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743-746_articolo america latina:Layout 2 22-12-2011 18:45 Pagina 743 Rinnovamento liturgico A M E R I C A L AT I N A i l canto popolare Tr a d i z i o n i e t n i c h e , i d e o l o g i e , s p e r a n z a c r i s t i a n a I l rinnovamento vissuto dalla Chiesa latinoamericana nell’ultimo mezzo secolo comprende la produzione di un canto religioso che recupera la tradizione musicale autoctona ed esprime gli aneliti di liberazione sociale fatti propri da settori rilevanti delle comunità ecclesiali del continente. Difficile farne un bilancio completo. Conviene tuttavia darne una qualche nota identificativa. A questo fenomeno hanno contribuito almeno tre fattori. Prima di tutto la riforma liturgica promossa dal concilio Vaticano II, che, oltre a promuovere l’integrazione tra rito, vita e cultura nonché ad affermare la rilevanza della partecipazione del popolo nel culto, rivaluta il canto e favorisce l’inculturazione della musica sacra, come sottolinea il n. 119 della costituzione dogmatica Sacrosanctum Concilium: «In alcune regioni, specialmente nelle missioni, si trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale ha grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. A questa musica si dia il dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto nell’educazione del senso religioso di quei popoli, quanto nell’adattare il culto alla loro indole». Così, nel 1969, dom Timóteo Amoroso Anastácio, abate del monastero della Bahia, può dire: «Il Concilio ha liberato la liturgia dall’immobilismo. La “rigida uniformità” precedente ha lasciato spazio a forme flessibili che, senza pregiudicare il fondo inalienabile dei riti, rendono possibile una celebrazione incarnata. Il genio proprio del popolo e della sua lingua, la sua sensibilità, la sua musica, i suoi strumenti, il suo mondo intellettuale – i suoi valori culturali sono chiamati a contribuire attivamente per esprimere la venuta di Dio e la risposta dell’uomo nell’unità simbolica del rito. La liturgia è, per definizione, popolare». L’istruzione Musicam sacram emanata nel 1967 dalla Sacra congregazione per i riti per tradurre in pratica tali principi consente, infatti, l’uso di canti nelle lingue locali, di strumenti musicali diversi dall’organo e da generi differenti dal gregoriano e dalla polifonia. Ciò ha spinto molti autori a comporre una nuova musica sacra più vicina alla realtà dei fedeli e alle caratteristiche delle culture in cui la Chiesa si trovava inserita. In tale sforzo essi hanno, in secondo luogo, attinto al ricco patrimonio di musica popolare tradizionale, ma hanno incontrato anche il movimento della «Nuova canzone latinoamericana», divenuto, come ricorda Diana Marquez, «il grido di coloro che non hanno voce, un grido di dolore e speranza dei nostri popoli di fronte alla situazione di dominio e agli sforzi di liberazione», con figure come Atahualpa Yupanqui, Violeta Parra e Victor Jara, i quali, oltre a restituire dignità al folklore locale, hanno introdotto elementi di denuncia sociale. Infine, tale incontro ha trovato terreno fertile nelle comunità ecclesiali di base, il cui «nuovo modo di essere Chiesa» da una parte ha suscitato un nuovo modo di celebrare, caratterizzato dalla valorizzazione della cultura del popolo e da una «celebrazione degli avvenimenti» che supera la dicotomia tra sacro e profano per fare della liturgia uno spazio di anticipazione del Regno, dall’altra ha favorito un’inedita partecipazione dei cristiani alle lotte popolari, i quali hanno fatto propria nella militanza la canzone di protesta latinoamericana, che ha perciò preso a includere chiari riferimenti religiosi, fino al prodursi di una vera e propria musica ispirata alla teologia della liberazione. Essa è fiorita rigogliosamente in questi decenni, con interpreti come i venezuelani Los guaraguao o il religioso brasiliano José Fernandez de Oliveira, alias p. Zezinho, oltrepassando non solo i confini cattolici per diffondersi nelle Chiese metodiste, luterane ecc., ma addirittura l’ambito liturgico per entrare in molti casi nel repertorio popolare e artistico del continente. Secondo il guatemalteco Juan Guerrero Pérez, «nessun genere musicale nel mondo né corrente teologica o filosofica ha avuto tra il 1950 e il 2000 tanta importanza nella vita sociale, politica e religiosa di nazioni e popoli quanto la canzone di protesta latinoamericana collegata alla teologia della liberazione», suscitando «un sentimento collettivo popolare senza precedenti in America Latina».. Le messe latinoamericane L’espressione più compiuta di tale produzione è rappresentata da almeno un’ottantina di «messe folkloriche» o «etniche», coi ritmi e gli strumenti musicali di ciascun paese. Tra loro si va da quelle che ricalcano l’ordinario (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) a quelle che si estendono al proprio (introito, offertorio, comunione ecc.); e si IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2011 743 743-746_articolo america latina:Layout 2 22-12-2011 18:45 Pagina 744 M. CEREZO, affresco dell’altare maggiore della Chiesa dedicata a san Francesco, Rondonia (Brasile). possono distinguere quelle che mantengono nei testi le preghiere del canone e quelle che le modificano per riferirsi alle ingiustizie subite dal popolo, alle sue lotte e speranze. Questo processo ha due precedenti. Il primo è il «laboratorio ecclesiale» creato dagli anni Cinquanta a Cuernavaca, in Messico, da mons. Sergio Méndez Arceo, che anticipa molti cambiamenti liturgici e pastorali poi decisi dal Concilio: sostituisce l’altare di spalle al popolo con uno moderno davanti ai fedeli, introduce la lingua volgare, la lettura e riflessione della Bibbia e i canti popolari nelle celebrazioni, per favorire lo sviluppo di una coscienza religiosa in grado di diventare fattore di cambiamento sociale. In questo contesto promuove la misa panamericana, accompagnata dai tradizionali mariachis, che recupera alcuni tipici generi musicali messicani, e nel 1967 la misa popular o tepozteca, che, non richiedendo un’orchestra, viene adottata da molte comunità ecclesiali. Il secondo precedente è la misa 744 IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2011 criolla, registrata nel 1964 dall’argentino Ariel Ramirez (deceduto nel 2010, cui si deve pure la misa por la paz y la justicia, composta nel 1981 in seguito ai «fatti vissuti nel paese negli ultimi anni», inserendo brani recitati che coniugano invocazione a Dio e invito all’impegno sociale) sulla base del testo della liturgia eucaristica in spagnolo approvata l’anno prima, introducendo ritmi andini e nazionali. Essa ha avuto un’enorme diffusione, diventando l’unica opera musicale argentina edita in tutti i continenti, venendo interpretata da artisti come Mercedes Sosa, José Carreras e Placido Domingo, ed esercitando un notevole influsso sulla successiva musica sacra. L’etnomusicologo statunitense Thomas Scruggs parla di «messe tradotte», con funzione essenzialmente liturgica, «quando il testo era formato da traduzioni complete dal latino alle lingue nazionali europee», e di «messe dell’impegno sociale», quando, con finalità prevalentemente catechetica, promuovono una concezione della fede influenzata dalla Teologia della libera- zione e rompono «la relazione che l’estetica del culto aveva mantenuto per secoli con la gerarchia cattolica per cercare una nuova connessione con le classi popolari e trovare lì la propria motivazione stilistica». Quelle «tradot te» ... Del primo gruppo fanno parte opere create soprattutto poco dopo il Vaticano II. Tra esse spiccano la misa chilena, composta nel 1965 da Raul de Ramon con ritmi di tutto il paese (dal trote della regione settentrionale alla cancion ovejera della Terra del fuoco) «affinché il popolo del Cile canti all’Onnipotente nel proprio idioma e secondo il proprio stile musicale»; la contemporanea missa do morro (i morros erano le colline dove vivevano i poveri afrobrasiliani), eseguita da Pierre Sanchis a Salvador de Bahia come «concretizzazione delle intenzioni più profonde del Concilio e dell’aspirazione a una liturgia ricostituita nelle fonti della creatività popolare», inserendo melodie brasiliane ispirate al candomblé da 743-746_articolo america latina:Layout 2 cui deriva il samba e accompagnate da strumenti popolari (violini, atabaques e berimbaus); la misa folklorica paraguaya, commissionata nel 1975, nel pieno della dittatura militare del gen. Alfredo Strossner, dall’allora arcivescovo di Asunción, mons. Ismael Rolón, al maestro Herminio Giménez, che per eseguirla rientrò temporaneamente dall’esilio a Buenos Aires; la misa andina, interpretata nel 1993 dal gruppo Altiplano e considerata per completezza della strumentazione e varietà di generi una delle opere di spicco della musica folklorica latinoamericana. Nella stessa categoria si possono iscrivere messe che contano un maggior numero di parti cantate, con testi recenti, senza però allontanarsi da una spiritualità tradizionale né porre enfasi sull’impegno sociale, come la misa pampina, registrata nel 2002 da p. Alex Vigueras, che utilizza ritmi e strumenti del Nord del Cile per darle un tono particolarmente allegro, e la santa misa campesina, composta l’anno prima dal Conjunto Graneros, che si distingue per la sua semplicità, ricorrendo a melodie più dolci delle aree rurali del centro del paese (valzer, cueca ecc.). Se inoltre la maggior parte, per temi e generi, ha valenza nazionale, non mancano quelle che esprimono specificità locali (come, in Argentina, la brillante misa santiagueña, coi suoni di chacarera e vidala della regione settentrionale, eseguita nel 1988, e la solenne misa patagonica, coi ritmi tehuelches, mapuches e onas dell’estremo Sud, registrata nel 2005 a 28 anni dalla sua composizione da parte di Guillermo Rios), né quelle che assumono una proiezione «panamericanista» (dalla misa de la cruz del Sur, musicata nel 1973 dal cileno Vicente Bianchi, alla misa de las Indias, composta nel 1992 dall’olandese Will Hus). Testimonianza della progressiva adozione delle lingue indigene sono, inoltre, le versioni della misa en guaraní (dalla prima, più essenziale, composta nel 1968 dal paraguayano Abdon Irala, a quella, più ricca, scritta nel 2002 dal figlio, il gesuita Casimiro), della misa quechua, come quella interpretata nel 1977 dai boliviani Los Tawantin Cusis, e la garifuna mass, cantata dal 1998 nella lingua delle comunità nere anglofone della costa caraibica dell’Honduras. Infine l’emigrazione ispanica negli 22-12-2011 18:45 Pagina 745 Stati Uniti ha condotto Mauricio Centeno e José Cordova a creare nel 2003 la nueva misa latinoamericana, in inglese e spagnolo, per animare le celebrazioni in comunità multiculturali. … e quelle «dell’impegno sociale» Al secondo gruppo appartiene un numero molto alto di proposte. Nella misa por un continente, registrata a Parigi nel 1972 dai paraguayani Ruben Bareiro-Seguer e Francisco Marin (con un introito del guatemalteco Miguel Ángel Asturias, premio Nobel per la letteratura 1967), si proclama il «Credo in Dio che crede nell’uomo» e gli si chiede salvezza da «prigioni e commissariati», da «governi corrotti, venduti alle potenze imperialiste». La misa campesina nicaragüense, composta da Carlos Mejía Godoy nel 1975, durante la dittatura di Anastasio Somoza, su ispirazione di p. Ernesto Cardenal (monaco poeta e poi ministro della Cultura del governo sandinista), è considerata da Montserrat Galí Boadella, docente dell’Istituto di scienze sociali e umane dell’Università autonoma di Puebla, «la musica più rappresentativa della teologia della liberazione» e da Scruggs «una delle opere creative più importanti della seconda metà del XX secolo in America Latina e nei Caraibi», poiché l’inculturazione vi è data non solo da strumenti (violini, chitarre, timpani ecc.) e ritmi locali (mazurca, «son de toro» ecc.), ma dal linguaggio quotidiano, con le espressioni gergali (come il «vos os» invece del «tu eres») e la spagnolizzazione di vocaboli anglosassoni (per esempio «chequeando» da «to check»), dai riferimenti alla flora e alla fauna del paese, come pure a città e villaggi (Siuna, Jalapa ecc.) nonché a nomi e nomignoli di persone comuni (Eusebio, Chenta ecc.), mentre i canti, secondo i teologi della liberazione p. José Maria Vigil e p. Angel Torrellas, «distruggono l’universalità astratta di chi vuole nascondere le contraddizioni sociali ricoprendo oppressori e oppressi sotto il manto di una fittizia fraternità eucaristica». La missa da terra sem males e la missa dos quilombos, composte rispettivamente nel 1979 e nel 1981 dal poeta Pedro Tierra e da mons. Pedro Casaldáliga, vescovo della prelatura aposto- IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2011 745 lica di São Felix do Araguaja, in Brasile, evocano l’una il genocidio degli indigeni compiuto dai «cristianissimi colonizzatori occidentali» e l’utopia della «terra senza mali» della cultura guaraní, dando spazio alla memoria penitenziale degli eredi dei conquistadores, l’altra il dramma della schiavitù e la speranza di emancipazione del popolo nero radicata nella storia ribelle degli schiavi fuggiti dalle piantagioni per costituire comunità-rifugio (i quilombos) e nella prospettiva di uno stile liturgico nero, con danze afro, abiti conformi all’estetica nera, memoria degli antenati. La misa popular salvadoreña, terminata nel 1980 da Guillermo Cuellar, celebra l’incontro dei poveri coscientizzati e organizzati col Dio che «non sopporta un nuovo faraone e comanda a tutto il popolo di realizzare la propria liberazione», trasformando «questo mondo in una tavola di uguali, lavorando e lottando insieme, condividendo la proprietà»; dello stesso autore, ma di vent’anni dopo, è la misa mesoamericana, che nel contesto sociopolitico non più caratterizzato dalla repressione militare, a cura di Roberto Reggi Profeti Traduzione interlineare in italiano D ei diciotto libri profetici, il volume offre il testo ebraico, la traduzione interlineare in italiano (da destra a sinistra, seguendo la direzione dell’ebraico) e il testo della Bibbia CEI (a piè di pagina, con a margine i passi paralleli). Non si tratta di una ‘traduzione’, ma di un ‘aiuto alla traduzione’: un utile strumento di sostegno per affrontare le difficoltà dell’ebraico e introdursi nel testo biblico in lingua originale. pp. 624 - € 35,00 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 743-746_articolo america latina:Layout 2 22-12-2011 ma dall’esclusione provocata dal neoliberismo, rappresenta Cristo col volto delle varie etnie indigene della regione (miskito, chorti, lenca ecc.), della bambina di strada che vende chewing-gum e del ragazzino che sniffa colla, dell’emigrante che attraversa la frontiera illegalmente e dell’operaia di una maquiladora (le fabbriche di assemblaggio a capitale statunitense o asiatico; ndr). Nella misa colombiana Alfonso Franco nel 1987 cerca di «esprimere poeticamente e musicalmente l’esperienza di fede nel Dio della vita e della giustizia», nel mezzo della crisi politica e sociale manifestatasi nel 1985 col massacro di 95 persone durante l’irruzione dell’esercito nel Palazzo di giustizia di Bogotà occupato da guerriglieri del Movimento 19 aprile (M-19) e con la morte di 25.000 persone a causa dell’eruzione del Nevado del Ruiz, per cui al Signore si chiede perdono «per il sangue sparso, i tanti odi e le tante guerre, i rancori conservati, le aspre divisioni che distruggono l’unità». La misa tica, registrata nel 1989 dal gruppo Cantares coi ritmi tradizionali costaricensi per la «festa gioiosa in cui si costruisce la liberazione», invoca Gesù «amico e compagno», celebrando Dio che «ci riunisce perché cresciamo come comunità» e chiedendogli pietà «perché quando ai contadini tolgono la terra non denuncio la persecuzione». La misa de los 500 años (opera del gesuita panamense p. Néstor Jaén nel V centenario della scoperta-conquista dell’America), raccoglie ritmi di tutto il continente, con un importante apporto caraibico, per «riunire popoli fratelli che l’egoismo divise» e «presentare le nostre culture, i nostri conflitti, sete di giustizia e libertà» al Dio «creatore di questa terra americana», il quale non vuole «le oscure nubi che vengono dal Nord, relazioni inique di oppressione, ma giorni brillanti di giustizia, quando arrivi alla nostra patria grande la liberazione»; la misa afro, prodotta dai missionari afroecuadoregni di Guayaquil, tra danze e strumenti africani, chiede al «Cristo negro» di accogliere «questo popolo nero che vive nell’oppressione», ma vuole «riscattare l’identità nera cancellata dal passato»; la misa Pacha mama, eseguita nel 2004 dai Los Kusis de Bolivia mescolando spagnolo e quechua, forza i testi canonici dando loro una tonalità in- 746 IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2011 18:45 Pagina 746 digena, che enfatizza la dimensione femminile del divino, la coscienza degli sfruttati e l’armonia con la terra. I contenuti di queste messe seguono l’evoluzione della riflessione teologica ispirata alla liberazione, allargatasi alle culture e a nuovi soggetti sociali: così, se nella misa campesina nicaragüense si invoca «il Dio umano e semplice, il Dio che suda per la strada, il Dio dal volto bruciato dal sole, il Dio operaio», la missa da terra sem males si celebra «nel nome del Padre di tutte le genti, Maíra (il maestro ancestrale dei riti guaranì; ndr) di tutto, eccelso Tupá (il dio del tuono nella cultura indigena; ndr)» e la missa dos quilombos «nel nome di Dio di tutti i nomi: YHWH, Obatalá, Olorum, Oio (i tre nomi della divinità creatrice delle religioni afrobrasiliane; ndr)», mentre nella misa Pacha mama si chiede a «Dio madre, pane per i poveri» e a «Dio Padre, Dio Sole, libertà per gli oppressi e rispetto per la natura». Liturgia in conf lit to Soprattutto la produzione musicale «sociale» è stata oggetto di polemica nella Chiesa. Esemplare, in tal senso, l’opposto giudizio di due teologi benedettini brasiliani: secondo dom Estevão Bettencourt, la missa dos quilombos costituisce «un infelice tentativo di inculturazione che ricorda le feste folkloristiche popolari associate al carnevale e ai culti non cristiani», mentre per p. Marcelo Barros «la missa da terra sem males non è ancora una messa “della” terra senza mali, ma una messa “sulla” terra senza mali. Il bellissimo testo e le melodie di origine indigena si sono limitate a introdurre nella celebrazione ufficiale il tema e il ricordo della vita e della morte degli indios». La critica di fondo è quella espressa, per esempio, dalla sociologa conservatrice nicaraguense Elida Solorzano, secondo cui la misa campesina nicaragüense è «eretica» perché «presenta un Cristo rivoluzionario, che si oppone ai ricchi e fa causa comune con gli oppressi», una posizione «impossibile da conciliare con l’autentico significato del messaggio del Vangelo che san Giovanni sintetizza quando dice: “Dio è amore”». Perciò essa è stata proibita nel 1976 dalla Conferenza episcopale del Nicaragua e nel 1989 la Congregazione per il culto divino ha ribadito il divieto di usarla (come la precedente misa popular nicaragüense e la successiva misa popular salvadoreña) negli atti liturgici, così come aveva fatto 7 anni prima con la missa da terra sem males e missa dos quilombos, sottolineando che «la celebrazione dell’eucaristia è soltanto memoriale della morte e risurrezione del Signore, e non già rivendicazione di qualsiasi gruppo umano o razziale». L’opposizione a queste forme liturgiche non è stata minore in ambito civile e politico, con punte di vera e propria repressione. Racconta p. Ronal Vargas, direttore della Pastorale sociale-Caritas della diocesi di Tilaran, in Costa Rica, che quando era novizio salesiano in Guatemala, negli anni Ottanta, «il regime militare accusava chi ascoltava o promuoveva questa musica di essere comunista e guerrigliero. Non pochi miei amici furono fucilati senza processo per questa simpatia artistica o ideologica». Mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, nell’ultima omelia pronunciata nella cattedrale, il 23 marzo 1980, il giorno prima del suo assassinio, elogiava la misa popular salvadoreña, che debuttò proprio al funerale del primate. Subito dopo il gruppo YolocambaItá, che l’aveva musicata insieme a Cuellar, dovette andare in esilio in Messico. Emblematica è la vicenda della misa para el tercer mundo, composta nel 1974 dal prete bonaerense Carlos Mugica, uno dei leader del Movimento dei sacerdoti per il terzo mondo. Quando la RCA stava per pubblicare il disco, l’Alleanza anticomunista argentina (la Tripla A), lo «squadrone della morte» dell’estrema destra peronista, lo uccise l’11 maggio 1974. Pochi giorni dopo il ministro dell’Interno, Alberto Rocamora, ordinò alla casa discografica di distruggere il vinile, ma un funzionario ne salvò tre copie, due delle quali furono vendute dalla vedova alla sua morte. Dopo il ritorno della democrazia, a diversi esponenti governativi fu proposto di pubblicare il disco, ma nessuna risposta arrivò. E dopo che nel 2007 la Sony-BMG, cui sembrerebbero appartenere i diritti, ha annunciato la decisione di stamparla, senza però che sia seguita l’effettiva messa in vendita, uno degli acquirenti del vinile lo ha reso disponibile su Internet. Mauro Castagnaro