Estratto - La Tribuna

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L'ASSETTO NORMATIVO
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CAPITOLO I
L'ASSETTO NORMATIVO
L’istituto
Dopo la legge 898 del 1970, che istituiva il cd. divorzio, la legge 151
del 1975, che eliminava ogni differenza tra marito e moglie nel regime matrimoniale, anche con riferimento ai figli, e la legge 54 del 2006, che introduceva la regola dell’affidamento condiviso ma anche significative novità
di carattere processuale relative ai processi aventi ad oggetto la crisi dell’unione matrimoniale, il cantiere delle riforme in materia di rapporti familiari è stato recentemente riaperto (non senza dimenticare l’emanazione
della l. 40 del 2006, sulla procreazione medicalmente assistita).
Il dato fattuale dal quale appare opportuno partire è che un bimbo su
cinque in Italia nasce fuori dal matrimonio (circa 100.000 all’anno).
Il fenomeno è comune agli altri Paesi dell’occidente, in alcuni dei
quali anzi – è il caso della Francia – il numero dei figli nati da coppie
non coniugate (o non ancora coniugate) supera ormai quello dei figli nati
da coppie ‘’tradizionali”.
Da tempo era da più parti segnalata la necessità che le due categorie
dei figli, i figli nati in costanza di matrimonio e quelli nati fuori
da esso, ricevessero una disciplina il più possibile omogenea. Ogni
eventuale differente trattamento normativo appariva ai più ingiustificato
alla luce delle intervenute profonde modificazioni nella concezione ed assetto della famiglia ma anche del quadro normativo sovraordinato.
In primo luogo l’art. 30 Cost. aveva infatti riconosciuto ai figli nati
fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, anche se permanevano
vistose limitazioni al riconoscimento della paternità: dispone infatti l’art.
30 che «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare
i figli anche se nati fuori dal matrimonio...» ma poi prevede che “la
legge detta norme e limiti per il riconoscimento della paternità”.
La ‘’clausola di salvaguardia” in oggetto consentì così, nei primi venti
anni di vigenza della Costituzione, una lettura conservatrice, tesa alla
salvaguardia delle discriminazioni previste dal codice civile del 1942; la
stessa Corte Costituzionale, almeno in una fase iniziale, giunse ad affer-
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mare che l’equiparazione tra figli legittimi naturali può aver luogo solo
laddove manchi in concreto una famiglia legittima da tutelare.
Si tratta di un orientamento ormai superato, prevalendo da decenni
un’interpretazione del terzo comma dell’art. 30 Cost. cit. – tenuto anche
conto delle più generali previsioni degli artt. 2 e 3 – che assicuri la piena
applicazione del principio di eguaglianza.
La stessa clausola di compatibilità è ora interpretata come a tutela
dei figli già inseriti nell’ambito della famiglia, e non come fonte di discriminazione per quelli ‘’naturali’’.
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 era stato rimosso il
divieto di riconoscimento dei figli adulterini e passi avanti erano stati
compiuti anche con riferimento ai diritti successori, pervenendo ad una
“quasi” equiparazione tra figli legittimi e naturali.
Un ulteriore passo verso una piena equiparazione è stato poi compiuto dalla l. n. 54/2006 citata, la cd. legge sull’affidamento condiviso, l’articolo 4 della quale dispone che le nuove norme (formalmente
costituenti una novellazione del codice civile e di quello di rito, quindi
relative alla sola separazione) si applicano anche – tra l’altro – ai figli di
genitori non coniugati.
Si tratta di una disposizione di grande significato, considerato che
il novellato art. 155 c.c. esprimeva principi generali che vanno oltre la
stessa patologia del rapporto familiare (coniugale o di fatto che sia, e
anche in mancanza di una convivenza tra i genitori): si pensi alla solenne
enunciazione della tutela prevalente dell’interesse del minore.
In realtà la vera discriminazione era data dal fatto stesso che la differenza era operata sullo stato di genitore (coniugato, non coniugato) e
che non esistesse uno “statuto unitario della filiazione”.
Molte norme internazionali deponevano del resto per la necessità di
un pieno superamento delle differenze.
Le stesse convenzioni internazionali di New York (20 novembre
1989) e Strasburgo (25 gennaio 1996) ratificate dall’Italia, imponevano un
immediato cambio di rotta del nostro legislatore, atteso da molto tempo.
In tal senso erano anche l’art. 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante in forza del Trattato di Lisbona
(art. 6 Trattato Unione europea, testo consolidato), che vieta ogni forma
di discriminazione fondata sulla nascita, nonché gli artt. 8 e 12 della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo), che proteggono la vita
privata e vietano ogni discriminazione.
L’auspicato cambio di rotta è stato realizzato da due interventi normativi; in primis la legge 10 dicembre 2012 n. 219 che ha posto il principio
della piena equiparazione tra figli nati all’interno e fuori del matrimonio,
ha dettato alcune regole e al contempo ha delegato il governo ha emanare
un decreto legislativo pienamente attuativo di tale principio; e quindi il
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d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, che in attuazione di detta delega, è intervenuto su molteplici articoli del codice civile, del codice di procedura
civile, del codice penale e di numerose leggi speciali.
A tal proposito, si è parlato di una novellazione a metà, secondo una
attività legislativa rateizzata (Casaburi, La nuova disciplina della filiazione: gli obiettivi conseguiti e le prospettive (specie inaspettate) future, in
Corr. Mer., 2013, 8-9, 817).
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 è stata pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale del 17 dicembre 2012, n. 293 ed è entrata in vigore in data 1
gennaio 2013.
La nuova legge si compone di sei soli articoli.
L’art. 1 riforma varie disposizioni del libro primo del codice civile,
inerenti la filiazione; si tratta di modifiche imperniate quasi tutte sull’unificazione dello status dei figli nati fuori e all’interno del matrimonio.
La norma cardine del nuovo sistema appare essere il nuovo art. 315
c.c. che, rubricato “stato giuridico della filiazione “ solennemente e in maniera lapidaria afferma: “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
L’unificazione dello stato di figlio rappresenta il nucleo essenziale
della nuova normativa; si è parlato al riguardo di ‘’filiazione senza aggettivi’’, il che significa che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico e hanno
diritto ad un’unica identità familiare, con uguali rapporti di parentela e
con gli stessi diritti successori (Carbone, Riforma della famiglia: considerazioni introduttive, in Fam. e Dir., 2013, 226).
A ben vedere la parificazione riguarda essenzialmente, più che lo status, lo statuto dei diritti del minore che comporta una identità di effetti
pur in presenza di una pluralità di titoli di filiazione, che vanno dalla
generazione all’adozione, al consenso alla procreazione assistita.
Una delle conseguenze pratiche più rilevanti è data dal riconoscimento
esplicito del legame di parentela del figlio con tutta la famiglia del genitore, in primis con i “nonni”; in tal senso è il novellato articolo 74 c.c.
che prevede che la parentela sia il vincolo tra persone che discendono
dallo stesso stipite “sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno
del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta fuori di esso, sia nel caso
in cui figlio è adottivo”.
In passato, la convinzione prevalente favoriva l’esistenza della famiglia legittima, non avendo la parentela naturale alcuna capacità espansiva
oltre il singolo rapporto figlio naturale-genitore. La parentela era quindi
ridotta ad un effetto del riconoscimento cioè della dichiarazione giudiziale
di paternità/maternità naturale, quindi riferibile solo al singolo genitore.
Dopo l’art. 315 c.c. la riforma introduce un nuovo articolo, il 315 bis
c.c., rubricato “diritti e doveri dei figli” che, nel riflettere l’art. 155 comma 1 e il vecchio art. 315, introduce poi nuovi diritti dei figli, tutti; esso
infatti dispone che essi, senza alcuna distinzione, hanno diritto di essere
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L. 10 dicembre 2012
n. 219 e i suoi punti
salienti
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mantenuti, educati, istruiti e (ecco le novità) assistiti moralmente dai genitori, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni;
hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti e di essere
ascoltati nelle questioni e nelle procedure che li riguardano.
Viene introdotto quindi un nuovo aspetto nel novero dei diritti dei figli,
quello del diritto all’assistenza morale, che costituisce la traduzione
giuridica di quel “diritto all’amore” già individuato dalla dottrina (così già
prima della riforma, Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni,
3° ed. riv., Milano, 2005, 324; id., La filiazione: bilanci e prospettive a
trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Trenta anni dalla riforma
del diritto di famiglia, a cura di G. Frezza, Milano, 2005, 95).
Lo stesso art. 1, sempre al fine della piena equiparazione, interviene
sulla disciplina, sostanziale e processuale, del riconoscimento del figlio
nato fuori dal matrimonio.
L’art. 2 delega poi il Governo alla modifica della disciplina esistente
in materia di filiazione e di dichiarazione di stato di adottabilità al fine di
eliminare ogni discriminazione tra i figli; a tal fine individua ben 14 principi
e criteri direttivi per il legislatore delegato e stabilisce il termine di un
anno per l’esercizio della delega e di un ulteriore anno per l’emanazione
di decreti integrativi o correttivi.
L’art. 3 modifica l’art. 38 disp. att. c.c. (tradizionalmente dedicato
al riparto di competenze tra Tribunale Ordinario e Tribunale per
i minorenni) e nel farlo, oltre a mutare appunto il riparto di competenze, determina un rilevante trasferimento di competenze in favore del
primo.
L’art. 38 infatti elencava una serie di articoli attribuendo la competenza per i relativi procedimenti al Tribunale per i minorenni mentre una
clausola residuale statuiva la competenza del Tribunale ordinario per i
provvedimenti per i quali non era prevista la competenza di una diversa
autorità giudiziaria. Nonostante tale disposizione, nel recente passato si
era determinata una vera e propria dispersione di competenze tra giudice
minorile e Tribunale Ordinario, con un grave pregiudizio per la giurisdizione civile in materia di stato e capacità della persona e della famiglia,
determinando numerosi e rilevanti inconvenienti, sovrapposizioni e contraddizioni, o quanto meno disagi e allungamenti, in pregiudizio all’interesse degli utenti a ottenere provvedimenti univoci in tempi ragionevoli.
Lo stesso articolo 3 procede poi a disciplinare, in poche parole, il
procedimento per l’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori
dal matrimonio e introduce nuovi strumenti giuridici tesi a dare piena
attuazione alla piena garanzia patrimoniale dei crediti di mantenimento
dei medesimi.
Da più parti si è però evidenziato come la legge 219, pur costituendo un
intervento di portata storica per la sostanziale equiparazione tra filiazione
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naturale e filiazione legittima, proprio sugli aspetti processuali e più propriamente ordinamentali ha rappresentato, invece, l’ennesima occasione
mancata per l’auspicato riordino delle competenze in materia familiare.
La legge citata, infatti, ha mantenuto il sistema binario tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni, ampliando notevolmente le
competenze del primo, attraverso la riformulazione dell’art. 38 disp. att.
c.c., e non ha istituito il c.d. Tribunale della famiglia (o meglio la sezione
specializzata in materia di famiglia), oggetto da tempo di diverse proposte normative; lo stesso Senato, in data 16 maggio 2013, ha approvato
un ordine del giorno che impegna il Governo a favorire l’avvio e il buon
esito dell’iter di riforma ordinamentale della giurisdizione in materia di
relazioni familiari e diritti fondamentali delle persone, in particolare dei
minori di età, mediante l’istituzione del “Tribunale per la persona e le
relazioni familiari’’, giudice unico specializzato, presso il quale andranno
a concentrarsi tutti i procedimenti relativi alla materia.
Invero la questione della istituzione di un giudice unico specializzato
per la materia delle relazioni familiari è poi tornata di attualità con la
preliminare approvazione da parte del Governo (nella seduta del 29 agosto
2014) di un d.d.l. da presentare alle Camere e che prevede la creazione
di “sezioni specializzate per la famiglia” e sui cui punti essenziali vedi il
successivo par. 5.
L’art. 4 reca le necessarie disposizioni transitorie.
L’art. 5 rivede alcune norme regolamentari in materia di stato civile.
L’art. 6 prevede la sola cd. clausola di invarianza finanziaria.
Il Governo è stato, come visto, delegato ad emanare, nei 12 mesi
dalla entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 (nel periodo quindi dall’1
gennaio al 31 dicembre 2013), i decreti legislativi di modifica delle norme
sulla filiazione e dichiarazione dello stato di adottabilità per eliminare discriminazioni ex art. 30 Cost. nell’osservanza dei princìpi di cui agli artt.
315 e 315-bis c.c., osservando i principi e criteri direttivi prescritti.
Le molte innovazioni da apportare riguardavano principalmente:
– la sostituzione lessicale in tutta la legislazione vigente di ogni riferimento alle nozioni di “figli legittimi” e “figli naturali” da sostituire con
quelle di “figli nati dal matrimonio” e “figli nati fuori dal matrimonio”;
– l’estensione della presunzione di paternità dei figli nati o concepiti
durante il matrimonio e la ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità;
– la modifica delle azioni di stato;
– la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di ascolto del
minore, che abbia capacità di discernimento;
– la unificazione della nozione di responsabilità genitoriale come
aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale sia rispetto ai figli nati nel
matrimonio che rispetto ai figli nati fuori da esso;
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Assetti delegati
(art. 2 L. n. 219
del 2012)
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D.Lgs. 28 dicembre
2013, n. 154
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– l’adeguamento della disciplina delle successioni e donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, con l’assicurazione che si producano
gli effetti successori riguardo ai parenti ed aventi causa del figlio naturale
premorto o deceduto nelle more del riconoscimento;
– la specificazione del concetto di abbandono morale e materiale dei
figli con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali
in tempo ragionevole, considerando che le condizioni di indigenza dei
genitori non possono essere di ostacolo al diritto del minore alla propria famiglia;
– la previsione della segnalazione ai Comuni da parte dei Tribunali
per i minorenni delle situazioni di indigenza di nuclei familiari, che richiedano sostegno, affinché il minore possa essere educato nella propria
famiglia;
– la previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il
diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
La delega è stata esercitata dal Governo con l’emanazione del d.lgs.
28 dicembre 2013 n. 154, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8
gennaio 2014 ed entrato in vigore il 7 febbraio 2014.
Il decreto legislativo in questione è un testo complesso ed assai elaborato, composto da ben 108 articoli e che, tra l’altro, rappresenta, dal
punto di vista formale, uno degli interventi di maggior impatto sul codice
civile mai realizzati; esso infatti procede, oltre che alla introduzione di
nuovi articoli, alla sostituzione di altri e alla trasposizione di intere parti di
codice. Inoltre il decreto legislativo modifica non solo il codice civile ma
anche il codice penale, i codici di procedura e diverse leggi speciali.
La struttura del decreto è infatti fondata proprio sull’oggetto della
novella e cioè del testo normativo sul quale lo stesso interviene.
Gli aspetti più salienti, per gli operatori pratici, sono i seguenti.
Da un punto di vista sistematico il titolo VII del libro primo, precedentemente rubricato “della filiazione” diviene “dello stato di figlio”, le
rubriche dei suoi capi mutano nome; così anche il titolo IX (“della potestà dei genitori”) diviene “della responsabilità genitoriale e dei diritti e
doveri del figlio”.
In primo luogo la nozione di potestà genitoriale viene ad essere sostituita, ovunque e in primis nel riformato art. 316, dalla nuova nozione
di derivazione comunitaria di “responsabilità genitoriale”, che è data
dai “diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in
virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore
riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in
particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita”: così l’ art. 2 n.
7 reg CE n. 2201/2003.
Il decreto, poi, abroga gli articoli del codice civile dal 155 bis al 155
sexies c.c. nonché i commi 3, 4, 5, 8, 12 dell’art. 6 l. 898/70, che rappre-
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senta(va)no le norme di riferimento quotidiano per qualunque operatore
del diritto che si occupasse della materia della famiglia: si tratta infatti
delle disposizioni che regolavano affidamento e mantenimento dei figli
nei casi di rottura della unione matrimoniale (rispettivamente per la separazione e il divorzio) e non matrimoniale (in forza del richiamo agli
artt. 155 e ss. c.c. dell’art. 4 della legge 54/2006); di fatto il loro contenuto
viene trasposto nei nuovi artt. 337 bis-337 octies, nel nuovo capo II del
titolo IX rubricato “esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di
separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento,
nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati
fuori del matrimonio”; in buona sostanza tali norme, anche formalmente,
diventano le regole di riferimento generale per tutte le controversie relativamente all’affidamento e al mantenimento di un figlio, sia esso nato da
una coppia genitoriale sposata o da una coppia non sposata.
Una delle conseguenze di tale risistemazione è che il ricorso per
introdurre una controversia genitoriale tra genitori non uniti in
matrimonio (prima di competenza del Tribunale per i minorenni e dalla
legge 219/2012 attribuito al Tribunale ordinario, ma comunque regolato
dall’art. 317 bis c.c.) viene oggi regolato dagli artt. 316 e 337 bis c.c. (e
dalle disposizioni da quest’ultimo richiamate), oltre che dal confermato
art. 38 disp. att. c.c., mentre l’art. 317 bis, originariamente dedicato a tale
materia, ora regola l’istituto, del tutto nuovo, dell’azione degli ascendenti nel caso in cui sia impedito il loro diritto di mantenere rapporti
significativi con i nipoti minorenni, rimessa, peraltro, alla competenza
giurisdizionale del Tribunale per i minorenni.
Viene, poi, compiutamente regolato l’ascolto del minore, che di
fatto diviene sempre obbligatorio, salvo che il giudice lo ritenga in contrasto con l’interesse del fanciullo o manifestamente superfluo; il diritto
all’ascolto in tutte le questioni o procedure che riguardino il minore
(purché ultradodicenne o se di età inferiore capace di discernimento) è
posto dall’art. 315 bis, è reiterato in molteplici disposizioni di carattere
particolare (per es. nell’art. 316 c.c. ove si prevede il potere del giudice
di risolvere contrasti tra genitori su questioni di particolare importanza;
nell’art. 317 bis ove si prevede la tutela giurisdizionale del rapporto nonni
e nipote; e nell’art. 348 comma 3 in caso di apertura di tutela; nell’art. 348
c.c. in caso di scelta del tutore e nell’art. 371 c.c. nel caso di apertura di
tutela del minore ove il giudice tutelare debba deliberare sul luogo dove
esso deve essere cresciuto e sul suo avviamento agli studi o all’esercizio
di un’arte o mestiere); da un punto di vista processuale esso è poi regolato
dal nuovo articolo 337 octies e dall’art. 38 bis disp. att c.c.
Di fatto tale disciplina reca disposizioni spesso in gran parte ricognitive delle soluzioni della giurisprudenza, con un indubbio ausilio
all’uniformità delle prassi operate dai vari Tribunali, ma probabilmente
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Prospettive future
non fuga tutti i dubbi applicativi e interpretativi preesistenti relativi alle
modalità e alle conseguenze della partecipazione del minore nei processi
che lo riguardano.
La piena equiparazione tra tutti i figli determina conseguenze anche
sulla materia delle successioni e donazioni, dovendosi eliminare ogni
disparità di trattamento tra figli “legittimi” e “naturali”, prima esistenti
nel sistema e il raggiungimento di tale obiettivo è affidato alla modifica
di numerosi articoli del libro secondo, dall’art. 467 all’art. 804; in ognuna
delle disposizioni ove esisteva il riferimento ai figli “naturali” e ai figli
“legittimi” esso viene eliminato e dovunque compare la sola parola “figli”
e viene modificato il cd. diritto di commutazione.
Per quanto riguarda gli interventi sugli altri codici e leggi speciali,
accanto agli interventi resisi necessari in conseguenza dell’eliminazione delle nozioni di figlio naturale e di potestà genitoriale, si
segnalano alcuni interventi sul contenuto del ricorso di separazione e
divorzio, la precisazione dei presupposti per la declaratoria dello stato
di abbandono nelle procedure di adottabilità, l’introduzione di un potere, in capo al Tribunale per i minorenni, di un potere di segnalazione al
Comune dei nuclei familiari in situazioni di disagio.
Vengono infine riscritte le norme sulla filiazione nel diritto internazionale privato (artt. 33, 34, 35, 36, 36 bis, 38 della l. 218/1990).
Il quadro finora delineato potrebbe essere oggetto di alcuni significativi mutamenti ove venga approvato dal legislatore il d.d.l. il cui schema
è stato preliminarmente approvato dal Consiglio dei Ministri in data 29
agosto 2009 e recante il titolo “Schema di disegno di legge delega al governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile”.
L’art. 1 di tale schema di disegno di legge prevede infatti la delega al
governo perché lo stesso provveda, entro diciotto mesi dall’approvazione
della legge, ad:
a) istituire presso tutte le sedi di tribunale le “sezioni specializzate
per la famiglia e la persona”;
b) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate di cui alla
precedente lettera a):
b.1) tutte le controversie attualmente di competenza del tribunale
per i minorenni in materia civile di cui all’articolo 38 delle disposizioni
di attuazione del codice civile;
b.2) le controversie attualmente devolute al tribunale civile ordinario in materia di stato e capacità della persona, rapporti di famiglia e di
minori, ivi compresi i giudizi di separazione e divorzio;
b.3) le controversie di competenza del giudice tutelare in materia di
minori e incapaci;
b.4) le controversie relative al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione internazionale disciplinate dal decreto legislativo 28
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gennaio 2008, n. 25 e successive modificazioni, nonché dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n.150;
c) concentrare presso le sezioni specializzate aventi sede nel capoluogo del distretto di Corte di appello, in aggiunta alle competenze di cui
alla precedente lettera b):
c.1) i procedimenti relativi alle adozioni;
c.2) i procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e
ai richiedenti protezione internazionale;
c.3) i procedimenti relativi alla rettificazione di attribuzione di sesso,
ai diritti della personalità, ivi compresi il diritto al nome, all’immagine,
alla reputazione, all’identità personale, alla riservatezza e tutte le questioni afferenti l’inizio e fine vita;
d) individuare le materie riservate alla competenza collegiale;
e) assicurare alla sezione l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materie di competenza;
f) prevedere che le attribuzioni conferite dalla legge al pubblico
ministero nelle materie di competenza delle sezioni specializzate siano
esercitate da magistrati assegnati all’ufficio specializzato per la famiglia e
per i minori, costituito all’interno della procura della Repubblica presso
i tribunali dove sono istituite le sezioni;
g) rideterminare le dotazioni organiche delle sezioni specializzate,
dei tribunali civili e dei tribunali per i minorenni, adeguandole alle nuove
competenze;
h) disciplinare il rito in modo uniforme e semplificato.
Lo schema seguito prevede quindi non l’istituzione di un Ufficio autonomo ma di sezioni specializzate presso ciascun Tribunale; le sezioni
specializzate presso i Tribunali diversi da quello che ha sede nel capoluogo
del distretto di Corte di appello continuerebbero ad avere le tradizionali
competenze (separazioni, divorzio e ad oggi affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio; affari del giudice tutelare) cui andrebbero aggiunte le competenze ex Tribunale minorile elencate nell’art.
38 disp. att. c.c.; il Tribunale capoluogo, oltre a occuparsi di tutto ciò,
assorbirebbe anche le competenze in materia di adozioni; avrebbe una
(singolare) competenza distrettuale sui mutamenti di sesso, diritti della
personalità e anche sulle “questioni di inizio e fine vita”.
Di fatto, invece, il Tribunale minorile conserverebbe le sole competenze penali.
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