Le filosofie orientali

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Le filosofie orientali
쐌 Le vie
dell’illuminazione
QUESTIONI CHE CONTANO
쐌 L’induismo:
tra politeismo e monoteismo
쐌 Il giainismo e il principio
della non-violenza
쐌 Buddha e il buddhismo
쐌 Il confucianesimo e
l’aspirazione all’armonia
쐌 Il taoismo
쐌 La spiritualità giapponese:
zen e shintoismo
ITINERARI DI LETTURA
PROFILO
Le filosofie orientali
FILOSOFIA E ALTRI LINGUAGGI
쐌 Lo zen e le arti marziali
FILOSOFIA E CITTADINANZA
쐌 Il buddhismo tra filosofia
e religiosità popolare
FILOSOFIA E CONOSCENZA DI SÉ
쐌 Lo yoga e Platone
쐌 La sapienza dell’oracolo
Il contesto storico-culturale
IX-VI sec. a.C.
periodo delle
Upanishad
(induismo)
400 a.C.
VI-V sec. a.C.
Lao-tzu
(maestro
del taoismo)
500 a.C.
LE FILOSOFIE ORIENTALI
600 a.C.
Se è difficile formulare una definizione univoca ed
esaustiva della filosofia, a maggior ragione è difficile
risolvere il quesito relativo all’esistenza di filosofie
orientali. Da una parte nessuno nega che l’Oriente
abbia sviluppato dottrine di elevata spiritualità e abbia
raggiunto risultati in tutto comparabili con quelli della
tradizione occidentale, a volte con significative
coincidenze, in molti dei campi specifici in cui la
Se il relativo disinteresse per la questione ontologica,
unitamente a procedure argomentative non sempre
improntate a un rigoroso uso del lógos (tanto che in
molte occasioni è difficile distinguerne l’aspetto
teoretico da quello religioso o mitico) basti a escludere il pensiero orientale dalla categoria del «filosofico», per includerlo in quelle più generiche della
sapienza e della ricerca della saggezza, è questione
ancora oggi controversa. Va comunque sottolineato
che, dal punto di vista storico, vi sono stati almeno
tre momenti di fecondo contatto fra le due tradizioni:
1) la nascita stessa del pensiero filosofico greco, debitore nei confronti dell’Oriente di nozioni fondamentali quali anima, reincarnazione ecc., giunte in
Grecia attraverso l’orfismo e i culti misterici;
551/479 a.C.
Confucio (K’ung-fu-tzu)
565/486 a.C.
(fondatore del
Siddharta Gautama
(fondatore del buddhismo) confucianesimo)
540/468 a.C.
Mahavira (fondatore del giainismo)
327/325 a. C.
spedizione di
Alessandro Magno
in Oriente
540/480 a.C ca.
Eraclito di Efeso
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100 a.C.
Discrepanze tra la sapienza della tradizione
occidentale e di quella orientale
Momenti di fecondo contatto
fra le due tradizioni
200 a.C.
La filosofia è un prodotto peculiarmente greco diventato poi patrimonio esclusivo della civiltà occidentale? Non è facile affrontare questo problema e
ogni risposta unica e definitiva risulterebbe dogmatica. La ragione è che la questione implica un giudizio sulla natura essenziale dell’attività filosofica,
ossia una risposta precisa alla domanda «che cos’è la
filosofia in sé?» Certamente sono esistite e nascono
continuamente molte «filosofie», che possiamo catalogare e confrontare, ma proprio la complessità e
l’eterogeneità della tradizione impedisce di tracciare
una netta linea di demarcazione fra ciò che è filosofico e ciò che non lo è. La comunità dei filosofi
contemporanei è divisa su questo argomento, e non
esistono autorità superiori cui appellarsi.
filosofia è stata tradizionalmente suddivisa (gnoseologia, etica, estetica, politica ecc.). D’altra parte, ciò
che sembra mancare nel pensiero orientale, mentre
per lungo tempo ha costituito l’asse portante di quello
occidentale, è la speculazione metafisica, la ricerca
della verità ultima dell’Essere, un livello di riflessione
che molti pensatori orientali hanno espressamente
rifiutato di approfondire. Non è certo per caso che in
nessuna delle numerose lingue orientali esista una
parola esattamente corrispondente a «filosofia».
300 a.C.
La filosofia è solo occidentale?
I sec. a.C.
i Discorsi del
Buddha sono
messi per
iscritto
VI sec. a. C. /V sec. d.C.
orfismo
IL CONTESTO
2) il periodo ellenistico-romano, in cui l’incontro fu
favorito da numerosi viaggi di filosofi al seguito dei
conquistatori occidentali;
3) il periodo attuale, a partire da Arthur Schopenhauer nell’Ottocento, in cui l’abbandono occidentale delle pretese totalizzanti della ragione ha
creato la possibilità di un confronto vero e approfondito tra le due culture.
GIAPPONE
COREA
TURKESTAN
I sec. d.C.
AFGHANISTAN
CINA
NEPAL
I ND I A
BIRMANIA
VIETNAM
in Giappone, crisi dello
shintoismo, sotto l’influenza del
confucianesimo e del buddhismo
600 d.C.
500 d.C.
400 d.C.
INDONESIA
V-VI sec. d.C.
comparsa del
tantrismo in India
III sec. a. C. /V sec. d.C.
300 d.C.
attraverso l’Afghanistan e
l’Asia centrale (Turkestan) fino
alla Cina e, da lı̀, fino al
Vietnam, alla Corea e
Giappone. Nel V secolo d. C.
fiorisce in vaste aree dell’Asia
sub-orientale e dell’Indonesia.
Confucianesimo. Complesso
di antiche dottrine tradizionali
della Cina classica
sistematizzato da Confucio
(551-479 a. C.).
Taoismo. Dottrina filosofica e
religiosa della Cina,
tradizionalmente collegata alla
figura mitica di Lao-tzu (V I -V
secolo a. C.).
Shintoismo. Forma religiosa
autoctona del Giappone,
preesistente all’introduzione
(nel V I secolo d. C.) del
buddhismo.
200 d.C.
100 d. C.
Anno 0
I LUOGHI DELLE FILOSOFIE
ORIENTALI
Induismo. Religione dell’India,
databile dalla metà del I I
millennio a. C., nelle sue fasi
vedica, brahmanica e induistica
vera e propria.
Giainismo. Religione dei
seguaci del Mahavira (540-468
a. C.), l’ultimo di una serie di 24
profeti, diffusasi in tutta l’India.
Tantrismo. Insieme di dottrine
sviluppatesi in India al di fuori
dei sistemi induisti ortodossi.
Buddhismo. Il Buddha (565486 a. C.) diffonde la sua
dottrina nell’India occidentale.
Fin dal I I I secolo a. C. i
missionari buddhisti si
spingono verso la Birmania.
Nel I e I I secolo d. C. il
buddhismo si propaga
700 d.C.
in India,
l’induismo
soppianta il
buddhismo,
bandito dal paese
II sec. d. C.
gnosticismo
filosofie ellenistiche
e tardo-ellenistiche
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Uno sguardo d’insieme
È difficile riassumere in uno schema unitario sistemi
di pensiero molto diversi fra loro per l’epoca e il
contesto culturale in cui sono nati. Forse l’unica
nozione unificante è quella di illuminazione, variamente declinata, nelle diverse lingue, nei termini
«nirvana», «buddhità», «satori» ecc., e definibile in
termini molto generali come uno stato di pienezza e
completa realizzazione, oppure di assoluta libertà o
liberazione dell’individuo dalla realtà fenomenica.
Ma, al di là di questo esile filo conduttore, prevalgono
le differenze. Mentre l’induismo e il giainismo si
presentano come vere e proprie religioni politeiste,
tale connotazioni non può essere attribuita alle altre
correnti, che in realtà si presentano, più che come
religioni, come filosofie a sfondo religioso.
Le divergenze si approfondiscono quando si passa
a considerare il contenuto specifico di tale illuminazione e le vie adeguate per raggiungerla.
L’induismo assume il nirvana nel quadro della tra-
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dizionale dottrina della metempsicosi, come interruzione del ciclo delle reincarnazioni dell’anima,
mentre il buddhismo suggerisce che tale condizione
può essere raggiunta in questa vita, superando la
coscienza della propria esistenza come essere permanente (impermanenza). Un insegnamento che la
variante giapponese del buddhismo, lo zen, porta alle
estreme conseguenze mettendo in discussione lo
stesso principio di causa-effetto, in nome di un superamento della razionalità, valore considerato
contrario alla libera espressione delle forze creative. In
questa posizione estrema è riconoscibile l’influsso del
taoismo cinese, anch’esso contrario all’egemonia
della razionalità, considerata, in questo caso, ostacolo
alla libera espressione delle forze naturali, con cui è
necessario porsi in sintonia. Un discorso particolare,
infine, riguarda il confucianesimo, che più che una
religione sembra potersi definire una filosofia eticopolitica, che invita al rispetto delle gerarchie sociali.
1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo
.1.
PROFILO
L’induismo: tra politeismo e monoteismo
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MODULO
Le filosofie orientali
Il mosaico
politeista
Descrivere una religione politeista è sempre difficile. Ai diversi dèi che compongono un
pantheon, infatti, corrispondono sempre differenti pratiche di devozione e una molteplicità
di scuole religiose e filosofiche, ognuna delle quali è, in un certo senso, autonoma, perché
non sottoposta ad alcuna autorità gerarchica. Ciò è vero anche per l’induismo, in cui non
esiste una ortodossia dogmatica, né una catechesi omogenea, né un fondatore noto, dato
che i testi sacri in cui esso si riconosce derivano da una sapienza le cui origini affondano in
epoche pre-storiche. L’unico elemento condiviso in questa pluralità di tendenze è una ricca
e lussureggiante mitologia, che non è però interpretabile in maniera omogenea o dogmatica,
perché, come nell’antica Grecia, il mito vive in una pluralità di fonti e di varianti, determinando solo uno sfondo culturale, atto a giustificare credenze diverse. Di fatto anche
oggi, pur dopo l’abolizione giuridica del sistema castale, il fedele indù trova nel gruppo in cui
è nato il suo punto di riferimento religioso, e con esso uno specifico orientamento spirituale,
norme di comportamento etico e particolari pratiche liturgiche.
La mitologia
vedica
I Veda, letteralmente «scienza», sono composti fra il 1500 e l’800 a. C. e per lungo tempo
sono stati trasmessi oralmente. Si tratta di una raccolta di materiali di natura diversa: i
Rigveda, i più antichi, comprendono 1028 inni dedicati alle divinità indù; il Samaveda o
«Veda delle melodie» è una collezione di 1810 strofe liturgiche da pronunciarsi durante i
sacrifici; l’Atharveda, o «Veda delle formule magiche», contiene inni, preghiere, prescrizioni
e incantesimi validi per ogni occasione della vita quotidiana. La tradizione considera i Veda
come la sintesi finale della saggezza originaria dell’umanità, ritenendoli quindi eterni, non
scritti da alcun autore umano. Ciononostante, è possibile individuare in essi una linea di
evoluzione: rispetto a quelli antichi, i più recenti sono caratterizzati da un’esigenza di
semplificazione del ricco pantheon. In breve, la religiosità vedica può essere definita un
politeismo naturalistico basato sulla divinizzazione dei fenomeni naturali: vi sono divinità
del cielo, dell’acqua, della terra e dell’atmosfera, le cui vicende formano una mitologia in cui
non mancano somiglianze con quella greca.
Il ritualismo
brahmanico
I Brahmana, i testi sacri composti tra il X e il V I I secolo a. C., segnano una netta evoluzione
rispetto ai Veda. Più che narrare le storie degli dèi, infatti, essi illustrano le pratiche rituali.
Sono trattati liturgici, veri e propri manuali a uso
dei sacerdoti (i brahmani), in cui si descrivono in
modo dettagliato l’origine delle cerimonie religiose, la modalità di svolgimento dei riti sacri, le
formule magiche da pronunciarsi e il significato
dei simboli utilizzati. L’idea di fondo che giustifica
questo esasperato ritualismo è che la liturgia
cerimoniale sia potente in sé, dotata di una efficacia insita nelle formule e nei gesti sacerdotali,
esattamente come un atto magico. Un rito compiuto in perfetta osservanza delle regole, infatti,
sviluppa una potenza capace di condizionare il
brahman, la forza misteriosa che regge l’universo.
Ne consegue che i brahmani, unici depositari di
questo sapere sacrificale che li poneva in grado di
influire sulle leggi dell’universo, si proclamavano
detentori di un potere superiore agli stessi dèi. In
effetti, dal punto di vista storico, lo sviluppo del
brahmanesimo può essere letto come un tentativo
compiuto dalla casta dei sacerdoti di giustificare il
proprio potere sociale.
Dattatreya,
divinità
induista che
riassume in sé
le tre persone
divine della
Trimurti
(Brahma,
Shiva e
Vishnu),
dipinto su
legno del
Tanjore (Arles,
Collezione
privata).
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1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo
PROFILO
La tendenza al
monoteismo
Dal punto di vista teologico, il brahmanesimo non supera il tradizionale politeismo, e
tuttavia sviluppa un’esigenza di unità potenzialmente monoteistica. Il brahman, infatti,
è l’Assoluto, la manifestazione di una forza suprema, uno spirito universale al di sopra
di tutte le altre divinità, principio e fondamento del mondo fenomenico. In alcune
tradizioni è concepito in forma astratta e impersonale, ossia come un principio assoluto
o una forza immanente alla natura; in altre è descritto in forma personale, come una
divinità specifica e superiore. In questo contesto si presenta come Brahma, il dio
Creatore, che successivamente è spesso associato ad altre due divinità supreme, Vishnu
il Conservatore e Shiva il Distruttore, a formare la Trimurti, la triade divina che assomma in sé i tre aspetti o le tre funzioni fondamentali di Dio: creatore, conservatore e
distruttore.
Il periodo
delle
Upanishad
Il terzo periodo, fra il I X e il V I secolo a. C., è quello delle Upanishad, termine che
indica l’atto di «sedersi ai piedi del maestro», un modo figurato per indicare il carattere
elitario ed esoterico degli insegnamenti più profondi, impartiti solo ai discepoli migliori,
in grado di recepire gli aspetti segreti della dottrina. Nei testi delle Upanishad, infatti, è
evidente una reazione al ritualismo brahaminico della fase precedente. Interrogandosi
sulla natura ultima del cosmo, sull’origine dell’uomo e sul suo destino, questi testi
pongono le questioni speculative fondamentali della spiritualità indiana. È nelle Upanishad che si trovano per la prima volta teorizzate le nozioni centrali di dharma, karma,
e nirvana.
Il dharma,
il karma
e il nirvana
L’idea che lo stato di perfezione cui anela l’uomo possa essere raggiunto solo tramite una
rottura della legge del karma è comune a tutte le religioni e scuole di pensiero indiane. Il
karma, infatti, definibile come legge della concatenazione causale, è ciò che si oppone al
conseguimento della beatitudine (nirvana). Se, come predilige l’induismo, si intende il
"
Dharma
È il concetto chiave dell’etica induista. Termine dalle
molteplici valenze semantiche, indica la legge religiosa
universale ed eterna che stabilisce la normativa etica,
castale e di culto; esso è inoltre identificabile con la
verità metafisica e il principio che governa e regge il
"
Karma
Termine sanscrito che letteralmente significa «azione»,
ma che nella speculazione indiana indica la «conseguenza ineluttabile dell’azione». Nell’induismo indica la
condizione di rinascita dell’anima, che si reincarna in un
essere commisurato alla qualità delle azioni compiute
"
mondo. Nell’induismo si specifica nei precetti e doveri
relativi alle differenti caste. Nel buddhismo indica non
solo la Legge impersonale dell’esistenza, ma anche la
legge predicata dal Buddha e quindi la dottrina delle
quattro nobili verità.
dalla stessa anima nell’incarnazione precedente. Il
buddhismo intende il karma come conseguenza ineluttabile del desiderio o «sete» di vivere. Con la scomparsa del desiderio, il karma perde la sua forza cogente
e con esso si estingue il processo di metempsicosi.
Nirvana
Nelle tre grandi religioni indiane (induismo, buddhismo,
giainismo) indica la condizione della suprema e definitiva salvezza. Per l’induismo, nel quadro della dottrina
della metempsicosi, coincide con l’interruzione del ciclo
delle rinascite dell’anima. Per il buddhismo, coincide
invece con l’interruzione del ciclo di causa-effetto che
determina l’esistenza dell’individuo, condizione ottenibile con l’estinzione della «sete», ossia del desiderio,
causa del dolore che contraddistingue l’esistenza empirica.
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MODULO
Le filosofie orientali
nirvana come una condizione non raggiungibile in questa vita, allora il karma indica la legge
che regola la reincarnazione delle anime. Nel caso del buddhismo, come vedremo, il karma
ha un significato differente.
La
trasmigrazione delle
anime
Pagina
da un
manoscritto
delle
Upanishad,
X V I I secolo.
Anche se con accenti diversi, tutte le scuole di pensiero indiane condividono la nozione di
samsara (metempsicosi), ossia la teoria secondo cui esiste, in ogni essere vivente e quindi
anche in ogni individuo umano, un’anima eterna che
dopo la sua morte si potrà reincarnare in un altro essere vivente. L’obiettivo da perseguire è l’interruzione di questo ciclo di rinascite, in modo che
l’anima cessi di essere costretta all’interno di un
corpo e si affranchi definitivamente dal dolore. Il
nirvana, inteso come liberazione dal samsara, è
raggiungibile solo attraverso un lungo percorso di
perfezionamento dell’anima, la quale, a ogni reincarnazione, può operare un avanzamento o un regresso nella scala degli esseri. Al regresso non c’è
praticamente limite: anche l’anima più malvagia,
incarnata nel corpo di un uomo, può sempre peggiorare la sua condizione futura, perché la metempsicosi postula una continuità fra uomo e animale,
non escludendo che un’anima si degradi sino a
reincarnarsi in un animale. Anche nel mondo animale esiste una gerarchia di perfezioni degradanti,
dagli animali domestici e socievoli, in qualche modo
più simili all’uomo, via via sino alle bestie selvagge.
La legge
del karma
Storicamente la dottrina della metempsicosi e la connessa legge del karma sono state il
fondamento del tradizionale sistema castale, offrendo una giustificazione etico-religiosa
delle differenze sociali. La condizione di nascita non è frutto del caso, ma un effetto del
proprio karma, ossia una conseguenza delle azioni lodevoli o disdicevoli compiute dall’anima dell’individuo nelle incarnazioni precedenti. La condizione di chi nasce servo non è
dovuta alla sfortuna o all’ingiustizia, ma è causata dalle colpe commesse nelle vite precedenti.
La legge
del dharma
L’unico modo per progredire nella gerarchia castale è osservare rigidamente, nella propria
esistenza attuale, la legge del dharma, ottenendo cosı̀ una migliore rinascita. Dharma, in
senso generale, indica il comportamento che ogni essere, vivente o non vivente, deve
assumere per essere in accordo con la propria natura. Esiste un dharma che regola il ciclo
del Sole, un dharma che governa il movimento delle onde e cosı̀ via. Anche l’uomo è
naturalmente compreso fra gli esseri governati dal dharma, ma ciò non implica affatto
l’esistenza di un unico dovere valido per tutti gli uomini, perché nell’induismo ogni individuo trova la specificazione della propria legge etica nella casta in cui è destinato alla
nascita.
AA
T1
Etiche
e caste
L’induismo pone uno strettissimo legame tra fede religiosa e prassi civile attraverso una
specificazione particolareggiata delle regole sociali, dei doveri e dei riti legati al sistema delle
caste. Ognuna di queste è una cerchia chiusa, con propri usi e costumi, divinità di riferimento, pratiche liturgiche, uno specifico diritto religioso e civile (il dharma appunto). Sarà
dunque il dharma a stabilire, sul piano giuridico, il dovere di ogni indù, collocando, per cosı̀
dire, ogni persona al proprio posto. Se si è nati servi, si potrà migliorare solo adempiendo al
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1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo
PROFILO
meglio il proprio compito in questa vita; ogni tentativo di migliorare ora la propria condizione castale condurrà a peggiori disastri futuri.
Precettistica
castale
Le regole sancite dal dharma castale sono dettagliatamente descritte in una specie di manuale, il Codice di Manu, e riguardano ogni aspetto della vita. Il matrimonio può essere
contratto solo con membri della stessa casta e il lavoro deve essere quello specifico assegnato alla casta di appartenenza. La semplice struttura arcaica della società indù prevedeva
l’esistenza di cinque caste fondamentali: 1) sacerdoti (brahmani); 2) guerrieri; 3) contadini;
4) commercianti; 5) servi. La graduale specializzazione del lavoro ha prodotto un sistema
complicatissimo in cui si annoverano dalle 2000 alle 3000 sottocaste. La diseguaglianza
sociale sancita dal sistema è in qualche modo riequilibrata dalla pesantezza e dalla rigidità
delle regole che compongono il dharma delle caste più elevate. Ai brahmani, ad esempio,
è rigidamente vietato il consumo di carne, che è invece parzialmente consentito ai componenti delle classi più basse. I brahmani devono anche praticare rigorosamente la regola
della non-violenza, con il divieto assoluto di danneggiare qualunque forma di vita. Devono
scandire la loro vita secondo quattro fasi prefissate, prima come allievo, poi come padre di
famiglia e infine come eremita e pellegrino asceta. Il dharma brahminico prevede, infatti,
l’obbligo di abbandonare la famiglia nella seconda fase dell’esistenza.
Il tantrismo
Un prodotto originale della cultura indiana è il tantrismo, letteralmente «trama» e, quindi,
«testo», comparso in India nei primi tre secoli dopo Cristo, all’epoca in cui in Occidente
fioriscono le sette gnostiche. Riscuote grande successo e a partire dal V I secolo si radica
saldamente nella cultura indiana. Influenza non solo la vita degli asceti, ma ogni aspetto
della cultura, ed è assimilato da tutte le grandi religioni del subcontinente indiano: induismo, buddhismo e giainismo. Il tantrismo infatti non è una religione, ma una dottrina
esoterica, un movimento misterico che
comprende un complesso di riti, mitologie, prescrizioni etiche e soprattutto
tecniche di meditazione. La sua specificità sta nel ritenere che la via all’illuminazione debba essere trovata non in
una rinuncia al mondo o nell’annullamento della fisicità in nome dello
spirito, ma, al contrario, nel totale dominio del proprio corpo. L’idea base
del tantrismo è che l’accesso alla dimensione mistica, ovvero la soppressione della normale attività mentale,
l’abbandono dell’io e l’unione con l’Assoluto, sia acquisibile tramite facoltà
straordinarie derivanti da un completo
controllo della propria fisicità.
La visione tantrica è debitrice di molte
categorie dello yoga. La disciplina dello
yoga prevede innanzi tutto l’osservanza
di norme etiche propedeutiche, senza le
quali ogni forma di meditazione si rivelerebbe inutile. Lo yogi (il praticante)
deve osservare i princı̀pi della non-violenza, dell’onestà, dell’astinenza sessuale
Savitri, sposa
di Brahma
e madre dei
quattro Veda,
nell’aspetto
del Sacro
verso vedico
gayatri,
stampa
popolare
indiana.
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MODULO
Le filosofie orientali
e della povertà; deve poi «lavorare» sulla propria mente per distruggere tutti gli ostacoli che
impediscono l’accesso a una vita spirituale superiore, come l’ira, l’ansia e tutte le passioni. Solo
dopo aver assunto un tale stile di vita, lo yogi può affrontare con successo l’esperienza della
meditazione, che lo yoga pone in stretta relazione con il controllo del respiro. È esperienza
universale che il respiro controlla le emozioni e funge da regolatore dello stato d’animo: in una
condizione di paura o di ansia, ad esempio, il suo ritmo accelera. Il rapporto però è reversibile,
poiché è possibile influire sullo stato mentale regolando la propria respirazione secondo
criteri di ritmo, durata e intensità. Lo yoga estende questo principio fino a farne una norma
metafisica: il respiro è la via privilegiata al superamento del dualismo fra il corpo e la mente.
Oltre al controllo del respiro e delle posizioni del corpo, altre tecniche sono praticate dal
mistico orientale. Importanti sono la concentrazione visiva sui mandala (costruzioni
LA STORIA E LA CULTURA DEL TEMPO
Il tantrismo
Per quanto il misticismo rappresenti una parte importante
della tradizione cristiana, non ne è però l’elemento costitutivo. Il pensiero teologico europeo, innestandosi sul
razionalismo filosofico greco, ha sempre concesso uno
spazio prestigioso ma delimitato a un’esperienza certo
devota ma fondamentalmente irrazionale. In Oriente, invece, il misticismo si è sviluppato all’interno di una cultura
che ha sempre privilegiato il rapporto religioso con il
mondo e ha quindi raggiunto una notevole consapevolezza teorica ed elaborato originali tecniche adatte alla
meditazione contemplativa.
Il tantrismo – letteralmente «ciò che estende la conoscenza» – comparve in India nei primi tre secoli della
nostra era, all’epoca in cui in Occidente fiorivano le sette
gnostiche. Ebbe un successo improvviso ed enorme; a
partire dal V I secolo dilagò come una moda. Accettato e
assimilato da tutte le grandi religioni del subcontinente
indiano (buddhismo, induismo, giainismo) influenzò non
solo gli asceti (yogi) ma anche ogni aspetto della cultura.
Non è propriamente una dottrina ma un complesso di
riti, mitologie, prescrizioni etiche e tecniche di meditazione. La sua specificità sta nel ritenere che la via all’illuminazione estatica debba essere trovata non in una
rinuncia al mondo, ma nel totale dominio del proprio
corpo.
La dottrina fondamentale riguarda il sistema dell’energia Kundalini. Il fine dello yoga tantrico è quello di
risvegliare la dea serpente, che risiede in stato di quiescenza in fondo alla spina dorsale, e far sı̀ che rialzi la testa
e risalga lungo il canale, o nervo sottile, che percorre la
colonna vertebrale, fino a raggiungere la sommità del
capo. Il risveglio di Kundalini avviene attraverso molteplici
forme che corrispondono a diverse tradizioni tantriche.
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La più antica pratica tantra prevedeva il controllo
dell’energia sessuale. Nei templi indiani sono molto
frequenti le raffigurazioni dell’amplesso, fondamentale
simbologia dell’unità. Infatti la diversità sessuale è la
metafora più evidente di una concezione dualistica, e
quindi l’amplesso è, in opposizione, un simbolo della
riunione mistica nell’Uno. Il tema delle «nozze mistiche»,
del resto, è presente anche nell’alchimia occidentale, che
descrive la fusione dei metalli come un rapporto magicosessuale. Oltre che un simbolo metafisico, l’amplesso è nel
tantrismo anche una fondamentale pratica mistica e
ascetica.
La tradizione fondamentale del tantrismo è lo yoga, la
cui tecnica più conosciuta è il controllo del respiro. È
esperienza universale che il respiro controlla le emozioni e
funge da regolatore dello stato d’animo: in una condizione
di paura o di ansia, ad
esempio, il suo ritmo
accelera. Il rapporto però
è reversibile, poiché è
d’altra parte possibile influire sullo stato emotivo
regolando la propria respirazione. Lo yoga estende questo principio fino a
farne una norma metafisica: il respiro è la via
privilegiata al superamento del dualismo fra il
corpo e la mente. Mente
e respiro sono la stessa
cosa. Il canale assiale su
cui risale Kundalini è
1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo
PROFILO
grafiche che facilitano la meditazione) e la ripetizione ossessiva di parole, sillabe sacre o
preghiere (mantra). La più antica pratica tantrica prevedeva un rituale sessuale, il maithuna, in cui l’adepto, unendosi con una donna iniziata il cui corpo era stato consacrato
precedentemente da un guru, doveva dimostrare di saper controllare la propria energia
sessuale.
GUIDA ALLO STUDIO
O Sai specificare la differenza fra le nozioni di casta e di classe?
O Anche alcuni filosofi greci professarono la dottrina della metempsicosi: quali?
O Il sistema castale indiano è stato a volte paragonato a quello delineato da Platone nella Repubblica: sai
indicare le principali differenze?
fiancheggiato e attraversato da altri due: quello detto Ida
sale serpeggiando dal testicolo sinistro alla narice destra
ed è associato alle energie fresche e «lunari» della psiche.
Il secondo, detto Pingala, sale dal testicolo destro alla
narice sinistra e la sua energia è solare, infuocata come il
calore dei tropici, secca e distrugge ogni cosa. Il compito
dello yogi è riunire l’energia di queste due potenze opposte alla base del canale e poi farle risalire, trasportate
dallo svolgersi e innalzarsi della dea serpente. Lo yogi
inizia inspirando attraverso la narice destra, immaginando che l’aria scenda lungo il canale Ida, per cosı̀ dire
ripulendolo. Trattiene il respiro contando fino a un certo
numero poi espira attraverso l’altro canale, Pingala. Poi si
inspira dalla narice sinistra, ripetendo l’operazione al
contrario, e cosı̀ via. In questo modo la mente si placa e
l’intero sistema nervoso viene purificato. Improvvisamente, affermano gli yogi, un giorno ci si accorge che la
dea serpente comincia a muoversi e a risalire.
Dove i due canali si
incrociano sono posizionati i sette chakra,
come stazioni su questo
cammino, immaginati
come fiori di loto che
sbocciano aprendosi al
passaggio di Kundalini
(la sua presenza si manifesta con un eccezionale riscaldamento nel
punto del corpo corrispondente). Dal più
basso al più alto, attraverso i 5 intermedi, l’asceta sperimenta mutamenti sostanziali nella propria psicologia e
personalità. Nel caso estremo, solo dopo molti anni di
esercizio, riesce a far risalire l’energia fino alla sommità
del capo, dove lo sbocciare del loto-dai-mille-petali indica
il raggiungimento del samadhi, lo stato di estasi.
I sette chakra segnano le tappe dell’elevazione spirituale. Raggiungere il livello superiore significa non solo
un aumento della conoscenza, ma soprattutto una trasformazione complessiva e definitiva del soggetto. La
scala orientale è nettamente divisa in due: i primi tre
chakra descrivono modelli di vita ottimali ma praticabili
conducendo un’esistenza normale, mentre la vita meditativa inizia solo quando l’energia Kundalini si eleva ai
centri superiori. Da questo livello diventano decisive le
pratiche yoga, le quali comunque, ben lungi dall’essere
tecniche risolutive, devono essere accompagnate da un
adeguato stile complessivo della vita. Ad ogni chakra
corrisponde un simbolo, un fiore di loto contrassegnato
da un crescente numero di petali, che riassume alcune
delle tecniche usate dallo yogi. Le sillabe inscritte sono i
particolari suoni e vocalizzazioni, detti «mantra», ossia
formule invocatorie che l’adepto deve imparare a emettere durante gli esercizi di controllo del respiro (ad
esempio la OM).
Oltre al controllo del respiro, esistono altre pratiche
yoga finalizzate al superamento del dualismo mentecorpo. Nello «yoga del corpo illusorio» l’adepto guarda la
propria immagine riflessa in uno specchio fino a identificarsi con essa e sperimentare un senso di illusorietà del
proprio corpo materiale.
Due posizioni classiche dello yoga: Kandasana, posizione del bulbo,
e Utthita-Pascimottanasana, posizione dell’estensione della schiena in verticale.
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& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4