manda u 7→ w1 e v 7→ wz . L’isomorfismo
indotto Ω(C1 ) ∼
= Ω(C2 ) manda ad esempio du 7→ − w12 dw.
Dato ω1 ∈ Ω[C1 ] studiamo la condizione affinchè il corrispondente ω2 ∈
Ω(C2 ) sia elemento di Ω[C2 ].
Cominciamo considerando il differenziale
ω1 =
1
∂f /∂v
du
1
che genera Ω[C1 ]. In Ω(C2 ) si può scrivere ω2 = α ∂g/∂z
dw con α ∈ K(C2 )
e sappiamo che si ha ω2 ∈ Ω[C2 ] se e solo se α ∈ K[C2 ]. Per calcolare questa
espressione ricordiamo la relazione g(w, z) = wn f ( w1 , wz ) da cui si ottiene
∂g
n−1 ∂f ( 1 , z ). Quindi
∂z (w, z) = w
∂v w w
1
ω2 = −wn−3 ∂g/∂z
dw
12
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
che è regolare su C2 . Per lo stesso motivo anche il corrispondente ω3 è regolare su C3 . Abbiamo dimostrato che il differenziale ω su C che corrisponde
a ω1 = ∂f 1/∂v du su C1 è regolare dovunque, i.e. ω ∈ Ω[C].
In generale un differenziale regolare su C1 si rappresenta come
ω1 = P (u, v) ∂f 1/∂v du
con P un polinomio. Calcolando come sopra si trova per il corrispondente
differenziale su C2 l’espressione
ω2 = −P
1 z
,
wn−3
w w
1
∂g/∂z
dw.
Se n ≥ 3 e se P ha grado ≤ n − 3 allora P ( w1 , wz )wn−3 è polinomiale e
il differenziale ω2 è regolare su C2 . Viceversa, se ω2 è regolare su C2 si
dimostra che necessariamente n ≥ 3 e inoltre ω1 si rappresenta come sopra
con un opportuno P di grado ≤ n − 3. La dimostrazione di questo ultimo
enunciato è riportata di seguito come un lemma separato.
Dunque i differenziali ω regolari su C sono quelli che si ottengono da un
differenziale ω1 = P (u, v) ∂f 1/∂v du con P di grado ≤ n − 3. Questo definisce
una applicazione
polinomi P (u, v)
di grado ≤ n − 3
−→
Ω[C]
che è K-lineare, suriettiva, iniettiva (P (u, v) = 0 in K[C1 ] implica che f
divide P e questo implica P = 0 per ragioni di grado). La dimensione di
questo spazio di polinomi è data dal numero che appare nell’enunciato.
Rimane da dimostrare il seguente lemma, che prendiamo da [Shafarevich], v. I, p. 163, example.
Lemma 7.2. Nella situazione della dimostrazione precedente, se la funzione
razionale P ( w1 , wz )wm è polinomiale su C2 allora m ≥ 0 e in K[C1 ] si ha
P = P 0 con P 0 un polinomio di grado ≤ m.
Dimostrazione. Si può scrivere P ( w1 , wz ) = P̃ (w,z)
con P̃ un polinomio di
wl
grado l. Supponiamo m < l (altrimenti è ovvio). Per ipotesi in K(C2 ) si ha
P ( w1 , wz )wm = Q(w, z) con Q un polinomio di grado r. Quindi in K[C2 ] si
ha P̃ (w, z) = wl−m Q(w, z).
Nell’anello dei polinomi K[w, z] si ha P̃ = wl−m Q + Ag dove g è il
polinomio che definisce C2 . Quindi in K(u, v) si ha P = um−r Q̃ + uÃN f con
Q̃ polinomio di grado r e N ≥ 0.
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
13
Se m ≥ r allora uN (P − um−r Q̃) = Ãf implica che in K[u, v] si ha
P − um−r Q̃ = Cf . In questo caso si può prendere P 0 := um−r Q̃, di grado
m.
Se m ≤ r allora ur−m P = Q̃ + uÃ
N 0 f analogamente implica che in K[u, v]
r−m
si ha u
P − Q̃ = Cf (ovvio se N 0 ≤ 0). Prendendo i termini di grado
massimo si ottiene ur−m Pl = Cmax fk e questo implica che fk divide Pl .
Posto Pl = hfk con h omogeneo di grado l − k si ha che P − hf ha grado
< l e in questo caso si può prendere P 0 := P − hf .
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La classificazione delle curve proiettive
Le curve proiettive (non singolari) sono classificate in base al genere, e una
prima classificazione è data nella forma di una classica tricotomia:
g = 0,
g = 1,
g ≥ 2.
La teoria del sistema dei divisori canonici effettivi assume forme diverse nelle
tre classi. Riportiamo in una tabella la classificazione delle curve nel piano
proiettivo, con qualche informazione che già abbiamo.
genere
curve in P2
osservazioni
g=0
g=1
g≥2
rette, coniche non singolari
le cubiche non singolari
curve non singolari
di grado n ≥ 4
sono isomorfe a P1
non ci sono in P2 curve
di genere g = 2
Nella parte finale del corso dimostreremo i seguenti risultati, che approfondiscono il quadro della situazione:
• ogni curva di genere 0 è isomorfa a P1 ;
• ogni curva di genere 1 è isomorfa a una cubica piana non singolare;
• le cubiche piane non singolari formano infinite classi di isomorfismo.
In conclusione, possiamo dire che: le curve di genere 0, 1 sono ’speciali’, in
quanto ammettono modelli semplici e una trattazione molto avanzata nel
particolare; le curve di genere ≥ 2 si dicono di tipo generale e richiedono una
teoria più difficile. In ogni caso, il punto di partenza della teoria delle curve
è il celebre teorema di Riemann-Roch, che verrà presentato nella parte finale
del corso.
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Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
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Appendice
9.1
Derivazioni formali
Sia A un anello commutativo unitario, e sia K ⊆ A un sottoanello unitario.
Sia M un modulo sull’anello A.
Definizione 9.1. Una applicazione D : A → M è una K-derivazione di A
a valori in M se soddisfa le proprietà:
- D(f + g) = D(f ) + D(g),
additiva
- D(f g) = D(f ) g + f D(g),
Leibniziana
se c ∈ K.
- D(c) = 0
Le usuali regole di calcolo della derivata sono conseguenza degli assiomi:
- D(cf ) = c D(f ) se c ∈ K,
che insieme con la proprietà additiva dà la K-linearità,
- D(f n ) = nf n−1 D(f )
- D(f /g) =
se n > 1, e anche se n < 0 e f ∈ A∗ ,
D(f ) g − f D(g)
g2
se g ∈ A∗ .
Dimostrazione. (1) Dalla Leibniziana e dalla nullità su K. (2) Sia f ∈ A. Per
n ≥ 1 segue dalla Leibniziana per induzione su n. Sia f ∈ A∗ . Per n = −1 ponendo
g := f −1 segue dalla Leibniziana e dalla nullità su K. Per n < −1 segue dalla parte
precedente (caso n ≥ 1) applicata a g. (3) Segue dalla Leibniziana e dalla (2).
Le derivazioni di polinomi.
Esempi 9.2. Sia K un anello commutativo unitario.
d
• La derivazione dx
: K[x] −→ K[x] che a f associa
mediante la formula usuale.
df
dx
= f 0 definita
∂
• La derivazione parziale ∂x
: K[x1 , . . . , xn ] −→ K[x1 , . . . , xn ] si dei
finisce, scrivendo K[x1 , . . . , xn ] = Ki [xi ] con Ki = K[x1 , .., xbi , .., xn ],
come la derivazione dell’anello Ki [xi ] descritta sopra.
∗
• Il differenziale d : K[x1 , . . . , xn ] −→ K[x1 , . . . , xn ]×n , dove il simbolo a destra indica il modulo duale del modulo prodotto, che a f associa la forma lineare df su K[x1 , . . . , xn ]×n tale che df (v1 , . . . , vn ) =
∂f
∂f
∂f
∂f
∂x1 v1 + · · · + ∂xn vn , e dunque tale che df = ∂x1 dx1 + · · · + ∂xn dxn .
Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
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La regola di derivazione di un polinomio o di una espressione polinomiale
in più variabili. Se D è una K-derivazione di K[x1 , . . . , xn ], allora
P ∂f
- D(f ) =
∂xi D(xi ).
Più in generale, sia D una K-derivazione di A, sia f ∈ K[x1 , . . . , xn ] e siano
a1 , . . . , an ∈ A, allora l’elemento f (a1 , . . . , an ) ∈ A ha derivata
P ∂f
- D(f (a1 , . . . , an )) =
(∗)
∂xi (a1 , . . . , an ) D(ai ).
In particolare, se A = K[t], si ritrova la regola di derivazione di una espressione composta f (a1 (t), . . . , an (t)), la cosiddetta regola della catena.
Dimostrazione. (1) Caso particolare della seconda. (2) Per la proprietà additiva è
sufficiente considerare f un monomio, per la proprietà Leibniziana e la K-linearità
è sufficiente considerare f una singola indeterminata.
Le derivazioni di funzioni razionali.
Lemma 9.3. Supponiamo che A sia un dominio, diciamo F il suo campo dei
quozienti, e supponiamo che M sia uno spazio vettoriale su F . Allora ogni
K-derivazione D : A → M si estende in modo unico a una K-derivazione
D̃ : F → M , e questa soddisfa:
- D̃(f /g) =
D(f ) g − f D(g)
g2
Dimostrazione. Unicità: supposto che D̃ esista, la formula è conseguenza degli
assiomi, come si è visto prima. Esistenza: prendendo la formula come definizione,
si verifica che la definizione è ben posta.
Esempi 9.4. Sia K un campo.
• La derivazione
d
dx
: K(x) −→ K(x).
∂
∂xi
: K(x1 , . . . , xn ) −→ K(x1 , . . . , xn ).
∗
• Il differenziale d : K(x1 , . . . , xn ) −→ K(x1 , . . . , xn )×n che a f associa la forma lineare df su K(x1 , . . . , xn )×n tale che df (v1 , . . . , vn ) =
∂f
∂f
∂f
∂f
∂x1 v1 + · · · + ∂xn vn , e dunque tale che df = ∂x1 dx1 + · · · + ∂xn dxn .
• La derivazione parziale
La regola di derivazione di una funzione razionale in più variabili. Se D
è una K-derivazione di K(x1 , . . . , xn ), allora:
P ∂f
- D(f ) =
∂xi D(xi )
Dimostrazione. Per la formula nel Lemma e la formula analoga già dimostrata
per i polinomi.
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Lucio Guerra - Forme differenziali su una curva algebrica
9.2
La derivazione universale
Dimostriamo qui l’esistenza della derivazione universale di un anello che è
stata definita nel §1.
Sia A un anello commutativo unitario. Consideriamo un insieme à con
∼
una biiezione A → Ã che scriviamo x 7→ x̃. Una combinazione formale di
elementi di à con coefficienti in A è un dato che consiste di: un insieme
finito {f
x1 , · · · , x
fk } ⊆ Ã e una corrispondenza xei 7→ ai ∈ A r {0}. Notazione:
a1 x
f1 + · · · + ak x
fk .
Diciamo F l’insieme di tutte queste combinazioni formali. È un modulo
sull’anello A, con le operazioni definite nel modo naturale. L’insieme Ã
forma una base per F come modulo su A.
Sia K ⊆ A un sottoanello unitario. Diciamo N il sottomodulo di F
generato dagli elementi del tipo
x]
+ y − x̃ − ỹ,
x
fy − x ỹ − y x̃,
c̃,
con x, y ∈ A, c ∈ K. Il quoziente
Ω := F/N
è un modulo su A. Notare che Ω è generato su A dall’insieme dA:
[a1 x
f1 + · · · + ak x
fk ] = a1 dx1 + · · · + ak dxk .
L’applicazione
d : A −→ Ω
dx := [x̃]
è una K-derivazione.
Questa costruzione soddisfa la seguente proprietà universale: per ogni Kderivazione δ : A → M esiste una unica applicazione A-lineare ϕ : ΩA/K →
M tale che δ = ϕ ◦ d.
δ
A
−→
M
&
%
ϕ
d
ΩA/K
(Ovviamente per ogni applicazione A-lineare ϕ come sopra la composizione
ϕ ◦ d è una K-derivazione di A).
Dimostrazione. Unicità: perchè ϕ(dx) = δx e perchè i dx generano Ω. Esistenza: data δ si definisce una applicazione A-lineare F → M tale che
a1 x
f1 + · · · + ak x
fk 7→ a1 δx1 + · · · + ak δxk . Questa applicazione manda N → 0
e induce una applicazione quoziente F/N → M .
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