Analisi esistenziale e

Transcript

Analisi esistenziale e
Laboratorio Montessori
Quaderno n. 1/2015 – La mediazione pedagogica. Studi e ricerche
ISBN 9788899209001
Le basi dell'analisi esistenziale frankliana e le loro “conseguenze”
pedagogiche
Furio Pesci
Considerazioni introduttive
L'opera di Frankl è incentrata sulla questione del significato, in particolare sul senso della vita nel
suo complesso e sul senso che ciascun individuo coglie nella propria esistenza personale.
La sua opera è raccolta in oltre trenta libri, molti dei quali furono tradotti in varie lingue. Tra questi,
i principali sono divenuti celebri nelle loro edizioni in lingua inglese: The Doctor and the Soul,
Man's Search for Meaning e Psychotherapy and Existentialism. Già dai titoli si può cogliere
qualche aspetto significativo dell'impostazione frankliana. Il primo testo, nella sua formulazione
inglese, fa, quasi curiosamente, riferimento all'anima, piuttosto che alla psiche, in qualche modo
sfidando le consuetudini del linguaggio scientifico e le convenzioni di un establishment accademico
da almeno un secolo sinceramente impegnato in uno sforzo di definizione dell'oggetto e dell'ambito
di ricerca proprio di una scienza come la psicologia, continuamente tesa ad affrancarsi dalle sue
origini filosofiche e volta a delimitare il terreno d'indagine rispetto a ciò che è osservabile
empiricamente e sperimentalmente.
Il richiamo all'anima, per quanto giustificato da una scelta editoriale che richiamasse l'attenzione del
lettore al di là delle specificità disciplinari, è comunque indicativo del fatto che la visione frankliana
dell'uomo, senza ricadere nei dualismi della tradizione spiritualistica occidentale, cerca di evitare
anche le aporie della psicologia scientifica, tentando di recuperare una visione unitaria dell'uomo,
più profonda e completa. La sua posizione, ispirata da una personale rielaborazione del metodo e di
temi portanti della fenomenologia è, quindi, annoverabile tra quelle sostenute nella seconda metà
del Novecento dalla psicologia umanistica e da quella esistenzialistica, anche se occorre specificare
ulteriormente questi riferimenti e il significato che hanno nell'economia della visione entropologica
frankliana (Bulka, 1979).
Per Frankl l'analisi esistenziale e la logoterapia sono complementi adatti alle terapie di vario
orientamento metodologico, anche di matrice diversa da quella fenomenologica; si tratta di un
aspetto rilevante del pensiero e dell'opera dello psichiatra austriaco. In effetti, oltre ad aver sempre
riconosciuto il proprio debito nei confronti di Freud e Adler, la sua impostazione non ha mai avuto,
a differenza di altre, pretese di esclusività.
È famosa l'espressione usata da Frankl stesso per situare la propria posizione rispetto a quelle dei
suoi “maestri”: si definiva come “un nano sulle spalle di due giganti”, con la precisazione che,
tuttavia, pur essendo più piccolo, il nano in quella posizione avrebbe potuto vedere più lontano
degli stessi giganti. Questa espressione indica chiaramente come per Frankl l'impostazione
freudiana stessa abbia avuto una sua precisa ragion d'essere e rivesta (ancora oggi, si potrebbe dire)
un significato non soltanto storico; lo stesso potrebbe valere anche per la psicologia individuale di
matrice adleriana, i cui costrutti teorici ed euristici non sono da abbandonare, ma piuttosto da
integrare, come dimostra la stessa vicenda di Frankl, che, prima dell'espulsione dalla società degli
adleriani, pensava di poter integrare la psicologia individuale con quel complemento filosofico che
diede alla “sua” analisi esistenziale.
Con il riferimento all'antropologia filosofica di Scheler, Frankl intendeva, infatti, “riumanizzare”
(per usare la sua espressione preferita) la psicoterapia stessa; la sua formazione medica non gli
impediva, in effetti, di cogliere i limiti di questa impostazione e, in genere, della psichiatria del suo
tempo, rispetto alla complessità della vita mentale e dei suoi disturbi. Occorreva, anche in questo
caso, non un abbandono dell'impostazione medica (pur rifiutando, in sostanza, nei lavori della
maturità, qualsiasi “medicalizzazione” eccessiva della stessa terapia), quanto, piuttosto, una sua
“comprensione” alla luce di un'antropologia adeguata (Frankl, 1980).
Frankl, al fine di giungere a definire questa impostazione antropologica e di porla a fondamento di
un lavoro clinico che avrebbe potuto procedere ecletticamente, seguendo metodi e pratiche
molteplici, purché congruenti con l'impostazione antropologica stessa, pensava che si potesse
arrivare a questo risultato attraverso un lavoro esplicito sulla dimensione “spirituale”, in ciò
riconoscendo l'esigenza di una vera e propria “sfida” nei confronti di impostazioni altrimenti sorde
a qualsiasi dialogo interdisciplinare.
Su questo piano occorre aggiungere che Frankl si trovava in buona compagnia, all'epoca, dato che
altri avevano individuato lo stesso nodo problematico; si potrebbe citare, qui, Jaspers, autore di una
Psicopatologia generale in cui il dialogo tra la psichiatria e la filosofia stessa era in primo piano al
punto da rappresentare una costante in due direzioni, nel senso che non soltanto la filosofia
influenza, nell'opera di Jaspers, il lavoro psichiatrico, ma anche lo stesso lavoro psichiatrico
fornisce il proprio contributo all'indagine filosofica.
Jaspers, più di altri esponenti della psicologia fenomenologico-esistenziale, è un utile confronto per
comprendere Frankl anche al riguardo specificamente del riferimento alla dimensione spirituale
dell'essere umano e della vita mentale; questa dimensione consiste e si esprime essenzialmente nella
capacità di decisione, di assumere la propria responsabilità e di trovare il significato della vita, per
usare le espressioni frankliane, in questo molto affini con le analoghe scelte espressive compiute da
Jaspers per descrivere la realtà psicopatologica evitando i “riduzionismi” denunciati da questo
filosofo tanto sul piano scientifico quanto su quello antropologico; la sua opposizione
all'impostazione positivistica, allora imperante, ed anche a quella psicoanalitica, per altri motivi
ugualmente incapace di cogliere l'integrità dell'essere umano, saranno temi che, a partire dall'opera
psichiatrica (la prima, in effetti, di Jaspers) percorreranno tutto il percorso speculativo del filosofo
svizzero.
Lo spirito
Come essere spirituale, il fine primario dell'uomo non è il piacere, alla maniera freudiana, né il
potere, come per Adler, ma una comprensione della propria esistenza, specialmente nella
sofferenza, per riuscire a dare compimento a se stessi come persone libere (Twedie, 1963) . La
volontà di significato è considerata da Frankl la prima e più importante motivazione dell'agire.
L'analisi esistenziale e la logoterapia offrono, con il loro fondamento filosofico, una concezione
antropologica adeguata e metodi utili per la prevenzione e la terapia di molteplici disturbi.
Il riferimento allo spirito è per lo psichiatra austriaco la via per descrivere, anzitutto, il fatto che
l'essere umano coglie nella realtà una dimensione di senso (il “logos”, appunto) attraverso segni e
simboli in base ai quali la realtà stessa, per così dire, si “amplifica” rispetto alla pura datità
materiale e biofisiologica; anche la dimensione psichica si allarga, allorché si fa presente questa
dilatazione dell'esperienza e del mondo vissuto alla coscienza del singolo.
Lo scopo della vita non è la realizzazione di sé, o autorealizzazione, secondo una maniera di
pensare oggi ampiamente diffusa, ma piuttosto ciò che nell'analisi esistenziale si indica con la
parola “autotrascendenza”: l'essere umano, quando la sua formazione e la sua esistenza non sono
influenzate negativamente e, in definitiva, deviate da condizionamenti indesiderabili, legati per lo
più agli standard della vita associata, dal consumismo, dal conformismo, ecc. non desidera
realizzare se stesso, cosa che sarebbe, a ben pensarci, una contraddizione in termini, quanto
piuttosto trascendere, superare, andare al di là di e oltre se stesso.
La volontà di significato è considerata da Frankl la prima e più importante motivazione dell'agire; è
su questa convinzione, suffragata da un'ampia messe di dati che possono essere confermati anche
dalla stessa esperienza di vita quotidiana, che si fonda l'intero edificio teorico dell'analisi esitenziale
ed anche la stessa possibilità del miglioramento e della guarigione sul piano terapeutico vero e
proprio.
L'analisi esistenziale e la logoterapia offrono, con il loro fondamento filosofico, una concezione
antropologica adeguata e metodi utili per la prevenzione e la terapia di molteplici disturbi. L'uomo
“vuole” che la propria vita abbia un significato, vuole trovare questo significato nella propria vita
intesa come un tutto e nei singoli momenti che la costituiscono, come anche nelle piccole scelte che
colorano la vita di tutti i giorni; l'uomo è, di conseguenza, definibile come l'essere che cerca il
significato, secondo una visione che è certamente comune ai maggiori rappresentanti della filosofia
d'impostazione fenomenologico-esistenziale ed anche di altro orientamento (si pensi alla riflessione
di Charles Taylor sulla dimensione simbolica della vita mentale e sociale – per esempio nelle parti
introduttive di Taylor, 2007).
Da questa veduta antropologica derivano le scelte compiute da Frankl e dai suoi seguaci e
continuatori in campo clinico; come s'è già accennato, la logoterapia non ha dato vita ad
impostazioni e pratiche specifiche in questo campo, ma piuttosto ha puntato a costituire lo sfondo,
appunto, antropologico entro il quale l'analista può collocare il proprio lavoro interpretativo e
diagnostico ed il suo impegno in vista del cambiamento auspicato delle coordinate entro le quali il
singolo paziente concepisce la propria esistenza e i propri problemi, per la loro risoluzione.
Più specificamente, i due metodi elaborati e descritti da Frankl come apporto specifico della sua
impostazione al lavoro clinico sono l'intenzione paradossa e la dereflessione. La prima consiste
nella ricerca intenzionale, ironica e scherzosa, di ciò che si teme o che fa paura e si è dimostrata
utile nel trattamento della paura e di certe fobie, mentre la seconda è intesa come concentrazione da
parte del paziente sul significato di certi atti, specialmente nella sfera sessuale, invece e in
sostituzione dei pensieri che generano ansie e disordini specifici.
Paradossi terapeutici
L'intenzione paradossa e la dereflessione sono ampiamente noti come gli apporti pratici della
logoterapia frankliana, ma non bisogna dimenticare anche l'apporto dato da Frankl nelle prime
sperimentazioni di farmaci antidepressivi e il suo lavoro comune con studiosi che hanno
sperimentato pratiche come il training autogeno. In effetti, il riferimento alla dimensione del
significato come fondamento essenziale della vita umana e della vita della mente ha permesso a
Frankl di collocare nella giusta prospettiva anche quei fenomeni che trovano la loro ragion d'essere
e la possibilità di essere compresi sul piano scientifico in altre dimensioni, come quella fisiologica.
Secondo Frankl, se la comprensione del senso della vita ha in sé una carica curativa, è pur vero che
solo una parte dei disturbi mentali trova nella dimensione spirituale la propria ragion d'essere; non
si deve, dunque, cadere in un eccesso opposto a quello della tentazione riduzionistica.
L'approccio fenomenologico dell'analisi esistenziale è stato ulteriormente sviluppato dai
continuatori dell'opera di Frankl, non soltanto nei Paesi di lingua tedesca, così come si sono
aggiunti in anni recenti contributi di carattere pratico e specificamente metodologico. Si possono
ricordare, qui, i nomi di Eugenio Fizzotti, Elisabeth Lukas, Alfred Langle, che hanno anche
integrato con apporti originali di varia ispirazione la stessa visione antropologica frankliana; in anni
recenti sono apparsi inquadramenti complessivi sull'analisi esistenziale tanto sul versante teorico
che su quello pratico-clinico, ad opera di autori come, in Italia, Domenico Bellantoni e Daniele
Bruzzone.
L'opera di Frankl, collegando strettamente la questione del significato della vita a quella dei valori,
mette in evidenza il carattere antropologico ed etico della prospettiva analitico-esistenziale, nel
senso che, effettivamente, molto più che qualsiasi altra tendenza o posizione psicologica e
psicoterapeutica, quella frankliana insiste sul significato esistenziale dello stesso disturbo psichico.
La psicoterapia non è una mera tecnica, né il paziente, come del resto lo stesso terapeuta, può essere
trattato semplicemente come un “caso”; nel rapporto terapeutico entrano il gioco tutti i fattori
dell'esperienza delle relazioni interpersonali e la prospettiva etica appare necessaria per
comprendere pienamente il dramma in atto in ogni vita umana, alla ricerca del proprio significato,
spesso in bilico di fronte alla possibilità del “vuoto” esistenziale, che può essere evitato soltanto
rinvenendo nell'esperienza personale quei valori che la fondano e rispetto ai quali ogni momento
trova la sua pienezza e la sua bellezza (Fabry, 1980).
Per questa sua intonazione, è lecito sostenere che la logoterapia, oggi, nel panorama delle scienze
dell'uomo, è molto attuale e che la riflessione frankliana sull'esistenza sia ancora pienamente fertile;
anzi, l'insistenza di Frankl sull'oggettività dei valori, ripresa dalla sua lettura di Scheler, con la sua
etica “materiale”, meriterebbe di essere nuovamente discussa per fornire questi saperi di un
fondamento più forte.
Ugualmente significativo rispetto alle esigenze e alle questioni aperte del presente è il richiamo alla
necessità di ridimensionare la tecnica; in campo psicoterapeutico non si può negare che sia in corso
da decenni, specialmente a partire dal sopravvento che le terapie di tipo cognitivo-comportamentale
hanno avuto nel settore, un ripiegamento teorico-pratico sul piano, appunto, della tecnica, con
ripercussioni anche in altri ambiti, tra cui le stesse scienze dell'educazione, in cui è presente una
deriva tecnicistica, legata alla velleitaria introduzione di apparati tecnologici del tutto nuovo, tipici
dell'era in cui viviamo, con la conseguenza di uno smarrimento, almeno parziale, una riduzione in
secondo piano, uno scadimento della consapevolezza che riguarda il carattere umano delle stesse
relazioni interpersonali e il fatto, evidente al senso comune, che il rapporto tra persone, anche
quando è funzionale ad un fine terapeutico o formativo, non può mai ridursi ad uno schema.
Umanità
Occorre, insomma, un “tocco” d'umanità che l'opera di Frankl sembra aver costantemente tentato di
rinvigorire tra gli “specialisti”, spesso sfidando le convenzioni del “politicamente” corretto in
ambito scientifico. Oggi non ci si può nascondere che si possono trovare studiosi e terapeuti,
nonché pedagogisti, che concepiscono l'essere umano come un “sistema cognitivo”, per quanto di
una complessità ancora non completamente sondata, né sondabile, e la proposta di concepire in
termini analitico-esistenziali la teoria dell'educazione e le pratiche connesse vale innanzi tutto al
fine di evitare i rischi e i fraintendimenti insiti in queste concezioni antropologicamente inadeguate.
Le teorie variamente dedicate alla “complessità”, il decostruzionismo che si è affermato nelle
scienze umanistiche anche a scapito di orientamenti fino alla fine del secolo scorso ampiamente
consolidati, come l'ermeneutica, non sfuggono a questo genere di critica, perché anch'essi sono
responsabili di quella “eclissi dell'umano” che sembra oggi voler giustificare teoreticamente un
mondo in cui i valori economici e, quindi, utilitaristici predominano, oscurando la consapevolezza
che la vita umana è inestimabile e che i principi etici fondamentali non sono negoziabili.
D'altra parte, non si deve incorrere nemmeno in una petizione di principio a totale favore dell'analisi
esistenziale e della logoterapia; occorre, piuttosto, cogliere tutto il complesso intreccio delle
relazioni che intercorrono tra questo indirizzo e altri analoghi, come, per fare un solo esempio,
l'antropoanalisi di Binswanger, anch'essa sorta in ambito fenomenologico-esistenziale
contemporaneamente alla logoterapia stessa ed oggi alquanto dimenticata.
Certamente, in questo lavoro di confronto tra posizioni affini, ma anche diverse, vale la pena di
cogliere gli aspetti talvolta anche negativi, nel senso che dal confronto possono emergere
contraddizioni all'interno anche di posizioni molto vicine. Questioni oggi al centro del dibattito,
come, per esempio, quelle di bioetica, dall'aborto all'eutanasia, possono trovare un ventaglio di
posizioni e di soluzioni assai variegato, fino alla contraddizione stessa.
In questi casi è necessario fare riferimento ad una sorta di “riverenza ai fatti”, a cui si appellava lo
stesso Frankl, nel senso che la realtà è oggettiva e che la soggettività inevitabile delle singole
prospettive, inclusa la stessa analisi esistenziale, non deve prendere il sopravvento al punto di
cancellare la consapevolezza che la verità non si “costruisce”, come un certo gergo filosofico e
psicologico vorrebbe far credere, ma si “trova”, per usare un'espressione fortunata dello stesso
Frankl; ciò vale, in particolare, per quanto riguarda la morale e i valori, così di frequente in primo
piano nel quadro degli interventi psicopedagogici.
L'analisi esistenziale è, dunque, adeguata ad affrontare sfide presenti nel nostro tempo, perché
ricorda agli “esperti” le implicanze metacliniche della psicoterapia; al di là dello specifico clinico,
infatti, le stesse situazioni che si incontrano nella pratica specifica non possono trovare adeguata
risoluzione, e nemmeno comprensione, senza fare riferimento a dimensioni ulteriori che implicano
assunzioni di principio che, per nulla aprioristiche, né astratte, servono ad inquadrare la stessa
prospettiva del cambiamento desiderato o invocato dai soggetti interessati e coinvolti. Analoghe
considerazioni emergono nell'ambito educativo e, si potrebbe dire, anche nel più vasto ambito degli
studi umanistici nel loro complesso.
Tra gli assunti frankliani che meritano di essere ricordati a questo proposito è innanzitutto da
ricordare la libertà della volontà; l'essere umano è, per lo psichiatra svizzero, essenzialmente
caratterizzato dalla sua libertà (Frankl, 1980) . Questa è un'affermazione che si scontra con una
lunga tradizione antropologica presente nella visione dell'uomo che le scienze dell'uomo, quando si
sono concepite come scienze naturali, hanno poderosamente affermato tra la fine dell'Ottocento e
tutto il Novecento. L'uomo sarebbe, invece, secondo questa visione prevalente, frutto
dell'interazione con l'ambiente, determinato dalle sue reazioni a stimoli comunque esterni e la
libertà, in questo contesto argomentativo, finisce per risultare un costrutto pressoché
incomprensibile e privo di significato. Tutta la tradizione sapienziale e filosofica dell'umanità è
stata, su questo punto, revocata in dubbio da queste scienze, che si sono arrogate competenze non
loro, compiendo un'operazione epistemologicamente ingiustificata e metodologicamente debole, ma
che ha incontrato grande successo anche nell'opinione pubblica, contribuendo in maniera decisiva
alla disumanizzazione del mondo contemporaneo attraverso l'uso predominante delle tecnologie e
delle procedure standardizzate.
Il confronto con la psicologia scientifica statunitense
L'analisi esistenziale incontrò sul suo cammino, specialmente negli Stati Uniti, già al suo sorgere, lo
strapotere del comportamentismo nelle sue varie versioni. Oggi quella stagione della storia della
psicologia è tramontata ed il paradigma comportamentistico è stato sostituito dalla pluralità degli
orientamenti cognitivistici e costruzionistici, ma il clima culturale appare per più versi simile ed il
richiamo a questa verità, tanto evidente all'uomo nella quotidianità dei suoi atti, quanto guardata
con sospetto e considerata pericolosa sul piano politico, richiede di non dimenticare completamente
coloro che con coraggio ne hanno fatto l'oggetto specifico, e talvolta anche il centro, del loro lavoro
di ricerca.
Negli ultimi vent'anni circa si è affermato, grazie all'opera, già menzionata, di psicologi statunitensi
come Martin Seligman, un indirizzo di studi che programmaticamente insiste sulla necessità di
superare l'approccio “clinico” alla comprensione dell'uomo nella sua totalità e nella sua positività,
per giungere ad elaborare una scienza, appunto, “positiva” dell'uomo, quella positive psychology
che programmaticamente è stata posta al centro di un ambizioso programma di ricerche oggi in
sviluppo in tutto il mondo. È interessante notare come, all'interno di questa corrente di studi, sia ben
visibile lo sforzo di ridefinire l'immagine dell'uomo che la psicologia offre ai suoi cultori ed anche
ai cosiddetti “profani”, alla luce della sua intrinseca “libertà”, senza la quale né il cambiamento
psicoterapeutico, né il comportamento “sano” e “normale” risulterebbero comprensibili. Per non
parlare del carattere autenticamente enigmatico che assumerebbero questioni come la felicità e la
vita buona.
Una delle manifestazioni più chiare della libertà dell'uomo è, sul piano strettamente fenomenico, il
fatto che l'uomo può distanziarsi da se stesso; questa sua capacità di “osservarsi”, di mettersi, entro
certi limiti, nei panni degli altri, di provare empatia, di riflettere su se stesso, sulla propria
situazione, sui propri comportamenti, è per Frankl la dimostrazione di una condizione ontologica
che rende l'uomo un essere non assimilabile agli animali e la sua vita mentale incomprensibile nel
quadro di una concezione puramente naturalistica.
Si tratta, come si vede, di una concezione esigente che vuole impedire lo smarrimento della visione
scientifica dell'uomo sganciata da un'antropologia adeguata; lo specifico umano consiste nella
capacità dell'uomo di trascendere se stesso, secondo l'espressione frankliana, che usa il termine
“autotrascendenza”, appunto, ad indicare tutta la gamma di fenomeni che, per un verso, non sono
comprensibili alla luce di una visuale riduzionistica e che, per un altro verso, è necessario
mantenere nel focus dell'attenzione per costruire tanto una teoria comprensiva quanto per
determinare il cambiamento terapeutico nelle direzioni auspicate (Frankl, 1985c).
Frankl è attento anche a segnalare i pericoli della generalizzazione, tanto nel senso del riduzionismo
naturalistico, quanto nel senso di un'esasperazione altrettanto unilaterale del ruolo svolto
dall'elemento, per così dire, spirituale nell'agire dell'uomo “sano” e nella genesi e nello sviluppo del
disturbo mentale propriamente detto. Lo psichiatra austriaco, in realtà, è alieno da qualsiasi
tendenza generalizzatrice e la sua analisi esistenziale sembra propendere per quell'orientamento
“idiografico” che la fenomenologia applicata alle scienze umane privilegia nella consapevolezza
dell'irriducibilità delle differenze individuali, pur nel quadro della necessità di una visione
antropologica complessiva.
In particolare, Frankl insiste sull'esigenza di una nuova ontologia; certamente, non si tratta di un
impegno specificamente filosofico. Si potrebbe dire, anzi, che l'analisi esistenziale, sollecitata da
premesse di carattere filosofico, nella sua concretezza pratica rimanda al lavoro dei filosofi il
compito di approfondire gli strumenti concettuali idonei a questa impresa. Frankl parla, dal canto
suo, di “ontologia dimensionale”, intendendo con questa espressione la compresenza, nella
complessità dell'essere umano, di una pluralità di livelli, di una sorta di stratificazione tanto
dell'agire, quanto del pensiero (Kovacs, 1982).
Nella visione dell'analisi esistenziale frankliana l'uomo è effettivamente un essere a più dimensioni,
ed avrebbe ancora senso parlare delle dimensioni vegetale, animale, psichica e spirituale care alla
tradizione filosofica occidentale, ad una parte significativa dei saperi sapienziali dell'umanità nel
suo complesso, e d'altronde non incompatibili nemmeno con l'intento delle scienze umane di
comprendere sulla base di un metodo rigoroso il loro oggetto specifico d'indagine.
Consapevolezze perdute
La perdita della consapevolezza della pluridimensionalità dell'essere umano porta con sé il pericolo
di grandi ambiguità nella visione di sé che l'uomo contemporaneo e, specialmente, le scienze umane
coltivano; alla sua apparizione divenne celebre il grafico cartesiano su tre dimensioni che Frankl
ideò per spiegare la propria idea, mostrando che la proiezione dell'immagine su soltanto due
dimensioni inevitabilmente comporta un appiattimento complessivo della prospettiva senza più la
possibilità di ricostruirla nella sua interezza e nella forma vera.
Strettamente connesso a questo rischio d'ambiguità è il pericolo di una perdita di rispetto per la
persona umana da parte dell'uomo stesso; quanto siano attuali queste preoccupazioni che Frankl
formulò circa cinquant'anni fa, è dimostrato dalla cronaca pressoché quotidiana delle scoperte
scientifiche, in particolar modo nel campo degli studi sul genoma, delle biotecnologie e delle loro
future applicazioni, oltre che dal dibattito drammatico a proposito delle questioni più scottanti di
bioetica, allorché si fa strada una visione dell'essere umano e della vita che utilitaristicamente pone
come obiettivo primario la mera ricerca del piacere e l'evitamento del dolore e della sofferenza, fino
a smarrire il senso di queste ultime due componenti della vita, che, se non da ricercare – è chiaro –
sono tuttavia anch'esse cariche di significato.
Per Frankl l'autotrascendenza è un fenomeno umano, anzi è ciò che caratterizza l'uomo in tutta la
sua vita e in tutte le sue azioni. Per autotrascendenza, come ho già accennato, lo psichiatra viennese
intende la tendenza tipicamente umana, e solamente umana, a trascendere i limiti della datità del
reale, lo stesso principio dell'omeostasi, così assolutamente valido, almeno in apparenza, per
spiegare il comportamento animale e, in genere, della natura, ma che nell'uomo finisce per fallire
miseramente davanti alla complessità delle motivazioni e delle finalità dell'agire.
Nessun atto propriamente umano si spiega con il riferimento alla ricerca del piacere o
dell'alleviamento delle tensioni vitali. Al contrario, ciascun individuo nella propria vita sperimenta
momenti e situazioni in cui le sue motivazioni e i suoi obiettivi prescindono addirittura dal piacere
ed anche dalla ricerca della felicità nei suoi presupposti materiali. In Frankl, in realtà, troviamo una
profonda consapevolezza al riguardo, sulla quale è stata in anni recenti imbastita con successo una
teoria dell'educazione (p. es. ad opera di Daniele Bruzzone) e che è stata ripresa specificamente
dalla positive psychology, individuando proprio in Frankl uno dei principali antesignani di questo
indirizzo di ricerca, ormai tra i maggiori, anche se gli sviluppi dell'indagine sulla felicità da parte
della psicologia positiva non sempre coincidono con la visione frankliana (cfr. almeno Seligman,
2009).
Sostanzialmente, il lettore può trovare negli scritti principali di Frankl una costante critica al
principio del piacere, che può essere assunta come il filo conduttore del suo distanziamento dagli
altri indirizzi psicoanalitici e psicoterapeutici. La critica a Freud e ad Adler parte dal presupposto
che non soltanto il principio del piacere, ma anche la volontà di potenza non spiegano il
comportamento umano nelle sue istanze più profonde, peculiari e veritiere.
Già nei suoi scritti sulla vita nei campi di concentramento Frankl aveva ampiamente denunciato
l'incapacità della psicologia scientifica nel suo complesso, anche nelle sue versioni americane, in
particolare di matrice funzionalistica e comportamentistica, di spiegare fatti evidenti come la
persistente volontà di vivere e di sopravvivere in condizioni assurdamente disumane da parte dei
prigionieri. Se è vero che nell'uomo si può cogliere un desiderio di affermazione che ogni individuo
prova e che si può riscontrare anche nei gruppi sociali, questi fenomeni non riescono, tuttavia, a
rendere conto di quei gesti e di quegli atti (come, si potrebbe dire, un semplice dono disinteressato)
che riempiono quotidianamente la vita delle persone (cfr. Peterson, 2009).
Nel comportamento umano è certamente potente la ricerca di un piacere che si manifesta nelle
forme più materiali e che è legato alle pulsioni fondamentali; sotto questo aspetto è valida l'analisi
freudiana, alla quale si può rimproverare di essersi troppo concentrata su tali pulsioni, in primo
luogo quelle sessuali, trascurando l'essenziale. Anche ad Adler Frankl stesso riconosce la validità
dell'analisi della volontà di potere e degli stili di vita, l'ambivalenza tra egocentrismo e altruismo,
ma c'è comunque qualcosa che non si riduce a questa dimensione, sia pure ulteriore rispetto a quella
della mera fisiologia delle pulsioni.
Patologie sociali
Frankl sostiene che esiste una vera e propria “patologia” del nostro tempo, quasi ad intendere che i
disturbi che affliggono singoli individui sono, in realtà, riflessi di un male che opprime l'intera
società; naturalmente, questa affermazione non tende, come accade di solito, a ridurre la
responsabilità della persona, ma al contrario a sollecitare la sua presa di posizione responsabile.
Il male che affligge la nostra società (in genere, la società occidentale e, in seguito alla
globalizzazione, tutto il mondo raggiunto da questo fenomeno) riguarda quella che lo psichiatra
viennese chiama la “motivazione primaria”, vale a dire l'atteggiamento fondamentale assunto di
fronte all'esistenza, in particolare di fronte all'esistenza propria di ciascuno (cfr. Argyle, 2001).
Le mistificazioni e i fraintendimenti che oggi imperano in questo ambito essenziale della vita
umana sono alla base, secondo l'analisi esistenziale, di quella grave mescolanza di fenomeni che, a
livello di rapporti interpersonali fino a quello dei rapporti tra stati, caratterizza il nostro mondo, in
cui convivono contraddittoriamente aggressione e pace, la ricerca del potere e quella di una
concordia spesso limitata ad interessi di comodo piuttosto che ad un'autentica ricerca d'armonia.
Un campo in cui questa situazione contraddittoria si manifesta in tutta la sua complessità è la vita
sessuale. Oggi prevale un atteggiamento fondamentalmente sadico, in cui sono ricomparsi i
fantasmi perversi delle civiltà pagane, che rendono sempre più difficoltosa la ricerca di una
sessualità personalizzata nell'autenticità. L'affermarsi sempre più netto di teorie che, al riguardo, si
presentano come vere e proprie imposture scientifiche, mi sembra la prova più evidente di questa
diagnosi.
La preoccupazione dell'analisi esistenziale sfocia quasi in un appello agli uomini del nostro tempo
per un recupero delle loro energie interiori e per la sopravvivenza dell'umanità, che dipende sempre
più chiaramente da tale recupero, da una ripresa della vita spirituale attraverso il superamento di
quelle visioni dell'uomo riduttive e inadeguate che alimentano il pensiero postmoderno, rendendolo
sempre più insidioso per la stessa vita umana.
Si potrebbe interpretare anche il confronto della logoterapia con la storia della psicoterapia,
specialmente a proposito della psicoanalisi e delle molte scuole derivate da essa, alla luce di questa
polemica verso tutte le forme di pensiero che non riconoscono all'uomo tutta la sua grandezza.
L'esigenza dell'analisi esistenziale è di non perdere di vista ciò che è peculiare dell'uomo anche in
un'epoca come la nostra, così propensa a quelle “mezze verità” di cui si appaga la vita intellettuale
contemporanea e che allontanano, in realtà, l'uomo dalla verità stessa, per così dire “tutta intera”.
Il confronto tra logoterapia e psicoanalisi implica per Frankl, infatti, il riconoscimento del fatto che
la vita umana si colloca sul piano di una spiritualità intesa innanzitutto come ricerca di significato,
in cui la vita deve essere concepita al di là di tutti i costrutti scientifici che consentono di vedere
l'uomo soltanto nella sua natura animale, perdendo completamente di vista la dimensione autentica
della vita umana, esattamente come fanno il decostruzionismo e il cosiddetto “pensiero debole”.
Questo atteggiamento finisce per denunciare l'infondatezza scientifica di qualsiasi atteggiamento
che voglia sostenere in termini perentori se stesso senza esaminare criticamente e considerare le
ragioni possibili di altri atteggiamenti; ciò avviene sul terreno stesso delle scienze, e Frankl insiste
molto sull'applicazione di questo principio all'ambito della psicoterapia, quando sostiene che, in
sostanza, nessuna psicoterapia, presa singolarmente, è una panacea, valida per tutte le forme di
disagio e tantomeno per inquadrare l'uomo nella sua pluridimensionale complessità.
La crisi della psicoanalisi diviene, dunque, il paradigma della crisi di ogni sapere fondato
principalmente su quello che Ricoeur ha efficacemente definito come “ sospetto” e che il
decostruzionismo ha addomesticato in una versione edulcorata e asservita agli interessi del
capitalismo globalizzato, adeguando persino le forme del pensiero “radicale” al potere globale e alle
sue istituzioni economiche, politiche e culturali.
Sotto questo punto di vista, la lezione frankliana è tra quelle utili a comprendere i pericoli
formidabili insiti nel cosiddetto “post-umanesimo” contemporaneo, che non teme di definire la
nostra epoca già come “post-umana”, intendendo con questi termini il fatto che, ormai, la tecnologia
è in grado di superare la natura e, addirittura, di costruirne letteralmente una nuova, costituita da un
intreccio mefistofelico di biotecnologie, cibernetica e ciber-tecnologie varie, di cui la padronanza
del DNA e la fecondazione artificiale palesano già gli scenari futuri. L'uomo d'oggi sembra
accanirsi contro l'umano che è in lui e la psicologia deve tenere desta la consapevolezza di questo
male radicale.
Bibliografia
Bauman, Z. (2000). Liquid Modernity. Cambridge: Polity Press.
Fabry, J. (1980). The Pursuit of Meaning: Viktor Frankl, Logotherapy, and Life. New York: Harper
and Row.
Frankl, V. E. (1972). “The Feeling of Meaninglessness: A Challenge to Psychotherapy”. The
American Journal of Psychoanalysis 32/1: 85-89.
Frankl, V. E. (1973). “Encounter: The Concept and its Vulgarization”. The Journal of the American
Academy of Psychoanalysis 1/1: 73-83.
Frankl, V. E. (1977). The Doctor and The Soul. New Tork: Vintage Books.
Frankl, V. E. (1980). “Psychotherapy on its Way to Rehumanization”. The International Forum for
Logotherapy 3/2: 3-9.
Frankl, V. E. (1981a). The Will to Meaning. New York: New American Library.
Frankl, V. E. (1981b). “The Future of Logotherapy”. The International Forum for Logotherapy 4/2:
71-78.
Frankl, V. E. (1985a). Psychotherapy and Existentialism. New York: Washington Square Press.
Frankl, V. E. (1985b). The Unheard Cry for Meaning: Psychotherapy and Humanism. New York:
Simon and Schuster.
Frankl, V. E. (1985c). Man's Search for Meaning: An Introduction to Logotherapy. New York:
Pocket Books.
Frankl, V. E. (1985d). The Unconscious God: Psychotherapy and Theology. New York: Simon and
Schuster.
Frankl, V. E. (1986). The Doctor and the Soul: From Psychotherapy to Logotherapy. New York:
Vintage Books
Haidt, J. (2005). The Happiness Hypothesis. New York: Basic Books.
Lasch, C. (1984). The Minimal Self. New York: Norton
Lopez, S. J., Snyder, C. R. (2009). The Oxford Handbook of Positive Psychology. Oxford: Oxford
University Press.
Lukas, E. (1984). Meaningful Living. Logotherapeutic Guide to Health. Cambridge, Massachussets:
Schenkman Publishing Company.
Peterson, C. (2006). A Primer in Positive Psychology. Oxford: Oxford University Press.
Peterson C.; Seligman, M. E. P. (2004). Character Strenghts and Virtues: A Handbook and
Classification. Oxford: Oxford University Press.
Seligman, M. E. P.; Csikszentmihalyi (2000). “Positive Psychology: An Introduction”. American
Psychologist 55 (1): 5-14.
Seligman, M. E. P. (2009). Authentic Happiness. New York: Free Press.
Snyder, C. R. (ed.) (2000). Handbook of Hope: Theory, Measures, and Applications. San Diego:
Academic Press.
Taylor C. (2006). A Secular Age. Cambridge, Massachussets: Harvard University Press.
Twedie, D. F., (1963). The Christian and the Couch: An Introduction to Christian Logotherapy.
Grand Rapids: Baker Book House.