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n° 359 - marzo 2013
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Le raffinate rappresentazioni
di Simone Martini
Nella Siena tra il Trecento e il Quattrocento si assiste a una straordinaria scuola di
artisti tra i quali anche Duccio di Boninsegna e Ambrogio Lorenzetti che, insieme
ai fiorentini Cimabue e Giotto, traghetteranno la pittura dal bizantino al gotico
Per avere qualche notizia della vita di
Simone Martini dobbiamo partire
dall’unica data certa che è quella della
sua morte, il 4 agosto 1344, che si ricava da un necrologio del Convento
di San Domenico a Siena. Se è attendibile poi l’affermazione del Vasari, secondo la quale sulla sepoltura di Simone era posto un epitaffio
che lo voleva morto sessantenne, possiamo ragionevolmente dedurre che
la sua nascita dovette avvenire intorno
al 1284.
Per avere poi un’idea del suo aspetto
ci facciamo guidare dal Petrarca che
lo descrive, nonostante la grande amicizia che li lega, come “non molto
bello”; ma possiamo anche seguire
l’indicazione di alcuni studiosi che lo
avrebbero “riconosciuto” nel volto di
Cristo di fronte a Pilato sul tergo della
Maestà di Duccio di Buoninsegna;
o altri che lo avrebbero identificato
nel ritratto dell’uomo con il cappello
azzurro che, con aria incredula, assiste al miracolo del fanciullo resuscitato,
nella cappella di San Martino della
chiesa inferiore di San Francesco ad
Assisi.
Dell’opera di Simone Martini, troppe
sono le contaminazioni con i suoi altrettanto grandi contemporanei, e
troppo vasta la sua produzione per
poterne disquisire in modo anche solo
superficiale, nel breve spazio di un articolo: proviamo a tracciare una semplice analisi di due grandi opere. Una
è l’imponente affresco della Maestà
nel Palazzo Pubblico di Siena. La pittura poetica di Simone Martini trova
le sue origini certamente in Duccio
di Boninsegna, suo contemporaneo
ma di circa trent’anni più vecchio,
anch’esso autore di una Maestà posta al tempo come Pala d’altare nella
Cattedrale di Siena e adesso conservata nel Museo dell’Opera del Duomo.
Ma il dipinto di Simone Martini, realizzato tra il 1313 e il 1315 (con ininterrotte modifiche fino al 1321) manifesta sì delle analogie con quello
di Duccio ma ne evidenzia anche le differenze e l’evoluzione.
Le similitudini con la Maestà di Duccio si esauriscono
con l’inserimento, nella versione di Simone Martini,
del baldacchino arricchito
dal morbido panneggio e
dalle numerose figure disposte in modo apparentemente casuale che compongono la folla, ritratta in una
approfondita ricerca fisiognomica e in atteggiamenti e pose naturali come non si era visto prima
Simone Martini: Miracolo del fanciullo resuscitato (part.) - Assisi, cappella di San Martino, chiesa inferiore
Simone Martini: Maestà - Siena, Palazzo Pubblico
pag. 2
di allora, con costumi sfarzosamente
guarniti e il tutto inserito in una cornice di armonica prospettiva.
Lo spirito bizantino che ancora permea l’opera di Duccio è ormai definitivamente superato, e si affacciano
invece in modo prepotente le caratteristiche gotiche emblematicamente
rappresentate dal trono cuspidato.
La Maestà doveva raffigurare “l’udienza
alla corte divina”, com’era risaputo al
tempo della sua realizzazione, invece
si presenta come una solenne cerimonia, dove la folla in processione si
ferma, offre doni e fiori, affinché la
Patrona che presenta, come un simulacro, il Bambino in posizione eretta,
ricompensi i visitatori con la sua protezione divina.
Della pittura di Simone Martini il
Vasari disse: «...ebbe invenzione della
natura e si dilettò molto a ritrarre al
naturale, e in ciò fu tanto tenuto il
migliore maestro de’ suoi tempi».
L’altra opera di cui brevemente tratteremo e che è tra le più grandiose di
Simone Martini è l’Annunciazione, dipinta per la cappella di Sant’Ansano
nel duomo di Siena nel 1333, adesso
custodita agli Uffizi di Firenze. Essa
è parte centrale di un trittico nel quale
sono raffigurati anche Santa Giulitta
e Sant’Ansano, attribuiti a Lippo
Memmi, cognato, oltre che prezioso
e appassionato collaboratore. La Vergine è raffigurata con uno scuro manto
azzurro ed è inserita in un fondo aureo che le dona immenso splendore e
che le dà grande risalto. Il contorno
della figura appare scorrevole e segue
un elegante ritmo musicale. Sicuramente originale e di grande modernità l’immagine della Vergine è posta in atteggiamento irrituale, fermata in un gesto sospeso tra il tentativo di ritrarsi dall’evento annunciato
in un moto istintivo di paura, e la sorpresa da cui non sa difendersi e che fa
trasparire un’eloquente timidezza.
Ancora una volta l’attenzione al gesto, alla ricerca del particolare e l’introspezione dei personaggi risultano
predominanti nella poetica di Simone
Martini, così come l’attenzione estrema
alla definizione ambientale del racconto in chiave teatrale, o per meglio
dire, scenografica.
Di fronte alla Vergine sta lo splen-
Simone Martini: Maestà (part.) - Siena, Museo dell’Opera del Duomo
Simone Martini: Annunciazione - Firenze, Galleria degli Uffizi
pag. 3
dente angelo avvolto in una tunica
immacolata, accuratamente broccata
d’oro, che emette riflessi azzurrognoli.
Ma la sua posizione è immobile, ieratica, il gesto con la mano appare
eterno, solo il mantello è mosso da un
improbabile vento.
Il linguaggio di Simone Martini arriva ad effetti arabeschi, e la stilizzazione si fa più viva anche nei dettagli, come si evidenzia nel vaso metallico da cui esce il giglio sottile.
In quest’opera la pittura di Simone
diventa poesia, di una tale intensità
che neppure lui riuscirà mai più ad
eguagliare.
lorenzo gualtieri
Simone Martini: Annunciazione (part.) - Firenze, Galleria degli Uffizi

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