CANTO I tempo: mercoledì 13 aprile 1300, mezzogiorno luogo
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CANTO I tempo: mercoledì 13 aprile 1300, mezzogiorno luogo
CANTO I tempo: mercoledì 13 aprile 1300, mezzogiorno luogo: Paradiso terrestre (fino al v. 75); sfera del fuoco personaggi: Beatrice e Dante Riassunto Versi 1-36 È il proemio della cantica, nel quale Dante prima dichiara quale ne sarà l'argomento, cioè la salita attraverso i cieli fino all'Empireo, quindi invoca l'aiuto delle Muse e soprattutto di Apollo per la parte più difficile dell'opera. Versi 37-63 Inizia il racconto del viaggio: siamo nel Paradiso terrestre, è il mezzogiorno del mercoledì dopo Pasqua, 13 aprile 1300. Beatrice guarda nel sole e Dante, imitandola, vede il cielo brillare come fuoco incandescente. Versi 64-81 Dante non sostiene a lungo la vista del sole e si rivolge a Beatrice; nel fare questo sente dentro di sé la transumanazione. Viene quindi nuovamente attirato dallo spettacolo delle sfere celesti, nelle quali si diffonde una musica sublime e una luce di intensità e vastità inconcepibile sulla terra. Versi 82-93 Il suono e la luce confondono Dante, ma Beatrice risponde al suo dubbio inespresso: non sono più sulla terra, ma stanno volando velocissimi verso il Paradiso. Versi 94-142 Secondo dubbio di Dante: come è possibile a lui elevarsi attraverso l'aria con il corpo? Beatrice spiega: il mondo è stato creato secondo un ordine armonico dalla Provvidenza divina e ogni creatura ha un suo fine stabilito. E perché ciò avvenga, a tutte le cose viene dato dalla natura un istinto che le porti versi questo fine. Fine dell'uomo è la felicità, cioè ritornare al cielo, a Dio. All'uomo è stato dato però anche il libero arbitrio, con il quale egli può scegliere una direzione diversa da quella che per il suo bene Dio gli ha preparato. Dante ora è libero da ogni impedimento, da ogni peccato, ed è quindi naturale che si alzi verso il cielo. Commento Come nei canti proemiali dell'Inferno e del Purgatorio, anche in questo Canto I del Paradiso, Dante è presente in qualità di narratore e di personaggio. Nelle protasi (versi 1-12) Dante narratore celebra la gloria e la potenza di Dio motore immobile di tutto l'universo, la cui presenza si estrinseca nel modo di essere di tutte le creature dalla più semplice alla più nobile. Ogni Commento [1]: Commento [2]: Commento [3]: creatura originata da Dio vuole ricongiungersi a Lui per trovarvi la pienezza della sua realizzazione. Questo tema viene "sperimentato" anche dallo stesso Dante personaggio. Infatti l'anima e il corpo del pellegrino, più che mai uniti, tendono a Dio, obbedendo a una necessità che trascende la volontà e le leggi fisiche della gravità. Ancora una volta appare chiaro come lo sdoppiamento di Dante nei due ruoli del narratore e del pellegrino sia la premessa strutturale affinché il viaggio straordinario possa diventare racconto e diventare esempio di salvezza per l'intera umanità. Beatrice è andata incontro a Dante già nel Paradiso Terrestre. In lei il pellegrino ha riconosciuto la donna amata in vita e ha esaltato la donnaangelo dello stilnovo, tramite tra terra e cielo, sul modello della Vergine. È lei che porta a compimento la missione salvifica nei confronti di Dante, richiedendo al suo fedele una definitiva ammissione dei suoi peccati e la contrizione del cuore che lo liberi da ogni errore e lo renda degno di attraversare l'ultimo regno ultraterreno. È lei che nella narrazione svolge il ruolo di "aiutante" per eccellenza, poiché lo stesso Virgilio, che ha guidato Dante fino al Paradiso Terrestre, è stato a sua volta inviato da Beatrice in soccorso del pellegrino smarrito nella selva oscura del peccato. Inoltre in quanto simbolo della scienza teologica, Beatrice dissolve gli ultimi ostacoli incontrati da Dante nel suo viaggio. Non si tratta più di ostacoli dall'aspetto materiale, come quelli dell'Inferno (i diavoli, le fiere, le asprezze del cammino, gli stessi dannati), o di ostacoli spirituali, come quelli che il pellegrino ha affrontato nel Purgatorio (le tentazioni, le nebbie dl peccato, non del tutto dissolte), ma piuttosto di limiti derivanti dalla natura umana stessa di Dante, dal suo essere creatura terrena e perciò ancora immersa nella dimensione logica e scientifica propria del sapere razionale mondano. Da Beatrice, che è ormai libera dai vincoli terreni, Dante attinge la capacità di compiere il salto dalla dimensione umana della conoscenza a quella sovrumana, come un raggio riflesso (versi 49-53; versi 64-66). La figura di Beatrice è carica anche di un significato psicologico: in certo senso è la personificazione della parte migliore di Dante. Ma Beatrice non è solo un simbolo, è che una figura reale, una vera e propria persona. Nel Paradiso terrestre, alla sua vista, Dante ha sentito rimescolarsi il sangue, ha riconosciuto in sé l'effetto fisico sconvolgente dell'antico amore. Ma è soprattutto nel Paradiso che Beatrice è più che mai reale. Commento [4]: Dopo l'invocazione ad Apollo, Dante riprende la narrazione del suo viaggio dal punto in cui l'aveva lasciata negli ultimi canti del Purgatorio. Nei primi 36 versi egli, come poeta, ha sottolineato con umiltà l'impotenza della parola a rendere la visone che egli dice di aver sperimentato come pellegrino, compiendo un viaggio, che, secondo alcuni commentatori, è anche un viaggio nella sua interiorità più profonda. Dante sottolinea l'impossibilità di parlare di quella esperienza all'interno delle scoordinate razionali con le quali inquadriamo la realtà terrena, cioè lo spazio e il tempo. La visione di Dante e il suo viaggio dentro se stesso, fino alle radici più profonde e misteriose del suo essere, non è solo una convenzione attinta alla letteratura mistica, ma un'immagine retorica o un simbolo, ma è descritta come un'avventura dell'anima che ha cambiato la sua vita. In questo viaggio interiore Dante ha preso coscienza della temporalità e della spazialità dell'inconscio e c'è l'ha detto esplicitamente ai versi 70-72: transumanar significar per verba / non si poria. Per superare questo problema Dante ha deciso di ricorrere alla narrazione per esempi, cioè attraverso similitudini, metafore con il mondo reale in modo da rendere chiaro al lettore ciò che lui vede e vive nell'aldilà. Dante da una parte afferma l'impossibilità di raccontare la propria esperienza e di usare le categorie razionali dello spazio e del tempo e invece dall'altra, proprio in questo canto, è così attento a determinare il luogo e il tempo in cui inizia l'ultima parte del suo viaggio spirituale. Il paesaggio del Paradiso è costituito soprattutto di luce e armonia di suoni. Al suo primo ingresso nel terzo regno dell'aldilà Dante si accorge di essere capace di percezioni acutissime: riesce a sostener la vista del sole, ascolta suoni straordinari prodotti dalle sfere celesti nel loro moto. Egli è nel Paradiso, anima e corpo insieme, come sarà alla fine dei tempi nell'eterna perfezione. CANTO III tempo: mercoledì 13 aprile 1300 luogo: cielo primo, della Luna: spiriti mancanti ai voti (appaiono come immagini evanescenti, come se apparissero riflessi da vetri o da acque) intelligenze motrici: Angeli personaggi: Beatrice, Piccarda Donati, Dante, Costanza d'Altavilla Riassunto Versi 1-33 Dante alza gli occhi per dichiarare a Beatrice che ha ben compreso la sua spiegazione, ma lo arresta la visione di volti diafani, che giungono a lui come immagini specchiate e pertanto si volge indietro per vederne la figura reale, ma non vede nulla. E si rivolge allora stupito a Beatrice; questa, sorridendo, gli spiega che non di sembianti specchiati si tratta, ma di vere sostanze, che sono qui poste perché non adempirono ai voti fatti; lo invita quindi a rivolger loro la parola. Versi 34-57 Dante interpella uno spirito, chiedendo il nome e la natura della sorte ad essi toccata. L'anima risponde rivelando di essere Piccarda Donati, che nel mondo si era fatta suora, e che si trova con gli altri beati in questo cielo, che è il più lontano da Dio, e tuttavia in perfetta beatitudine. La loro felicità, infatti nasce dalla perfetta adeguazione al volere dello Spirito, all'ordine dell'universo da Dio stabilito; si trovano qui relegati perché il voto fu da essi almeno in parte lasciato incompiuto. Versi 58-90 Dante giustifica il mancato riconoscimento con lo stupore delle apparizioni e continua poi chiedendo a Piccarda se le anime del cielo della Luna non desiderino essere più in alto per essere più vicine e più amiche a Dio. Piccarda risponde che la legge prima del Paradiso è la carità, che ci fa desiderare solo quello che si ha: è essenziale alla beatitudine celeste essere in completa coincidenza con il volere divino. Dante comprende allora come in cielo tutto è Paradiso, anche la Grazia divina piove con diversa abbondanza. Versi 91-120 Dante chiede quindi a Piccarda di saper come ella sia venuta meno ai voti. Piccarda racconta della sua scelta claustrale e poi della violenza da lei subita da parte di suo fratello, che per suo tornaconto politico voleva farla sposare, perché ritornasse al mondo. La donna poi indica un altro spirito che ebbe sorte uguale alla sua: quello dell'imperatrice Costanza d'Altavilla, moglie di Enrico VI di Svevia e madre di Federico II. Versi 121-130 Da si allontana svanendo e gli occhi di Dante la seguono il più possibile quindi si rivolgono verso Beatrice, ma è tanto il suo splendore che egli ne resta abbagliato e deve rinviare la sua domanda. Commento Piccarda Donati è la terza esponente della famiglia Fiorentina, che Dante ricorda nella Commedia, dopo Forese, collocato tra i golosi nel Purgatorio, è Corso, il capo della parte dei Neri, di cui il poeta, sempre nel Purgatorio, profetizza la sorte eterna di dannato. Piccarda condivide con altre celebri figure femminili dl poema, Francesca da Rimini (canto V dell'Inferno) e Pia de' Tolomei (canto V del Purgatorio), il linguaggio soave, la malinconia per la triste sorte terrena, la pudica reticenza nel racconto delle proprie vicende. Piccarda ha però una specificità rispetto alle altre due celebri figure femminili ora ricordate. Prima di tutto Piccarda conserva, nel linguaggio denso di immagini sensuali, echi di una spiritualità mistica, per la quale la vita monacale e poi la condizione di anima beata sono vissute come unione coniugale con lo Sposo divino. Inoltre Piccarda illustra a Dante, dimostrando, come gli altri spiriti beati, profonda consapevolezza teologica, il tema dell beatitudine paradisiaca. CANTO VI tempo: mercoledì 13 aprile 1300 luogo: cielo secondo, di Mercurio: spiriti attivi per gloria terrena (sono splendenti, cantano e danzano, manifestano la loro gioia diventando più luminosi) intelligenze motrici: Arcangeli personaggi: Beatrice, Giustiniano, Dante, Romeo di Villanova Riassunto Versi 1-27 L'anima che parla con Dante si presenta come quella dell'imperatore Giustiniano, indica il tempo in cui l'insegna imperiale giunse nelle sue mani, narra della sua conversione all'ortodossia Cristina e ricorda la principale delle sue opere, la stesura del Codice di leggi civili romane. Versi 28-96 Giustiniano descrive sinteticamente l'intera storia del potere e dell'Impero romano, partendo dalle sue origini troiano per giungere fino al Carlo Magno, per confermarne la sacralità è la provvidenzialità, si sofferma in modo particolare a trattare le imprese di Cesare e Augusto, per giungere poi al momento centrale della sua storia dell'umanità è della sua redenzione, la morte di Cristo sotto Tiberio. Versi 97-111 Polemica e invettiva contro ghibellini e guelfi, colpevoli i primi di traviare il significato del potere imperiale, i secondi addirittura di opporvisi. Versi 112-126 Rispondendo alla seconda domanda di Dante, Giustiniano rivela che le anime del cielo Mercurio sono quelle di coloro che in terra agirono bene per ottenere glori a e fama; per questo, per non essersi indirizzate subito al bene divino, esse occupano un cielo così basso rispetto all'Empireo, ma ciò non significa che la loro felicità sia imperfetta. Versi 127-142 Viene introdotta la figura di un'altra anima del cielo di Mercurio, quella di Romeo di Villanova, virtuoso cortigiano del signore di Provenza, che egli servì con illuminata accortezza e assoluto disinteresse, finendo però vittima delle calunnie e della misconoscenza. Commento La figura dell'imperatore Giustiniano occupa l'ultima parte del Canto V, l'intero Canto VI è l'inizio del Canto VII. Il Canto VI, unico caso nella Commedia, è costituito per intero dal lungo discorso di Giustiniano che, offertosi spontaneamente di dialogare con Dante, risponde alle sue domande circa la propria identità e quella degli altri spiriti del Cielo di Mercurio. Giustiniano costituisce prima di Carlo Magno, l'ultimo riuscito tentativo di riunificare le parti dell'antico impero romano, in un unico impero universale. E se la storia dell'aquila in età romana coincide in larga misura con vittorie militari, sotto la guida di Giustiniano l'universalità del potere imperiale si fonda, più che sulle armi, sul l'unità giuridica, attraverso il famoso codice, ispirato, dice Giustiniano, dalla Provvidenza divina. Nella dolorosa mancanza di unità politica verificatasi al tempo di Dante, l'unità giuridica era lo strumento dell'universalità imperiale sempre auspicata dal poeta con appassionato fervore, e poteva formare la premessa per una nuova riunificazione. Romeo di Villanova non interagisce direttamente con Dante. Delle sue vicende parla Giustiniano citandolo come esempio di operosità generosa ricambiata con l'ingratitudine. Romeo di Villanova nella realtà storica non era una persona umile e peregrina, come la definisce Dante, ma un potente ministro della contea di Provenza, che sopravvisse al suo signore. Ma Dante preferisce accogliere la leggenda di un Romeo servitore umile, fedele e disinteressato, costretto poi a un ingiusto esilio. Tale leggenda doveva essere più diffusa della verità storica. In realtà a Dante interessava proporre una figura esemplare, per cui, come in altri casi nella Commedia, assume ai suoi occhi scarsa importanza il rigore storico nella ricostruzione del personaggio. In Romeo di Villanova, costretto ad allontanarsi dalla sua terra povero e vetusto per le calunnie di altri cortigiani invidiosi del suo prestigio, è facile veder un'ennesima personificazione di carattere autobiografico di Dante, esule innocente.