Il segreto del regista a due teste
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Il segreto del regista a due teste
copertina INCONTRI RAVVICINATI MENTRE ESCE IN ITALIA IL LORO ULTIMO FILM, L’AUTORE DELLA GRANDE BELLEZZA RACCONTA DI ESSERE ANDATO A TROVARE I fratelli Coen. PER SCIOGLIERE UN MISTERO: COME SI FA A CREARE IN TANDEM UN MONDO SURREALE, CAUSTICO E POETICO? LA SOLUZIONE NON È SCONTATA Il segreto del regista a due teste di Paolo Sorrentino 18 CORBIS PAOLO PELLEGRIN / MAGNUM / CONTRASTO Qui accanto, da sinistra, Ethan (59 anni) e Joel Coen (56 anni), i fratelli registi americani premiati con l’Oscar per Fargo e Non è un paese per vecchi. Sotto, Paolo Sorrentino premiato ai Golden Globe 3 1 G E N N A I O 2 0 14 3 1 G E N N A I O 2 0 14 P er il grande talento, funziona come con i gioielli di famiglia prima di partire per le vacanze. Li nascondi con così tanta cura in casa che, per ritrovarli, devi iniziare un lungo, paziente lavoro di ricerca. Dunque, procedi per tentativi. I registi di Inside Llewyn Davis (A prosito di Davis), i più talentuosi della loro generazione, sono così. Hanno nascosto per bene il loro segreto e parlano del loro lavoro in termini di fatica, di memoria, di esperimenti. Solo così, alla fine, provano a scovare il nascondiglio della loro virtù che, come tutte le cose molto preziose, puoi solo contemplare a bocca aperta. Il talento, come il diamante perfetto, è inspiegabile. Perché è un mistero. Sono andato in un’assolata mattina di maggio a incontrarli in una bella stanza d’albergo con l’insensata speranza di 19 copertina INCONTRI RAVVICINATI LA STORIA DI UN CANTAUTORE NELLA NEW YORK ANNI 60 ALISON ROSA Manhattan Folk Story di Dave Van Ronk (Rizzoli, pp. 422, euro 18, trad. G.M. Brescia) è il libro da cui è tratto A proposito di Davis. Sotto e nella foto grande, Oscar Isaac, protagonista del film dei fratelli Coen, in sala dal 6 febbraio rubare i meccanismi del loro lavoro. Ma era una pura illusione. Perché il talento non si nutre di ragionamenti, ma di sensazioni che si rivelano giuste per se stessi. E le sensazioni appartengono solo a chi le vive. Non sono condivisibili. Questo è il piccolo dramma di chi, come me, vorrebbe imparare qualcosa da questi due mostri dell’arte cinematografica. «Quando scrivemmo Fargo eravamo consapevoli che il personaggio principale compariva dopo quaranta pagine. Una scelta narrativa insolita. Ne abbiamo parlato, ci siamo basati su una vaga sensazione, e siamo arrivati alla conclusione che il pubblico sarebbe stato al gioco», dice Joel. Ma è successo di più, il pubblico non si è limitato solo a stare al gioco, e Fargo è di- 20 S carpe bucate, giacca di velluto e chitarra in spalla, Llewyn Davis è un cantautore folk che, nella New York del 1961, tenta di sbarcare il lunario cercando ingaggi nei locali. Ha appena pubblicato un disco, Inside Llewyn Davis, a cui nessuno è interessato, e ha un talento tanto grande quanto incompreso. Il nuovo film dei fratelli Coen, A proposito di Davis, al cinema dal 6 febbraio, è costruito interamente sulla figura di un affascinante perdente folk (interpretato da Oscar Isaac), che vive sui divani degli amici e cerca di sopravvivere alla collezione di delusioni cui sembra destinato. Attorno a lui ruota l’universo del Greenwich Village dei primi anni Sessanta, un luogo in cui personaggi come Bob Dylan e Joan Baez stanno per spiccare l’ultimo, decisivo, salto verso la fama e il successo. Scritto partendo dalle pagine di Manhattan Folk Story, l’autobiografia di un vero, grande, cantautore americano come Dave Van Ronk, A proposito di Davis mescola elementi di finzione con situazioni reali, rimanda a personaggi esistiti come Tom Paxton e Ramblin’ Jack Elliott, e a dischi realmente pubblicati, come Inside Dave Van Ronk, del 1964, che nel film diventa, appunto, Inside Llewyn Davis. Cast notevole, da Carey Mulligan a John Goodman passando per Justin Timberlake, riferimenti sparsi tanto all’Ulisse di Joyce quanto a Colazione da Tiffany di Truman Capote, e colonna sonora (nemmeno a dirlo) imperdibile, firmata da quel genio di TBone Burnett, con pezzi tradizionali rivisti da Mumford & Sons, Punch Brothers e dallo stesso Isaac, un’autentica rivelazione. Grand Prix Speciale a Cannes e due nomination all’Oscar (fotografia e sonoro), il film è destinato a diventare un oggetto di culto negli anni a venire, con Llewyn Davis già al sicuro nella variopinta e geniale galleria dei personaggi inventati dai Coen, a metà via tra il Drugo de Il grande Lebowski e l’Ed Crane dell’Uomo che non c’era. (andrea morandi) ventato un cult movie indimenticabile. Quando hanno realizzato No Country For Old Men (Non è un paese per vecchi) non hanno inserito neanche una nota di musica, il che non ha impedito agli spettatori di rimanere folgorati dalla partitura sonora. Ora hanno fatto l’opposto. Hanno realizzato Inside Llewyn Davis, e quando il protagonista, un cantautore folk prima dell’avvento di Bob Dylan, lascia partire una canzone, la snocciola dinanzi alla macchina da presa dalla prima all’ultima nota, contraddicendo la regola elementare secondo la quale, al cinema, una canzone, per non annoiare lo spettatore, deve sfociare in un’altra scena. E, ancora una volta, lo spettatore non si annoia. Anzi, funziona! Insomma, ecco ALISON ROSA E PER MAGIA UN ALTRO PERDENTE DIVENTA EROE il talento o, come si suol dire, l’Autore. Ecco la sensazione di essere immersi nel bello, andando contro le consuete regole dell’estetica cinematografica. Per spostare la barriera dell’arte un pochino più in là e unire, al bello, l’inedito. L’unica arma che sconfigge la maniera. Come quando girarono Il grande Lebowski. Un trionfo di personaggi meravigliosi e un uso smodato e leggendario della divagazione nelle scene. Fino all’apparizione di questo film, la divagazione era considerata il grande nemico dello spettatore ammalato di logica. I Coen hanno convinto gli spettatori della forza della divagazione. Hanno sdoganato la gratuità, elevandola a forma d’arte, regalando a tutti i cineasti successivi una 3 1 G E N N A I O 2 0 14 nuova, impensata forma di libertà, anche hanno realizzato, qual è il loro preferito. se poi, a ben vedere, si tratta di una libertà Ma, come risposta, ottengo un prolungato illusoria, perché come riesce a loro l’arte silenzio. Mugugnano qualcosa, ma non trovano del divagare non riesce a nessun altro. E, a proposito de Il grande Lebowski, mi la risposta. Nella stanza d’albergo assolata siamo raccontano che, a intervalli regolari di tempo, John Turturro propone loro di fare in tre, ma ci sono solo due sedie. Una per uno spin off di quel film. Un nuovo lavoro me, un’altra per Joel che se ne sta seduto, pacato e ciondolante come un incentrato sull’indimenticabile pendolo rallentato, con le palfigura di Jesus, il campione di pebre calate quasi per intero bowling sospettato di pedofilia. sugli occhi e un mezzo sorriso. Non lo faranno. Invece, han- Non è prevista Non è prevista una sedia no in mente un seguito di Bar- una sedia per il fratello Ethan che perton Fink, dove Turturro sarà un per Ethan, corre avanti e indietro la stanvecchio professore di scrittura che passeggia za, senza sosta e senza nervoe drammaturgia a Berkeley. per la stanza sismo, dedicandosi sporadicaMi spingo a chiedere, tra senza sosta tutti questi film strepitosi che né nervosismo mente a dei chicchi d’uva. 3 1 G E N N A I O 2 0 14 Hanno atteggiamenti opposti; il primo biascica lentamente, il secondo fa schizzare le parole come palline da ping pong, ma, sempre, uno completa le frasi dell’altro, come se a parlare fosse una sola persona. Sono i fratelli Coen, anche detti Il regista a due teste. Scrivono insieme tutte le scene, fin nei minimi dettagli. Le rileggono solo dopo averle stampate su carta. E mentre scrivono, si domandano costantemente: «Funziona?», «Coinvolge lo spettatore?». Le riscrivono, mentre continuano a stampare tonnellate di carta. Naturalmente, in questa fase, sono loro gli spettatori. Un narratore di valore è tale solo se è anche uno spettatore di valore. 21 copertina QUATTRO CAPOLAVORI DEDICATI A SPETTATORI (IM)PERFETTI EVERETT / CONTRASTO Poi, quando girano, giocano. E per giocare bene, bisogna fare sul serio. «Le regole sono precise. Hai un certo numero di giorni a disposizione e una certa cifra e devi lanciarti. Come se un colpo di pistola ti desse il via», afferma Joel. «Cercare di fare un film perfetto significa…», afferma Ethan, e Joel, mentre mangia uno yogurt, completa: «…barare. Sì, non fare mai un film perfetto». Li tranquillizzo, è un rischio che non corro nemmeno fortuitamente. «Bisogna attenersi alle regole. Non quelle di Von Trier, che prima ha stabilito i principi di Dogma e poi li ha violati», ridacchiano all’unisono e concordi, ma senza cattiveria, i due fratelli. Pur essendo dei registi eccezionali, con una capacità di messa in scena fuori del comune e una precisione invidiabile, ritengono che il momento del montaggio sia, semplicemente, la fase di risoluzione dei problemi. nuo e pedante. Si criticano Quali problemi? Mi chiedo Non siamo costantemente i film, ogni tanscandalizzato nell’intimo. Io maturi, to si dovrebbero criticare gli non ne vedo. Io ero convinto siamo vecchi. spettatori. La maggior parte che, con quel livello di precisio- E questo delle persone tende a leggere ne registica, il montaggio fosse non è bello. il film innanzitutto come una per i Coen pura routine e loro È molto concatenazione ferrea di fatti invece affermano: «È la fase triste razionali, mentre i grandi audella disperazione. Il momento tori procedono in maniera clain cui dobbiamo decidere se infilarci una pistola in bocca e premere il morosamente opposta. I Coen lo dicono molto chiaramente: grilletto o infilarci nella vasca da bagno e tagliarci le vene. Il montaggio serve a ri- «Abbiamo consapevolezza di cosa funziona in un dato momento» e questo è il risolvere i problemi». Ridono, perché i registi, in realtà, si sultato dell’acquisizione di un mestiere, divertono solo quando risolvono i proble- «ma a posteriori, guardando quello che mi. Quando non ci sono difficoltà, i film abbiamo fatto, ci rendiamo conto che quello che ci ha guidati è una sensibilità risultano piatti e prevedibili. E, dal momento che i problemi non è inconscia e non ne siamo consapevoli». Anche Fellini, ripensando ai suoi film, umanamente possibile risolverli tutti, ecdiceva che un altro io, una persona che co che non ci sono film perfetti. Perché la perfezione è un luogo astrat- non era lui e che non riconosceva, aveva to che alberga, in modo altrettanto astrat- comandato e disposto il film. «Io sono agli ordini di questo personagto, solo nella testa dello spettatore inge- 22 1 ALBUM / CONTRASTO EVERETT / CONTRASTO INCONTRI RAVVICINATI 2 3 4 1 John Turturro in Barton Fink. È successo a Hollywood, Palma d’oro a Cannes nel 1991. 2 Frances McDormand in Fargo (1996): miglior regia a Cannes, Oscar per sceneggiatura e attrice protagonista alla McDormand 3 Javier Bardem in Non è un paese per vecchi (2007): Oscar per miglior film, regia, sceneggiatura e miglior attore non protagonista a Bardem 4 Da sinistra, Jeff Bridges, John Goodman e Steve Buscemi in Il grande Lebowski (1998), film culto dei fratello Coen che ispira raduni annuali in molte città degli Stati Uniti 3 1 G E N N A I O 2 0 14 gio interiore, che conosco molto male, che mi detta le opere», diceva Cocteau. Tutte queste affermazioni, profondamente vere, mi allontanano ancor più dalla remota chance di carpire qualche segreto. Insisto sul film preferito che hanno realizzato e ottengo un altro silenzio. Allora, per non fallire nel mio intento di imparare qualcosa, sposto la mia attenzione nei loro confronti sul concetto di esperienza. I fratelli Coen hanno fatto sedici film, molti memorabili. La loro è una filmografia lunga e importante. Azzardo: «Se uno dicesse che questo vostro ultimo film è il vostro lavoro più maturo, cosa direste?». Riflettono. Joel abbassa le palpebre del tutto. Ethan accelera il passo. Joel solleva le palpebre, sorride e dice: «Non siamo maturi, siamo vecchi». «E questo non è bello. È molto triste», dice Ethan senza crederci veramente e 3 1 G E N N A I O 2 0 14 aggiunge: «E comunque c’è un che di allarmante nella definizione di maturità, perché implica anche la serietà…» «… e noi non vogliamo perdere la leggerezza della gioventù», completa Joel. Lo so che non carpirò il segreto del loro talento, poiché quello è il loro talento e non il mio. Allora provo a carpirne un altro: «E avete un segreto per riuscire a mantenere inalterato l’entusiasmo degli inizi?» Ethan non ha dubbi: «Sì». E Joel: «Davvero? Vorrei sapere qual è?». «È un segreto», risponde Ethan. Joel dice: «Ah! È un segreto e quindi non puoi rivelarcelo?». Ethan non risponde. Io lo imploro: «Perché non ci dici questo segreto?». Joel scuote la testa: «Lui, Ethan, ha un segreto per mantenere l’entusiasmo, ma non vuole dircelo». Ethan sorride e non parla. Mi rendo conto di essere parte attiva di un dialogo con non sense annesso che non sfigurerebbe in uno dei loro film. «Vorrei tanto conoscerlo, questo segreto» chiede senza crederci Joel. Ethan, ridendo e tenendoci sulle spine, dice: «Qualche giorno mi ricordo qual è il segreto. Qualche altro giorno me lo dimentico. Oggi non lo ricordo». Poi, però, Ethan Coen si ferma di colpo al centro della stanza e dice: «Però mi ricordo la risposta alla tua domanda su qual è il film preferito che abbiamo realizzato». «Quale?», chiedo fremente. «Il primo film che abbiamo girato. Quando abbiamo avuto la sensazione, per un istante, che non stavamo facendo un lavoro. È una sensazione che non abbiamo provato più». Alla fine, non ho carpito nessun segreto, ma è venuta giù una bella malinconia, calda, rassicurante e piacevole, come in un capolavoro dei fratelli Coen. Paolo Sorrentino 23