LA STANCHEZZA DI LADY GUCCI
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LA STANCHEZZA DI LADY GUCCI
ANNO XVI NUMERO 250 - PAG I G F lavio Tosi, sindaco di Verona, a caccia di lepri ha sparato per sbaglio a un ragazzo incaricato di recuperare le prede (Franco Vanni, la Repubblica 17/10). A ntonio Conte, allenatore della Juve, prima dell’inizio della partita Chievo-Juventus, è stato visto bagnarsi le dita con un’ampolla di acqua bene- detta e farsi il segno della croce (e.g., la Repubblica 17/10). che gira, l’acqua luminosa, i quadri che parlano, i muri che si spostano, è piena di scemenze che mi corrispondono» (Renato Franco, Corriere della Sera 18/10). «S e mi fanno gli auguri mi tocco» (Filippo Magnini a Luca Bianchini, Vanity Fair 19/10). A rturo Brachetti quando va in giro si veste da «rocker, prete o professore di filosofia» (ibidem). A mbra Angiolini per la famiglia prepara manicaretti ma lei mangia solo zuppe: «Poi mi scateno nelle notti tossiche al cioccolato» (Silvia Fumarola, la Repubblica 17/10). M onica Guerritore racconta che Gabriele Lavia è molto possessivo con le loro figlie (di 24 e 19 anni): «Mi telefona e mi chiede: “Hanno mangiato le bambine?”. Quando viene a pranzo da noi porta l’hamburger di vitello e il passatino di verdure per dar loro cose sane» (Marina Cappa, Vanity Fair 19/10). L a casa di Arturo Brachetti: «Ha i passaggi segreti, la libreria LUNEDÌ 24 OTTOBRE 2011 Le notti tossiche di Ambra Angiolini CATALOGO DEI VIVENTI iovanni Floris corrispondente Rai dagli Usa, nel 2001 si fece sei mesi di antibiotici perché era entrato nello studio del senatore Tom Daschle a filmare la scrivania con la lettera contaminata dall’antrace (Sara Faillaci, Vanity Fair 12/10). IL FOGLIO QUOTIDIANO S econdo Virna Lisi Hollywood era un ambiente molto triste: «Ripenso a Lemmon, l’attore comico più malinconico che abbia mai conosciuto: fuori dal suo camerino teneva un pianoforte, appena finiva di recitare, si metteva a suonare Chopin e altri brani strappalacrime... non rideva mai! Oppure Holden: sempre col bicchiere in mano. Arrivava sul set completamente ubriaco: dovevamo aspettare giorni per girare una scena, in attesa che smaltisse la sbornia» (Emilia Costantini, Corriere della Sera 18/10). H arrison Ford ha mai pensato di lavorare in una serie tv? «No. I ritmi della tv sono massacranti, si lavora tutti i giorni, fino a sera tarda. Sarebbe come avere un lavoro vero, per carità» (Vanity Fair 19/10). come John Travolta. Tony Manero ero io» (Raffaele Panizza, Panorama 21/10). C laudio Gentile, campione del mondo nel 1982 ed ex ct della nazionale Under 21 allenerà la nazionale della Libia. «Ho accettato la panchina della Libia per motivi affettivi: sono nato a Tripoli ma quando avevo otto anni la mia famiglia fu costretta a tornare in Italia» (la Repubblica 19/10). «P er conoscere la gente ti devi alzare presto: il giornale, il caffè, la farmacia. Mi metto all’angolo della pressione e faccio segno alla farmacista “con calma”: ascolto i discorsi dei vecchietti e mi torna il buonumore» (Carlo Verdone ad Arianna Finos, la Repubblica 20/10). I l look di Teo Teocoli da ragazzo per fare conquiste: «Blue jeans rigorosamente Lee, col risvolto alto, catena lungo i passanti della cintura, camicia e giacca della festa. Ero un gran ballerino, a 15 anni già facevo le gare di boogie woogie nelle bocciofile. Se fossi nato in America sarei diventato famoso M assimo Bottura, modenese, 49 anni, lo chef più bravo d’Italia secondo la guida del Gambero Rosso, da bambino s’infilava sotto il tavolo della cucina per rubare i tortellini crudi preparati dalla nonna (la quale poi lo inseguiva col matterello) (Egle Santolini, La Stampa 18/10). P iatto preferito dello chef Ferran Adrià, inventore della cuci- na molecolare: spaghetti con le vongole (la Repubblica 22/10). «N on c’è niente come il caro vecchio curry per sturare il culo intasato di un sessantaduenne» (Ozzy Osbourne, cantante dei Black Sabbath) (Egle Santolini, La Stampa 17/10). M ichele Santoro, qual è il peggiore direttore generale della Rai? «Il prossimo» (a Isabella Mazzitelli, Vanity Fair 19/10). E llen Kessler guarda la gemella Alice e dice: «Madonna santa com’è diventata» (Vanity Fair 19/10). (a cura di Daria Egidi) Foto (nell’ordine): Antonio Conte, Ambra Angiolini, Giovanni Floris, Arturo Brachetti. LA STANCHEZZA DI LADY GUCCI «Meglio il carcere che lavorare». L’assassina Patrizia che a maghe e pellicce ora preferisce fiori e furetti la Repubblica, mercoledì 19 ottobre a sintesi più efficace la coniò il suo ex avvocato Gaetano Pecorella, undici anni fa. «Patrizia Reggiani è e resta un mistero anche per noi suoi difensori». Lei, tailleur Curiel blu, sciarpa di velluto raso, trucco stile Dinasty, quella mattina in aula si era accasciata sul banco degli imputati durante il processo d’appello (marzo 2000). Ma, arcani a parte, che l’uxoricida più famosa d’Italia non fosse esattamente votata alle fatiche del lavoro si era già intuito tre anni prima. «Le mie compagne di cella? Mi trattano bene, mi aiutano a fare il letto e mi fanno da mangiare», raccontò all’amica Micaela Goren Monti, all’epoca consigliere regionale di Forza Italia. Tutto alla fine è andato secondo copione: Patrizia Reggiani Martinelli, condannata a 26 anni di detenzione per l’omicidio dell’ex marito Maurizio Gucci, tra il carcere e il lavoro (in semilibertà) sceglie il carcere. A sgomberare il campo da pensieri e retro pensieri ci ha pensato lei stessa, di fronte agli increduli magistrati di sorveglianza di Milano: «Non ho mai lavorato nella mia vita». Quasi a rivendicare uno status che non può essere scalfito da nulla, nemmeno da quattordici anni trascorsi dietro le L «Meglio piangere in Rolls Royce che ridere in bicicletta» (Patrizia Reggiani). [1] Il vero cognome di Patrizia è Martinelli: Fernando Reggiani, titolare di un’importante ditta di trasporti, era il padre adottivo. La madre, Silvana Barbieri, faceva la lavapiatti in un bar. Madre e figlia, nata nel dicembre del 1948, vivevano in un bilocale. Nel ’50 Silvana, che aveva 22 anni, incontrò Fernando, 55. Lui restò vedovo nel febbraio del ’56. Nel settembre di quell’anno Silvana e Patrizia andarono a vivere da lui. A 15 anni la ragazza ricevette dal padre un visone bianco. A 18 una Lancia Fulvia Zagato. [2] Patrizia, da ragazza, aveva l’abitudine di cotonarsi i capelli per sembrare più alta. [2] Maurizio Gucci conobbe Patrizia la sera del 23 novembre 1970 a una festa. Lei, vestita di rosso, indossava tanti gioielli. [2] Maurizio frequentò Patrizia di nascosto dal padre: andavano a cena al ristorante Santa Lucia, un locale a due passi dal Duomo di Milano, e spesso lui non mangiava perché aveva appena cenato col padre. Per evitare il matrimonio del figlio con Patrizia, che secondo lui «correva dietro i soldi dei Gucci», Rodolfo Gucci chiese aiuto perfino al cardinale Giovanni Colombo. [2] Maurizio e Patrizia si sposarono il 28 ottobre 1972 nella chiesa dei Cavalieri del Santo Sepolcro a Milano. La sposa venne criticata dalle amiche per il suo enorme bouquet. Lo sposo aveva sei garçons d’honneur, la sposa sei damigelle, gli invitati erano 500, non era presente nessuno dei Gucci. Solo lo zio Vasco mandò al nipote un regalo: un vaso d’argento. [2] Per la nascita della prima nipote Alessandra (1976), Rodolfo, che nel frattempo aveva fatto pace col figlio, comprò alla coppia un attico di 500 metri quadri nella Olympic Tower, un grattacielo costruito da Onassis nel centro di Manhattan. Venne arredato con mobili ipermoderni e pezzi stile impero, in una profusione di pelli di giaguaro e leopardo. [2] A Milano Patrizia Gucci aveva voluto un at- sbarre di San Vittore. O forse, non pare vero, è solo una questione di «equilibrio», di «karma»: quello che la vedova Gucci sostiene di avere ormai raggiunto in cella. «Sempre meglio che lavorare», si diceva un tempo (ma non a proposito del soggiorno in un penitenziario). Oltretutto, come ammonivano i latini, i gusti non si discutono. Ma un detenuto che, dopo quasi tre lustri in gattabuia, preferisce restare in prigione piuttosto che rimboccarsi le maniche e iniziare un mestiere all’esterno – beneficio a cui la Reggiani avrebbe diritto e che prevede appunto lo svolgimento di un’attività lavorativa –, è il colmo. Il legale Danilo Buongiorno la spiega così. «Ormai da tempo la mia cliente usufruisce dei permessi premio per andare a trovare la madre, quasi tutte le settimane». Ergo, non le interessa diventare semilibera? Pare di no. Patrizia la donna dei misteri. Patrizia diabolica. Patrizia vittima di «un furto della volontà» (omicida) – come sostenne in appello la difesa – da parte di una compagnia di giro di truffatori reoconfessi, ammaestrata dall’arte della persuasione della maga Giuseppina Auriemma. Ma anche Patrizia la superba, la viziata, che sperpera denaro in modo ossessivo. Ai tico più superattico più terrazza in piazza San Babila. C’erano la piscina e un giardino pensile con piante di banano. [2] Personale in servizio nell’attico di San Babila: 2 maggiordomi, 4 cameriere e un cuoco francese che, negli anni Ottanta, riceveva uno stipendio di 6 milioni di lire al mese. Per i pranzi di Capodanno Patrizia faceva ricamare a mano tovaglie con scritte di auguri e con la data dell’anno che terminava. Dopo l’uso venivano buttate. Per far ballare gli ospiti i Gucci chiamavano musicisti famosi come i Gipsy King e, al momento del commiato, per gli ospiti c’era sempre un ricordo in oro o in argento. [2] Patrizia, innamorata delle pellicce, aveva quattro visoni, dal miele al lilla, manti di zibellino, lontra ed ermellino. [2] Per la nascita della seconda figlia, Allegra, Maurizio regalò alla moglie Apple blossom farm, una tenuta agricola con decine di ettari di terra nel Connecticut. Altro regalo per la nascita di Allegra: lo yacht Creole, tre alberi in legno, 63 metri, tutto nero. La barca, commissionata nel 1925 da Alexander Cochran, fabbricante di tappeti americano, venne varata il 14 settembre 1927 con il nome Vira. Alla morte di Cochran fu comprata dal maggiore inglese Edward Popo, poi l’imbarcazione passò a sir Conner Guthrie, appassionato di regate, che la fece restaurare. Ma scoppiò la guerra e il Vira venne requisito e usato per salvare i soldati bloccati a Dunquerque. Usata anche per la ricerca di mine, cambiò nome in Magic Circle. Nel 1953 venne comprata dall’armatore greco Stavros Niarchos. Nel maggio del 1970 la prima moglie di Niarchos, Eugenia Livanos, si uccise a bordo della barca, ribattezzata Creole, ingerendo barbiturici. Quattro anni dopo, Tina, sorella di Eugenia, seconda moglie dell’armatore, si suicidò, sempre sul Creole. Per cacciare lo spirito di Eugenia dalla barca, che rischiò di affondare già nel viaggio di trasferimento, Patrizia Gucci fece fare un esorcismo alla sua maga Frida. [2] Patrizia, che aveva sempre avuto un debole per sfere di cristallo, fatture d’amore e macumbe varie, coinvolse nella passione esoterica anche Maurizio. Lui ricorreva ai ma- magistrati la donna che dopo tre processi e tre sentenze è stata ritenuta la mandante dell’omicidio dell’erede di una delle griffe di moda più famose del mondo (27 marzo 1995, via Palestro, Gucci fu freddato con un colpo alla nuca da un killer venuto dal sud), non ha solo confessato la sua scarsa inclinazione al sacrificio professionale – che non ha mai frequentato. Li ha pure resi edotti del fatto che una semilibertà scandita da un mestiere all’esterno non vale quanto gli hobby – due – che da anni coltiva in carcere: curare le sue piante e dare da mangiare al furetto che vive con lei. Si chiama Barbi, è l’unico privilegio che le è stato accordato. Il primo che aveva adottato le altre detenute gliel’hanno fatto trovare impiccato alle sbarre. Ha sempre avuto la passione per gli animaletti, la Reggiani. Fin da bambina, quando il suo destino altoborghese debutta con l’iscrizione “naturale” all’esclusivo Collegio delle fanciulle. Come tutte le rampolle della Milano bene la sua vita si avvia sui binari della bambagia e degli agi. Che, esaurita l’esperienza di vita newyorkese, e maritata Gucci, diventano lussi. Patrizia abita in corso Europa. Poi torna nel grande appartamento di corso Venezia di proprietà del ghi soprattutto quand’era convinto di essere minacciato dalle fattucchiere della moglie. Una notte in cui venne colpito da un forte mal di testa chiamò la sua maga Anna che gli suggerì di guardare dentro al cuscino e in giro per la stanza: trovò tredici spilli, li legò con un nastro rosso e poi se ne liberò. [2] Il pomeriggio del 22 maggio 1985 Maurizio riempì una piccola valigia e annunciò alla moglie che partiva per qualche giorno. Il 25 maggio un suo collaboratore chiamò Patrizia per avvertirla che il marito aveva deciso di non tornare più a casa. [2] Nel 1985 Maurizio Gucci passava all’ex moglie Patrizia Reggiani 200 milioni di lire al mese più un extra di 350 milioni ad agosto per l’affitto di una barca a vela. La somma andò gradualmente calando fino ai 20 milioni mensili (riservati alle esigenze delle due figlie) versati nel ’91. La governante dello chalet di Sankt Moritz, dove la Reggiani viveva dopo la separazione, ha raccontato che le spese di casa erano molto alte: «14 milioni al mese per gli alimentari e lo stipendio della servitù, 4-5 milioni per le telefonate, 2 milioni per vasi di orchidee fresche, una volta la signora spese 990 mila lire per delle babbucce». [3] Venerdì 23 febbraio 1990, al Club Privé di Sankt Moritz, Maurizio incontrò Paola Franci, sposata – in crisi – con l’industriale del rame Giorgio Colombo. Paola, arredatrice, era presente al matrimonio di Maurizio e Patrizia: vestita completamente di rosso, compresi il lungo boa di struzzo e il cappotto, di velluto. Bionda, alta, portava un braccialetto d’argento alla caviglia sinistra. [2] Nel 1994, la Corte d’Appello di Milano ratificò la sentenza di divorzio di Patrizia e Maurizio, pronunciata qualche tempo prima dal tribunale svizzero di Maloggia. Paola (41 anni) e Maurizio (46) vivevano insieme da sei mesi e decisero di sposarsi in inverno, nella tenuta di Saint Moritz. [2] Il 26 marzo 1995, domenica, Paola e Maurizio andarono al mercatino sui Navigli e comprarono due telefoni neri anni Quaranta. La sera cenarono con gli amici. Il mattino Sette giorni sul satellite RAPUNZEL, L’INTRECCIO DELLA TORRE – Questa sera alle 21.10 in prima tv su Sky3D e su SkyCinema1HD. In esclusiva su Sky3D il grande cinema targato Disney. Protagonista di questo appuntamento, in onda in contemporanea anche su SkyCinema1HD, la bionda Rapunzel, vivace fanciulla dalla lunga chioma costretta a vivere in reclusione in una torre da una madre fin troppo protettiva. ABC PARLARE CON I PICCOLI – Questa sera alle 21, poi ogni lunedì, su Easy Baby. Prosegue l’innovativa serie proposta da Easy Baby che insegna ai genitori come controllare il tono della voce per ottenere risultati eccezionali. Con l’aiu- to del vocal coach ed esperto di psicologia della voce Ciro Imparato, saranno svelati trucchi e segreti per gestire l’aggressività e i capricci dei piccoli. MAN, WOMAN, WILD. Da mercoledì 26 ottobre, ogni mercoledì alle 22 su Discovery ChannelHD. Una coppia di intrepidi avventurieri, il veterano delle forze speciali Mykel Hawke e sua moglie, la giornalista televisiva Ruth, tornano sul piccolo schermo con nuove avventure, per affrontare sfide ai limiti della sopravvivenza umana. In questa serie i due dovranno vedersela con il triangolo delle Bermuda, il deserto della California e il pericoloso Rio delle Amazzoni. marito. È lì che la accolgono nel 2005 Alessandra e Allegra, le due figlie avute da quell’uomo da 800 miliardi (di vecchie lire) che l’odio e il desiderio di rivalsa l’avevano spinta a volere ammazzare. «Ciao mamma». È il 15 ottobre di sei anni fa: primo permesso, dodici ore fuori dal carcere, il ritorno dietro quel portone dal quale uscì in mezzo a due poliziotti l’alba del 31 gennaio del ’97. Le figlie, l’anziana madre Silvana, e quella donna condannata a 26 anni (i postumi di un’operazione al cervello le sono valsi le attenuanti che le hanno evitato l’ergastolo). «La vita va avanti, no?». Il 2005 doveva essere il primo passo verso la libertà. Adesso che le porte del carcere si sono aperte, niente. L’avrebbero assunta come cameriera in un ristorante etnochic dietro piazzale Loreto. O in una palestra. No grazie, «non ho mai lavorato». In questo è rimasta la Patrizia di allora. Quella che dopo i primi giorni in cella diceva «ho nostalgia dei miei trucchi», e la «ginnastica a corpo libero, senza gli attrezzi, mi annoia mortalmente». Chissà come la interpreterà Angelina Jolie nel film sulla «saga dei Gucci» by Ridley Scott. Paolo Berizzi seguente, appena entrato nell’ingresso del palazzo al numero 20 di via Palestro, dove aveva il suo ufficio, lui venne colpito da quattro colpi di pistola: il primo lo raggiunse alla spalla sinistra, il secondo al braccio destro, il terzo al gluteo destro, il quarto colpo venne sparato dal killer quando Maurizio era già a terra e lo colpì alla tempia sinistra, trapassandogli il cranio. [2] Commento di Patrizia quando seppe, per telefono, che Maurizio era stato ammazzato: «Umanamente mi dispiace». [4] Il funerale di Maurizio Gucci si svolse il 3 aprile nella basilica di San Carlo. Sulla bara ricoperta di velluto grigio, erano deposte tre corone di rose e gigli bianchi. Patrizia, in prima fila, portava un tailleur nero spigato, lunghi guanti di pelle nera, cappellino con veletta e occhiali neri. Paola non partecipò alle esequie. [2] «Dopo la tragica morte di Maurizio Patrizia si è subito trasferita nell’appartamento di corso Venezia. Addirittura ha preteso di dormire nello stesso letto dove lui passava le notti con Paola. Ha assunto la segretaria di Maurizio. E ha cominciato a dare grandi feste» (un vecchio amico di Maurizio Gucci a Fabrizio Ravelli). [4] Alle 4.30 del 31 gennaio 1997, Patrizia Gucci fu arrestata con l’accusa di aver commissionato l’omicidio dell’ex marito. Quello stesso giorno finì in galera pure la maga Pina Auriemma da Somma Vesuviana, 51 anni: era stata lei, su incarico di Patrizia e con l’aiuto del portiere Ivano Savioni, a gestire l’ingaggio del killer, il pregiudicato Benedetto Ceraulo. [5] Il 3 novembre del 1998 la Reggiani fu condannata a 26 anni di galera. [6] «a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione, è egocentrica e si serve degli altri per raggiungere i propri scopi, è costantemente assorbita da fantasie di successo illimitato, di potere, di fascino, di bellezza, di amore ideale; ha la sensazione che tutto le sia dovuto»: «Questo è il terreno mentale sul quale, secondo i medici, si sarebbero abbattute le cinque insopportabili “ferite narcisistiche”. La prima quando Maurizio Gucci l’abbandona nell’85; la seconda quando l’ex marito sceglie la nuova compagna, Paola Franchi; la terza quando Patrizia si ammala e lui non la va a trovare, anzi “festeggia a champagne con l’amica”; la quarta quando le case di St. Moritz vengono riarredate (“le case” spiega Patrizia ai periti in carcere “facevano parte di me. Chi le toccava era un uomo morto”). La quinta ferita, infine, quando Maurizio Gucci decide di vendere l’azienda di famiglia senza consultarla. “È allora” scrivono i periti “che le sensazioni di Patrizia escono dalla logica comune”. E nasce l’idea di punire chi l’ha ferita» (Maurizio Tortorella). [8] Patrizia Reggiani, dopo un mesetto di carcere, fece sapere che a San Vittore stava «proprio bene»: «Qui in cella siamo tutte dormiglione, mi faccio delle gran dormite». In galera indossava una tuta di jersey a fiori, un lungo cardigan di lana pesante, un cappotto lungo con i bordi d’astrakan, e guanti di lana nera perché «l’unico problema è che fa freddo, va a finire che qui dentro mi prendo una polmonite». A differenza delle altre detenute, non portava pantofole o scarpe da ginnastica, ma stivaletti di pelle con dieci centimetri di tacco. Mangiava poco, praticamente solo formaggio. «Gli altri cibi mi sembrano troppo cotti e troppo conditi. Non si può avere qualcosa in bianco?». [9] (a cura di Roberta Mercuri) «Fu lei, dicono le sentenze, a sprofondare insieme alla sua cartomante di fiducia in quel vortice di odio, di desideri di rivalsa, di interessi materiali culminato nell’arruolamento di un killer venuto dal sud. I postumi di una operazione al cervello le sono valsi le attenuanti che le hanno evitato l’ergastolo». [7] La perizia psichiatrica stabilì che Patrizia è OBIETTIVO LONDRA 2012 – Giovedì 27 ottobre, alle 21 su Sky Sport 2 HD. Ospiti della quarta puntata della rubrica settimanale condotta da Giovanni Brunola, la campionessa paralimpica di atletica leggera Giusy Versace, nipote dello stilista Gianni, e le ragazze della nazionale di ginnastica ritmica, con l’allenatrice Emanuela Maccarani, vincitrici del mondiale di Montpellier. SISTER ACT, PROVE GENERALI. Giovedì 27 e venerdì 28 ottobre alle 14.10 su Sky Uno. Il cast del musical Sister Act, ispirato alla spassosa pellicola del ’92 con il premio Oscar Whoopy Goldberg, è finalmente al completo. I protagonisti saliranno sul palco per affrontare le prove dello spettacolo che debutterà il 27 ottobre al Teatro Nazionale di Milano. GRAN GALA DI APERTURA DEL TEATRO Fonti: [1] Specchio 13/6/1998; [2] Angelo Pergolini – Maurizio Tortorella, L’ultimo dei Gucci, Marco Tropea editore 1997; [3] Cinzia Sasso, la Repubblica 11/6/1998; [4] Fabrizio Ravelli, la Repubblica 7/2/1997; [5] Angelo Pergolini – Maurizio Tortorella, L’ultimo dei Gucci, Marco Tropea editore 1997; Paolo Biondani, Corriere della Sera 12/12/1997; [6] Panorama 19/9/2003; [7] Luca Fazzo e Marco Mensurati, la Repubblica 16/10/2005; [8] Maurizio Tortorella, Panorama 5/11/1998; [9] Luca Fazzo, la Repubblica 5/2/1997; R.M., La Stampa 5/2/1997. BOLSHOI DI MOSCA. Venerdì 28 ottobre alle 18.15 in diretta esclusiva su Classica (Sky, canale 728), in chiaro. Dopo sei anni di restauri, un investimento da cifre iperboliche e un remaquillage totale, riapre il mitico Bolshoi di Mosca. Il Gala di apertura prevede l’avvicendarsi sul palco di grandi stelle del mondo della lirica e del balletto. I SEGRETI DELLO SPAZIO – Da domenica 30 ottobre alle 20.55 su National Geographic Channel HD. Una serie di documentari i cui temi vanno dall’ampiezza del sistema solare alle più grandi esplosioni stellari, fino alla relazione dinamica tra velocità, tempo, spazio e gravità. Cavour La manifestazione per ucciderlo forse organizzata dai preti. Dal Senato al re tutti contro il conte La Stampa, sabato 16 luglio Stava raccontando di questa manifestazione sotto casa di Cavour, organizzata con l’intenzione di ammazzarlo. Tutto cominciò con una campagna di stampa particolarmente accanita. Il conte veniva indicato come affamatore del popolo e incettatore di farine. Si ricordavano i molti affari conclusi con i commerci di grano e il possesso dei mulini. Ancora adesso Cavour aveva un interesse nei mulini di Collegno, una partecipazione in quel momento assai sospetta. Il 18 ottobre (del 1853) un corteo di un centinaio di persone partì da Porta Palazzo, attraversò Doragrossa e piazza Castello, e giunse davanti a casa Cavour. Qui erano in attesa un’altra decina di uomini, picchiatori esperti. Sfondarono la porta, salirono le scale. Ma accorsero i servi e riuscirono a respingerli. Cavour? Non c’era. Era a una riunione al ministero delle Finanze. Arrivò di corsa e non si capacitava che i dimostranti avessero potuto spingersi fino a quel punto. Gli dissero: «Cosa vuole, Eccellenza, un equivoco, le solite rivalità tra polizia e carabinieri…». E i mandanti chi sarebbero stati? Studiando le caratteristiche dell’assalto, pareva che ci avessero messo mano i preti. Castelli raccontò di aver incrociato un gruppetto di quelli che s’allontanavano dopo la manifestazione, gente bruttissima, con certe barbacce, e uno di loro si lamentava, bestemmiando diceva: «Non era così che bisognava fare, bisognava a forza salire le scale, entrare e finirlo una volta!». Soprattutto Buffa giurava sulla pista clericale: «Agnosco stylum romanae ecclesiae…». I colpevoli li presero o no? Alla fine dei colpevoli a Cavour interessava poco. Nell’operazione il conte vedeva soprattutto l’inimicizia degli apparati, in particolare della magistratura, perennemente all’opposizione e animata da uno spirito di indipendenza esagerato e pericoloso. Voleva portare in tribunale i giornali, ma alla fine lasciò perdere: i giudici sarebbero stati capaci di assolverli tutti. Ci sarebbe voluto un altro ministro della Giustizia, perché certo con Bon Compagni c’era poco da sperare. Lo stesso Bon Compagni, anzi, percependo l’imbarazzo che lo circondava, offrì le dimissioni. Cavour andò dal re. «Allora mi mandi subito Urbano» disse Vittorio Emanuele, alludendo a Rattazzi. E infatti: Rattazzi entrò al ministero e mostrò un’energia notevole, una vera anima giacobina, trasferendo chi andava trasferito e perseguitando chi andava perseguitato. Facendo entrare Rattazzi al governo, si rafforzava il partito del connubio. Certo, e l’opposizione si fece infatti più dura. Fu in quell’occasione che i liberoscambisti presero ad attaccare Cavour opponendosi alla legge che affidava alla Banca Nazionale la tesoreria e che infatti fu alla fine respinta dal Senato. Cavour era abbastanza all’angolo: il re non voleva nominare nuovi senatori e il Senato così com’era condizionava troppo la vita del governo. Vittorio Emanuele concesse però le elezioni e lo scioglimento della Camera. Cavour sperava che, con un risultato elettorale importante, il sovrano si sarebbe sentito obbligato a mandare in Senato qualche liberale. Lo scioglimento della Camera era una forzatura costituzionale notevole – non del tutto a torto l’“Armonia” lo accusò di voler tentare un colpo di Stato – e Cavour condusse poi una campagna elettorale ai limiti della legalità, mobilitando sindaci e intendenti, mentre Rattazzi inviava circolari ai funzionari periferici in cui li informava che anche un atteggiamento di «indifferenza» verso i «raggiri» dell’opposizione sarebbe stato considerato segno di «mal animo» verso il governo. Servì? No, anzi, clericali e democratici si coalizzarono appoggiando nei collegi sempre il candidato antigovernativo. Uscì fuori un Parlamento dove i rapporti di forza erano più o meno sempre quelli: 30 deputati al connubio, 52 alla sinistra, 22 alla destra. Il re si guardò bene dal nominare nuovi senatori. Quindi: Cavour aveva il Parlamento a favore, ma il Senato contro, la burocrazia contro, la magistratura contro, la diplomazia contro, il re contro. Non sarebbe stato più semplice sostituirlo? Non era egli stesso un elemento di divisione? La sostituzione di Cavour dopo appena un anno di governo era una delle possibilità, e il re la coltivava. Ma era escluso affidarsi alla sinistra dei Valerio e dei Brofferio, che volevano tagliare le spese militari (o magari la diplomazia) ed era escluso puntare sulla destra di Revel, che era freddo sulla politica italiana del re. Il cavallo giusto poteva essere Rattazzi, e infatti Vittorio Emanuele ci punterà. Ma nel ’53 era ancora troppo presto. Cavour era l’unico che garantiva una politica nazionale e anti-austriaca, e un sostegno all’apparato militare dello Stato, a cui il sovrano non avrebbe mai rinunciato. C’erano stati nuovi, gravi incidenti con Vienna. A Milano? Sì, a carnevale avevano ammazzato dieci soldati austriaci. Si raccontavano episodi di ferocia inaudita, militari di Radetzky ubriachi che i milanesi avevano preso e crocefisso alle porte delle osterie. Episodi forse esagerati. Ma a Vienna si raccontavano... Giorgio Dell’Arti (127 - continua lunedì prossimo)