Mancava una settimana al matrimonio di Agatha Raisin con James

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Mancava una settimana al matrimonio di Agatha Raisin con James
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Estratto da:
M.C. Beaton
Agatha Raisin e il matrimonio assassino
Titolo originale dell’opera
Agatha Raisin and the Murderous Marriage
Traduzione dall’inglese
di Marina Morpurgo
© 1996, 2010 M.C. Beaton
© 2012 astoria srl
via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano
Prima edizione: ottobre 2012
ISBN 978-88-96919-37-8
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
Mancava una settimana al matrimonio di Agatha Raisin
con James Lacey. Gli abitanti del villaggio di Carsely erano
delusi perché la cerimonia nuziale non si sarebbe svolta presso la chiesa del villaggio ma in municipio a Mircester, e la
signora Bloxby, la moglie del pastore, era perplessa e ferita.
Solo Agatha sapeva di non avere prove che suo marito
fosse morto. Solo Agatha sapeva che correva il rischio di
diventare bigama. Ma era ossessionata da James Lacey, il
suo vicino di casa, bello e fascinoso, e atterrita all’idea di
perderlo, cosa che magari sarebbe successa se Agatha avesse rinviato le nozze in attesa di prove certe della morte di
Jimmy Raisin. Agatha non vedeva quell’ubriacone di suo
marito da anni. Doveva essere morto.
Aveva scelto il municipio di Mircester perché l’impiegato all’anagrafe era anziano e sordo e totalmente privo di
curiosità e così Agatha aveva solo dovuto fare delle dichiarazioni e riempire alcuni moduli, senza fornire prove concrete, tranne il passaporto che riportava ancora il suo nome
e cognome da ragazza, Agatha Styles. Il banchetto nuziale
si sarebbe tenuto nella sala municipale di Carsely, e gli abitanti del villaggio erano stati invitati pressoché in massa.
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Ma, all’insaputa di Agatha, c’erano già forze che cospiravano contro di lei. Il suo giovane amico di un tempo, Roy
Silver, in un attacco di malevola ripicca perché si era sentito
snobbato da Agatha nonostante le avesse offerto una buona opportunità nel campo delle pubbliche relazioni – Roy
un tempo aveva lavorato per l’agenzia di Agatha e poi era
passato al concorrente che aveva rilevato l’attività di Agatha, quando lei era andata anzitempo in pensione – aveva
ingaggiato un investigatore privato per vedere di scoprire
dove fosse finito il signor Raisin. Roy era affezionato ad
Agatha come avrebbe potuto esserlo a chiunque altro, ma
quando lei aveva risolto il suo ultimo caso di omicidio, e lui
aveva sperato di guadagnare un po’ notorietà mettendocisi
di mezzo, Agatha lo aveva snobbato, e un tipo come Roy
non era capace di rinunciare alla vendetta.
Beatamente ignara di tutto ciò, Agatha mise in vendita
il suo cottage, pronta a trasferirsi, dopo le nozze, da James
che viveva lì accanto. Di tanto in tanto la sua felicità era
offuscata da piccole fitte di ansia. Anche se lei e James facevano l’amore, anche se passavano parecchio tempo insieme,
lei sentiva di non conoscerlo davvero. James era un colonnello dell’esercito, ora in pensione, ed era venuto a vivere
in un villaggio dei Cotswolds per scrivere un saggio di storia
militare. James era un tipo distante, riservato. Parlavano dei
casi di omicidio che avevano risolto insieme, parlavano di
politica, della gente del villaggio, ma non parlavano mai dei
sentimenti che provavano l’uno per l’altra, e James era un
amante silenzioso.
Agatha era una donna di mezza età, diretta, a volte rozza, nata povera e arrivata al successo. Prima di ritirarsi a
Carsely non aveva avuto veri amici, perché l’unico amico
di cui avesse bisogno, così pensava all’epoca, era il lavoro. E
così, per quanto fornita di solido buonsenso e onesta con se
stessa, quando si trattava di James, si mostrava cieca – accecata non solo dall’amore ma dal fatto che, non essendo mai
stata capace di lasciar avvicinare le persone, la singolare
mancanza di comunicatività del futuro marito le appariva
quasi normale.
Per le nozze aveva scelto un abito di lana bianco. Lo
avrebbe accompagnato con un cappello di paglia a tesa larga, una camicetta di seta verde, scarpe nere con il tacco
alto, un mazzolino di fiori sul bavero al posto del bouquet
tradizionale. A volte rimpiangeva di non poter tornare giovane, e di non potersi maritare in bianco. Si rammaricava di aver sposato Jimmy Raisin e di non potersi sposare
in chiesa. Provò ancora una volta il vestito bianco e poi si
scrutò attentamente il viso, riflesso nello specchio. I suoi
occhi da orsetto erano troppo piccoli ma li si sarebbe potuti
far sembrare più grandi, nel giorno fatidico, con un tocco
sapiente di mascara e di ombretto. C’erano quelle odiose
rughette attorno alla bocca, e con grande orrore vide spuntare dal labbro superiore un lungo pelo, che si affrettò a
estirpare con la pinzetta. Si tolse il prezioso abito, si rivestì
con una camicetta e dei pantaloni e si spalmò vigorosamente la faccia con crema antirughe. Si era messa a dieta e questo pareva aver risolto il suo problema del doppio mento. I
capelli castani, tagliati a caschetto, splendevano sani.
Suonarono alla porta. Imprecò sottovoce, si ripulì dalla
crema antirughe e andò ad aprire. Sulla soglia c’era la signora Bloxby, la moglie del pastore.
“Oh, accomodati,” disse Agatha, con riluttanza. Era affezionata alla signora Bloxby, eppure la sola vista di quella
brava donna con i suoi occhi gentili e il viso insignificante
bastava a farle venire dei sensi di colpa. La signora Bloxby
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aveva chiesto ad Agatha che fine avesse fatto suo marito,
e Agatha le aveva risposto che Jimmy era morto, ma ogni
volta che vedeva la moglie del pastore Agatha cominciava
a provare la sgradevole sensazione che quel disgraziato di
Jimmy, nonostante il suo etilismo giovanile, potesse essere
in qualche modo ancora vivo.
Roy Silver era di fronte all’investigatrice da lui ingaggiata. Era una tipa sulla trentina, tal Iris Harris. La signora
Harris – non signorina, morditi la lingua – era un’ardente
femminista e Roy aveva cominciato a chiedersi se possedesse qualche abilità nel suo lavoro, o se si fosse specializzata
nel molestare i suoi clienti concionandoli sui diritti delle
donne. E dunque si stupì quando Iris gli disse: “Ho trovato
Jimmy Raisin”.
“Dove?”
“Sotto le arcate del ponte di Waterloo.”
“Devo vederlo,” disse Roy. “È lì, ora?”
“Non credo che si allontani mai, se non per procacciarsi
dell’altro alcol.”
“È certa che sia lui?”
Iris lo guardò con disprezzo. “Solo perché sono una donna lei pensa che io non sappia fare il mio mestiere. Solo
perché… ”
“Mi risparmi!” disse Roy. “Andrò a vedere con i miei
occhi. Lei ha lavorato bene. Mi mandi la parcella.” E poi
fuggì dall’ufficio prima che quella potesse infliggergli un altro pistolotto.
La luce si stava spegnendo in cielo quando Roy scese
dal taxi alla stazione di Waterloo e poi si incamminò verso
le arcate. In quel momento si rese conto della follia di non
essersi portato appresso Iris. Avrebbe come minimo dovuto
chiederle una descrizione. C’era un giovanotto seduto davanti a una scatola di cartone, la sua casa. Sembrava sobrio,
anche se Roy si fece un po’ intimorire dalle braccia tatuate
e dal cranio rasato.
“Conosce un tizio che si chiama Jimmy Raisin?” azzardò Roy, improvvisamente timido. Era quasi buio, ormai, e
quella era una parte di Londra che lui abitualmente preferiva ignorare – i vagabondi, gli ubriaconi, i drogati.
Se il giovanotto avesse negato di conoscere Jimmy Raisin, Roy avrebbe deciso di lasciar perdere l’intera faccenda. All’improvviso si vergognò del proprio comportamento
meschino. Ma la buona stella di Agatha stava decisamente
tramontando, e dunque il giovanotto disse, laconico: “Laggiù, capo”.
Roy scrutò l’oscurità.
“Dove?”
“Terza scatola a sinistra.”
Roy avanzò lentamente verso la scatola di cartone che
gli era stata indicata. All’inizio gli parve vuota, ma chinandosi e guardando nel buio colse il brillìo di due occhi.
“Jimmy Raisin?”
“Sì, che c’è? Assistenza sociale?”
“Sono un amico di Agatha… Agatha Raisin.”
Ci fu un lungo silenzio, seguito da una risatina asmatica.
“Aggie? Pensavo che fosse morta.”
“No, non lo è. E mercoledì prossimo si sposerà. Vive a
Carsely, nei Cotswolds. E pensa che sia lei, quello morto.”
Da dentro lo scatolone venne un certo tramestio e poi
Jimmy Raisin emerse a quattro zampe, prima di alzarsi
faticosamente in piedi. Perfino in quella luce fioca, Roy riusciva a vedere quanto fosse devastato dall’alcol. Era sudicio e puzzava in modo abominevole. La faccia era coperta
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di pustole infiammate e i capelli erano lunghi, arruffati e
incolti.
“Hai dei soldi?” chiese.
Roy frugò nel taschino interno del giubbotto, tirò fuori il
portafoglio dal quale pescò una banconota da venti sterline,
e gliela porse. Adesso provava davvero vergogna per quel
che stava facendo. Agatha non se lo meritava. Nessuno se
lo meritava, neppure una carogna infame come Agatha.
“Ascolta, lascia perdere. Dimentica quel che ti ho detto,
stavo solo scherzando.” Roy girò i tacchi e fuggì.
L’indomani mattina Agatha si svegliò nel cottage di
James, nel letto di James, e si stiracchiò sbadigliando. Girandosi, e puntellandosi sul gomito, osservò il suo promesso
sposo. I capelli brizzolati di James erano arruffati. Il suo
bel viso dai tratti decisi era colorito dal sole, e ancora una
volta Agatha provò quella fitta di disagio. Gli uomini dello
stampo di James Lacey erano destinati ad altre donne, gentildonne di campagna con un solido retroterra da gentildonne, donne vestite di tweed e proprietarie di cani, donne
in grado di sfornare torte e marmellate per le vendite benefiche della chiesa, anche con una mano legata dietro la
schiena. Uomini del genere non erano destinati alle Agatha
Raisin di questo mondo.
Le sarebbe piaciuto svegliarlo e fare di nuovo l’amore.
Ma James non faceva mai l’amore al mattino, non era più
successo dopo quel primo glorioso mattino. La sua vita era
ben controllata, ordinata – come le sue emozioni, pensò
Agatha. Andò in bagno, si lavò, si vestì e scese al piano di
sotto, indecisa. Era lì che sarebbe andata a vivere, tra i libri
di James, le vecchie foto di scuola e dell’esercito, e avrebbe
cucinato lì, in quella cucina linda come una clinica, i cui
ripiani immacolati non conoscevano briciole. Ma avrebbe
cucinato, poi? Quando erano insieme i pasti li preparava
sempre James. Si sentiva un’intrusa.
La madre e il padre di James erano morti, ma Agatha aveva rivisto la sorella, una donna elegante, con suo marito, un
agente di borsa alto di statura. I due apparentemente né approvavano né disapprovavano la futura cognata, sebbene ad
Agatha fosse capitato di sentire la sorella di James dire: “Insomma, se a James piace, non sono affari nostri. Poteva andare peggio. Avrebbe potuto trovarsi una squinzia decerebrata”.
E suo marito aveva ribattuto: “Una squinzia decerebrata
sarebbe stata già una scelta più comprensibile”. Non un
gran complimento, pensò Agatha.
Decise di tornare nel porto sicuro di casa sua, lì accanto.
Una volta entrata, mentre veniva accolta con gioia incontenibile dai suoi gatti Hodge e Boswell, si guardò attorno
malinconicamente. Aveva organizzato il trasferimento in un
magazzino di tutti i mobili e gli ammennicoli, non volendo
invadere con le sue cose il cottage ordinatino di James, specie dopo che lui aveva accettato di accogliere i gatti. Adesso
rimpiangeva di non aver proposto a James di unire le forze
per comprare una casa più grande, dove lei avrebbe potuto
tenere parte delle sue cose. Vivere con James sarebbe stato
come essere, in un certo senso, un’ospite fissa.
Diede da mangiare ai gatti e aprì la porta sul retro per
farli uscire in giardino. Era una giornata spettacolosa,
con il cielo che splendeva ampio sopra le verdi colline dei
Cotswolds, e una brezza gentile.
Agatha tornò in cucina e si preparò una tazza di caffè, osservando con affetto tutto il ciarpame che James non
avrebbe mai accolto. Qualcuno suonò alla porta.
Sulla soglia c’era il sergente di polizia Bill Wong, che si
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stringeva al petto uno scatolone ingombrante. “Finalmente
sono andato a comprarti il regalo di nozze,” disse.
“Entra, Bill. Ho appena fatto il caffè.”
Lui la seguì in cucina e mise lo scatolone sul tavolo. “Che
cos’è?” domandò Agatha.
Bill sorrise, strizzando gli occhi a mandorla. “Aprilo e
vedi tu stessa.”
Agatha strappò la carta da regalo. “Fai attenzione,” l’avvertì Bill. “È fragile.”
L’oggetto era assai pesante. Lei lo sollevò con un grugnito e poi strappò anche la velina che lo avvolgeva, tenuta
insieme da nastro adesivo. Era un grosso elefante di porcellana, verde e oro, pacchianamente sgargiante e con un
buco sul dorso.
Agatha lo guardò, confusa. “A cosa serve il buco?”
“Per metterci gli ombrelli,” rispose Bill, trionfante.
Il primo pensiero di Agatha fu che James l’avrebbe trovato orribile.
Poi si rese conto che Bill le stava chiedendo: “Allora, che
te ne pare?”.
Agatha si ricordò di aver sentito un giorno raccontare
che Noel Coward era andato a vedere una commedia decisamente brutta, e quando l’attore principale gli aveva chiesto che cosa ne pensasse, lui aveva risposto: “Caro ragazzo,
sono senza parole”.
“Non avresti dovuto, Bill,” disse Agatha con trasporto
autentico. “Ha l’aria di essere molto costoso.”
“È roba antica,” disse Bill, orgoglioso. “Per te solo il meglio.”
Gli occhi di Agatha si colmarono di lacrime. Bill era stato il primo amico che avesse mai avuto, un’amicizia nata
subito dopo il trasferimento in campagna.
“Me lo terrò caro,” disse, con fermezza. “Ma adesso riponiamolo con attenzione perché domani arrivano gli uomini a portare in deposito tutte le mie cose.”
“Ma non hai bisogno di fare su anche questo,” disse Bill.
“Portatelo direttamente nella casa nuova.”
Agatha sorrise debolmente. “Che sciocca. Non stavo
pensando.”
Versò a Bill una tazza di caffè.
“Tutto pronto per il gran giorno?” domandò lui.
“Tutto pronto.”
Gli occhi di Bill presero un’espressione furba. “Niente
dubbi o timori?”
Lei scosse la testa.
“Non te l’ho mai chiesto… di che cosa è morto tuo marito?”
Agatha si voltò a raddrizzare un panno da cucina. “Intossicazione da alcol.”
“Dove è sepolto?”
“Bill, quello non è stato un matrimonio felice, la cosa è
successa secoli fa e io preferirei dimenticare. D’accordo?”
“D’accordo. Suonano alla porta.”
Agatha andò ad aprire alla signora Bloxby. Bill si alzò
per congedarsi. “Devo andare, Agatha. In realtà sono in
servizio.”
“Qualcosa di interessante?”
“Non ho omicidi succosi per lei, miss Marple. Solo
un’ondata di case svaligiate. Arrivederla, signora Bloxby.
Sarà lei la damigella d’onore di Agatha?”
“Avrò questo onore,” disse la signora Bloxby.
Quando Bill se ne fu andato, Agatha, mostrò l’elefante alla signora Bloxby. “Oh cielo,” disse la signora Bloxby.
“Sono anni che non vedo un coso del genere.”
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“James non potrà che trovarlo orrendo,” dichiarò Agatha, tetra.
“James dovrà solo farci l’abitudine. Bill è un buon amico.
Se fossi in te, ci farei crescere dentro una pianta d’appartamento, sai, di quelle con i rami ricadenti e grandi foglie. Lo
nasconderebbe quasi interamente e Bill sarebbe compiaciuto nel vederlo utilizzato in modo tanto artistico.”
“Buona idea,” disse Agatha, rasserenandosi.
“E dunque in luna di miele andrete nella parte settentrionale di Cipro. Pensate di soggiornare in un albergo? Ricordo che io e Alf siamo stati al Dome di Kyrenia.”
“No, abbiamo affittato una villa. James era lì di stanza, ai
tempi dell’esercito, e ha scritto al suo vecchio factotum, un
tizio che gli risolveva tutti i problemi e che adesso gli ha mandato la foto di una casetta deliziosa appena fuori Kyrenia,
lungo la strada per Nicosia. Dovrebbe essere un paradiso.”
“In realtà però io ero venuta per darti una mano a fare
su la roba,” disse la moglie del pastore.
“Ti ringrazio moltissimo, ma non ce n’è bisogno,” disse
Agatha. “Ho chiamato una di quelle ditte di traslochi fantascientifiche. Fanno tutto loro.”
“Allora non mi fermo per il caffè. Devo andare a fare
visita alla signora Boggle. La sua artrite è peggiorata.”
“La vecchia Boggle è un soggetto ideale per l’eutanasia,”
disse Agatha, irritata. La signora Bloxby posò su Agatha il
suo sguardo dolce, facendola arrossire per il senso di colpa
e spingendola a dire: “Anche tu devi ammettere che è una
bella lagna”.
La signora Bloxby si lasciò sfuggire un lieve sospiro. “Sì,
ammetto che ti mette a dura prova. Agatha, ascolta, io non
voglio essere insistente, ma sono un po’ sorpresa dal fatto
che tu non abbia voluto sposarti nella nostra chiesa.”
“Un matrimonio in chiesa pareva una faccenda troppo
complicata, e io, lo sai bene, non sono esattamente una tipa
religiosa.”
“Oh, in ogni caso sarebbe stato simpatico. Pazienza, siamo tutti ansiosi di partecipare al ricevimento. Ci avrebbe
fatto piacere darti una mano. Non avevi bisogno di spendere i soldi del catering.”
“È che non voglio fastidi, di nessun genere,” disse Agatha.
“Non fa nulla, allora, dopotutto il matrimonio è tuo.
James ti ha mai spiegato come mai non si è mai sposato
prima?”
“No, perché io non gliel’ho mai chiesto.”
“Pura curiosità. Ti serve qualcosa dal negozio?”
“No, grazie. Mi pare di essere a posto.”
Dopo che la signora Bloxby se ne fu andata, Agatha si
interrogò se fosse il caso o no di tornare nel cottage accanto
a preparare la colazione, da brava mogliettina. Ma James
la colazione se la preparava sempre da solo. Lei lo adorava,
lei avrebbe voluto passare con lui ogni momento della giornata, eppure aveva sempre il terrore di dire o fare qualcosa
che lo avrebbe spinto ad annullare le nozze.
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L’indomani il tempo si guastò e la pioggia intrise il tetto
di paglia del cottage di Agatha. Lei fu impegnata tutto il
giorno nella supervisione dell’imballaggio. Nel tardo pomeriggio si presentò Doris Simpson, la donna delle pulizie,
a dare una mano a riordinare il caos ancora rimasto. L’elefante di Bill se ne stava dietro la porta della cucina.
“Oh, ma questo sì che è bello,” disse Doris, piena di
ammirazione. “Chi te l’ha dato?”
“Bill Wong.”
“Ha buon gusto, bisogna ammetterlo. E così stai per
sposare il nostro signor Lacey, finalmente, e sì che tutti noi
lo consideravamo uno scapolo impenitente. Ma come ho
sempre detto, la nostra Agatha ottiene sempre quello che
vuole.”
“Noi stiamo per uscire a cena, quindi lascio finire a
te,” disse Agatha, non gradendo molto quella che le parve
un’allusione al fatto che lei avesse spinto James a sposarla,
agendo come un bulldozer.
Quella sera cenarono in un nuovo ristorante a Chipping
Campden. Si rivelò essere uno di quei locali in cui si profondevano molte energie e molti sforzi nella compilazione
del menù e in compenso si badava ben poco alla cucina,
perché il cibo era misero e insapore. Agatha aveva ordinato
“Anatra croccante con salsa al brandy e arancia su letto di
rucola calda, guarnita con sauté di patate sfrigolanti, succulenti pisellini dell’orto e carotine novelle al dente”.
James prese “Squisito controfiletto di Angus dai verdi
pascoli delle colline scozzesi, servito con patate duchessa e
verdurine bio del nostro orto”.
L’anatra di Agatha aveva la pelle coriacea e ben poca
carne attaccata alle ossa. La bistecca di James era piena di
nervetti, e lui commentò acidamente che era stupefacente
come l’orto del ristorante fosse riuscito a produrre dei piselli
surgelati dal colore così sgargiante.
Il vino, uno Chardonnay, era poco corposo e aspro.
“Dovremmo smettere di cenare fuori,” disse James, incupito.
“Domani sera potrei preparare io qualcosa di buono,”
disse Agatha.
“E cosa, un altro dei tuoi pranzetti al microonde?”
Agatha tenne gli occhi fissi sul piatto. Continuava a cul12
larsi nell’illusione che se avesse scaldato al microonde un
piatto surgelato nascondendo gli involucri, James avrebbe
creduto a un’opera delle sue mani.
All’improvviso lo guardò, mentre con fare imbronciato
muoveva qua e là il cibo nel piatto, e disse: “James, ma tu
mi ami?”.
“Non sto forse per sposarti?”
“Sì, James, lo so, ma non parliamo mai dei nostri sentimenti. Penso che dovremmo comunicare di più.”
“Hai di nuovo guardato Oprah Winfrey. Grazie per
averlo condiviso con me, Agatha. Io non sono uno di quelli
che parlano di sentimenti, e proprio non ne avverto il bisogno. E adesso che ne dici se mi faccio fare il conto e ce
andiamo a casa a mangiare un panino?”
Agatha era così a pezzi che non ebbe neppure il coraggio di lagnarsi del cibo. Guidando verso casa James rimase
in silenzio, e Agatha sentì nello stomaco il peso di un blocco
di ghiaccio. E se lui l’avesse lasciata?
Ma quella sera James fece l’amore con lei con la solita
passione silenziosa, e Agatha si sentì rassicurata. Le persone non si possono cambiare. James stava per sposarla, e il
resto non contava nulla.
Il giorno delle nozze di Agatha i nuvoloni da pioggia
fecero marcia indietro. Il sole splendeva sulle pozzanghere.
Le rose del giardino di Agatha, afflosciate dai rovesci dei
giorni precedenti, emanavano un profumo inebriante. Doris Simpson avrebbe badato ai gatti di Agatha mentre lei
era in luna di miele. Adesso il cottage era vuoto. In quello
di James Agatha aveva portato solo i suoi vestiti e l’elefante.
Seduta davanti allo specchio da trucco, nel gran giorno,
Agatha rimosse lo strato generoso di crema antirughe, una
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crema nuova e costosa, e poi si guardò il viso, inorridita. Le
era spuntato fuori un eritema. La sua faccia era rossa come
un peperone. Si affrettò a tamponarla con acqua fredda,
ma il rossore rimase.
Quando la signora Bloxby arrivò, Agatha era quasi in
lacrime. “Guardami!” gemette. “Ho provato quella nuova
crema antirughe, Giovinezza Immediata, e questi sono i
risultati.”
“Si sta facendo tardi, Agatha,” disse la signora Bloxby, in
preda all’ansia. “Non hai del fondotinta coprente?”
Agatha trovò un vecchio tubo di fondotinta solido e se
ne spalmò sulla faccia uno strato spesso. Le lasciò una riga
netta dove finiva il mento e cominciava il collo, così se ne
spalmò dell’altro sul collo e sopra il tutto mise uno strato di
cipria. Seguirono ombretto, fard e mascara. Agatha gemette nel vedere l’effetto mascherone. Ma la signora Bloxby,
guardando fuori dalla finestra, annunciò l’arrivo della limousine che avrebbe portato Agatha a Mircester.
E questo dovrebbe essere il giorno più importante della
mia vita, pensò Agatha, abbattuta.
Il tempo era bello, ma con raffiche di vento prepotenti, e
una di queste, mentre Agatha era in procinto di salire sulla
limousine, le fece volare via dalla testa il cappello spedendolo a carambolare lungo Lilac Lane, dove alla fine si fermò
in una pozza fangosa.
“Oh, cielo,” lamentò la signora Bloxby. “Non hai un altro cappello?”
“Ne farò a meno,” disse Agatha, cercando di non scoppiare a piangere. All’improvviso sentì che tutto le si stava
rivoltando contro. E non aveva il coraggio di piangere. Perché le lacrime avrebbero scavato dei solchi nella maschera
che le copriva la faccia.
La signora Bloxby rinunciò ai tentativi di fare conversazione lungo la strada per Mircester. La sposa era insolitamente silenziosa.
Ma l’umore di Agatha parve risollevarsi non appena si
arrivò in vista del municipio e di James che era lì davanti, e
stava parlando con sua sorella e con Bill Wong. Era lì anche
Roy Silver, che si sentiva virtuoso per non avere, alla fine,
fatto nulla che potesse mettere a repentaglio il matrimonio
di Agatha, o almeno così stava dicendo a se stesso. Se Jimmy Raisin non era ancora morto, sarebbe comunque morto
di lì a poco. Sì, forse aveva accennato, con Jimmy, che Agatha si sarebbe sposata a Carsely, e che abitava lì, ma Jimmy
era talmente sbronzo, talmente strafatto, che Roy era certo
che non avesse capito neanche una parola.
E così entrarono tutti nel municipio, i parenti di James,
e, per Agatha, le signore della Società delle Dame di Carsely.
La signora Bloxby estrasse un mazzolino di fiori dalla
sua scatola, e lo fissò al bavero dell’abito bianco di Agatha.
Notò che il colletto bianco si era sporcato per colpa del
trucco, ma decise di non dire nulla, pensando che Agatha
dovesse sentirsi già abbastanza giù per via del suo aspetto.
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Fred Griggs, il poliziotto di Carsely, era un tipo originale
perché preferiva pattugliare il villaggio a piedi, anziché con
l’auto di servizio. Osservò con disappunto l’arrivo, lungo la
strada che veniva da nord, di un forestiero dall’aria dinoccolata.
“Mi fornisca, le sue generalità e il motivo per il quale si
trova qui, prego” disse Fred.
“Jimmy Raisin,” disse lo sconosciuto.
Jimmy era sobrio per la prima volta dopo parecchie set-
timane. Si era lavato e rasato presso un ostello dell’Esercito
della Salvezza e poi aveva implorato che gli dessero denaro
a sufficienza per comprare il biglietto dell’autobus fino ai
Cotswolds. L’Esercito della Salvezza gli aveva regalato perfino un paio di scarpe e un abito decente.
“Un parente della signora Raisin, vero?” domandò Fred,
con la faccia rotonda aperta in un sorriso cordiale.
“Sono suo marito,” rispose Jimmy. E poi si guardò attorno, osservando il villaggio silenzioso, le case ben tenute, e lasciandosi sfuggire un lieve sospiro di soddisfazione.
L’unico motivo che lo spingeva a cercare sua moglie era il
desiderio di una casa comoda, nella quale bere tranquillamente fino a morirne.
“Impossibile,” disse Fred, e il sorriso gli svanì dalle labbra. “La nostra signora Raisin si sposa oggi.”
Jimmy tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta sudicio e
ripiegato parecchie volte, un certificato di matrimonio che
in qualche modo aveva conservato per tutti quegli anni, e
lo consegnò, senza dire nulla, al poliziotto.
Sbigottito, Fred esclamò: “Devo assolutamente fermare
quel matrimonio. Ossignore! Mi aspetti qui. Vado a prendere la macchina”.
L’ufficiale di stato civile non fece in tempo a dichiarare
James e Agatha marito e moglie. Si udì del trambusto in
fondo alla sala e poi una voce che gridava: “Fermi tutti!”.
Agatha si girò lentamente. Riconobbe Fred Griggs, in
compagnia di un tizio che le parve un perfetto sconosciuto.
Sì, quando lo aveva lasciato, tanti anni prima, Jimmy sarà
anche stato un alcolista, però era un bell’uomo, con i capelli
folti, ricci e neri. L’uomo arrivato insieme a Fred aveva i
capelli grigi e unti, e il viso gonfio con il naso tumefatto, e le
spalle gracili erano incurvate. In effetti la sua figura pareva
troppo fragile per portare il peso del ventre rigonfio che
sporgeva sopra la cintura dei pantaloni.
Fred si avvicinò di corsa ad Agatha. Aveva pensato di
prenderla da parte per comunicarle con tatto la notizia, ma
la faccia di Agatha, inorridita e simile a una maschera, gli
fece saltare i nervi, e così il poliziotto sbottò di fronte a tutti:
“C’è qui tuo marito, Agatha. Questi è Jimmy Raisin”.
Agatha si guardò attorno, stupita. “È morto. Jimmy è
morto. Di cosa sta parlando, Fred?”
“Sono io, Aggie, sono tuo marito,” disse Jimmy. E sventolò il certificato matrimoniale sotto il naso di Agatha.
Lei si rese conto che James Lacey, al suo fianco, si era
irrigidito per lo shock.
Tornò a guardare Jimmy Raisin e vide, sotto le rovine
degli anni, le vaghe sembianze del marito che conosceva
un tempo.
“Come mi hai trovata?” chiese, debolmente.
Jimmy si guardò attorno. “Lui,” disse, indicando Roy
con un cenno del pollice. “Si è presentato davanti al mio
scatolone.”
Roy si lasciò sfuggire un urletto di terrore, girò i tacchi
e fuggì.
Una delle zie di James, una spilungona esile dalla voce
tonante, disse chiaramente: “Ma insomma, James, per tutti
questi anni hai schivato il matrimonio, guarda tu se dovevi
andare a finire in un pasticcio come questo!”.
Fu allora che Agatha scattò. Guardò suo marito con gli
occhietti ursini, che in quel momento erano pieni di odio
puro. “Ti ucciderò, bastardo,” ululò.
Cercò di afferrargli il collo, ma Bill Wong la tirò via.
La voce di James Lacey emerse tra le esclamazioni scioc-
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cate di ospiti e parenti. Disse all’ufficiale di stato civile, che
se ne stava lì con la bocca spalancata: “Ci porti in un’altra
stanza”. Prese sottobraccio Agatha e la spinse avanti, per
costringerla a seguire il funzionario. Bill Wong andò con
loro, portandosi dietro Jimmy Raisin.
Quando furono tutti seduti in un’anticamera polverosa,
James disse con tono stanco: “Naturalmente il matrimonio
non può avere luogo”.
“Certo che no,” concordò Bill. “Non prima che la qui
presente Agatha riesca a ottenere il divorzio.”
“Agatha può chiedere il divorzio, se le va,” disse James,
furioso. “Ma questo non significa che la sposerò. Mi hai
mentito, Agatha. Mi hai coperto di vergogna e questo non
te lo perdonerò mai. Mai!”
Si rivolse a Bill. “Cerca di risolvere questo pasticcio, io
ne voglio stare fuori. Non ho più nulla da fare, qui.”
“Avevo paura di perderti,” sussurrò Agatha, ma l’unica
risposta che ottenne fu il colpo della porta che James sbatté
uscendo.
“A quanto pare ti resto io,” le disse Jimmy, malizioso.
“Non puoi rivendicare nessuna pretesa su di lei,” disse
Bill Wong. “Agatha, ti suggerisco di prendere un avvocato
e di cercare di ottenere un’ingiunzione, in modo che a tuo
marito non sia consentito di avvicinarti.”
“Te la sei cavata bene da sola, Aggie,” piagnucolò Jimmy. “Che ne diresti di scucire un po’ di soldi, così mi levo
dai piedi?”
Agatha aprì la borsetta di Gucci, tirò fuori il portafoglio, prese una manciata di banconote e gliele tirò addosso.
“Sparisci!” urlò.
Jimmy sogghignò, ficcandosi in tasca il denaro. “Diamoci un bacio, allora,” disse.
Bill lo spinse alla porta, cacciandolo fuori, e poi tornò
da Agatha.
“In realtà, agente,” disse l’ufficiale di stato civile, “io insisto: riporti indietro quell’uomo, è un testimone. Mi pare
che la qui presente signora Raisin debba essere incriminata
per tentata bigamia.”
“L’equivoco è nato così,” disse Bill. “Ero presente, un
anno fa, quando la signora Raisin ricevette una lettera da
un vecchio amico londinese che le annunciava la morte del
marito. Non è vero, Agatha?”
Nonostante la sua infelicità profonda, Agatha era abbastanza astuta e dunque vide l’ancora di salvezza lanciata
davanti al suo naso, e annuì in silenzio.
“Quindi, come vede,” disse Bill, “non c’era alcun intento
di commettere bigamia. La signora Raisin è molto traumatizzata. Suggerisco di andarcene tutti a casa.”
“D’accordo, dato che la conosco come un rispettabile
servitore della legge, qui a Mircester,” dichiarò l’ufficiale di
stato civile, “io non dirò più nulla.”
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Agatha tornò a casa sua. Era vuota, a parte l’elefante
di porcellana e le valigie con i suoi vestiti. James aveva una
chiave del cottage. Doveva aver portato tutta la sua roba,
per lasciarla lì. Agatha aveva chiesto alla signora Bloxby di
comunicare che nella sala comunale ci sarebbe stata una festa, e non un banchetto di nozze. Telefonò alla ditta di traslochi, chiedendo loro di riportarle il mobilio e tutte le altre
cose. Le risposero di non poterlo fare quel giorno stesso, ma
Agatha li insultò come una furia e poi promise di pagarli
così profumatamente che quelli dissero che sì, sarebbero
arrivati con la roba il più in fretta possibile.
Agatha sedette sul pavimento della cucina vuota, e ab-
bracciò l’elefante di porcellana e alla fine permise alle lacrime di fluire liberamente, scavando dei solchi nella maschera del trucco. Prese atto distrattamente del fatto che
il tempo era virato al peggio e la pioggia gocciolava dal
tetto di paglia. I gatti, uno accanto all’altro, la guardavano
incuriositi.
Trillò il campanello. Non aveva voglia di andare ad aprire, ma poi udì la voce della moglie del pastore, che gridava
ansiosa: “Stai bene, Agatha? Agatha!”.
Agatha tirò fuori un fazzoletto e si sfregò la faccia e poi
andò ad aprire la porta.
“Dov’è James?” chiese.
“Se n’è andato. La sua auto è sparita, e ha lasciato le
chiavi a Fred Griggs.”
“E dov’è andato?”
“Ha detto qualcosa a Fred, pare che voglia andare
all’estero e che non sappia quando tornerà.”
“Oh, mio Dio,” disse Agatha, con la voce che si ruppe in
un singhiozzo. “Potrei ucciderlo.”
“James?”
“No, Jimmy Raisin. Quel maiale ubriaco. La prima cosa
buona che ho fatto nella vita è stata mollarlo.”
“Penso che se fossi in te piuttosto vorrei uccidere Roy
Silver,” disse mestamente la signora Bloxby. “Però rifletti, se
tutto questo fosse saltato fuori dopo le nozze, sarebbe stato
un disastro anche peggiore.”
“Non lo so,” disse Agatha, con aria miserabile. “Magari
arrivati a quel punto James mi avrebbe amata a sufficienza,
e sarebbe rimasto al mio fianco.”
La signora Bloxby tacque. Era convinta che Agatha si
fosse comportata male, eppure capiva le sue motivazioni. E
James Lacey avrebbe dovuto restare al fianco di Agatha. Gli
scapoli di mezza età sono sempre creature difficili. Povera
Agatha.
La signora Bloxby e Agatha erano sedute sul pavimento
accanto all’elefante. Il campanello trillò un’altra volta.
“Chiunque sia, digli di andarsene,” disse Agatha.
La signora Bloxby si alzò. Agatha udì un mormorio di
voci, e poi la porta d’ingresso che si chiudeva. La signora
Bloxby tornò. “Era Alf,” disse, parlando di suo marito, il
pastore. “Avrebbe voluto offrirti del conforto spirituale, ma
gli ho fatto presente che non era il momento. Adesso cosa
hai intenzione di fare?”
“Non lo so,” disse Agatha, sfinita. “Ritirerò questo cottage dal mercato, ci risistemerò la mia roba, e poi me andrò
da qualche parte finché non sentirò di poter affrontare di
nuovo il villaggio.”
“Non c’è alcun bisogno di fuggire, Agatha. I tuoi amici
sono tutti qui.”
“Ricomincerai a farmi piangere, andando avanti così.
Credo che mi farà piacere stare da sola per un po’. Puoi
dire a tutti gli altri che non vengano a farmi visita?”
La signora Bloxby la strinse in un rapido abbraccio e
poi se ne andò. Agatha rimase seduta sul pavimento accanto all’elefante, con gli occhi fissi nel vuoto. Tre ore dopo,
quando arrivò la ditta di traslochi, si alzò e andò ad aprire.
Firmò un assegno per una cifra enorme, diede agli uomini
una mancia generosa, e poi andò alla stazione di servizio
fuori Moreton-in-Marsh, sulla Fosse, quella che restava
aperta tutta la notte, e comprò un po’ di provviste.
Meditò se fosse il caso di fare un salto da Tresher a
Moreton, per procurarsi una bottiglia con la quale sbronzarsi, ma all’improvviso si sentì sfinita a tal punto dall’infelicità e dalle emozioni che decise di tornare a casa, dove si
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fece un bagno, andò a letto e piombò in un sonno gravido
di incubi.
Si ridestò alle cinque del mattino, sapendo che non sarebbe riuscita a riaddormentarsi e sentendosi come quel
personaggio del Ruddigore, il tipo felice per la fine dell’orribile notte. Prese la decisione di andare a fare una lunga
passeggiata, nel tentativo di stancarsi e di riuscire a tornare
a letto a dormirsi via un altro po’ di infelicità.
Carsely giaceva silenziosa nella luce grigia di un’alba
umida. La pioggia era cessata e l’aria era gelida. Il villaggio
consisteva in una sola strada principale da cui si diramavano viottoli laterali tortuosi come Lilac Lane, dove abitava
Agatha. Senza auto in giro, il villaggio aveva l’aria che doveva aver avuto un secolo addietro, con i cottage dal tetto di
paglia annidati all’ombra della squadrata torre normanna
della chiesa. Agatha affrettò il passo e risalì la collina. Non
era ancora in grado di pensare a James Lacey o di chiedersi
cosa stesse facendo. La sua mente si ritraeva di scatto al
solo pensiero di James. Camminando cominciò a sentire
che stava smaltendo un po’ di infelicità e dolore.
Ma l’incubo pareva destinato a non finire. Perché lungo
la strada stava venendo verso di lei Jimmy Raisin. Era conciato ancora peggio, pieno di alcol, barcollava e parlava da
solo, dalla tasca gli spuntava una costosa bottiglia di whisky
di malto.
Agatha girò i tacchi e cominciò a discendere la collina,
allontanandosi da Jimmy. Lui la rincorse, una corsa incerta,
a incespiconi. “Vieni qui, Aggie,” urlò. “Sono tuo marito.”
Agatha si fermò di botto e si girò per affrontarlo. Davanti ai suoi occhi parve levarsi una nebbiolina rossa. Non
vide neppure che Harry Symes, uno dei braccianti, stava
risalendo la collina sul suo trattore.
Quando Jimmy la raggiunse, lo schiaffeggiò con forza,
così forte che il diamante dell’anello di fidanzamento gli
tagliò il labbro, e poi gli diede uno spintone disperato, scaraventandolo nel fosso.
Rimase a torreggiare su di lui, con le mani sui fianchi.
“Ma perché non crepi?!” ansimò. E poi fuggì, correndo giù
per la discesa.
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Un’ora dopo la polizia era sulla porta di casa sua, e lei
era accusata di aver assassinato Jimmy Raisin.