Signori e signore: Bob Dylan
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Signori e signore: Bob Dylan
Signori e signore: Bob Dylan Trentacinque anni di inseguimenti: la prima volta , poco più che ragazzo, alla fine degli anni Settanta, il concerto è a Parigi, in un ex macello. Conservo il biglietto tra le cose più care - meglio - tra quelle che ogni tanto riprendo, per ricordare un passato che è stato, che mi ha spinto e mi si è appiccicato addosso, dando rotta alla mia vita. Ancora giovane lui in quell’occasione (trentasettenne), giovanissimo io. Amore a prima vista. Da allora non l’ho più mollato. Quando mi sono sposato gli amici ci hanno accolto in chiesa con “Sad-eyed lady of the Lowlands”. Molto meglio rispetto alla marcia nuziale. Il prete finge di non accorgersi, ma credo approvi. Signori e signore: Bob Dylan. E sabato 2 novembre è ancora lui, con i suoi settant’anni suonati in tutti i sensi, a ricordarmi quanta strada è stata fatta. Negli anni l’ho rivisto una decina di volte, ma questa è una sera particolare. Mia figlia non l’ha ancora sentito dal vivo, so che non lo ama particolarmente, ma non importa. Deve assolutamente esserci. E’ una sorta di iniziazione, di passaggio del testimone. Sono le generazioni che si incontrano, si scontrano e si riconoscono. Per un breve tempo. Quello del concerto. Intorno a noi altri genitori che spingono altri figli, ai quali vorrebbero presentare un pezzo della loro storia. E sabato 2 novembre è ancora lui, con i suoi settant’anni suonati in tutti i sensi, a ricordarmi quanta strada è stata fatta. Negli anni l’ho rivisto una decina di volte, ma questa è una sera particolare. Mia figlia non l’ha ancora sentito dal vivo, so che non lo ama particolarmente, ma non importa. Deve assolutamente esserci. E’ una sorta di iniziazione, di passaggio del testimone. Sono le generazioni che si incontrano, si scontrano e si riconoscono. Per un breve tempo. Quello del concerto. Intorno a noi altri genitori che spingono altri figli, ai quali vorrebbero presentare un pezzo della loro storia. Alle 21,00 in punto si abbassano le luci. Il concerto ha inizio. Gran parte dei brani sono tratti dagli ultimi album, ma ci sono sei o sette pezzi che Dylan suona da quarant’anni. Noi siamo lì per quelli, perché sono quelli che strappano all’indietro. Come al solito quando li ripropone li macina e li massacra. E ha ragione: non si può proporre una canzone come quando la si suonava a vent’anni. Il tempo lascia sempre un segno. Quel brano che hai cantato da ragazzo non può più suonare nello stesso modo: sarebbe un falso, un lifting musicale incapace di nascondere tutto quello che nel frattempo c’è stato. Ma anche se devastate nella loro ritmica, quelle canzoni arrivano ancora alla pancia e vivono. Mia figlia ogni tanto mi guarda come a dire: “beh tutto sommato non è poi così male”, ma capisco che non può far altro. Apprezza la band, applaude all’artista che a settantadue anni continua a calcare le tavole dei palcoscenici del mondo. Oltre non può andare. E quando Dylan intona al termine del concerto una “Blowin in the wind” irriconoscibile, evita di guardarmi. Forse ha capito. Sandro Molinari