Sent. Corte Conti Campania 305_2015 divieto di cumulo

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Sent. Corte Conti Campania 305_2015 divieto di cumulo
Corte dei conti
SEZIONE
CAMPANIA ESITO
SENTENZA
NUMERO
305
ANNO
2015
MATERIA
PUBBLICAZIONE
RESPONSABILITA'
30/03/2015
Sentenza
305/2015
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI
CONTI
SEZIONE
GIURISDIZIONALE PER LA CAMPANIA
composta dai seguenti magistrati:
dott. Fiorenzo SANTORO Presidente
dott. Rossella CASSANETI Consigliere relatore dott. Nicola RUGGIERO I
Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n° 65588 del registro di Segreteria, instaurato a istanza della
Procura
Regionale della Corte dei Conti per la Regione Campania nei confronti
dei signori:
1. Federico ALVINO, nato a Napoli il
09-03-1969 ed ivi residente alla via Giovanni Nicotera n. 10,
rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione in giudizio,
dagli avvocati
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
Carlo Grasso e Stefano Patti ed unitamente ad essi elettivamente
domiciliato presso lo studio del primo in
Napoli alla via Depretis n. 62;
2. Stefano AVERSA, nato a Napoli il
28-04-1960 ed ivi residente alla via Partenope n. 1, rappresentato e
difeso, giusta mandato a
margine della memoria di costituzione in giudizio, dagli avvocati Mario D'Urso
e
Franco Morena ed unitamente ad essi elettivamente domiciliato presso lo
studio dell'avv. Rosa Leggio in Napoli
alla via Monteoliveto n. 86;
3. Guido BENASSAI, nato a Napoli il
11-04-1962 ed ivi residente alla via Luigi Caldieri n. 91,
rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio,
dagli avvocati
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Sergio Como e Giuseppe Sartorio ed unitamente ad essi
elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in
Napoli al viale A,
Gramsci n. 16
4. Alberto CAROTENUTO, nato a Napoli il 01-061957 ed ivi residente
alla via Francesco Crispi n. 131,
rappresentato e difeso, giusta mandato a
margine della memoria di costituzione in giudizio, dagli avvocati
Paolo Vosa,
Giuliana Vosa e Claudia Mensiteri ed elettivamente domiciliato presso il loro
studio in Napoli alla
via G. Fiorelli n. 14;
5. Lino CINQUINI, nato a Viareggio (LU)
il 20-07-1961 e residente in Massarosa (LU) al Piano Conca Via
Natalino n. 420,
rappresentato e difeso, giusta delega in calce alla memoria di costituzione in
giudizio, dagli
avvocati Dainora Poletti e Biagio Grasso ed unitamente ad essi
elettivamente domiciliato presso lo studio di
quest'ultimo in Napoli alla via
dei Mille n. 40;
6. Roberto DE CICCO, nato a Milano il 07-08-
1947 ed ivi residente alla via San Gimignano n. 12,
rappresentato e difeso,
giusta mandato a margine della comparsa di costituzione in giudizio, dall'avv.
Giuseppe Franco Ferrari ed unitamente a questi elettivamente domiciliato presso
lo studio dell'avv. Bruno
Ricciardelli in Napoli alla piazza G. Bovio n. 8;
7. Gennaro FERRARA, nato a Napoli il 07-08-
1937 e residente in Nola (NA) alla via Circumvallazione n.
310, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio,
dagli
avvocati Riccardo Marone e Alessandra Fucci ed unitamente ad essi
elettivamente domiciliato presso lo studio
del primo in Napoli alla via Cesario
Console n. 3;
8. Rodolfo Maria A. NAPOLI, nato a
Potenza il 31-03-1943 e residente in Furore (SA) alla via Crevano n.
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
9,
rappresentato e difeso, giusta mandato a margine della memoria difensiva di
costituzione in giudizio,
dall'avv. Domenico Sabia e con questi elettivamente
domiciliato presso lo Studio Cosenza in Napoli al corso
Vittorio Emanuele n.
715;
9. Claudio PORZIO, nato a Napoli il 06-04
1957 ed ivi residente alla via G. Martucci n. 72, rappresentato
e difeso,
giusta procura a margine della memoria difensiva di costituzione in giudizio,
dall'avv. Sergio Como ed
elettivamente domiciliato presso il suo studio in
Napoli al viale A. Gramsci n. 16;
10. Vincenzo SANGUIGNI, nato a Roma il 13-01-1967
ed ivi residente alla via Luigi Gallo n. 15,
rappresentato e difeso, giusta
mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall'avv. Luigi
Adinolfi e con questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv.
Stefano Caserta in Napoli al Parco
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Margherita n. 34;
VISTO l’atto di
citazione della Procura Regionale depositato presso questa Sezione
Giurisdizionale il 04-122012;
VISTE le memorie di costituzione depositate presso la
Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale dalle difese
dei convenuti;
VISTI gli atti
di giudizio;
CHIAMATA la causa
nella pubblica udienza del giorno 16 ottobre 2014, con l’assistenza del
segretario dott.
Alfonso Pignataro, sentiti il relatore consigliere Rossella
Cassaneti, il rappresentante del pubblico ministero in
persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Marco Catalano e gli avvocati Luigi Adinolfi, Carlo
Grasso,
Mario D'Urso, Sergio Como, Paolo Vosa, Dainora Poletti,
Giuseppe Franco Ferrari, Gherardo Marone (presente
per delega orale dell'avv.
Riccardo Marone) e Domenico Sabia;
Ritenuto in
FATTO
Con citazione depositata presso questa Sezione Giurisdizionale il
04-12-2012 la Procura Regionale ha evocato
in giudizio i signori Federico
ALVINO, Stefano AVERSA, Guido BENASSAI, Alberto CAROTENUTO, Lino
CINQUINI,
Roberto DE CICCO, Gennaro FERRARA, Rodolfo Maria NAPOLI, Claudio PORZIO e
Vincenzo
SANGUIGNI, per sentirli condannare al risarcimento del danno a favore
dell’ Università degli Studi di Napoli
“Parthenope” per i seguenti importi, con
l'aggiunta di interessi legali, rivalutazione monetaria e spese di
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
giustizia: €
91.760,29 a carico di Federico ALVINO (€ 73.888,35 a titolo di erogazioni
stipendiali indebite dal
2003 al 2007 ed € 17.871,94 a titolo di indennità di
carica e di incentivazione alla didattica percepite); €
81.065,97 a carico di
Stefano AVERSA (€ 68.652,84 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2003 al 2007
ed € 12.413,13 per indennità di carica e di incentivazione alla
didattica percepite); € 56.761,36 a carico Guido
BENASSAI a titolo di indebite
erogazioni stipendiali dal 2003 al 2007; € 122.060,29 a carico di Alberto
CAROTENUTO (€ 82.197,18 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2004 al
2007 ed € 39.863,11 a titolo
di indennità di carica); € 30.178,24 a carico di
Lino CINQUINI a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2003 al 2004; € 32.396,25 a carico di Roberto DE CICCO
a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2005 al 2007; € 438.477,30 a carico di Gennaro FERRARA
(€ 114.488,97 a titolo di erogazioni stipendiali
indebite dal 2003 al 2007 ed €
323.983,33 a titolo di indennità di Rettore); € 122.321,91 a carico di Rodolfo
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Maria A. NAPOLI (€ 114.488,97 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2003 al 2007 ed € 7.832,94 a
titolo di incentivazione alla didattica); €
119.010,32 a carico di Claudio PORZIO (€ 92.661,93 titolo di
erogazioni
stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed € 26.348,39 a titolo di indennità di
carica); € 43.582,50 a
carico di Vincenzo SANGUIGNI a titolo di erogazioni
stipendiali indebite dal 2005 al 2007.
Il requirente, dopo aver esposto di aver conferito delega d'indagine al
competente Nucleo GdF a seguito di
specifica segnalazione dell’esercizio di
attività incompatibili con l’espletamento della funzione di professore a
tempo
pieno da parte del Rettore pro-tempore dell’ Università degli Studi di Napoli
“Parthenope” e di altri
docenti presso il medesimo Ateneo, ha rilevato che i
convenuti sono risultati, proprio a seguito di tale
complessa attività
istruttoria, aver esercitato attività in regime di partita IVA, incompatibili
con la manifestata
opzione per la docenza a tempo pieno, in contrasto con le
disposizioni contenute nell'art. 11 D.P.R. 11-071980 n. 382 (vigente
precedentemente alla riforma intervenuta con la
legge 30-12-2010 n. 240).
Il danno contestato ai convenuti riguarda, per il quinquennio di
riferimento (2003/2007), tre diverse partite di
danno, vale a dire: a) differenza
fra le somme percepite a titolo stipendiale nella loro qualità di docenti a
tempo pieno rispetto a quelle che sarebbero loro spettate a titolo di docenti a
tempo definito; b) somme
percepite da alcuni dei predetti convenuti a titolo di
indennità di carica per le qualifiche istituzionali rivestite
all’interno degli
organi accademici, il cui presupposto è proprio lo svolgimento delle funzioni
di docente a
tempo pieno, la cui sostanziale inosservanza induce l'illiceità
della percezione anche delle indennità di carica
correlate all’esercizio delle
funzioni di Rettore, Prorettore, Preside, membro del Consiglio di amministrazione,
direttore di dipartimento, direttore di corsi di dottorato di ricerca; c) somme
percepite da alcuni convenuti a
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
titolo di incentivazione dell’impegno
didattico, prevista dall’art. 4 legge 19-10-1999 n. 370, prevedente la
possibilità per le Università di erogare “compensi
incentivanti l’impegno didattico ai professori e ricercatori che
optano per il
tempo pieno e che non svolgono attività didattica comunque retribuita presso
altre Università od
istituzioni pubbliche e private".
Nell'atto introduttivo del giudizio si chiarisce, altresì, che
l'assoluto divieto all’esercizio del commercio,
dell’industria e di alcun’altra
professione imposto nel caso di opzione per la docenza a tempo pieno
chiaramente deducibile dal combinato disposto degli artt. 60 D.P.R. n. 3/1957,
11 D.P.R. n. 382/1980 (citato
in precedenza) e 53, comma 7°, d.lgs. n.
165/2001, implica l'irrilevanza delle autorizzazioni all'esercizio delle
attività svolte dai convenuti in regime di partita IVA, rilasciate in alcuni
casi. Si precisa, in proposito, che
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taluni incarichi, pur se astrattamente autorizzabili
o addirittura non abbisognevoli di alcuna autorizzazione,
sarebbero comunque
incompatibili con il regime di professore universitario a tempo pieno qualora
fossero
svolti nell’ambito dell’espletamento di un’attività professionale.
Il requirente ha evidenziato, ancora, che oggetto dell'odierna
contestazione non è certamente la mera tenuta
di partita IVA -che ha
rappresentato unicamente un elemento sintomatico dell'esercizio di attività
professionale da parte dei convenuti- ma lo svolgimento di attività
professionali con carattere di continuità e
mediante una stabile organizzazione
professionale.
Nell'atto introduttivo del giudizio, dunque, si provvede a descrivere la
singola posizione di ciascun convenuto.
Per Federico ALVINO si sottolinea come egli abbia continuativamente e
stabilmente svolto per tutto il periodo
riferimento, tranne che nell'anno 2004,
attività di “consulenza amministrativo-gestionale e pianificazione
aziendale”,
incompatibile con il regime del tempo pieno per il quale aveva optato,
percependo indebitamente
anche l'incentivazione didattica di cui all’art. 4
legge 19-10-1999 n. 370. Per Stefano AVERSA è emersa secondo la prospettazione
attorea- una analoga situazione di esercizio di attività professionale stabile
e
continuativa incompatibile con il regime di docenza a tempo pieno, così come
per Guido BENASSAI, Alberto
CAROTENUTO, Rodolfo Maria A. NAPOLI, Roberto DE
CICCO -per il quale peraltro il comportamento illecito è
riferibile soltanto al
periodo 2005/2007 ed ha avuto dimensioni considerevolmente inferiori rispetto a
quanto
emerso per i convenuti precedentemente indicati- e Lino CINQUINI -per il
quale sono state formulate
considerazioni analoghe a quelle riguardanti Roberto
DE CICCO ed è stata rilevata attività non consentita
soltanto per il biennio
2003/2004. La posizione di Gennaro FERRARA, Rettore pro tempore dell’ Università
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
"Parthenope", è stata ritenuta particolarmente grave in
considerazione degli elevatissimi redditi derivati
dall’attività professionale
esercitata e degli altrettanto elevatissimi costi e spese effettuati in ragione
di tale
attività. Analogamente, la posizione di Claudio PORZIO è stata valutata
dal requirente come particolarmente
grave, in considerazione dell'abitualità e
delle ampie dimensioni dell'attività professionale da lui svolta, nonché
dell'assunzione di un incarico lautamente retribuito nel CdA della società
privata Vertis s.p.a., "del tutto
incompatibile, non autorizzabile in astratto ed espressamente vietata dalla
legge". Infine, per Vincenzo
SANGUIGNI si pone semplicemente in rilievo che egli ha "per sua stessa ammissione continuativamente svolto
l’attività
libero-professionale per tutto il periodo in considerazione".
Argomentando ancora sulla sussistenza del pregiudizio patrimoniale
subito dall' Università "Parthenope" in
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relazione agli illeciti
suindicati, il requirente ha evidenziato che lo specifico regime delle compatibilità dettato
per i docenti
universitari e i benefici economici riconosciuti al tempo pieno esclude la
valutabilità, a fini
scriminanti, del corretto adempimento -dedotto dagli
odierni convenuti nella fase istruttoria del presente
procedimento- degli
obblighi legati alla propria attività d'insegnamento mediante il regolare
svolgimento delle
ore di didattica previste dallo status lavorativo di ciascuno
e della prestabilita attività scientifica.
Dopo aver citato taluni precedenti giurisprudenziali ritenuti di particolare
ausilio nel descrivere i caratteri
d'illiceità rilevati nella vicenda qui
esaminata, la P.R. ha osservato, in punto di elemento soggettivo, che "i
convenuti, omettendo volontariamente
ogni comunicazione in ordine alla loro posizione fiscale ed
all’espletamento
dell’attività professionale all’amministrazione danneggiata, pur essendo
pienamente a
conoscenza dei vincoli e delle preclusioni che il regime di
docenti a tempo pieno imponeva loro, abbiano
occultato e cagionato con dolo,
nella forma del dolo civile contrattuale, un danno erariale nei confronti
dell’
Università degli Studi di Napoli 'Parthenope'", nocumento che è stato
quantificato negli importi indicati in
precedenza.
Tutti i convenuti si sono costituiti in giudizio, con l'assistenza dei
difensori all'uopo incaricati, formulando, in via
pregiudiziale, le seguenti
eccezioni: difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla
(presunta)
violazione dell'obbligo di esclusività della prestazione lavorativa
conseguente allo svolgimento non autorizzato
di incarichi retribuiti da parte
del dipendente pubblico (Stefano AVERSA); inammissibilità dell'atto di citazione
per violazione del termine di 120 giorni prescritto ex lege per il deposito
dell'atto medesimo (Federico ALVINO,
che deduce l'individuazione del dies a quo
con riferimento alla data di notifica di ciascun invito a dedurre e
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
l'irrilevanza dell'ordinanza di proroga n. 16/2012 in quanto emessa a termine
già scaduto e non allegata agli
atti di causa; Roberto DE CICCO e Lino CINQUINI,
che evidenziano la mancata comunicazione alle parti di tale
ultima ordinanza
con conseguente preclusione dell'attività d'impugnazione del medesimo
provvedimento);
nullità dell'atto introduttivo del giudizio "ai sensi dell'art. 164 c.p.c. in
quanto privo dell'avvertimento
espressamente previsto come obbligatorio dal n.
7) dell'art. 163 c.p.c." (Federico ALVINO) e, comunque, per
genericità
ed indeterminatezza (Lino CINQUINI); inammissibilità dell'atto di citazione per
la genericità
dell'invito a dedurre notificatogli nella fase pre-processuale (Guido
BENASSAI; Claudio PORZIO) e per la
formulazione di domanda nuova nell'atto di
citazione rispetto ad esso (Guido BENASSAI; Gennaro FERRARA);
nullità dell'atto
di citazione e degli atti istruttori ai sensi dell'art. 17, comma 30 ter, D.L.
n. 78/2009 (Gennaro
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FERRARA; Stefano AVERSA); inammissibilità dell'atto
introduttivo del giudizio per mancata preventiva vocatio
in ius del soggetto
erogante gli emolumenti contestati, ovvero dell' Università "Parthenope", come richiesto
dall'art. 53, comma 7°, d.lgs. 165/2001
(Federico ALVINO).
In via preliminare di merito, tutti hanno eccepito la prescrizione
dell'azione di responsabilità amministrativocontabile esercitata nei loro
confronti dalla P.R., rilevando, in proposito, che la pretesa risarcitoria in
essa
dedotta fa riferimento a quanto percepito dai convenuti nel periodo
2003/2007, laddove la notifica degli inviti
a dedurre è avvenuta sul finire
dell'anno 2011/inizio dell'anno 2012 senza essere preceduta da ulteriori atti
interruttivi del termine de quo e non si versa in un'ipotesi di occultamento
doloso del danno (Federico ALVINO,
Guido BENASSAI, Gennaro FERRARA, Claudio
PORZIO, Roberto DE CICCO, Lino CINQUINI, Alberto
CAROTENUTO, Stefano AVERSA e
Rodolfo Maria A. NAPOLI), nonché per aver fatto fronte con le somme de
quibus
alle proprie necessità di vita (Vincenzo SANGUIGNI).
Sempre in via preliminare di merito, Vincenzo SANGUIGNI ha fatto istanza
di sospensione del presente giudizio
in attesa dell'esito di quello in corso
innanzi al Consiglio di Stato a seguito dell'impugnazione della sentenza n.
775/2014 del TAR Campania emessa in riferimento alla pretesa di rifusione
dell'indebito, derivato dalla
vicenda esaminata anche nella presente sede
contabile, avanzata dall' Università "Parthenope".
Ancora sotto l'aspetto preliminare di merito, Federico ALVINO ha fatto
istanza istruttoria di acquisizione di CTU
tecnico-contabile intesa alla
corretta individuazione e quantificazione del danno contestatogli.
Nel merito, Federico ALVINO ha dedotto che tutte le attività da lui
svolte al di fuori della docenza a tempo
pieno negli anni 2003, 2005, 2006 e
2007 -che il convenuto ha provveduto ad elencare e documentare
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dettagliatamente- sono avvenute su autorizzazione o addirittura su designazione
dello stesso Ateneo di
appartenenza, dunque sono consistite in attività di
carattere didattico e scientifico strettamente connesse alla
sua funzione di
docente universitario, cui non è conseguita l'emissione di alcuna fattura e,
pertanto, si sono
svolte in piena conformità al dettato normativo; ALVINO ha
negato, sul punto, che la titolarità di partita IVA
possa costituire di per sé
sicuro indizio o motivo di esercizio di attività libero-professionale,
trattandosi, in
realtà, di semplice adempimento di natura fiscale richiesto
ogni volta che l'importo annuo delle prestazioni
professionali eccede i 5000,00
€. Il convenuto ha rilevato, altresì, che il mancato esercizio di tali attività
nell'anno 2003 contribuisce a smentire l'assunto attoreo secondo cui esse
avrebbero avuto luogo con
continuità e sulla base di stabile organizzazione;
l'esistenza di quest'ultima caratteristica, in particolare, viene
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negata da
Federico ALVINO con l'ausilio della descrizione di tutte le fatture pagate
negli anni in considerazione
-a suo avviso da esaminare in luogo della
dichiarazione dei redditi onde avere la corretta descrizione dei fatti
che sarebbe
difettata nell'indagine svolta dalla P.R.- da cui dovrebbe desumersi che si è
sempre trattato di
acquisti di beni e servizi di natura e per uso personale e
solo molto occasionalmente di pagamenti di
prestazioni professionali, svolte in
assenza di rapporto di lavoro subordinato e, comunque, acquisite a
supporto
dell'attività didattica del prof. ALVINO proprio a testimonianza del fatto che
egli non disponeva di una
struttura stabilmente organizzata per l'esercizio di
attività ulteriori. Negando, dunque, la sussistenza sia
dell'elemento oggettivo
dell'illecito contestato -anche sotto i profili del difetto di prova e
dell'errata
quantificazione del presunto pregiudizio economico- e sia
dell'elemento soggettivo dell'illecito medesimo -per
essere stata ogni attività
svolta in piena buona fede- ha concluso per il proscioglimento da ogni
addebito.
Vincenzo SANGUIGNI ha chiesto il rigetto della domanda attorea formulata
nei suoi confronti, non negando
l'illiceità dell'attività libero-professionale
da lui notoriamente svolta mentre ricopriva l'incarico di docente a
tempo pieno
per l' Università "Parthenope", ma ponendo in risalto la mancanza, nel
suo caso, dell'elemento
soggettivo dell'illecito, testimoniata dal fatto che
l'esercizio dell'attività incompatibile avveniva in assoluta
trasparenza ed
evidenza.
Guido BENASSAI ha evidenziato, con l'ausilio della documentazione
allegata alla memoria difensiva, che la sua
posizione si presta senz'altro al
completo proscioglimento, in quanto gli incarichi da lui svolti erano, per
ammissione dello stesso Ateneo di appartenenza, tutti astrattamente
autorizzabili in quanto compatibili con il
tempo pieno -salvo poi ricevere
provvedimento di censura impugnato con ricorso al TAR perché basato
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
sull'erroneo presupposto della mancanza delle prescritte autorizzazioni- ed
erano stati, altresì, tutti portati dal
prof. BENASSAI a conoscenza degli
organi universitari preposti al rilascio di tali autorizzazioni, la cui
mancanza in alcuni casi è da addebitare, dunque, allo stesso Ateneo. Il convenuto
ha rilevato, inoltre, che
devesi tenere conto dei cospicui vantaggi ottenuti
dall' università "Parthenope", in termini di finanziamento
delle
attività scientifiche e didattiche svolte dallo stesso BENASSAI in ambito
universitario -appunto- proprio
grazie all'attività libero-professionale da lui
esercitata, vantaggi quantificabili in € 155.000,00 circa, ovvero in
un importo
pari al triplo di quello che egli dovrebbe risarcire secondo la prospettazione
del requirente. Guido
BENASSAI ha sottolineato, infine, che l'impegno da lui
profuso ed i risultati conseguiti in relazione all'attività di
docenza a tempo
pieno sono stati espressamente riconosciuti dagli organi apicali dell'Ateneo de
quo.
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Gennaro FERRARA ha rilevato, a sostegno della sua istanza di
proscioglimento dall'addebito contestatogli, che:
tutte le attività da lui
svolte "sono state preventivamente
autorizzate e rientrano sicuramente nella previsione
dell'art. 11, comma 5,
lett. a e b perché tutte sono state svolte nell'interesse di enti pubblici
territoriali o di
ricerca o per conto dell'amministrazione dello Stato o
riguardano lo svolgimento di attività didattiche,
compresa la partecipazione a
corsi di aggiornamento professionale, svolte in concorso con enti
pubblici"; il
conferimento delle autorizzazioni all'esercizio delle
attività de quo da parte dell'Ateneo, non può essere
assoggettato al sindacato
giurisdizionale contabile, visto quanto disposto dall'art. 1, comma 1°, legge
n.
20/1994; la titolarità di partita IVA non indica di per sé l'esercizio di
attività professionale e non è certamente
preclusa ai docenti a tempo pieno; la
regolarità dello svolgimento della istituzionale attività di docenza del
prof.
FERRARA non ha mai subito alcuna penalizzazione, come testimoniato dal rilascio
delle prescritte
autorizzazioni da parte del Consiglio di Facoltà.
Le ultime due argomentazioni esposte dal FERRARA, di cui alla sintesi
qui riportata, sono state prospettate
anche da Claudio PORZIO, il quale ha
rilevato, altresì, che il modulo di richiesta di autorizzazione allo
svolgimento degli incarichi predisposto dall' Università "Parthenope"
all'epoca dei fatti non prevedeva alcuna
dichiarazione di possesso di partita
IVA o di eventuali preclusioni/incompatibilità e che dal corretto e puntuale
esame degli atti e della documentazione fiscale emerge chiaramente che gli
incarichi da lui svolti -oltretutto
non certamente in modo continuativo ed
abituale e con l'ausilio di una stabile organizzazione- erano
regolarmente
autorizzati, del tutto compatibili con il ruolo di docente a tempo pieno, non
in conflitto d'interessi
con l'Istituzione universitaria di appartenenza ed
anzi finalizzati ad adiuvarla o addirittura non abbisognevoli di
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
alcuna
autorizzazione. Inoltre, Claudio PORZIO ha sottolineato di non essere mai stato
pro-rettore e di aver
legittimamente svolto il ruolo di componente indipendente
del CdA della società Vertis s.p.a. in quanto
l'assenza di poteri gestionali
non faceva rientrare tale incarico nell'esercizio del commercio e
dell'industria.
Dopo aver negato la sussistenza dell'elemento soggettivo
dell'illecito contestato proprio in virtù della
convinzione di agire del tutto
legittimamente ed aver contestato la quantificazione del danno siccome operata
dal requirente -perché non esplicitata, non provata e presumibilmente
comprensiva anche delle ritenute
fiscali- ha rilevato la necessità di tener
conto, sotto tale ultimo profilo, dell'utilitas conseguita dall' Università
"Parthenope" per effetto dei contributi finanziari allo svolgimento
delle varie attività. Ha concluso per il
proscioglimento dall'addebito
contestatogli.
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Corte dei conti
Deduzioni e conclusioni sostanzialmente simili a quelle già sin qui
sintetizzate, hanno esposto e svolto anche
Roberto DE CICCO -che riguardo la
sua specifica posizione ha lamentato, altresì, un'ingiustificata disparità di
trattamento rispetto ai professori Giancarlo De Stefano e Maria Ferrara, la cui
situazione è del tutto simile alla
sua ma non sono stati destinatari
dell'azione di responsabilità esperita dal requirente, nonché l'aver
determinato un vantaggio per l'Erario operando la scelta di sottoporre a
fatturazione IVA i pur saltuari
incarichi svolti- Lino CINQUINI -che ha contestato
la medesima disparità di trattamento rappresentata da DE
CICCO, ha dettagliatamente
elencato le attività svolte e sottoposte a fatturazione sottolineandone la
piena
conformità alle disposizioni legislative e regolamentari poste a presidio
dell'attività di docenza a tempo pieno
ed ha citato la sentenza n. 554/2009
della Sez. I Centr. Appello sulla necessità di dimostrare la concretezza e
l'attualità del pregiudizio sì come descritto da requirente "attraverso la prova di una riscontrata
minore resa
del servizio, con abbassamento anche qualitativo delle prestazioni
lavorative"- Alberto CAROTENUTO -che ha
dettagliatamente descritto le spese indicate ai fini delle deduzioni
fiscali e quelle sostenute per acquisti di beni
e servizi nonché per
prestazioni lavorative di terzi al fine di dimostrare l'assenza dei requisiti
della continuità,
dell'abitualità e della stabilità descritti dal requirente ed
ha citato varie pronunce delle Sezioni territoriali e
centrali della Corte dei
conti- Stefano AVERSA e Rodolfo Maria A. NAPOLI. Buona parte dei convenuti ha citato, a sostegno delle proprie
argomentazioni difensive, la nota prot. n.
2013/35 del 16-01-2013 del Rettore
dell' Università "Parthenope" prof. Claudio Quintano in cui si
manifesta
l'opinione secondo cui gli emolumenti corrisposti ai docenti, oggetto
dell'attività istruttoria della P.R.,
"risultano
essere il frutto di attività che, sebbene non riconducibili ai doveri
d'ufficio, sono considerati dalla
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
normativa in materia come liberamente
esercitabili anche dai professori universitari a tempo pieno", nonché
il
parere C.U.N. n. 344 del 11-02-2010, in cui si esclude che la sola
titolarità di partita IVA implichi di per sé una
situazione d'incompatibilità
con la posizione di docente universitario a tempo pieno; inoltre, si è rilevato
come
le spese portate in detrazione siano state di ammontare ben inferiore al
37% dei proventi indicato ex lege per
gli studi professionali.
Tutti hanno richiesto, pur se in mero subordine, che si faccia la più
ampia applicazione del potere riduttivo
dell'addebito, tenendo conto delle
circostanze concrete in cui si sono svolti i fatti oggetto del giudizio. Nella pubblica udienza odierna il PM ha integralmente confermato l'atto
introduttivo del giudizio, con l'ausilio
delle seguenti osservazioni: la
sussistenza della giurisdizione contabile sulla fattispecie descritta nell'atto
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Corte dei conti
medesimo, è stata chiarita, senza ombra di dubbio, dalle disposizioni contenute
nei commi 7 e 7 bis dell'art.
53 d.lgs. 165/2001, introdotte successivamente
all'instaurazione del giudizio; l'ordinanza di proroga del
termine per il
deposito dell'atto di citazione, emessa nel corso della fase pre-processuale,
costituisce atto
endoprocedimentale, che in quanto tale non necessita di
notifica alle parti private e, comunque, sarebbe stata
reclamabile da queste
ultime una volta avutane conoscenza con la notifica dell'atto di citazione, nel
quale se
ne fa espressa menzione; l'art. 163, n. 7), c.p.c., non rientra fra le
disposizioni del codice di procedura civile
applicabili al processo contabile,
di modo che la mancanza dell'indicazione ivi fornita nell'atto di citazione non
ne determina affatto la nullità; in punto di prescrizione, l'infondatezza della
relativa eccezione emerge dal
fatto che si versa senz'altro in una fattispecie
di occultamento doloso del danno -che fissa il dies a quo nel
momento della
scoperta dell'illecito- in quanto i convenuti hanno consapevolmente taciuto
determinate e
rilevanti circostanze, ovvero l'esercizio di attività
libero-professionale incompatibile con il regime della docenza
a tempo pieno;
nel merito, l'invocazione della condizione soggettiva della buona fede è
destituita di
fondamento, ove si consideri che si tratta di docenti universitari,
la cui specifica preparazione tecnica
impedisce di ipotizzare che essi non
fossero consapevoli dell'illiceità della loro condotta, mentre per ciò che
concerne la titolarità di partita IVA, di per sé sicuramente neutra, comunque
si colora quando -come nella
vicenda in esame- è collegata alla produzione di
reddito.
Gli avvocati presenti -Luigi Adinolfi, Carlo Grasso, Mario D'Urso,
Sergio Como, Paolo Vosa, Dainora Poletti,
Giuseppe Franco Ferrari,
Gherardo Marone (presente per delega orale dell'avv. Riccardo Marone) e
Domenico
Sabia- hanno tutti sinteticamente richiamato le
deduzioni versate nelle rispettive memorie, confermandone le
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
conclusioni, sia
in via pregiudiziale e sia nel merito, per poi svolgere talune precisazioni. In
particolare, l'avv.
Carlo Grasso ha sottolineato come la sussistenza
dell'elemento soggettivo del dolo sia chiaramente smentita
dal fatto che gli
incarichi svolti dal suo assistito (Federico ALVINO) avevano luogo quasi
esclusivamente su
designazione dello stesso Ateneo e che le voci componenti il
presunto danno erariale non sono state oggetto di
alcuna specificazione da
parte del requirente, con ciò, da un lato determinando la compromissione delle
possibilità di difesa del convenuto e, dall'altro lato, richiedendo un approfondimento
istruttorio finalizzato a
chiarire tale aspetto. L'avv. Mario D'URSO ha
rimarcato, in primo luogo, che la mancata indicazione nell'atto di
citazione del
titolo da cui deriverebbe a carico di Stefano AVERSA il danno erariale di €
12.413,13 (che
unitamente alla somma di € 68.652,84 percepita per erogazioni
stipendiali indebite dal 2003 al 2007 darebbe
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Corte dei conti
luogo all'importo totale
addebitatogli di € 81.065,97) importa rinuncia implicita della P.R. all'azione
per la
suddetta somma e, in secondo luogo, che la mancanza del contestato
elemento soggettivo del dolo sarebbe
testimoniata dal proscioglimento di
Stefano AVERSA in sede disciplinare (circostanza a riprova della quale ha
depositato copia del verbale del 08-11-2013 del Collegio di Disciplina
dell'Ateneo). L'avv. Sergio Como ha
sottolineato, riguardo le posizioni di
entrambi i suoi assistiti (Guido BENASSAI e Claudio PORZIO), la
fondatezza
della sollevata eccezione di prescrizione, soprattutto in relazione al fatto
che mancava nei
convenuti l'intenzione di occultare i propri comportamenti e di
violare norme, anche perché l' Università ben
conosceva e ampiamente tollerava
lo svolgimento di incarichi professionali ulteriori rispetto alla docenza, il
che
non poteva che legittimare l'affidamento dei docenti nella liceità di essi;
riguardo la specifica posizione di
Claudio PORZIO, ne ha sottolineato la
complessità, trascurata nell'atto introduttivo del giudizio che sulla sua
descrizione si è solo brevemente soffermato e testimoniata dalla copiosa
documentazione prodotta in allegato
alla memoria difensiva, concludendo, sul
punto, con un'istanza di approfondimento istruttorio. L'avv. Paolo
Vosa ha
rappresentato l'avvenuto proscioglimento di Alberto CAROTENUTO in sede
disciplinare, a
testimonianza sia della liceità del suo comportamento e sia
della mancanza in esso di qualsiasi connotazione
dolosa; ha fatto istanza,
altresì, di stralcio della posizione del suo assistito nel caso in cui il
Collegio intenda
procedere ad approfondimento istruttorio, essendo il rinnovo dell'incarico
consolare in Giappone già
conferitogli condizionato dalla definizione del
presente giudizio. L'avv. Dainora Poletti ha a sua volta
richiamato
l'attenzione sulla mancata irrogazione di sanzioni disciplinari in danno del
suo assistito (Lino
CINQUINI), l'avv. Gherardo Marone ha ulteriormente
specificato l'eccezione di nullità degli atti istruttori in
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
relazione alla prescrizione
dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile e l'avv. Domenico Sabia
ha
posto in evidenza la buona fede di Rodolfo M. NAPOLI nello svolgimento degli
incarichi, per i quali ha sempre
presentato apposita richiesta di
autorizzazione. Considerato in
DIRITTO
A. In via del
tutto pregiudiziale, il Collegio deve procedere all’esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione
della Corte dei conti, sollevata dalla difesa di Stefano AVERSA, sotto
l'aspetto della violazione dell'obbligo di
esclusività della prestazione
lavorativa conseguente allo svolgimento non autorizzato di incarichi retribuiti
da
parte del dipendente pubblico -per la quale sussisterebbe la giurisdizione
esclusiva del G.O.- nonché
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Corte dei conti
adombrata dalla difesa di Gennaro FERRARA, sotto il
profilo della non sottoponibilità al sindacato
giurisdizionale contabile del
conferimento delle autorizzazioni all'esercizio delle attività de quo da parte
dell'Ateneo in relazione a quanto disposto dall'art. 1, comma 1°, legge n.
20/1994.
A.1. Sotto il primo
profilo, l'eccezione medesima può dirsi superata ex se, avendo l'avv. Mario
D'Urso
manifestato nel corso dell'odierna udienza la presa d'atto della
disposizione intervenuta con l'introduzione (ad
opera dell'art. 1, comma 42,
lett. d, L. 6 novembre 2012, n. 190)
del comma 7 bis nell'art. 53 d.lgs. 165/2001
-richiamata dal PM di udienza- a
tenore della quale "L'omissione del
versamento del compenso da parte del
dipendente pubblico indebito percettore
costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione
della Corte dei conti".
Sul punto, valga soltanto ricordare che il precedente comma 7 del
medesimo articolo fa esplicito riferimento ai
docenti universitari a tempo
pieno, tant'è vero che esso così dispone:
"I dipendenti pubblici non possono svolgere
incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente
autorizzati
dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione,
l'amministrazione verifica
l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di
conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari
a tempo
pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le
procedure per il rilascio
dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente
decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi
sanzioni e
ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le
prestazioni eventualmente
svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o,
in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad
incremento del fondo di
produttività o di fondi equivalenti".
Pertanto, non può revocarsi in dubbio la sussistenza della giurisdizione
contabile nella fattispecie all'esame del
Collegio, concernente appunto
-secondo la prospettazione attorea- l'esercizio di attività incompatibili con
l’espletamento della funzione di professore a tempo pieno da parte del Rettore
pro-tempore dell’ Università
degli Studi di Napoli “Parthenope” e di altri
docenti presso il medesimo Ateneo, con la conseguenza che
l'eccezione de qua
risulta, comunque, giuridicamente infondata. A.2. Sotto il
secondo profilo, va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione contabile
per insindacabilità nel
merito delle scelte discrezionali dell' Università "Parthenope", di cui all’art. 1, comma 1, Legge n. 20/1994 e
s.m.i.,
prospettata dalla difesa di Gennaro FERRARA riguardo il conferimento da parte
dell'Ateneo delle
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Corte dei conti
autorizzazioni all'esercizio di attività ulteriori e di
supporto rispetto a quella didattica.
Orbene, in disparte considerazioni circa l'evidente inconferenza
dell'eccezione in parola stante la circostanza
che oggetto delle contestazioni
del requirente contabile non sono le suddette autorizzazioni ma l'esercizio da
parte del FERRARA e di altri docenti di
attività incompatibili con il regime del tempo pieno in cui essi erano
inquadrati, valga semplicemente riportare, per statuire l'infondatezza
giuridica dell'eccezione medesima,
quanto osservato dalla Sez. II Centr.
Appello nella recente sentenza n. 374/2013:
"L’eccezione, già formulata in primo grado, è
stata respinta dai primi giudici sulla base della pacifica
giurisprudenza che
interpreta detta norma come preclusiva dell’ingerenza del giudice contabile
sulle scelte
(discrezionali ) tra diverse soluzioni possibili, ugualmente
legittime e lecite, per il perseguimento nel caso
concreto del fine pubblico
posto dalla legge (Cass. S.U. 08.03.2005 n. 4956; Corte conti, Sez. II App.
24.09.2010 n. 367).
Sul punto,
la giurisprudenza ha ripetutamente precisato che la cognizione della Corte dei
conti riguarda, in
linea di massima, anche le scelte discrezionali
dell’amministrazione, per verificare se esse siano coerenti con i
principi di
imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, o invece abbiano
comportato l’adozione
di scelte arbitrarie e diseconomiche: in particolare, è
stato pacificamente affermato che la Corte dei conti ben
può sindacare gli atti
amministrativi, senza che sia di ostacolo il divieto riguardante il merito
delle scelte
discrezionali (ex multis, cfr. Corte dei conti, Sezione I app., n.
120 del 2009; Sezione III app., 7.1.2003, n. 2
e 8.1.2003, n. 9. Cfr., inoltre,
Cassaz, SS.UU., 19.1.2001, n. 11 e 10.7.2000, n. 469). In altri termini, poiché
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ciò che distingue l’attività amministrativa discrezionale da quella vincolata è
la possibilità di scelta tra più
comportamenti leciti, in questi casi il
Giudice contabile dovrà verificare, con giudizio ex ante, se la scelta
operata
corrispondesse di per sé a criteri generali di logica e ragionevolezza (cfr.,
ex plurimis, Corte dei conti,
SS.RR., 30.9.1993, n. 904/A)".
Pertanto, anche sotto il profilo ora esaminato, l'eccezione di difetto
di giurisdizione contabile risulta priva di
pregio e va respinta.
B. Il Collegio
deve ora valutare tutte le eccezioni
d’inammissibilità/nullità dell'atto di citazione, opposte
dalle difese dei
convenuti sotto vari profili.
B.1. Un primo
profilo d’inammissibilità dell’atto de quo deriverebbe dalla violazione del
termine di 120 giorni
prescritto ex lege per il deposito dell'atto
medesimo, dedotta da Federico ALVINO, che sostiene che
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Corte dei conti
l'individuazione del
dies a quo del predetto termine debba essere riferita alla data di notifica di
ciascun invito a
dedurre e l'irrilevanza dell'ordinanza di proroga n. 16/2012
in quanto emessa a termine già scaduto e non
allegata agli atti di causa,
nonché da Roberto DE CICCO e Lino CINQUINI, che evidenziano la mancata
comunicazione alle parti di tale ultima ordinanza con conseguente illegittima preclusione
dell'attività
d'impugnazione del medesimo provvedimento.
Nel caso all'esame del Collegio, dunque, si sarebbe verificato, ad
avviso delle suindicate difese, il deposito
dell'atto introduttivo del giudizio
oltre la scadenza del termine previsto dall'art. 5, comma 1, del d.l. 15
novembre 1993 n. 453, convertito in legge 14 gennaio 1994 n. 19, come
sostituito dall'art. 1, comma 3 bis,
del
d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito
in legge 20 dicembre 1996, n. 639 (120 giorni a loro volta
decorrenti dalla
scadenza del termine assegnato nell'invito a dedurre e decorrente dalla data
della notifica di
esso per la presentazione delle controdeduzioni).
Sul punto, occorre premettere che le Sezioni Riunite della Corte dei
Conti, con orientamento che il Collegio
condivide appieno, hanno affermato che
il momento giuridicamente rilevante ai fini dell'esercizio dell'azione,
entro
la sequenza temporale imposta dal legislatore, va individuato con riferimento
alla data in cui l'atto di
citazione viene depositato presso la Segreteria
della Sezione adita, essendo questo il momento che
giuridicamente ne segna
l'”emissione” (sentenza n. 18/QM/1998 del 27 maggio-4 agosto 1998).
Con riferimento al dies a quo del predetto termine nel caso di pluralità
d'invitati, le SS.RR. di questa Corte
hanno affermato, nella sentenza n.
1/2005/QM ormai uniformemente applicata e condivisa anche dalle Corti di
merito,
che gli aspetti strutturali e di garanzia del soggetto indagato e quelli
incidenti sulla completezza della
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
fase istruttoria, potessero essere entrambi
soddisfatti attraverso l'applicazione della disposizione contenuta
nell'art. 7,
comma 3, del r.d. n. 1038 del 1933, a tenore della quale “quando nello stesso
procedimento siano
più i convenuti, vale per tutti il termine maggiore”, in
quanto norma funzionale all'esigenza di garantire, nel
solo caso di pluralità
di presunti corresponsabili del medesimo danno pubblico, esattamente
individuati
nell'invito a dedurre loro contestualmente comunicato, la
valutazione unitaria e comparata delle relative
posizioni. Per le altre
ipotesi, invece, ivi compresa quella in cui eventuali corresponsabili vengano
individuati
solo successivamente, le Sezioni Riunite hanno ritenuto di
confermare il precedente orientamento espresso
nella sentenza n. 13/2003/QM,
ovvero quello di ancorare il dies a quo del termine di centoventi giorni dalla
data di notifica di ciascun invito a dedurre.
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Corte dei conti
Orbene, nella fattispecie in esame è avvenuto che l'invito a dedurre è
stato notificato agli odierni convenuti,
con assegnazione di termine di trenta
giorni per il deposito di controdeduzioni, tra il 31-01-2012 ed il 23-032012,
di modo che la scadenza del termine di 120 giorni per il deposito dell'atto di
citazione sarebbe avvenuta,
tenuto conto della rituale sospensione dei termini
processuali, il 04-10-2012; con l'ordinanza di proroga n.
16/2012 di questa
Sezione Giurisdizionale, emessa in data 13-07-2012 in esito all'istanza
depositata
dall'Ufficio di Procura presso la Segreteria della Sezione il
22-06-2012 e cioè entro la data predetta -il che
conduce all'infondatezza del
rilievo difensivo secondo cui la stessa ordinanza di proroga n. 16/2012 sarebbe
stata intempestiva- è stato consentito il differimento di ulteriori 120 giorni
del termine di scadenza suindicato,
con la conseguenza che il definitivo
spirare di esso sarebbe avvenuto il 01-02-2013. Poiché l' atto introduttivo del giudizio è stato depositato presso la
Segreteria della Sezione il 04-12-2012, ne
deriva l'incontrovertibile
tempestività.
Inoltre, riguardo la mancata allegazione al fascicolo di Procura
dell'ordinanza di proroga n. 16/2012
precedentemente citata -che sempre secondo
la difesa di Federico ALVINO ne determinerebbe l'irrilevanza ai
fini del
presente giudizio-va osservato che, non solo tale rilievo non risponde al vero,
dato che l'ordinanza de
qua è stata allegata dall'Ufficio di Procura alla nota
deposito atti n. 2 del 20-02-2013 (documento indicato al
n. 10 della nota), ma
anche appare di tutta evidenza la circostanza che il medesimo provvedimento,
chiaramente citato nell'atto introduttivo del giudizio, è pubblicato e
liberamente consultabile (nonché
riproducibile in copia) agli atti della
Sezione Giurisdizionale, con la conseguenza che, certamente, la sua
incontrovertibile ritualità e pubblicità ne avrebbe in ogni caso determinato la
piena validità ed efficacia ai fini
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
del presente giudizio.
In merito, poi, all'obbligo di notifica dell'ordinanza che consente la
proroga onde consentire alle parti private di
sottoporlo ad impugnazione
mediante reclamo, il Collegio fa proprio quanto statuito in proposito dalla
Sez. I
Centr. Appello nella sentenza n. 253/2014, con cui è stata ritenuta
giuridicamente infondata la deduzione di
parte appellante, secondo cui la
mancata comunicazione dell’avvenuta proroga del termine di 120 gg. per la
citazione, integrerebbe i presupposti per la declaratoria di nullità dell’atto
introduttivo medesimo: "In
proposito,
si ribadisce che l’onere di detta comunicazione non è previsto da alcuna norma
di legge e che tale
quadro normativo è stato ritenuto pienamente conforme a
Costituzione dalla sentenza n. 513/2002 del
Giudice delle leggi, che ha in
particolare precisato, a tale riguardo, che '... la posizione del presunto
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Corte dei conti
responsabile del danno non risulterebbe compromessa, nemmeno sotto il profilo
della certezza rispetto
all'iniziativa del Pubblico ministero, poiché, ove non
riceva l'atto di citazione entro 165 giorni dall'invito a
dedurre, egli potrà
verificare se sia stata disposta l'archiviazione, ovvero concessa la proroga.
Il presunto
responsabile del danno verrebbe così gravato di un onere di
attività non eccedente il limite della
ragionevolezza e che pertanto non incide
negativamente sul suo diritto di difesa'". Intervenendo sulla questione con la sentenza n. 513/02 sopra citata,
dunque, la Corte Costituzionale ha
dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale della norma che disciplina il procedimento di
proroga del termine per l’emissione dell’atto di citazione, nella parte in cui
non prevede che l’istanza di
proroga debba essere notificata al presunto
responsabile, sollevata con riferimento ad un preteso contrasto
con l’articolo
111 della Costituzione sotto il profilo del difetto di contraddittorio.
Nel sottoporre a vaglio di costituzionalità l'art. 5 , comma 1, del D.L.
15 novembre 1993, n. 453, convertito
nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come
sostituito dall'art. 1, comma 3-bis, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543,
convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, il Giudice delle leggi ha
escluso che il segmento
procedimentale antecedente all'emanazione dell'atto di
citazione, che va dalla presentazione dell'istanza di
proroga da parte del
requirente contabile fino all'autorizzazione o alla mancata autorizzazione
della proroga
stessa da parte della Sezione, abbia natura processuale e che si
imponga in tale fase la necessità del
contraddittorio nell'ambito di questo
sub-procedimento.
La Corte Costituzionale ha dato, peraltro, rilievo alla reclamabilità,
ai sensi dell'art. 739 c.p.c., della decisione
sull'istanza di proroga, nel
termine di dieci giorni dalla avvenuta conoscenza del decreto, ritenendo
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
conseguentemente che “il presunto responsabile del danno dispone di uno
strumento processuale utilizzabile
per dolersi della concessa proroga; e la
possibilità di instaurare il contraddittorio su questa esclude il
denunciato
vizio di legittimità costituzionale, ben potendo il legislatore differire il
contraddittorio ad un
momento successivo al provvedimento di adozione della
proroga".
Le Sezioni Riunite con la pronuncia n. 5/QM/2010 (richiamata dalla
difesa di Federico ALVINO) hanno statuito
che avverso l’ordinanza che consente
o nega la proroga ex art. 5 , comma 1 del d.l. 15 novembre 1993 n.
453,
convertito dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19 e s.m.i., è proponibile il reclamo ai
sensi degli artt. 739 e 742
bis c.p.c. e dell’art. 26 r.d. n. 1038 del 13
agosto 1933.
Nel caso di specie l’ordinanza di proroga è stata comunicata ai
convenuti mediante espresso richiamo nell'atto
https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]
Corte dei conti
introduttivo del giudizio, di
modo che i convenuti medesimi avrebbero potuto -come giustamente rilevato dal
PM di udienza- sottoporla a reclamo entro i termini e nelle forme previste
dall’art. 739 c.p.c.
Alcun pregiudizio al principio del contraddittorio può ritenersi quindi
configurabile nella fattispecie, risultando
conseguentemente priva di
fondamento giuridico la censura volta alla dichiarazione di nullità
dell’ordinanza di
proroga n. 16/2012.
Da quanto sopra osservato consegue il rigetto della proposta eccezione
d'inammissibilità della citazione.
B.2. Un secondo
profilo di nullità dell'atto introduttivo del giudizio deriverebbe, secondo la
difesa di Federico
ALVINO, dalla violazione della previsione dell’art. 164
c.p.c. in relazione alla mancanza in esso
“dell'avvertimento espressamente previsto come obbligatorio dal n. 7)
dell'art. 163 c.p.c." e, comunque, dalla
sua genericità ed indeterminatezza,
rilevata dalla difesa di Lino CINQUINI.
Anche tale eccezione è infondata.
Sul punto, va invero rilevato -come ha giustamente fatto il PM di
udienza- che la giurisprudenza contabile ha
ripetutamente affermato che la
disposizione contenuta nell’art. 163, comma 3°, n. 7), c.p.c. e la relativa
sanzione di nullità prevista dall’art. 164 non sono applicabili all’atto di citazione introduttivo del giudizio
innanzi alla Corte dei conti, compiutamente regolato dagli artt. 1 e 45 del regolamento di procedura.
Ciò in quanto la natura del giudizio di responsabilità
amministrativo-contabile “non consente
l’applicazione di
quelle norme che affidano alle parti, attraverso lo strumento
delle eccezioni, iniziative fondamentali per le sorti
del processo e ... perché
il termine di costituzione per i convenuti, nonché il giorno di udienza vengono
stabiliti
non dal procuratore regionale bensì dal Presidente della Sezione con
decreto nel quale è fissato il termine, non
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
perentorio, per il deposito di atti
e documenti ..." (cfr. Sez. Giur. Campania sent. n. 19/1999, Sez.
Giur. Puglia
sent. n. 195/2006, Sez. Giur. Lazio sent. n. 384/2012; Sez. Giur.
Calabria sent. n. 238/2014).
Tale orientamento è stato più volte confermato anche dalle Sezioni
d’Appello, che hanno affermato che “...
le
citate disposizioni non possono trovare applicazione nel giudizio di
responsabilità in quanto lo stesso risulta
strutturato in maniera diversa da
quello civile essendo di competenza del Presidente della Sezione fissare il
giorno dell’udienza di trattazione della causa ed il termine per la
costituzione del convenuto (art.5 del d.l.
n.453/1993, convertito dalla legge
n. 19/1994)” (cfr. Sez. III Centr. d'Appello sent. n. 66/2012).
B.3. Il terzo
profilo d’inammissibilità dell'atto di citazione è stato posto in relazione
alla genericità dell'invito a
dedurre notificato nella fase
pre-processuale, lamentata dai convenuti
Guido BENASSAI e Claudio PORZIO, ed
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Corte dei conti
alla formulazione di domanda nuova
nell'atto di citazione rispetto al medesimo invito, rilevata da Guido
BENASSAI
e da Gennaro FERRARA.
Sotto il primo profilo, va evidenziato che se all'atto di citazione è
affidata la litis contestatio, e
dunque
l'instaurazione del giudizio, “diversamente,
l'invito appartiene, in quanto atto interno, alla fase delle indagini
del
procuratore regionale ed è finalizzato a completare il quadro degli elementi
probatori che questi porrà a
base della domanda ove ritenga di proporla ed ove
anche gli elementi raccolti in seguito all'invito (deduzioni
scritte e/o
audizione dell'invitato) abbiano concorso a rafforzarne il convincimento. Atto,
va aggiunto, che
assomma alle mere finalità probatorie anche quella di garanzia
difensiva, lato sensu intesa, riconosciuta allo
stesso invitato, che rende
evidente le peculiarità e la singolarità di tale figura processuale: infatti,
la domanda
proposta dal procuratore regionale non nasce sin dal momento della
formulazione dell'invito , ma in
conseguenza di questo e degli elementi
raccolti…” (SS.RR., sent. n. 14/98/QM).
Tale essendo lo scopo specifico dell'invito a dedurre, quale atto
pre-processuale, non può ad esso “riferirsi
... il
principio, strettamente processuale, che la domanda copre il dedotto e
il deducibile: l’invito non copre anche
quest’ultimo, limitandosi a contestare
al presunto responsabile i fatti acquisiti in istruttoria. La domanda, nella
sua definitiva configurazione, intesa come strutturazione del titolo, viene
fatta con la citazione, che costituisce
l’ atto introduttivo del processo, ed
in questo senso non può non rilevarsi -al di là di ogni comprensibile
eccezione
insita nella dialettica processuale- la limatura delle iniziali richieste
compiuta dalla Procura, tenendo
conto delle deduzioni esposte dagli invitati”
(Sez. Giur. Lombardia, sentenza n. 165/2009).
Da ciò discende l'infondatezza giuridica dell'eccezione di genericità e
indeterminatezza dell'invito a dedurre,
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che oltretutto, nel caso di specie,
contiene l'accurata descrizione sia dei riferimenti normativi e sia della
ricostruzione fattuale della fattispecie oggetto d'indagine da parte
dell'Ufficio di Procura.
Sotto il secondo profilo, occorre richiamare l’orientamento consolidato
della Suprema Corte (n. 7524/2005, n.
17457/2009, n. 9266/2010, n. 1785/2013)
secondo cui si verifica una mutatio
libelli quando si avanzi una
pretesa obiettivamente diversa da quella
originaria, introducendo nel processo un petitum
diverso e più ampio
oppure una causa
petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e
particolarmente su un fatto
costitutivo radicalmente differente, di modo che si
ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i
termini della
controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed
alterare il regolare
svolgimento del processo; si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che
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Corte dei conti
risulti
modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto
costitutivo del diritto, oppure sul
petitum,
nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed
effettivo soddisfacimento
della pretesa fatta valere” (Cass. n. 12621/2012).
Nella specie, si è verificato che, rimanendo del tutto invariati i fatti
costitutivi della pretesa (causa petendi), si
riscontra addirittura, per alcuni convenuti, una riduzione del quantum contestato rispetto al maggiore importo
indicato nell’invito a dedurre, che per
gli altri è rimasto invariato.
Pertanto, la relativa eccezione non può trovare accoglimento.
B.4. La nullità
dell'atto di citazione e degli atti istruttori è stata, altresì, eccepita ai
sensi dell'art. 17, comma
30 ter, D.L. n. 78/2009, dalle difese di Gennaro
FERRARA e di Stefano AVERSA, , essendo l’istruttoria da cui è
originato il
presente giudizio fondata su uno scritto anonimo e nel quale non sarebbe
enunciata una specifica e
concreta notizia di danno, come richiede invece la
menzionata norma di legge.
Riguardo l’utilizzabilità di uno scritto anonimo da parte dell’organo
inquirente quale atto d’impulso per la
Procura, non ci sono dubbi sul fatto che
si possa su di esso fondare un’azione per responsabilità
amministrativa,
mancando, infatti, l’espressa ed analoga preclusione contenuta nell’art. 333,
comma 3, c.p.p.
che non può analogicamente essere applicata nel processo
contabile.
Va tuttavia osservato che l’utilizzabilità processuale dello scritto
anonimo nel giudizio avanti alla Corte dei conti
è stata posta in dubbio a
seguito della promulgazione dell’art. 17 comma 30 ter , D.L. n. 78/2009, conv.
in L.
n. 102/2009, successivamente modificato con L. n. 141/2009, a causa della
sua indeterminatezza intrinseca
dovuta all’impossibilità di risalire al suo
autore, che farebbe sorgere come conseguenza la sua nullità de plano.
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Quest'ultima posizione è stata peraltro confutata facendo riferimento alla
lettera dell’art. 17, comma 30 ter,
che, condizionando l’esercizio dell’azione
contabile alla sussistenza di una notizia di danno specifica e
concreta, si
riferisce al contenuto della stessa, e non certo alla sua provenienza, ben
potendo la Procura della
Corte dei conti attivare l’azione su uno scritto
anonimo qualora contenga una notizia di danno erariale con le
caratteristiche
di specificità e concretezza (Sez. Giur. Toscana, sentenza n. 85/2012).
Nel caso concreto l’azione nei confronti dei convenuti ha trovato
l’impulso da uno scritto non autografo
indirizzato (fra gli altri) alla Procura
Regionale contabile, nel quale sono state evidenziate delle criticità in
relazione allo svolgimento da parte di vari docenti dell' Università "Parthenope" -in particolare, del prof.
Federico ALVINO, del Rettore
Gennaro FERRARA e di alcuni altri specificamente indicati- di attività
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Corte dei conti
professionale incompatibile con l'insegnamento universitario in regime di tempo
pieno, tanto da richiedere
l'intestazione di partita IVA (cfr. all. n. 1 alla
nota deposito atti n. 2 del 10.01.2012 del fascicolo di Procura).
A giudizio della Sezione i fatti esposti nello scritto anonimo sono
sufficientemente dettagliati e circostanziati, e
comunque tali da consentire
all'ufficio requirente l'apertura di un'indagine, contenendo tutti gli elementi
su cui
astrattamente fondare un’ipotesi di responsabilità per danno erariale.
Nello scritto si prospetta, infatti,
l'indebita percezione degli emolumenti
stipendiali previsti per la docenza a tempo pieno in presenza di
contemporaneo
svolgimento di attività libero-professionale non occasionale.
Il quadro così delineato consente, in conclusione, di respingere
l’eccezione di nullità degli atti processuali e
istruttori compiuti dalla
Procura attrice, non ravvisandosi gli estremi della mancanza di specificità e
di
concretezza della notitia damni,
come richiesto dall’art. 17 comma 30 ter , D.L. n. 78/2009, conv. in L. n.
102/2009, successivamente modificato con L. n. 141/2009.
B.5. Infine, il
convenuto Federico ALVINO ha eccepito l’inammissibilità dell'atto introduttivo
del giudizio in
relazione alla mancata preventiva vocatio in ius del soggetto erogante gli emolumenti contestati,
ovvero dell'
Università "Parthenope", richiesta dall'art. 53, comma
7°, d.lgs. 165/2001.
Al fine di valutare il rilievo così rappresentato, si riporta la disposizione
invocata dal convenuto:
"I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti
che non siano stati conferiti o previamente
autorizzati dall'amministrazione di
appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica
l'insussistenza
di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai
professori universitari
a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei
disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
dell'autorizzazione nei
casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve
le più gravi
sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il
compenso dovuto per le prestazioni eventualmente
svolte deve essere versato, a
cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del
bilancio
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere
destinato ad incremento del fondo di
produttività o di fondi equivalenti".
Come si vede, la surriportata disposizione prevede ben altro che l'obbligo
di preventiva escussione del soggetto
erogante gli emolumenti (stipendiali ed a
titolo di indennità varie) che in questa sede l'Ufficio di Procura ha
prospettato come indebitamente percepiti dai convenuti, assunto come
sussistente dalla difesa di Federico
ALVINO, né -in verità- vi potrebbe essere
alcuna logica in siffatta previsione. Com'è agevole evincere dalla
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Corte dei conti
semplice
lettura dell'art. 53, comma 7°, d.lgs. 165/2001, è stabilito -all'esatto
contrario di quanto asserito dal
convenuto- che nel caso di svolgimento da
parte dei docenti universitari a tempo pieno di incarichi retribuiti
non
conferiti o non previamente autorizzati (sempreché autorizzabili) dall'ateneo,
i relativi compensi devono
essere versati nel conto dell'entrata del bilancio
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente (l'
Università ) per essere
destinati ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti, a
cura del
soggetto erogante il compenso -che ovviamente non è l' Università ,
bensì chi ha conferito l'incarico non
esercitabile- o, in mancanza, a cura del
percettore -che, altrettanto ovviamente, è il docente stesso.
Quanto qui osservato è stato molto ben chiarito dall'Avvocatura
Distrettuale dello stato di Napoli, che nel
riscontrare una richiesta di parere
dell' università "Parthenope" in merito ad alcuni punti riguardanti la
vicenda
qui esaminata, si è così espressa:
"Appare ... doveroso applicare l'art. 53 co. 7
del D.lgs. n. 165/2001 per le somme percepite in virtù di incarichi
non
autorizzati dall' università . Obbligati in solido al versamento
all'amministrazione del compenso dovuto per
le prestazioni non autorizzate
saranno pertanto sia l'ente per il quale il docente ha espletato l'incarico che
il
docente che abbia percepito il compenso, con la differenza che, il mancato
versamento all'ateneo della somma
indebitamente erogata da parte dell'ente
potrà essere fatto valere con un'azione giudiziaria civile, mentre
l'omissione
del versamento della somma indebitamente percepita da parte del docente
costituirà ipotesi di
responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della
Corte dei Conti, ai sensi del comma 7 bis, del D.lgs. n.
165/2001 recentemente
novellato dall'art. 1, co. 42, L. 190/2012. Alla luce di ciò vorrà, pertanto,
codesto
Ateneo inoltrare due richieste di recupero sia all'ente erogante che al
docente ..." (cfr. nota prot. n.
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
10884/POS. II RIP. UPDR del 13-06-2013 del Rettore dell' Università degli Studi
di Napoli "Parthenope", all. n.
7 all'all. n. 2 della nota deposito
atti n. 4 del 14-05-2014 dell'Ufficio di Procura).
Per quanto osservato, l'eccezione in parola va rigettata perché
totalmente destituita di giuridico fondamento.
C. Va ora
esaminata la preliminare eccezione
di merito rappresentata dalla prescrizione
dell'azione di
responsabilità amministrativo-contabile esercitata nei loro
confronti dalla P.R., opposta –come anticipato nella
premessa in fatto- da
tutti i convenuti sulla base del rilievo che la pretesa risarcitoria in essa
dedotta fa
riferimento a quanto percepito dai convenuti nel periodo 2003/2007,
laddove la notifica degli inviti a dedurre è
avvenuta sul finire dell'anno
2011/inizio dell'anno 2012 senza essere preceduta da ulteriori atti
interruttivi del
termine de quo e non si versa in un'ipotesi di occultamento
doloso del danno nonché –secondo la specifica
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Corte dei conti
prospettazione di Vincenzo
SANGUIGNI- per aver fatto fronte con le somme de quibus alle proprie necessità
di
vita.
Sotto il primo profilo (inconfigurabilità in fattispecie di un'ipotesi di occultamento doloso del danno con
conseguente maturazione del termine di prescrizione quinquennale), va in primo luogo ricordato che l’art. 1,
comma 2, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, nel testo sostituito dal decreto-legge 23
ottobre 1996, n. 543,
convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639, stabilisce
che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in
cinque anni, “decorrenti dalla data in cui si è
verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso
del danno,
dalla data della sua scoperta”.
Secondo la giurisprudenza della Sezione II Centr. Appello (sentenze n.
641/2013 e n. 416/2013), che il
Collegio condivide appieno, "l’art. 1 comma 2 L. 20/1994 non fa
nessun riferimento ad un’attività di
occultamento effettuata dal debitore,
diversamente dall’analogo art. 2941 n. 8 cod. civ., secondo cui 'La
prescrizione rimane sospesa: (...) 8) tra il debitore che ha dolosamente
occultato l’esistenza del debito e il
creditore, finché il dolo non sia
scoperto'. In altri termini, il 'doloso occultamento ' è una fattispecie
rilevante
non tanto soggettivamente (in relazione ad una condotta occultatrice
del debitore), ma obiettivamente (in
relazione all’impossibilità
dell’amministrazione di conoscere il danno e quindi di azionarlo in giudizio ex
art.
2935 c.c.).
Inoltre, ai sensi del medesimo art. 1 comma 2
L.20/1994, la prescrizione dell’azione risarcitoria decorre dalla
'scoperta' del danno, che va intesa come
conoscenza delle componenti essenziali dal danno stesso: non basta
sapere che
esiste un danno, ma occorre che sia concretamente disvelato (sì da consentire
l’esercizio
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
dell’azione di responsabilità) con l’esercizio dell’azione penale o quanto meno con indagini
precise (penali
o extrapenali) che lo accertino e quantifichino, consentendo
l’azione del P.M. contabile" (Sez. II
Centr.
Appello, sentenza n. 592/2014).
Orbene, se i surriportati principi riguardavano nella richiamata
pronuncia della Sez. II Centr. Appello -che cita
a sua volta copiosa
giurisprudenza contabile analogamente orientata, alla quale si rinvia- una
fattispecie di
indebita percezione di denaro, le medesime statuizioni sono
state condivisibilmente espresse dalla Sez. Emilia
Romagna (sentenza n.
137/2014) in riferimento ad una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto
dell'odierno giudizio, in cui, premesso che "l'approccio
all'individuazione del dies a quo si orienta verso
l’analisi, da parte del
Giudice, delle informazioni che erano in possesso del danneggiato, o alle quali
doveva
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Corte dei conti
esser messo in condizioni di accedere o che doveva diligentemente
procurarsi", si osserva come
l'amministrazione universitaria di
appartenenza del convenuto -anch'egli docente a tempo pieno che
esercitava
attività libero professionale non compatibile con tale regime- non avesse avuto
modo di avere
contezza di tale situazione sino al momento in cui essa si era
concretamente disvelata a seguito di un'istanza
di autorizzazione presentata
dal medesimo convenuto, il quale aveva, sino a quel momento, "serbato un
assoluto silenzio informativo rispetto all’Ateneo", individuando, quindi,
in tale data il termine iniziale di
decorso della prescrizione quinquennale
dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile.
Orbene, nel caso che occupa la Sezione deve ritenersi che l'Ufficio di
Procura potesse senz'altro -come già
argomentato al punto B.4 che precede- dare
inizio all'attività d'indagine sulla base dello scritto non autografo,
pervenuto al requirente nel 2004, nel quale sono state evidenziate delle
criticità in relazione allo svolgimento
da parte di vari docenti
dell' Università "Parthenope" -in particolare, del prof. Federico
ALVINO, del Rettore
Gennaro FERRARA e di alcuni altri specificamente indicati-
di attività professionale incompatibile con
l'insegnamento universitario in
regime di tempo pieno, tanto da richiedere l'intestazione di partita IVA.
Nel contempo, però, lo scritto de quo, piuttosto breve e riferito solo
ad alcuni nominativi, non può ritenersi
idoneo a dar luogo alla decorrenza del
termine prescrizionale quinquennale cui è sottoposto l'esercizio
dell'azione di
responsabilità amministrativo-contabile, esercizio che non avrebbe mai potuto
aver luogo se non
in presenza della chiara descrizione dei fatti di causa
ottenuta attraverso l'Informativa GdF prot. n.
0197142/11 del 07-04-2011,
prodotta in adempimento della delega di indagini all'uopo conferita, pervenuta
all'Ufficio requirente contabile il 08-04-2011, data quest'ultima dalla quale,
pertanto, deve farsi decorrere il
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termine prescrizionale de quo.
Come già precisato al punto B.1. che precede, nella fattispecie in esame
è avvenuto che l'invito a dedurre è
stato notificato agli odierni convenuti tra
il 31-01-2012 ed il 23-03-2012; dal che discende la tempestività
dell'azione
risarcitoria intrapresa dal requirente contabile, con conseguente rigetto della
proposta eccezione di
prescrizione.
Sotto il secondo profilo, appare del tutto ovvia l'irrilevanza ai fini
del dirimere la questione della tempestività (o
meno) dell'azione risarcitoria
esercitata dal requirente nei confronti degli odierni convenuti, la circostanza
evidenziata da Vincenzo SANGUIGNI, ovvero l'aver (asseritamente) fatto fronte
con le somme de quibus alle
proprie necessità di vita, di modo che il Collegio
non ritiene di doversi intrattenere oltre sul punto. https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]
Corte dei conti
D. Sempre in via preliminare di merito, Vincenzo SANGUIGNI ha fatto istanza di sospensione del presente
giudizio in attesa dell'esito di quello in corso innanzi al Consiglio di Stato
a seguito dell'impugnazione
della sentenza n. 775/2014 del TAR Campania emessa
in riferimento alla pretesa di rifusione dell'indebito,
derivato dalla vicenda
esaminata anche nella presente sede contabile, avanzata dall' Università "Parthenope".
In disparte
considerazioni circa l'ovvia autonomia reciproca tra il presente giudizio
-inteso ad accertare la
sussistenza di una fattispecie di illecito
amministrativo contabile in relazione ai fatti descritti nell'atto
introduttivo
del giudizio- e quello in corso in sede amministrativa -avente ad oggetto la
verifica della
legittimità del provvedimento di recupero di somme indebitamente
erogate al SANGUIGNI dall'Ateneo di
appartenenza- la Sezione ritiene di poter
procedere senz'altro ad un autonomo accertamento della
responsabilità
amministrativa dei convenuti con pienezza di cognizione, non essendo in parte
qua vincolata
all'esito definitivo del giudizio amministrativo de quo.
Pertanto, il
Collegio non reputa meritevole di accoglimento l'istanza di sospensione del
giudizio in parola.
E. Sgombrato
il campo dalle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle difese dei
convenuti, il Collegio
può esaminare in punto di merito la vicenda descritta
nella premessa in fatto. Deve quindi procedersi alla
verifica della
sussistenza, nel caso concreto, degli elementi tipici della responsabilità
amministrativa che,
com’è noto, si sostanziano in un danno patrimoniale,
economicamente valutabile, arrecato alla pubblica
amministrazione, in una
condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il
predetto
comportamento e l'evento dannoso, nonché nella sussistenza di un
rapporto di servizio fra coloro che lo hanno
determinato e l'ente che lo ha
subito.
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F. Con
riferimento, in primo luogo, all’elemento oggettivo del danno pubblico,
la valutazione della relativa
sussistenza nel caso di specie impone l'attenta
valutazione degli atti di causa alla luce delle risultanze degli
atti di causa,
in relazione alle disposizioni normative poste a disciplina della vicenda al
vaglio del Collegio.
Appare utile,
dunque, in primo luogo richiamare il quadro normativo di riferimento
riguardante la fattispecie
dannosa contestata dalla Procura.
L’art. 60 del
D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 stabilisce che “L’impiegato
non può esercitare il commercio,
l’industria, né alcuna professione o assumere
impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società
costituite a
fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali
la nomina è riservata allo
Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione
del Ministro competente”.
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Corte dei conti
L'art. 11 del
D.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria,
nel disciplinare
l’impegno dei professori ordinari a tempo pieno o a tempo
definito, al comma 5 stabilisce che: “Il regime a
tempo pieno: a) è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e
con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria, sono fatte salve
le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, degli enti
pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni
dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti nel
proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali; b) è
compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti
istituzionali, nonché con lo svolgimento di attività didattiche, comprese quelle di partecipazione a corsi di
aggiornamento professionale, di istruzione permanente e ricorrente svolte in concorso con
enti pubblici,
purché tali attività non corrispondano ad alcun esercizio
professionale; …”.
Il D. Lgs. 30 marzo
2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche) all’art. 53 ha disciplinato le incompatibilità e il
cumulo d’impieghi e di incarichi (per
il periodo antecedente all’entrata in
vigore di detto D.Lgs. analoga disciplina era contenuta nell’art. 58 del
D.Lgs.
n. 29/1993 e successive modificazioni). L’art. 53, comma 7, stabilisce che i
dipendenti pubblici non
possono svolgere incarichi retribuiti che non sono
stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione
di appartenenza
e che “Con riferimento ai professori
universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti
degli atenei
disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei
casi previsti dal presente
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve
le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità
disciplinare, il
compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a
cura
dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del
bilancio dell’amministrazione di
appartenenza del dipendente per essere
destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi
equivalenti”.
Il comma 7 bis
dello stesso art. 53 stabilisce che l’omissione del versamento del compenso da
parte del
dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di
responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione
della Corte dei conti.
Il
comma
10
dispone
che
“L’autorizzazione,
di
cui
ai
commi
precedenti,
deve
essere
richiesta
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Corte dei conti
all’amministrazione di appartenenza del
dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire
l’incarico;
può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato ...”.
Per il regime
d’impegno a tempo definito l’art. 11, comma 4, lett. b) del D.P.R. n. 382/1980
stabilisce che “è
compatibile con lo svolgimento
di attività professionali e di attività di consulenza anche continuativa
esterna e
con l’assunzione di incarichi retribuiti ma è incompatibile con
l’esercizio del commercio e dell’industria”.
Per mera
completezza -non essendo tale testo normativo applicabile al caso al vaglio del
Collegio in quanto
entrato in vigore successivamente ai fatti qui esaminati-
sii rileva che l’art. 6, comma 9, della Legge n.
240/2010 (cd. Legge Gelmini)
stabilisce -di fatto confermando le disposizioni già contenute nel D.P.R.
n.382/1980- l’incompatibilità della posizione di professore e ricercatore
universitario con l’esercizio del
commercio e dell’industria: la disposizione
consente tuttavia la possibilità di costituire società con
caratteristiche di spin off o di start up universitari anche assumendo, in tali ambiti,
responsabilità formali
fermo restando il rispetto dei limiti temporali della
disciplina regolamentare interna dell’Ateneo.
La disposizione in
esame prosegue individuando (o meglio, di fatto, confermando) una situazione di
assoluta
incompatibilità tra il regime di impegno a tempo pieno e l’esercizio
di attività libero professionali, richiamando
la piena operatività delle
disposizioni contenute negli artt. 13, 14 e 15 del D.P.R. n. 382/80, fatto
salvo quanto
stabilito dalle convenzioni adottate ai sensi del successivo comma
13.
L’attività
libero-professionale -come pure
l’attività di lavoro autonomo di carattere continuativo- viene, invece,
consentita ai docenti a tempo definito, ferma restando l’insussistenza di
situazioni di conflitto di interesse con
l’Ateneo di appartenenza.
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In specifico
riferimento all'Istituto Universitario Navale di Napoli (divenuto Università degli studi di Napoli
"Parthenope" nel maggio 2002), con decreto del
Rettore n. 553 del 31-12-1998 è stato emanato, ai sensi
dell'art. 58 comma 7
D.Lgs. n. 29/1993, il regolamento inteso a "disciplinare
criteri e procedure per il rilascio
delle autorizzazioni a svolgere incarichi
retribuiti da parte di docenti e ricercatori a tempo pieno", con il
quale,
chiarito all'art. 1 che il regolamento de quo "si applica al personale docente ed ai ricercatori universitari in
regime di impegno a tempo pieno", si è stabilito all'art. 2 ("Incompatibilità"), che: "Sono incompatibili con
l'ufficio di
professore o ricercatore a tempo pieno, le attività indicate testualmente
dell'art. 11 comma 5 lettera
a) del D.P.R. 382/80, così come modificato dalla
legge n. 705/85 e dalla legge n. 118/89, in definitiva con
esclusione degli
incarichi che non trovano la loro fonte in alcun riferimento normativo, non
possono comunque
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Corte dei conti
essere autorizzate l'attività professionale e l'esercizio
dell'industria e del commercio e di qualsiasi attività
imprenditoriale".
Quindi, dopo aver indicato all'art. 3 le attività non abbisognevoli di autorizzazione
ma
soltanto di comunicazione all'Amministrazione ed al Preside della Facoltà di
appartenenza (collaborazione a
giornali, riviste e simili, utilizzazione
economica di proprie opere dell'ingegno, partecipazione a convegni e
seminari o
comunque a consessi facenti parte di associazioni scientifiche nazionali ed
internazionali di cui si sia
membri, incarichi per lo svolgimento dei quali si
è posti in posizione di aspettativa, di comando o di fuori
ruolo, gli incarichi
conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti distaccati presso di esse
o comunque in
aspettativa non retribuita e le perizie affidate dall'autorità
giudiziaria nonché la partecipazione ad organi di
consulenza
tecnico-scientifica dello Stato, degli Enti pubblici territoriali e degli Enti
di ricerca e cultura in
genere), si è stabilito all'art. 4 ("Attività soggette ad
autorizzazione") che i docenti con regime di impegno a
tempo pieno
avrebbero dovuto ottenere la preventiva autorizzazione del rettore per poter
svolgere "ogni
incarico di
collaborazione, di studio, di ricerca, di consulenza esterna per conto di
organi ed amministrazioni
statali, oppure organismi universitari italiani e
stranieri e loro emanazioni, limitatamente all'attività didattica e
scientifica, anche se gli stessi risultino occasionali e non prolungati nel
tempo, sotto qualsiasi forma retribuito"
e non ricompreso nell'elenco
di cui al precedente art. 3. Al secondo comma dell'art. 4 si è precisato che
non
può esservi rilascio di autorizzazione per "incarichi, anche di studio, nonché per consulenze tecniche di
parte e
per partecipazione ad organismi di gestione e controllo, conferiti per
conto di soggetti che non siano
Amministrazioni dello Stato, Enti Pubblici e
Organismi a prevalente partecipazione statale, e per incarichi nei
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collegi
arbitrali, tranne nelle controversie in cui è parte una P.A. e purché la nomina
dalla stessa provenga".
All'art. 5 si fissano gli elementi da
considerare ed i criteri da applicare dai Consigli di Facoltà per il rilascio
dell'autorizzazione di cui all'art. 4.
Perciò, a voler
inquadrare in modo sintetico quali siano le attività assolutamente
incompatibili con il regime
della docenza universitaria e tempo pieno, può
dirsi che ai dipendenti degli atenei che si trovino in tale regime
è del tutto
precluso l'esercizio di attività d’impresa, commerciale e professionale,
tenendo presente che:
l'attività libero professionale consiste in un'attività
economica, svolta a favore di terzi e finalizzata alla
prestazione di servizi
mediante lavoro intellettuale; ai sensi dell’art. 2082 c.c. “è imprenditore chi
esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni e servizi”;
l’art. 2195 c.c. definisce come attività
commerciale un’attività industriale diretta alla produzione di beni o
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Corte dei conti
servizi,
intermediaria nella circolazione dei beni, di trasporto per terra, aria, acqua,
bancaria e assicurativa,
nonché ausiliaria delle attività precedenti.
Orbene, per quanto
attiene, in primo luogo, alla possibilità per il docente universitario a tempo
pieno di essere
contemporaneamente titolare di partita IVA -dedotta da quasi
tutti i convenuti in giudizio- si rileva quanto
segue:
> in base alle
disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633/1972, l’apertura della partita IVA va
effettuata quando
un soggetto intraprenda l’esercizio di un’impresa, arte o
professione e presuppone che tale esercizio venga
svolto con carattere
continuativo ed abituale;
> considerato
che nel nostro ordinamento giuridico sussiste un assoluto divieto per il
docente a tempo pieno di
svolgere attività libero-professionale e che la
titolarità della partita IVA va ad identificare un’attività di tipo
imprenditoriale o professionale, ne dovrebbe conseguire che il docente a tempo
pieno non potrebbe essere
titolare di partita IVA;
> tale assunto
risulta indirettamente confermato da pareri e determinazioni dell’Autorità per
la Vigilanza sui
Lavori Pubblici (autorità indipendente ora sostituita
dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici) e da
numerose pronunce
giurisprudenziali. Si richiama, in particolare, la sentenza del TAR del Lazio,
sez. III. Roma,
n. 9028 del 13 settembre 2004. Nello specifico, alcuni
professori universitari di ruolo a tempo pieno
ricorrevano contro la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, l’Autorità
per la Vigilanza sui Lavori, l’ Università
degli Studi di Napoli Federico II
affinché fosse accertato il proprio diritto ad esercitare incarichi
professionali
compatibili con il proprio status (incarichi di progettazione o
direzione lavori ex art. 17 legge 109/1994 a
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favore di soggetti terzi rispetto
all’ente di appartenenza) e fossero conseguentemente annullati gli atti con i
quali veniva loro impedito l’esercizio di tale diritto. Il TAR si pronunciava
contro i ricorrenti precisando che i
suddetti incarichi potevano essere
esclusivamente assunti da docenti a tempo parziale, posto che gli incarichi
di
progettazione consistono in “attività che
si traduce in un normale servizio professionale, come tale vietato
perché
incompatibile con lo status di docente a tempo pieno”.
Sulla questione, tuttavia, è recentemente intervenuto il Consiglio Universitario Nazionale (CUN)
con una
mozione al Ministro dell’Istruzione, Università e ricerca (prot. n. 344
dell’11-02-2010) nella quale veniva
rilevato che la sola titolarità di partita
IVA non possa di per sé comportare alcuna situazione di incompatibilità
con la
posizione di docente a tempo pieno con rapporto di esclusiva con l’ Università .
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Corte dei conti
In ogni caso, nella
fattispecie all'esame del Collegio il requirente ha avuto cura di precisare,
nell'atto
introduttivo del giudizio, che "il
profilo di danno che si è inteso contestare non riguarda la mera tenuta di una
partita IVA, ma solo ed esclusivamente la incompatibilità degli incarichi
espletati (siano stati essi, in tutto o in
parte autorizzati) con lo speciale
regime del tempo pieno e del contemporaneo espletamento di un’attività
professionale.
Il
ricorso all’esame delle scritture delle partite IVA, in presenza del diffuso
stato di illegittimità e del tentativo di
rendere non manifesti gli elementi di
prova, che hanno caratterizzato l’intera vicenda, è stato necessitato per
acquisire in sede di
indagini di polizia giudiziaria i necessari elementi istruttori per verificare
la sussistenza (le
ipotesi di incompatibilità) e la dimensione del danno. Ogni altro profilo sulle modalità di
rappresentare i
compensi riguarda esclusivamente aspetti di natura fiscale di
competenza dell’Agenzia delle Entrate, la quale
non mancherà di far valere le
eventuali ragioni erariali".
In riferimento alla
presunta obbligatorietà di aprire ed utilizzare la partita IVA in relazione
all’assolvimento di
ulteriori attività al di fuori di quelle di servizio
-dedotta da alcuni convenuti, come anticipato nella premessa in
fatto- il
requirente ha giustamente ricordato che l'infondatezza di siffatto assunto
emerge da quanto
espressamente previsto dall’art. 5 del D.P.R. 633/72, secondo
cui “Per esercizio di arti e professioni
si intende
l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di
qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte
di persone fisiche ovvero da parte di
società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata delle
attività stesse”, nonché dalla previsione contenuta
nel successivo art. 35
del medesimo D.P.R., secondo cui la partita IVA viene aperta su denuncia da chi
ha
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intenzione di esercitare in forma abituale l’impresa, l’arte o la
professione.
Inoltre, è ben noto
che il reddito percepito mediante prestazioni lavorative occasionali (che per
potersi definire
tali devono essere svolte non abitualmente, non
professionalmente, non continuativamente e senza vincolo di
coordinazione)
viene recepito tra i “redditi diversi”, che sono disciplinati dall’articolo 67,
comma 1, lettera l)
del Testo Unico
delle Imposte sui Redditi, quindi devono semplicemente essere dichiarati
attraverso lo
specifico modello di dichiarazione dei redditi (cd. quadro RL del
modello Unico PF).
Né risponde al vero
quanto sostenuto da alcuni convenuti, secondo cui l'apertura di partita IVA
avrebbe
costituito un semplice adempimento di
natura fiscale, richiesto ex lege ogni volta che l'importo annuo delle
prestazioni professionali eccede i 5000,00 €; invero, superando tale
limite, il professionista occasionale vede
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Corte dei conti
semplicemente nascere a suo carico
l'obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS, versando i contributi
solamente per la quota che eccede il suddetto limite (se, ad esempio, un professionista
autonomo occasionale
nell'anno ha percepito un corrispettivo netto da
prestazioni professionali occasionali pari a 6.700,00 €, la
quota contributiva
dovrà essere pagata esclusivamente sui 1.700,00 € eccedenti e non sull’intero
guadagno).
Inoltre, alcuni convenuti
hanno inteso rilevare che, in talune occasioni, le attività esercitate in
regime di partita
IVA erano state legittimamente autorizzate.
Tuttavia, al
riguardo va evidenziato che -come già precedentemente ricordato- gli artt. 60
D.P.R. 3/57, 11
D.P.R. 382/80 e 53, comma 7 D.Lgs. 165/2001 pongono per i
dipendenti pubblici in generale -e per i docenti
universitari in regime di
tempo pieno in particolare, per ciò che rileva nel presente giudizio- un
divieto
assoluto all’esercizio del commercio, dell’industria e di alcun’altra
professione, dal che ovviamente discende
che per le attività rientranti in tale
accezione non può essere rilasciata alcuna autorizzazione; pertanto, anche
qualora nel caso di specie siffatti incarichi fossero stati autorizzati, tale
autorizzazione sarebbe da ritenersi
inutiliter
data, come posto da varie pronunce giurisprudenziali, fra cui la sentenza
n. 1439/2000 della Cass.
Civ., Sez.III (citata nell'atto introduttivo del
giudizio, cui si possono aggiungere, ex
plurimis, Cass., Sez. III, n.
10397/2001, Cass., Sez. Lav., n. 16555/ 2003
e Cass., SS.UU. Lav. n. 3386/ 1998), secondo cui le pubbliche
amministrazioni possono
autorizzare i propri dipendenti all’esercizio di incarichi, ma questi non
possono
confondersi con l’esercizio di un’attività professionale e con
l’iscrizione nel relativo albo, per cui sussiste il
generale divieto posto ex lege.
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Le difese sostengono,
altresì, che lo svolgimento di incarichi professionali da parte degli odierni
convenuti non
avrebbe comportato alcun danno, poiché, pur se vi fosse stata
violazione delle norme in tema
d’incompatibilità, si è trattato di violazione
formale, avendo i predetti soggetti svolto con regolarità l’attività di
docenza.
"Al
riguardo va chiarito che con il divieto di svolgere cariche presso società
costituite per fine di lucro la legge
ha ritenuto che le stesse, implicando la
partecipazione attiva alla vita sociale, potessero pregiudicare in
qualche modo
l’attività di pubblico impiego. La disciplina sulle incompatibilità, assistita
dalla sanzione della
decadenza dall’ufficio di cui all’art. 15 del D.P.R. n.
382/1980, esprime la valutazione del legislatore che, a suo
insindacabile
giudizio, ha reputato che le attività incompatibili sono contrarie e
pregiudizievoli al
perseguimento dell’interesse pubblico espresso dalla
programmazione didattica e dall’attività di docenza
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Corte dei conti
universitaria. Con il
regime delle incompatibilità si vuole salvaguardare la credibilità e la qualità
del modulo
organizzativo universitario" (Sez. Giur.
Liguria, sent. n. 85/2014).
La violazione delle
norme sopra richiamate, che s’inseriscono tra i doveri di servizio a carico del
docente a
tempo definito, ha dunque compromesso gli interessi perseguiti dalla
legge, e, segnatamente, la qualità delle
prestazioni
dovute
dai
docenti,
ponendoli
in
una
posizione
d’inadempimento
nei
confronti
dell’Amministrazione,
con conseguente danno rapportabile alla retribuzione percepita (Sez. Giur.
Liguria, sent.
n. 85/2014, cit.).
Ulteriore deduzione di vari convenuti (ALVINO, FERRARA, PORZIO, NAPOLI) riguarda l'avvenuto
esercizio delle
attività svolte al di fuori della docenza a tempo pieno negli
anni qui in considerazione, il più delle volte su
autorizzazione o addirittura
su designazione dello stesso Ateneo di appartenenza, consistendo dunque in
attività di carattere didattico e scientifico strettamente connesse alla
funzione di docente universitario, non
comportanti l'emissione di alcuna
fattura e -in definitiva- pienamente conformi al dettato normativo. Il più
delle volte i deducenti hanno dettagliatamente elencato -allegando copia della
documentazione a riprova- gli
incarichi svolti, le fatture rilasciate e le
autorizzazioni ricevute dall'Ateneo in proposito.
Tuttavia, anche il suddetto assunto difensivo risulta sfornito di
giuridico fondamento, per due fondamentali
ragioni: da un lato, non è
revocabile in dubbio che, qualora i convenuti abbiano esercitato attività
compatibili
con il regime della docenza a tempo pieno secondo le previsioni
legislative e regolamentari dettate in
proposito, siffatte attività non
avrebbero mai potuto essere loro contestate né -infatti- hanno costituito
motivo
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di contestazione nei loro confronti; dall'altro lato, è altrettanto
irrevocabile in dubbio la circostanza che i
medesimi soggetti hanno tutti
svolto nel periodo in considerazione attività didattiche e scientifiche
incompatibili
con il prescelto regime della docenza a tempo pieno alle dipendenze
dell' Università
"Parthenope", in quanto tali non legittimabili -né
riconducibili nell'alveo della legittimità- attraverso alcuna
autorizzazione
all'uopo rilasciata dall'Ateneo.
Del resto, l'avvenuto espletamento di tale illecita attività
professionale è ampiamente testimoniato dalla
documentazione acquisita dalla
GdF e versata dal requirente agli atti del giudizio (dichiarazioni dei redditi,
prospetto riepilogativo delle fatture, su cui oltre si dirà più in dettaglio
analizzando le singole posizioni dei
convenuti).
La continuità e la stabile organizzazione che secondo il requirente avrebbe caratterizzato le attività de quibus -
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Corte dei conti
così automaticamente conferendogli il carattere della professionalità- sarebbe contraddetta, secondo alcuni
convenuti (ALVINO, CINQUINI) dalla descrizione di tutte le fatture pagate negli anni in considerazione, da cui
dovrebbe desumersi che si è sempre trattato di acquisti di beni e servizi di natura e per uso personale e solo
molto occasionalmente di
pagamenti di prestazioni professionali, svolte in assenza di rapporto di lavoro
subordinato e, comunque, acquisite a supporto dell'attività didattica dei
docenti.
Riguardo tale ultima deduzione, valga semplicemente evidenziare che il
requisito della stabile organizzazione
non rileva ai fini qui in esame
-valutazione dell'esercizio da parte dei convenuti di attività professionale
incompatibile con il regime della docenza a tempo pieno- ma soltanto ai fini
fiscali, onde discernere se ci si
trovi di fronte a redditi d'impresa o da
lavoro autonomo, in quanto la presenza di un’autonoma organizzazione
-rilevabile dall'impiego in modo non occasionale di lavoratori dipendenti o
collaboratori e/o dall'utilizzo di beni
strumentali che per quantità o valore
eccedono le necessità minime per l'esercizio dell'attività- consente
senz'altro
all'Agenzia delle Entrate di desumere la produzione di redditi d'impresa (art.
55 TUIR, circolare 1306-2008 n. 45) e, dunque, di assoggettare il produttore
ad IRAP e ad ILOR, di modo che la prestazione di
lavoro autonomo che avvenga
con tali caratteristiche (presenza di una stabile ed autonoma organizzazione)
espone il prestatore ai predetti adempimenti fiscali. Il che significa,
ovviamente, che la prestazione di lavoro
autonomo di tipo intellettuale non
necessita, per essere definita "professionale", di stabile ed
autonoma
organizzazione, potendo bensì svolgersi anche in una camera-studio
collocata in un appartamento e senza la
collaborazione nemmeno saltuaria di
altri soggetti, restando in tal caso semplicemente non produttiva di
reddito
d'impresa e -dunque- non assoggettata al relativo regime fiscale, ma a quello
previsto, appunto, per i
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redditi da lavoro autonomo.
Pertanto, anche tutte le -pur pregevoli- argomentazioni utilizzate dalle
difese dei convenuti al fine di contestare
l'attribuzione del requisito della
stabilità ed autonomia organizzativa all'attività "ulteriore" da loro
svolta
rispetto alla docenza a tempo pieno alle dipendenze dell' Università "Parthenope", risultano inconferenti al fine
di dimostrare la
legittimità e la compatibilità dell'attività de qua.
Illegittimità ed incompatibilità che emergono, per contro, evidenti
anche da una ulteriore circostanza, rilevabile
dall'esame della documentazione
acquisita dalla GdF: tutti gli odierni convenuti erano assoggettati nel periodo
di riferimento (2003/2007) alla ritenuta d'acconto applicata sui redditi di
lavoro autonomo ai sensi dell'art. 25
DPR 600/1973, il quale prevede, appunto,
che per le prestazioni di
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Corte dei conti
lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero rese a
terzi o nell'interesse di terzi o per
l'assunzione di obblighi di fare, non
fare o permettere, deve essere operata all'atto del pagamento una
ritenuta del
20% a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta
dai percipienti.
Appare, dunque, evidente che gli odierni convenuti agivano senz'altro
-in patente violazione del regime delle
incompatibilità disciplinato nel quadro
normativo di riferimento sopra dettagliatamente descritto- quali
prestatori di
lavoro autonomo pur essendo contemporaneamente dipendenti dell' Università "Parthenope"
come docenti a tempo pieno.
Riguardo la necessità -rappresentata dalla difesa di Federico ALVINO- di
esaminare le singole fatture allegate
alle memorie difensive in luogo delle
dichiarazioni dei redditi, onde avere la corretta descrizione dei fatti che
sarebbe difettata nell'indagine svolta dalla P.R., rappresenta affermazione
sfornita di qualsiasi fondamento
logico, poiché la GdF ha correttamente
provveduto, in puntuale espletamento della delega d’indagini ricevuta
dal
requirente contabile, ad acquisire le copie di tutte le fatture rilasciate dai
convenuti in relazione all’attività
professionale svolta negli anni assunti in
considerazione e ad esporne sinteticamente il contenuto in prospetti
riepilogativi distinti per ciascuno dei soggetti evocati in giudizio. Ed è
proprio l’esame delle fatture de quibus
che consente di avere precisa contezza
del contenuto delle prestazioni offerte di volta in volta a terzi soggetti
e di
come tali prestazioni non rientrino affatto fra quelle consentite ai docenti
operanti in regime di tempo
pieno dalle disposizioni normative e regolamentari
precedentemente citate.
Per contro, è totalmente inconferente il dettagliato riferimento,
proposto ancora una volta dalla difesa di
ALVINO, ai costi sostenuti nel
periodo considerato per l'acquisto di vari beni -che dovrebbero evidenziare
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come gli acquisti medesimi siano stati compiuti a titolo personale- poiché tale
elemento è del tutto inidoneo a
fornire indicazioni (in positivo o in negativo)
sull'avvenuta prestazione di attività professionale in quanto,
essendo tale
attività consistita in opera intellettuale o dell'ingegno, non trova indicatori
nell'avvenuto acquisto
di particolari beni strumentali né, d'altro canto, è
esclusa dalla tipologia e dalla quantità dei costi sostenuti dal
prestatore.
Per quanto sin qui osservato, risulta palesemente sfornita di qualsiasi
pregio giuridico l’affermazione contenuta
nella nota prot. n. 2013/35 del
16-01-2013 del Rettore dell' Università "Parthenope" prof. Claudio
Quintano –
citata da buona parte dei convenuti a sostegno delle proprie
argomentazioni difensive- in cui si manifesta
l'opinione secondo cui gli
emolumenti corrisposti ai docenti, oggetto dell'attività istruttoria della
P.R.,
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Corte dei conti
"risultano essere il frutto di
attività che, sebbene non riconducibili ai doveri d'ufficio, sono considerati
dalla
normativa in materia come liberamente esercitabili anche dai professori
universitari a tempo pieno". Invero,
tale affermazione, non solo
contrasta in modo stridente con i provvedimenti assunti dal medesimo Rettore
nei
confronti di alcuni degli odierni convenuti (SANGUIGNI, PORZIO, BENASSAI,
per citarne alcuni) ai fini del
recupero all’Amministrazione dei compensi da costoro
illecitamente percepiti per effetto dello svolgimento
dell’attività
professionale incompatibile con il regime del tempo pieno, in relazione ai
quali pendono
procedimenti contenziosi innanzi al TAR; ma anche, è palesemente
contraddetta dalle risultanze degli atti di
causa, ovvero delle fatture di cui
dianzi si è detto e delle dichiarazioni dei redditi dei convenuti, da cui si
evince, più in dettaglio, quanto di seguito si esporrà in relazione alle
singole posizioni dei soggetti medesimi.
Quindi, il Collegio ritiene che sussista senz’altro nel caso di specie, l’illecito
nocumento erariale descritto dalla
P.R., derivato dall’esercizio da parte dei
convenuti di attività in regime di partita IVA, incompatibili con la
manifestata opzione per la docenza a tempo pieno, in contrasto con le
disposizioni contenute nell'art. 11
D.P.R. 11-07-1980 n. 382.
Come già anticipato nella premessa in fatto, il danno contestato ai
convenuti riguarda, per il quinquennio di
riferimento (2003/2007), tre diverse
partite di danno, vale a dire: a) differenza fra le somme percepite a titolo
stipendiale nella loro qualità di docenti a tempo pieno rispetto a quelle che
sarebbero loro spettate a titolo di
docenti a tempo definito; b) somme
percepite da alcuni dei predetti convenuti a titolo di indennità di carica
per
le qualifiche istituzionali rivestite all’interno degli organi accademici, il
cui presupposto è proprio lo
svolgimento delle funzioni di docente a tempo
pieno, la cui sostanziale inosservanza induce l'illiceità della
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
percezione
anche delle indennità di carica correlate all’esercizio delle funzioni di
Rettore, Prorettore, Preside,
membro del Consiglio di amministrazione,
direttore di dipartimento, direttore di corsi di dottorato di ricerca; c)
somme
percepite da alcuni convenuti a titolo di incentivazione dell’impegno
didattico, prevista dall’art. 4 legge
19-10-1999 n. 370, prevedente la
possibilità per le Università di erogare “compensi
incentivanti l’impegno
didattico ai professori e ricercatori che optano per il
tempo pieno e che non svolgono attività didattica
comunque retribuita presso
altre Università od istituzioni pubbliche e private".
La prospettazione offerta dal requirente è, ad avviso del Collegio,
senz’altro condivisibile, poiché appare di
tutta evidenza la non spettanza agli
odierni convenuti degli emolumenti suindicati, in considerazione del fatto
che
essi operavano, in concreto, alla stregua dei docenti che avevano optato per il
tempo definito.
https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]
Corte dei conti
Né si rivelano condivisibili le loro controdeduzioni, in primo luogo laddove
sostengono la mancata esplicitazione
ed il difetto di prova della quantificazione del danno siccome
operata dal requirente, anche in relazione al
fatto che le voci componenti il
danno erariale azionato non sarebbero state oggetto di alcuna specificazione da
parte del requirente, con ciò, da un lato determinando la compromissione delle
possibilità di difesa del
convenuto e, dall'altro lato, richiedendo un
approfondimento istruttorio finalizzato a chiarire tale aspetto.
Invero, anche le somme percepite da ciascun convenuto ai titoli sopra
indicati sono state oggetto di puntuale
ed analitico accertamento da parte
della GdF, che ha elaborato prospetti riepilogativi riportanti tutti i dati in
proposito acquisiti presso l’ Università “Parthenope”, dati e prospetti che sono
stati tutti puntualmente allegati
dalla Procura agli atti del giudizio, con la
conseguenza che non è dato rilevare la presenza di lacune
nell'indicazione e
nella quantificazione degli emolumenti illegittimamente percepiti dai convenuti
e non si
ravvisa, conseguentemente, la necessità di disporre alcun supplemento
istruttorio in proposito.
Pertanto, il Collegio ritiene che le somme illecitamente percepite siano state correttamente indicate nei
seguenti importi: € 91.760,29 per Federico ALVINO (€ 73.888,35 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2003 al 2007 ed € 17.871,94 a titolo di indennità di carica e di incentivazione alla didattica percepite); €
81.065,97 per Stefano AVERSA (€ 68.652,84 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed €
12.413,13 per indennità di carica e di incentivazione alla didattica percepite); € 56.761,36 per Guido
BENASSAI a titolo di indebite erogazioni stipendiali dal 2003 al 2007; €
122.060,29 per Alberto CAROTENUTO
(€ 82.197,18 a titolo di erogazioni
stipendiali indebite dal 2004 al 2007 ed € 39.863,11 a titolo di indennità di
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
carica); € 30.178,24 per Lino CINQUINI a titolo di erogazioni stipendiali
indebite dal 2003 al 2004; €
32.396,25 per Roberto DE CICCO a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2005 al 2007; € 438.477,30 per
Gennaro FERRARA (€ 114.488,97 a titolo di
erogazioni stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed € 323.983,33 a
titolo di
indennità di Rettore); € 122.321,91 per Rodolfo Maria A. NAPOLI (€ 114.488,97 a
titolo di erogazioni
stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed € 7.832,94 a
titolo di incentivazione alla didattica); € 119.010,32 per
Claudio PORZIO (€
92.661,93 titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed €
26.348,39 a titolo
di indennità di carica); € 43.582,50 per Vincenzo SANGUIGNI
a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2005 al 2007.
La mancata indicazione nell'atto di citazione del titolo da cui
deriverebbe a carico di Stefano AVERSA il danno
erariale di € 12.413,13 (che
unitamente alla somma di € 68.652,84 percepita per erogazioni stipendiali
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Corte dei conti
indebite dal 2003 al 2007 dà luogo all'importo totale addebitatogli di €
81.065,97) è ovviamente il frutto di un
mero errore materiale, che in quanto
tale non può certo comportare rinuncia implicita della P.R. all'azione per
la
suddetta somma, come avrebbe invece preteso la difesa del medesimo AVERSA.
Non si ritiene possa trovare ingresso l'istanza di BENASSAI e di PORZIO,
che hanno chiesto che si tenga conto
dei cospicui vantaggi ottenuti dall' università "Parthenope" proprio grazie all'attività libero-professionale da
loro
esercitata, in termini di finanziamenti di una serie di attività scientifiche e
didattiche svolte presso
l'Ateneo. Invero, la compensatio lucri cum damno di cui all’art. 1, comma 1-bis, L.14 gennaio 1994, n.20,
opererebbe, una
volta acclarata l'incompatibilità dell'attività libero-professionale esercitata
dai docenti
operanti in regime di tempo pieno, soltanto se venisse
concretamente dimostrato l’effettivo arricchimento
dell’ente, quale effetto
dell’attività de qua.
A ciò va opportunamente aggiunto il richiamo alla distinzione tra compensazione in senso tecnico ex art. 1241
cc., in cui l’identità della fonte delle
obbligazioni esclude la possibilità di compensare (in tal senso anche Cass., 10629/2006; id., 260/2006; id.,
16561/2002), e la specifica compensatio lucri cum damno, di cui
all’articolo 1223 c.c. che, al contrario, trova applicazione quando sia il
danno che il vantaggio siano
conseguenza immediata e diretta dallo stesso
fatto, il quale abbia in sé l’idoneità a produrre ambedue gli
effetti (Cass.,
n. 81/2000, n. 4237/1997, n. 9704/1997 e n. 10218/1994; C. conti, SS.RR. n. 5/1997).
Nell'ipotesi in esame, non vi è alcuna dimostrazione concreta della
correlabilità alle attività professionali
incompatibili con il regime della
docenza a tempo pieno, svolte da PORZIO e BENASSAI, rispetto alle
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
sovvenzioni
ed ai finanziamenti attribuiti all'Ateneo di appartenenza, cui essi fanno
riferimento nelle rispettive
difese, con la conseguenza che essi non acquistano
alcun rilievo ai fini prospettati.
Infine, la deduzione di Roberto DE CICCO, il quale ha rappresentato il
vantaggio derivato all'Erario dalla scelta
di sottoporre a fatturazione IVA i compensi
percepiti per gli incarichi svolti, si rivela priva di fondamento
giuridico semplicemente
ricordando che l'Erario avrebbe comunque ricevuto in relazione ad essi il
dovuto
gettito fiscale se se ne fossero dichiarati, come dovuto, la percezione
e l'ammontare nei cd. "redditi diversi",
come già osservato in
precedenza.
Infine, l'argomentazione svolta da Rodolfo Maria NAPOLI, secondo cui la
piena liceità e compatibilità della
sporadica attività professionale da lui
svolta parallelamente alla docenza a tempo pieno alle dipendenze dell'
Università "Parthenope" dovrebbe dedursi dal fatto che nel periodo considerato le
spese portate in detrazione
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Corte dei conti
sono state di ammontare ben inferiore al 37% dei
proventi indicato ex lege per gli studi professionali, non
trova, in realtà,
alcun addentellato normativo, in quanto l'art. 54 del DPR 917/1986 (cd. TUIR),
che fissa i
criteri per la determinazione del reddito da lavoro autonomo,
disciplina la deduzione delle spese sostenute per
ammortamenti, per
acquisizione di beni strumentali e quant'altro, senza prevedere assolutamente
la
percentuale del 37% indicata dal convenuto NAPOLI, che in effetti non
precisa affatto quale sia la disposizione
di legge che dovrebbe contenere la
previsione de qua.
G. Riguardo,
infine, all'elemento soggettivo
dell'illecito amministrativo-contabile in controversia, che la
Procura ha
indicato come dolo contrattuale,
questo deve, del pari essere ritenuto sussistente, per le
considerazioni che di
seguito si espongono, mediante l'esame delle singole posizioni dei convenuti,
chiaramente descritte dalle dichiarazioni dei redditi e IVA da loro presentate
negli anni di riferimento e dalle
complessive risultanze documentali in atti.
Federico ALVINO ha
addirittura proceduto a conferire egli stesso ulteriori incarichi a terzi
nell’ambito
dell'attività professionale esercitata, avendo avuto del personale
dipendente o assimilato (cfr. dichiarazione
dei redditi anno 2006), e a
dichiarare anche la sussistenza di minusvalenze patrimoniali (cfr. dichiarazione
redditi anno 2008). Inoltre, il medesimo ALVINO ha annualmente provveduto a
dichiarare, accanto ai redditi
da attività professionali, anche l’avvenuta percezione di redditi da lavoro
autonomo per attività non esercitate
abitualmente, il che, fra l'altro -come
giustamente osservato da requirente- rende evidente come fosse ben
chiara la
distinzione fra attività meramente occasionale (compatibile con il regime di tempo pieno) ed attività
esercitata in via
professionale (incompatibile in via assoluta con il regime di docenza a tempo
pieno),
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
quest'ultima svolta per tutti gli anni (2003/2007), tranne che per il
2004 (cfr. dichiarazione dei redditi relativa
all’anno 2005).
Con riferimento all’incentivazione
didattica percepita da Federico ALVINO, nell'atto di citazione si rileva
correttamente "la non spettanza
della stessa a fronte degli innumerevoli incarichi di docenza e formazione
tenuti dal Prof. Alvino presso altre istituzioni pubbliche o private, in
considerazione del tenore letterale dell’art.
4 della legge 19 Ottobre 1999, n.370
che indicava la possibilità per le Università di erogare 'compensi
incentivanti
l’impegno didattico ai professori e ricercatori che optano per il tempo pieno e
che non svolgono
attività didattica comunque retribuita presso altre Università od istituzioni pubbliche e private'".
Stefano AVERSA ha
esercitato la propria attività professionale per tutti gli anni (2003/2003) in
maniera
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Corte dei conti
intensa, dedicando all’attività de qua ben 45 settimane di lavoro
all’anno (cfr. dichiarazioni dei redditi 2007 e
2008), effettuando spese ed
acquisti funzionali all’esercizio della società ed avvalendosi di
collaboratori; fra i
vari incarichi svolti, ve ne sono diversi espletati per
conto di soggetti privati (società Panna s.p.a., Fondazioni
Speciali s.r.l.,
Servizi di Ingegneria s.a.s., Associazione Geotecnica Italiana).
La posizione di Guido
BENASSAI ha caratteristiche analoghe a quelle dei convenuti precedentemente
citati,
avendo egli svolto continuativamente la libera professione nel periodo
qui esaminato, come si evince dalle
dichiarazioni dei redditi presentate,
conferendo anche egli stesso ulteriori incarichi a terzi soggetti e
corrispondendo a tal fine compensi portati in detrazione dal reddito
imponibile, nonché dedicando diverse
settimane all’anno all’esercizio della
professione e svolgendo diversi incarichi non solo per enti pubblici, ma
anche
per diversi soggetti privati (condomini, società private e privati
professionisti).
Alberto CAROTENUTO
ha presentato anch'egli, a partire dal 2004, dichiarazioni dei redditi da cui
emerge con
chiarezza che egli ha svolto attività professionale comportante, tra
l'altro, una serie di spese portate in
deduzione, quali spese telefoniche, di
luce e di gas, nonché relative a viaggi ed a ristoranti, spese in effetti
deducibili
soltanto qualora venga svolta un’attività professionale. D’altra parte, la
notevole entità degli
ammortamenti
e
delle
deduzioni
rappresenta
chiaro
indizio
dell’organizzazione
professionale
del
CAROTENUTO, il quale si è avvalso, ad
ausilio dell'attività svolta, anche della collaborazione e delle prestazioni
di
terzi, circostanza "inconciliabile
con l’assolvimento di prestazioni sporadiche e strettamente legate all’intuitu
personae degli incarichi autorizzabili ai dipendenti pubblici vincolati al
regime di esclusività".
Roberto DE CICCO ha
svolto attività professionale solo negli anni 2005/2007, consistita esclusivamente
in
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
attività di docenza per l’ Università Bocconi di Milano ed in attività
marginali di docenza presso la Fondazione
dei Dottori Commercialisti di Milano
e dei Dottori Commercialisti di Monza, di modo che, pur se in misura di
gran
lunga minore rispetto a quella degli altri convenuti sopra indicati, egli ha
comunque svolto attività
professionale incompatibile con il regime della
docenza a tempo pieno secondo i divieti stabilit ex lege, tanto
da aver dichiarato
l'effettuazione di spese relative all’attività professionale esercitata, di
acquisti
ammortizzabili nonché di consumi e da conferire altresì, pur se in
misura minima, incarichi di collaborazione a
terzi.
La posizione di Lino CINQUINI si rivela come del tutto analoga, pur se relativamente ai soli anni 2003-2004, a
quella di Roberto DE CICCO, sempre per quanto chiaramente
evidenziato dalla documentazione fiscale in atti
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Corte dei conti
(dichiarazioni dei redditi ed
IVA).
Gennaro FERRARA,
invece, ha percepito redditi derivanti dall’attività professionale esercitata
in ammontare
estremamente elevato, sostenendo anche costi e spese di
considerevole importo in ragione dell'attività
medesima (la Procura ha
evidenziato nell'atto di citazione, a mero titolo esemplificativo, "che
nel 2004, a
fronte di compensi derivanti dalle attività extraistituzionali
effettuate, pari ad € 272.992,00, vi sono state ben
€ 199.208,00 di spese").
Dalla documentazione in atti emerge, altresì, che il prof. FERRARA è anche stato
committente di alcune prestazioni richieste a terzi, per le quali gli è stata
di volta in volta rilasciata apposita
fattura.
Claudio PORZIO ha svolto
diverse attività consulenziali e didattiche per soggetti privati (Villa Russo
s.p.a.,
Studio Esposito De Falco s.a.s., Deloite consulting), oltre ad aver
continuativamente assunto un incarico
retribuito nel consiglio di
Amministrazione di una società privata, la Vertis s.p.a., attività del tutto
incompatibile, non autorizzabile neppure in astratto ed espressamente vietata
dalla legge, senza che sia in
alcun modo condivisibile l'argomentazione
difensiva che richiederebbe di tener conto della natura della società
e della
distinzione fra cariche gestionali e cariche meramente amministrative, poiché le
disposizioni legislative
disciplinanti il regime delle incompatibilità sono
tassative e non ammettono le prospettate eccezioni.
Rodolfo Maria
NAPOLI ha sì, effettuato prestazioni esclusivamente per enti pubblici, ma lo ha
fatto nell’ambito
dell’attività professionale da lui esercitata, tanto da
sostenere una serie di spese portate in deduzione e da
avvalersi anche
dell’attività e delle prestazioni di terzi.
Infine, Vincenzo
SANGUIGNI ha palesemente, per sua stessa ammissione, continuativamente svolto
l’attività
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
libero-professionale per tutto il periodo in considerazione.
Quindi, le
specifiche indagini delegate dalla Procura regionale contabile al competente
Nucleo della Guardia di
Finanza di Napoli, articolate su una complessa raccolta
di dati e riscontri, hanno incontrovertibilmente
consentito di individuare
situazioni di evidente criticità riguardanti i docenti a tempo pieno in
servizio presso l'
Università "Parthenope" di Napoli, odierni
convenuti, consistenti nel fatto che essi, omettendo ogni prescritta
comunicazione
alla amministrazione di appartenenza, hanno svolto nel periodo dal 2003 al 2007
incarichi
professionali e/o commerciali incompatibili con l’attività di docente
a tempo pieno.
Solo il regime a
tempo definito -ha condivisibilmente osservato il requirente- "consente il libero esercizio di
attività che, invece, sono precluse dall’opzione per il tempo pieno, che
comporta un vero e proprio dovere di
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Corte dei conti
esclusività, nei confronti
dell’Amministrazione di appartenenza, con le eccezioni derivanti dalla
specifica e
saltuaria attività autorizzabile volta per volta. Nel caso di
specie, l’attività posta in essere dagli odierni
convenuti è stata effettuata
in chiara violazione del dovere di esclusività".
Le deduzioni difensive intese a negare la sussistenza dell'elemento soggettivo
del rilevato illecito
amministrativo-contabile, si rivelano prive di fondamento
giuridico. In particolare, l'affermazione di Vincenzo
SANGUIGNI della sua buona
fede -a suo avviso testimoniata dal fatto che l'esercizio dell'attività
incompatibile
avveniva in assoluta trasparenza ed evidenza- è smentita, come
giustamente osservato nella sentenza n.
775/2014 del TAR Campania - Sezione
II^, "dalla dichiarazione
sottoscritta dal Sanguigni in data 13 gennaio
2005, con la quale il professore
ha espressamente dichiarato di optare per il regime di impiego a tempo pieno,
'ritenendosi
obbligato al rispetto di tale impegno per il biennio accademico 2005-2007' ed
impegnandosi 'ad
osservare le norme in materia di tempo pieno e di
incompatibilità previste dal D.P.R. n. 382/80'".
Nemmeno possono rappresentare cause giustificative, né tanto meno
circostanze scriminanti, il fatto che il
modulo di richiesta di autorizzazione
allo svolgimento degli incarichi predisposto dall' Università "Parthenope"
all'epoca dei fatti non prevedesse alcuna dichiarazione
di possesso di partita IVA o di eventuali
preclusioni/incompatibilità e che
l' Università ben conoscesse e ampiamente tollerasse lo svolgimento di
incarichi
professionali ulteriori rispetto alla docenza così legittimando l'affidamento
dei docenti nella liceità
degli stessi, poiché, come giustamente rilevato dal
PM di udienza, l'invocazione della condizione soggettiva
della buona fede è
destituita di fondamento, ove si consideri che si tratta di docenti
universitari, la cui
specifica preparazione tecnica impedisce di ipotizzare che
essi non fossero consapevoli dell'illiceità della loro
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
condotta.
Inoltre, a fronte di un silenzio dell'Ateneo che in nessun modo poteva
essere interpretato come assenso, essi
non erano giustificati a ritenere che lo
svolgimento di attività incompatibile con il rapporto esclusivo potesse
costituire una situazione “tollerata” dall’amministrazione, sia perché da
questa non conosciuta, sia perché
comunque concomitante al fatto che detto
rapporto continuava ad essere retribuito come esclusivo (Sez. Giur.
Lazio,
sentenza n. 897/2013).
Infine, il proscioglimento di coloro che sono rimasti coinvolti in
procedimenti disciplinari in relazione
all'esaminata vicenda, rappresenta
circostanza non rilevante nella presente sede di accertamento di
responsabilità
erariale, in quanto "risulta evidente che alcun rapporto di
pregiudizialità potrebbe sussistere tra
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Corte dei conti
procedimento erariale e procedimento disciplinare
, che peraltro non ha carattere giurisdizionale: i due
procedimenti, infatti,
operano ciascuno sulla base di presupposti diversi, anche se una declaratoria
di
responsabilità disciplinare può rappresentare una conferma della gravità dei
fatti ai fini della responsabilità
amministrativa" (Sez. Giur. Veneto,
sentenza n. 221/2013).
H. Quindi, il
Collegio ritiene, conclusivamente, che i convenuti, omettendo volontariamente
ogni comunicazione
in ordine alla loro posizione fiscale ed all’espletamento dell’attività
professionale all’Amministrazione
universitaria di appartenenza, pur essendo
pienamente a conoscenza dei vincoli e delle preclusioni che il
regime di
docenti a tempo pieno imponeva loro, abbiano cagionato con dolo, nella forma
del dolo civile
contrattuale, un danno erariale nei confronti dell’ Università degli Studi di Napoli “Parthenope” che si sostanzia
nella sommatoria di quanto
indebitamente percepito come indicato nei prospetti presentati dalla Guardia di
Finanza, sulla scorta di quanto loro comunicato dall’Amministrazione
universitaria.
Pertanto, ai
medesimi convenuti vengono addebitati, con conseguente e corrispondente obbligo
di risarcimento
nei confronti dell’ Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, i seguenti importi: € 91.760,29 a carico di
Federico
ALVINO (€ 73.888,35 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2003 al
2007 ed € 17.871,94 a
titolo di indennità di carica e di incentivazione alla
didattica percepite); € 81.065,97 a
carico di Stefano
AVERSA (€
68.652,84 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed €
12.413,13 per indennità
di carica e di incentivazione alla didattica
percepite); € 56.761,36 a carico Guido BENASSAI a titolo di
indebite
erogazioni stipendiali dal 2003 al 2007; €
122.060,29 a carico di Alberto
CAROTENUTO (€
82.197,18 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal
2004 al 2007 ed € 39.863,11 a titolo di indennità di
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
carica); € 30.178,24 a carico di Lino CINQUINI a titolo di erogazioni
stipendiali indebite dal 2003 al 2004;
€
32.396,25 a carico di Roberto DE
CICCO a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2005 al 2007; €
438.477,30 a carico di Gennaro
FERRARA (€ 114.488,97 a titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2003
al 2007 ed € 323.983,33 a titolo di indennità di Rettore); € 122.321,91 a carico di Rodolfo
Maria A.
NAPOLI (€ 114.488,97 a titolo di erogazioni stipendiali indebite
dal 2003 al 2007 ed € 7.832,94 a titolo di
incentivazione alla didattica); € 119.010,32 a carico di Claudio PORZIO (€ 92.661,93 titolo di
erogazioni
stipendiali indebite dal 2003 al 2007 ed € 26.348,39 a titolo di
indennità di carica); € 43.582,50 a
carico di
Vincenzo SANGUIGNI a
titolo di erogazioni stipendiali indebite dal 2005 al 2007.
Sulle predette
somme dovranno essere applicati, innanzitutto, la rivalutazione monetaria, da
calcolarsi secondo
https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]
Corte dei conti
gli indici ISTAT, dall’esborso e fino al giorno della
pubblicazione della presente sentenza, nonché gli interessi
legali sulla somma
così rivalutata dalla predetta pubblicazione al soddisfo.
Per quanto riguarda, infine, le spese di giudizio, queste ai sensi
dell'art. 97 c.p.c., seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Campania
1. RESPINGE le eccezioni di difetto
di giurisdizione;
2. RESPINGE le eccezioni di
nullità/inammissibilità dell'atto di citazione e degli atti istruttori;
3. RESPINGE l'eccezione di
prescrizione;
4. RESPINGE l'istanza di sospensione
del presente giudizio in attesa dell'esito di quello in corso innanzi al
Consiglio di Stato a seguito dell'impugnazione della sentenza n. 775/2014 del
TAR Campania, proposta da
Vincenzo SANGUIGNI;
5. CONDANNA i convenuti al pagamento, in favore dell’ Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, delle
somme di seguito indicate: €
91.760,29 a carico di Federico
ALVINO, € 81.065,97 a carico di Stefano
AVERSA, € 56.761,36 a carico Guido
BENASSAI, € 122.060,29 a carico
di Alberto CAROTENUTO, €
30.178,24 a carico di Lino CINQUINI, € 32.396,25 a carico di Roberto
DE CICCO, € 438.477,30 a
carico di Gennaro
FERRARA, € 122.321,91 a carico
di Rodolfo Maria A. NAPOLI, € 119.010,32 a carico
di Claudio PORZIO, € 43.582,50 a carico di Vincenzo
SANGUIGNI.
Scuola Normale Superiore - Affari legali e istituzionali
Sulle predette somme andranno, altresì,
corrisposti, oltre rivalutazione monetaria da calcolarsi secondo gli
indici
ISTAT dall’esborso e fino al giorno della pubblicazione della presente
sentenza, gli interessi legali sulla
somma così rivalutata dalla predetta
pubblicazione al soddisfo.
I predetti soggetti sono, poi, tenuti al pagamento,
nei confronti dell'erario, delle spese di giustizia che si
liquidano in euro
duemilaottocentoquarantatre/38 (€. 2.843,38).
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del
16 ottobre, del 13 novembre e del 11 dicembre 2014.
IL CONS.
ESTENSORE IL
PRESIDENTE
(Rossella Cassaneti) (Fiorenzo Santoro)
https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]
Corte dei conti
Depositata in Segreteria il 30 marzo 2015
Il Direttore della Segreteria (Dott. Carmine De
Michele)
https://servizi.corteconti.it/...=305%20%20%20%20%20%20%20%20&anno=2015&pubblicazione=20150330&mod=stampa&rigenera=SI[27/04/2015 11:49:28]