Anna Maria Ambrosini Massari. Simone Cantarini inquieto

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Anna Maria Ambrosini Massari. Simone Cantarini inquieto
Anna Maria Ambrosini Massari
SIMONE CANTARINI INQUIETO:
METAMORFOSI CREATIVE
E MERCATO ARTISTICO
Sempre volendo partire dall’esistente, accanto alla
imponente triade delle opere storiche della Pinacoteca Civica di Fano, la Fondazione della Cassa di
Risparmio offre lo spunto per articolare l’omaggio
all’artista, su un altro aspetto altrettanto centrale
per la comprensione della sua intensa e complessa
poetica.
Le opere di proprietà della Fondazione, l’Agar e
l’angelo e la Madonna della rosa, sono invenzioni
note da fonti e inventari, dall’esistenza di più di un
esemplare, modelli di grande successo e altrettanto
diffusi, secondo la prassi caratterizzante dell’epoca, che vedeva una sempre maggior richiesta, per
un pubblico sempre più stratificato, che prevedeva
l’esistenza di anche più di un originale dell’artista,
dunque di sue repliche del soggetto, eventualmente con qualche variante, che caratterizzasse quel
certo esemplare, fino a una scala di realizzazioni
che comprendeva le copie del modello di grande
successo, realizzate sotto il controllo del maestro,
secondo un sistema che viene codificato in modi
senza precedenti alla scuola del Reni, di cui abbiamo un compiuto e vivace racconto fornito da Carlo
Cesare Malvasia nella sua Felsina Pittrice. Nel quadro di un collezionismo sempre più vivace ed allargato, risulta del tutto normale che le invenzioni
di maggior successo vengono richieste in più versioni, con l’esistenza di repliche bellissime, quali,
per esempio, nel caso dell’Agar e l’angelo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fano e nella
delicatissima tela del Musée des Beaux-Arts di Pau
ma anche di repliche e copie più o meno con l’intervento dell’artista, come nel caso esemplare della Madonna della rosa. L’esigenza di rispondere alle
richieste del collezionismo si coniuga in Cantarini
con una natura inquieta e volubile che indubbiamente contribuisce a mettere in campo l’esistenza
di più versioni di numerose invenzioni.
Rimando senz’altro, su questi temi, al saggio in
catalogo di Raffaella Morselli, in grado di portarci come nessuno, dentro il rigido e sorprendente
sistema del mercato seicentesco, mentre lo scritto
di Massimo Pulini mette a fuoco quel sistema, nella
ricezione della speciale nota di carattere di Simone
Cantarini, con le sue inquietudini e con una ricerca
mai del tutto soddisfatta.
La sezione introdotta da Rodolfo Battistini sul tema
delle bellissime acqueforti del pittore, diventa parte
integrante di questa tematiche, che segue le potenzialità inventive fino alle estreme possibilità, dentro
i meccanismi produttivi e divulgativi, che hanno
nella serie sublime di acqueforti, per loro stessa natura, un completamento e una definizione di centrale importanza per l’argomento.
La facilità e felicità1 con cui operava sostengono il
pieno inserimento di Simone Cantarini in questo
mondo di amatori e di mercanti, con il fantasma di
Guido Reni sempre su una spalla.
Come Guido, meglio di Guido, niente a che fare
con Guido: è il tema della biografia ufficiale di Cantarini e dovette essere un po’ la sua ossessione in
vita, nel bene e nel male.
Anche perché, comunque, quel modello, nelle sue
diverse potenzialità espressive: prima maniera, seconda, fase caravaggesca, argentea, dà corpo alle
diverse declinazioni del temperamento eclettico di
Cantarini, in tutta la carriera, con corsi e ricorsi di
dati di stile, talora sorprendenti e fuorvianti, come
ho avuto di recente modo di approfondire2, con un
buon numero di esempi.
Eppure, in questo nodo reniano, Cantarini sa mettere in campo una straordinaria novità, che gli
garantirà il successo e una profonda influenza sui
pittori più giovani.
La sua bellezza, variata, replicata, diurna, notturna, diventa soprattutto ‘vaghezza’: la linea femminile dell’arte3.
Una linea che attraversa tutta l’opera di Cantarini:
Simone Cantarini, Autoritratto, Roma, Palazzo Corsini
Simone Cantarini, Allegoria della Pittura, Repubblica di San Marino, Cassa di Risparmio di San Marino
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forse, é lui stesso a suggerircelo per primo, quando dipinge il proprio Autoritratto, così somigliante
all’Allegoria della Pittura, che è donna. In origine, il
pittore aveva pensato la dolcissima figura femminile in posizione frontale. Infine, però, ha preferito la
posa attuale, leggermente girata di tre quarti, privilegiando l’accentuazione del movimento fugace,
dello sguardo furtivo ma accattivante, improvvisamente rivolto allo spettatore. Una scelta non del tutto disgiunta, forse, da poetici e simbolici rimandi
con l’opera con cui questa dialoga più di vicino, per
punto di stile e impostazione, come avevo in precedenza proposto, l’Autoritratto Corsini4. Leggendo la
descrizione di un dipinto che Lanzi vedeva in casa
Mosca a Pesaro, mi sembra che tale sintonia fosse
evidente anche ad alcuni dell’epoca, e, forse, consapevole in Cantarini, che giocava su una sovrapposizione simbolica dell’Allegoria della pittura come
proprio Autoritratto. Dice infatti Lanzi -tra l’altro
aprendo un’ipotesi di provenienza di un esemplare come questo, dalle collezioni Mosca, famiglia,
come vedremo, molto legata al pittore-: Ivi ritratto
di una giovane donna per parte con tavolozza e pennelli:
ha una sopra vesta così legata su la spalla come le antiche
statue donnesche. Credesi da alcuni Ritratto suo proprio
ch’è falso, forse ha effigiato la pittura stessa. Il volto è bellissimo pieno di grazia e di espressione…5. Un dipinto
che, tra l’altro, conserva una fattura corsiva e a tratti abbozzata, che l’ha fatto talora riconoscere, come
più sopra accennato, nell’autoritratto ricercato da
Malvasia, descritto, appunto, come ‘non finito’6. Il
filo rosso che apparenta queste creazioni, quali varianti della stessa modalità operativa di Cantarini,
che trascorre dai pentimenti, ad opere abbozzate,
fino a vere e proprie stesure sommarie, che si addensano nelle opere della maturità, non può certo
essere un’anacronistica interpretazione postromantica, per cui il pittore indulge ai valori emozionali
del ‘non finito’, alla bellezza dell’incompiuto, della
potenzialità inespressa.
La spiegazione è piuttosto nella sua ricerca inquieta
e insoddisfatta, sempre sostenuta dalla propensione grafica, che fatica a trovare composizione definitiva. La stessa sostiene le invenzioni con varianti,
nelle versioni diversamente illuminate, diurne, notturne, con ‘gruppi di famiglia in un interno’ o in
esterno, come nei casi delle Sacre famiglie della Galleria Colonna e della Galleria Nazionale di Palazzo
Barberini a Roma. Oppure nelle varianti, gamme
di colori, pose, tipologie: come nelle due versioni
del Sogno di san Giuseppe del Duomo di Camerino e
della Cassa Depositi e Prestiti di Roma. Molte problematiche si risolvono dentro le pieghe delle pra110
tiche di bottega, che potevano dare adito a varie
possibilità che un’opera si fermasse allo stato di abbozzo. Poteva trattarsi di eseguire copie da un prototipo, o repliche del maestro che avrebbero dovuto essere completate dagli allievi, il più spesso delle
volte si tratta di un intensificarsi delle commissioni
che rende difficile il loro espletamento7. Qualche
volta, possiamo anche immaginare, dietro casi del
genere, la vita turbolenta delle botteghe artistiche,
quale è quella del Reni, tramandata da Malvasia,
dove si stipa un numero altissimo di allievi, che rispecchiano le più disparate virtù e vizi8. Di questi
ultimi, Cantarini è rappresentante all’estremo9, per
il suo orgoglio smisurato e l’arroganza. Come nel
caso di quel san Girolamo, che suscitò per la prima
volta il risentimento di Guido Reni, avvisaglia dei
futuri, insanabili contrasti, in picciola teletta bozzato
in poche ora di nascosto, poi lasciato sullo stesso trepiedi
del maestro alla vista di que’ giovani, nissuno de’ quali
fu, che vedutolo, non lo giudicasse e asseveratamente non
lo divulgasse per mano di esso appunto, per esser così felicemente operato;…10. Un’opera della quale potremmo
trovare suggestivamente un riflesso nella piccola
tela di collezione privata modenese con San Girolamo nel deserto, da vedere, peraltro, in strettissimo
rapporto col dipinto omonimo in collezione privata
romana, che rappresenta la stessa invenzione portata a completamento, forse lasciando immaginare,
appunto, un tema di successo che veniva replicato
e del quale le due versioni esistenti rappresentano
l’una, l’opera finita, l’altra, la stessa, con minime
varianti, in fase di lavorazione.
Già Lanzi, in un certo senso, l’aveva capito. Quando dice che Cantarini si avvicina a Guido come nessuno ma con un possesso ch’è proprio di pochissimi imitatori11, vuole sottolineare la personalità autonoma e
interpretativa del pittore di Pesaro, che sceglie un
fare meno nobile ma più grazioso, che apre verso
un nuovo linguaggio, pittoresco e borghese, più intimo e inquieto, che si spinge verso il Settecento internazionale, come Lanzi stesso saprà compendiare, osservando la storia già ‘à rebours’, cogliendo
i termini esatti e antitetici della questione: Non ha
idee sì nobili, - da paragonarsi a Guido Reni - ma a
parer di molti le ha più graziose 12.
Un mondo di nuove sensibilità, di accenti elegiaci che declinano al pittoresco. Lo stesso è per Pier
Francesco Mola o Pietro Testa, nelle tele da cavalletto da cui si snocciolano le storie bellissime e i meravigliosi paesaggi, contesto artistico con cui Cantarini si incrocia con tanto singolari quanto misteriose
sintonie. In questa cornice, accanto alla Maddalena
di Pesaro, vanno viste invenzioni come il prezio-
so Agar e l’angelo, nella versione della Fondazione
della Cassa di Risparmio di Fano, contrappuntato
dalla delicatissima tela del Musée des Beaux-Arts
di Pau13, dove il paesaggio sconfina su un orizzonte
che guarda ormai verso nuovi, dolcissimi, moderni
traguardi.
5 Lanzi (1783) ed. 2003, p. 41. Su un reciproco riflettersi delle
due immagini, anche Cellini 2008. La somiglianza dei due volti fa
pensare, per la descrizione di Lanzi, a questo modello. Va detto
che esistono altre redazioni della stessa allegoria, certo meno
efficaci, repliche di bottega, come quella di Varsavia, Narodne
Galerie. Una serie di disegni documenta l’elaborazione del soggetto, (Ambrosini Massari 2003) in particolare connessione col
dipinto, secondo Pulini, op. cit., un disegno di Brera inv. 62, con
Studio di figure, nella figura di sinistra.
6 Nell’edizione del 1678, p. 381, le ricerche del quadro hanno
avuto esito infruttuoso. Solo in un’aggiunta agli Appunti inediti,
come avevo già rimarcato, 1996, p. 37, nota 24 dichiara che dopo
la stampa della Felsina, il compitissimo Signor Conte Alessandro Fava, glielo aveva mandato, ritrovato fra le altre sue tante
cose che di questo gran pittore possiede, Malvasia in Marzocchi
1980, p.193. Sulle collezioni Fava, tema centrale per gli sviluppi
della pittura a Bologna, fin dai Carracci, relativamente al periodo
in esame, anche per l’ importanza anche quale palestra per gli
artisti bolognesi nel secondo Seicento, Mazza 2003(2004), pp.
313-377, in relazione a opere di Cantarini e agli esordi di Donato
Creti, da vedere, in relazione al tema e a Cantarini, anche Mazza
1997, pp.359-396.
7 Sul tema, numerosi esempi possono ricavarsi dalla lettura degli inventari seicenteschi, in particolare, nel caso di quelli bolognesi, dove è frequente trovare dipinti citati come ‘bozze’, oppure cominciati dal maestro e finiti dall’allievo. Diversi esempi sono
menzionati come iniziati da Cantarini e finiti da Flaminio Torri. Per
una panoramica selezionata su Cantarini, si rimanda alle liste, a
cura di Morselli e Bonfait, pubblicate in Colombi Ferretti 1992,
pp. 126-132. Sull’argomento, si veda anche Morselli 1997; Spear 1997 in particolare, pp. 225-252. In un certo senso, anche la
Madonna col bambino e san Filippo Benizi, Bologna, Pinacoteca
Nazionale, terminata da Francesco Albani, per la morte di Cantarini, rientra in questa categoria.
8 Malvasia cit., pp. 5-66. Sulla scuola del Reni, oltre al volume a
cura di Negro e Pirondini 1992, anche per questo aspetto di un
rendiconto del numero, altissimo di allievi, che descrive Malvasia, si veda Pellicciari 1988, pp. 119-141.
Note
1 …che in poc’ore diede fatto il ritratto molto simile e buono [co
tanto brio, vaghezza e somiglianza che fu uno stupore]….massime in quella operazione di copiare con tanta felicità, e facilità ciò
che davanti vedevasi [ch’era la sua dote più ribondante e peculiare] ne prese così tormentosa….Malvasia in Marzocchi 1980, p. 80.
2 In particolare 2009a; anche 2009b.
3 Pulini 2006, p. 27 e nota 12, in quello stato d’animo, femminile, si riconosce anche la pittrice Ginevra Cantofoli. La riflessione
nasceva, tra l’altro, in rapporto al dipinto della Cassa di Risparmio di San Marino e da meditazioni innescate da Emiliani 1997b,
pp. 36-37, quando, in relazione a temi dell’estetica barocca, che
attraversa personalità quali Malvezzi e Manzini, nell’interpretazione di Raimondi 1995, introduceva una sorta di dualismo, appunto, tra pittura di ‘senso maschile’, robusta e aspra e quella di
‘senso femminile’, soave e vaga.
4 Nella scheda dell’opera che scrivevo nel 2003 seguivo
senz’altro le indicazioni di Daniele Benati nella bella mostra, da
lui curata, Figure come il naturale: il ritratto a Bologna dai Carracci al Crespi, 2001, pp. 68-69, n. 8, su una collocazione giovanile
del dipinto, precedente alla presenza a Bologna presso Reni, e
ne rilevavo la singolare sintonia, anche compositiva, con l’Autoritratto, opera degli stessi momenti e stimoli.
9 La vita di Cantarini nel Malvasia disegna il carattere moralistico dell’orgoglio e dell’arroganza, come spiegato in Colombi Ferretti 1992; Ambrosini Massari 1997a, pp. 49-52; Unglaub
1998-‘99.
10 Malvasia, cit., p. 376. Un episodio che dimostra l’abilità del
pittore, la sua facilità in questo particolare soggetto del quale
abbiamo importanti testimonianze, in opere tuttora esistenti ma
anche a livello di menzioni di fonti. Si tenga presente, in particolare, la poetica versione della Galleria nazionale delle Marche di
Urbino, depositata presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna,
che raffigura San Girolamo in atto di leggere, Cellini 1997b, p.
116; l’altra, con San Girolamo che contempla il teschio, in collezione privata bolognese, Emiliani 1997b, p. 120, e i due dipinti
in collezione privata, con San Girolamo nel deserto, per le cui
schede si rimanda in ibidem, pp.131-132.
11 Lanzi ed. 1809, p. 80.
12 Ibidem.
13 Pubblicato da Ambroise 2008, 1, pp. 60-63, 110, 112, dove
andrà rilevato che la Sacra famiglia del Museo di Grenoble, con
cui viene proposto un confronto, (si veda in Mancigotti 1975, p.
54) non è opera di Cantarini. Sul dipinto fanese, Ambrosini Massari 1997b, pp. 127-128 e si vedano schede più avanti.
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