Sorico - Storie di acque, terre, uomini

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Sorico - Storie di acque, terre, uomini
Pagine 142-143
35) Panorama dai monti sull’ultimo bacino del Lario
con vecchie piante di castagno.
lasciarla marcire (1789, 15 luglio)19. Per Sorico nel 1789, 28
agosto, da Gravedona il cancelliere del distretto VIII Giovan
Battista Pogliani, in evasione del decreto 10 agosto 1789, così
attesta: “si riferisce che tutti i boschi comunali dei Comuni della
Pieve di Sorico possono vendersi, anzi si sono già venduti”20.
All’arrivo dei Francesi il medesimo funzionario Giovan
Battista Pogliani, cancelliere del Censo del distretto VI
all’Amministrazione Centrale lascia una testimonianza importante sulla condizione sociale nell’anno 1800, 8 gennaio (18
Nevoso anno VIII):
longhi un brazzo almeno parimenti se mettino doi per uno
borello et che siino segnati tutti con due tache in sbresso in
testa da ambe le due bande.
Item pacto etc. fra essi presenti convenuti che detti
homini habbino a compensar [...] sopra la prima mettà da
pagarsi nella forma come di sopra le soprascritte lire 850 di
terzole contenute nel soprascritto instrumento di obligo,
atteso che [... ] et subito sarà pronta la condotta oltra nel
modo come di sopra oltra il restante et integral pagamento
che detto Rippa [...].
Item [...] non si potessero far essi borelli [...] Rippa non
li potesse andar a venderli per prohibitione de signori
Principi sì di Milano quanto di Grisoni detti homini siino
tenuti pagar li detti denari nel prefato obligo contenute et
nel modo et forma in esso contenuto sborsarsi da esso Rippa
a bon conto per tal impresa et lavorerio non ostante la
soprascritta conventione nel primo capitolo et patto fatta
[...]”.
Atto rogato a Tremoledo “in curia domus habitationis” di
Michele Falcinella testi lo stesso Falcinella, del fu Giovanni,
Martino Lironi del fu Martino, entrambi di Tremoledo, Marco
Antonio del fu Domenico di Albaredo del Comune di Morbegno
“borellario” dello stesso Riva, Battista del fu Lucrezio Turchetti
di Samolaco abitante a Sorico, Andrea Lavizari del fu Stefano17.
“La Comunità di Bugiallo è delle più povere di questo
distretto ed i comunisti vivono presentemente col prodotto
della legna da fuoco che giornalmente trasportano alle
Comuni vicine[...] perciò abbisognano dell’importo delle
proprie derrate che le vennero tratte a forza per servizio
militare”. E aggiunge: “I Deputati dell’estimo della Comune
di Bugialo di questo distretto sono in molte angustie per non
poter soddisfare le molte sovvenzioni che ebbero dai comunisti per sanare le diverse requisizioni di bestie da macello,
fieno e legna per servizio militare fatte alla propria comune
dalla municipalità di Dongo e dalle comuni di Domaso e
Gravedona ed altro ripiego non seppero rinvenire che quello
della vendita d’alcune piante di castagni infruttifere esistenti nelle selve comunali [...]”21.
Il citato Michele Falcinella è personaggio ricorrente negli
atti del primo Seicento, anch’egli interessato ai tronchi. Veniamo
infatti a sapere che nel 1610, 26 marzo, si giunse alla soluzione
della querela del Comune di Bugiallo contro di lui per il taglio
di “borelli” sui monti di Bugiallo “Al Monte Rotondo”, con il
pagamento di L. 70 entro la Pasqua18.
1800, 27 dicembre, in Bugiallo, a seguita di delibera votata
nel medesimo giorno, viene eseguita una perizia delle piante
castanili selvatiche infruttifere delle selve comunali da Giovanni
Bioca “carbonaro” con Bartolomeo Raser, deputato dell’estimo,
e Francesco Raser a nome di Battista Gentile, deputato
dell’Estimo: “Della selva denominata Piazza Longa verso mattina
[...] piante n. 38 stimate per ridurle a carbone bisacchi n. 500
per la mercede ai carbonari soldi 14 e per portura soldi 9, e per
la legna soldi 10 al sacco donque la stima del capitale l’ho stimata la soma di L. 250”. Con le medesime voci per la “Selva alli
Dossi” si contavano 31 piante, valutando in L. 160 le bisacce di
carbone ottenibili, per una spesa di soldi 16 ai carbonai, soldi 6
per trasporto, soldi 10 al sacco per la legna da ardere nella carbonaia, per un totale di L. 80. Così dalla “Selva al Gaggetto” si
calcolavano piante 23, bisacce 90, soldi 15 ai carbonai, soldi 9
di trasporto, soldi 11 per legna per un totale di L. 49.10.
L’importo totale era di L. 379.1022.
Si tratta ad ogni modo di documenti sporadici, pervenutici
con l’archivio del notaio Preboni; diversi altri atti analoghi precedenti e successivi si sono perduti con gli archivi di altri notai.
A fine ’700 lo Stato, ancora con gli Austriaci, controlla il territorio attraverso la Prefettura, i cui uffici registrano condizioni
diversificate in Alto Lario: “[...] i boschi [...] nella pieve di
Gravedona per la situazione de’ quali non si può metter a profitto la legna, e si deve lasciarla marcire sul luogo”. In particolare a Dosso del Liro il bosco detto Faido di Gordon nella Valle
di Mugiammo, di pertiche 30 e a Livo “il bosco che comincia a
Borgo sino all’acqua di Lozz ed a Canale Vossa” di pertiche
1000. A Bellano invece tutte le legna si mette a profitto senza
_____________________________
17) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
18) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
19) ASCo, Prefettura, cart. 392, fasc. 6. Boschi.
20) ASCo, Prefettura, cart. 392, fasc. 6. Boschi.
21) ASCo, Prefettura, cart. 296. fasc. 4055.
22) ASCo, Prefettura, cart. 296. fasc. 4055.
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IL LEGNAME, I FIUMI E IL LAGO: LA FLUITAZIONE O “FLOTTAZIONE”
Come si è visto, la fluitazione era praticata da secoli, sul
fiume Mera e sull’Adda, sporadicamente provata da qualche
contratto stilato davanti a un notaio. Una cospicua pratica di
domande di “flottazione” nel fiume Adda, relativa agli anni
1833-1845, si conserva nel Fondo di Prefettura di Como e vede
fra gli altri interessati i centri dell’Alto Lago, in particolare
Sorico con Gera23. Si tratta di richieste di autorizzazione a far
viaggiare via acqua ingenti partite di legname tagliato nel boschi
della Valtellina da parte di diversi imprenditori, sfruttando le
acque dei torrenti della Valtellina, dell’Adda e quelle del Lago di
Como come naturale veicolo di una merce di pregio. Dapprima
sono gli uffici dello Stato a cautelare l’interesse delle opere pubbliche (sponde e strade) da eventuali danni, ma dopo qualche
evento dannoso a spese di privati, gli stessi uffici informano con
ampio anticipo la popolazione. Le prescrizioni si fanno via via
più puntigliose e indirettamente utili al lettore moderno per
ricavare informazioni sulla natura dei luoghi e sugli interventi
dell’uomo.
Le comunità rivierasche vengono così preventivamente informate dall’autorità statale e messe in condizione di difendere
interessi collettivi o privati eventualmente minacciati dall’operazione.
Interessanti risultano i nomi dei titolari delle imprese commerciali e di coloro che versano a loro cautela alte cifre di assicurazione, titolari, in più occasioni, di altre analoghe ditte. Non
meno interessanti i termini, scanditi in genere nel medesimo
ordine gerarchico, dei pezzi di legname: dal maggiore (le
“borre” o tronchi) al minore, dal pezzo di qualità più alta in giù,
fino alla legna da ardere misurata in “spazza”, cioè a “bracciate”24. Curiosamente, però, la legna da ardere è sempre segnala-
ta in testa nei documenti della prefettura di Sondrio, in coda in
quelli di Como (tranne nel più antico del 1833)25:
1833, 15 maggio, Lorenzo Brunoli di Morbegno, chiede all’I.
R. Delegazione Provinciale di Como il permesso di far flottare
“spazza 5000 legna da fuoco di faggio misto con pino betola, e
poco castano, più n.º 1200 borre peccia e larice portante la
marca D da raccogliersi presso Gera, Vercana, Domaso", previo
deposito di L. 1000. Offre L. 6000 di sicurtà Francesco
Lampugnani di Domaso. Non è precisato per quale altra quota
offrisse sicurtà Filippo Caimi di Morbegno26.
1836, 16 dicembre, il Brunoli non ha effettuato nei termini
previsti la flottazione (concessa il 19 dicembre 1835) per il
Bitto e l’Adda, che viene rinviata ai mesi tra marzo e maggio del
1837.
1837, 20 febbraio, viene autorizzata la fluitazione di 600
spazza da fuoco, “2000 borre di larice, abete, avezzo e tiglione
pervenuti dal bosco Peghera dal comune di Castione”, 2000
spazza di legna da fuoco, 2300 borre, 400 poncette, 400 mancanti dai boschi Campeglio e Prato dell’Acqua del comune di
Caiolo “della qualità di abete, larice ed avezzo”27.
1837, 7 aprile, la ditta Giovanni Antonio Vitali di Bellano
versa una cauzione di L. 15.000 e s’impegna a tenere legato in
zattere il suo legname fino alla riva di Gera difendendo gli argini con “opportune spiche” e a lasciare aperto nell’Adda un
canale di navigazione largo almeno 40 metri “la cui mezzaria
sarà il filone del Fiume, come si è praticato anche per lo passato in altri consimili casi”.
_____________________________
23) ASCo, Prefettura, cart. 1983.
24) “[...] forse noi diciamo spazz da spazio, perchè allargandosi l’uomo con le braccia, come dice il Vasari, opera appunto tanto quant’egli è alto[...] è una delle misure primigenie cadute in mente all’uomo nello sbarrarsi nelle braccia. Corrisponde appuntino alla passa dei Sardi che il Porru traduce coll’italiana bracciata[...] forse è l’auna
di alcuni antichi”, F. CHERUBINI, Vocabolario Milanese-Italiano, Imperial Regia Stamperia, Milano 1841, ad vocem.
25) ASCo, Prefettura, cart. 1983.
26) ASCo, Prefettura, cart. 1983.
27) Avezzo è una qualità di abete. Se nello specifico si trattasse di abete rosso o peccio, o di abete bianco, non è possibile stabilire. La voce avezzo è in uso con significati non
sempre identici in diverse zone d’Italia. Riportiamo una tabella di corrispondenze da O. PENZIG, Flora popolare italiana. Raccolta dei nomi dialettali delle principali piante indigene e coltivate in Italia, Orto Botanico della R. Università, Genova 1924, p. 45:
Avezo Belluno
Abies alba
Avezz Como
Picea excelsa
Avèzz Milano
Abies alba
Avezz Valtellina Abies alba
Avezzo Toscana Abies alba
Avezzo Verona Picea excelsa
È difficile stabilire se si trattasse di abete rosso, secondo la definizione comasca (comaschi erano gli uffici prefettizi che stilarono i documenti), o di abete bianco secondo quella del luogo di provenienza, la Valtellina.
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Nel 1840 erano diverse le ditte interessate alla flottazione: la
Lorenzo Brunoli di Morbegno, la ditta Giovanni Antonio del fu
Giuseppe Vitali di Bellano, la ditta Domenico Regazzoni e
Lorenzo Brunoli.
1838, 29 marzo, Sondrio: viene diramato un avviso a stampa
sulla flottazione richiesta da Lorenzo Brunoli per 6350 spazza di
legna da fuoco miste di faggio, rovere, betulla, peccia e larice
acquistati da privati di Val Masino; 3249 piante di peccia e larice dal bosco di Pioda (taglio acquistato dal comune di Cercino)
dalle cui piante sarebbero “sortite n.º 4170 borre, 2800 poncette, 3500 mancanti e spazza 278 legna da fuoco”.
1841, 20 febbraio, l’I. R. Ufficio delle Pubbliche Costruzioni
ammette che Francesco Lampugnani faccia flottare legname
lungo il corso dell’Adda fino al Lago di Como sulle sponde di
Gera, Vercana e Domaso, dietro la garanzia prestata da
Francesco Miglio per L. 15.000 (10 febbraio 1841), “con obbligo espresso che durante la flottazione del legname sul tratto del
Passo d’Adda, ove esiste il porto volante, il ponte di legno e le
barche sostenenti il cordone di ritegno del porto stesso debba
mantenere a di lui carico un sufficiente numero di uomini di
effetto di tenere allontanati dal porto stesso, dal ponte e dalle
barche i legnami flottanti [...] non minori precauzioni dovrà
avere nel tragitto del Passo d’Adda e Vercana, ove l’acqua del
lago tocca i muri, affinchè i legni fluttuanti non abbian ad urtare contro i muri della nuova Strada Regina”. Inoltre per mantenere attiva la navigazione “dovrassi a carico del sig. Lampugnani
costruirsi due spiche situate in modo che per la larghezza di
metri 30 non abbia a pescare legname alcuno, e che la mezzaria di detto spazio sia il filone del fiume. / Tali spiche saranno
costruite con grosse borre unite fra loro con catene di ferro
ferme in occhioli simili affrancati nelle teste delle borre medesime”. Il carico di legname consistente in 12.000 borre, 1000
mezzanelloni, 2000 tondoni, 3000 poncette, 7000 mancanti,
4000 spazza di legna da fuoco era stato acquistato con l’asta del
17 luglio 1839 a seguito del taglio di “n.º 9760 piante resinose
d’alto fusto e delle legne morte esistenti nei lotti I, II, III, IV in
Valdisotto”. La partita di legname si sarebbe raccolta sulle rive
dell’Alto Lario nel maggio 1841, ma “il decimo del legname d’opera” si sarebbe “accatastato sui ghiarili dell’Adda in vicinanza
del ponte comunale di Grossotto dove verrebbe estratto per
esser lavorato su quelle seghe”.
1838, 4 aprile, Sondrio, il consigliere di governo ed imperial
regio delegato provinciale di Sondrio, Berchet, e il segretario, A.
Sertoli, firmano l’avviso a stampa che segnala la richiesta di flottazione di Luigi Maestri delle Fusine lungo il torrente Livrio e il
fiume Adda di diverse partite di legname:
“I - 6000 borre, 2000 poncette, 300 spazza legna da fuoco,
400 tondoni dal bosco Corna e Dosso della Parada, acquistati
dal Comune di Caiolo; II - 900 borre, 400 poncette, 400 tondoni, 1200 mancanti, 300 spazza legna di peccia e faggio e betulla
da privati del territorio di Cedrasco; III - 120 borre, 200 spazza
di legna da fuoco, 300 poncette, 200 tondoni, 200 mancanti dal
bosco Campello del comune di Caiolo che il De Maestri acquistò da Antonio Foianini, agente della ditta Vitali e dell’Era di
Bellano”. Il 1º maggio sarebbe iniziata la fluitazione.
1838, 24 aprile, Gravedona, Francesco Lampugnani offre
sicurtà di L. 15.000 a Luigi Maestri delle Fusine per i legnami di
peccia e larice marcati FL ed S, da raccogliersi al molo di Vercana.
1839, 15 febbraio, Lorenzo Brunolo “per imprevedute circostanze non ha potuto compiere lo scorso anno la condotta pel
fiume Bitto”, la dovrà ultimare nella primavera del 1839 “facendola proseguire anche pel fiume Adda”.
1839, 30 marzo, Francesco Lampugnani di Domaso offre L.
15.000 di "sicurtà" a Lorenzo Brunoli.
1839, 4 maggio, “obbligo di tenere il legname legato in zattere, anche riguardo alla natura della località” insieme a quello
di lasciar libero per la navigazione un canale nell’Adda.
1841, 24 marzo, Giuseppe Cusi, ingegnere capo dell’I. R.
Ufficio Provinciale delle Pubbliche Costruzioni, all’I. R.
Delegazione Provinciale “All’oggetto di tutelare l’interesse erariale e garantire la Pubblica Amministrazione dai danni che
potrebbero derivare alla Regia Strada di Domaso, recentemente
costruita, a motivo della flottazione[...]” il 17 marzo 1841 sottoscrisse la sopra riportata “Descrizione[...] del Porto volante
sull’Adda [...] dei muri fronteggianti il Lago fino al Molo di
Vercana presso Domaso” in previsione della flottazione di legname richiesta da Francesco Lampugnani di Domaso.
1839, 14 maggio, la marca di contrassegno per il legname
Lampugnani è O.L.
1840, 8 luglio, l’ing. Galimberti dell’I. R. Ufficio delle Pubbliche
Costruzioni attesta che Lorenzo Brunoli non ha esaurito il carico
con la flottazione del 1840, che dovrà completarsi nel 1841.
Evidentemente il periodo primaverile metteva d’accordo due
esigenze: quella del taglio del bosco da effettuarsi a fine inverno,
col disgelo, e quella connessa e conseguente di sfruttare la
massa d’acqua di torrenti e fiume in piena. Di qui il rinvio alla
successiva stagione primaverile.
1841, 9 aprile, Francesco Miglio fu Antonio di Domaso offre
15.000 lire a favore di Francesco Lampugnani a garanzia dai
rischi di danneggiamento prodotti dalla flottazione.
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Il Lampugnani “sarà in dovere di costruire una diga di barche unite con cattena nei suoi estremi al ponte mobile sull’Adda
sulla destra fino all’incontro dello scoglio sporgente nell’Adda
stessa per la fuga di metri cinquanta; altra diga sulla sinistra dall’estremità del ponte mobile sino alla distanza di metri duecento cinquanta e di lì fino all’incontro della sponda dell’Adda sul
Piano di Spagna. Simile diga di legnami bene uniti con catena
lungo i muri tutti delle sponde del Passo d’Adda sino al cavo (?)
termine verso Sorico”.
nell’ascendere il suddetto tratto di fiume per deviare il legname deferente, con infrangimento di remi, ramponi, e danno
notabile alle loro barche coll’urto del legname che viene
incontro[...]”.
1841, 22 maggio, Domaso. Francesco Lampugnani chiede
all’I. R. Delegazione Provinciale “avendo fatto acquisto da
Lorenzo Brunoli di Morbegno di una partita di legna da fuoco,
borre, tondoni, poncette e mancanti”, segnata con marchio O,
provenienti dai boschi del Distretto di Bormio nel comune di
Valdisotto, quota per la quale il Brunolo aveva già ottenuto il
diritto di flottazione, che sia unita alla flottazione da lui richiesta
per legnami segnati con marchio D, tronchi di peccia e larice
della Valle del Magrino. Il Lampugnani aveva offerto “sigurtà
solidale” di L. 15.000 a favore del Brunoli il 18 marzo 1841.
1842, 3 giugno, l’ingegnere in capo dell’Ufficio delle
Pubbliche Costruzioni, Giuseppe Cusi, rassegna all’I. R.
Delegazione Provinciale il processo verbale delle opere da eseguirsi a difesa delle sponde, datata 21 maggio, che corrisponde
a quanto verrà nei successivi anni ribadito, disponendo qui di
un articolo sulla pesca: “In quanto alla pesca non essendovi
alcuno, che possa vantare diritto, non essendovi vietato dai regolamenti di fluttuare legnami per laghi o fiumi nei quali altri
abbiano diritto di pesca, sarà quindi da restituirsi ai reclamanti
le loro istanze”.
1842, 21 marzo Lorenzo Brunoli e Domenico Regazzoni
chiedono autorizzazione alla condotta di legna acquistata nei
comuni di Grosio, Grossotto e Mazzo in Valtellina da condurre
per flottazione attraverso l’Adda fino ai comuni di Gera, Sorico,
Vercana, Domaso.
1842, 3 giugno, da Como Serafino Botta, appaltatore del
Porto Volante “in vicinanza di Sorico” sull’Adda, ribadiva e precisava all’I. R. Delegazione Provinciale le rimostranze per danni
presentate il 5 aprile, perché non gli era stata data alcuna soddisfazione. Il Botta pagava all’Erario un annuo canone di L. 884,
oltre un versamento cauzionale di L. 4396 alla Cassa Finanze di
Como. Si sentiva perciò in diritto di così denunciare:
“ [...] col giorno 24 p. p. maggio incominciarono [...]
sull’Adda delle grosse condotte di legna e travi, quali continuano tuttora giornalmente, e finiranno non si sa quando
[...]. Da più di un mese e mezzo [...] il lucro cessato all’esercizio non è già lieve [...] poiché [...] nel tempo della maggior flottazione si impedisce fin anche di poter colla barca
apposita di ragione dell’Erario [...] traghettare dall’una
all’altra sponda i viandanti, mentre vi è pericolo che qualche
grossa trave abbia a spezzare il batello, e gettare così
nell’Adda chi vi è dentro. Non potendosi quindi traghettare
non si può nemmeno esigere il diritto di porto [...] il ponte
volante (quale serve solo per traghettare le carozze, carri
ecc.) a motivo che devesi urtare nei travi che corrono in gran
carriera nel fiume, riesce più pesante e più difficile a condurlo dall’una all’altra sponda, e si ritarda di molto la corsa,
per cui oltre al ritardo, vi è bisogno di maggior opera per
menarlo.
Nè qui consiste tutto il danno che ne deriva all’appaltatore, mentre i forestieri e viandanti che dovrebbero passare
1842, 25 aprile il deputato Curti e l’agente comunale A.
Vanoni di Sorico prospettano all’I. R. Delegazione Provinciale il
rischio di danneggiamento da flottazione di legname del “fondo
cosidetto Alluvione” di proprietà comunale.
1842, 21 marzo, l’ing. Giuseppe Cusi delle Pubbliche
Costruzioni assicura che “si riserva di prefiggere alla ditta” le
opere di difesa “al R. Ponte esistente sull’Adda, sotto la Strada
Militare per Chiavenna [...] alle sponde arpinate [...] al porto
volante e ponte imbarcatore al Passo d’Adda [...] alla R. Strada
per Domaso presso Vercana”.
1842, 13 aprile, i barcaioli di Gera28 protestano contro la
ditta Brunoli e Regazzoni. Sono Giuseppe Nava proprietario di
due barche, Benedetto Buzzi Franzoso, Pietro Buzzi Franzoso,
Carlo Buzzi Franzoso di Alessandro, Giovanni Balzaretti,
Giuseppe Panizzera fu Antonio che firma a nome di Battista Conti
Zanetti, analfabeta. Essi affermano:
“[...] colle condotte di legnami provenienti in flottazione
dalla Valtellina incagliano, e ritardano il tragitto d’ogni specie di merci sì nazionali che estere che provengono in spedizione e che dagli infrascritti vengono tragittate colle barche
loro sul fiume Adda da Gera alle foci del Lago di Mezzola, per
cui i supplicanti assai travagliati nel loro esercizio, dovendo
impiegare maggior numero d’uomini per ogni barca loro
_____________________________
28) Mancano notizie più precise, ma si ha l’impressione che, forse anche a seguito delle alluvioni tra Sei e Settecento, il mestiere di barcaiolo-traghettatore si fosse concentrato a Gera, mentre più anticamente è documentato in Sorico: cfr. l’ Ordinanza di Como contro i barcaioli di Sorico, 28 gennaio 1465, per limitare il carico dei loro trasporti “dal porto di Riva di Mezzola per Olonio e Rezzonico”, a tutela dalle numerose disgrazie allora registrate, M. FATTARELLI, La sepolta Olonio, cit., p. 490.
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1843, 26 maggio, la ditta deposita il marchio di riconoscimento dei legnami provenienti “dalle Comuni sociali di Bormio”
consistenti, come recita l’avviso a stampa del 19 febbraio 1843,
in 14500 borre non superiori a 12 once milanesi di diametro,
2300 tondoni non più lunghi di braccia 8 e mezzo, 7500 mancanti, 5800 spazza di legna da ardere acquistate a Sondalo, a
Colorina, dal beneficio di S. Benigno e dalla chiesa di Sacco,
oltre che da privati di Bormio.
pel detto porto, ora sapendo che si va a rischio di pericolare
passando pel detto passo, e che ad ogni modo avviene noioso ritardo nel traghettare una piccola fiata29 di fiume, voltano strada e per tutt’altra via fanno i lor viaggi, massime che
in questo momento si sarebbe potuto ottenere molto introito per commercio della foglia di gelso, e pel bestiame che gira
in quei siti”.
Ai primi di giugno iniziava, ed ancora inizia infatti, la transumanza dei bovini all’alpe. Il reclamante concludeva esclamando che “non è a credersi che la legge per favorire i privati vorrà
danneggiare un esercizio erariale”.
1844, 3 giugno, Sorico. Battista Alietti e Bernardo Copes, fabbricieri della parrocchiale di Sorico, con riferimento agli eventi
del 1843, denunciano “che la flottazione così irregolare come la
si fa, urtando di continuo sui labbri dei fondi confinanti all’Adda,
di continuo smuove il terreno, e questo cadde nelle acque: prova
ne fa l’immensa quantità di sabbia deposta avanti le comuni di
Sorico e Gera e in sì poco tempo”; il risultato è che i fondi lungo
l’Adda di proprietà della chiesa di Sorico sono stati erosi al punto
che “mancano di molto della loro misura censuaria”. Inutile
risultava a quel punto fare rilevazioni per le misure, ma negli
anni successivi ci si premurò di richiedere misurazioni prima e
dopo le flottazioni. Vane per quell’anno risultarono le richieste di
risarcimento, tanto per Gera, quanto per Sorico.
1842, 29 luglio, l’Ufficio provinciale delle Pubbliche
Costruzioni in Como presenta all’I. R. Delegazione Provinciale le
rimostranze della Fabbriceria di Sorico, danneggiata sui fondi
del perticato di pertiche 69.5, e dell’appaltatore del Porto
Volante al Passo d’Adda, Serafino Botta, contro la ditta Brunoli e
Regazzoni.
1843, 6 aprile, Domaso. Processo verbale di visita dell’ingegnere capo Domenico Lampugnani:
“[...] le sponde dell’Adda superiore al Passo d’Adda sono
nella parte sinistra molto in corrosione [...] la flottazione
potrebbe aumentarla [...] si porranno dei picchetti in concorso delle parti interessate [...] le due tratte di ponte imbarcatore di ragione del Regio Erario devono essere difese da
una serie di colonne infisse nel fiume d’ambo le sponde, a
cui si attaccheranno due spiche di borre galleggianti onde le
borre in flottazione non vengano ad urtare le stillate dei due
tronchi di ponte imbarcatore.
Il Porto Volante con catenone ed annessi, trovandosi in
perfetto stato di servizio, dovrà lo stesso Porto continuare ad
agire nel traghettare pel comodo servizio de’ passeggeri
anche durante la flottazione, per cui di giorno dovranno
stanziare continuamente quattro giornalieri detti borrelai,
che armati di piche allontanino continuamente dalle barche
costituenti il Porto le borre fluttuanti. Durante la notte poi
dovrà il Porto rimanere fermo alla sponda destra difeso dall’urto delle borre fluttuanti da doppio ordine di spiche galleggainti” e si doveva lasciare aperto un canale navigabile di 30
metri. Sottoscriveva l’atto l’ingegnere capo Giuseppe Cusi.
Nell’istanza presentata il 5 ottobre 1844 dal procuratore
della ditta Lorenzo Brunoli, si dichiarava che il legname sarebbe giunto per flottazione dalla Provincia di Sondrio attraverso
“la Valle Roasco e per Fiume Adda” - “ora accatastati allo sbocco del Roasco nell’Adda sotto Grosotto”- e si chiedeva che “il
legname giunto al lago possa venire asciugato ed accatastato in
foce parte lungo le rive del lago a Vercana ed a Domaso in luogo
opportuno, ed innocuo, riservandosi la ditta d’accatastare la
rimanenza nella solita prateria”.
1844, 6 novembre, è datato un avviso a stampa dell’I. R.
Delegazione Provinciale di Como, firmato dal vicedelegato Klobus e
dall’I. R. Segretario Zucchi, esposto in diversi comuni lariani, fra i
quali Domaso, Gera, Sorico, Vercana, Gravedona, Livo, Peglio. Si
avvertiva che la ditta Domenico Regazzoni e Lorenzo Brunoli richiedeva il permesso di flottazione sull’Adda e nel Lario per “Borre n.
13000 circa - Tondoni n. 2000 - Poncette n. 4000 - Mancanti n.
5000 e legna da fuoco Spazza n. 7000 circa portanti la marca I> R.
Z I: tali legnami provenienti dal fiume Adda dovranno essere raccolti sulle sponde del Lago di Como entro il giorno 30 aprile 1845
termine di rigore. Le Deputazioni Comunali ed i possessori dei terreni ed edifici, i quali si credessero esposti al pericolo di danni [...]
produrranno [...] le loro motivate rimostranze [...] per gli opportuni provvedimenti a norma del decreto 24 novembre 1810”.
1843, 20 aprile, decreto prefettizio di concessione del diritto di flottazione, vista la garanzia di L. 15.000 prestate dalla ditta
Giuseppe e fratelli Lampugnani “possidenti e commercianti in
Milano e Domaso” a favore di Francesco Lampugnani per il
risarcimento di danni al pubblico e ai privati.
permesso di flottazione sull’Adda comasco, che la Prefettura di
Sondrio aveva appena accordato per il ben più lungo tratto valtellinese.
1844, 1º dicembre, Sorico. L’ing. Rospini “si è presentato
quest’oggi a Sorico in concorso del sig. Lorenzo Brunoli onde
rilevare le cose di fatto e prescrivere le opere necessarie per
ovviare ai danni che potessero essere causati dalla flottazione
[...] ai fondi di ragione del sig. Tomaso Caprile”. Si arrivò ad
una transazione sottoscritta da Carlo Sambuga fu Carlo di Gera
a nome del Caprile, analfabeta. Anche il proprietario Cesare
Traversa Montani ottenne in via amichevole il pagamento delle
spese di riparazione dall’impresario Brunoli. Nella stessa data
l’ing. Leopoldo Rospini indica e impone al Brunoli “i ripari da
eseguirsi per [...] due tratti di ponte stabile imbarcatore e che
consistono in due spiche da formarsi una per la sponda sinistra
sempre nell’alveo del fiume Adda superiormente a detti ponti e
disposti in modo che il loro estremo inferiore si trovi distante
dalla sponda abbastanza per servire di riparo ad ambedue le
tratte di ponte stabile imbarcatore in tutte le rispettive loro lunghezze. La spica da costruirsi alla sponda destra [...] sarà di lunghezza m 45 e quella alla sponda sinistra m 120”.
1844, 3 dicembre, fra le clausole di concessione alla flottazione si precisa “che pel commodo della navigazione debbasi lasciare aperto e libero alla foce del fiume Adda un canale navigabile
largo non meno di metri 30, difeso da spiche onde le barche possano dal lago entrare nell’Adda avvertendo che la ditta suddetta
per qualunque trascuratezza a questa prescrizione ne avvenisse
danno alle barche sarà responsabile delle conseguenze”.
1845, 2 gennaio. A Gravedona il Commissario Distrettuale
riceve le rimostranze dei barcaioli di Gera, che, dotati di “barca
così detta navetta pel tragitto delle merci sull’Adda sino al Lago di
Mezzola”, sono impediti nel loro lavoro dal legname flottante30.
I timori non erano infondati. così infatti leggiamo dal resoconto di una ispezione del 9 gennaio 1845:
“[...] dal luogo detto delle Cinque case fino al porto comunale di Gera, e quindi per il tratto di un miglio e mezzo circa,
[...] è la spiaggia del lago fiancheggiante la strada da Domaso
al Passo ingombra totalmente da una selva di così dette borre
legate a forma di zattera, ed occupanti uno spazio di circa 30
metri, che vi è impossibile qualunque approdo di barche, non
potendosi avvicinare alla riva nemmeno col soccorso di una
gomarca [o zomarca] e tal circostanza potrebbe produrre
gravi inconvenienti di sommersione di barche e di naufragi
per il caso di qualche intemperie di lago.
Vi ha però un piccolo spazio libero in essa spiaggia al
luogo precisamente fronteggiante la parrocchiale di Gera,
ma la tratta dal principio dell’ingombro della spiaggia a questo seno è talmente lunga che sarebbe impossibile l’approfittare di esso, quando una barca fosse nello spazio tra le
Cinque case e la chiesa parrocchiale suddetta.
Il porto di Gera che solitamente si adoperava dai
boscaiuoli di quel comune, per approdare le barche mercantili [...] è totalmente dimesso e ingombro di borre galleggianti: venne bensì preparato uno spazio sufficientemente
largo”.
Persisteva tuttavia il pericolo per le barche e le loro merci
che transitavano in mezzo ai tronchi galleggianti.
“Progredì la mia ispezione più oltre il Passo d’Adda, ed
all’imboccatura del lago di Mezzola, dove l’Adda viene a congiungersi con esso lago, la flottazione dei legnami è più veemente e continuata a motivo della maggior velocità della
corrente.
1844, 2 dicembre, Como. Un funzionario dell’I. R. Ufficio
Provinciale delle Pubbliche Costruzioni scrive:
“[...] l’ing. praticante sig. Rospini si è recato lungo il
fiume Adda dal Passo di Sorico al Lago di Como onde proporre quelle opere di riparo che potessero occorrere per
ovviare ai danni terribili in causa della flottazione di legnami di ragione della ditta Brunoli e Regazzoni ed a cui hanno
relazione le istanze [...] il sig. Brunati rappresentante della
ditta [...] che interviene alla visita ha combinato le cose
amichevolmente coi reclamanti Tommaso Caprile, Cesare
Traversa Montani, Fabbriceria di Sorico ed il Portulano del
porto volante al Passo d’Adda di Sorico, avendo pagato a
cadauno dei medesimi la somma corrispondente all’imposta
delle diverse spese necessarie per l’esecuzione dei singoli
ripari onde ovviare ai temibili danni, comprendendo puranche nelle somme pagate le spese da sostenersi per risarcimento dei guasti che potessero verificarsi [...] In quanto poi
al reclamo dell’appaltatore Clemente Caminada manutentore della Regia Strada da Domaso al passo d’Adda venne prescritto [...] al sig. Brunoli la necessaria opera di difesa alla
suddetta strada nella tratta in cui trovasi esposta agli urti del
legname della flottazione, che il sig. Brunoli promise di eseguire tosto unitamente a quelli prescritti da farsi [...] onde
evitare possibilmente i danni temibili alle stillate dei ponti
stabili imbarcatori al porto volante del Passo d’Adda [...] che
venne mantenuto in via economica dall’Intendenza di
Finanza”.
Veniva di conseguenza rilasciato dalla Prefettura di Como il
_____________________________
29) Il vocabolo “fiata” sembra usato impropriamente in quanto riveste significato di tempo (circostanza, momento, volta), mentre qui ha valore di luogo, nel senso di “breve
tratto”.
_____________________________
30) Si trattava dei barcaioli Pietro Buzzi Franzoso, Francesco Prata Pizzala, Benedetto Buzzi Franzoso, Carlo Buzzi Franzoso, Giovan Battista Conti Zanetti, Giuseppe Nava,
Giuseppe Mangarella, Giuseppe Panizzera, Gaetano Giulini.
148
149
Rimarcai che le barche partendo dal Lago di Mezzola per
entrare nell’Adda devono subire una crisi che si rende molto
più difficile coll’attuale flottazione.
Il fiume taglia direttamente e con tutta forza l’alveo del
Lago e va a battere contro una rupe scoscesa e senza alcuna
spiaggia, quindi le barche entrando nell’Adda risentono della
velocità della corrente, e vengono trascinate verso la rupe,
superando a fatica questo difficile passaggio.
Viddi una barca carica di mercanzia che in quel passaggio essendo stata impigliata da alcuni legnami flottanti
dovette la sua sicurezza agli sforzi del suo equipaggio.
Anche il porto di transito esistente al passo d’Adda, lo
viddi accresciuto di buon numero di giornalieri per difendere il ponte dagli urti della flottazione.
Del resto tutto questo tratto di lago e fiume non ha nemmeno un punto di libera navigazione, essendo tutto l’alveo
ingombro di legnami sieno flottanti, sieno assembrati irregolarmente ed a seconda della maggior o minor altezza dell’acqua che ne aiuti o ne impedisca la flottazione stessa[...]”.
le 1845. L’avviso fu affisso nella piazza di Sorico. Subito scattò
un certo allarme nei fabbricieri Giovan Battista Alietti e
Bernardo Copes di Sorico che si rivolsero all’I. R. Commissario
denunciando che “la Chiesa [...] possiede dei terreni lungo il
detto fiume e sulla immediata sponda di esso nei luoghi detti La
Poncetta e Nigolo esposti ad essere danneggiati pel continuo
urtare dei detti legnami, massimamente che sono sciolti, e specialmente in tempo di pioggia per l’altezza delle acque, o cacciati dai venti alle sponde di esso terreno. Perché la Chiesa sia
reintegrata dei danni, si prega che la ditta Lampugnani a sue
spese faccia misurare i terreni, prima e dopo la flottazione,
esposti ai danni, per quindi farne giudizio; o si abbia prima
addivenire ad una transazione verosimilmente giusta" (Sorico,
14 aprile 1845).
Le piante che Francesco Lampugnani doveva far flottare
sull’Adda provenivano da Sondalo, Colorina, dal beneficio di S.
Benigno, dalla chiesa di Sacco, da privati di Bormio ed erano
marcate LOV. Si trattava di 14.500 borre “non eccedenti il diametro di once 12 milanesi”; 2300 “tondoni[...] non eccedenti la
lunghezza di braccia 8”; 7500 “mancanti”; 5800 “spazza” di
legna da fuoco. La domanda di autorizzazione è datata 20
dicembre 1842, con la previsione di raccogliere il legname tra
Gera, Vercana, Domaso e Colico.
1845, 11 maggio, l’ing Cusi allora rassicura:
“[...] ho delegato l’ing. Alunno sig. Coduri perché in occasione che trovasi a Sorico pei relativi all’inalveamento
dell’Adda portasse le debite ispezioni al danno reclamato
[...] esso ingegnere mi rassegnò il processo verbale in data
Sorico 7 maggio[...] dal quale emerge come, chiamato sul
luogo tanto i fabbricieri della chiesa di Sorico, quanto un
rappresentante la ditta Lampugnani [Giovan Battista
Lampugnani, figlio del titolare della ditta], siasi di comune
accordo convenuto il prezzo di compenso da pagarsi dalla
sunnominata ditta, per cui la Fabbriceria dichiarò di nessun
valore e come non presentata la propria istanza 14 aprile
1846”.
1845, 28 aprile, ancora la Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Sorico, rappresentata dai fabbricieri Alietti e Spelzini,
ha di che lamentarsi contro la contro la flottazione legnami del
sig. Francesco Lampugnani. In quell’epoca si lavorava alla deviazione del corso dell’Adda.
1845, 27 marzo, Como. Viene diramato dalla Delegazione
Provinciale l’avviso a stampa della richiesta di flottazione presentata da Francesco Lampugnani di Domaso per “Borre n.
6000 - Tondoni n. 800 - Poncette n. 2000 - Mancanti n. 2300 Mezzanelloni n. 100 - e legna da fuoco spazza n. 1000 circa portanti la marca II. V.”, che devono essere raccolti entro il 30 apri-
1845, 9 giugno, Giacinto Ronzoni per conto della ditta
Brunolo e Regazzoni chiede il rilascio del deposito di L. 200
effettuato nel 1844 per spese di permesso di flottazione.
IL BOSCO MINACCIATO: INCENDI E ABUSI
Il tribunale di Como nel trentennio 1832-1862 istruì nei suoi
uffici una ventina di pratiche, che avevano come oggetto principale il tema della legna e del bosco nei Comuni di Sorico e
Bugiallo. Anche se molte cause si arenarono, e le carte furono
presto chiuse e archiviate, la loro lettura ci offre informazioni
significative, anche se sporadiche, diversamente forse irrecuperabili, sullo sfruttamento dei boschi e su una vera e propria fame
di legna che attanagliava molte famiglie, non meno del bisogno
alimentare.
Questi documenti non consentono di raccogliere dati misurabili, ma offrono la percezione di un mondo contadino e di
una mentalità che in gran parte appartiene al passato, un passato che forse non è molto lontano, perché per alcune manifestazioni si è protratta da quel secolo fin dentro il XX appena
concluso.
Le denunce riguardano gli incendi, provocati ora dall’erba
bruciata per formar concime, ora dal fuoco mal controllato dai
carbonai provenienti dalla Valsassina, gli utilizzi impropri dell’
Alpe di Pescedo e di Godone, i furti di legna talora reiterati
anche per semplici pezzi di corteccia da bruciare, le truffe nel
commercio di legname, i danni a cose perpetrati spesso per
vendetta: meno numerosi, ma pur sempre significativi perché
andavano a colpire interessi economici, i danni alle piante di
gelso, rispetto a quelli inflitti alle viti.
il compito di vigilare sulla carbonaia, allo scoppio dell’incendio,
fuggì terrorizzato; suo fratello Carlo Antonio,invece, “con quattro lavoranti si affaticava indarno... e gridava aiuto”. L’accusa
chiese la condanna penale e i danni per 2.000 lire. Il giudizio fu
meno duro: si stimò il danno dell’entità di 1.600 lire e non si
incarcerò nessuno ritenendo l’incendio effetto di “pura fatale
accidentalità”, con l’aggravante del vento. Il tribunale di Como,
il 14 maggio 1832, disponeva di “cessare dalle ulteriori investigazioni contro i fratelli Muttoni... non concorrendo nel fatto gli
estremi del delitto”33.
Il 4 febbraio 1833 viene denunciato a carico di ignoti l’incendio di un bosco di Giacinto Dubini avvenuto in gennaio nell’Alpe
Pescedo in territorio di Bugiallo, con un danno di L. 130.
“... all’oggetto che l’erba crescesse maggiormente, siccome
l’arte del buon agricoltore insegna, vennero abbruciate l’erbe secche affinchè fatte ceneri servissero di poi letame al primo cader
della pioggia, ma... pella imprudenza o malizia di chi lo accese
scappò il fuoco ed incendiò il bosco vicino” facendo cadere il
sospetto su Carlo Enni, che non avvertì le guardie di prevenzione,
come avrebbe dovuto. L’Enni venne però scagionato “non essendo stato dato il fuoco per incendiare l’altrui proprietà”34.
Nel 1836 un furto di legna fu perpetrato da Giacomo Sciaini
detto Motella o Mottarella e da Giovan Battista Cerfoglio detto
Poliant a danno di Giacomo Gianera.
Giacomo Sciaini di 40 anni fu interrogato il 24 luglio 1835,
per “trufferia e furti legna commessi... in Isola e Samolaco... per
truffa di una pianta di castano commessa nel 1831 a danno di
Giuseppe Vanoni d’Isola” fu condannato a un anno di carcere
duro. Il 19 febbraio 1836, detenuto, fu dimesso dall’Ospedale di
Como, dov’era stato ricoverato in grave pericolo il 18 gennaio
1836 per ernia scrotale.
G.B. Cerfoglio,contadino di Bugiallo di 57 anni, vedovo con
figli, fu interrogato il 14 luglio e i 26 dicembre 1835 e fu condannato alla restituzione della legna e ad un anno di carcere
duro nell’ergastolo di Mantova.
Lo Sciaini aveva un precedente per truffa: aveva venduto due
volte gli stessi appezzamenti detti Semolaco e Vigazzolo (“in
Vigazolo ove si dice al Marsetto”), prima a Giacomo Andreoli,
poi a Giacomo Cerfoglio, che, accortosi di non potere entrare in
Antonio Borzo con diversi proprietari di boschi denunciò per
incendio Giuseppe Muttoni.
Il 21 marzo 1832 “verso le ore 20, stile italiano, scoppiò nel
bosco e selva appellato Rovarina in territorio di Albonico di
ragione della vedova Ermanni, e di altro comproprietario, un
incendio tale, che” - anche per il vento - “in pochi momenti si
estese e dilatò... per lo spazio di circa tre miglia in giro”.
“Anche il paese di Albonico sarebbe rimasto preda delle
fiamme se la mobilitazione delle persone occorse non vi avesse
con impareggiabile attività opposto insormontabili ostacoli.
Disse che quell’incendio procedeva dalla trascurata custodia di
una carbonaia, appellata volgarmente pojatto31, che anche senza
la prescritta licenza avevano eretto ed accesa in quegli spazi
Carlo Antonio, Giuseppe e Pietro fratelli Muttoni di Casargo nella
Valsassina32 e da qualche anno abitanti in Albonico per esercitare la loro professione di carbonai”. Giuseppe Muttoni, che aveva
_____________________________
31) “Pojatt, carbonara”, F. CHERUBINI, Vocabolario Milanese-Italiano, Milano 1841, ad vocem.
32) Nel 1835 è attestato un Regazzoni di Casargo carbonaio, ASCo, Triunale Preunitario, fascicoli penali, Serie ID, cart. 91, fasc. 1800.
33) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D 1, cart. 31, fasc. 106.
34) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 45, fasc. 521.
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151
possesso di quanto contrattato, denunciò lo Sciaini alla Pretura
di Chiavenna (4 febbraio 1824).
Il 23 giugno 1824 lo Sciaini fu interrogato dal pretore di
Chiavenna in merito al contratto da lui firmato il 30 gennaio 1824.
In qualità di tutore delle figlie minorenni del fu Giovanni
Antonio Andreoli, Giacomo Andreoli denunciò lo Sciani l’11
febbraio 1824, scoprendo che le terre appena acquistate il 30
gennaio erano intestate a Giacomo Cerfoglio.
Il pretore di Chiavenna il 28 giugno 1824 interrogò il locandiere Lorenzo Raviscione, nato ed abitante ad Isola in Val San
Giacomo, di 47 anni. Nel suo locale sentì parlare di un affare lo
Sciani con l’Andreoli, Giovan Antonio Paggi e Giacomo
Cerfoglio. “Ho sentito - depose - che lo Sciaini è homo mancator di parola, cioè gli piace di offrire delle cose in vendita a due
distinte persone, di assicurarne la vendita, e di rilasciarle a quell’acquirente che più gli aggrada. Rilevai... siffatta nozione specialmente in contratti di legnami”.
Giacomo Sciani, domiciliato a Bugiallo, vi fu invano ricercato. Fu trovato a Isola in Val San Giacomo, dove attendeva alla
custodia delle bestie, e arrestato il 9 luglio 1824. La segnalazione sul suo conto suonava così: “Giacomo fu Guglielmo Sciani di
26 anni, ammogliato con prole, nato a Bugiallo, di condizione
contadino” è descritto come uomo dai “capelli neri, fronte spaziosa, ciglia e sopracciglia ed occhi castani, naso regolare,
bocca piccola, mento tondo, viso oblungo, barba castana, di
buon colore, e veste alla villica”.
Fu anche interrogato, lo stesso giorno, Giovanni Antonio del
fu Giacinto Paggio, di 62 anni, “cursore” [messo] comunale di
Isola ed agricoltore, nato ed abitante a Isola. Egli dichiarò di
essersi trovato nell’osteria del Raviscione quando lo Sciaini trattava la vendita di terreni in Samolaco.
Fu quindi interrogato, sempre il 28 giugno, Giacomo
Cerfoglio,di 32 anni, nato ed abitante a Isola, contadino possidente, acquirente di due terreni silvati “alla Valle” e “al
Marsetto” in Samolaco.
Da questa prima imputazione di truffa, nel 1824, non è chiaro come ne uscisse lo Sciani, ma nel 1836 certamente scontò il
precedente35.
Sorico - considerato forestiero a Bugiallo - il deputato amministrativo di Bugiallo Gaetano Colombini del fu Giuseppe e di
Caterina Borzo, di 36 anni, sposato con figli, contadino possidente.
Il 30 giugno 1834 il Colombini costrinse il Villa a ritirarsi da
un’asta di immobili che si stava tenendo nella piazza di Bugiallo
a cura dell’esattore comunale Giuseppe Aggio. L’accusato aveva
ottenuto il sostegno dell’altro deputato Giovanni Antonio
Andreoli, in odio di alcuni debitori morosi al pagamento delle
imposizioni prediali. Il Colombini asseriva infatti che “li forestieri non potevano aspirare all’asta di tali fondi se non previo
deposito o garanzia pel pagamento degli annuali carichi prediali, ed adducendone per motivo che i forestieri avevano per
costume di far tali acquisti, spogliare il fondo delle piante, e così
depauperato abbandonarlo alla Comune che addossar si doveva
la rivendita e pesi inerenti”. Tutti i presenti all’asta sembra concordassero con la versione del deputato amministrativo.
L’aspirante acquirente Villa contestava quella versione dimostrando che ben diversamente si era comportato con i fondi già
acquisiti.
Nel deposizione alla Pretura di Chiavenna il 22 luglio, il
Colombini ribadiva la sua posizione tenuta nel pubblico interesse, accusando i forestieri di spogliare i terreni silvati e boschivi.
In luglio la Pretura di Gravedona convoca il Colombini, che
risulta però non reperibile in quanto già trasferitosi in Val San
Giacomo da dove “non rimpatrierà che nel settembre prosimo
futuro”.
Lo stesso giorno in Gravedona si presenta il Villa, che non è
il solito contadino: è un vedovo, dell’età d’anni 80 circa, possidente nei comuni di Sorico, Bugiallo e Gera, che ribalta con una
querela (5 luglio 1834) l’accusa rivolta ai “forestieri” di trasformare “in un zerbo” i boschi:
“... Anch’io già da cinque anni ebbi ad acquistare alle pubbliche aste in Bugiallo appunto di quei fondi stati spogliati, ed
abbandonati dagli abitanti di Bugiallo, cioè li fondi ubicati in
mappa al n.º 2 sub 6 e 7 e che io ho sempre pagato le taglie... la
mia opera ha sempre atteso a migliorare con nuove piantaggioni le condizioni dei fondi”.
Con il trasferimento dell’incartamento a Como, la pratica si
chiude37.
Miro Sciaini di Albonico subì un furto di foglie di gelso e il
danno di piante tagliate nella notte tra il 17 e il 18 maggio 1830.
Ne accusò il fratello Tommaso abitante a Verceia, sospettato
di vendetta per motivi di eredità. Il tribunale desistette per mancanza di estremi del delitto (28 settembre 1830)36.
Nel 1835 Giovanni Antonio e Giuseppe Andreoli di Bugiallo
subirono un furto di legna con un danno “superiore ai 25 fiorini”. Si incolparono i fratelli Cristoforo e Giuseppe Curti e
Giacomo Colombini di Sirana, a carico dei quali il 31 dicembre
1835 si elevano contravvenzioni civili38.
Si accusa di abuso di potere a danno di Carl’Antonio Villa di
_____________________________
35) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 6, fasc. 562.
36) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 7, fasc. 941.
37) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 82, fasc. 1505.
38) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart., 91, fasc. 1789.
152
Il 10 aprile 1835 un incendio devastò un terreno boschivo di
Gaetano Colombini in territorio di Albonico, procurando un
danno stimato 20.000 lire.
Martino Spelzini raccolse le testimonianze di Giuseppe
Silvani (12 aprile) e di un Erman (15 aprile). Carlo Sambuga,
agente comunale di Sorico, e Giovanni Biocca, cursore di
Bugiallo, denunciarono Giovanni Rossotti detto Vegett di
Albonico e Giuseppe Raviscioni detto De Battista di Selva, avendo appurato, il 13 aprile, che i due, mentre si trovavano nel
luogo detto Ai Sassi di Poncio39 per lavorare, accesero il fuoco,
onde cuocere la polenta, ma a cagione del vento, che quei giorni soffiava gagliardo, si appiccò ad altre materie combustibili.
Non potendo questi contadini spegnere il fuoco, che già si era
grandemente esteso, fuggirono e si portarono in Samolaco,
luogo di là lontano un’ora di viaggio, in cui vuolsi, che poi facessero la polenta.
Interrogati, i sospettati si diedero per ignari degli autori dell’incendio, riconoscendo solo di essersi accorti delle fiamme
“quando l’incendio si avvicinò, trovandosi in una valle sotto
Zerta40, a tagliar legna in un bosco di ragione del Rossotti stesso, al luogo ove dicesi alla Rosura41, allorchè l’incendio si era
già dilatato oltre un miglio”.
Malgrado venissero riconosciuti responsabili per mancanza
di una conveniente cautela nell’usare del fuoco, tuttavia, siccome ebbero danneggiati i loro stessi terreni, non si procedette
penalmente contro di loro42.
Lo Spelzini aveva dei precedenti giudiziari: nel giugno 1830
gli fu elevata una contravvenzione boschiva di L. 100 per taglio
di legna all’Alpe Godone a danno del Comune di Bugiallo, preferì non pagare scontando due giorni di carcere. Fu archiviata
senza esito il 17 gennaio 1832 l’accusa di lesioni ai danni dei
figli di Giovanni Antonio Cerfoglio; ancora la scampò per un
cavillo (mancanza di regolare istanza) dall’accusa di insulti
minacce e “scagliamento di sassi” contro Giovanni Cerfoglio di
Giovanni Battista. Nel 1836 (14 marzo) il deputato politico di
Bugiallo, Rasero, lo giudicava “uomo baldanzoso e irrequieto”43.
Nel 1838 Guglielmo Fazzini di Bugiallo si era impegnato a
consegnare 40 moggia di carbone dolce in due rate uguali, ma
a Gera alla sciostra del Nava, dove il carbone alla riva del lago
veniva pesato, Giuseppe Nava di Germasino che teneva la pesa
imbrogliò le carte mettendo in difficoltà il Fazzini che fu coinvolto in una causa civile, non avendo potuto rispettare l’impegno
assunto44.
Nell’anno 1837, già debitore verso Giuseppe Aggio Mattone
di Gravedona, ragion per cui aveva saggiato la galera, Giovanni
Giacomo Andreoli di Bugiallo di 50 anni “era in bisogno di provvedere di sussistenza la propria famiglia” cosicché decise “di
vendere a Guglielmo e Giacomo fratelli Borzo detti Minera il
proprio bosco a Gramosè45... per L. 263,10 milanesi. Aggio
Mattone s’intromette reclamando per sé il bosco con la promessa di somministrare generi alimentari alla famiglia Andreoli,
commestibili d’una bottega, si dice negli atti. L’Andreoli però
ricevette molto meno di quanto pattuito, solo L. 56 nel 1837;
perciò denunciò per truffa il suo creditore.
L’affare si complica perché l’Andreoli non intendeva vendere
il terreno, ma solo le piante che vi crescevano, eccettuate quelle
di castagno e di noce, il che prova quale fosse l’uso delle aree
boschive miste di Gremosé dove sono attestate catastalmente
zone a pascolo boscato e a ceppo boscato misto. Dalla stima
della legna fatta il 14 febbraio 1840 da Giovan Battista Rasero del
fu Bartolomeo e da Giovan Giacomo Andreoli risulta che i fratelli Borzo fecero fasci di legna di ontano, betulla, rovere: “legna di
onicia fasi 50 / legna di bedole e rovere fasi 15; i fratelli Giossi di
Albonico detti Scampoi fecero legna di onica fasi 10; i fratelli
Colombo legna di bedola fasi 15, a soldi 10 l’uno”.
Di quel bosco erano state perciò tagliate le piante di ontano,
A danno di Margherita Tamola di Bugiallo di 47 anni, vedova
di Giovanni Antonio Cerfoglio, il 5 aprile 1836 furono tagliate 90
piante di viti fruttifere nel fondo Motto (Mott) di Bugiallo per un
danno di L. 12.
Il sospetto cadde subito su Alessandro Spelzini detto Giovanolo
e Tan, di 41 anni, nato a Isola, che sarebbe stato scagionato per
mancanza di prove il 2 dicembre 1836. Lo Spelzini si difese contrattaccando: “È una antica usurpazione che la Tamola mi ha
fatto... io pago li pubblici aggravi ed essa gode il frutto”. Non sa
nulla di viti tagliate, sa piuttosto di tre castagni tagliati da Gaetano
Tamola fratello di Margherita e dal figlio di lei: quella legna è ridotta a “meda”. La controversia sulla proprietà del fondo era stata
rimessa alle competenze dell’agrimensore Giovanni Battista Riella
(forse lo stesso impegnato nella stesura del Catasto Lombardo
Veneto); ma il Riella non pronunciò il suo lodo come arbitro.
_____________________________
39) Sassi di Poncio: il toponimo non è attestato in questa forma nei catasti. Si vedano però: Poncio, località in alpe con proprietà dei Rossotti e dei Raviscioni, e la valle di
Poncio.
40) Zerta, probabilmente si tratta di Derta, toponimo attestato nei catasti di Bugiallo.
41) Rosura, toponimo attestato nei catasti, in territorio di Sorico, dove si registrano anche castagneti.
42) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 88, fasc. 1680.
43) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 107. fasc. 2107. Agli atti è allegata una piccola mappa del terreno in oggetto.
44) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 123, fasc. 218.
45) Gremosé negli atti preparatori del Catasto Lombardo Veneto.
153
di betulla e di rovere, e già ridotte parte in legna, parte in carbone e carbonella46.
rità giudiziaria si orientò per una contravvenzione escludendo
l’arresto dell’imputato48.
Nel corso del 1853 si denunciarono vari furti di legname alla
segheria di Sorico di cui erano rispettivamente proprietario
Giuseppe Villa, affittuario Carlo Pollavini, direttore Giuseppe
Alietti. Attiguo alla sega a ripostiglio della legna era destinato
“un prato circondato da parte di ponente da uno steccato di
cotiche di larice”, distante dal lago trenta passi, da lì il direttore
aveva registrato diversi ammanchi di legna, non solo di quella
accatastata ma anche dello stesso steccato che era stato parzialmente smontato per “far passare delle borre”, non mancavano
testimoni che avevano sorpreso in diversi momenti Giuseppe
Nava di Gera che si accostava con la barca, sottraeva qualche
pezzo di legno dalla segheria e se ne andava. Anna Spelzini,
moglie di Martino Spelzini ricordava di aver visto “il Nava partire dalla sega in ore di primo giorno con due pezze di legna, caricarle nel quatrasso47, fare un giro nel lago, sbarcare alla sua
casa e farle in pezzi... Maria Mazzoletti e Giuseppe Cascarini
videro più volte il Nava tagliar legno di peccia e di larice. Ma
anche col buio agiva il ladro: Giacomo Bacciarelli in una notte
dello scorso luglio trovavasi vicino alla sega custodendo delle
reti che teneva tese per la pesca, e sentendo del rumore si avvicinò ad un fosso dove vide alla distanza di soli tre passi Giuseppe
Nava che aveva posto nel suo quatrasso due cotiche e che ne
teneva altre due in terra che collocò anch’esse nella barca e se
ne andò; ma il Bacciarelli, lavorante alla segheria, era giudicato
un vagabondo e di nessun credito e quindi dubbiose le sue
deposizioni.
Martino Spelzini nel fine di luglio... due ore prima del giorno, alzatosi per visitare i suoi cavalli che pascolavano in un prato
vicino al prato circondato annesso alla sega, vi vide il Nava che
toglieva ad una pila tre cotiche caricandosele sulle spalle e prendeva la strada che mette a Gera. Il ladro operava in tutte le stagioni, infatti Felicita Michelini depose che verso sera sul far
dell’Ave Maria del primo giorno dell’anno 1851, tornando da
Sorico a Gera in compagnia di Anna Spelzini e di Anna Sacchetti,
sua sorella aveva visto passare, davanti il prato che serve di
recinto alla sega, Giuseppe Nava che toglieva da terra due cotiche e, messele sotto il mantello, costeggiava il prato fino alla
strada a pochi passi dalla sua casa. Giuseppe Cascarini confermava di averlo visto più volte ma sempre con pezzi di ben scarso valore, buoni da mettere nel fuoco. Fu per questo che l’auto-
Nel 1854 Agostino Paggi di Albonico denunciò Giovanni Borzo
e sua moglie Maddalena Colombini per aver tagliato una sua pianta di gelso svellendone pure le radici il giorno successivo, ma i
due imputati ribattevano che la pianta era di loro ragione49.
Nel 1854 sono denunciato il taglio e furto di una “pianta
castanile di grosso fusto” a danno di Margherita Andreoli, imputato Tommaso Borzo.
La donna, di 52 anni, vedova con figli, l’11 agosto 1854
coglie sul fatto il Borzo mentre taglia il castagno nella selva di
Gremosé (nell’atto è detto Gramosé); l’uomo si giustifica dicendo di lavorare per il commerciante di legna di Dascio, Alessio
Crema, al quale la pianta era stata venduta proprio dal figlio
della donna, Giovanni Antonio, di 20 anni. La donna in realtà
non era contenta del contratto, inferiore alle 100 lire che riteneva di dover incassare50.
Nel 1855 Bernardo Silvani di Albonico denunciò per furto di
piante per un valore di L. 18 Giuseppe e Maddalena Borzo che
furono veduti nel bosco a tagliare legna. Le condizioni in cui si
svolsero i fatti non erano chiare, altra gente avrebbe fatto legna
nello stesso bosco, per cui il 13 marzo dello stesso anno la
Procura di Stato ordinava di desistere nell’accusa ai Borzo51.
Maria Andreoli di Bugiallo denunciò i fratelli Giovanni,
Lorenzo, Giuseppe e Antonio Borzo di Giovanni per un furto di
pali avvenuto nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1860, per un
valore di lire 8. Fu subito contestata l’entità del danno, ritenuto
gonfiato da quella donna, “dichiarata di poca fede”52.
Marianna. La donna aveva cinque figli, era sposata con Lorenzo
Morè. I beni di cui si tratta dovevano essere divisi in tre parti
uguali, una ai detti bambini, le altre alle due figlie del defunto
Domenica e Maria Silvani. Lo spiegavano Margherita Silvani e il
cugino dell’accusata Giuseppe Curti. Il Curti, di 47 anni, vedovo
senza figli, di Albonico, condannato da questa pretura per rissa
parla di manomissione della legna.
L’imputata spiega: “Mio padre Silvestro quattro anni or sono
mi incaricò di tagliare piante castanili per sopperire ai bisogni
di famiglia ed io mi valsi dell’opera del mio marito Morè
Lorenzo... nelli fondi Balzo, Motto e Selva”, in Samolaco,
tagliando quattordici o quindici alberi. “Due anni or sono si
rese defunto il mio padre Silvestro Silvani e tutte quelle piante
furono vendute mentre esso ancora viveva a dei carbonai per
fabbricare carbone ed i denari ricavati per circa milanesi L. 250
rimasero a mio vantaggio. Il Curti Giuseppe sul finire di marzo
p. p. verificò l’ammanco di quelle piante, e senz’altro indagare
ebbe a presentare denuncia contro di me”, poi la donna, contraddicendosi palesemente, si corregge dichiarando che le piante “furono poi atterrate dagli acquirenti carbonai del mio
paese”54.
di Sorico. La causa dell’azione fu una falsa denuncia di furto di
legna56.
Tra il 9 e il 10 febbraio 1862, “sul monte denominato la
Pianca” dove possedeva circa una pertica di terreno a “selva”
Giacomo Borzi di 67 anni, contadino, con moglie e figli, analfabeta, trovò “arbitrariamente... tagliate n. 2 piante di grosso fusto
di frassino ed una pianta di noce di grosso fusto” per un danno
ritenuto dall’autorità di 50 franchi, corrispondenti a 45 lire
milanesi, ma il Borzi contestava che ne valevano almeno 100.
Furono sospettate persone di Bugiallo: Giovanni Fallini del fu
Giacomo, Giovanni Sciaini del fu Giacomo, Giuseppe Spelzini del
fu Giovan Giacomo. Ma i denunciati a loro volta ribatterono che
il terreno su cui furono tagliate le piante era di Giovanni Sciaini,
un trentatreenne, contadino, sposato, con figli, analfabeta, condannato otto o nove anni prima a nove giorni d’arresto per “ferite volontarie”. Lo Sciani possedeva con il Fallini beni stabili alla
Pianca57.
L’ 8 marzo 1862 si denunciarono “danni maliziosi” consistenti nell’atteramento di un muro ai danni di Giacomo Sciaini di
Alessandro nel suo fondo prativo al Sasso della Valena; imputato
Francesco Polledrotti del fu Guglielmo di Bugiallo che aveva strascinato “legna broca”, o, come si dice in un altro passaggio, “una
grossa balla di legna”, lungo il suo prato, perché a quello scopo
ruppe il muro “e lo rasò tutto quanto per dispetto e violenza”,
quando poteva benissimo usare il percorso preposto al passaggio della legna: “quando vi era la strada o voga quasi vicina”58.
Il 15 novembre 1861 Giuseppe Aggio Mattone denunciò per
furto di legna Francesco Tamola di Giuseppe55.
Nel 1861, il 20 marzo si registra la chiusura del fascicolo
aperto per calunnia, ritenuta infondata, a danno di Giovanni
Battista Cerfoglio da parte di Giuseppe Andreoli del fu Giuseppe
Giovanni Antonio Cerfoglio di Bugiallo denuncia nel 1860
Guglielmo Sciaini e Battista Paggi per il taglio di cinque castagni
“alle Selve” di Bugiallo, per un valore di L. 1053.
Conclusa il 10 aprile 1861, una fra le tante controversie, di
cui non si conosce l’esito, sorte per divisione ereditaria, attorno
a un bene prezioso come la legna, vede denunciata per furto di
quindici piante castanili Domenica Silvani del fu Silvestro di
Albonico, di 50 anni, contadina analfabeta, a danno dei figli in
minore età del fu Pietro Silvani: Giacomo, Guglielmo, Pietro,
_____________________________
46) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 170, fasc. 556.
47) Il “quatrass” è una tipica barca altolariana (v. foto 33, pp.124-125).
48) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 442, fasc, 251.
49) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 460, fasc. 205.
50) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 463, fasc. 274.
51) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 469, fasc. 489.
52) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 584, fasc. 230.
_____________________________
53) In località Alle Selve prevalevano infatti i castagneti, v. Catasto.
54) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 627, fasc. 320.
55) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 657, fasc. 1149.
56) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 625, fasc. 290.
57) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 678, fasc. 363.
58) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 675, fasc. 273.
154
155
ATTIVITÀ COMMERCIALI E DI SCAMBIO TRA CINQUE E SEICENTO
tori a Sorico da Prata Camportaccio presso Chiavenna. In una
comunità come quella di Sorico, per quanto soggetta a spostamenti stagionali generalizzati per il clima, per quanto costretta a
migrazioni, c’era pur sempre bisogno di un calzolaio.
Un altro nome ricorrente in numerosi documenti è quello di
Francesco Venturino che fu uno dei prestinai e mugnai di
Sorico.
Qualche minimo spunto di documentazione si trova anche
per l’attività serica, che non pare si però svolgesse in loco, almeno per il primo ’600. Per quell’epoca si trova traccia degli sforzi per aprire una farmacia, ma dove esattamente, non è chiaro.
Risulta abbastanza chiaro però come qualsiasi attività, necessitante investimenti in danaro, comportasse la richiesta di prestiti
che venivano rilasciati dai personaggi più facoltosi, compreso il
governatore del Forte di Fuentes.
Non minore interesse rivestono poi le attività di contrabbando fra Stato di Milano e territori dei Grigioni, che vedono coinvolti negli illeciti personaggi non secondari nella gestione della
comunità: quanto alle mercanzie contrabbandate, si va da prodotti di pregio, come lo zucchero e il sapone veneziano, a intere mandrie di vacche. Se si confrontano i nominativi che negli
stessi anni compaiono nelle aste per l’affitto dei beni comunali
si verificherà che si tratta sostanzialmente delle stesse persone:
un vero gruppo dominante.
Diamo qui di seguito i regesti dei documenti:
Uno spaccato della società di Sorico si ricostruisce attraverso gli atti notarili a cavallo dei secoli XVI e XVII. Confrontato con
quanto emerge da altre fonti per epoche successive (i catasti
sette e ottocentesco, gli atti del tribunale penale preunitario) si
scoprono ovvi mutamenti, che sono più connessi ai nomi delle
famiglie, che non ai dati strutturali di una povertà endemica,
sostentata da pastorizia e scarna agricoltura, contrapposte alla
concentrazione in poche mani di qualche attività mercantile e
certo più redditizia. Il controllo del commercio del legname in
una località di passaggio obbligato qual era Sorico allorché
l’Adda sfociava nei pressi di Dascio è quello che meglio emerge,
anche in termini quantitativi e con una documentazione sufficientemente coerente nel primo Seicento e nel pieno Ottocento.
L’altra attività è la pesca, che certo non arricchiva i poveri pescatori ma coloro che controllavano lo smercio del pescato: si tratta nel primo Seicento dello stesso ristretto gruppo di persone. Si
ponga attenzione alla costante presenza dei Riva e dei Giulini, i
cui affari si allargavano a tutti gli ambiti di attività che consentivano di lucrare, e sempre in posizione dominante. Il nome di
Riva (Rippa negli atti) doveva già essere affermato nel primo
Cinquecento in quanto titolari di una cappella gentilizia nella
chiesa plebana e committenti di affreschi (Cappella dei Santi
Innocenti). I Giulini avevano una bottega, dove spesso il notaio
si fermava a rogare atti. Non avevano ancora assunto il lustro
della nobiltà che li avrebbe successivamente portati a costruire
la grandiosa villa, oggi ridotta a rudere, e a vivere preferibilmente a Milano. Altri nomi compaiono con pari intensità, ma si
intuisce che dovevano avere minor forza. Alcuni personaggi
risultano titolari di botteghe come Pietro Bonela, ma non è detto
con quale attività, mentre di un certo mastro Ceranino, che fa
capolino come attore o testimone in molti rogiti, ripetutamente
si dice che era calzolaio, e da un atto del 1604 ci vien detto che
era di origini piemontesi, provenendo dalla pieve di Orta: dunque, per tanti che se ne andavano da Sorico migrando in cerca
di sostentamento, c’era qualcuno che era immigrato a Sorico. Il
caso merita una qualche attenzione perché al massimo si stabiliva a Sorico gente della Val San Giacomo impegnata nell’allevamento. Il Ceranino è invece un artigiano ed è, quella degli artigiani, una categoria che, da quanto abbiamo trovato, sembra
facesse difetto ancor nell’Ottocento: più volte si trova, nelle
vicende giudiziarie, il racconto di fabbri fatti venire da Gera;
quanto ai calzolai c’è un episodio, peraltro di incresciosa cronaca di abusi sui minori, che ne vede protagonista uno trasferi-
1588, 9 gennaio, Giovanni Antonio de Romano del fu Nicolò,
detto Pigala, di Sorico, promette a Guglielmo (?) di Sorico, la
restituzione di L. 105 corrispondenti al valore di vettovaglie
avute in più volte a credito. L’atto è rogato in Sorico, nella bottega di maestro Giovanni Antonio Ceranino. Testi il detto
Ceranino, calzolaio (“caligarius”), Francesco figlio di Giovanni
Giacomo Mesturino, mugnaio di Sorico1.
1588, 26 marzo, il maestro Giovanni Antonio Ceranino, calzolaio, figlio del fu Giovanni “de Ameno”, abitante a Sorico, confessa di ricevere da Bernardo de Qualio di Bugiallo la completa
soddisfazione di tutte le cose di maestro Ceranino date a credito a Bernardo, tanto di calzature(“calceorum conciatura”) che
di altro (presumibilmente pelli)2.
1588, 27 aprile, il frate Sebastiano Casato del fu magnifico
signor Enrico, dell’ordine dei Carmelitani di Milano, abitante in
_____________________________
1) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni.
2) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni.
156
Stefano ambo di Sorico. Pronotarii: Giorgio Giulini di Giovanni
Antonio, Stefano de Romano del fu Pietromartire, Giovanni
Antonio Montano di Battista, tutti di Sorico6.
Sorico, nomina suo procuratore il maestro calzolaio Giovanni
Antonio Ceranino3.
1601, 15 marzo, tra Giovanni Antonio Del Conte del fu Cesare
di Sorico, che dà 600 lire, e Bonifacio de Ferraris del fu Matteo
di Gera, che riceve detta somma, si pattuisce per cinque anni
società tra di loro “in arte et mercantia serica”, al fine che detto
Bonifacio traffichi in seta dividendo gli utili con il Del Conte4.
1603, 15 dicembre, retrovendita di censo di lire 65 sul capitale di l. 1193 da Alfonso Rippa del fu Francesco di Sorico a
Pietro Andrea Rippa del fu Francesco e Battista Montano del fu
Antonio di Sorico, entrambi sindaci di Sorico7.
1603, 7 novembre, Giovanni Antonio Pedana del fu Giacomo
di Albonico ha contratto debiti per fitti verso Giovanni Antonio
Giulini5.
1604, 10 gennaio, Petrino de Ligrignano del fu Giovanni di
Sorico promette a Giovanni Antonio Giulino del fu Giovan Angelo
di Sorico la restituzione del debito di L. 303 avute in mutuo8.
1603, 25 novembre, è nella bottega della casa di Giovanni
Antonio Giulino che si sancisce un permuta di terreni. Bernarda
del fu Mariano de Bulcis, vedova di Bernardo Panizera del fu
Antonio di Aurogna, tutrice e curatrice delle sette figlie,
Giovannina, Cristina, Maria, Maddalena, Anna, Maria, Caterina,
tutte sorelle ed eredi di Bernardo per rogito di Pietro Antonio
Panizera di Aurona, con “parabola” di Giovanni Andrea
Pizigarolo, figlio licenziato di Domenico, di Vercana, dà a
Prudenzia del fu Domenico Michela di Dolo e a Matteo del fu
Andrea Motallo detto “Biocha” di Bugiallo, agente per conto di
Prudenzia:
una casa su due piani con tetto di piote in Bugiallo in località “Ad Curtem”, confinante a est con Sante Corti, a sud con
Andrea, a ovest con la Valle, a nord con la strada;
un campo con vigna in Bugiallo “Super Dolum”, confinante
a est con Giovan Battista de Curte fisico di Gera, a sud con
Giovanni Cassera Pizigarolo, a ovest con gli eredi di Bernardo
Michela di Dolo, a nord con il fisico G. B. de Curte di Gera;
una terra brughiva in Bugiallo in località “In Campum
Longum”, confinante a est con Giovanni Pizigarolo, sud con
Giovanni Corbo, a ovest con Martino, a nord con Pietro Meroni.
In cambio Prudenzia dà a Bernarda:
mezza casa a Gaggiolo;
una terra campiva vignata in Bugiallo.
Testi: Andrea Belato del fu Stefano di Bugiallo, Battista de
Romano Marcioneto del fu Antonio e Andrea Lavizzari del fu
1604, 2 marzo, nella bottega di Pietro Bonella in Sorico maestro Antonio Ceranino del fu Giovanni da Mezzo pieve di Orta,
abitante a Sorico, dichiara di ricevere dal cessionario Guglielmo
Caroto del fu Augusto di Burano comune di Montemezzo L. 110
delle quali è obbligato Giovanni Bonella del fu Domenico di
Surana in comune di Bugiallo.
Testi Giovanni Ceranino di Pietro, Pietro Bellena del fu
Domenico, pronotarii Marco Antonio Ceranino del fu maestro
Giacomo, Giovan Stefano de Romano di Battista, di Sorico, Lauro
del Forno del fu Tommaso di Tremoledo di Bugiallo9.
1604, 14 aprile, Alfonso Rippa del fu Francesco di Sorico
riconosce il saldo del debito di L. 203 da Pietro Bonela di
Surana abitante a Sorico.
L’atto è rogato in Sorico nella bottega di Pietro Bonela. Testi
Giovan Battista de Maranesio del fu Giovanni Maria, Giovan
Battista Montano del fu Stefano ambo di Sorico, Battista Casato
del fu Pietro Martire e Pietro Martire suo nipote, Pietro
Ligrignano di Sorico10.
1604, 30 marzo in Gera, nella bottega di Giovanni Giulini,
Geronimo Canova del fu Agostino Magatti di Gravedona dichiara
di ricevere L. 560 da Michele Falcinella del fu Giovanni di
Albonico nel comune di Bugiallo11.
1609, 27 aprile, Francesco Venturino, prestinaio di Sorico, fa
il pane per i soldati del Forte di Fuentes e del Ponticello12.
_____________________________
3) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni.
4) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
5) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
6) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
7) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
8) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
9) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
10) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
11) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni.
12) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
157
Traffici e interessi sono documentati anche con famiglie illustri di Como, come i Natta13.
Frequentemente si trova documentata la necessità di accendere mutui presso facoltosi privati altolariani, fra i quali spicca
il governatore del Forte di Fuentes:
Domaso (Giovan Battista, canonico della Collegiata di Domaso;
Francesco, rettore di s. Giovanni Battista di Bugiallo; i signori
Giuseppe e Carlo Antonio) devono a Luigi Andukar, governatore
del Forte di Fuentes, L. 2.000 ricevute in moneta d’oro e d’argento ed affidate al fratello Giuseppe per impiantare una officina di farmacia con tutto l’occorrente in farmaci, droghe, vasi,
utensili, merci necessarie14.
1700, 8 febbraio, i fratelli Sebregondi figli del fu Andrea di
FIERA CONTRABBANDO ARMI E SOLDATI
e credibilità del Manzini, ha riscontrato essere egli di buona
condotta, incapace d’introdurre e mettere in circolazione una
falsa moneta”18.
Alle origini della Fiera di Sorico c’è quasi certamente la Fiera
di Olonio attestata dagli Statuti trecenteschi di Como. Si svolgeva
in occasione della festa dell’Assunta, il 15 agosto, e durava tre
giorni dalla vigilia al giorno dopo la festa della Madonna. Da
Como il podestà inviava ad Olonio un console come giudice ed
un ambasciatore con naviganti e rematori, uno scriba, un suonatore di tromba ed un servitore a spese del Comune, non superando soldi venti del nuovo conio15.
Non esiste una documentazione organica sulla fiera di
Sorico. Gli atti ufficiali antichi sono piuttosto in negativo: il 2
maggio 1813, da Menaggio il viceprefetto approva la proroga
della Fiera di Sorico, sospesa e rinviata per motivi sanitari non
meglio specificati16, ma qua e là ne compaiono tracce, come
quella di una lite (2 marzo 1610)17 o una rissa. Il mercato di
Sorico, luogo d’incontro, divenne infatti in qualche occasione
anche luogo di scontro, e, come tutti i mercati, luogo dove gli
imbroglioni cercano spazio, anche per spacciare moneta falsa.
Per esempio Giuseppe Rossi nel dicembre 1830 “ vendette
una camiscia a Giovanni Manzini di Pellio e ne ebbe in pagamento uno scudo... avvedutosi il Rossi dopo qualche tempo che
quella moneta era falsa se ne richiamò al Manzini e ne ottenne
la debita indennizzazione.... lo scudo di cui si tratta col formale
giudizio... l’I. R. Zecca... lo dichiarava assolutamente falso”.
Non si poté interrogare sul fatto, perché ammalato, l’oste di
Dongo “Giovanni detto Della d’Ora (26 aprile 1831). Perché
proprio lui si capisce dal racconto da quanto disse Manzini, il
quale narrò ch’egli fu alla Fiera di Sorico, ed a quella di Dongo,
l’una nel precedente novembre, l’altra nello stesso dicembre, e
che vendette alla prima una vacca, alla seconda del burro e delle
lumache avendo, crede, ricevuto nella prima occasione due
scudi dagli ignoti acquirenti della vacca, ed alla seconda fiera
uno scudo dal compratore del burro e delle lumache, pure
ignoto... Interpellati il Deputato Politico di Pellio della condotta
Sulla piazza di Sorico si svolsero anche attività illecite, come
il contrabbando, o di riparazione pubblica come l’atto di pace
del 1º gennaio 1606, rogato sulla piazza di S. Stefano, tra un
gruppo di persone di Sorico e un gruppo di valtellinesi, per le
ferite, percosse (sia con sangue che senza sangue), insulti e
ingiurie procurati dai valtellinesi Battista Gaiolo (?) Guange Liste
de Roncionego (?) e Valentino di Dubino, contro Bernardino
Caiolo del fu Pietro Antonio, Bartolomeo da Romano del fu
Tommaso, Giovan Battista da Romano del fu Antonio
Marcioneto, Giacomo Rippa del fu Giacomo, Giacomo Canzio
del fu Antonio, Stefano de Romano del fu Pietromartire, Petrino
della Torre del fu Agostino (?) Vincenzo, uomini di Sorico19. Due
anni dopo (28 gennaio 1608)lo stesso notaio Preboni roga nella
bottega del dazio di Sorico un atto di denuncia: gli agenti del
dazio di Sorico, Alfonso Castione di Geronimo e Melchion
Avogadri del fu Domenico, hanno trovato un discreto quantitativo di sapone veneto, pepe in grani, zucchero fine e candido che
stava passando illecitamente il confine, diretto nel territorio retico, a Morbegno, a favore dello speziale Antonio Cassina. Faceva
da tramite Ottavio Casati, personaggio di spicco di Sorico20.
Il vicino confine coi Grigioni stuzzicava il traffico di merci un
po’ difficili da nascondere: il 10 aprile 1609 sono consegnati a
Pietro Andrea Ripa del fu Francesco, console di Sorico “para
quatro de bovi inventionati da ms. Aluiggi Magno agente del
datio della mercantia et habitante a Sorico, a Bernardo del Fione
q. Lorenzo, Battista Spadino figliolo d’Andrea et a Gio. Antonio
del Piedo (?) q. Gio. Domenico tutti di Dubino, et a Gio. Bignolo
q. Pietro de Monastero squadra de Trahona[...].che havessero
conduto li suoi carri di calcina senza pagar datio”. Si chiede che
_____________________________
15) “De feria Olonio fienda ad medium augustum. / Item statutum est quod feria sancte Marie de medio augusto fit ad Olonium stare debeat per tres dies scilicet in vigilia
sancte Marie medii augusti et in festo sancte Marie et in sequenti die post”.
“Quod unus consul iudex mittatur ad feriam de Olonio. / Item statutum est quod ad feriam de Olonio dominus potestas Cumarum mitere debeat unum consulem iudicem
iustitie Cumanum et unum // ambaxiatorem, qui pro omnibus expensis suis et scutiferorum suorum et nautarum et remigorum habeat et habere possit in qualibet die de
here comunis Cumarum tantum solidos viginti novorum. Et unum scribam et unum tubatorem et unum servitorem tantum ire debeant cum eis, qui habeant a comuni
omni die, sicut habere soliti sunt, et statutum est eos habere debere pro suis expensis; et quod eis non detur feudum nisi de diebus tribus, et quod potestas Cumanus, vel
aliquis eius iudex, vel miles, nec aliquis de familia sua, aliquod feudum habere debeat a comuni Cumano occaxione predicta”, ASCo, ASC, Volumen magnum, 27 v - 28 r
Officium Potestatis cap. XLII; f. 274 r De causis civilibus, cap. CLXXVI, editi in Statuti di Como del 1335. Volumen Magnum, a cura di Guido Manganelli, tomo I,
Deputazione di Storia Patria per la Lombardia Sezione di Como (Società Storica Comense), pp. 46-47; vol. II, p. 99.
16) ASCo, Prefettura, cart. 909, fasc. 6.
17) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni.
18) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 9, fasc. 1160.
19) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
20) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
_____________________________
13) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni, 25 luglio 1610.
14) ASCo, Notarile, cart. 2455, notaio Andrea Giuseppe Calderari del fu Girolamo.
158
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gli animali non patiscano per trascuratezza di chi li ha sequestrati21. Ancora:
1609, 12 settembre, Costantino Rovello, cassiere generale
del dazio della mercanzia di Como, notifica al referendario di
Como, giudice dei dazi, che il 2 settembre “presente li suoi officiali residenti in Sorico trovarono passata la posta del datio di
Sorico et de altre poste più abasso Matteo della Mota, Antonio
Codera, Pietro Pizino, Agostino Grossa et Iacobo Mazola tuti del
paese de signori Grisoni in Valtelina vache vinticinque senza
boletta et pagamento del datio”22.
Ciduo de Canizane (?), tutti soldati spagnoli, et che servivano al
forticello, et dopo sentito messa andassimo di compagnia al
hosteria de Tre Re in Gera24 a disnare, et mentre che disnavamo
venne Alonso Ganzaly che serve a pagio et un suo camerata qual
io non so nomare per proprio nome, et così desinassimo tutti sei
di compagnia, et dopo haver disnato ci fermassimo in Gera, io,
detto Cesare, Francesco Caccigallo (?) et Lud(ovic)o Ciduo sin a
hore 2/20 in circa, et venendo verso Sorico giunti al ponte della
Calchera25, in strada il detto Ciduo burlando tirò una poma a due
giovani, de’ quali uno è figlio del hoste di Sorico, et l’altro è un
giovine di mia mano qual si chiama Baldessare Rusca26, et dopo
aver tirato il pomo questi doi giovini si fermarono sopra detto
ponte, et dissero chi ha tirato il pomo, et noi altri respondesimo,
che tiravamo tra di noi, et questi doi gioveni stando forti impugnarono le spade, che havevano sotto il brachio, et detto
Baldessare cacciò mano, et sfodrò la spada et io passai avanti
seguitando detto Baldessarre, qual fugiva, et io haveva la spada
nuda in mano, restando adietro li altri tre, con il detto figliolo del
hoste, et così fermandomi io in strada sopragiunsero li detti tre
miei compagni con detto figliolo del hoste, et io li dissi a detto
figliolo del hoste se noi volessimo amazarne, puotressimo farlo,
ma non vogliamo far male, andate in pace, et così tutti di compagnia venissimo sin a Sorico, et gionti apresso alla chiesa, il figliolo del hoste et detto Baldessare giurà a Dio che mi son galante
huomo, et subbito cacciò mano alla spada, et io resposi, che mentiva, et era un vigliacco, et mettei mano alla mia spada, et in questo mentre venne il caporale Coregio con un’hasta, et ne dipartì,
et disse che dovessimo andar al forticello et dopo noi andassimo
sin presso alla casa ove è dipinta l’arma et insegna del re, et gionti ivi tutti quatro, il suddetto Ciduo disse Signori torniamo indietro
a aspettar il signor caporale, per andar tutti di compagnia al forticello, et tutti dicessimo andiamo, et io dissi no, è meglio andare
doi perché non dica questa gente che andiamo a fare male, che se
vi è cosa alcuna, doi di noi siamo sufficienti, et così io, et Ciduo
venessimo verso la piazza, et li altri doi si fermarono ivi, et di poi
gionti in piazza di Sorico, lì apresso alla chiesa Ciduo, io, et li detti
doi figlioli del hoste, et Baldessare, tutti quattro unitamente cacciassimo mano alle spade, et mentre che contendevamo si ruppe
la spada a Ciduo, et io andai in agiuto a Ciduo, et subito fui ferito
dal detto figliolo del hoste con una cortellata in testa, et in questo
il caporale Coregio gionse, et andassimo con lui al forticello,
essendo concorsi molti della terra con spade et mezze spade, et li
detti doi giovani cioé il figliuolo del hoste, et Baldessare si retironno in chiesa, et io similmente andai in chiesa, et in questo
Armi facili, suscettibilità, senso dell’onore contrapposto a
vigliaccheria: un soldato attacca briga con un giovane civile, con
uno scherzo da niente, tirando un frutto; gli altri soldati cercano di evitare noie e dicono che stavano scherzando tra loro, ma
il giovane si mostra offeso e con l’altro compagno mostra la
spada, finge di voler combattere, ma poi scappa, poi finge ancora di accettere la proposta di pace, fa un tratto di strada insieme
ai soldati, ma torna ad attaccarli non appena giunge in paese
dove attira la gente per farsi dar man forte: al che il soldato gli
dà del vigliacco. Si legge il timore dei soldati di passar per violenti con la popolazione, a Gera vanno insieme, ma si sa che
vanno a messa e all’osteria, a Sorico invece sono di presidio,
non troppo ben visti. I soldati spagnoli le prendono: ad uno di
loro, quello che per primo aveva attaccato briga, si rompe la
spada, l’altro che racconta la storia, si prende una coltellata
sulla testa. Qui non è chiaro se per coltellata si intende un colpo
di taglio della spada o un colpo di coltello tirato a tradimento
mentre si tirava di spada. Insomma, con certe persone di Sorico
era meglio non attaccar briga, neanche se si era soldati armati.
Il luogo dove si tira di spada sembra la piazza di Sorico, forse
per far intervenire altra gente con spade e mezze spade, gli altri
luoghi indicati sono la chiesa di Gera, l’osteria di Gera, il ponte
della Calchera, la casa con arma e insegna del Re, la chiesa di
Sorico, il Forticello (vedi mappe catasto teresiano), e una cappella votiva, che potrebbe essere quella esistente sulla strada tra
Sorico e il Passo, non quella verso Dascio che è del 1714.
Nel 1610, il 15 gennaio, in presenza di Giorgio Giulino notaio
di Sorico23 si presenta Tommaso Salina soldato spagnolo della
compagnia del capitano don Diego Osovio, di presidio a
Gravedona, che dichiara: “Con mio giuramento dico, che dominica passata, che fu alli 20 di genaro presente io venni dal forticello, ove io serviva con licentia del caporale, venni dico a Gera, a
sentir messa in compagnia con Francesco Chiscigallo et Cesare et
_____________________________
21) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
22) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni.
23) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni.
24) Si vede nel capitolo “Storie di vita” il Draghett che da Sorico va a messa a Gera e poi all’osteria.
25) Ponte sul fiume di Sorico.
26) Dunque il notaio Giulini ha come giovane (di studio) un Baldassarre Rusca, che a sua volta diventerà notaio. Si osservi il rapporto dei Rusca con Sorico.
160
mentre venne il caporale et mi menò a medicare, et di poi come
ho detto andassimo unitamente al forticello”.
sa, né mortale, et io credo che sia stato un scarto, n’ha un’altra nel galone dritto, qual Giovanni dice essere una stocchata, ma di quella non è uscito sangue alcuno, perché a penna
è tochata la pelle, et io non ho medicata quella ferita, perché
non è di bisogno, altro io non so”.
Un altro episodio di costume avvenuto alla fiera di Sorico il
2 novembre 1610 è raccontato negli atti dello stesso notaio27.
Davanti al prete Giovan Battista Casato, canonico della collegiata di S. Stefano di Sorico e vicario foraneo nella pieve di
Sorico del vescovo Filippo Archinto, si presenta Giovanni Piazza,
figlio di Abbondio, di Vercana, abitante a Gravedona, ferito da un
colpo sul capo che ha provocato effusione di sangue. Ammonito
dal vicario foraneo a dir la verità sotto giuramento, Giovanni
Piazza dichiara:
Venerdì 12 novembre 1610 davanti al medesimo vicario foraneo fu chiamato il diciottenne Scipione Cigala del fu Oliviero di
Sorico, come persona informata della rissa. Interrogato “se egli
ha qualche notitia della rissa o questione che sucesse il 2
novembre giorno di fiera nella chiesa di S. Steffano di Sorico
tra alcuni di Vercana et che dica tutto quello che crede et che
sa”, rispose:
“Signore, stando io hoggi in piazza di Sorico nella fiera,
essendo venuto a parolle et rissa con Iacomo Barisello et
Giovan Giacomo dal’Astrico / del fu Martino di Caino nel
Comune di Vercana, nella quale rissa dalla parte contraria vi
erano altre tre persone, cioè un figliolo di Andrea del Torchio
di Caino, il cui nome non so, et li altri non mi ricordo chi
siano, così in detta rissa sendomi venuti adosso tutte le predette cinque persone, io non puotendo salvarmi altrimente,
mi sono retirato in questa chiesa di Santo Stefano, nel qual
luocho perseguitato da detti sopranominati, credendo ivi
esser sicuro, sono stato ferito, o pure tocho o da tal uno, o
dal’ altro, che non so precisamente, de detti Barisello, et
Giovan Iacomo del’Astrico de una punta nel galone dritto28
ma non è però uscito sangue in terra, et ho havuta questa
punta stando presso al pilastro di detta chiesa, qui vicino al
pontello; è ben vero, ch’ ho havuta un’altra ferita in testa, ma
questa è statta fuori di chiesa, et un’altra in mano sinistra,
che non so, se dentro, o fuori di chiesa, non è però di questa
ferita uscito sangue alcuno in terra, nel qual luocho havendo / coltellato un pezzo, né puotendo altrimenti difendermi,
son stato sforzato uscire di detta chiesa per la porta magiore, et andare in piaza, et se bene vi erano concorse persone
assai, non ho però memoria chi fossero perché io stava con
l’occhio al difendermi”.
“Signore, il giorno della fiera de Tutti Santi che fu alli 2 di
novembre presente ritrovandomi io nella nostra chiesa di
Sorico sopra la porta, vidi entrare in detta chiesa dal pontello, quatro o cinque persone, con le spade nude in mano, et
fuori ancho con li pugnali, che non mi ricordo, et vidi, che
tre o quatro di dette persone, quali però io non conosco, né
di vista, né di nome, né di patria tiravano con dette armi de
colpi ad uno d’essi, che andava retirandosi, ma io non so se
de tali colpi detto che si retirava restasse ferito, o non”.
Interrogato “per quanto spatio di tempo durò questo
rumore in chiesa” rispose:
“Signore, io non posso dire di fermo quanto tempo durasse questo rumore, solo vidi li suddetti entrare in chiesa per il
pontello, et andarono sin al secondo pilastro della detta chiesa, et poi traversarono la chiesa, et uscirono per la porta
maggiore et sempre di tre in quatro tiravano, et l’altro hora
reparava, hora stava in atto di difesa, dicendo state adietro,
et in questo uscirono per la porta magiore”.
Il testimone dichiarò di non conoscere quelle persone e
disse pure: “Vi erano delle done, ma non le conobbi”.
La presenza di armi in quell’epoca appariva come indispensabile:
1611, 7 gennaio, Andrea Belato, Bartolomeo Motallo,
Michele Falcinella, sindaci del Comune, convocano tutti gli
uomini di Bugiallo nella piazza davanti alla "mansione" di
Domenico Masino nella corte dove si è soliti riunirsi per gli affari comuni (“in platea ante mansionem Dominici Masini ad
curtem in qua saepe convocari solent [...]”). Sono presenti
24 uomini:
Andrea Belato del fu Stefano
Dopo questa deposizione davanti al vicario foraneo compare
il barbiere di Gravedona Priamo Casato, che aveva medicato la
ferita di Giovanni.
“Interrogato se egli ha medicato Giovanni de Piazza ferito, et
che ferite habbia detto Giovanni, quante et quali, et in che luochi, et se siano con sangue et pericolose o non”, rispose:
“Signore, detto Giovanni ha una ferita in testa, della
quale è uscito un puoco di sangue, ma non è però pericolo_____________________________
27) ASCo, Notarile cart. 1247, notaio Anchise Preboni.
28) Coscia destra.
161
36) Archivio di Stato, Como: mappa del catasto teresiano,
estratto del territorio di Dascio con il “Sito posseduto dai soldati”.
Per giorni sei di andar a Milano et ritornar
Bartolomeo Motallo del fu Giovanni
Michele Falcinella del fu Giovanni, tutti e tre sindaci
Giacomo de Qualio del fu Giovanni
Stefano de Sertolis del fu altro Stefano
Antonio Tamola Rosso del fu Matteo
Giacomo Tamola del fu Giovanni
Giovanni Tamola del fu Antonio
Masino de Sertolis del fu Graziolo
Matteo Belato del fu Stefano
Donato Bioca del fu Pietro
Filippo Bioca del fu Giovanni
Taddeo Menono di Tommaso
Domenico Masino de Sertolis del fu Graziolo
Bernardo de Qualio del fu Agostino
Simone suo fratello
Donato del Ponte del fu Giacomo
Domenico Magato del fu Giovanni
Giovanni Battista del fu Taddeo del Ponte
Paolo Bonela del fu Pietro Tornelli
Andrea Tuchonus del fu Silvestro
Giovanni del fu Guglielmo Pedreti
Lauro Pedana figlio separato di Giovanni Antonio
Domenico Bonela del fu Bernardo di Surana
“Tornati l’8 suddetto
Prima per la barca per andar a Como
L. 3[...]
[...] per gli cavalli per Milano
L. 6
[...]per disnar a Barlasina sabbato mattina
L. 2
[...] a Milano sabato sera
L. 2
[...] nel disnar domenica mattina
L. 2
[...] nella cena domenica sera et il dormire et foco
L. 2
[...] nel disnar lunedì mattina
L. 2
[...] nella cena lunedì sera
L. 2
[...] nel desinar martedì mattina
L. 2
[...] nella cena martedì sera
L. 2
[...] nel disnare mercore mattina
L. 2
[...] nella cena mercore sera
L. 2
[...] nel disnare giobia mattina a Gera
L. 2
[...] nella cena giobia sera
L. 3
[...] per lo cavallo da Milano a Como
L. 5
L. 4
[...] per giornate sei Ratto absente
L. 2
[...] hano cumbinato che si stimano essi archibugi et
piche per un prezzo honesto et poi si buttino in sorte a chi
devono toccare in tredici parti et otto parti le piche, così stabilito che li archabugi si paghino con sue fiaschi et balotera
L. 18 terzole per accaduno et le piche L. 5 soldi 9 et per che il
prezzo d’esse arme non sarà sufficiente per potersi pagare li
dinari tolti da messer Giovanni Antonio Magato l’anno predetto 1607 per questo effetto, perciò s’è ordinato anco che
ogni focolare o famiglia d’esso comune a chi non toccarà
d’esse arme paghi L 4 terzoli per famiglia o foco, et caso anco
non potessero supplire, si facci una taglia sopra l’estimo sino
al supplimento del pagamento d’esse spese così per potersi
satisfar come sopra. Le quali somme de denari cioè tanto il
prezzo d’esse armi quanto le L. 4 terzoli per loco et il supplimento si farà in taglia si paghi a calende settembre prossime
avenire, et si habbino a pagar nelle mani delli sindaci, o a
chi sarà [...] et non del console perciò essi sindici siino tenuti a scoderli, o deputar chi li scodi, et non dar da scodere al
console che sarà di questo anno, contro la sua volontà et
però essi sindici possino procedere sumariamente in fon[...]
di Camera.
Et butate le sorte per boletino a chi dovessero trovar li
archabugi sono seguiti come qua segue in Bugiallo:
Gli uomini di Bugiallo approvano le spese per le armi, archibugi, palle di piombo, polvere da sparo, picche, e per il loro trasporto via lago (navolo) e via terra (caradura):
“[...]
Prima lirette 25 piombo
L. 10
[...] lirette 25 polvere
L. 40
[...] piche n. 8
L. 64
[...] rubbi doi corda d’archibugio
L. 13 [...] ?
[...] archibuggi 13
L. 312 [...] ?
[...] per la metta della ligatura delle picche
L. 1 [...] ?
[...] a quello che me ha zernutto fuora l’archibusi L. 2[...]
[...] a quello che le ha ligatti et imbalati [...]
L. 1
[...] la [...] della cassetta della polvere
L. 1[...]
[...] per la cassa da condur l’archibugii
L. 4[...]
per la ratta parte della caradura per condure
le piche a soldi 2 denari 3 imperiali [...]
L. 1
[...] per la parte della canaliadura
per la cassa de archibugii
L. 6[...]
[...] in fachini
L. 1..
[...] nel navolo
L. 2
L. 462
[...] per la spesa cibaria
L. 20
524 [...]29”.
L. 42
504[...]
Tomaso Menone uno
_____________________________
29) ASCo, Notarile, cart. 1248, notaio Anchise Preboni.
L. 18
I documenti originali sono conservati presso l’Archivio di Stato di Como. rip. vietata.
Mateo Belaso
Bernardo Belaso
Donato del Ponte del fu Bernardo
Philipo Bioca
Donato Bioca
Iacobo Tamola
Domenico Masino
Motalli
36
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
Heredi di Tadeo del Ponte
Masino Sertore
Domenico Facino
Gio. Moretino
In Albonico
Andrea Bonela Ciacha
Francesco Tornello
Gio. Pedreto
In Albonico
Domenico Bonela de Surana
Domenico Bonela del fu Giovanni
Andrea Turcone
Michele
L. 18
L. 18
L. 18
L. 18
L. 274 terzoli 5”30.
1628, 29 dicembre
"Havendo il molto illustre signor don Antonio della Rua
capitano d’Infanteria Spagnuola hora habitante nella Terra
L. 18
_____________________________
30) ASCo, Notarile, cart. 1248, notaio Anchise Preboni.
162
L. 5
L. 5
L. 5
238
et tutte somano lire ducento settanta quatro terzoli
Le piche sono toccate come segue in Bugiallo
Gio. Tamola
L. 5
L. 5
L. 5
L. 5
163
ha havuto moglie almeno mentre che io era stato in Fiandra
poiché sebene quatro anni non siimo stati di compagnia,
tornando io di Fiandra l’ho però trovato qua nel forte senza
moglie”.
di Sorico, nella quale et in altre C[...] ha allogiamento la sua
compagnia fatto chiamare li signori Melchion Riva, et Gio.
Antonio Montano sindici della detta Terra di Sorico, et li
signori Gio. Buzzi, et Gio. Battista Buzo sindici della Terra di
Gera, ivi presentialmente ha detto, notificato, et inthimato a
detti sindici, come vi è l’ordine di Sua Eccellenza che di notte
nisun paesano vada con archibugi, et arme astate sotto la
pena contenuta in detti ordini, et che perciò li sindici ne
diano aviso a tutti li paesani delle loro terre, aciò non naschi
alcuno disordine altrimenti [...]”31.
Il soldato Giovanni Martinez del fu Giovanni di 32 anni, di
Gianandilia del Regno di Castiglia: “Sono più di otto anni che
lo conosco, perché egli venne in Savoia, dove era anch’io di
poi venessimo in Piemonte di poi [...] in Alghero, et dipoi
venessimo a Como, et dipoi io andai in Fiandra, et egli restò
in Como, et dipoi [...] io tornai di Fiandra, andai in Como
nella sua compagnia donde poi venessimo qua nel forte ove
stiamo de za [...] Egli non è maritato né ha impedimento
alcuno, che egli non possa maritarsi perché io so di scienza
che non è maritato”.
I soldati spagnoli, come si è visto nell’episodio della rissa,
cercavano di integrarsi con la gente del posto e il matrimonio
era ovviamente la strada maestra.
Il documento seguente non esplicita il motivo per cui sono
interrogati tre soldati del Forte di Fuentes, ma lo scopo risulta
chiaro: si vuole evitare che un loro commilitone prenda moglie
senza avere da lui garanzie che sia davvero celibe. E dagli spostamenti cui erano soggetti quei soldati, il dubbio che avessero
legami non verificabili era più che giustificato.
Le testimonianze dei soldati del forte potevano far fede perché sembra che fosse ammessa la presenza delle mogli dei soldati, come ricaviamo da un documento del 1702, 3 marzo, rogato dal notaio di Domaso Andrea Giuseppe Calderari a proposito
di Eugenia Dell’Oro del fu Giuseppe di Domaso che sposa in
seconde nozze Giovanni Torrentis soldato spagnolo e con lui
abita nel Forte di Fuentes: “et ibidem in Arce predicta habitatrix”32.
1608, 26 maggio, Giovanni Turana del fu altro Giovanni soldato spagnolo della città di Barcellona nel castello di Fuentes.
Pietro Lodano del fu altro Pietro della città di Volliena soldato
spagnolo nel castello di Fuentes, di circa 30 anni, confessatosi a
Pasqua.
Interrogato il primo, gli viene chiesto “se conosce Giovanni
Turana del fu Giovanni di Barcellona, spagnolo, et habitante nel forte di Fuente”, risponde affermativamente: “ [...] Lo
conosco già otto anni sono [...] perché siamo stati di compagnia in Savoia, in Piemonte et anche sopra l’armata del
signor Andrea Doria, et di poi siamo stati di compagnia alla
città di Como”.
Gli chiedono “se sa che detto Giovanni sia maritato”. “Io
so che egli non è maritato”
Un fatto increscioso di quegli anni ebbe in Sorico, nella casa
del parroco, la sua registrazione notarile33:
1610, 29 dicembre,
Il canonico Giovanni Battista Casato della collegiata di S.
Stefano di Sorico seduto su una cattedra di legno riceve in casa
sua Cesare Rusca vicerettore della chiesa di S. Vincenzo di
Sorico che lo prega di prendere le sue difese nella querimonia
sorta nel dicembre 1609 [...]
[...]
“Eminentissimo signor Vicario
Con querela espone prete Cesare Rusca vicecurato della
parrocchiale di S. Vincenzo di Gera pieve di Sorego lago, et
diocesi di Como qualmente lunedì il 14 di dicembre 1609
circa le 22 hora, su la piazza de Gera, Giovan Angelo Ferraro
detto Marangone34 de Gera, avanti la sua casa, disse al detto
vicecurato le formali, o simili, o equivalenti parole: ’Vi basta
l’animo di dire che io sono un villano, e canaglia?‘” soggiungendo egli: “Io sono honorato, ma vuoi siete un sodomita”. Al che rispose il vicecurato: “’Dite una gran bugia, et vi
Interrogato un altro soldato spagnolo di 28 anni risponde:
“Lo conosco otto anni sono perché siamo stati in Savoia
nella compagnia del capitano Aluisi Poiati et in Piemonte, di
poi siamo stati nell’armata del Doria, et di poi in Como, et
partendosi la compagnia per Fiandra venendo io di poi di
Fiandra lo trovato qua nel forte”.
Interrogato se sia maritato risponde: “Egli non ha avuto
moglie alcuna mentre ch’io son stato in Fiandra poiché sebene quattro anni non siimo stati in compagnia [...] egli non
_____________________________
31) ASCo, Notarile, cart. 1249, notaio Anchise Preboni.
32) ASCo, Notarile, cart. 2455, notaio Andrea Giuseppe Calderari
33) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni.
34) “Marangone” deriva da “marango, marangonis” che nel latino medievale significava proprio la professione di fabbro.
164
mentite per la gola’ et egli replicò un’altra volta la sudetta
ingiuria et il reverendo un’altra volta gli disse che mentiva
per la gola, et che sennò havesse temuto Iddio, l’havrebbe
castigato, dicendoli ch’era un vecchio senza cervello, et incatenato dal Diavolo, et poi e l’uno et l’altro andorno per i fatti
suoi, essendo venuti lì duoi huomini della terra, il che fu con
grandissimo scandalo, e mormorazione del popolo, essendo
stato in publico [...] per il che dimanda che detto Giovan
Angelo sii castigato conforme la giustizia et alla restitutione
dell’honore in publico”35.
dire dal fabbro al prete “Viliacco, furfante, scrocco et bozziron37, e ne sono abbrugiati tanti38, et tu non sei abbrugiato et
il signor vicecurato rispose tu te ne menti per la gola soggiungendo detto Marangone:Tu sei un cane”.
Giovan Angelo del Butio del fu Pietro Franzoso di Gera di 50
anni, accertato che si è confessato a Pasqua, dichiara: “[...] trovandomi in piazza di Gera presso l’olmo vidi il rev. Sig. vice
curato che veniva in fuori verso la piazza in compagnia
credo di messer Giovan Giacomo Curto, et gionto per contro
le case del hosteria di messer Horeste Prata attacata alla casa
di messer Giovan Angelo Marengone, vidi che detto messer
Giovan Angelo, et sentei che detto Marengone [...] disse a
detto signor vice curato ’Havete dunque ardimento di dire
ch’io sono un vilano, et canaglia’ né sentei poi quello che il
sig. vice curato rispose, ma sentei il Marengone che sogionse
’Quando tu volgi dire che io sia un vilano, et canaglia, dirò
che tu sei un bozzirone, et ne costa per processo’ soggiungendo il vice curato ’Tu te ne menti per la gola, io son huomo
da bene tu sei un vechio, io penso che habbi il demonio adosso’”. Tra le persone presenti il testimone ricorda: “Vi era il corriere d’Alemagna con altri forastieri.. et altri [...] ma io non
so che tali persone si siano scandalezate”.
Il 18 gennaio 1610 risponde all’interrogatorio Eultizio Butio
del fu Matteo di Gera: “[...] Messer Giovan Angelo Marengone
si incontrò con il signor vicecurato per contro le case di
detto messer Giovan Angelo e di Conte Prada suo genero, et
disse a detto vicecurato per qual causa me infamate voi,
ch’io sia un vilano, et cane, et il signor vicecurato rispose io
non ho detto questo, né è la verità, messer Giovan Angelo
rispose ’Quando vogliate dire che io sia vilano o cane, voi
sete un bozzirone’ ed il signor vicecurato disse ’Ve ne mentite per la gola’, et messer Giovan Angelo di nuovo rispose ’Sete
un bozzirone come appare per processo et io faccio et dico
questo per difendere l’honore mio’, né so che altro succedesse, solo che l’uno et l’altro andarono per li fatti suoi”.
Testimonianze:
1610, 4 gennaio
davanti al canonico di Sorico G. B. Casato e a Nicola Cocquio,
vicario generale del vescovo di Como Bartolomeo Prata, figlio di
Ortensio, di Gera, testimonia che conosce molto bene il fabbro
Giovan Angelo Marengone perché “ambodoi d’una terra [...]
et perché egli è suocero di mio fratello”. Conferma la disputa,
non ha sentito tutto, però “sentei il signor vice-curato a dire [...]
quelli che mi hanno dette queste cose se ne mentono per la gola,
et messer Giovan Angelo rispose: “Te ne menti tu vilano”, et il
signor vice curato rispose: “Tu sei un vechio balordo, né io ti
do audienza”. Rispose messer Giovan Angelo che egli era “un
bozzirone et che tanti se ne brusavano, et egli non era brusato”36. Et il signor Curato rispose: “Io punto che rispetto
prima a Iddio et poi a tuo detto genero Conte Prada, altrimente io ne farei vendetta et messer Gio. Angelo ancho
replicò che egli era un laudatore [...]” allora alcuni presenti li
separarono. All’alterco “vi erano alcuni Alemani et altri forastieri”.
Francesco del Butio del fu Gio. Angelo del Cantono di 22
anni si è confessato a Pasqua “et est citra in civitate Panormi”.
“Il mese di dicembre non so però il giorno [...] mi trovavo io
in Gera assettato sopra il balcone della mia bothega vicina
alla casa di messer Giovan Angelo Maregnone”. Il teste sentì
_____________________________
35) “Testes / Io Petrus Iulinus / Bartholomaeus Rata / Comes Prata, Glerae / et alii / Nicolaus Soldenus comensis habitator Glere maritus Galete / Nicolaus Castanedus Domasii
nepos Pirri / Io. Peralta miles hispanus habitator in castro de [...] / Franciscus Butius del Cantone de Gera”.
36) Bozzirone sembra significare “omosessuale”. L’accusa è doppia: gli altri “bozzironi” venivano bruciati, il prete no.
37) Bozziron = sodomita? È appellativo più pesante di “bolgiron”, persona non affidabile, cfr. CHERUBINI, op. cit. ad vocem.
38) Si insiste sulla condanna al rogo per i sodomiti.
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