Sorico - Storie di acque, terre, uomini
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Sorico - Storie di acque, terre, uomini
Pagine 142-143 35) Panorama dai monti sull’ultimo bacino del Lario con vecchie piante di castagno. lasciarla marcire (1789, 15 luglio)19. Per Sorico nel 1789, 28 agosto, da Gravedona il cancelliere del distretto VIII Giovan Battista Pogliani, in evasione del decreto 10 agosto 1789, così attesta: “si riferisce che tutti i boschi comunali dei Comuni della Pieve di Sorico possono vendersi, anzi si sono già venduti”20. All’arrivo dei Francesi il medesimo funzionario Giovan Battista Pogliani, cancelliere del Censo del distretto VI all’Amministrazione Centrale lascia una testimonianza importante sulla condizione sociale nell’anno 1800, 8 gennaio (18 Nevoso anno VIII): longhi un brazzo almeno parimenti se mettino doi per uno borello et che siino segnati tutti con due tache in sbresso in testa da ambe le due bande. Item pacto etc. fra essi presenti convenuti che detti homini habbino a compensar [...] sopra la prima mettà da pagarsi nella forma come di sopra le soprascritte lire 850 di terzole contenute nel soprascritto instrumento di obligo, atteso che [... ] et subito sarà pronta la condotta oltra nel modo come di sopra oltra il restante et integral pagamento che detto Rippa [...]. Item [...] non si potessero far essi borelli [...] Rippa non li potesse andar a venderli per prohibitione de signori Principi sì di Milano quanto di Grisoni detti homini siino tenuti pagar li detti denari nel prefato obligo contenute et nel modo et forma in esso contenuto sborsarsi da esso Rippa a bon conto per tal impresa et lavorerio non ostante la soprascritta conventione nel primo capitolo et patto fatta [...]”. Atto rogato a Tremoledo “in curia domus habitationis” di Michele Falcinella testi lo stesso Falcinella, del fu Giovanni, Martino Lironi del fu Martino, entrambi di Tremoledo, Marco Antonio del fu Domenico di Albaredo del Comune di Morbegno “borellario” dello stesso Riva, Battista del fu Lucrezio Turchetti di Samolaco abitante a Sorico, Andrea Lavizari del fu Stefano17. “La Comunità di Bugiallo è delle più povere di questo distretto ed i comunisti vivono presentemente col prodotto della legna da fuoco che giornalmente trasportano alle Comuni vicine[...] perciò abbisognano dell’importo delle proprie derrate che le vennero tratte a forza per servizio militare”. E aggiunge: “I Deputati dell’estimo della Comune di Bugialo di questo distretto sono in molte angustie per non poter soddisfare le molte sovvenzioni che ebbero dai comunisti per sanare le diverse requisizioni di bestie da macello, fieno e legna per servizio militare fatte alla propria comune dalla municipalità di Dongo e dalle comuni di Domaso e Gravedona ed altro ripiego non seppero rinvenire che quello della vendita d’alcune piante di castagni infruttifere esistenti nelle selve comunali [...]”21. Il citato Michele Falcinella è personaggio ricorrente negli atti del primo Seicento, anch’egli interessato ai tronchi. Veniamo infatti a sapere che nel 1610, 26 marzo, si giunse alla soluzione della querela del Comune di Bugiallo contro di lui per il taglio di “borelli” sui monti di Bugiallo “Al Monte Rotondo”, con il pagamento di L. 70 entro la Pasqua18. 1800, 27 dicembre, in Bugiallo, a seguita di delibera votata nel medesimo giorno, viene eseguita una perizia delle piante castanili selvatiche infruttifere delle selve comunali da Giovanni Bioca “carbonaro” con Bartolomeo Raser, deputato dell’estimo, e Francesco Raser a nome di Battista Gentile, deputato dell’Estimo: “Della selva denominata Piazza Longa verso mattina [...] piante n. 38 stimate per ridurle a carbone bisacchi n. 500 per la mercede ai carbonari soldi 14 e per portura soldi 9, e per la legna soldi 10 al sacco donque la stima del capitale l’ho stimata la soma di L. 250”. Con le medesime voci per la “Selva alli Dossi” si contavano 31 piante, valutando in L. 160 le bisacce di carbone ottenibili, per una spesa di soldi 16 ai carbonai, soldi 6 per trasporto, soldi 10 al sacco per la legna da ardere nella carbonaia, per un totale di L. 80. Così dalla “Selva al Gaggetto” si calcolavano piante 23, bisacce 90, soldi 15 ai carbonai, soldi 9 di trasporto, soldi 11 per legna per un totale di L. 49.10. L’importo totale era di L. 379.1022. Si tratta ad ogni modo di documenti sporadici, pervenutici con l’archivio del notaio Preboni; diversi altri atti analoghi precedenti e successivi si sono perduti con gli archivi di altri notai. A fine ’700 lo Stato, ancora con gli Austriaci, controlla il territorio attraverso la Prefettura, i cui uffici registrano condizioni diversificate in Alto Lario: “[...] i boschi [...] nella pieve di Gravedona per la situazione de’ quali non si può metter a profitto la legna, e si deve lasciarla marcire sul luogo”. In particolare a Dosso del Liro il bosco detto Faido di Gordon nella Valle di Mugiammo, di pertiche 30 e a Livo “il bosco che comincia a Borgo sino all’acqua di Lozz ed a Canale Vossa” di pertiche 1000. A Bellano invece tutte le legna si mette a profitto senza _____________________________ 17) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 18) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. 19) ASCo, Prefettura, cart. 392, fasc. 6. Boschi. 20) ASCo, Prefettura, cart. 392, fasc. 6. Boschi. 21) ASCo, Prefettura, cart. 296. fasc. 4055. 22) ASCo, Prefettura, cart. 296. fasc. 4055. 144 IL LEGNAME, I FIUMI E IL LAGO: LA FLUITAZIONE O “FLOTTAZIONE” Come si è visto, la fluitazione era praticata da secoli, sul fiume Mera e sull’Adda, sporadicamente provata da qualche contratto stilato davanti a un notaio. Una cospicua pratica di domande di “flottazione” nel fiume Adda, relativa agli anni 1833-1845, si conserva nel Fondo di Prefettura di Como e vede fra gli altri interessati i centri dell’Alto Lago, in particolare Sorico con Gera23. Si tratta di richieste di autorizzazione a far viaggiare via acqua ingenti partite di legname tagliato nel boschi della Valtellina da parte di diversi imprenditori, sfruttando le acque dei torrenti della Valtellina, dell’Adda e quelle del Lago di Como come naturale veicolo di una merce di pregio. Dapprima sono gli uffici dello Stato a cautelare l’interesse delle opere pubbliche (sponde e strade) da eventuali danni, ma dopo qualche evento dannoso a spese di privati, gli stessi uffici informano con ampio anticipo la popolazione. Le prescrizioni si fanno via via più puntigliose e indirettamente utili al lettore moderno per ricavare informazioni sulla natura dei luoghi e sugli interventi dell’uomo. Le comunità rivierasche vengono così preventivamente informate dall’autorità statale e messe in condizione di difendere interessi collettivi o privati eventualmente minacciati dall’operazione. Interessanti risultano i nomi dei titolari delle imprese commerciali e di coloro che versano a loro cautela alte cifre di assicurazione, titolari, in più occasioni, di altre analoghe ditte. Non meno interessanti i termini, scanditi in genere nel medesimo ordine gerarchico, dei pezzi di legname: dal maggiore (le “borre” o tronchi) al minore, dal pezzo di qualità più alta in giù, fino alla legna da ardere misurata in “spazza”, cioè a “bracciate”24. Curiosamente, però, la legna da ardere è sempre segnala- ta in testa nei documenti della prefettura di Sondrio, in coda in quelli di Como (tranne nel più antico del 1833)25: 1833, 15 maggio, Lorenzo Brunoli di Morbegno, chiede all’I. R. Delegazione Provinciale di Como il permesso di far flottare “spazza 5000 legna da fuoco di faggio misto con pino betola, e poco castano, più n.º 1200 borre peccia e larice portante la marca D da raccogliersi presso Gera, Vercana, Domaso", previo deposito di L. 1000. Offre L. 6000 di sicurtà Francesco Lampugnani di Domaso. Non è precisato per quale altra quota offrisse sicurtà Filippo Caimi di Morbegno26. 1836, 16 dicembre, il Brunoli non ha effettuato nei termini previsti la flottazione (concessa il 19 dicembre 1835) per il Bitto e l’Adda, che viene rinviata ai mesi tra marzo e maggio del 1837. 1837, 20 febbraio, viene autorizzata la fluitazione di 600 spazza da fuoco, “2000 borre di larice, abete, avezzo e tiglione pervenuti dal bosco Peghera dal comune di Castione”, 2000 spazza di legna da fuoco, 2300 borre, 400 poncette, 400 mancanti dai boschi Campeglio e Prato dell’Acqua del comune di Caiolo “della qualità di abete, larice ed avezzo”27. 1837, 7 aprile, la ditta Giovanni Antonio Vitali di Bellano versa una cauzione di L. 15.000 e s’impegna a tenere legato in zattere il suo legname fino alla riva di Gera difendendo gli argini con “opportune spiche” e a lasciare aperto nell’Adda un canale di navigazione largo almeno 40 metri “la cui mezzaria sarà il filone del Fiume, come si è praticato anche per lo passato in altri consimili casi”. _____________________________ 23) ASCo, Prefettura, cart. 1983. 24) “[...] forse noi diciamo spazz da spazio, perchè allargandosi l’uomo con le braccia, come dice il Vasari, opera appunto tanto quant’egli è alto[...] è una delle misure primigenie cadute in mente all’uomo nello sbarrarsi nelle braccia. Corrisponde appuntino alla passa dei Sardi che il Porru traduce coll’italiana bracciata[...] forse è l’auna di alcuni antichi”, F. CHERUBINI, Vocabolario Milanese-Italiano, Imperial Regia Stamperia, Milano 1841, ad vocem. 25) ASCo, Prefettura, cart. 1983. 26) ASCo, Prefettura, cart. 1983. 27) Avezzo è una qualità di abete. Se nello specifico si trattasse di abete rosso o peccio, o di abete bianco, non è possibile stabilire. La voce avezzo è in uso con significati non sempre identici in diverse zone d’Italia. Riportiamo una tabella di corrispondenze da O. PENZIG, Flora popolare italiana. Raccolta dei nomi dialettali delle principali piante indigene e coltivate in Italia, Orto Botanico della R. Università, Genova 1924, p. 45: Avezo Belluno Abies alba Avezz Como Picea excelsa Avèzz Milano Abies alba Avezz Valtellina Abies alba Avezzo Toscana Abies alba Avezzo Verona Picea excelsa È difficile stabilire se si trattasse di abete rosso, secondo la definizione comasca (comaschi erano gli uffici prefettizi che stilarono i documenti), o di abete bianco secondo quella del luogo di provenienza, la Valtellina. 145 Nel 1840 erano diverse le ditte interessate alla flottazione: la Lorenzo Brunoli di Morbegno, la ditta Giovanni Antonio del fu Giuseppe Vitali di Bellano, la ditta Domenico Regazzoni e Lorenzo Brunoli. 1838, 29 marzo, Sondrio: viene diramato un avviso a stampa sulla flottazione richiesta da Lorenzo Brunoli per 6350 spazza di legna da fuoco miste di faggio, rovere, betulla, peccia e larice acquistati da privati di Val Masino; 3249 piante di peccia e larice dal bosco di Pioda (taglio acquistato dal comune di Cercino) dalle cui piante sarebbero “sortite n.º 4170 borre, 2800 poncette, 3500 mancanti e spazza 278 legna da fuoco”. 1841, 20 febbraio, l’I. R. Ufficio delle Pubbliche Costruzioni ammette che Francesco Lampugnani faccia flottare legname lungo il corso dell’Adda fino al Lago di Como sulle sponde di Gera, Vercana e Domaso, dietro la garanzia prestata da Francesco Miglio per L. 15.000 (10 febbraio 1841), “con obbligo espresso che durante la flottazione del legname sul tratto del Passo d’Adda, ove esiste il porto volante, il ponte di legno e le barche sostenenti il cordone di ritegno del porto stesso debba mantenere a di lui carico un sufficiente numero di uomini di effetto di tenere allontanati dal porto stesso, dal ponte e dalle barche i legnami flottanti [...] non minori precauzioni dovrà avere nel tragitto del Passo d’Adda e Vercana, ove l’acqua del lago tocca i muri, affinchè i legni fluttuanti non abbian ad urtare contro i muri della nuova Strada Regina”. Inoltre per mantenere attiva la navigazione “dovrassi a carico del sig. Lampugnani costruirsi due spiche situate in modo che per la larghezza di metri 30 non abbia a pescare legname alcuno, e che la mezzaria di detto spazio sia il filone del fiume. / Tali spiche saranno costruite con grosse borre unite fra loro con catene di ferro ferme in occhioli simili affrancati nelle teste delle borre medesime”. Il carico di legname consistente in 12.000 borre, 1000 mezzanelloni, 2000 tondoni, 3000 poncette, 7000 mancanti, 4000 spazza di legna da fuoco era stato acquistato con l’asta del 17 luglio 1839 a seguito del taglio di “n.º 9760 piante resinose d’alto fusto e delle legne morte esistenti nei lotti I, II, III, IV in Valdisotto”. La partita di legname si sarebbe raccolta sulle rive dell’Alto Lario nel maggio 1841, ma “il decimo del legname d’opera” si sarebbe “accatastato sui ghiarili dell’Adda in vicinanza del ponte comunale di Grossotto dove verrebbe estratto per esser lavorato su quelle seghe”. 1838, 4 aprile, Sondrio, il consigliere di governo ed imperial regio delegato provinciale di Sondrio, Berchet, e il segretario, A. Sertoli, firmano l’avviso a stampa che segnala la richiesta di flottazione di Luigi Maestri delle Fusine lungo il torrente Livrio e il fiume Adda di diverse partite di legname: “I - 6000 borre, 2000 poncette, 300 spazza legna da fuoco, 400 tondoni dal bosco Corna e Dosso della Parada, acquistati dal Comune di Caiolo; II - 900 borre, 400 poncette, 400 tondoni, 1200 mancanti, 300 spazza legna di peccia e faggio e betulla da privati del territorio di Cedrasco; III - 120 borre, 200 spazza di legna da fuoco, 300 poncette, 200 tondoni, 200 mancanti dal bosco Campello del comune di Caiolo che il De Maestri acquistò da Antonio Foianini, agente della ditta Vitali e dell’Era di Bellano”. Il 1º maggio sarebbe iniziata la fluitazione. 1838, 24 aprile, Gravedona, Francesco Lampugnani offre sicurtà di L. 15.000 a Luigi Maestri delle Fusine per i legnami di peccia e larice marcati FL ed S, da raccogliersi al molo di Vercana. 1839, 15 febbraio, Lorenzo Brunolo “per imprevedute circostanze non ha potuto compiere lo scorso anno la condotta pel fiume Bitto”, la dovrà ultimare nella primavera del 1839 “facendola proseguire anche pel fiume Adda”. 1839, 30 marzo, Francesco Lampugnani di Domaso offre L. 15.000 di "sicurtà" a Lorenzo Brunoli. 1839, 4 maggio, “obbligo di tenere il legname legato in zattere, anche riguardo alla natura della località” insieme a quello di lasciar libero per la navigazione un canale nell’Adda. 1841, 24 marzo, Giuseppe Cusi, ingegnere capo dell’I. R. Ufficio Provinciale delle Pubbliche Costruzioni, all’I. R. Delegazione Provinciale “All’oggetto di tutelare l’interesse erariale e garantire la Pubblica Amministrazione dai danni che potrebbero derivare alla Regia Strada di Domaso, recentemente costruita, a motivo della flottazione[...]” il 17 marzo 1841 sottoscrisse la sopra riportata “Descrizione[...] del Porto volante sull’Adda [...] dei muri fronteggianti il Lago fino al Molo di Vercana presso Domaso” in previsione della flottazione di legname richiesta da Francesco Lampugnani di Domaso. 1839, 14 maggio, la marca di contrassegno per il legname Lampugnani è O.L. 1840, 8 luglio, l’ing. Galimberti dell’I. R. Ufficio delle Pubbliche Costruzioni attesta che Lorenzo Brunoli non ha esaurito il carico con la flottazione del 1840, che dovrà completarsi nel 1841. Evidentemente il periodo primaverile metteva d’accordo due esigenze: quella del taglio del bosco da effettuarsi a fine inverno, col disgelo, e quella connessa e conseguente di sfruttare la massa d’acqua di torrenti e fiume in piena. Di qui il rinvio alla successiva stagione primaverile. 1841, 9 aprile, Francesco Miglio fu Antonio di Domaso offre 15.000 lire a favore di Francesco Lampugnani a garanzia dai rischi di danneggiamento prodotti dalla flottazione. 146 Il Lampugnani “sarà in dovere di costruire una diga di barche unite con cattena nei suoi estremi al ponte mobile sull’Adda sulla destra fino all’incontro dello scoglio sporgente nell’Adda stessa per la fuga di metri cinquanta; altra diga sulla sinistra dall’estremità del ponte mobile sino alla distanza di metri duecento cinquanta e di lì fino all’incontro della sponda dell’Adda sul Piano di Spagna. Simile diga di legnami bene uniti con catena lungo i muri tutti delle sponde del Passo d’Adda sino al cavo (?) termine verso Sorico”. nell’ascendere il suddetto tratto di fiume per deviare il legname deferente, con infrangimento di remi, ramponi, e danno notabile alle loro barche coll’urto del legname che viene incontro[...]”. 1841, 22 maggio, Domaso. Francesco Lampugnani chiede all’I. R. Delegazione Provinciale “avendo fatto acquisto da Lorenzo Brunoli di Morbegno di una partita di legna da fuoco, borre, tondoni, poncette e mancanti”, segnata con marchio O, provenienti dai boschi del Distretto di Bormio nel comune di Valdisotto, quota per la quale il Brunolo aveva già ottenuto il diritto di flottazione, che sia unita alla flottazione da lui richiesta per legnami segnati con marchio D, tronchi di peccia e larice della Valle del Magrino. Il Lampugnani aveva offerto “sigurtà solidale” di L. 15.000 a favore del Brunoli il 18 marzo 1841. 1842, 3 giugno, l’ingegnere in capo dell’Ufficio delle Pubbliche Costruzioni, Giuseppe Cusi, rassegna all’I. R. Delegazione Provinciale il processo verbale delle opere da eseguirsi a difesa delle sponde, datata 21 maggio, che corrisponde a quanto verrà nei successivi anni ribadito, disponendo qui di un articolo sulla pesca: “In quanto alla pesca non essendovi alcuno, che possa vantare diritto, non essendovi vietato dai regolamenti di fluttuare legnami per laghi o fiumi nei quali altri abbiano diritto di pesca, sarà quindi da restituirsi ai reclamanti le loro istanze”. 1842, 21 marzo Lorenzo Brunoli e Domenico Regazzoni chiedono autorizzazione alla condotta di legna acquistata nei comuni di Grosio, Grossotto e Mazzo in Valtellina da condurre per flottazione attraverso l’Adda fino ai comuni di Gera, Sorico, Vercana, Domaso. 1842, 3 giugno, da Como Serafino Botta, appaltatore del Porto Volante “in vicinanza di Sorico” sull’Adda, ribadiva e precisava all’I. R. Delegazione Provinciale le rimostranze per danni presentate il 5 aprile, perché non gli era stata data alcuna soddisfazione. Il Botta pagava all’Erario un annuo canone di L. 884, oltre un versamento cauzionale di L. 4396 alla Cassa Finanze di Como. Si sentiva perciò in diritto di così denunciare: “ [...] col giorno 24 p. p. maggio incominciarono [...] sull’Adda delle grosse condotte di legna e travi, quali continuano tuttora giornalmente, e finiranno non si sa quando [...]. Da più di un mese e mezzo [...] il lucro cessato all’esercizio non è già lieve [...] poiché [...] nel tempo della maggior flottazione si impedisce fin anche di poter colla barca apposita di ragione dell’Erario [...] traghettare dall’una all’altra sponda i viandanti, mentre vi è pericolo che qualche grossa trave abbia a spezzare il batello, e gettare così nell’Adda chi vi è dentro. Non potendosi quindi traghettare non si può nemmeno esigere il diritto di porto [...] il ponte volante (quale serve solo per traghettare le carozze, carri ecc.) a motivo che devesi urtare nei travi che corrono in gran carriera nel fiume, riesce più pesante e più difficile a condurlo dall’una all’altra sponda, e si ritarda di molto la corsa, per cui oltre al ritardo, vi è bisogno di maggior opera per menarlo. Nè qui consiste tutto il danno che ne deriva all’appaltatore, mentre i forestieri e viandanti che dovrebbero passare 1842, 25 aprile il deputato Curti e l’agente comunale A. Vanoni di Sorico prospettano all’I. R. Delegazione Provinciale il rischio di danneggiamento da flottazione di legname del “fondo cosidetto Alluvione” di proprietà comunale. 1842, 21 marzo, l’ing. Giuseppe Cusi delle Pubbliche Costruzioni assicura che “si riserva di prefiggere alla ditta” le opere di difesa “al R. Ponte esistente sull’Adda, sotto la Strada Militare per Chiavenna [...] alle sponde arpinate [...] al porto volante e ponte imbarcatore al Passo d’Adda [...] alla R. Strada per Domaso presso Vercana”. 1842, 13 aprile, i barcaioli di Gera28 protestano contro la ditta Brunoli e Regazzoni. Sono Giuseppe Nava proprietario di due barche, Benedetto Buzzi Franzoso, Pietro Buzzi Franzoso, Carlo Buzzi Franzoso di Alessandro, Giovanni Balzaretti, Giuseppe Panizzera fu Antonio che firma a nome di Battista Conti Zanetti, analfabeta. Essi affermano: “[...] colle condotte di legnami provenienti in flottazione dalla Valtellina incagliano, e ritardano il tragitto d’ogni specie di merci sì nazionali che estere che provengono in spedizione e che dagli infrascritti vengono tragittate colle barche loro sul fiume Adda da Gera alle foci del Lago di Mezzola, per cui i supplicanti assai travagliati nel loro esercizio, dovendo impiegare maggior numero d’uomini per ogni barca loro _____________________________ 28) Mancano notizie più precise, ma si ha l’impressione che, forse anche a seguito delle alluvioni tra Sei e Settecento, il mestiere di barcaiolo-traghettatore si fosse concentrato a Gera, mentre più anticamente è documentato in Sorico: cfr. l’ Ordinanza di Como contro i barcaioli di Sorico, 28 gennaio 1465, per limitare il carico dei loro trasporti “dal porto di Riva di Mezzola per Olonio e Rezzonico”, a tutela dalle numerose disgrazie allora registrate, M. FATTARELLI, La sepolta Olonio, cit., p. 490. 147 1843, 26 maggio, la ditta deposita il marchio di riconoscimento dei legnami provenienti “dalle Comuni sociali di Bormio” consistenti, come recita l’avviso a stampa del 19 febbraio 1843, in 14500 borre non superiori a 12 once milanesi di diametro, 2300 tondoni non più lunghi di braccia 8 e mezzo, 7500 mancanti, 5800 spazza di legna da ardere acquistate a Sondalo, a Colorina, dal beneficio di S. Benigno e dalla chiesa di Sacco, oltre che da privati di Bormio. pel detto porto, ora sapendo che si va a rischio di pericolare passando pel detto passo, e che ad ogni modo avviene noioso ritardo nel traghettare una piccola fiata29 di fiume, voltano strada e per tutt’altra via fanno i lor viaggi, massime che in questo momento si sarebbe potuto ottenere molto introito per commercio della foglia di gelso, e pel bestiame che gira in quei siti”. Ai primi di giugno iniziava, ed ancora inizia infatti, la transumanza dei bovini all’alpe. Il reclamante concludeva esclamando che “non è a credersi che la legge per favorire i privati vorrà danneggiare un esercizio erariale”. 1844, 3 giugno, Sorico. Battista Alietti e Bernardo Copes, fabbricieri della parrocchiale di Sorico, con riferimento agli eventi del 1843, denunciano “che la flottazione così irregolare come la si fa, urtando di continuo sui labbri dei fondi confinanti all’Adda, di continuo smuove il terreno, e questo cadde nelle acque: prova ne fa l’immensa quantità di sabbia deposta avanti le comuni di Sorico e Gera e in sì poco tempo”; il risultato è che i fondi lungo l’Adda di proprietà della chiesa di Sorico sono stati erosi al punto che “mancano di molto della loro misura censuaria”. Inutile risultava a quel punto fare rilevazioni per le misure, ma negli anni successivi ci si premurò di richiedere misurazioni prima e dopo le flottazioni. Vane per quell’anno risultarono le richieste di risarcimento, tanto per Gera, quanto per Sorico. 1842, 29 luglio, l’Ufficio provinciale delle Pubbliche Costruzioni in Como presenta all’I. R. Delegazione Provinciale le rimostranze della Fabbriceria di Sorico, danneggiata sui fondi del perticato di pertiche 69.5, e dell’appaltatore del Porto Volante al Passo d’Adda, Serafino Botta, contro la ditta Brunoli e Regazzoni. 1843, 6 aprile, Domaso. Processo verbale di visita dell’ingegnere capo Domenico Lampugnani: “[...] le sponde dell’Adda superiore al Passo d’Adda sono nella parte sinistra molto in corrosione [...] la flottazione potrebbe aumentarla [...] si porranno dei picchetti in concorso delle parti interessate [...] le due tratte di ponte imbarcatore di ragione del Regio Erario devono essere difese da una serie di colonne infisse nel fiume d’ambo le sponde, a cui si attaccheranno due spiche di borre galleggianti onde le borre in flottazione non vengano ad urtare le stillate dei due tronchi di ponte imbarcatore. Il Porto Volante con catenone ed annessi, trovandosi in perfetto stato di servizio, dovrà lo stesso Porto continuare ad agire nel traghettare pel comodo servizio de’ passeggeri anche durante la flottazione, per cui di giorno dovranno stanziare continuamente quattro giornalieri detti borrelai, che armati di piche allontanino continuamente dalle barche costituenti il Porto le borre fluttuanti. Durante la notte poi dovrà il Porto rimanere fermo alla sponda destra difeso dall’urto delle borre fluttuanti da doppio ordine di spiche galleggainti” e si doveva lasciare aperto un canale navigabile di 30 metri. Sottoscriveva l’atto l’ingegnere capo Giuseppe Cusi. Nell’istanza presentata il 5 ottobre 1844 dal procuratore della ditta Lorenzo Brunoli, si dichiarava che il legname sarebbe giunto per flottazione dalla Provincia di Sondrio attraverso “la Valle Roasco e per Fiume Adda” - “ora accatastati allo sbocco del Roasco nell’Adda sotto Grosotto”- e si chiedeva che “il legname giunto al lago possa venire asciugato ed accatastato in foce parte lungo le rive del lago a Vercana ed a Domaso in luogo opportuno, ed innocuo, riservandosi la ditta d’accatastare la rimanenza nella solita prateria”. 1844, 6 novembre, è datato un avviso a stampa dell’I. R. Delegazione Provinciale di Como, firmato dal vicedelegato Klobus e dall’I. R. Segretario Zucchi, esposto in diversi comuni lariani, fra i quali Domaso, Gera, Sorico, Vercana, Gravedona, Livo, Peglio. Si avvertiva che la ditta Domenico Regazzoni e Lorenzo Brunoli richiedeva il permesso di flottazione sull’Adda e nel Lario per “Borre n. 13000 circa - Tondoni n. 2000 - Poncette n. 4000 - Mancanti n. 5000 e legna da fuoco Spazza n. 7000 circa portanti la marca I> R. Z I: tali legnami provenienti dal fiume Adda dovranno essere raccolti sulle sponde del Lago di Como entro il giorno 30 aprile 1845 termine di rigore. Le Deputazioni Comunali ed i possessori dei terreni ed edifici, i quali si credessero esposti al pericolo di danni [...] produrranno [...] le loro motivate rimostranze [...] per gli opportuni provvedimenti a norma del decreto 24 novembre 1810”. 1843, 20 aprile, decreto prefettizio di concessione del diritto di flottazione, vista la garanzia di L. 15.000 prestate dalla ditta Giuseppe e fratelli Lampugnani “possidenti e commercianti in Milano e Domaso” a favore di Francesco Lampugnani per il risarcimento di danni al pubblico e ai privati. permesso di flottazione sull’Adda comasco, che la Prefettura di Sondrio aveva appena accordato per il ben più lungo tratto valtellinese. 1844, 1º dicembre, Sorico. L’ing. Rospini “si è presentato quest’oggi a Sorico in concorso del sig. Lorenzo Brunoli onde rilevare le cose di fatto e prescrivere le opere necessarie per ovviare ai danni che potessero essere causati dalla flottazione [...] ai fondi di ragione del sig. Tomaso Caprile”. Si arrivò ad una transazione sottoscritta da Carlo Sambuga fu Carlo di Gera a nome del Caprile, analfabeta. Anche il proprietario Cesare Traversa Montani ottenne in via amichevole il pagamento delle spese di riparazione dall’impresario Brunoli. Nella stessa data l’ing. Leopoldo Rospini indica e impone al Brunoli “i ripari da eseguirsi per [...] due tratti di ponte stabile imbarcatore e che consistono in due spiche da formarsi una per la sponda sinistra sempre nell’alveo del fiume Adda superiormente a detti ponti e disposti in modo che il loro estremo inferiore si trovi distante dalla sponda abbastanza per servire di riparo ad ambedue le tratte di ponte stabile imbarcatore in tutte le rispettive loro lunghezze. La spica da costruirsi alla sponda destra [...] sarà di lunghezza m 45 e quella alla sponda sinistra m 120”. 1844, 3 dicembre, fra le clausole di concessione alla flottazione si precisa “che pel commodo della navigazione debbasi lasciare aperto e libero alla foce del fiume Adda un canale navigabile largo non meno di metri 30, difeso da spiche onde le barche possano dal lago entrare nell’Adda avvertendo che la ditta suddetta per qualunque trascuratezza a questa prescrizione ne avvenisse danno alle barche sarà responsabile delle conseguenze”. 1845, 2 gennaio. A Gravedona il Commissario Distrettuale riceve le rimostranze dei barcaioli di Gera, che, dotati di “barca così detta navetta pel tragitto delle merci sull’Adda sino al Lago di Mezzola”, sono impediti nel loro lavoro dal legname flottante30. I timori non erano infondati. così infatti leggiamo dal resoconto di una ispezione del 9 gennaio 1845: “[...] dal luogo detto delle Cinque case fino al porto comunale di Gera, e quindi per il tratto di un miglio e mezzo circa, [...] è la spiaggia del lago fiancheggiante la strada da Domaso al Passo ingombra totalmente da una selva di così dette borre legate a forma di zattera, ed occupanti uno spazio di circa 30 metri, che vi è impossibile qualunque approdo di barche, non potendosi avvicinare alla riva nemmeno col soccorso di una gomarca [o zomarca] e tal circostanza potrebbe produrre gravi inconvenienti di sommersione di barche e di naufragi per il caso di qualche intemperie di lago. Vi ha però un piccolo spazio libero in essa spiaggia al luogo precisamente fronteggiante la parrocchiale di Gera, ma la tratta dal principio dell’ingombro della spiaggia a questo seno è talmente lunga che sarebbe impossibile l’approfittare di esso, quando una barca fosse nello spazio tra le Cinque case e la chiesa parrocchiale suddetta. Il porto di Gera che solitamente si adoperava dai boscaiuoli di quel comune, per approdare le barche mercantili [...] è totalmente dimesso e ingombro di borre galleggianti: venne bensì preparato uno spazio sufficientemente largo”. Persisteva tuttavia il pericolo per le barche e le loro merci che transitavano in mezzo ai tronchi galleggianti. “Progredì la mia ispezione più oltre il Passo d’Adda, ed all’imboccatura del lago di Mezzola, dove l’Adda viene a congiungersi con esso lago, la flottazione dei legnami è più veemente e continuata a motivo della maggior velocità della corrente. 1844, 2 dicembre, Como. Un funzionario dell’I. R. Ufficio Provinciale delle Pubbliche Costruzioni scrive: “[...] l’ing. praticante sig. Rospini si è recato lungo il fiume Adda dal Passo di Sorico al Lago di Como onde proporre quelle opere di riparo che potessero occorrere per ovviare ai danni terribili in causa della flottazione di legnami di ragione della ditta Brunoli e Regazzoni ed a cui hanno relazione le istanze [...] il sig. Brunati rappresentante della ditta [...] che interviene alla visita ha combinato le cose amichevolmente coi reclamanti Tommaso Caprile, Cesare Traversa Montani, Fabbriceria di Sorico ed il Portulano del porto volante al Passo d’Adda di Sorico, avendo pagato a cadauno dei medesimi la somma corrispondente all’imposta delle diverse spese necessarie per l’esecuzione dei singoli ripari onde ovviare ai temibili danni, comprendendo puranche nelle somme pagate le spese da sostenersi per risarcimento dei guasti che potessero verificarsi [...] In quanto poi al reclamo dell’appaltatore Clemente Caminada manutentore della Regia Strada da Domaso al passo d’Adda venne prescritto [...] al sig. Brunoli la necessaria opera di difesa alla suddetta strada nella tratta in cui trovasi esposta agli urti del legname della flottazione, che il sig. Brunoli promise di eseguire tosto unitamente a quelli prescritti da farsi [...] onde evitare possibilmente i danni temibili alle stillate dei ponti stabili imbarcatori al porto volante del Passo d’Adda [...] che venne mantenuto in via economica dall’Intendenza di Finanza”. Veniva di conseguenza rilasciato dalla Prefettura di Como il _____________________________ 29) Il vocabolo “fiata” sembra usato impropriamente in quanto riveste significato di tempo (circostanza, momento, volta), mentre qui ha valore di luogo, nel senso di “breve tratto”. _____________________________ 30) Si trattava dei barcaioli Pietro Buzzi Franzoso, Francesco Prata Pizzala, Benedetto Buzzi Franzoso, Carlo Buzzi Franzoso, Giovan Battista Conti Zanetti, Giuseppe Nava, Giuseppe Mangarella, Giuseppe Panizzera, Gaetano Giulini. 148 149 Rimarcai che le barche partendo dal Lago di Mezzola per entrare nell’Adda devono subire una crisi che si rende molto più difficile coll’attuale flottazione. Il fiume taglia direttamente e con tutta forza l’alveo del Lago e va a battere contro una rupe scoscesa e senza alcuna spiaggia, quindi le barche entrando nell’Adda risentono della velocità della corrente, e vengono trascinate verso la rupe, superando a fatica questo difficile passaggio. Viddi una barca carica di mercanzia che in quel passaggio essendo stata impigliata da alcuni legnami flottanti dovette la sua sicurezza agli sforzi del suo equipaggio. Anche il porto di transito esistente al passo d’Adda, lo viddi accresciuto di buon numero di giornalieri per difendere il ponte dagli urti della flottazione. Del resto tutto questo tratto di lago e fiume non ha nemmeno un punto di libera navigazione, essendo tutto l’alveo ingombro di legnami sieno flottanti, sieno assembrati irregolarmente ed a seconda della maggior o minor altezza dell’acqua che ne aiuti o ne impedisca la flottazione stessa[...]”. le 1845. L’avviso fu affisso nella piazza di Sorico. Subito scattò un certo allarme nei fabbricieri Giovan Battista Alietti e Bernardo Copes di Sorico che si rivolsero all’I. R. Commissario denunciando che “la Chiesa [...] possiede dei terreni lungo il detto fiume e sulla immediata sponda di esso nei luoghi detti La Poncetta e Nigolo esposti ad essere danneggiati pel continuo urtare dei detti legnami, massimamente che sono sciolti, e specialmente in tempo di pioggia per l’altezza delle acque, o cacciati dai venti alle sponde di esso terreno. Perché la Chiesa sia reintegrata dei danni, si prega che la ditta Lampugnani a sue spese faccia misurare i terreni, prima e dopo la flottazione, esposti ai danni, per quindi farne giudizio; o si abbia prima addivenire ad una transazione verosimilmente giusta" (Sorico, 14 aprile 1845). Le piante che Francesco Lampugnani doveva far flottare sull’Adda provenivano da Sondalo, Colorina, dal beneficio di S. Benigno, dalla chiesa di Sacco, da privati di Bormio ed erano marcate LOV. Si trattava di 14.500 borre “non eccedenti il diametro di once 12 milanesi”; 2300 “tondoni[...] non eccedenti la lunghezza di braccia 8”; 7500 “mancanti”; 5800 “spazza” di legna da fuoco. La domanda di autorizzazione è datata 20 dicembre 1842, con la previsione di raccogliere il legname tra Gera, Vercana, Domaso e Colico. 1845, 11 maggio, l’ing Cusi allora rassicura: “[...] ho delegato l’ing. Alunno sig. Coduri perché in occasione che trovasi a Sorico pei relativi all’inalveamento dell’Adda portasse le debite ispezioni al danno reclamato [...] esso ingegnere mi rassegnò il processo verbale in data Sorico 7 maggio[...] dal quale emerge come, chiamato sul luogo tanto i fabbricieri della chiesa di Sorico, quanto un rappresentante la ditta Lampugnani [Giovan Battista Lampugnani, figlio del titolare della ditta], siasi di comune accordo convenuto il prezzo di compenso da pagarsi dalla sunnominata ditta, per cui la Fabbriceria dichiarò di nessun valore e come non presentata la propria istanza 14 aprile 1846”. 1845, 28 aprile, ancora la Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Sorico, rappresentata dai fabbricieri Alietti e Spelzini, ha di che lamentarsi contro la contro la flottazione legnami del sig. Francesco Lampugnani. In quell’epoca si lavorava alla deviazione del corso dell’Adda. 1845, 27 marzo, Como. Viene diramato dalla Delegazione Provinciale l’avviso a stampa della richiesta di flottazione presentata da Francesco Lampugnani di Domaso per “Borre n. 6000 - Tondoni n. 800 - Poncette n. 2000 - Mancanti n. 2300 Mezzanelloni n. 100 - e legna da fuoco spazza n. 1000 circa portanti la marca II. V.”, che devono essere raccolti entro il 30 apri- 1845, 9 giugno, Giacinto Ronzoni per conto della ditta Brunolo e Regazzoni chiede il rilascio del deposito di L. 200 effettuato nel 1844 per spese di permesso di flottazione. IL BOSCO MINACCIATO: INCENDI E ABUSI Il tribunale di Como nel trentennio 1832-1862 istruì nei suoi uffici una ventina di pratiche, che avevano come oggetto principale il tema della legna e del bosco nei Comuni di Sorico e Bugiallo. Anche se molte cause si arenarono, e le carte furono presto chiuse e archiviate, la loro lettura ci offre informazioni significative, anche se sporadiche, diversamente forse irrecuperabili, sullo sfruttamento dei boschi e su una vera e propria fame di legna che attanagliava molte famiglie, non meno del bisogno alimentare. Questi documenti non consentono di raccogliere dati misurabili, ma offrono la percezione di un mondo contadino e di una mentalità che in gran parte appartiene al passato, un passato che forse non è molto lontano, perché per alcune manifestazioni si è protratta da quel secolo fin dentro il XX appena concluso. Le denunce riguardano gli incendi, provocati ora dall’erba bruciata per formar concime, ora dal fuoco mal controllato dai carbonai provenienti dalla Valsassina, gli utilizzi impropri dell’ Alpe di Pescedo e di Godone, i furti di legna talora reiterati anche per semplici pezzi di corteccia da bruciare, le truffe nel commercio di legname, i danni a cose perpetrati spesso per vendetta: meno numerosi, ma pur sempre significativi perché andavano a colpire interessi economici, i danni alle piante di gelso, rispetto a quelli inflitti alle viti. il compito di vigilare sulla carbonaia, allo scoppio dell’incendio, fuggì terrorizzato; suo fratello Carlo Antonio,invece, “con quattro lavoranti si affaticava indarno... e gridava aiuto”. L’accusa chiese la condanna penale e i danni per 2.000 lire. Il giudizio fu meno duro: si stimò il danno dell’entità di 1.600 lire e non si incarcerò nessuno ritenendo l’incendio effetto di “pura fatale accidentalità”, con l’aggravante del vento. Il tribunale di Como, il 14 maggio 1832, disponeva di “cessare dalle ulteriori investigazioni contro i fratelli Muttoni... non concorrendo nel fatto gli estremi del delitto”33. Il 4 febbraio 1833 viene denunciato a carico di ignoti l’incendio di un bosco di Giacinto Dubini avvenuto in gennaio nell’Alpe Pescedo in territorio di Bugiallo, con un danno di L. 130. “... all’oggetto che l’erba crescesse maggiormente, siccome l’arte del buon agricoltore insegna, vennero abbruciate l’erbe secche affinchè fatte ceneri servissero di poi letame al primo cader della pioggia, ma... pella imprudenza o malizia di chi lo accese scappò il fuoco ed incendiò il bosco vicino” facendo cadere il sospetto su Carlo Enni, che non avvertì le guardie di prevenzione, come avrebbe dovuto. L’Enni venne però scagionato “non essendo stato dato il fuoco per incendiare l’altrui proprietà”34. Nel 1836 un furto di legna fu perpetrato da Giacomo Sciaini detto Motella o Mottarella e da Giovan Battista Cerfoglio detto Poliant a danno di Giacomo Gianera. Giacomo Sciaini di 40 anni fu interrogato il 24 luglio 1835, per “trufferia e furti legna commessi... in Isola e Samolaco... per truffa di una pianta di castano commessa nel 1831 a danno di Giuseppe Vanoni d’Isola” fu condannato a un anno di carcere duro. Il 19 febbraio 1836, detenuto, fu dimesso dall’Ospedale di Como, dov’era stato ricoverato in grave pericolo il 18 gennaio 1836 per ernia scrotale. G.B. Cerfoglio,contadino di Bugiallo di 57 anni, vedovo con figli, fu interrogato il 14 luglio e i 26 dicembre 1835 e fu condannato alla restituzione della legna e ad un anno di carcere duro nell’ergastolo di Mantova. Lo Sciaini aveva un precedente per truffa: aveva venduto due volte gli stessi appezzamenti detti Semolaco e Vigazzolo (“in Vigazolo ove si dice al Marsetto”), prima a Giacomo Andreoli, poi a Giacomo Cerfoglio, che, accortosi di non potere entrare in Antonio Borzo con diversi proprietari di boschi denunciò per incendio Giuseppe Muttoni. Il 21 marzo 1832 “verso le ore 20, stile italiano, scoppiò nel bosco e selva appellato Rovarina in territorio di Albonico di ragione della vedova Ermanni, e di altro comproprietario, un incendio tale, che” - anche per il vento - “in pochi momenti si estese e dilatò... per lo spazio di circa tre miglia in giro”. “Anche il paese di Albonico sarebbe rimasto preda delle fiamme se la mobilitazione delle persone occorse non vi avesse con impareggiabile attività opposto insormontabili ostacoli. Disse che quell’incendio procedeva dalla trascurata custodia di una carbonaia, appellata volgarmente pojatto31, che anche senza la prescritta licenza avevano eretto ed accesa in quegli spazi Carlo Antonio, Giuseppe e Pietro fratelli Muttoni di Casargo nella Valsassina32 e da qualche anno abitanti in Albonico per esercitare la loro professione di carbonai”. Giuseppe Muttoni, che aveva _____________________________ 31) “Pojatt, carbonara”, F. CHERUBINI, Vocabolario Milanese-Italiano, Milano 1841, ad vocem. 32) Nel 1835 è attestato un Regazzoni di Casargo carbonaio, ASCo, Triunale Preunitario, fascicoli penali, Serie ID, cart. 91, fasc. 1800. 33) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D 1, cart. 31, fasc. 106. 34) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 45, fasc. 521. 150 151 possesso di quanto contrattato, denunciò lo Sciaini alla Pretura di Chiavenna (4 febbraio 1824). Il 23 giugno 1824 lo Sciaini fu interrogato dal pretore di Chiavenna in merito al contratto da lui firmato il 30 gennaio 1824. In qualità di tutore delle figlie minorenni del fu Giovanni Antonio Andreoli, Giacomo Andreoli denunciò lo Sciani l’11 febbraio 1824, scoprendo che le terre appena acquistate il 30 gennaio erano intestate a Giacomo Cerfoglio. Il pretore di Chiavenna il 28 giugno 1824 interrogò il locandiere Lorenzo Raviscione, nato ed abitante ad Isola in Val San Giacomo, di 47 anni. Nel suo locale sentì parlare di un affare lo Sciani con l’Andreoli, Giovan Antonio Paggi e Giacomo Cerfoglio. “Ho sentito - depose - che lo Sciaini è homo mancator di parola, cioè gli piace di offrire delle cose in vendita a due distinte persone, di assicurarne la vendita, e di rilasciarle a quell’acquirente che più gli aggrada. Rilevai... siffatta nozione specialmente in contratti di legnami”. Giacomo Sciani, domiciliato a Bugiallo, vi fu invano ricercato. Fu trovato a Isola in Val San Giacomo, dove attendeva alla custodia delle bestie, e arrestato il 9 luglio 1824. La segnalazione sul suo conto suonava così: “Giacomo fu Guglielmo Sciani di 26 anni, ammogliato con prole, nato a Bugiallo, di condizione contadino” è descritto come uomo dai “capelli neri, fronte spaziosa, ciglia e sopracciglia ed occhi castani, naso regolare, bocca piccola, mento tondo, viso oblungo, barba castana, di buon colore, e veste alla villica”. Fu anche interrogato, lo stesso giorno, Giovanni Antonio del fu Giacinto Paggio, di 62 anni, “cursore” [messo] comunale di Isola ed agricoltore, nato ed abitante a Isola. Egli dichiarò di essersi trovato nell’osteria del Raviscione quando lo Sciaini trattava la vendita di terreni in Samolaco. Fu quindi interrogato, sempre il 28 giugno, Giacomo Cerfoglio,di 32 anni, nato ed abitante a Isola, contadino possidente, acquirente di due terreni silvati “alla Valle” e “al Marsetto” in Samolaco. Da questa prima imputazione di truffa, nel 1824, non è chiaro come ne uscisse lo Sciani, ma nel 1836 certamente scontò il precedente35. Sorico - considerato forestiero a Bugiallo - il deputato amministrativo di Bugiallo Gaetano Colombini del fu Giuseppe e di Caterina Borzo, di 36 anni, sposato con figli, contadino possidente. Il 30 giugno 1834 il Colombini costrinse il Villa a ritirarsi da un’asta di immobili che si stava tenendo nella piazza di Bugiallo a cura dell’esattore comunale Giuseppe Aggio. L’accusato aveva ottenuto il sostegno dell’altro deputato Giovanni Antonio Andreoli, in odio di alcuni debitori morosi al pagamento delle imposizioni prediali. Il Colombini asseriva infatti che “li forestieri non potevano aspirare all’asta di tali fondi se non previo deposito o garanzia pel pagamento degli annuali carichi prediali, ed adducendone per motivo che i forestieri avevano per costume di far tali acquisti, spogliare il fondo delle piante, e così depauperato abbandonarlo alla Comune che addossar si doveva la rivendita e pesi inerenti”. Tutti i presenti all’asta sembra concordassero con la versione del deputato amministrativo. L’aspirante acquirente Villa contestava quella versione dimostrando che ben diversamente si era comportato con i fondi già acquisiti. Nel deposizione alla Pretura di Chiavenna il 22 luglio, il Colombini ribadiva la sua posizione tenuta nel pubblico interesse, accusando i forestieri di spogliare i terreni silvati e boschivi. In luglio la Pretura di Gravedona convoca il Colombini, che risulta però non reperibile in quanto già trasferitosi in Val San Giacomo da dove “non rimpatrierà che nel settembre prosimo futuro”. Lo stesso giorno in Gravedona si presenta il Villa, che non è il solito contadino: è un vedovo, dell’età d’anni 80 circa, possidente nei comuni di Sorico, Bugiallo e Gera, che ribalta con una querela (5 luglio 1834) l’accusa rivolta ai “forestieri” di trasformare “in un zerbo” i boschi: “... Anch’io già da cinque anni ebbi ad acquistare alle pubbliche aste in Bugiallo appunto di quei fondi stati spogliati, ed abbandonati dagli abitanti di Bugiallo, cioè li fondi ubicati in mappa al n.º 2 sub 6 e 7 e che io ho sempre pagato le taglie... la mia opera ha sempre atteso a migliorare con nuove piantaggioni le condizioni dei fondi”. Con il trasferimento dell’incartamento a Como, la pratica si chiude37. Miro Sciaini di Albonico subì un furto di foglie di gelso e il danno di piante tagliate nella notte tra il 17 e il 18 maggio 1830. Ne accusò il fratello Tommaso abitante a Verceia, sospettato di vendetta per motivi di eredità. Il tribunale desistette per mancanza di estremi del delitto (28 settembre 1830)36. Nel 1835 Giovanni Antonio e Giuseppe Andreoli di Bugiallo subirono un furto di legna con un danno “superiore ai 25 fiorini”. Si incolparono i fratelli Cristoforo e Giuseppe Curti e Giacomo Colombini di Sirana, a carico dei quali il 31 dicembre 1835 si elevano contravvenzioni civili38. Si accusa di abuso di potere a danno di Carl’Antonio Villa di _____________________________ 35) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 6, fasc. 562. 36) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 7, fasc. 941. 37) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 82, fasc. 1505. 38) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart., 91, fasc. 1789. 152 Il 10 aprile 1835 un incendio devastò un terreno boschivo di Gaetano Colombini in territorio di Albonico, procurando un danno stimato 20.000 lire. Martino Spelzini raccolse le testimonianze di Giuseppe Silvani (12 aprile) e di un Erman (15 aprile). Carlo Sambuga, agente comunale di Sorico, e Giovanni Biocca, cursore di Bugiallo, denunciarono Giovanni Rossotti detto Vegett di Albonico e Giuseppe Raviscioni detto De Battista di Selva, avendo appurato, il 13 aprile, che i due, mentre si trovavano nel luogo detto Ai Sassi di Poncio39 per lavorare, accesero il fuoco, onde cuocere la polenta, ma a cagione del vento, che quei giorni soffiava gagliardo, si appiccò ad altre materie combustibili. Non potendo questi contadini spegnere il fuoco, che già si era grandemente esteso, fuggirono e si portarono in Samolaco, luogo di là lontano un’ora di viaggio, in cui vuolsi, che poi facessero la polenta. Interrogati, i sospettati si diedero per ignari degli autori dell’incendio, riconoscendo solo di essersi accorti delle fiamme “quando l’incendio si avvicinò, trovandosi in una valle sotto Zerta40, a tagliar legna in un bosco di ragione del Rossotti stesso, al luogo ove dicesi alla Rosura41, allorchè l’incendio si era già dilatato oltre un miglio”. Malgrado venissero riconosciuti responsabili per mancanza di una conveniente cautela nell’usare del fuoco, tuttavia, siccome ebbero danneggiati i loro stessi terreni, non si procedette penalmente contro di loro42. Lo Spelzini aveva dei precedenti giudiziari: nel giugno 1830 gli fu elevata una contravvenzione boschiva di L. 100 per taglio di legna all’Alpe Godone a danno del Comune di Bugiallo, preferì non pagare scontando due giorni di carcere. Fu archiviata senza esito il 17 gennaio 1832 l’accusa di lesioni ai danni dei figli di Giovanni Antonio Cerfoglio; ancora la scampò per un cavillo (mancanza di regolare istanza) dall’accusa di insulti minacce e “scagliamento di sassi” contro Giovanni Cerfoglio di Giovanni Battista. Nel 1836 (14 marzo) il deputato politico di Bugiallo, Rasero, lo giudicava “uomo baldanzoso e irrequieto”43. Nel 1838 Guglielmo Fazzini di Bugiallo si era impegnato a consegnare 40 moggia di carbone dolce in due rate uguali, ma a Gera alla sciostra del Nava, dove il carbone alla riva del lago veniva pesato, Giuseppe Nava di Germasino che teneva la pesa imbrogliò le carte mettendo in difficoltà il Fazzini che fu coinvolto in una causa civile, non avendo potuto rispettare l’impegno assunto44. Nell’anno 1837, già debitore verso Giuseppe Aggio Mattone di Gravedona, ragion per cui aveva saggiato la galera, Giovanni Giacomo Andreoli di Bugiallo di 50 anni “era in bisogno di provvedere di sussistenza la propria famiglia” cosicché decise “di vendere a Guglielmo e Giacomo fratelli Borzo detti Minera il proprio bosco a Gramosè45... per L. 263,10 milanesi. Aggio Mattone s’intromette reclamando per sé il bosco con la promessa di somministrare generi alimentari alla famiglia Andreoli, commestibili d’una bottega, si dice negli atti. L’Andreoli però ricevette molto meno di quanto pattuito, solo L. 56 nel 1837; perciò denunciò per truffa il suo creditore. L’affare si complica perché l’Andreoli non intendeva vendere il terreno, ma solo le piante che vi crescevano, eccettuate quelle di castagno e di noce, il che prova quale fosse l’uso delle aree boschive miste di Gremosé dove sono attestate catastalmente zone a pascolo boscato e a ceppo boscato misto. Dalla stima della legna fatta il 14 febbraio 1840 da Giovan Battista Rasero del fu Bartolomeo e da Giovan Giacomo Andreoli risulta che i fratelli Borzo fecero fasci di legna di ontano, betulla, rovere: “legna di onicia fasi 50 / legna di bedole e rovere fasi 15; i fratelli Giossi di Albonico detti Scampoi fecero legna di onica fasi 10; i fratelli Colombo legna di bedola fasi 15, a soldi 10 l’uno”. Di quel bosco erano state perciò tagliate le piante di ontano, A danno di Margherita Tamola di Bugiallo di 47 anni, vedova di Giovanni Antonio Cerfoglio, il 5 aprile 1836 furono tagliate 90 piante di viti fruttifere nel fondo Motto (Mott) di Bugiallo per un danno di L. 12. Il sospetto cadde subito su Alessandro Spelzini detto Giovanolo e Tan, di 41 anni, nato a Isola, che sarebbe stato scagionato per mancanza di prove il 2 dicembre 1836. Lo Spelzini si difese contrattaccando: “È una antica usurpazione che la Tamola mi ha fatto... io pago li pubblici aggravi ed essa gode il frutto”. Non sa nulla di viti tagliate, sa piuttosto di tre castagni tagliati da Gaetano Tamola fratello di Margherita e dal figlio di lei: quella legna è ridotta a “meda”. La controversia sulla proprietà del fondo era stata rimessa alle competenze dell’agrimensore Giovanni Battista Riella (forse lo stesso impegnato nella stesura del Catasto Lombardo Veneto); ma il Riella non pronunciò il suo lodo come arbitro. _____________________________ 39) Sassi di Poncio: il toponimo non è attestato in questa forma nei catasti. Si vedano però: Poncio, località in alpe con proprietà dei Rossotti e dei Raviscioni, e la valle di Poncio. 40) Zerta, probabilmente si tratta di Derta, toponimo attestato nei catasti di Bugiallo. 41) Rosura, toponimo attestato nei catasti, in territorio di Sorico, dove si registrano anche castagneti. 42) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 88, fasc. 1680. 43) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 107. fasc. 2107. Agli atti è allegata una piccola mappa del terreno in oggetto. 44) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 123, fasc. 218. 45) Gremosé negli atti preparatori del Catasto Lombardo Veneto. 153 di betulla e di rovere, e già ridotte parte in legna, parte in carbone e carbonella46. rità giudiziaria si orientò per una contravvenzione escludendo l’arresto dell’imputato48. Nel corso del 1853 si denunciarono vari furti di legname alla segheria di Sorico di cui erano rispettivamente proprietario Giuseppe Villa, affittuario Carlo Pollavini, direttore Giuseppe Alietti. Attiguo alla sega a ripostiglio della legna era destinato “un prato circondato da parte di ponente da uno steccato di cotiche di larice”, distante dal lago trenta passi, da lì il direttore aveva registrato diversi ammanchi di legna, non solo di quella accatastata ma anche dello stesso steccato che era stato parzialmente smontato per “far passare delle borre”, non mancavano testimoni che avevano sorpreso in diversi momenti Giuseppe Nava di Gera che si accostava con la barca, sottraeva qualche pezzo di legno dalla segheria e se ne andava. Anna Spelzini, moglie di Martino Spelzini ricordava di aver visto “il Nava partire dalla sega in ore di primo giorno con due pezze di legna, caricarle nel quatrasso47, fare un giro nel lago, sbarcare alla sua casa e farle in pezzi... Maria Mazzoletti e Giuseppe Cascarini videro più volte il Nava tagliar legno di peccia e di larice. Ma anche col buio agiva il ladro: Giacomo Bacciarelli in una notte dello scorso luglio trovavasi vicino alla sega custodendo delle reti che teneva tese per la pesca, e sentendo del rumore si avvicinò ad un fosso dove vide alla distanza di soli tre passi Giuseppe Nava che aveva posto nel suo quatrasso due cotiche e che ne teneva altre due in terra che collocò anch’esse nella barca e se ne andò; ma il Bacciarelli, lavorante alla segheria, era giudicato un vagabondo e di nessun credito e quindi dubbiose le sue deposizioni. Martino Spelzini nel fine di luglio... due ore prima del giorno, alzatosi per visitare i suoi cavalli che pascolavano in un prato vicino al prato circondato annesso alla sega, vi vide il Nava che toglieva ad una pila tre cotiche caricandosele sulle spalle e prendeva la strada che mette a Gera. Il ladro operava in tutte le stagioni, infatti Felicita Michelini depose che verso sera sul far dell’Ave Maria del primo giorno dell’anno 1851, tornando da Sorico a Gera in compagnia di Anna Spelzini e di Anna Sacchetti, sua sorella aveva visto passare, davanti il prato che serve di recinto alla sega, Giuseppe Nava che toglieva da terra due cotiche e, messele sotto il mantello, costeggiava il prato fino alla strada a pochi passi dalla sua casa. Giuseppe Cascarini confermava di averlo visto più volte ma sempre con pezzi di ben scarso valore, buoni da mettere nel fuoco. Fu per questo che l’auto- Nel 1854 Agostino Paggi di Albonico denunciò Giovanni Borzo e sua moglie Maddalena Colombini per aver tagliato una sua pianta di gelso svellendone pure le radici il giorno successivo, ma i due imputati ribattevano che la pianta era di loro ragione49. Nel 1854 sono denunciato il taglio e furto di una “pianta castanile di grosso fusto” a danno di Margherita Andreoli, imputato Tommaso Borzo. La donna, di 52 anni, vedova con figli, l’11 agosto 1854 coglie sul fatto il Borzo mentre taglia il castagno nella selva di Gremosé (nell’atto è detto Gramosé); l’uomo si giustifica dicendo di lavorare per il commerciante di legna di Dascio, Alessio Crema, al quale la pianta era stata venduta proprio dal figlio della donna, Giovanni Antonio, di 20 anni. La donna in realtà non era contenta del contratto, inferiore alle 100 lire che riteneva di dover incassare50. Nel 1855 Bernardo Silvani di Albonico denunciò per furto di piante per un valore di L. 18 Giuseppe e Maddalena Borzo che furono veduti nel bosco a tagliare legna. Le condizioni in cui si svolsero i fatti non erano chiare, altra gente avrebbe fatto legna nello stesso bosco, per cui il 13 marzo dello stesso anno la Procura di Stato ordinava di desistere nell’accusa ai Borzo51. Maria Andreoli di Bugiallo denunciò i fratelli Giovanni, Lorenzo, Giuseppe e Antonio Borzo di Giovanni per un furto di pali avvenuto nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1860, per un valore di lire 8. Fu subito contestata l’entità del danno, ritenuto gonfiato da quella donna, “dichiarata di poca fede”52. Marianna. La donna aveva cinque figli, era sposata con Lorenzo Morè. I beni di cui si tratta dovevano essere divisi in tre parti uguali, una ai detti bambini, le altre alle due figlie del defunto Domenica e Maria Silvani. Lo spiegavano Margherita Silvani e il cugino dell’accusata Giuseppe Curti. Il Curti, di 47 anni, vedovo senza figli, di Albonico, condannato da questa pretura per rissa parla di manomissione della legna. L’imputata spiega: “Mio padre Silvestro quattro anni or sono mi incaricò di tagliare piante castanili per sopperire ai bisogni di famiglia ed io mi valsi dell’opera del mio marito Morè Lorenzo... nelli fondi Balzo, Motto e Selva”, in Samolaco, tagliando quattordici o quindici alberi. “Due anni or sono si rese defunto il mio padre Silvestro Silvani e tutte quelle piante furono vendute mentre esso ancora viveva a dei carbonai per fabbricare carbone ed i denari ricavati per circa milanesi L. 250 rimasero a mio vantaggio. Il Curti Giuseppe sul finire di marzo p. p. verificò l’ammanco di quelle piante, e senz’altro indagare ebbe a presentare denuncia contro di me”, poi la donna, contraddicendosi palesemente, si corregge dichiarando che le piante “furono poi atterrate dagli acquirenti carbonai del mio paese”54. di Sorico. La causa dell’azione fu una falsa denuncia di furto di legna56. Tra il 9 e il 10 febbraio 1862, “sul monte denominato la Pianca” dove possedeva circa una pertica di terreno a “selva” Giacomo Borzi di 67 anni, contadino, con moglie e figli, analfabeta, trovò “arbitrariamente... tagliate n. 2 piante di grosso fusto di frassino ed una pianta di noce di grosso fusto” per un danno ritenuto dall’autorità di 50 franchi, corrispondenti a 45 lire milanesi, ma il Borzi contestava che ne valevano almeno 100. Furono sospettate persone di Bugiallo: Giovanni Fallini del fu Giacomo, Giovanni Sciaini del fu Giacomo, Giuseppe Spelzini del fu Giovan Giacomo. Ma i denunciati a loro volta ribatterono che il terreno su cui furono tagliate le piante era di Giovanni Sciaini, un trentatreenne, contadino, sposato, con figli, analfabeta, condannato otto o nove anni prima a nove giorni d’arresto per “ferite volontarie”. Lo Sciani possedeva con il Fallini beni stabili alla Pianca57. L’ 8 marzo 1862 si denunciarono “danni maliziosi” consistenti nell’atteramento di un muro ai danni di Giacomo Sciaini di Alessandro nel suo fondo prativo al Sasso della Valena; imputato Francesco Polledrotti del fu Guglielmo di Bugiallo che aveva strascinato “legna broca”, o, come si dice in un altro passaggio, “una grossa balla di legna”, lungo il suo prato, perché a quello scopo ruppe il muro “e lo rasò tutto quanto per dispetto e violenza”, quando poteva benissimo usare il percorso preposto al passaggio della legna: “quando vi era la strada o voga quasi vicina”58. Il 15 novembre 1861 Giuseppe Aggio Mattone denunciò per furto di legna Francesco Tamola di Giuseppe55. Nel 1861, il 20 marzo si registra la chiusura del fascicolo aperto per calunnia, ritenuta infondata, a danno di Giovanni Battista Cerfoglio da parte di Giuseppe Andreoli del fu Giuseppe Giovanni Antonio Cerfoglio di Bugiallo denuncia nel 1860 Guglielmo Sciaini e Battista Paggi per il taglio di cinque castagni “alle Selve” di Bugiallo, per un valore di L. 1053. Conclusa il 10 aprile 1861, una fra le tante controversie, di cui non si conosce l’esito, sorte per divisione ereditaria, attorno a un bene prezioso come la legna, vede denunciata per furto di quindici piante castanili Domenica Silvani del fu Silvestro di Albonico, di 50 anni, contadina analfabeta, a danno dei figli in minore età del fu Pietro Silvani: Giacomo, Guglielmo, Pietro, _____________________________ 46) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 170, fasc. 556. 47) Il “quatrass” è una tipica barca altolariana (v. foto 33, pp.124-125). 48) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 442, fasc, 251. 49) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 460, fasc. 205. 50) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 463, fasc. 274. 51) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 469, fasc. 489. 52) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 584, fasc. 230. _____________________________ 53) In località Alle Selve prevalevano infatti i castagneti, v. Catasto. 54) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 627, fasc. 320. 55) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 657, fasc. 1149. 56) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 625, fasc. 290. 57) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I A, cart. 678, fasc. 363. 58) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 675, fasc. 273. 154 155 ATTIVITÀ COMMERCIALI E DI SCAMBIO TRA CINQUE E SEICENTO tori a Sorico da Prata Camportaccio presso Chiavenna. In una comunità come quella di Sorico, per quanto soggetta a spostamenti stagionali generalizzati per il clima, per quanto costretta a migrazioni, c’era pur sempre bisogno di un calzolaio. Un altro nome ricorrente in numerosi documenti è quello di Francesco Venturino che fu uno dei prestinai e mugnai di Sorico. Qualche minimo spunto di documentazione si trova anche per l’attività serica, che non pare si però svolgesse in loco, almeno per il primo ’600. Per quell’epoca si trova traccia degli sforzi per aprire una farmacia, ma dove esattamente, non è chiaro. Risulta abbastanza chiaro però come qualsiasi attività, necessitante investimenti in danaro, comportasse la richiesta di prestiti che venivano rilasciati dai personaggi più facoltosi, compreso il governatore del Forte di Fuentes. Non minore interesse rivestono poi le attività di contrabbando fra Stato di Milano e territori dei Grigioni, che vedono coinvolti negli illeciti personaggi non secondari nella gestione della comunità: quanto alle mercanzie contrabbandate, si va da prodotti di pregio, come lo zucchero e il sapone veneziano, a intere mandrie di vacche. Se si confrontano i nominativi che negli stessi anni compaiono nelle aste per l’affitto dei beni comunali si verificherà che si tratta sostanzialmente delle stesse persone: un vero gruppo dominante. Diamo qui di seguito i regesti dei documenti: Uno spaccato della società di Sorico si ricostruisce attraverso gli atti notarili a cavallo dei secoli XVI e XVII. Confrontato con quanto emerge da altre fonti per epoche successive (i catasti sette e ottocentesco, gli atti del tribunale penale preunitario) si scoprono ovvi mutamenti, che sono più connessi ai nomi delle famiglie, che non ai dati strutturali di una povertà endemica, sostentata da pastorizia e scarna agricoltura, contrapposte alla concentrazione in poche mani di qualche attività mercantile e certo più redditizia. Il controllo del commercio del legname in una località di passaggio obbligato qual era Sorico allorché l’Adda sfociava nei pressi di Dascio è quello che meglio emerge, anche in termini quantitativi e con una documentazione sufficientemente coerente nel primo Seicento e nel pieno Ottocento. L’altra attività è la pesca, che certo non arricchiva i poveri pescatori ma coloro che controllavano lo smercio del pescato: si tratta nel primo Seicento dello stesso ristretto gruppo di persone. Si ponga attenzione alla costante presenza dei Riva e dei Giulini, i cui affari si allargavano a tutti gli ambiti di attività che consentivano di lucrare, e sempre in posizione dominante. Il nome di Riva (Rippa negli atti) doveva già essere affermato nel primo Cinquecento in quanto titolari di una cappella gentilizia nella chiesa plebana e committenti di affreschi (Cappella dei Santi Innocenti). I Giulini avevano una bottega, dove spesso il notaio si fermava a rogare atti. Non avevano ancora assunto il lustro della nobiltà che li avrebbe successivamente portati a costruire la grandiosa villa, oggi ridotta a rudere, e a vivere preferibilmente a Milano. Altri nomi compaiono con pari intensità, ma si intuisce che dovevano avere minor forza. Alcuni personaggi risultano titolari di botteghe come Pietro Bonela, ma non è detto con quale attività, mentre di un certo mastro Ceranino, che fa capolino come attore o testimone in molti rogiti, ripetutamente si dice che era calzolaio, e da un atto del 1604 ci vien detto che era di origini piemontesi, provenendo dalla pieve di Orta: dunque, per tanti che se ne andavano da Sorico migrando in cerca di sostentamento, c’era qualcuno che era immigrato a Sorico. Il caso merita una qualche attenzione perché al massimo si stabiliva a Sorico gente della Val San Giacomo impegnata nell’allevamento. Il Ceranino è invece un artigiano ed è, quella degli artigiani, una categoria che, da quanto abbiamo trovato, sembra facesse difetto ancor nell’Ottocento: più volte si trova, nelle vicende giudiziarie, il racconto di fabbri fatti venire da Gera; quanto ai calzolai c’è un episodio, peraltro di incresciosa cronaca di abusi sui minori, che ne vede protagonista uno trasferi- 1588, 9 gennaio, Giovanni Antonio de Romano del fu Nicolò, detto Pigala, di Sorico, promette a Guglielmo (?) di Sorico, la restituzione di L. 105 corrispondenti al valore di vettovaglie avute in più volte a credito. L’atto è rogato in Sorico, nella bottega di maestro Giovanni Antonio Ceranino. Testi il detto Ceranino, calzolaio (“caligarius”), Francesco figlio di Giovanni Giacomo Mesturino, mugnaio di Sorico1. 1588, 26 marzo, il maestro Giovanni Antonio Ceranino, calzolaio, figlio del fu Giovanni “de Ameno”, abitante a Sorico, confessa di ricevere da Bernardo de Qualio di Bugiallo la completa soddisfazione di tutte le cose di maestro Ceranino date a credito a Bernardo, tanto di calzature(“calceorum conciatura”) che di altro (presumibilmente pelli)2. 1588, 27 aprile, il frate Sebastiano Casato del fu magnifico signor Enrico, dell’ordine dei Carmelitani di Milano, abitante in _____________________________ 1) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni. 2) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni. 156 Stefano ambo di Sorico. Pronotarii: Giorgio Giulini di Giovanni Antonio, Stefano de Romano del fu Pietromartire, Giovanni Antonio Montano di Battista, tutti di Sorico6. Sorico, nomina suo procuratore il maestro calzolaio Giovanni Antonio Ceranino3. 1601, 15 marzo, tra Giovanni Antonio Del Conte del fu Cesare di Sorico, che dà 600 lire, e Bonifacio de Ferraris del fu Matteo di Gera, che riceve detta somma, si pattuisce per cinque anni società tra di loro “in arte et mercantia serica”, al fine che detto Bonifacio traffichi in seta dividendo gli utili con il Del Conte4. 1603, 15 dicembre, retrovendita di censo di lire 65 sul capitale di l. 1193 da Alfonso Rippa del fu Francesco di Sorico a Pietro Andrea Rippa del fu Francesco e Battista Montano del fu Antonio di Sorico, entrambi sindaci di Sorico7. 1603, 7 novembre, Giovanni Antonio Pedana del fu Giacomo di Albonico ha contratto debiti per fitti verso Giovanni Antonio Giulini5. 1604, 10 gennaio, Petrino de Ligrignano del fu Giovanni di Sorico promette a Giovanni Antonio Giulino del fu Giovan Angelo di Sorico la restituzione del debito di L. 303 avute in mutuo8. 1603, 25 novembre, è nella bottega della casa di Giovanni Antonio Giulino che si sancisce un permuta di terreni. Bernarda del fu Mariano de Bulcis, vedova di Bernardo Panizera del fu Antonio di Aurogna, tutrice e curatrice delle sette figlie, Giovannina, Cristina, Maria, Maddalena, Anna, Maria, Caterina, tutte sorelle ed eredi di Bernardo per rogito di Pietro Antonio Panizera di Aurona, con “parabola” di Giovanni Andrea Pizigarolo, figlio licenziato di Domenico, di Vercana, dà a Prudenzia del fu Domenico Michela di Dolo e a Matteo del fu Andrea Motallo detto “Biocha” di Bugiallo, agente per conto di Prudenzia: una casa su due piani con tetto di piote in Bugiallo in località “Ad Curtem”, confinante a est con Sante Corti, a sud con Andrea, a ovest con la Valle, a nord con la strada; un campo con vigna in Bugiallo “Super Dolum”, confinante a est con Giovan Battista de Curte fisico di Gera, a sud con Giovanni Cassera Pizigarolo, a ovest con gli eredi di Bernardo Michela di Dolo, a nord con il fisico G. B. de Curte di Gera; una terra brughiva in Bugiallo in località “In Campum Longum”, confinante a est con Giovanni Pizigarolo, sud con Giovanni Corbo, a ovest con Martino, a nord con Pietro Meroni. In cambio Prudenzia dà a Bernarda: mezza casa a Gaggiolo; una terra campiva vignata in Bugiallo. Testi: Andrea Belato del fu Stefano di Bugiallo, Battista de Romano Marcioneto del fu Antonio e Andrea Lavizzari del fu 1604, 2 marzo, nella bottega di Pietro Bonella in Sorico maestro Antonio Ceranino del fu Giovanni da Mezzo pieve di Orta, abitante a Sorico, dichiara di ricevere dal cessionario Guglielmo Caroto del fu Augusto di Burano comune di Montemezzo L. 110 delle quali è obbligato Giovanni Bonella del fu Domenico di Surana in comune di Bugiallo. Testi Giovanni Ceranino di Pietro, Pietro Bellena del fu Domenico, pronotarii Marco Antonio Ceranino del fu maestro Giacomo, Giovan Stefano de Romano di Battista, di Sorico, Lauro del Forno del fu Tommaso di Tremoledo di Bugiallo9. 1604, 14 aprile, Alfonso Rippa del fu Francesco di Sorico riconosce il saldo del debito di L. 203 da Pietro Bonela di Surana abitante a Sorico. L’atto è rogato in Sorico nella bottega di Pietro Bonela. Testi Giovan Battista de Maranesio del fu Giovanni Maria, Giovan Battista Montano del fu Stefano ambo di Sorico, Battista Casato del fu Pietro Martire e Pietro Martire suo nipote, Pietro Ligrignano di Sorico10. 1604, 30 marzo in Gera, nella bottega di Giovanni Giulini, Geronimo Canova del fu Agostino Magatti di Gravedona dichiara di ricevere L. 560 da Michele Falcinella del fu Giovanni di Albonico nel comune di Bugiallo11. 1609, 27 aprile, Francesco Venturino, prestinaio di Sorico, fa il pane per i soldati del Forte di Fuentes e del Ponticello12. _____________________________ 3) ASCo, Notarile, cart. 1243-1244, notaio Anchise Preboni. 4) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 5) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 6) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 7) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 8) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 9) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 10) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 11) ASCo, Notarile, cart. 1245, notaio Anchise Preboni. 12) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. 157 Traffici e interessi sono documentati anche con famiglie illustri di Como, come i Natta13. Frequentemente si trova documentata la necessità di accendere mutui presso facoltosi privati altolariani, fra i quali spicca il governatore del Forte di Fuentes: Domaso (Giovan Battista, canonico della Collegiata di Domaso; Francesco, rettore di s. Giovanni Battista di Bugiallo; i signori Giuseppe e Carlo Antonio) devono a Luigi Andukar, governatore del Forte di Fuentes, L. 2.000 ricevute in moneta d’oro e d’argento ed affidate al fratello Giuseppe per impiantare una officina di farmacia con tutto l’occorrente in farmaci, droghe, vasi, utensili, merci necessarie14. 1700, 8 febbraio, i fratelli Sebregondi figli del fu Andrea di FIERA CONTRABBANDO ARMI E SOLDATI e credibilità del Manzini, ha riscontrato essere egli di buona condotta, incapace d’introdurre e mettere in circolazione una falsa moneta”18. Alle origini della Fiera di Sorico c’è quasi certamente la Fiera di Olonio attestata dagli Statuti trecenteschi di Como. Si svolgeva in occasione della festa dell’Assunta, il 15 agosto, e durava tre giorni dalla vigilia al giorno dopo la festa della Madonna. Da Como il podestà inviava ad Olonio un console come giudice ed un ambasciatore con naviganti e rematori, uno scriba, un suonatore di tromba ed un servitore a spese del Comune, non superando soldi venti del nuovo conio15. Non esiste una documentazione organica sulla fiera di Sorico. Gli atti ufficiali antichi sono piuttosto in negativo: il 2 maggio 1813, da Menaggio il viceprefetto approva la proroga della Fiera di Sorico, sospesa e rinviata per motivi sanitari non meglio specificati16, ma qua e là ne compaiono tracce, come quella di una lite (2 marzo 1610)17 o una rissa. Il mercato di Sorico, luogo d’incontro, divenne infatti in qualche occasione anche luogo di scontro, e, come tutti i mercati, luogo dove gli imbroglioni cercano spazio, anche per spacciare moneta falsa. Per esempio Giuseppe Rossi nel dicembre 1830 “ vendette una camiscia a Giovanni Manzini di Pellio e ne ebbe in pagamento uno scudo... avvedutosi il Rossi dopo qualche tempo che quella moneta era falsa se ne richiamò al Manzini e ne ottenne la debita indennizzazione.... lo scudo di cui si tratta col formale giudizio... l’I. R. Zecca... lo dichiarava assolutamente falso”. Non si poté interrogare sul fatto, perché ammalato, l’oste di Dongo “Giovanni detto Della d’Ora (26 aprile 1831). Perché proprio lui si capisce dal racconto da quanto disse Manzini, il quale narrò ch’egli fu alla Fiera di Sorico, ed a quella di Dongo, l’una nel precedente novembre, l’altra nello stesso dicembre, e che vendette alla prima una vacca, alla seconda del burro e delle lumache avendo, crede, ricevuto nella prima occasione due scudi dagli ignoti acquirenti della vacca, ed alla seconda fiera uno scudo dal compratore del burro e delle lumache, pure ignoto... Interpellati il Deputato Politico di Pellio della condotta Sulla piazza di Sorico si svolsero anche attività illecite, come il contrabbando, o di riparazione pubblica come l’atto di pace del 1º gennaio 1606, rogato sulla piazza di S. Stefano, tra un gruppo di persone di Sorico e un gruppo di valtellinesi, per le ferite, percosse (sia con sangue che senza sangue), insulti e ingiurie procurati dai valtellinesi Battista Gaiolo (?) Guange Liste de Roncionego (?) e Valentino di Dubino, contro Bernardino Caiolo del fu Pietro Antonio, Bartolomeo da Romano del fu Tommaso, Giovan Battista da Romano del fu Antonio Marcioneto, Giacomo Rippa del fu Giacomo, Giacomo Canzio del fu Antonio, Stefano de Romano del fu Pietromartire, Petrino della Torre del fu Agostino (?) Vincenzo, uomini di Sorico19. Due anni dopo (28 gennaio 1608)lo stesso notaio Preboni roga nella bottega del dazio di Sorico un atto di denuncia: gli agenti del dazio di Sorico, Alfonso Castione di Geronimo e Melchion Avogadri del fu Domenico, hanno trovato un discreto quantitativo di sapone veneto, pepe in grani, zucchero fine e candido che stava passando illecitamente il confine, diretto nel territorio retico, a Morbegno, a favore dello speziale Antonio Cassina. Faceva da tramite Ottavio Casati, personaggio di spicco di Sorico20. Il vicino confine coi Grigioni stuzzicava il traffico di merci un po’ difficili da nascondere: il 10 aprile 1609 sono consegnati a Pietro Andrea Ripa del fu Francesco, console di Sorico “para quatro de bovi inventionati da ms. Aluiggi Magno agente del datio della mercantia et habitante a Sorico, a Bernardo del Fione q. Lorenzo, Battista Spadino figliolo d’Andrea et a Gio. Antonio del Piedo (?) q. Gio. Domenico tutti di Dubino, et a Gio. Bignolo q. Pietro de Monastero squadra de Trahona[...].che havessero conduto li suoi carri di calcina senza pagar datio”. Si chiede che _____________________________ 15) “De feria Olonio fienda ad medium augustum. / Item statutum est quod feria sancte Marie de medio augusto fit ad Olonium stare debeat per tres dies scilicet in vigilia sancte Marie medii augusti et in festo sancte Marie et in sequenti die post”. “Quod unus consul iudex mittatur ad feriam de Olonio. / Item statutum est quod ad feriam de Olonio dominus potestas Cumarum mitere debeat unum consulem iudicem iustitie Cumanum et unum // ambaxiatorem, qui pro omnibus expensis suis et scutiferorum suorum et nautarum et remigorum habeat et habere possit in qualibet die de here comunis Cumarum tantum solidos viginti novorum. Et unum scribam et unum tubatorem et unum servitorem tantum ire debeant cum eis, qui habeant a comuni omni die, sicut habere soliti sunt, et statutum est eos habere debere pro suis expensis; et quod eis non detur feudum nisi de diebus tribus, et quod potestas Cumanus, vel aliquis eius iudex, vel miles, nec aliquis de familia sua, aliquod feudum habere debeat a comuni Cumano occaxione predicta”, ASCo, ASC, Volumen magnum, 27 v - 28 r Officium Potestatis cap. XLII; f. 274 r De causis civilibus, cap. CLXXVI, editi in Statuti di Como del 1335. Volumen Magnum, a cura di Guido Manganelli, tomo I, Deputazione di Storia Patria per la Lombardia Sezione di Como (Società Storica Comense), pp. 46-47; vol. II, p. 99. 16) ASCo, Prefettura, cart. 909, fasc. 6. 17) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni. 18) ASCo, Tribunale Preunitario, fascicoli penali, Serie I D, cart. 9, fasc. 1160. 19) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. 20) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. _____________________________ 13) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni, 25 luglio 1610. 14) ASCo, Notarile, cart. 2455, notaio Andrea Giuseppe Calderari del fu Girolamo. 158 159 gli animali non patiscano per trascuratezza di chi li ha sequestrati21. Ancora: 1609, 12 settembre, Costantino Rovello, cassiere generale del dazio della mercanzia di Como, notifica al referendario di Como, giudice dei dazi, che il 2 settembre “presente li suoi officiali residenti in Sorico trovarono passata la posta del datio di Sorico et de altre poste più abasso Matteo della Mota, Antonio Codera, Pietro Pizino, Agostino Grossa et Iacobo Mazola tuti del paese de signori Grisoni in Valtelina vache vinticinque senza boletta et pagamento del datio”22. Ciduo de Canizane (?), tutti soldati spagnoli, et che servivano al forticello, et dopo sentito messa andassimo di compagnia al hosteria de Tre Re in Gera24 a disnare, et mentre che disnavamo venne Alonso Ganzaly che serve a pagio et un suo camerata qual io non so nomare per proprio nome, et così desinassimo tutti sei di compagnia, et dopo haver disnato ci fermassimo in Gera, io, detto Cesare, Francesco Caccigallo (?) et Lud(ovic)o Ciduo sin a hore 2/20 in circa, et venendo verso Sorico giunti al ponte della Calchera25, in strada il detto Ciduo burlando tirò una poma a due giovani, de’ quali uno è figlio del hoste di Sorico, et l’altro è un giovine di mia mano qual si chiama Baldessare Rusca26, et dopo aver tirato il pomo questi doi giovini si fermarono sopra detto ponte, et dissero chi ha tirato il pomo, et noi altri respondesimo, che tiravamo tra di noi, et questi doi gioveni stando forti impugnarono le spade, che havevano sotto il brachio, et detto Baldessare cacciò mano, et sfodrò la spada et io passai avanti seguitando detto Baldessarre, qual fugiva, et io haveva la spada nuda in mano, restando adietro li altri tre, con il detto figliolo del hoste, et così fermandomi io in strada sopragiunsero li detti tre miei compagni con detto figliolo del hoste, et io li dissi a detto figliolo del hoste se noi volessimo amazarne, puotressimo farlo, ma non vogliamo far male, andate in pace, et così tutti di compagnia venissimo sin a Sorico, et gionti apresso alla chiesa, il figliolo del hoste et detto Baldessare giurà a Dio che mi son galante huomo, et subbito cacciò mano alla spada, et io resposi, che mentiva, et era un vigliacco, et mettei mano alla mia spada, et in questo mentre venne il caporale Coregio con un’hasta, et ne dipartì, et disse che dovessimo andar al forticello et dopo noi andassimo sin presso alla casa ove è dipinta l’arma et insegna del re, et gionti ivi tutti quatro, il suddetto Ciduo disse Signori torniamo indietro a aspettar il signor caporale, per andar tutti di compagnia al forticello, et tutti dicessimo andiamo, et io dissi no, è meglio andare doi perché non dica questa gente che andiamo a fare male, che se vi è cosa alcuna, doi di noi siamo sufficienti, et così io, et Ciduo venessimo verso la piazza, et li altri doi si fermarono ivi, et di poi gionti in piazza di Sorico, lì apresso alla chiesa Ciduo, io, et li detti doi figlioli del hoste, et Baldessare, tutti quattro unitamente cacciassimo mano alle spade, et mentre che contendevamo si ruppe la spada a Ciduo, et io andai in agiuto a Ciduo, et subito fui ferito dal detto figliolo del hoste con una cortellata in testa, et in questo il caporale Coregio gionse, et andassimo con lui al forticello, essendo concorsi molti della terra con spade et mezze spade, et li detti doi giovani cioé il figliuolo del hoste, et Baldessare si retironno in chiesa, et io similmente andai in chiesa, et in questo Armi facili, suscettibilità, senso dell’onore contrapposto a vigliaccheria: un soldato attacca briga con un giovane civile, con uno scherzo da niente, tirando un frutto; gli altri soldati cercano di evitare noie e dicono che stavano scherzando tra loro, ma il giovane si mostra offeso e con l’altro compagno mostra la spada, finge di voler combattere, ma poi scappa, poi finge ancora di accettere la proposta di pace, fa un tratto di strada insieme ai soldati, ma torna ad attaccarli non appena giunge in paese dove attira la gente per farsi dar man forte: al che il soldato gli dà del vigliacco. Si legge il timore dei soldati di passar per violenti con la popolazione, a Gera vanno insieme, ma si sa che vanno a messa e all’osteria, a Sorico invece sono di presidio, non troppo ben visti. I soldati spagnoli le prendono: ad uno di loro, quello che per primo aveva attaccato briga, si rompe la spada, l’altro che racconta la storia, si prende una coltellata sulla testa. Qui non è chiaro se per coltellata si intende un colpo di taglio della spada o un colpo di coltello tirato a tradimento mentre si tirava di spada. Insomma, con certe persone di Sorico era meglio non attaccar briga, neanche se si era soldati armati. Il luogo dove si tira di spada sembra la piazza di Sorico, forse per far intervenire altra gente con spade e mezze spade, gli altri luoghi indicati sono la chiesa di Gera, l’osteria di Gera, il ponte della Calchera, la casa con arma e insegna del Re, la chiesa di Sorico, il Forticello (vedi mappe catasto teresiano), e una cappella votiva, che potrebbe essere quella esistente sulla strada tra Sorico e il Passo, non quella verso Dascio che è del 1714. Nel 1610, il 15 gennaio, in presenza di Giorgio Giulino notaio di Sorico23 si presenta Tommaso Salina soldato spagnolo della compagnia del capitano don Diego Osovio, di presidio a Gravedona, che dichiara: “Con mio giuramento dico, che dominica passata, che fu alli 20 di genaro presente io venni dal forticello, ove io serviva con licentia del caporale, venni dico a Gera, a sentir messa in compagnia con Francesco Chiscigallo et Cesare et _____________________________ 21) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. 22) ASCo, Notarile, cart. 1246, notaio Anchise Preboni. 23) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni. 24) Si vede nel capitolo “Storie di vita” il Draghett che da Sorico va a messa a Gera e poi all’osteria. 25) Ponte sul fiume di Sorico. 26) Dunque il notaio Giulini ha come giovane (di studio) un Baldassarre Rusca, che a sua volta diventerà notaio. Si osservi il rapporto dei Rusca con Sorico. 160 mentre venne il caporale et mi menò a medicare, et di poi come ho detto andassimo unitamente al forticello”. sa, né mortale, et io credo che sia stato un scarto, n’ha un’altra nel galone dritto, qual Giovanni dice essere una stocchata, ma di quella non è uscito sangue alcuno, perché a penna è tochata la pelle, et io non ho medicata quella ferita, perché non è di bisogno, altro io non so”. Un altro episodio di costume avvenuto alla fiera di Sorico il 2 novembre 1610 è raccontato negli atti dello stesso notaio27. Davanti al prete Giovan Battista Casato, canonico della collegiata di S. Stefano di Sorico e vicario foraneo nella pieve di Sorico del vescovo Filippo Archinto, si presenta Giovanni Piazza, figlio di Abbondio, di Vercana, abitante a Gravedona, ferito da un colpo sul capo che ha provocato effusione di sangue. Ammonito dal vicario foraneo a dir la verità sotto giuramento, Giovanni Piazza dichiara: Venerdì 12 novembre 1610 davanti al medesimo vicario foraneo fu chiamato il diciottenne Scipione Cigala del fu Oliviero di Sorico, come persona informata della rissa. Interrogato “se egli ha qualche notitia della rissa o questione che sucesse il 2 novembre giorno di fiera nella chiesa di S. Steffano di Sorico tra alcuni di Vercana et che dica tutto quello che crede et che sa”, rispose: “Signore, stando io hoggi in piazza di Sorico nella fiera, essendo venuto a parolle et rissa con Iacomo Barisello et Giovan Giacomo dal’Astrico / del fu Martino di Caino nel Comune di Vercana, nella quale rissa dalla parte contraria vi erano altre tre persone, cioè un figliolo di Andrea del Torchio di Caino, il cui nome non so, et li altri non mi ricordo chi siano, così in detta rissa sendomi venuti adosso tutte le predette cinque persone, io non puotendo salvarmi altrimente, mi sono retirato in questa chiesa di Santo Stefano, nel qual luocho perseguitato da detti sopranominati, credendo ivi esser sicuro, sono stato ferito, o pure tocho o da tal uno, o dal’ altro, che non so precisamente, de detti Barisello, et Giovan Iacomo del’Astrico de una punta nel galone dritto28 ma non è però uscito sangue in terra, et ho havuta questa punta stando presso al pilastro di detta chiesa, qui vicino al pontello; è ben vero, ch’ ho havuta un’altra ferita in testa, ma questa è statta fuori di chiesa, et un’altra in mano sinistra, che non so, se dentro, o fuori di chiesa, non è però di questa ferita uscito sangue alcuno in terra, nel qual luocho havendo / coltellato un pezzo, né puotendo altrimenti difendermi, son stato sforzato uscire di detta chiesa per la porta magiore, et andare in piaza, et se bene vi erano concorse persone assai, non ho però memoria chi fossero perché io stava con l’occhio al difendermi”. “Signore, il giorno della fiera de Tutti Santi che fu alli 2 di novembre presente ritrovandomi io nella nostra chiesa di Sorico sopra la porta, vidi entrare in detta chiesa dal pontello, quatro o cinque persone, con le spade nude in mano, et fuori ancho con li pugnali, che non mi ricordo, et vidi, che tre o quatro di dette persone, quali però io non conosco, né di vista, né di nome, né di patria tiravano con dette armi de colpi ad uno d’essi, che andava retirandosi, ma io non so se de tali colpi detto che si retirava restasse ferito, o non”. Interrogato “per quanto spatio di tempo durò questo rumore in chiesa” rispose: “Signore, io non posso dire di fermo quanto tempo durasse questo rumore, solo vidi li suddetti entrare in chiesa per il pontello, et andarono sin al secondo pilastro della detta chiesa, et poi traversarono la chiesa, et uscirono per la porta maggiore et sempre di tre in quatro tiravano, et l’altro hora reparava, hora stava in atto di difesa, dicendo state adietro, et in questo uscirono per la porta magiore”. Il testimone dichiarò di non conoscere quelle persone e disse pure: “Vi erano delle done, ma non le conobbi”. La presenza di armi in quell’epoca appariva come indispensabile: 1611, 7 gennaio, Andrea Belato, Bartolomeo Motallo, Michele Falcinella, sindaci del Comune, convocano tutti gli uomini di Bugiallo nella piazza davanti alla "mansione" di Domenico Masino nella corte dove si è soliti riunirsi per gli affari comuni (“in platea ante mansionem Dominici Masini ad curtem in qua saepe convocari solent [...]”). Sono presenti 24 uomini: Andrea Belato del fu Stefano Dopo questa deposizione davanti al vicario foraneo compare il barbiere di Gravedona Priamo Casato, che aveva medicato la ferita di Giovanni. “Interrogato se egli ha medicato Giovanni de Piazza ferito, et che ferite habbia detto Giovanni, quante et quali, et in che luochi, et se siano con sangue et pericolose o non”, rispose: “Signore, detto Giovanni ha una ferita in testa, della quale è uscito un puoco di sangue, ma non è però pericolo_____________________________ 27) ASCo, Notarile cart. 1247, notaio Anchise Preboni. 28) Coscia destra. 161 36) Archivio di Stato, Como: mappa del catasto teresiano, estratto del territorio di Dascio con il “Sito posseduto dai soldati”. Per giorni sei di andar a Milano et ritornar Bartolomeo Motallo del fu Giovanni Michele Falcinella del fu Giovanni, tutti e tre sindaci Giacomo de Qualio del fu Giovanni Stefano de Sertolis del fu altro Stefano Antonio Tamola Rosso del fu Matteo Giacomo Tamola del fu Giovanni Giovanni Tamola del fu Antonio Masino de Sertolis del fu Graziolo Matteo Belato del fu Stefano Donato Bioca del fu Pietro Filippo Bioca del fu Giovanni Taddeo Menono di Tommaso Domenico Masino de Sertolis del fu Graziolo Bernardo de Qualio del fu Agostino Simone suo fratello Donato del Ponte del fu Giacomo Domenico Magato del fu Giovanni Giovanni Battista del fu Taddeo del Ponte Paolo Bonela del fu Pietro Tornelli Andrea Tuchonus del fu Silvestro Giovanni del fu Guglielmo Pedreti Lauro Pedana figlio separato di Giovanni Antonio Domenico Bonela del fu Bernardo di Surana “Tornati l’8 suddetto Prima per la barca per andar a Como L. 3[...] [...] per gli cavalli per Milano L. 6 [...]per disnar a Barlasina sabbato mattina L. 2 [...] a Milano sabato sera L. 2 [...] nel disnar domenica mattina L. 2 [...] nella cena domenica sera et il dormire et foco L. 2 [...] nel disnar lunedì mattina L. 2 [...] nella cena lunedì sera L. 2 [...] nel desinar martedì mattina L. 2 [...] nella cena martedì sera L. 2 [...] nel disnare mercore mattina L. 2 [...] nella cena mercore sera L. 2 [...] nel disnare giobia mattina a Gera L. 2 [...] nella cena giobia sera L. 3 [...] per lo cavallo da Milano a Como L. 5 L. 4 [...] per giornate sei Ratto absente L. 2 [...] hano cumbinato che si stimano essi archibugi et piche per un prezzo honesto et poi si buttino in sorte a chi devono toccare in tredici parti et otto parti le piche, così stabilito che li archabugi si paghino con sue fiaschi et balotera L. 18 terzole per accaduno et le piche L. 5 soldi 9 et per che il prezzo d’esse arme non sarà sufficiente per potersi pagare li dinari tolti da messer Giovanni Antonio Magato l’anno predetto 1607 per questo effetto, perciò s’è ordinato anco che ogni focolare o famiglia d’esso comune a chi non toccarà d’esse arme paghi L 4 terzoli per famiglia o foco, et caso anco non potessero supplire, si facci una taglia sopra l’estimo sino al supplimento del pagamento d’esse spese così per potersi satisfar come sopra. Le quali somme de denari cioè tanto il prezzo d’esse armi quanto le L. 4 terzoli per loco et il supplimento si farà in taglia si paghi a calende settembre prossime avenire, et si habbino a pagar nelle mani delli sindaci, o a chi sarà [...] et non del console perciò essi sindici siino tenuti a scoderli, o deputar chi li scodi, et non dar da scodere al console che sarà di questo anno, contro la sua volontà et però essi sindici possino procedere sumariamente in fon[...] di Camera. Et butate le sorte per boletino a chi dovessero trovar li archabugi sono seguiti come qua segue in Bugiallo: Gli uomini di Bugiallo approvano le spese per le armi, archibugi, palle di piombo, polvere da sparo, picche, e per il loro trasporto via lago (navolo) e via terra (caradura): “[...] Prima lirette 25 piombo L. 10 [...] lirette 25 polvere L. 40 [...] piche n. 8 L. 64 [...] rubbi doi corda d’archibugio L. 13 [...] ? [...] archibuggi 13 L. 312 [...] ? [...] per la metta della ligatura delle picche L. 1 [...] ? [...] a quello che me ha zernutto fuora l’archibusi L. 2[...] [...] a quello che le ha ligatti et imbalati [...] L. 1 [...] la [...] della cassetta della polvere L. 1[...] [...] per la cassa da condur l’archibugii L. 4[...] per la ratta parte della caradura per condure le piche a soldi 2 denari 3 imperiali [...] L. 1 [...] per la parte della canaliadura per la cassa de archibugii L. 6[...] [...] in fachini L. 1.. [...] nel navolo L. 2 L. 462 [...] per la spesa cibaria L. 20 524 [...]29”. L. 42 504[...] Tomaso Menone uno _____________________________ 29) ASCo, Notarile, cart. 1248, notaio Anchise Preboni. L. 18 I documenti originali sono conservati presso l’Archivio di Stato di Como. rip. vietata. Mateo Belaso Bernardo Belaso Donato del Ponte del fu Bernardo Philipo Bioca Donato Bioca Iacobo Tamola Domenico Masino Motalli 36 L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 Heredi di Tadeo del Ponte Masino Sertore Domenico Facino Gio. Moretino In Albonico Andrea Bonela Ciacha Francesco Tornello Gio. Pedreto In Albonico Domenico Bonela de Surana Domenico Bonela del fu Giovanni Andrea Turcone Michele L. 18 L. 18 L. 18 L. 18 L. 274 terzoli 5”30. 1628, 29 dicembre "Havendo il molto illustre signor don Antonio della Rua capitano d’Infanteria Spagnuola hora habitante nella Terra L. 18 _____________________________ 30) ASCo, Notarile, cart. 1248, notaio Anchise Preboni. 162 L. 5 L. 5 L. 5 238 et tutte somano lire ducento settanta quatro terzoli Le piche sono toccate come segue in Bugiallo Gio. Tamola L. 5 L. 5 L. 5 L. 5 163 ha havuto moglie almeno mentre che io era stato in Fiandra poiché sebene quatro anni non siimo stati di compagnia, tornando io di Fiandra l’ho però trovato qua nel forte senza moglie”. di Sorico, nella quale et in altre C[...] ha allogiamento la sua compagnia fatto chiamare li signori Melchion Riva, et Gio. Antonio Montano sindici della detta Terra di Sorico, et li signori Gio. Buzzi, et Gio. Battista Buzo sindici della Terra di Gera, ivi presentialmente ha detto, notificato, et inthimato a detti sindici, come vi è l’ordine di Sua Eccellenza che di notte nisun paesano vada con archibugi, et arme astate sotto la pena contenuta in detti ordini, et che perciò li sindici ne diano aviso a tutti li paesani delle loro terre, aciò non naschi alcuno disordine altrimenti [...]”31. Il soldato Giovanni Martinez del fu Giovanni di 32 anni, di Gianandilia del Regno di Castiglia: “Sono più di otto anni che lo conosco, perché egli venne in Savoia, dove era anch’io di poi venessimo in Piemonte di poi [...] in Alghero, et dipoi venessimo a Como, et dipoi io andai in Fiandra, et egli restò in Como, et dipoi [...] io tornai di Fiandra, andai in Como nella sua compagnia donde poi venessimo qua nel forte ove stiamo de za [...] Egli non è maritato né ha impedimento alcuno, che egli non possa maritarsi perché io so di scienza che non è maritato”. I soldati spagnoli, come si è visto nell’episodio della rissa, cercavano di integrarsi con la gente del posto e il matrimonio era ovviamente la strada maestra. Il documento seguente non esplicita il motivo per cui sono interrogati tre soldati del Forte di Fuentes, ma lo scopo risulta chiaro: si vuole evitare che un loro commilitone prenda moglie senza avere da lui garanzie che sia davvero celibe. E dagli spostamenti cui erano soggetti quei soldati, il dubbio che avessero legami non verificabili era più che giustificato. Le testimonianze dei soldati del forte potevano far fede perché sembra che fosse ammessa la presenza delle mogli dei soldati, come ricaviamo da un documento del 1702, 3 marzo, rogato dal notaio di Domaso Andrea Giuseppe Calderari a proposito di Eugenia Dell’Oro del fu Giuseppe di Domaso che sposa in seconde nozze Giovanni Torrentis soldato spagnolo e con lui abita nel Forte di Fuentes: “et ibidem in Arce predicta habitatrix”32. 1608, 26 maggio, Giovanni Turana del fu altro Giovanni soldato spagnolo della città di Barcellona nel castello di Fuentes. Pietro Lodano del fu altro Pietro della città di Volliena soldato spagnolo nel castello di Fuentes, di circa 30 anni, confessatosi a Pasqua. Interrogato il primo, gli viene chiesto “se conosce Giovanni Turana del fu Giovanni di Barcellona, spagnolo, et habitante nel forte di Fuente”, risponde affermativamente: “ [...] Lo conosco già otto anni sono [...] perché siamo stati di compagnia in Savoia, in Piemonte et anche sopra l’armata del signor Andrea Doria, et di poi siamo stati di compagnia alla città di Como”. Gli chiedono “se sa che detto Giovanni sia maritato”. “Io so che egli non è maritato” Un fatto increscioso di quegli anni ebbe in Sorico, nella casa del parroco, la sua registrazione notarile33: 1610, 29 dicembre, Il canonico Giovanni Battista Casato della collegiata di S. Stefano di Sorico seduto su una cattedra di legno riceve in casa sua Cesare Rusca vicerettore della chiesa di S. Vincenzo di Sorico che lo prega di prendere le sue difese nella querimonia sorta nel dicembre 1609 [...] [...] “Eminentissimo signor Vicario Con querela espone prete Cesare Rusca vicecurato della parrocchiale di S. Vincenzo di Gera pieve di Sorego lago, et diocesi di Como qualmente lunedì il 14 di dicembre 1609 circa le 22 hora, su la piazza de Gera, Giovan Angelo Ferraro detto Marangone34 de Gera, avanti la sua casa, disse al detto vicecurato le formali, o simili, o equivalenti parole: ’Vi basta l’animo di dire che io sono un villano, e canaglia?‘” soggiungendo egli: “Io sono honorato, ma vuoi siete un sodomita”. Al che rispose il vicecurato: “’Dite una gran bugia, et vi Interrogato un altro soldato spagnolo di 28 anni risponde: “Lo conosco otto anni sono perché siamo stati in Savoia nella compagnia del capitano Aluisi Poiati et in Piemonte, di poi siamo stati nell’armata del Doria, et di poi in Como, et partendosi la compagnia per Fiandra venendo io di poi di Fiandra lo trovato qua nel forte”. Interrogato se sia maritato risponde: “Egli non ha avuto moglie alcuna mentre ch’io son stato in Fiandra poiché sebene quattro anni non siimo stati in compagnia [...] egli non _____________________________ 31) ASCo, Notarile, cart. 1249, notaio Anchise Preboni. 32) ASCo, Notarile, cart. 2455, notaio Andrea Giuseppe Calderari 33) ASCo, Notarile, cart. 1247, notaio Anchise Preboni. 34) “Marangone” deriva da “marango, marangonis” che nel latino medievale significava proprio la professione di fabbro. 164 mentite per la gola’ et egli replicò un’altra volta la sudetta ingiuria et il reverendo un’altra volta gli disse che mentiva per la gola, et che sennò havesse temuto Iddio, l’havrebbe castigato, dicendoli ch’era un vecchio senza cervello, et incatenato dal Diavolo, et poi e l’uno et l’altro andorno per i fatti suoi, essendo venuti lì duoi huomini della terra, il che fu con grandissimo scandalo, e mormorazione del popolo, essendo stato in publico [...] per il che dimanda che detto Giovan Angelo sii castigato conforme la giustizia et alla restitutione dell’honore in publico”35. dire dal fabbro al prete “Viliacco, furfante, scrocco et bozziron37, e ne sono abbrugiati tanti38, et tu non sei abbrugiato et il signor vicecurato rispose tu te ne menti per la gola soggiungendo detto Marangone:Tu sei un cane”. Giovan Angelo del Butio del fu Pietro Franzoso di Gera di 50 anni, accertato che si è confessato a Pasqua, dichiara: “[...] trovandomi in piazza di Gera presso l’olmo vidi il rev. Sig. vice curato che veniva in fuori verso la piazza in compagnia credo di messer Giovan Giacomo Curto, et gionto per contro le case del hosteria di messer Horeste Prata attacata alla casa di messer Giovan Angelo Marengone, vidi che detto messer Giovan Angelo, et sentei che detto Marengone [...] disse a detto signor vice curato ’Havete dunque ardimento di dire ch’io sono un vilano, et canaglia’ né sentei poi quello che il sig. vice curato rispose, ma sentei il Marengone che sogionse ’Quando tu volgi dire che io sia un vilano, et canaglia, dirò che tu sei un bozzirone, et ne costa per processo’ soggiungendo il vice curato ’Tu te ne menti per la gola, io son huomo da bene tu sei un vechio, io penso che habbi il demonio adosso’”. Tra le persone presenti il testimone ricorda: “Vi era il corriere d’Alemagna con altri forastieri.. et altri [...] ma io non so che tali persone si siano scandalezate”. Il 18 gennaio 1610 risponde all’interrogatorio Eultizio Butio del fu Matteo di Gera: “[...] Messer Giovan Angelo Marengone si incontrò con il signor vicecurato per contro le case di detto messer Giovan Angelo e di Conte Prada suo genero, et disse a detto vicecurato per qual causa me infamate voi, ch’io sia un vilano, et cane, et il signor vicecurato rispose io non ho detto questo, né è la verità, messer Giovan Angelo rispose ’Quando vogliate dire che io sia vilano o cane, voi sete un bozzirone’ ed il signor vicecurato disse ’Ve ne mentite per la gola’, et messer Giovan Angelo di nuovo rispose ’Sete un bozzirone come appare per processo et io faccio et dico questo per difendere l’honore mio’, né so che altro succedesse, solo che l’uno et l’altro andarono per li fatti suoi”. Testimonianze: 1610, 4 gennaio davanti al canonico di Sorico G. B. Casato e a Nicola Cocquio, vicario generale del vescovo di Como Bartolomeo Prata, figlio di Ortensio, di Gera, testimonia che conosce molto bene il fabbro Giovan Angelo Marengone perché “ambodoi d’una terra [...] et perché egli è suocero di mio fratello”. Conferma la disputa, non ha sentito tutto, però “sentei il signor vice-curato a dire [...] quelli che mi hanno dette queste cose se ne mentono per la gola, et messer Giovan Angelo rispose: “Te ne menti tu vilano”, et il signor vice curato rispose: “Tu sei un vechio balordo, né io ti do audienza”. Rispose messer Giovan Angelo che egli era “un bozzirone et che tanti se ne brusavano, et egli non era brusato”36. Et il signor Curato rispose: “Io punto che rispetto prima a Iddio et poi a tuo detto genero Conte Prada, altrimente io ne farei vendetta et messer Gio. Angelo ancho replicò che egli era un laudatore [...]” allora alcuni presenti li separarono. All’alterco “vi erano alcuni Alemani et altri forastieri”. Francesco del Butio del fu Gio. Angelo del Cantono di 22 anni si è confessato a Pasqua “et est citra in civitate Panormi”. “Il mese di dicembre non so però il giorno [...] mi trovavo io in Gera assettato sopra il balcone della mia bothega vicina alla casa di messer Giovan Angelo Maregnone”. Il teste sentì _____________________________ 35) “Testes / Io Petrus Iulinus / Bartholomaeus Rata / Comes Prata, Glerae / et alii / Nicolaus Soldenus comensis habitator Glere maritus Galete / Nicolaus Castanedus Domasii nepos Pirri / Io. Peralta miles hispanus habitator in castro de [...] / Franciscus Butius del Cantone de Gera”. 36) Bozzirone sembra significare “omosessuale”. L’accusa è doppia: gli altri “bozzironi” venivano bruciati, il prete no. 37) Bozziron = sodomita? È appellativo più pesante di “bolgiron”, persona non affidabile, cfr. CHERUBINI, op. cit. ad vocem. 38) Si insiste sulla condanna al rogo per i sodomiti. 165