Il Maestro di Pietroburgo

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Il Maestro di Pietroburgo
LDB
J.M.Coetzee
IlMaestrodi
Pietroburgo
TraduzionediMaria
Baiocchi
Einaudi
1.
Pietroburgo
Ottobre 1869. Un calesse
scende lentamente lungo le
vie del quartiere del mercato
agricolo di Pietroburgo. Si
arresta davanti a un grosso
palazzone residenziale. Il
passeggero guarda l’edificio,
perplesso. – È sicuro che sia
proprioqui?
– Via Sečnoj numero 63.
Cosímihadetto.
Il passeggero scende. È un
uomo di mezza età, con la
barba,curvo.Halafrontealta
e le sopracciglia fitte che gli
danno un’aria assorta. Porta
unvestitoscurodaltaglioun
po’fuorimoda.
– Mi aspetti qui – dice al
cocchiere.
Dietro
alle
facciate
scrostate e danneggiate, le
casepiúvecchiedelquartiere
del mercato conservano
qualcosa dell’eleganza di un
tempo, anche se molte ormai
sono adibite ad alloggio per
impiegati, studenti e operai.
Fra l’una e l’altra, a volte
addossate alle loro mura,
sono sorte baracche di legno
di due o anche tre piani,
vespai di stanzette e di
cubicoli, abitazione dei piú
derelitti.
Il numero 63, uno dei
palazzipiúvecchi,èstrettoai
duelatidaquellestrutture.A
mezza altezza poi è come
assediato da una ragnatela di
travi e di impalcature. Nelle
pieghe dei rinforzi hanno
fattoilnidogliuccellieiloro
escrementi imbrattano la
facciata.
Una banda di ragazzini
sale
e
scende
dalle
impalcature per lanciare
pietre nelle pozzanghere e
subito
raccoglierle.
Interrompono il gioco per
osservare lo straniero. I tre
piú piccoli sono maschi, la
quarta, che sembra il capo, è
una ragazzina con i capelli
chiari
e
gli
occhi
straordinariamentescuri.
– Buona sera! – grida lo
straniero. – Qualcuno di voi
sadoveabitaAnnaSergeevna
Kolenkina?
Ibambininonrispondono,
malofissanoconostilità.
La ragazzina invece dopo
unattimolasciacaderelesue
pietre.–Andiamo!–dice.
Il terzo piano del numero
63 è un labirinto di piccole
stanze una dentro l’altra che
si
dipartono
da
un
pianerottolo in cima alle
scale. L’uomo segue la
ragazzina lungo un corridoio
scuroetortuoso,chepuzzadi
cavolo e di brodo, oltre un
gabinettoconlaportaaperta,
finoaunaportagrigiachelei
apreconunaspinta.
Entrano in una stanza
lunga, dal soffitto basso,
illuminata solo da una
finestra posta un po’ troppo
in alto. Il tutto è reso ancora
piú lugubre da una pesante
striscia di broccato sulla
parete piú lunga. Una donna
vestita di nero si alza per
andargli incontro. Avrà
trentacinque anni. Stessi
occhi scuri e sopracciglia
scolpite della bambina. I
capelliperòsononeri.
– Mi scuso per essere
venuto senza avvertire – dice
l’uomo. – Mi chiamo… –
esita, – credo che mio figlio
siastatosuopensionante.
Dalla valigia tira fuori un
oggetto avvolto in un
fazzolettobianco.Èilritratto
di
un
ragazzo,
un
dagherrotipo in una cornice
d’argento. – Forse lo
riconosce – dice, senza
lasciarleprendereilritratto.
– È Pavel Aleksandrovič,
mamma – bisbiglia la
bambina.
– Sí, è stato da noi –
annuisce la donna. – Mi
dispiace tanto… – Cala un
silenzio strano. – È stato
nostro pensionante fin da
aprile – riprende a dire la
donna. – La sua stanza è
comel’halasciata,contuttele
sue cose, tranne qualcuna,
presa dalla polizia. La vuole
vedere?
– Sí – l’uomo ha la voce
rotta. – Se c’è ancora da
pagare l’affitto, naturalmente
sonoadisposizione.
La stanza del figlio, anche
seèsolouncubicoloricavato
dal resto dell’appartamento,
ha il suo ingresso e pure una
finestra sulla strada. Il letto è
lindo e rassettato; per il resto
c’è una cassettiera, un
tavolinettoconunalampadae
una poltrona. Ai piedi del
letto c’è una valigia con le
iniziali P.A.I. La riconosce:
era stato lui a regalarla a
Pavel.
Va alla finestra e guarda
fuori. In strada c’è ancora il
calesse che aspetta. – Mi
farestiunfavore?–chiedealla
bambina. – Vai a dire al
cocchiere che se ne può
andareelopaghiperme?
La bambina prende i soldi
che l’uomo le porge e scappa
via.
–Vorreistarmenesoloper
un po’, se non le dispiace –
dicerivoltoalladonna.
Appenaleiescesiprecipita
sul letto e lo scopre. Le
lenzuola
sono
fresche.
L’uomosiinginocchiaemette
il naso sul cuscino. Niente,
soloodoredisaponeedisole.
Apre i cassetti. Sono stati
svuotati.
Tira su la valigia e la
appoggia sul letto. In cima,
ben piegato, c’è un vestito di
cotone bianco. Ci preme la
fronteconforza.Inafferrabile,
leggero, gli arriva l’odore di
suo figlio. Inspira con forza,
piú volte, e intanto pensa:
ecco,èilsuofantasmachemi
penetra.
Porta la sedia vicino alla
finestra e si mette a guardare
fuori. L’ombra del tramonto
s’infittisce sempre di piú. La
stradaèvuota.Iltempopassa,
ma i suoi pensieri sono
sempre quelli. Ponderare, si
dice,èquestoilverbo.Conla
testa pesante e gli occhi
pesanti,conquelpiomboche
gliscendenell’anima.
La
donna,
Anna
Sergeevna, e sua figlia stanno
cenando,sedutealtavolouna
di fronte all’altra, con la
lampada al centro. Smettono
di parlare quando lui entra
nellastanza.
–Sapetechisono?
La donna lo guarda
risoluta senza rispondere,
comeinattesa.
– Voglio dire, sapete che
nonsonoIsaev?
– Sí, lo sappiamo.
SappiamolastoriadiPavel.
– Ma non voglio
interrompere la vostra cena.
Vi dispiace se per ora lascio
quilavaligia?Pagheròl’affitto
per tutto il mese. Anzi,
lasciate che vi paghi anche
novembre. Mi piacerebbe
tenere la stanza, se non è già
statapromessaaqualcuno.
Ledàisoldi,ventirubli.
– Non le darà fastidio se
qualche volta verrò qui, di
pomeriggio? C’è qualcuno in
casaduranteilgiorno?
Lei
esita.
Scambia
un’occhiata con la figlia. Già
ci sta ripensando, si dice
l’uomo.Sarebbemegliochesi
prendesse la valigia e se la
portasse via, per non tornare
piú, cosí da chiudere
definitivamente la storia del
pensionante morto e liberare
la stanza. Lei non vuole per
casa quest’uomo a lutto, che
sembra proiettare il buio
intorno a sé. Ma ormai è
troppotardi,ildenaroèstato
offertoeaccettato.
– C’è Matrëša a casa di
pomeriggio – risponde
sommessamente. – Le darò
una chiave. Ma dovrebbe
usareilsuoingresso.Laporta
fralastanzainaffittoequesta
nonsichiudeachiave,main
generenonlausiamo.
– Mi dispiace. Non me ne
eroresoconto,Matrëna.
Per un’ora si aggira per le
strade del quartiere del
mercato che conosce bene,
poi, passando per il ponte
Kokuškin, rientra nella
locanda dove poche ore
prima ha preso una stanza,
registrandosicomeIsaev.
Non ha fame. Tutto
vestito, si sdraia sul letto,
incrocia le braccia e cerca di
dormire. Ma i suoi pensieri
tornano al numero 63, alla
stanza di suo figlio. Le tende
sono aperte e la luce della
lunacadesulletto.Luièlí:sta
vicino alla porta, respira
appena, guarda fisso la sedia
nell’angolo, e aspetta che il
buio
s’infittisca,
per
trasformarsi in un altro tipo
di oscurità, quella della
presenza. Senza voce le sue
labbraformulanoilnomedel
figlio,trevolte,quattrovolte.
Stacercandodilanciareun
incantesimo,masuchi?Sudi
séosulfantasmadisuofiglio?
Pensa a Orfeo che torna
indietro, un passo dopo
l’altro, bisbigliando il nome
della
donna
morta,
strappandola alle viscere
dell’inferno, e alla sua mitica
sposa avvolta nel sudario che
lo segue con occhi vuoti, con
occhimorti,etienelebraccia
dritte davanti a sé, come una
sonnambula.Nonc’èilflauto,
non c’è la lira, c’è solo la
parola, quell’unica parola
ripetuta senza sosta. Quando
la morte taglia tutti gli altri
legami resta sempre il nome.
Il battesimo: l’unione di
un’anima e di un nome, il
nome che porterà per
l’eternità.Respirandoappena,
formulaancoraquellesillabe:
Pavel.
La testa incomincia a
ondeggiare. – Devo andare
ora – mormora, o crede di
mormorare.–Tornerò.
Tornerò:lastessapromessa
che aveva fatto al bambino
quando l’aveva portato a
scuola per il primo trimestre.
Non sarai abbandonato. E
l’avevaabbandonato.
Si sta addormentando. Gli
sembra di scivolare giú per
un’alta cascata dentro uno
stagno, dove si lascia
affondare.
2.
Ilcimitero
S’incontranoaltraghetto.I
fiori di Matrëna lo irritano.
Sono piccoli, bianchi e
modesti.Nonsaqualisianoi
fiori preferiti da Pavel, ma le
rose, per quanto possano
costare in ottobre, rose
scarlatte come il sangue, gli
sembranoilminimo.
– Ho pensato che lo
potremmo piantare – dice la
donna, come se gli avesse
letto nei pensieri. – Ho
portato
una
paletta.
Ginestrino, fiorisce tardi –.
Solo adesso lui si accorge
delle radici, sono avvolte in
unapezzabagnata.
Prendono il piccolo
traghettocheportaall’isoladi
Elagin. Sono passati anni
dall’ultima volta che ci è
andato.Tranneduevecchiette
vestite di nero, loro sono gli
unici passeggeri. È una
giornata fredda, nebbiosa.
Man mano che si avvicinano
un cane, grigio ed emaciato,
cominciaauggiolareansioso,
su e giú per la banchina.
L’uomo del traghetto gli
lancia un gancio d’accosto e
quello si ritira a una distanza
di sicurezza. L’isola dei cani,
pensa: ce ne sono a frotte,
rintanati fra gli alberi, forse
aspettano
che
chi
accompagna il funerale se ne
vada per cominciare a loro
voltaascavare?
È Anna Sergeevna che va
dal custode a chiedere
informazioni, mentre lui
aspetta
fuori,
Anna
Sergeevna, alla quale lui
continua a pensare come
all’affittacamere. Poi c’è la
camminata per le vie dei
morti. Lui ha cominciato a
piangere. Perché ora? si
chiede, irritato con se stesso.
Eppure a modo loro le
lacrimesonolebenvenute:un
veloleggerodicecitàfraluie
ilmondo.
– Qui, mamma! – grida
Matrëna.
Sonoarrivatidifronteaun
monticelloditerrainmezzoa
tanti altri uguali da cui
spuntano dei pali a croce su
cui sono dipinti dei numeri.
Cerca di non vedere quel
numero, il suo numero, ma
ormaihagiàvistoi7ei4eha
pensato: Non potrò mai piú
scommetteresul7.
Ecco,èquestoilmomento
in cui dovrebbe lasciarsi
caderesullatomba.Matuttoè
successo troppo in fretta e
quel letto di terra è troppo
strano, non suscita neppure
unasensazionenelsuocuore.
Diffida anche della catena di
maniindifferentiperlaquale
devono essere passate le
membradisuofiglio,mentre
lui era ancora a Dresda,
all’oscuro di tutto. Dal
ragazzo che ancora vive nella
sua memoria al nome sul
certificato di morte, al
numero sul palo, non è
ancora pronto ad accettare
quella serie di fatalità.
Provvisorio, pensa: non ci
sono numeri definitivi, sono
tutti provvisori, altrimenti il
gioco finirebbe. Fra poco la
ruota girerà ancora, i numeri
ricomincerannoamuoversie
tuttoandràbenedinuovo.
Il monticello ha il volume
eperfinolaformadiuncorpo
disteso. E infatti non è altro
che il volume di terra fresca
smossapercalareunacassadi
legno con dentro un giovane
alto.C’èqualcosaintuttociò
che non può essere pensato,
qualcosa che egli allontana
con forza da sé. Al posto di
quel pensiero emerge il
ricordo bruciante di quello
che lui faceva a Dresda
mentre qui, a Pietroburgo, la
proceduraseguivailsuocorso
indifferente e Pavel veniva
prima messo in deposito, poi
registrato, poi chiuso nella
cassa,trasportatoeseppellito.
Perché neppure un alito di
presentimento nell’aria di
Dresda?Èdavveronecessario
che muoiano le masse intere
primacheilcielotremi?
Fra le immagini che
ritornano ce n’è una di se
stesso
nel
bagno
dell’appartamento
di
Lärchenstrasse, mentre si
spunta la barba davanti allo
specchio.Irubinettidiottone
luccicano sul lavandino; il
volto allo specchio, assorto
nell’azione, è quello di uno
sconosciuto che viene dal
passato. Ero già vecchio,
pensa. La sentenza era stata
pronunciata; e la lettera della
sentenza indirizzata a me era
già in viaggio, passava di
mano in mano, solo che io
nonlosapevo.Lagioiaperte
èfinita:eraquestochediceva
lasentenza.
L’affittacamerestafacendo
un buco ai piedi del
monticello. – Per favore –
dice lui con un gesto e la
donnasifadaparte.
Sisbottonailcappottoela
giacca, poi si china e si piega
sempredipiúinavanti,finoa
distendersi
sopra
al
monticello,conlebracciatese
sopra la testa. Ora piange
liberamente, il naso gli cola.
Strofina la faccia sulla terra
bagnata, ce la nasconde
dentro.
Quando si tira su ha la
terra nella barba, nei capelli,
nelle
sopracciglia.
La
bambina, alla quale non ha
fatto caso, lo fissa stupita.
Alloraluisistrofinalafaccia,
si soffia il naso e si
riabbottona gli abiti. Che
sceneggiata da ebreo! pensa.
Macheloveda!Chevedache
non siamo fatti di pietra, che
noncisonolimiti!
Una luce gli brilla negli
occhi mentre la guarda; la
bambina si volta confusa e si
va a stringere alla madre.
Rientra nel nido! Da lui
emanaunamalvagitàterribile
nei confronti di tutto ciò che
vive, e soprattutto dei
bambini vivi. Se in quel
momento avesse lí un
neonato lo strapperebbe alle
braccia della madre e lo
sbatterebbecontrolaroccia.
Erode, pensa: ora capisco
Erode! Che il mondo smetta
diriprodursi!
Voltalespalleatutteedue
eseneva.Benprestoèfuori
dallazonadellefossenuovee
si aggira fra le vecchie pietre,
fra coloro che sono morti da
unpezzo.
Quando
torna,
il
ginestrinoèstatopiantato.
– Chi se ne occuperà? –
chiedeaccigliato.
Lei si stringe nelle spalle.
Non può rispondere a quella
domanda.Toccaaluiadesso,
èluichedevedire:Verròqui
ogni giorno, per curarlo.
Oppure: Dio ne avrà cura. O
anche: Nessuno se ne
occuperà, morirà; lascia che
muoia.
I piccoli fiori bianchi si
muovono allegramente nella
brezza.
Afferra il braccio della
donna. – Lui non è qui, lui
non è morto – dice con voce
rotta.
– No, certo che non è
morto, Fëdor Michailovič –.
Parla in modo tranquillo,
rassicurante.Dipiú:inquesto
momentoèmaterna,nonsolo
conlafiglia,ancheconPavel.
Halemanipiccole,ledita
magre,quasidabambina,ma
il corpo è florido. L’uomo
prova il desiderio assurdo di
appoggiarleilcaposulsenoe
di sentire quelle dita che gli
accarezzanoicapelli.
L’innocenza delle mani,
sempre nuova. Gli torna in
mente un ricordo: il tocco di
una mano, intimo nel buio.
Ma di chi è quella mano?
Mani che emergono come
animali, senza vergogna,
senzamemoria,nellalucedel
giorno.
– Devo segnarmi il
numero – dice senza
guardarla.
–Cel’hoioilnumero.
Da dove gli viene quel
desiderio? È un desiderio
acuto,
violento:
vuole
prendere quella donna per il
braccio,trascinarladietroalla
cabina del custode, tirarle su
laveste,accoppiarsiconlei.
Pensa alle persone che
durante una veglia funebre si
buttano sul cibo e sul vino.
Con una sorta di esultanza,
conboriainfacciaallamorte:
Noi,noncihaipresi!
Sonotornatiallabanchina.
Il cane grigio si avvicina
cautamente,
furtivamente.
Matrëna
vorrebbe
accarezzarlo, ma la madre la
dissuade. C’è qualcosa che
non va in quel cane: ha una
brutta ferita aperta che gli
attraversa
la
schiena
dall’attaccatura della coda.
Uggiola piano tutto il tempo,
oppuresisiedesullezampedi
dietro e cerca di attaccare la
feritacoidenti.
Tornerò ancora domani,
promette:verròsolo,eioete
parleremo. Nell’idea del
rientro, della traversata del
fiume, della strada che lo
separa dal letto di suo figlio,
nell’idea di stare solo con lui
nella nebbia, c’è una muta
promessadiavventura.
3.
Pavel
È seduto nella stanza di
suo figlio col vestito bianco
sulle ginocchia, respira
dolcemente e cerca di
perdersi,cercadievocareuno
spirito che di certo non può
ancora avere abbandonato
queiluoghi.
Il tempo passa. Dalla
stanza accanto, attraverso il
tramezzo, arrivano le voci
smorzate della donna e della
bambinaeisuonidellatavola
che stanno apparecchiando.
Posa il vestito e bussa alla
porta.Levocis’interrompono
bruscamente.Entra:–Adesso
vilascio.
– Come vede stiamo per
cenare. Perché non si ferma
connoi?
Ilcibocheoffreèsemplice:
minestra e patate con sale e
burro.
– Come mai mio figlio è
venuto ad abitare con voi? –
chiede a un certo punto. Fa
ancora attenzione a dire mio
figlio, pronunciarne il nome
lofarebbetremare.
La donna esita e lui sa
perché. Potrebbe dire: era un
ragazzoperbeneeloabbiamo
preso.Maeraèl’ostacoloche
le blocca il passaggio. Finché
ci sarà un modo per evitare
quella parola con la sua
durezza,
lei
non
la
pronunceràdavantialui.
–
Un
pensionante
precedente ce lo aveva
raccomandato–diceallafine.
Edètutto.
Lo colpisce per la sua
asciuttezza. È asciutta come
l’ala di una farfalla. Come se
fra la pelle e la sottana, fra la
pelle e le calze nere che
certamenteportacifosseuno
stratosottiledicenerebianca
fina fina, che le fa scivolare i
vestitididossosenzanessuna
resistenza.
La vorrebbe vedere nuda,
questadonnanell’ultimofiore
digiovinezza.
Non è certo quella che si
direbbe una donna colta; ma
chi parla il russo piú
dolcementedilei?Lalinguale
palpita in bocca come un
uccello: morbide piume,
morbidibattitid’ala.
Nella figlia non vede
niente
della
morbida
asciuttezza materna. Al
contrario, c’è qualcosa di
liquido in lei, qualcosa della
giovane cerbiatta, fiduciosa
ma tesa, che allunga il collo
persentirel’odoresullamano
dello sconosciuto, pronta a
scappare via con un balzo.
Come è possibile che quella
donna cosí scura abbia
prodotto una figlia cosí
bionda? Eppure i segni
rivelatori ci sono: le dita
piccole, quasi solo accennate,
gli occhi scuri e lucidi, come
quelli dei santi bizantini; la
bella linea delle sopracciglia
scolpite,
perfino
l’aria
scontrosa.
Strano come in un
bambino un tratto possa
raggiungere la sua forma
perfettatantochenelgenitore
sembraunacopia!
La bambina alza gli occhi
per un istante, incontra lo
sguardo dell’uomo che la
esploraesiallontanaconfusa.
Un impeto di rabbia lo
scuote. Vorrebbe prenderla
per un braccio e scuoterla.
Guardami,
bambina!
Guardamieimpara!
Glicadeperterrailcoltello
e, sollevato, si china a
cercarlo. È come se gli
avessero strappato la pelle
dalla faccia, come se,
malgrado se stesso, non
facesse altro che gettare in
mezzo a quelle due
un’orrenda
maschera
sanguinante.
La donna riprende a
parlare. – Matrëna e Pavel
Aleksandrovič erano buoni
amici – dice con guardinga
risolutezza.Eallabambina:–
Tifacevalezione,nonèvero?
– Mi insegnava francese e
tedesco. Ma soprattutto
francese.
Matrëna, non è il nome
giusto per lei. È un nome da
vecchia, un nome da
vecchietta con la faccia
rinsecchitacomeunaprugna.
– Vorrei che aveste
qualcosa di suo – dice. –
Qualcosaperricordarlo.
Ancora una volta la
bambina alza su di lui occhi
pieni di stupore e lo
ispeziona, come fa un cane
con uno sconosciuto. Ascolta
appena quello che dice. Che
sta succedendo? Ma la
risposta viene da sola: non
riesceavedereinmeilpadre
di Pavel. Cerca di trovare
Pavelinmeenonciriesce.E
poiancora:Pavelperleinonè
ancora morto. Da qualche
partedentrodileiviveancora
e respira con l’alito caldo e
dolcedellagiovinezza.Lamia
oscuritàinvece,lamiabarbae
lamiafiguraossuta,debbono
essere ripugnanti come la
Falciatrice, l’immagine stessa
della morte. La morte con i
fianchiossutieidentilunghi,
con
le
caviglie
che
scricchiolano
quando
cammina.
Nonhavogliadiparlaredi
suo figlio. Ha voglia di
sentirneparlare,questosí,ma
non di parlarne. Secondo
l’aritmetica sono dieci giorni
che Pavel è morto. Ogni
giorno che passa i ricordi di
lui che aleggiano ancora
nell’aria
come
foglie
d’autunno possono finire
calpestati nel fango, oppure
volareviacolvento,sufinoai
cieli accecanti. Ma lui vuole
raccogliere e conservare quei
ricordi. Tutti gli altri
ubbidiscono all’ordine della
morte, prima il lutto, poi
l’oblio.
Se
non
dimenticassimo, dicono, il
mondoprestosarebberidotto
a una gigantesca biblioteca.
Ma la sola idea di Pavel
dimenticatolofainfuriare,lo
trasformainunvecchiotoro,
irritabile,infocato,pericoloso.
Vuole sentire raccontare
storie. E la bambina, come
per miracolo, sta per
raccontarne una. – Pavel
Aleksandrovič
–
dice
guardando la madre, come
peraverelaconfermachepuò
pronunciare il nome del
morto – diceva che sarebbe
rimasto ancora per poco a
Pietroburgo, poi sarebbe
andatoinFrancia.
S’interrompe.
L’uomo
aspetta con impazienza che
prosegua.
– Perché voleva andare in
Francia?–domanda,equesta
volta è a lui solo che si
rivolge.–Cosac’èinFrancia?
Francia? – Lui non voleva
andareinFrancia,volevasolo
andarsene dalla Russia –
risponde.–Dagiovaninonsi
sopportatuttoquellochesiha
intorno. Non si sopporta la
patria perché ci sembra
vecchia e ammuffita. Si ha
voglia di posti nuovi, di idee
nuove. S’immagina che in
Francia o in Germania o in
Inghilterra s’incontrerà il
futuro che il proprio paese è
troppostupidoperoffrire.
Laragazzinaècorrucciata.
L’uomo dice Francia, patria,
ma lei sente qualcos’altro,
qualcosa che sta dietro le
parole:ilrancore.
– Mio figlio ha avuto
un’istruzione disordinata –
dice, questa volta rivolto alla
madre e non alla figlia. – Lo
dovevo spostare da una
scuolaall’altra.Laragioneera
semplice: la mattina non si
alzava. Non c’era modo di
svegliarlo.Forseglidotroppa
importanza. Ma non si può
pretendere
di
andare
all’università se non si
frequentalascuola.
Che strano, dire quelle
cose, in un momento del
genere!Eppure,sivoltaverso
la figlia e va avanti: – Il suo
francese non era molto
affidabile, te ne sarai accorta.
Forseèperquestochevoleva
andare in Francia, per
migliorareilsuofrancese.
– Leggeva tanto –
intervienelamadre.–Avolte
la lampada restava accesa
tuttalanottenellasuastanza
–. Continua a parlare con
vocebassa,uguale.–Manon
cibadavamo,erasemprecosí
premuroso, volevamo bene a
Pavel Aleksandrovič, non è
vero? – Posa sulla figlia uno
sguardo che all’uomo sembra
unacarezza.
Era. Finalmente lo ha
detto.
La donna aggrotta la
fronte: – Quello che ancora
noncapisco…
Poi uno strano silenzio.
Lui non fa niente per
alleviarlo, anzi digrigna i
denti come un lupo a difesa
del suo cucciolo. Attenta,
pensa, attenta a pronunciare
una sola parola contro di lui!
Sono sua madre e suo padre,
sono tutto per lui, e anche di
piú! C’è qualcosa per cui
vorrebbe alzarsi in piedi e
gridare. Ma che cosa? E
controqualenemico?
Dalleprofonditàdellagola,
dovenonpuòsoffocarlooltre,
sfugge un suono, un rantolo.
Sicopreilvisoconlemanie
le lacrime gli scorrono sulle
dita.
Sentecheladonnasialzae
lascia la tavola. Aspetta che
anchelabambinasenevada,
maleiresta.
Dopo un poco si asciuga
gli occhi e si soffia il naso. –
Midispiace–diceinunsoffio
alla bambina che se ne sta
ancora seduta lí, con la testa
chinasulpiattovuoto.
Si chiude dietro la porta
della stanza di Pavel. Mi
dispiace? No. Non è vero. La
verità è che non gli dispiace.
Tutt’altro, la verità è che ce
l’ha con tutti quelli che sono
vivi, mentre suo figlio è
morto. È furioso contro
quella bambina, proprio lei
cosí mite, avrebbe voglia di
farlaapezzi.
Giace sul letto con le
braccia strette attorno al
torace,
respira
affannosamente, cercando di
cacciare via il demone che si
staimpadronendodilui.Sadi
avere tutta l’aria di un
cadavereesposto,echequello
chechiamademoneforsenon
è altro che l’anima sua che
spiegaleali.Maesserevivoin
quel momento gli dà una
speciedinausea.Vuoleessere
morto, o peggio, estinto,
annullato.
Quanto alla vita dopo la
morte, non ci crede. È
convinto
che
passerà
l’eternità sulla sponda di un
fiume con eserciti di altre
anime morte, aspettando una
zattera che non arriverà.
L’aria sarà fredda e umida,
l’acqua nera lambirà la
sponda,
i
vestiti
gli
marciranno sulla schiena e
cadranno a terra, ai suoi
piedi. Non rivedrà mai suo
figlio.
Con le dita fredde
incrociate sul petto, conta
ancora i giorni. Sono dieci.
Ecco come si sta dopo dieci
giorni.
La
poesia
potrebbe
restituirgliilfiglio.Haun’idea
del poema che ci vorrebbe,
del suo ritmo. Ma non è un
poeta:somigliapiúauncane
che abbia perso il suo osso e
chevadaraspandoquaelà.
Aspettafinoacheilfilodi
luce sotto la porta non sia
spento,poipianopianolascia
l’appartamento e se ne torna
allalocanda.
Durante la notte fa un
sogno.
Sta
nuotando
sott’acqua. La luce è blu e
fioca. Si muove scivolando
con facilità, con grazia; non
ha piú il cappello in testa ma
nel suo vestito nero si sente
come una tartaruga, una
grossaevecchiatartaruganel
suo elemento. Sopra di lui
l’acqua è increspata da un
movimento,maquisulfondo
è tutto immobile. Nuota fra
cespugli di alghe; le dita
glutinose
della
pianta
acquatica gli sfiorano le
pinne,sedipinnesitratta.
Sa cosa sta cercando.
Mentrenuotaognitantoapre
laboccaelanciaquellochegli
sembra un grido o un
richiamo. A ogni grido o
richiamo l’acqua gli riempie
la bocca; ogni sillaba è
sostituita da una sillaba
d’acqua. Diventa sempre piú
pesante, fino a che sente lo
sterno che struscia contro il
lettodelfiume.
Pavel giace sdraiato sul
dorso. Ha gli occhi chiusi e i
capelli, mossi dalla corrente,
sembrano quelli di un
bambino.
Dallasuagoladitartaruga
esce un ultimo grido, che gli
sembraillatratodiuncane,e
affonda, giú, verso il ragazzo.
Vuole dargli un bacio, ma
quando lo tocca con le sue
labbra dure non è piú sicuro
chenonsitrattidiunmorso.
Èallorachesisveglia.
Secondo una vecchia
abitudine, passa la mattina
allascrivania,nellasuastanza.
Quando arriva la cameriera
perlepulizielaallontanacon
un gesto. Ma non scrive una
parola. Non è che sia
paralizzato. Il cuore pompa
regolarmente, la sua mente è
lucida. In un qualsiasi
momento potrebbe prendere
la penna e cominciare a
tracciare le lettere sulla carta.
Malascrittura,teme,sarebbe
quella di un pazzo: viltà,
oscenità, una pagina dopo
l’altra, incontrollabile. Pensa
alla pazzia come se scorresse
lungol’arteriadelsuobraccio
destro, fino alla punta delle
dita,eallapennaefinalmente
alla pagina. Scorre come un
torrente; non ha bisogno di
intingere
la
penna
nell’inchiostro,nemmenouna
volta.Quellochescendesulla
pagina non è né sangue né
inchiostro,maunacido,nero,
con uno sgradevole bagliore
verde quando ci rimbalza la
luce. Non si asciuga sulla
pagina: a passarci un dito
sopra si avrebbe una
sensazioneinsiemeliquidaed
elettrica. Una scrittura che
potrebbero leggere anche i
ciechi.
Nel pomeriggio ritorna a
via Sečnoj, nella stanza di
Pavel.Chiudelaportainterna
chedànell’appartamentoeci
mette davanti una sedia. Poi
distende il vestito bianco sul
letto.Allalucedelgiornopuò
vedere come sono sporchi i
polsini. L’annusa sotto le
braccia e sente l’odore
nettamente: non è l’odore di
un bambino, è quello di un
uomo adulto. Continua a
inalare quell’odore. Quante
volte potrà farlo prima che
svanisca? Se il vestito fosse
chiuso in una teca di vetro,
anche l’odore rimarrebbe
intatto?
Si spoglia e s’infila il
vestito bianco. Anche se la
giacca è larga e i calzoni
troppolunghi,nonsisenteun
pagliaccio dentro a quel
vestito.
Si sdraia e incrocia le
braccia. Ha preso una posa
teatrale,maèprontoaseguire
l’impulso, dovunque lo porti.
E al tempo stesso non crede
all’impulso,neancheunpo’.
Ha una visione di
Pietroburgo distesa, grande e
bassa,sottostellesenzapietà.
Il cielo è attraversato da un
rotolo con alcune parole
scritteinebraico.Nonriescea
leggereleparole,masacheè
una
condanna,
una
maledizione.
Un cancello si è chiuso
dietro suo figlio, un cancello
chiuso sette volte con cerchi
di ferro. Aprire quel cancello
èlafaticacheloaspetta.
Pensieri,
sensazioni,
visioni. Ci crede? Vengono
dal piú profondo del cuore,
ma non c’è motivo di fidarsi
piú del cuore che della
ragione.
Mi ritraggo da un luogo a
unaltro,pensa.Quandoavrò
finito di ritirarmi, che sarà
rimastodime?
Pensa a se stesso che
rientra nell’uovo, o almeno
dentro qualcosa di uniforme,
freddo e grigio. Forse non è
un uovo, forse è l’anima.
Forse è quello l’aspetto
dell’anima.
Sente un fruscio sotto il
letto, forse un topo che fa le
sue cose da topo. Non gliene
importa niente. Si gira e si
copre la faccia con la giacca
bianca,inspira.
Da quando ha avuto la
notizia della morte di suo
figlio, qualcosa ha preso a
declinare nella sua vita,
qualcosa che potrebbe essere
la risolutezza. Sono io quello
che è morto, pensa; oppure,
meglio,sonomortomalamia
morte non è arrivata. Ha la
sensazione di possedere un
corpo forte, resistente, che
non cederà volontariamente.
Il torace è come una botte
dalle doghe solide. Il suo
cuore continuerà a battere
ancora per un bel pezzo.
Eppure è stato trascinato
fuoridaltempodegliuomini.
La corrente che lo trascina
continua a procedere, in una
direzione,versounameta;ma
la meta non è piú la vita. Lo
trascina un’acqua morta, un
torrentemorto.
Si addormenta. Quando si
risveglia tutto il mondo tace,
immerso
nell’oscurità.
Accende un fiammifero,
cercando di riemergere dallo
stordimentodeisuoipensieri.
È mezzanotte passata. Dov’è
stato?
Si rannicchia sotto le
coperte, in uno stato
intermittentedisonno-veglia.
La mattina dopo, mentre si
dirige tutto in disordine e
maleodorante verso il bagno,
s’imbatte in Anna Sergeevna.
Con i capelli coperti da un
fazzoletto e gli stivaloni, ha
proprio l’aria di una
qualunque
donna
del
mercato.Loguardastupita.–
Mi sono addormentato. Ero
molto stanco – spiega. Ma il
problema non era quello, il
fattoèchehaancoraindosso
ilvestitobianco.
– Se non le dispiace –
continua – resterò qui nella
stanzadiPavelfinoachenon
parto. Non per molto, solo
pochigiorni.
– Ora non ne possiamo
parlare, perché ho fretta –
rispondeladonna,acuil’idea
evidentemente non va giú.
Non gli dà il suo consenso.
Ma lui ha pagato e non può
farciniente.
Passa tutta la mattina alla
scrivania, in camera di Pavel,
con la testa fra le mani. Non
può far finta di scrivere. La
mente ritorna al momento
della morte di Pavel. Quello
chenonriesceasopportareè
l’ideachenell’ultimafrazione
dell’ultimo istante della sua
caduta, Pavel sapesse che
niente
avrebbe
potuto
salvarlo, che sarebbe morto.
Vorrebbe dirsi che a Pavel è
stata risparmiata quella
certezza,
piú
terribile
dell’annullamento stesso, per
la velocità e la confusione
della caduta, grazie alle
strategie della mente che si
anestetizzadifronteaciòche
è troppo enorme per essere
sopportato.
Vuole
aggrapparsi a quest’idea con
tutto il cuore. Ma, al tempo
stesso, sa di volerci credere
per anestetizzarsi all’idea che
Pavel,cadendo,sapessetutto.
In momenti del genere
nonriesceadistinguerePavel
da se stesso. Sono la stessa
personaequellapersonanon
è altro che un pensiero, che
Pavel pensa in lui e lui pensa
in Pavel. Quel pensiero tiene
Pavel in vita, sospeso nella
suacaduta.
È dalla consapevolezza di
essere morto che vuole
proteggere suo figlio. Fino a
quandovivo–pensa–chesia
io quello che sa! Qualunque
sforzo di volontà richieda,
lascia che sia io l’animale
pensante
che
precipita
nell’aria.
Seduto al tavolino, con gli
occhi chiusi e i pugni serrati,
cerca di allontanare da Pavel
laconsapevolezzadellamorte.
S’immagina come il Tritone
della fontana di piazza
Barberini a Roma, con le
labbra poggiate su una
conchiglia
dalla
quale
zampilla un getto costante di
acqualimpida.Giornoenotte
soffia la vita in quell’acqua. I
tendini del collo, fissati nel
bronzo, sono tesi per lo
sforzo.
4.
Ilvestitobianco
È arrivato novembre e le
primenevi.Ilcieloèpienodi
uccelli di passo che vanno
versosud.
Si è trasferito nella stanza
di Pavel e nel giro di pochi
giorni è divenuto parte della
vitadiquelpalazzo.Ibambini
non interrompono piú i loro
giochi per fissarlo quando
passa,maancoraabbassanola
voce.Sannochiè.Chiè?Èla
sventura, è il padre della
sventura.
Tutti i giorni si ripete che
deve tornare all’isola di
Elagin, sulla tomba. Ma non
civa.
Scrive a sua moglie, a
Dresda. Lettere rassicuranti
masenzasentimento.
Passa le mattine nella
stanza, mattine di vuoto
assoluto che cominciano ad
avere un loro fascino
insidioso,
letale.
Di
pomeriggioesceacamminare
per le strade, ma evita i
paraggi di via Meščanskaja e
di Voznesenskij Prospekt,
dove
potrebbe
essere
riconosciuto; si ferma per
un’ora in una sala da tè,
semprelastessa.
ADresdaleggevasemprei
giornali russi. Ma ora ha
perso ogni interesse per il
mondoesterno.Ilsuomondo
siècontratto,èchiusodentro
alsuopetto.
Per rispetto di Anna
Sergeevna
rientra
nell’appartamento solo dopo
il tramonto e finché non lo
chiamanoperlacenasenesta
nellastanzacheèsuaenonè
sua.
Sta seduto sul letto col
vestitobiancosulleginocchia.
Nessuno lo vede. Niente è
cambiato. Sente il laccio
dell’amore che lega il suo
cuoreaquellodisuofiglio:ha
la fisicità di una corda. Sente
la corda stringere e lacerargli
il cuore. Si lamenta ad alta
voce.
Sí!,
mormora,
accogliendo con gioia il
dolore; si allontana perché la
corda produca un altro
strappo.
La porta dietro di lui si
apre.Colpito,sivolta,curvoe
brutto, con gli occhi pieni di
lacrimeeilvestitospiegazzato
fralemani.
– Vuole mangiare adesso?
–chiedelabambina.
– Grazie, ma vorrei
starmenesoloquestasera.
Piú tardi la bambina
ritorna: – Vuole una tazza di
tè?Possoportargliela.
Portalateiera,latazzaela
zuccheriera,solennemente,su
unvassoio.
– È il vestito di Pavel
Aleksandrovič?
L’uomo scansa il vestito e
annuisce.
La bambina sta lí vicina,
mentre lui beve il tè. Ancora
una volta è colpito dalla
purezza della fronte e degli
zigomi, dagli occhi scuri,
liquidi, dalle sopracciglia
bruneedaqueicapellibiondi
come il grano. È invaso da
una vampata di sensazioni
contraddittorie, come due
onde che si scontrino;
vorrebbe proteggerla e al
tempostessocolpirlaperchéè
viva.
Meno male che me ne sto
qui rintanato, si dice. In
questo stato non sono in
grado di frequentare il
mondo.
Aspetta che la bambina
dica qualcosa. Vorrebbe che
parlasse.
Una
richiesta
assurda da fare a una
bambina, eppure lui la fa.
Alza gli occhi su di lei, senza
veli.Lafissaconunosguardo
fintroppopalese.
Per un attimo la bambina
incontra quello sguardo, poi
distoglie gli occhi e
indietreggia incerta, fa una
specie di strano inchino
impacciato e scappa via dalla
stanza.
Mentre tutto questo
succede è consapevole che
non dimenticherà quel
momento, che forse un
giorno ci tornerà su e lo
rielaborerà nei suoi scritti. È
invasodaunavagasensazione
di vergogna, ma una
sensazione
superficiale,
passeggera. Nei suoi libri
prima, e adesso anche nella
sua vita, la vergogna sembra
averpersoforza,sostituitada
un vuoto e una passività
morale che non si tira
indietro davanti a nessun
estremo. È come se con
l’angolo dell’occhio potesse
vedere le nuvole che
avanzano verso di lui a una
velocità tremenda, nuvole
caricheditempesta.Tuttociò
che si frappone alla loro
avanzata sarà spazzato via.
Pieno di spavento, ma anche
di eccitazione, aspetta che
scoppiiltemporale.
Alle undici emerge dalla
suastanza,senzaannunciarsi.
La tenda è tirata davanti
all’alcova dove dormono
Matrëna e sua madre, ma
Anna Sergeevna è ancora in
piedi, seduta vicino al tavolo,
cuce alla luce della lampada.
L’uomo attraversa la stanza e
sisiededavantialei.
Lavora con dita abili e
movimentiprecisi.InSiberia,
per necessità, anche lui ha
imparatoacucire,manonsa
cucire con quella grazia
fluida. Un ago fra le sue dita
sembra una bizzarria, una
freccialillipuziana.
– La luce è fioca per fare
un lavoro cosí minuzioso –
dice.
La donna china la testa,
come a dire: – D’accordo, e
allora?Cosadovreifare?
– Matrëna è la sola figlia
chehaavuto?
La donna lo guarda dritto
in faccia. Gli piace quella
franchezza. Gli piacciono i
suoi occhi, tutt’altro che
morbidi.
– Aveva un fratello, ma è
morto quand’era ancora
moltopiccolo.
–Allorasa.
–No,nonloso.
Che cosa vuole dire? Che
la morte di un bambino
piccolo è piú facile da
sopportare? Non spiega
niente.
– Se me lo permette, le
comprerò una lampada
migliore. È un peccato che si
rovinilavistacosípresto.
La donna china il capo,
come a dire: Grazie per il
pensiero, ma non mi aspetto
chemantengalapromessa.
Cosí presto… cosa vuole
dire?
L’uomohaimparatodaun
pezzo a non frenare le parole
che gli vengono spontanee. –
Ho un forte desiderio di
parlare di mio figlio – dice –
ma ancora piú forte è il
desideriodisentireparlaredi
lui.
– Era un bravo ragazzo –
dice la donna. – Mi spiace
averlo avuto per un periodo
cosí breve –. Poi, rendendosi
conto di aver detto poco,
aggiunge: – La sera leggeva
per Matrëna. Lei aspettava
tutto il giorno che venisse
quel momento. I due si
volevanodavverobene.
–Checosaleggevano?
–Oramitornainmenteil
Gallo d’oro e Krylov. Le
insegnava anche qualche
poesiainfrancese.Ancorane
saamemoriaunaodue.
– È un bene che ci siano
libri in casa – accenna a uno
scaffaleconunaventinaouna
trentina di libri. – Per un
bambino che cresce è una
buonacosa,vogliodire.
– Mio marito faceva il
tipografo. Lavorava in una
tipografia.Leggevamolto,era
il suo passatempo. Questi
sonosoloalcunideisuoilibri.
A volte, quand’era ancora
vivo,
l’appartamento
straripava di libri, non c’era
spazio per contenerli tutti –.
Esita: – Abbiamo anche un
libro suo, Povera gente. Era
uno dei preferiti di mio
marito.
Cala il silenzio, la fiamma
dellalampadatrema,ladonna
l’abbassaemetteviailcucito.
Gli angoli della stanza
sprofondanonelbuio.
– Dovetti chiedere a Pavel
Aleksandrovičdinoninvitare
amici nella sua stanza di sera
–dice.–Oramenepento.È
successo dopo che una notte
ci tennero sveglie, avevano
bevutoederanoandatiavanti
a chiacchierare per tutta la
notte. Aveva degli amici un
po’rozzi.
–Sí,erademocraticonelle
amicizie. Era capace di
parlare alla gente comune
delle cose che le stanno a
cuore. La gente semplice ha
famed’ideeeluinontrattava
mainessunoconsufficienza.
–Già,neppureMatrëša.
La luce si fa sempre piú
fiocaelostoppinocominciaa
fumare. Un unguento di
parole,
pensa
l’uomo,
spalmato sulle piaghe. Ma
vuole
davvero
essere
medicato?
– Era una persona seria,
malgrado fosse ancora cosí
giovane –. Continua: –
Pensava alla Russia, e alle
condizioni di vita in questo
paese. Era preoccupato delle
cosechecontanoperlagente
comune.
Segue una lunga pausa. È
un tributo alla sua memoria,
sidice.Eccocosastofacendo,
per
quanto
tardi
e
debolmente, e cerco di
strappare un tributo anche a
lei.Eperchéno,delresto?
– Ho riflettuto a qualcosa
che ha detto l’altro giorno –
dice la donna come
rimuginando fra i suoi
pensieri. – Perché mi ha
raccontato quella storia?
Perché mi ha detto che Pavel
dormivatroppo?
– Perché? Perché, per
quanto oggi possa sembrare
privo d’interesse, gli ha
rovinato la vita. Per quella
maniadidormirefinoatardi
l’ho dovuto ritirare da una
scuoladopol’altra.Perquesto
nonhapotutofinireglistudi.
Cosíallafinesièritrovatoqui
a Pietroburgo, ai margini
della società studentesca, con
laqualenonavevaabbastanza
in comune e alla quale non
apparteneva in pieno. E non
era un problema di pigrizia.
Non c’era proprio modo di
svegliarlo: grida, scossoni,
minacce, preghiere. Niente.
Era come voler svegliare un
orsoduranteilletargo!
– Lo capisco. Ci sono
ragazzinichenonsiadattano
mai alla scuola. Ma io volevo
direun’altracosa.Miscusise
glielo dico, ma quello che mi
hacolpitonelraccontoèstato
che lei sembrava ancora cosí
arrabbiatoconlui…
– Ma certo che ero
arrabbiato! Sua madre è
morta, le ricordo, quando lui
aveva quindici anni. Non è
stato facile tirarlo su da solo.
Avevo di meglio da fare che
strappare alle coltri un
ragazzino di quell’età. Se
Pavel avesse finito le scuole
come tutti gli altri tutto
questononsarebbesuccesso.
–Questo?
Fa un gesto con la mano,
come ad allontanare da sé
l’appartamento, la città di
Pietroburgo
e
perfino
l’enorme baldacchino scuro
dellanottesopraleloroteste.
Lei lo guarda. È uno
sguardo sereno, pacato. Sotto
quello
sguardo
l’uomo
comincia a rendersi conto di
quello che ha detto. Viene
afferrato da un tremore che
comincia a scuoterlo dalla
mano sinistra. Si alza e fa
avantieindietroperlastanza
con le mani giunte dietro la
schiena.C’èunostacolosulla
sua strada, qualcosa di cui
non vuole pronunciare il
nome.Cercadiparlare,mala
voce gli viene fuori strozzata.
Mi comporto come il
personaggio di un romanzo,
si dice. Ma anche quel
rimprovero non basta. Le
spalle si gonfiano per i
singhiozzi repressi. Poi
comincia
a
piangere
sommessamente.
In un romanzo la donna
avrebbe reagito al suo dolore
con
un
impulso
di
misericordia. Lei però non
reagiscecosí.
Senestasedutavicinoalla
tavola, alla luce incerta della
candela,conlatestagirataeil
lavorodicucitosulgrembo.È
tardi, nessuno li può vedere,
la bambina dorme. Accidenti
alcuore!sidicel’uomo.
Accidenti
a
questo
sentimentalismo! Il punto
non è il cuore e quello che
sente, ma il ragazzo morto e
quellochesente!
In quel momento ha la
visione piú limpida, quella di
Pavel che gli sorride, che
sorride della sua ambiguità,
delle sue lacrime, del suo
istrionismoediquellochec’è
dietro. Non è un sorriso di
derisione, al contrario, è un
sorriso di complicità e di
perdono.Luisa!pensa.Luisa
e non gli importa. Un’ondata
di gratitudine, di gioia e di
amore lo sommerge. Ora è
certo che avrà una crisi. Ma
non gli importa. Senza
trattenerepiúlelacrimetorna
a tentoni alla tavola,
sprofonda la testa fra le
braccia ed emette, uno dopo
l’altro,ululatididolore.
Nessuno gli accarezza i
capelli, nessuno gli mormora
all’orecchio
parole
di
consolazione.Maquandoalla
finetirasulatestaincercadel
fazzoletto,
la
bambina,
Matrëna, è lí di fronte a lui e
loosservaattentamente.Porta
unacamiciadanottebianca;i
capelli, spazzolati all’indietro,
le coprono le spalle. L’uomo
non può fare a meno di
notare i seni appena
accennati.Cercadisorriderle,
ma la bambina non cambia
espressione. Anche lei sa,
pensa.Sacosaèveroecosaè
falso; o comunque vuole
saperloaforzadifissare.
Si riprende. Fra le ultime
lacrime il suo sguardo
s’incolla agli occhi della
bambina. In quell’istante
qualcosa passa fra di loro,
qualcosadacuirifugge,come
trafitto da un ferro rovente.
Poi le braccia della madre
avvolgono la bambina, una
parolabisbigliataeleiritorna
aletto.
5.
Maksimov
– Buon giorno. Sono
venuto a richiedere – egli
stesso è sorpreso dalla
sicurezza della sua voce –
alcune cose appartenute a
miofiglio.Miofigliohaavuto
un incidente il mese scorso e
la polizia ha ritirato alcune
dellesuecose.
Spiegalaricevutaelapassa
all’impiegato. A seconda che
Pavel abbia reso l’anima
prima della mezzanotte o
dopo, la data è quella del
giornosuccessivooquelladel
giornostessodellasuamorte.
Dice soltanto: lettere e altre
carte.
Il sergente ispeziona la
ricevuta con aria perplessa: –
Dodiciottobre,nonèpassato
neppureunmese.Ilcasonon
saràancorachiuso.
– E quanto ci vorrà prima
chesiachiuso?
– Potrebbero essere due,
oppure tre mesi, o forse un
anno.
Dipende
dalle
circostanze.
–Noncisonocircostanze.
Nonsitrattadiundelitto.
Il sergente se ne va dalla
stanza con la ricevuta aperta
davanti agli occhi. Quando
ritorna ha un’espressione
moltopiúarcigna.
–Leièilsignor…?
–Isaev.Ilpadre.
– Sí, signor Isaev, si sieda.
L’ascolterannofrapoco.
Si sente mancare il cuore.
Aveva sperato che gli
restituissero direttamente le
carte,conlequaliallontanarsi
tranquillamente da quel
posto.L’ultimacosaalmondo
chesipuòpermettereèchela
polizia cominci a interessarsi
alui.
– Posso fermarmi solo un
attimo.
– Sí, signore. Sono sicuro
che l’investigatore che si
occupa del suo caso la
riceveràpresto.Sisiedapure.
Guarda l’orologio con
impazienza, si siede sulla
panca, guardandosi intorno
nervoso. È presto, c’è solo
un’altra
persona
nell’anticamera. Un giovane
con una tuta macchiata di
vernice. Sta seduto dritto
impalatoesembrachedorma.
Hagliocchichiusielabocca
semiaperta, dal fondo della
golaemetteunrumoresordo.
Isaev. Dentro è ancora
agitato.Nonfarebbemeglioa
lasciarperderesubitolastoria
di Isaev, prima di rimanerci
intrappolato? Ma come
spiegare?–Sergente,c’èstato
un piccolo equivoco. Le cose
non stanno proprio come
sembrachestiano.Inuncerto
sensononsonoIsaev.L’Isaev
dicuistousandoilnome,per
ragionimiechenonstaròqui
aspiegare,macomunqueper
ottimeragioni,èmortogiàda
parecchi anni. E nondimeno
io ho allevato Pavel Isaev
come fosse stato figlio mio e
lo amo come carne della mia
carne e sangue del mio
sangue. In questo senso
portiamo lo stesso cognome,
o comunque dovremmo
portarlo.Quellepochepagine
che ha lasciato per me sono
preziose. È per questo che
sono qui. Cosa sarebbe
successoseavessefattoquella
confessione spontaneamente,
mentre gli altri non avevano
neppureavutounsospetto?E
se fossero stati lí lí per dargli
le carte? Quella rivelazione li
avrebbe certamente bloccati.
– Ah, ah! Cosa vuol dire
questa storia? Forse questo
caso è piú interessante del
previsto!
Mentre se ne sta seduto e
tentenna fra l’idea di rivelare
tuttoequelladiandareavanti
con l’impostura, mentre tira
fuori l’orologio e lo guarda
nervoso, nel tentativo di
sembrare un uomo d’affari
impaziente,
infastidito
dall’aria
viziata
dell’anticamera dove in un
angolo sfrigola una stufa, ha
lapremonizionediunacrisie
al tempo stesso capisce che
una
crisi
potrebbe
rappresentare un modo, e il
piú infantile dei modi, per
districarsidaquelpasticcio:e
intanto, a latere, riemerge
l’ombra fastidiosa di un
ricordo: è già stato in questo
posto, proprio in questa
anticameraoinunaidenticae
ha avuto un attacco o un
mancamento! Ma perché il
ricordo dell’episodio è cosí
tenue?Echecosac’entraquel
ricordo con l’odore della
vernicefresca?
–Questoètroppo!
Il suo urlo echeggia nella
stanza. L’imbianchino che
sonnecchiava
ha
un
soprassalto;ilsergentealzala
testasorpreso.Cercaalloradi
nascondere il suo stato di
confusione. – Voglio dire –
annuncia abbassando la voce
– che non posso aspettare
ancora.
Ho
un
appuntamento, come ho già
detto.
S’è già alzato in piedi e ha
infilato il cappotto quando il
sergente lo richiama: – Il
consigliere Maksimov la
riceveràsubito,signore.
Nell’ufficio dove viene
accompagnato
non
c’è
bancone. Salvo che per un
grandedivanoinsimilpelle,è
arredatoconlatipicamobilia
anonima
degli
uffici
governativi. Il consigliere
Maksimov,
l’investigatore
giudiziario assegnato al caso
diPavel,èunuomocalvocon
l’aria tarchiata di una
contadina; si agita fino a che
non trova una posizione
comoda
e
poi
apre
l’ingombrante cartella che ha
davanti,sullascrivaniaelegge
a lungo, mormorando parole
fra sé e scuotendo la testa di
tanto in tanto. – Triste
storia…tristestoria…
Alla fine tira su la testa: –
Le
mie
piú
sincere
condoglianze,signorIsaev.
Isaev!Èorachesidecida!
– Grazie. Sono venuto a
chiedere la restituzione delle
carte di mio figlio. So che il
casononèancorachiuso,ma
non vedo che interesse
possano rivestire per il suo
ufficio delle carte private, né
cheimportanzapossanoavere
perlesuericerche.
– Certo, certo. Come dice
lei, carte private… ma mi
dica,quandodicecarte,ache
cosasiriferisceconesattezza?
Gliocchidell’uomohanno
una luce acquosa, ha le ciglia
chiare, come quelle di un
gatto.
– Come faccio a dirglielo?
Sono state portate via dalla
stanzadimiofiglio.Nonleho
visteancora.Lettere,carte…
– Lei non le ha viste, ma
crede che non abbiano alcun
interesse per noi. Posso
capirla.Capiscocheunpadre
è convinto che le carte del
figlio trattino di problemi
personali, o per lo meno
familiari. Certo. D’altra parte
c’èun’inchiestaincorso.Pura
formalità, forse, ma imposta
dallalegge,edunquenonlasi
può liquidare con uno
schiocco di dita o un gesto
impaziente della mano, e le
carte rientrano in questa
inchiesta.Cosí…
Congiunge i polpastrelli
delle mani, abbassa la testa,
sembra sprofondare in
pensieri complessi. Quando
solleva di nuovo il capo non
hapiúilsorrisosulvolto,ma
un’espressione
di
impressionante risolutezza: –
Credo, – dice – sí, credo di
avere la soluzione che
soddisferà entrambe le parti.
Poiché il caso non è chiuso,
anzi per la verità è stato
appena aperto, non posso
restituirle le carte in
questione, ma gliele farò
vedere.
Perché
sono
d’accordo che non è carino
strapparle via alla famiglia in
unasituazionecosítragica.
Con
una
mossa
improvvisa, come di un
giocatore che scopra la carta
vincente, sfila un solo foglio
dalraccoglitoreeglielomette
difronte.
È una lista di nomi, tutti
nomi russi, scritti in caratteri
latini.Comincianotutticonla
letteraA.
–C’èunequivoco.Questa
non è la scrittura di mio
figlio.
–Nonèlascritturadisuo
figlio? Hmm – Maksimov
riprendeilfoglioelostudia:–
Allora ha idea di chi possa
essere,signorIsaev?
– No. Non la conosco.
Comunque non è quella di
miofiglio.
Dal fondo della pila
Maksimov estrae un altro
foglio e glielo mette sotto il
naso:–Equesta?
Non ha bisogno di
leggerlo! Che stupido, pensa.
Un’ondata di stordimento lo
vince. La sua voce sembra
venire da molto lontano. – È
una lettera mia, non mi
chiamo Isaev, ho preso il
nome…
Maksimov agita la mano
comeacacciarviaunamosca,
o a scacciare quelle parole,
vuole farlo tacere, ma lui
vince lo stordimento e
completalasuadichiarazione.
– Ho preso il nome di
Isaev per non complicare
ulteriormentelecose:nonc’è
altro
motivo.
Pavel
Aleksandrovič Isaev è il mio
figliastro, l’unico figlio della
moglie che ho perduto. Ma
permeècomeunfiglio.Non
haaltrichemealmondo.
Maksimov recupera la
lettera dalla presa lenta
dell’uomo e la scorre di
nuovo. È l’ultima lettera da
Dresda, una lettera in cui
rimproveraPaveldispendere
troppo
denaro.
È
imbarazzante stare lí seduto
mentreunestraneolalegge.È
mortificante averla scritta!
Macomesifaasapere,come
si fa a sapere, quale sarà
l’ultimogiorno?
– Tuo affezionatissimo
padre, Fëdor Michailovič
Dostoevskij, mormora il
magistrato e alza la testa: –
Allora, cerchiamo di chiarire,
lei non è Isaev, lei è
Dostoevskij.
– Sí, è stato un errore, un
inganno,
stupido
ma
innocente,delqualemidolgo.
– Capisco, e però lei è
venuto qui, dando a
intendere… ma davvero
dobbiamousarequestabrutta
espressione? Usiamola con
cautela,perora,inmancanza
di una parola piú adatta,
dandoaintenderediessereil
padre del defunto Pavel
Aleksandrovič
Isaev
e
reclamando la restituzione
delle sue cose, mentre in
verità lei non è affatto la
persona in questione. Non è
bello,nonèvero?
– È stato un errore, come
ho detto, del quale mi pento
amaramente. Ma il morto è
mio figlio, e io sono il suo
tutore, riconosciuto dalla
legge.
– Hmm, capisco. Ecco, lui
avevaventunanniestavaper
compierne
ventidue
al
momento del decesso. Cosí,
dal
punto
di
vista
strettamente legale, il suo
ruoloditutorenonavevapiú
motivodiessere.Unuomodi
ventun anni è padrone di se
stesso, non è vero? Una
persona libera davanti alla
legge.
È quel tono strafottente
che alla fine lo manda in
bestia.Sialzainpiedi:–Non
sonovenutoquiperdiscutere
di mio figlio con gli estranei!
–dicealzandolavoce.–Selei
insisteavolertrattenerelesue
carte,melodicaemiregolerò
altrimenti.
– Insistere a trattenere le
sue carte? Ma certo che no!
Caro signore, la prego, si
sieda. Ma certo che no! Al
contrario, mi piacerebbe
molto che esaminasse queste
carte, per sé e per noi. Le
indicazioni che potrebbe
darci ci sarebbero utilissime,
sarebberodavveroapprezzate.
Tanto
per
cominciare
prendiamo questo, – e gli
mettedifronteunadozzinadi
fogli scritti su entrambe le
facciate. È la lista completa
dei nomi, quella di cui aveva
vistogiàilprimofoglioconle
A.–Nonèlascritturadisuo
figlio,vero?
–No.
– No. Lo sappiamo. Ha
idea di chi sia questa
scrittura?
–No,nonlariconosco.
– È la scrittura di una
giovane donna, che al
momento vive all’estero. Il
suo nome non è importante,
anchesecredochesentirlola
stupirebbe. È un’amica e una
socia di un uomo di nome
Nečaev, Sergej Gennadevič
Nečaev. Questo nome le dice
qualcosa?
–
Non
conosco
personalmente Nečaev, e
dubito che mio figlio lo
conoscesse. Nečaev è un
cospiratoreeunribelledicui
rifiuto con forza il piano
insurrezionale.
– Non lo conosce
personalmente, mi dice, ma
haavutocontatticonlui.
– No, non ho avuto
contatti con lui. Ho
partecipato a una conferenza
pubblica in Svizzera, a
Ginevra, conferenza durante
la quale hanno parlato molte
persone. Uno di costoro era
Nečaev. Dunque siamo stati
nella stessa sala. A tanto
ammontano i miei contatti
conlui.
– E a quando risale tutto
ciò?
– Era l’autunno del 1867.
L’incontro
era
stato
organizzato dalla Lega per la
Pace e la Libertà, cosí si
autodefiniscono… Io vi ho
partecipato
apertamente,
come patriota russo, per
sentirequellochesidicedella
Russia da ogni parte. Il fatto
cheabbiaascoltatoildiscorso
di quel giovane, Nečaev, non
significa che stia dalla sua
parte. Al contrario, lo ripeto,
rifiuto tutto ciò che
rappresenta, e l’ho dichiarato
piúvolte,inpubblicocomein
privato.
– Anche il benessere del
popolo? Non è per il
benessere del popolo che
Nečaev combatte? Non è a
quellochepunta?
– Non afferro il senso di
queste domande. Nečaev è,
prima di tutto e soprattutto,
per il rovesciamento violento
delle istituzioni sociali, in
nome di un principio
ugualitario:felicitàugualeper
tutti, oppure, se non è
possibile, miseria uguale per
tutti. Non è un principio che
si dia la pena di giustificare,
anzi si direbbe che disprezzi
le giustificazioni in generale
comeperditeditempo,come
inutili intellettualismi. La
prego, non mi accomuni a
Nečaev.
– Bene, bene. Accetto la
ricusazione, anche se devo
dire che sono sorpreso, non
l’avrei mai immaginata come
un campione dei principî.
Comunque sia, torniamo a
noi.Allalistadinomicheha
di fronte: ne riconosce
qualcuno?
– Ne riconosco alcuni.
Unamanciatadinomi.
– È la lista delle persone
che debbono essere eliminate
nel nome della Vendetta del
Popolo, che, come saprà, è
l’organizzazione clandestina
fondata da Nečaev. Questi
omicidi sono stati progettati
nell’intento di scatenare una
rivolta generale che conduca
al rovesciamento dello Stato.
Se sfoglia l’elenco fino alla
fine,
vedrà
che
c’è
un’appendice in cui vengono
citate intere classi di persone
che verranno giustiziate
sommariamente
durante
l’insurrezione. Fra di loro ci
sono tutti gli alti funzionari
del sistema giudiziario e gli
ufficiali di polizia, nonché
quellidellaTerzaSezione,dal
grado di capitano in su. La
listaèstatatrovatafralecarte
disuofiglio.
Una volta comunicata la
notizia,
Maksimov
si
appoggia allo schienale della
poltrona
e
sorride
amichevolmente.
–Questosignificachemio
figlioèunassassino?
– Ma assolutamente no!
Comepuòessereunassassino
se
nessuno
è
stato
assassinato?Quellochevedeè
solo un appunto, un abbozzo
teorico.Sevuolesaperelamia
opinione personale, si tratta
di una lista, di quelle che un
giovanotto arrabbiato con la
società può stilare in un
pomeriggio, magari per fare
colposullagiovanedonnaalla
quale detta i nomi: un modo
peresibireilpropriopoteredi
vita e di morte, un potere
assolutamente
illusorio,
ovviamente. E nondimeno
l’assassinio, il piano di
eliminazione che minaccia la
nostraburocrazia,èunaffare
serio,noncrede?
– Molto serio. Lei non ha
certo bisogno del mio
consiglio.Nečaevvaarrestato
immediatamente, se mai
dovesse rimettere piede in
patria. Per quanto riguarda
mio figlio, cosa volete fare?
Arrestarepurelui?
– Ah, ah. Questa è buona
Fëdor Michailovič. No, non
potremmoarrestarlo,seppure
lo volessimo, perché ci ha
lasciato.Mahaanchelasciato
problemiirrisoltidietrodisé.
Carte, piú carte di quante è
permesso lasciarne a un
qualunque cospiratore che si
rispetti. Ha lasciato dietro di
sé anche degli interrogativi.
Per esempio: perché si è
suicidato? Perché lei crede
chesisiasuicidato?
Lastanzaondeggiadavanti
ai suoi occhi. La faccia
dell’investigatore gli incombe
addosso, come un enorme
pallonerosa.
–Luinonsièsuicidato,–
bisbiglia – lei non capisce
nientediquelragazzo.
–Perforzaècosí!Delsuo
figliastro e delle vicissitudini
della sua vita non capisco un
accidente, né pretendo di
capire.Quellocheperòspero
di capire, in modo molto
concreto, da investigatore, è
che cosa lo ha portato alla
morte. Era forse minacciato?
Forseunodeisuoisociaveva
minacciato di denunciarlo? E
magari la paura delle
conseguenze lo ha agitato a
tal punto da spingerlo al
suicidio? Oppure, forse, non
sièsuicidato?Puòessereche,
per motivi a noi oscuri, sia
stato scoperto come traditore
dellacausadellaVendettadel
Popolo e giustiziato in quel
modo davvero sgradevole?
Queste sono alcune delle
domandechemipassanoper
la testa, ed è per questo che
ho colto l’occasione per
parlarle, Fëdor Michailovič,
perché se non lo conosce lei,
cheèstatoilsuopatrignoeil
suo protettore per tanto
tempo, in assenza di genitori
naturali, chi altro può
conoscerlo?Poinaturalmente
c’è l’altro problema, quello
dell’alcol. Era abituato a bere
forte o è un’abitudine
contrattadirecente,collegata
allo stress della sua attività
clandestina?
–Noncapisco,chec’entra
adessol’alcol?
– La notte in cui è morto
avevabevutomolto,losapeva
questo?
L’uomo scuote la testa,
confuso.
–Misembrachiaro,Fëdor
Michailovič, che ci sono un
mucchio di cose che non sa.
Via, lasci che sia sincero,
appena ho sentito che era
venuto qui a reclamare le
carte del suo figliastro, qui,
dentro la tana del leone, per
cosídire,ebbene,hoavutola
certezza, o la quasi certezza,
che doveva essere all’oscuro
di tutto. Perché se avesse
sospettato un collegamento
frailsuofigliastroelabanda
criminale di Nečaev non
sarebbe venuto qui. Oppure
mi avrebbe detto fin
dall’inizio che era interessato
solo
a
riavere
la
corrispondenza
privata
scambiata col suo figliastro.
Misegue?
–Sí.
– E visto che già ha le
lettere che il suo figliastro le
haspedito,alloraquestovuol
dire che avrebbe richiesto
sololeletterespeditedaleial
suofigliastro.Maperché…
– Le lettere, sí, e tutti i
documenti privati. Che senso
può avere perseguitarlo
ormai?
–Già,chesensopuòavere!
Unataletragedia…Ma…per
tornare al problema delle
carte, lei usa l’espressione
«privati» e mi rendo conto
che in una situazione come
quella attuale è assai difficile
definire cosa sia «privato».
Certo è nostro dovere
rispettare
il
defunto,
difendere i diritti che il suo
figliastro non è piú in grado
didifenderepersonalmente,e
inquestocasoildirittoauna
certaprivacy.L’ideachedopo
la nostra morte un estraneo
venga a ficcare il naso fra le
nostre carte, le nostre cose, e
cominciadaprireicassetti,a
rompere i sigilli e a leggere
lettere intime… beh, l’idea
farebbe soffrire chiunque di
noi, ne sono certo. D’altra
parte in certi casi può essere
preferibile che a svolgere tali
sgradevoli ma necessarie
formalità sia proprio uno
sconosciuto. Non staremmo
certo a nostro agio sapendo
chelenostrestoriepiúsegrete
saranno rivelate, quando le
emozioni sono ancora vive,
allo sguardo di una moglie
ignara, o di una figlia o
sorella. Meglio dunque in
certicasichesiaunestraneoa
occuparsene, qualcuno che
non rischia di essere ferito,
perché non siamo niente per
lui e anche perché il lavoro
chefal’haabituatoalleoffese.
Naturalmente questo è un
discorso retorico, perché poi,
allafine,èlaleggeadisporre:
la legge di successione, che
stabiliscechesianoglieredia
entrare in possesso delle
proprietà e cosí pure delle
carteprivateedituttoilresto.
E,nelcasodichimuoresenza
avernominatounerede,sono
leleggidellaconsanguineitàa
imporsieadettareildafarsi.
Allora, siamo d’accordo, le
letterescambiatefraimembri
della stessa famiglia sono
carte private e vanno trattate
con la giusta discrezione.
Mentre le comunicazioni di
natura sediziosa che arrivano
dall’estero, liste di gente
segnata, da eliminare, per
esempio, non rientrano
chiaramente fra le carte
private. Ma qui ora ci
troviamo di fronte a un caso
curioso.
L’uomo scorre i fogli nel
raccoglitore
e
intanto
tamburella con le dita sul
tavolino
in
modo
terribilmenteirritante.
– Ecco qui un caso
curioso,ecco un caso curioso
– ripete, quasi fra sé e sé. –
Un racconto – annuncia
bruscamente.
–
Cosa
dovremmo fare di un
racconto,
di
un’opera
dell’immaginazione?
Un
racconto è un affare privato?
Cosanedicelei?
– Privato, assolutamente
privato, è affare dello
scrittore, fino a che non si è
decisoadarloalmondo.
Maksimov lo fissa con
espressione interlocutoria e
intantoglispingesottoilnaso
un quaderno a righe. Lui
riconosce subito la scrittura
inclinata con le curve incerte
elemacchie.Unascritturada
orfano,
pensa.
Dovrò
imparare ad amarla. E mette
una mano protettiva sopra la
pagina.
– Legga – dice l’altro a
vocebassa.
Provaaleggere,manonci
riesce.
Piú
cerca
di
concentrarsi, piú vede solo
dettagli della grafia. Ha la
vistaoscuratadallelacrime,le
asciuga con la manica perché
non cadano sul foglio e non
producano altre macchie.
«Distese di neve intatta»,
legge, e già vorrebbe
correggere quello stereotipo.
Racconta qualcosa su un
uomo che sta in quella
distesa, qualcosa del freddo.
Scuote la testa e chiude il
quaderno.
Maksimov si sporge in
avanti
e
glielo
sfila
gentilmente di mano. Lo
sfoglia finché non trova
quello che cercava e spinge il
quaderno dall’altra parte del
tavolo.
–Ecco,leggaqui–glidice
– solo una o due pagine. Il
nostro eroe è un giovane
condannato per cospirazione
e tradimento e spedito in
Siberia.Fuggedallaprigionee
arriva nella casa di un
proprietario terriero, dove
vienenascostoerifocillatoda
una sguattera, una giovane
contadina. Sono entrambi
giovani e un sentimento
romantico nasce fra i due,
eccetera. Una sera il
proprietario
terriero,
descritto come un uomo
rozzo e lascivo, comincia a
importunare la ragazza. E
questo è il brano che vorrei
farleleggere.
Luiscuoteancoralatesta.
AlloraMaksimovriprende
il quaderno: – «Il giovanotto
non può sopportare piú
quella scena. Esce dal suo
nascondiglio e interviene» –
Maksimovleggeadaltavoce:
–
«Karamzin,
il
proprietario terriero, si voltò
versodiluiesoffiò:“Chisei?
Cosafaiqui?”Poirealizzòche
aveval’uniformegrigialacera
e un resto di ceppi alle
caviglie. “Ah, sei uno di
quelli!”,gridò.“Oratisistemo
io!” Si voltò e si diresse
pesantementeversolaporta».
Il proprietario terriero viene
descritto come un bruto con
la faccia rincagnata, le
orecchie pelose e le gambe
grasse e corte. Non c’è da
stupirsi dell’indignazione del
nostroeroenelvederelabella
fanciulla insidiata da un
vecchio ripugnante. Prende
un’accettapoggiatasulfianco
della stufa e «con tutta la
forzacheavevaincorpo,pur
essendoscossodauntremito,
vibrò l’accetta sulla testa
bianca
dell’uomo.
A
Karamzin
cedettero
le
ginocchia e andò giú sul
pavimento
spazzato,
emettendo un grugnito,
propriocomeunabestia,con
le braccia spalancate. Le sue
ditaebberounsussultoprima
di rilassarsi. Sergej», è questo
il nome del nostro eroe,
«rimase lí imbambolato, con
l’accetta insanguinata in
mano, incapace di credere a
quello che aveva fatto. Ma
Marfa»,èilnomedell’eroina,
«con una presenza di spirito
inattesa, afferrò uno straccio
bagnato e lo mise sotto la
testa del morto, per non far
spargere il sangue». Bel
guizzodirealismo,nontrova?
Il seguito della storia è
accennato, non starò a
continuare. Forse, una volta
fattofuoril’oscenoKaramzin,
l’ispirazione del nostro
giovaneautoresièaffievolita.
Sergej e Marfa trascinano via
ilcorpoelogettanodentroa
un pozzo abbandonato.
Quindi s’incamminano nella
notte
«pieni
di
determinazione», è questa la
frase. Non è chiaro dove
intendano fuggire. Ma mi
lasci accennare a un ultimo
dettaglio.
Sergej
non
abbandona l’arma del delitto.
La porta con sé. Per farne
cosa? chiede Marfa. Cito la
suarisposta:«Perchéèl’arma
del popolo russo, l’arma con
cuidifenderci,l’armaconcui
vendicarci».
L’ascia
insanguinata, la vendetta del
popolo… l’allusione non
potrebbe essere piú chiara,
nonlepare?
L’uomo fissa Maksimov
incredulo. – Non credo alle
mie orecchie – mormora. –
Vuole davvero montare
questobranocomeunaprova
a carico di mio figlio? Un
racconto,unafantasia,scritto
nelsegretodellasuastanza?
– Ma no, ma no… Fëdor
Michailovič,leimifraintende!
–Maksimovsibuttacontrolo
schienale della sedia e scuote
la testa con aria affranta. –
Non si tratta di perseguitare
(come lei stesso ha detto
prima)ilsuofigliastro.Ilsuo
caso è chiuso e questo è quel
che conta. Le ho letto la sua
fantasia, come l’ha definita,
per mostrarle fino a che
punto fosse caduto sotto
l’influsso dei nečaeviti, che
hanno traviato Dio sa quanti
dei nostri giovani piú
impressionabili e fragili,
soprattuttoquiaPietroburgo,
eperlopiúgiovanidibuona
famiglia. È un’epidemia, il
nečaevismo. Un’epidemia o
forseunamoda.
– No, non è una moda.
Quello che lei chiama
nečaevismo è sempre esistito
in Russia, magari sotto altro
nome. Il nečaevismo è un
fenomeno russo, come il
brigantaggio, ma non sono
qui per parlare dei nečaeviti.
Sono venuto solo per un
motivo. Ritirare le carte di
mio figlio. Posso averle? E se
non posso averle, posso
andarmene?
– Può andare. È libero di
andarsene. Lei è uscito dalla
Russia e ci è rientrato sotto
falso nome. Non le chiederò
con quale passaporto vada in
giro. Ma è libero di
andarsene. Se i suoi creditori
si accorgono che è in Russia,
anchelorosonoliberidifarei
passicheritengononecessari.
Ma non è affar mio, è una
cosa fra lei e loro. Glielo
ripeto: è libero di lasciare
questo ufficio. Comunque la
avverto: non posso coprire
attivamentelasuaimpostura.
Suquestosiamointesi.
–Inquestomomentonon
c’è niente che mi interessi
meno del denaro. Se debbo
essere perseguito per vecchi
debiti,siapure.
– Lei ha subíto un lutto, è
depresso, per questo reagisce
cosí. La capisco bene. Ma si
ricordi che ha una moglie e
un figlio che dipendono da
lei. Fosse anche solo per il
loro bene, non può
permettersidilasciarsiandare
al fato. Quanto alla sua
richiesta delle carte, mi
dispiace, non posso ancora
consegnargliele. Fanno parte
di un’inchiesta della polizia,
perchiarireilegamifrailsuo
figliastroeinečaeviti.
– Bene. Prima di
andarmene posso aggiungere
ancora una cosa a proposito
deinečaeviti?Giacchéalmeno
io ho visto e sentito parlare
Nečaev in persona, una
conoscenza diretta e dunque
(mi corregga se sbaglio)
superioreallasua.
Maksimovalzalatestacon
tono interlocutorio. – La
prego,continui.
– Nečaev non è un affare
di competenza della polizia.
Anzi a dire il vero non è un
affare di competenza delle
autorità in generale, almeno
nondelleautoritàlaiche.
–Prosegua.
–Puòdarsicheriusciatea
scovare e anche ad arrestare
Nečaev, ma ciò non signica
che il nečaevismo sarà
eliminato.
– Sono perfettamente
d’accordo. Il nečaevismo è
un’idea diffusa nella nostra
terra;Nečaevstessoneèsolo
un’incarnazione.
Il
nečaevismo non finirà finché
le cose non cambiano. Perciò
ilnostroscopodev’esserepiú
modesto e piú concreto:
controllare la diffusione di
quest’idea, e dove già si è
diffusaevitarechesitrasformi
inazione.
– No, lei continua a
fraintendermi. Il nečaevismo
non è un’idea. Disprezza le
idee, è fuori dal mondo delle
idee. È uno spirito, e Nečaev
stessononneèl’incarnazione
masoloilcorpocheloospita,
opiuttostocheèpossedutoda
quellospirito.
L’espressionediMaksimov
èimperscrutabile.Ciriprova.
– La prima volta che vidi
Sergej Nečaev a Ginevra fui
colpito dall’aria tetra e poco
attraente di quel giovane,
dalla
sua
intelligenza
mediocre e dai suoi modi
ordinari. Non credo che
quella prima impressione
fossesbagliata.Inquelveicolo
improbabile però è entrato
uno spirito. E non c’è niente
dinotevoleinquellospirito.È
unospiritoottuso,permaloso
eomicida.Perchéhasceltodi
risiedere proprio in quel
giovanotto? Non lo so. Forse
perché lo trova un ospite in
cui entrare e da cui uscire
facilmente.Maèperviadello
spirito che lo abita che
Nečaev ha dei seguaci.
Seguono lo spirito, non
l’uomo.
–Ecomesichiamaquesto
spirito,FëdorMichailovič?
Fa uno sforzo per
visualizzare Nečaev ma vede
solo una testa di bue, con gli
occhi vitrei, la lingua
penzolante e il cranio
spaccato dalla scure del
macellaio.Intornounnugolo
dimosche.Glivieneinmente
un nome, e in quello stesso
momentodice:–Baal.
–
Interessante.
Una
metafora, forse non del tutto
chiara, ma meritevole di
riflessione.Baal.D’altraparte
non posso fare a meno di
chiedermi se sia utile parlare
dispiritiedipossessioni.Eha
unsensoancheparlarediidee
che si aggirano per il paese,
come se le idee avessero
braccia e gambe? Questa
chiacchierata ci aiuterà nelle
nostre fatiche? Aiuterà la
Russia? Lei dice che non
dobbiamo
rinchiudere
Nečaev perché Nečaev è
posseduto da un demonio
(vogliamo
chiamarlo
demonio?spiritosuonamale).
In tal caso cosa dovremmo
fare? Dopo tutto non siamo
un ordine contemplativo,
siamoilbraccioinvestigativo.
Silenzio.
–
Non
voglio
assolutamente sottovalutare
quanto dice – riprende
Maksimov. – Lei è un uomo
ditalento,unuomocapacedi
introspezione, come già
sapevoprimadiincontrarla,e
questa nuova genia di
cospiratori è fatta di un’altra
pastarispettoaquelladeiloro
predecessori. Credono di
essere immortali e in questo
senso è davvero un po’ come
lottarecontroidemoni.Sono
implacabili. Sembra che
abbiano nel sangue, per cosí
dire, l’odio per la nostra
generazione.
Un
vizio
congenito.Nonèfacileessere
padri, non è vero? Anch’io
sono padre, ma per fortuna
padre di femmine. Non mi
piacerebbe essere padre di
figli maschi di questi tempi.
Masuopadrenon…Nonc’è
stato qualcosa di spiacevole
consuopadre?Maforsesono
iochericordomale…
Dietro alle ciglia bianche
Maksimov
gli
lancia
un’occhiatina maliziosa, poi,
senzaaspettare,prosegue.
– Cosí in fin dei conti mi
chiedoseilfenomenoNečaev
sia davvero un’aberrazione
dello spirito come lei dice.
Forse dopo tutto è solo la
vecchia storia dei padri e dei
figli, quella di sempre, solo
piú mortale, piú spietata nel
casodiquestagenerazione.In
questo caso, forse, la
risoluzionepiúsaggiasarebbe
quella piú semplice: mettersi
in trincea e aspettare;
aspettare che crescano. Dopo
tutto abbiamo avuto i
decabristiegliuominidel’49.
I decabristi oggi sono vecchi,
quanto a quelli che sono
ancora vivi, sono sicuro che,
quali che fossero i demoni
che si erano impossessati di
loro,lihannoabbandonatida
un pezzo. Quanto a
Petraševskij e i suoi amici,
cosa ne pensa? Anche loro
eranopossedutidaidemoni?
Petraševskij. Ora perché
tirainballoPetraševskij?
– Non sono d’accordo,
quello che lei chiama il
fenomeno Nečaev ha una
connotazione
personale.
Nečaev è un sanguinario. Gli
uomini a cui fa l’onore di
riferirsi erano degli idealisti.
Hannofallitoperché,equesto
tornaaloroonore,nonerano
abbastanza
astuti
e
certamente
non
erano
sanguinari. Petraševskij, visto
chehanominatoPetraševskij,
fin dal principio aveva
denunciato quella forma di
gesuitismo che porta a
giustificare i mezzi in nome
del fine. Nečaev è un gesuita,
ungesuitalaicocheabbraccia
apertamente il criterio del
finechegiustificaimezziper
giustificare
il
cinico
sfruttamentodelleenergiedei
suoiseguaci.
– Allora c’è qualcosa che
non ho capito. Mi spieghi
ancoraperchéunaquantitàdi
sognatori,dipoeti,digiovani
intelligenti come il suo
figliastro è attratta da un
bandito
come
Nečaev?
Perché, secondo lei, Nečaev
non è altro che un bandito
con
un’infarinatura
di
cultura,osbaglio?
– Non lo so. Forse perché
nei giovani c’è qualcosa che
ancora non si è acquietato,
qualcosa cui fa appello lo
spirito di Nečaev. Forse è in
tutti noi. Qualcosa che
credevamo morto da secoli e
che invece dormiva soltanto.
Glielo ripeto: non lo so. Non
sospiegareilrapportoframio
figlio e Nečaev. È una cosa
che mi risulta nuova. Ero
venuto qui a riprendere le
carte di Pavel, che per me
sono preziose per motivi che
non capirebbe. Sono quelle
carte che voglio. Nient’altro.
Glielo chiedo ancora una
volta:melerestituirà?Perlei
sono inutili. Non le diranno
perché i giovani intelligenti
cadono nella rete dei
delinquenti. E meno di tutti
lo diranno a lei, perché lei
nonsacomeleggerle.Mentre
leggeva il racconto di mio
figlio(melolascidire)notavo
come si teneva eretto e
distante
dalla
pagina,
costruendo una barriera
ridicola, come se le parole
potessero saltar fuori dalla
paginaestrangolarla.
Qualcosa ha cominciato a
prendere fuoco dentro di lui,
mentre parlava, e se ne
rallegra. Si sporge in avanti,
afferraibracciolidellasedia.
– Che cos’è che la
spaventa,
consigliere
Maksimov? La lettura di
Karamzin o Karamzov come
sichiama,quandoilcraniodi
Karamzin viene rotto come
un uovo, qual è la verità?
Soffre con lui o piuttosto
esulta dentro di sé, seguendo
il braccio che vibra il colpo
d’ascia? Non risponde? Mi
lasci dire allora: leggere vuol
dire essere quel braccio e
quell’ascia e quel cranio;
leggere vuol dire arrendersi,
non schernire e tenersi a
distanza. Se glielo chiedo so
che mi dirà che sta dando la
caccia a Nečaev per
processarlo, con tanto di
giudici e di avvocati della
difesa e cosí via, per poi
rinchiuderlo in una cella
pulita e illuminata bene. Ma
guardi dentro di sé: è questo
che desidera davvero? Non è
forse vero che gli vuole
tagliare la testa, che vuole
calpestareilsuosangue?
Si
riappoggia
allo
schienale,tuttorosso.
– Lei è un uomo molto
intelligente,
Fëdor
Michailovič, ma parla della
lettura come si trattasse di
una possessione demoniaca.
Misuratosuquelmetrotemo
di essere un lettore assai
scarso,ottusoeconipiediper
terra. Ma mi chiedo se in
questo momento lei non sia
in preda alla febbre. Se
potesse
guardarsi
allo
specchio sono certo che
capirebbe cosa voglio dire. E
poi abbiamo avuto una
conversazione molto lunga,
interessante ma lunga, e ho
tanticompitidasbrigare.
–Eledicochequellecarte
a cui tiene tanto potrebbero
esserescritteinaramaico,per
quello che se ne farà. Me le
renda!
Maksimov fa una risatina:
– Lei mi fornisce la migliore,
la piú benevola delle ragioni
per non cedere alle sue
pressioni, Fëdor Michailovič,
ecioèchenelsuostatoattuale
lo spirito di Nečaev possa
saltarfuoridaquellepaginee
impossessarsi di lei. Ma,
scherziaparte,midicechesa
come leggere. Mi farebbe il
favore, in futuro, di leggere
questifogliperme,tutte,tutte
le carte di Nečaev di cui
questo non è che un piccolo
fascicolo?
–Leggergliele?
–Sí,leggermele.
–Perché?
–Perchéleisostienecheio
non sappia leggere. Vorrei
una dimostrazione dell’arte
della lettura. M’insegni, mi
spieghi queste idee che non
sonoidee.
Per la prima volta dopo
l’arrivo del telegramma a
Dresda, Fëdor Michailovič
ride. Sente la tensione del
volto allentarsi. Ma è una
risataduraesenzagioia.–Ho
sempre sentito dire che la
polizia
rappresenta
le
orecchie e gli occhi della
società. E lei si rivolge a me
perché l’aiuti! No, non
leggeròperlei.
Maksimov incrocia le
mani sulle ginocchia, chiude
gli occhi con un’aria da
Buddha, senza sesso e senza
età, e annuisce: – Grazie –
mormora – ma ora deve
andare.
Fëdor
Michailovič
riemerge in un’anticamera
affollata. Per quanto tempo è
rimasto chiuso lí dentro con
Maksimov? Un’ora? Di piú?
La panca è piena, c’è gente
appoggiataalmuro,gentenei
corridoi saturi del soffocante
odore di vernice fresca. Le
voci si azzittiscono, gli occhi
si voltano a seguirlo senza
simpatia. Tanta gente che
vuolegiustizia,ognunoconla
suastoriadaraccontare!
È quasi mezzogiorno e lui
non sopporta l’idea di
rientrare nella sua stanza. Si
incammina verso est, per via
Sadovaja. Il cielo è basso e
grigio e tira un vento freddo;
la strada è ghiacciata e
scivolosa.Ungiornotetro,un
giorno in cui camminare per
lestradeatestabassa.Malui
nonriesceafrenarsi,nonpuò
fare a meno di osservare le
persone che passano, alla
ricerca
delle
spalle,
dell’andatura
del
figlio
perduto. Dal modo di
camminare lo riconoscerà:
primadall’andatura,poidalla
figura.
Cercadievocareilvoltodi
Pavel, ma invece gli compare
davanti, e in modo cosí
vivido!,lafacciadiungiovane
conlesopraccigliafolteeuna
barbarada,conlabbrastrette
e sottili, la faccia di un
giovane seduto sul palco
dietro Bakunin, all’ultimo
Congresso della Pace, due
anni prima. Ha la pelle
segnata da cicatrici livide per
ilfreddo.–Va’via!–glidice,
cercando
di
cacciare
quell’immagine. Ma quella
non se ne va. – Pavel! –
mormora,
cercando
di
evocaresuofiglio,invano.
6.
AnnaSergeevna
Non era ancora mai
andatoinquelnegozio.Èpiú
piccolo di come l’aveva
immaginato, scuro, basso e
seminterrato.
JAKOVLEV
DROGHIERE E MERCANTE dice
l’insegna. Quando apre la
porta suona un campanello.
Glicivuoleunpo’perchégli
occhisiadattinoall’oscurità.
È l’unico cliente. Dietro il
bancone c’è un vecchio con
un grembiule bianco. Fëdor
Michailovič fa finta di
esaminare le merci: i sacchi
aperti con i fagioli secchi, il
grano saraceno, la farina, la
biada per i cavalli. Poi si
avvicinaalbancone.
– Vorrei dello zucchero
perfavore.
– Come? – chiede il
vecchio schiarendosi la gola.
Gliocchialifannoappariregli
occhi piccoli come due
bottoncini.
– Vorrei un po’ di
zucchero.
Lei compare, emergendo
da una porta chiusa da una
tenda, sul retro del negozio.
Seèsorpresadivederlo,certo
nonlodimostra.–Pensoioa
servire il cliente, Avram
Davidovič – dice tutta
tranquilla,eilvecchiosifada
parte.
– Volevo dello zucchero –
ripetelui.
– Zucchero? – un lieve
sorrisoleincrespalelabbra.
– Sí, cinque copechi di
zucchero.
Svelta, la donna prepara
un cartoccio, lo piega sul
fondo e ci mette dentro lo
zucchero bianco, lo pesa e
chiude il cartoccio. Mani
abili.
– Sono appena stato alla
polizia. Ho tentato di farmi
ridarelecartediPavel.
–Ahsí?
–
Ci
sono
delle
complicazioni che non avevo
previsto.
– Le riavrà. Ci vuole
tempo.Perognicosacivuole
tempo.
Anche se non ce n’è
motivo,l’uomoleggeinquelle
parole un doppio senso. Se
non ci fosse il vecchio, lí
dietro a lei, allungherebbe la
mano sul bancone e
afferrerebbe quella della
donna.
–Quantofa?
–Fannocinquecopechi.
Quando
prende
il
cartoccio, le sfiora le dita. –
Hailluminatolamiagiornata
– bisbiglia cosí piano che
forseneppureleilosente.Poi
s’inchina,s’inchinaadAvram
Davidovič.
Èun’impressione,ohagià
vistodaqualchepartel’uomo
con il cappotto di montone e
il berretto, che, dopo essersi
soffermato a guardare gli
operai che scaricavano
mattoni dall’altra parte della
strada,oraimbocca,comelui,
viaSečnoj?
Elozucchero?Perchémai
ha comprato proprio lo
zucchero?
Scrive un biglietto ad
Apollon Majkov. «Sono a
Pietroburgo e sono andato
sulla sua tomba. Grazie per
aver pensato a tutto. Grazie
anche per le tante gentilezze
fatte a P. in questi anni. Le
sono per sempre debitore».
FirmaconunaD.
Sarebbe
piú
facile
organizzare un incontro
segreto. Ma non vuole
compromettere il vecchio
amico. Majkov sempre
generoso,capirà,sidice:sono
a lutto e chi è a lutto evita la
gente.
È una buona scusa, ma è
unamenzogna.Nonèalutto.
Non ha detto addio a suo
figlio,nonharinunciatoalui.
Tutt’altro,vuolechesuofiglio
siarestituitoallavita.
Scrive alla moglie: «È
ancoraqui,nellasuastanza.È
terrorizzato. Ha perso il suo
diritto di stare al mondo, ma
l’altro mondo è freddo,
freddo come gli spazi
interstellari,
non
è
accogliente». Appena ha
finito di scrivere la lettera la
strappa.Nonhasenso,epoiè
un tradimento di quello che
rimanefraluiesuofiglio.
Suo figlio è dentro di lui.
Un bambinello morto dentro
una cassa di ferro nella terra
gelata. Non sa come fare a
resuscitare il bambino o (che
poièlastessacosa)nonhala
forza di volontà per farlo. È
paralizzato, anche mentre
camminaperlestradesisente
paralizzato. Ogni gesto delle
sue mani ha la lentezza di
quelli di un uomo congelato.
Nonhavolontà,opiuttostola
suavolontàsiètrasformatain
un masso duro, una pietra
che lo tira giú, verso
l’immobilitàeilsilenzio.
Sa cosa vuol dire il lutto.
Questo non è lutto. Questa è
la morte, la morte venuta
prima del tempo, venuta per
stare con lui, non per
sopraffarlo o divorarlo, solo
per stare con lui. È come un
cane che abbia scelto di
abitare con lui, un grosso
cane grigio, sordo e cieco,
stupido e immobile. Quando
dorme,ilcanedorme;quando
si sveglia, il cane si sveglia;
quando esce, il cane lo segue
sbandando.
Il
pensiero
ritorna
pigramentemaconinsistenza
ad Anna Sergeevna. Quando
pensaalei,pensaadagilidita
che contano le monete. Le
monete, il cucito, che cosa
rappresentano?
Ripensa a una contadina
cheunavoltaavevavistosulla
porta del convento di
Sant’Anna, a Tver. Stava
seduta con un bambino
mortoalsenoecacciavaviala
gente che cercava di portarle
via il piccolo cadavere,
sorrideva beata, sorrideva
propriocomeSant’Anna.
Ricordi, come un filo di
fumo.Unrecintodicannein
mezzoalnulla,eunafiguretta
filiforme che passa fra le
canne, piatta, senza peso, la
figuradiunragazzinovestito
di bianco. Un minuscolo
villaggio nella steppa con un
torrente,dueotrealberi,una
mucca con una campana al
collo e un filo di fumo che si
perdenelcielo.Ilretrobottega
dell’universo, la fine del
mondo. Un ragazzino che
passa come una spola fra le
canne,avantiedietro,inuna
sorta
di
metamorfosi
interrotta, in una specie di
purgatorio.
Visioni che vanno e
vengono,
come
lampi,
effimere.Nonèpadronedisé.
Concautelaspingeviapenna
e carta, nell’angolo piú
lontano della scrivania, e
appoggia la testa fra le mani.
Se devo svenire, meglio
svenirequi,almioposto.
Ha un’altra visione, una
figurapressounpozzo,porta
un mestolo alle labbra, è un
viaggiatore che si mette in
cammino; gli occhi guardano
aldilàdelbordodelmestolo,
intenti a un altrove. Uno
sfiorarsidimani.Uncontatto
affettuoso:–Addioamico!–e
scompare.
Perché questo faticoso
inseguire per la campagna
desertalevocidiunfantasma,
ilfantasmadiunavoce?
Perché io sono lui. Perché
lui è me. C’è qualcosa là che
ho bisogno di afferrare:
l’attimo prima della fine,
quando il sangue ancora
scorre, il cuore ancora batte.
Ilcuore,questobuefedeleche
continua a far girare la ruota
del mulino, che non lancia
neppure
un’occhiata
interrogativa,quandol’asciaè
sollevata alta su di lui, ma
accetta il colpo, si piega sulle
ginocchia e muore. Non
l’oblio,mailmomentochelo
precede, quando arrivo
ansimante fino a te, sull’orlo
del pozzo e ci guardiamo per
l’ultima volta, sapendo che
siamo vivi, che viviamo la
stessa vita, quest’unica vita
nostra.Ètuttoquellochemiè
dato afferrare: il momento di
quello sguardo, insieme di
saluto e di addio, oltre ogni
discussione,
oltre
ogni
supplica:–Ciaoamico,addio
amico –. Occhi asciutti,
lacrimefattecristalli.
Tengo la tua testa fra le
mani. Ti bacio sulla fronte e
sullelabbra.
La regola è uno sguardo.
Uno solo, senza voltarsi
indietro.Maiomivolto.
Tustaivicinoalpozzo,coi
capelli al vento, non sei
un’anima, ma un corpo
rarefatto, sollevato alla sua
prima,seconda,terza,quarta,
quinta essenza; e mi guardi
con occhi di cristallo, sorridi
conlabbrad’oro.
Per
sempre
rivolto
indietro. Per sempre assorto
neltuosguardo.Uncampodi
punti di cristallo, che
danzano, che brillano, e io
uno di loro. Stelle nel cielo e
fuochi a rispondere sulla
pianura. Due regni che si
mandanosegnali.
Si
addormenta
allo
scrittoio
e
lí
resta
addormentato per tutto il
pomeriggio. All’ora di cena
Matrëna bussa alla porta, ma
lui non si sveglia e loro
mangianosenzadilui.
Molto piú tardi, dopo che
la bambina è già andata a
letto,emergedallasuastanza,
vestito e pronto a uscire.
Anna Sergeevna sta seduta,
con le spalle rivolte alla sua
porta: – Esce allora? Non
vuoleunatazzaditèprimadi
uscire?
Sembra
leggermente
nervosa, ma la mano che gli
porgelatazzaèferma.
Non lo invita a sedere e
l’uomo beve il tè in silenzio,
inpiedi,difrontealei.
Vuoledirequalcosa,maha
paura di non riuscirci e di
scoppiare di nuovo a
piangere. Non è padrone di
sé. Posa la tazza vuota e
appoggialamanosullaspalla
della donna. – No – dice lei,
scuotendo il capo, e
respingendo la sua mano, –
nonècosíchesonoabituata.
Ha i capelli raccolti
indietro da un grosso
fermaglio di smalto. Fëdor
Michailovič le toglie il
fermaglio e lo appoggia sul
tavolo. Ora non resiste piú,
ma scuote la testa perché i
capelli le scendano sulle
spalle.
– Tutto il resto verrà da
solo,teloprometto–dicelui.
Sa bene di essere vecchio, un
tempo la sua voce aveva un
timbro sensuale al quale le
donne erano sensibili. Ora
invece c’è qualcos’altro che
non ha voglia neppure di
definire.
Come
uno
strumento rotto, una voce
spezzata due volte. – Tutto –
ripete.
Lei lo guarda con una
franchezza e un’intensità su
cui non ci si può sbagliare.
Poi mette da parte il cucito.
Gli scivola fra le mani e
scompare nell’alcova chiusa
dalletende.
Luiaspetta,inerte.Manon
succedeniente,alloralasegue
escostaletende.
Matrëna
dorme
profondamente,conlelabbra
aperteeicapellibiondisparsi
sul cuscino come un’aureola.
Anna
Sergeevna
ha
sbottonato a metà il suo
vestito e con un gesto
impaziente della mano e
un’occhiata di rimprovero
mistaadivertimentolocaccia
via.
Lui siede e aspetta. La
donna emerge a piedi nudi,
sui piedi nudi si notano le
venebluarilievo.Nonèuna
donna giovane, non è una
verginechesiarrende,eppure
le sue mani, quando le
prende, sono fredde e
tremano.Nonloguardanegli
occhi: – Fëdor Michailovič…
– mormora – voglio che
sappia che non ho mai fatto
una cosa del genere prima
d’ora.
Haunacateninad’argento
al collo. Lui la segue col dito
fino a che non arriva al
piccolo crocifisso. Porta il
crocifisso alle labbra di lei,
chelobaciaconcalore,senza
esitazione.
Ma
quando
l’uomo cerca di baciarla, si
scansa:–Orano–bisbiglia.
Passano la notte insieme
nella stanza di suo figlio.
Quellochesuccedefradiloro
succedealbuio,dalprincipio
alla fine. Mentre fanno
l’amorelacosachelocolpisce
di piú è il calore del corpo
femminile. Non se lo
aspettava: è come se, dentro,
leibruciasse.Questoloeccita,
eloeccitaanchel’ideadifare
una cosa cosí ardente, cosí
pericolosa, con la bambina
che dorme nella stanza
accanto.
Siaddormenta.Auncerto
punto si sveglia nel cuore
della notte. La donna dorme
accantoaluinelpiccololetto.
Anche se è sfinito cerca di
eccitarla. Lei non reagisce e
quandoluilapenetraècome
una cosa morta nelle sue
mani.
Non c’è niente in quello
che sta facendo che potrebbe
definire piacere o anche solo
sensazione. È come se
facessero l’amore attraverso
unlenzuolo,illenzuologrigio
elacerodelsuolutto.Quando
raggiunge
l’orgasmo
sprofonda all’indietro nel
sonno, come in un lago.
Mentreaffonda,Pavelemerge
incontro a lui. La faccia del
figlio è contratta dalla
disperazione: gli stanno
scoppiandoipolmoni,sache
sta per morire, ha perso ogni
speranza; chiama suo padre
perchéèl’ultimacosachepuò
fare, l’ultima cosa al mondo.
Chiede aiuto con un torrente
di parole che gli escono
gorgogliando dalla gola. È
questa la visione, l’orribile
estrema visione, che gli balza
incontro dal nero vortice
dove sprofonda, nel corpo
della donna. Gli scoppia
addosso e lo travolge, poi
prosegueturbinando.
Quandosisvegliadinuovo
è giorno. L’appartamento è
vuoto.
Passa
la
giornata
consumato dalla febbre
dell’impazienza. Pensa a lei e
trema di desiderio come un
adolescente. Ma la forza che
lo possiede non è la douceur
che prende alla gola, quella
che lo prendeva vent’anni
prima. Si sente piuttosto
come una foglia o un seme
stretto in una morsa che lo
trascinagiú,acapofitto,oun
seme alato in balia dei venti
piú alti, che lo squassano
tramortitosopraglioceani.
Durante la cena Anna
Sergeevna è composta e
distante, concentrata solo
sulla bambina, ascolta con
ostinazione il racconto
disordinato della mattinata a
scuola. Quando si deve
rivolgere a lui, lo fa in modo
gentile ma freddo. Ma la sua
freddezza non fa che
infiammarlo ancora di piú. È
mai possibile che lo sguardo
avido che posa sulle labbra,
sullagolaesullebracciadella
madre, non sia notato dalla
bambina?
Aspettailsilenzio:ilsegno
che Matrëna è andata a letto.
Einveceallenovelalucedella
stanza accanto è già spenta.
Aspetta mezz’ora, e poi
ancora mezz’ora. Poi scivola
fuoridallastanzaconicalzini
aipiedieunacandelaprotetta
dalla mano. La candela
produce
grandi
ombre
altalenanti. La posa a terra e
attraversa la stanza diretto
all’alcova.
Nella luce fioca intravede
Anna Sergeevna seduta in
fondo al letto, che gli dà le
spalle e tiene le braccia
sollevate con grazia sopra il
capo, come una ballerina. I
capelli scuri sono sciolti.
Dallapartedellettopiúvicina
allatenda,rannicchiataecon
il pollice in bocca, c’è
Matrëna, con un braccio
mollemente
abbandonato
sulla madre. Lui ha
l’impressione fugace che la
bambina sia sveglia e che lo
veda, che stia lí a difesa della
madre. Le si china sopra; il
suo respiro è profondo,
regolare.
Sussurra il nome: – Anna!
–maladonnanonsimuove.
Rientra allora nella sua
stanza,ecercadistarecalmo.
Ci sono ottime ragioni, si
dice,perchésenevogliastare
solastanotte.Manonriescea
persuadersi.
Per la seconda volta
attraversa la stanza in punta
dipiedi.Leduedonnenonsi
sonomosse.Ancoraunavolta
ha l’impressione strana che
Matrënalostiaguardando.Si
chinasopradilei.
Non si sbaglia: quelli che
lofissanoimperturbabilisono
occhi aperti. Un brivido lo
percorre. Dorme a occhi
aperti,sidice.Manonèvero.
La bambina è sveglia ed è
stata sveglia per tutto il
tempo;colpolliceinboccaha
controllato
ogni
suo
movimento. Mentre la spia,
trattenendo il respiro, gli
sembra di vedere gli angoli
della bocca curvarsi appena
verso l’alto in una smorfia di
vittoria, di pipistrello. Anche
il braccio, steso mollemente
sullamadre,sembraun’ala.
Hanno ancora una notte
da
passare
insieme,
dopodiché il cancello si
chiuderà. Lei entra nella sua
stanza,tardi,senzaavvertirlo.
Ancora una volta, attraverso
di lei, l’uomo attraversa il
buio e arriva nelle acque in
cui suo figlio galleggia
insieme agli altri annegati. –
Non avere paura – vorrebbe
sussurrare – starò con te.
Divideròcontel’amarezza.
Si sveglia disteso su di lei,
conlelabbrasulsuoorecchio.
– Sai dove sono stato? –
bisbiglia.
La donna si sottrae a quel
peso.
– Lo sai dove mi hai
portato?
Ha un bisogno folle di
esibirleilragazzo,nelrigoglio
delle sue forze, con i suoi
occhi penetranti, il mento
deciso, la bocca bella. Lo
vuole vestire di nuovo col
vestito bianco, vuole che la
sua voce chiara e profonda
emerga ancora una volta dal
suo petto. – Vedi che tesoro
se n’è andato dal mondo! –
vuole gridare. – Vedi cosa
abbiamoperso!
Lei gli ha voltato le spalle.
Lui le accarezza le gambe
lunghe con tenerezza, con
passione, ma lei lo ferma. –
Debboandare–dice,esialza.
Lanottesuccessivanonva
da lui, rimane con la figlia.
Fëdor Michailovič le scrive
una lettera e la lascia sul
tavolo. Quando si sveglia, al
mattino, l’appartamento è
vuoto e la lettera è ancora lí,
chiusa.
Passa dal negozio, ma
appena lo vede comparire, la
donna si dilegua nel
retrobottega e lascia che sia
Jakovlevaservirlo.
Quella sera l’aspetta per
strada e la segue fino a casa,
comeun’ombra.Laraggiunge
sulla porta di casa. – Perché
mieviti?
–Nontievito.
Lui la prende per un
braccio. È buio, e lei porta
una cesta; non le è facile
divincolarsi. Le aderisce
addossoes’inebriadell’odore
dinocedeisuoicapelli.Cerca
di baciarla, ma lei si gira e le
sue labbra le sfiorano
l’orecchio. Quando le si è
premuto addosso, il corpo
delladonnaèrimastosordoal
suodesiderio.Sonocadutoin
disgrazia,pensa.Eccocomesi
cadeindisgrazia.
Si fa da parte, ma poi, per
le scale, la raggiunge di
nuovo. – Ancora una parola!
–dice:–Perché?
– Non è evidente? C’è
proprio bisogno che te lo
dica? – dice lei, piantandogli
gliocchiinfaccia.
– Che cosa è evidente?
Nienteèevidente!
–Soffrivi.Supplicavi.
Luisiritrae:–Nonèvero!
– Ne avevi bisogno. Non
c’è niente di vergognoso in
questo. Ma adesso è finita.
Non ti servirebbe continuare
e a me non fa bene essere
usatainquestomodo.
– Usata? Non ti sto
usando!Nienteèpiúlontano
dame!
– Tu mi stai usando per
arrivare a qualcun altro. Non
tiagitare.Stosolocercandodi
spiegarmi, non ti sto
accusando. Però non voglio
essere trascinata oltre in
questastoria.Haiunamoglie
tua. Aspetta finché non sarai
tornatodalei.
Una moglie tua. Perché
adesso tira in ballo sua
moglie? Mia moglie è troppo
giovane! È questo che
vorrebbe gridare, troppo
giovaneperilmestessodiora!
Macomefareadirlo?
Eppure quello che lei dice
è vero, piú vero di quanto lei
stessa non creda. Quando
rientrerà a Dresda la moglie
cheabbracceràsaràcambiata,
sarà infusa della traccia che
lui porterà in sé di questa
vedova
cosí
sensuale.
Attraverso
sua
moglie
raggiungerà questa donna,
propriocomeattraversodilei
raggiunge…chi?
Forse la sua espressione
tradisce quello che gli sta
passando per la mente?
Improvvisamente la donna
arrossisce di rabbia, libera il
braccio dalla sua presa e sale
velocementelescale.
Saleanchelui,sichiudein
camera sua e cerca di
calmarsi. Il battito del cuore
rallenta. Pavel! Ripete quel
nome come una formula
magica ma, invece di Pavel,
l’immagine che si presenta ai
suoi occhi, inesorabile, è
quelladiSergejNečaev.
Non può piú negarlo. Un
vuoto incolmabile si sta
aprendo fra lui e il figlio
morto. È adirato con Pavel,
adirato per quel tradimento.
Non è stupito che Pavel sia
stato attratto dai circoli
rivoluzionari, e neppure del
fatto che non ne abbia mai
parlato nelle sue lettere. Ma
Nečaev è un’altra storia.
Nečaev non è uno studente
dalla testa calda, non è un
giovane nichilista. È il
Mongolo rimasto dentro
l’animadellaRussiadopoche
i piú grandi nichilisti si sono
ritiratineidesertiasiatici.Edi
tutti proprio Pavel, Pavel,
doveva essere un soldato di
quell’esercito!
Ricorda un pamphlet che
circolava a Ginevra, Il
catechismo
di
un
rivoluzionario: si diceva che
fosse di Bakunin, ma era
chiaramenteispiratoedettato
da Nečaev. «Il rivoluzionario
è un uomo segnato dal
destino, – cosí cominciava. –
Non ha interessi, né
sentimenti, né affetti, non ha
neppure un nome. Tutto in
luiètesoaunasolapassione,
totale: la rivoluzione. Nel
profondo del suo essere egli
ha tagliato tutti i legami con
lasocietàcivile,conlaleggee
con la morale. Continua a
stare nella società solo per
distruggerla». E, poco oltre:
«Non si aspetta pietà; ogni
giornoèprontoamorire».
È pronto a morire, non si
aspettapietà:faciledirequelle
parole, ma qual è il ragazzo
che ne comprende a fondo il
significato? Non Pavel, forse
neppureNečaev,quelgiovane
chenonsacosasial’amore.
Gli torna alla mente la
figuradiNečaev,inunangolo
della sala di un albergo di
Ginevra,adirato,solo,intento
a divorare il cibo. Scuote la
testa, cercando di cacciare
quell’immagine. Pavel! Pavel!
mormora, chiamando il
ragazzoassente.
Bussanoallaporta:–Èora
dicena!–diceMatrëna.
Atavolasisforzadiessere
piacevole. Il giorno dopo è
domenica. Propone una gita
all’isola Petrovskij, dove nel
pomeriggiocisaràunafierae
la banda. Matrëna vorrebbe
proprio andarci e con sua
sorpresa Anna Sergeevna
acconsente.
Si
mette
d’accordo per incontrarle
dopo la messa. La mattina
dopo,uscendo,nell’atriobuio
inciampa in qualche cosa: un
barbone. Dorme lí con una
coperta muffita addosso.
Fëdor Michailovič impreca e
il barbone si tira su con un
lamento.
Arriva a San Gregorio
prima della fine della messa.
Mentre aspetta nel portico,
vede comparire lo stesso
barbone, puzzolente, con gli
occhiacquosi.Glisiavvicina:
–Mistaseguendo?
Sono vicinissimi, ma il
barbone fa finta di non
sentire e non vedere. Allora,
infuriato,ripeteladomanda.I
fedeli, uscendo dalla chiesa,
guardano stupiti i due
uomini.
Il barbone fila via. Ma
poco dopo si ferma, finge di
sbadigliare e si appoggia al
muro. Non ha guanti, usa la
coperta arrotolata come
manicotto.
Finalmente arrivano Anna
Sergeevna e la bambina.
Camminano a lungo insieme
attraverso il parco, passano
per Voznesenskij Prospekt e
superano l’isola Vasilevskij.
Ancora prima che arrivino al
parco, lui si è reso conto di
aver fatto un errore, uno
stupido errore. Il palco della
banda è vuoto, i campi
attornoallostagnoghiacciato
dovevolteggianoipattinatori
sono deserti; solo, qua e là,
qualcheimpettitogabbiano.
Si scusa con Anna
Sergeevna.–C’ètempo,nonè
ancora
mezzogiorno
–
risponde lei allegramente. –
Vogliamo
fare
una
passeggiata?
Il suo buonumore lo
stupisce. E ancora di piú il
fatto che, dopo poco, la
donnaloprendasottobraccio.
Con Matrëna dall’altra parte,
camminanopericampi.Una
famiglia,pensalui.Basterebbe
un quarto per fare una
famiglia.Comeseglileggesse
nei pensieri, Anna Sergeevna
glistringeilbraccio.
Oltrepassano un gregge di
pecorestretteacerchiovicino
a un cespuglio di canne.
Matrëna si avvicina al gregge
con la mano piena d’erba; le
bestie si tirano su e si
disperdono. Un contadinello
conunbastoneescefuoridal
fittodellecanneelaminaccia.
Per un attimo sembra che
debba scoppiare la lite, ma
poi il ragazzino ci ripensa e
Matrënatornadaloro.
Il movimento le ha acceso
le guance. Diventerà una
bellezza, pensa l’uomo;
spezzeràmolticuori.
Si chiede cosa penserebbe
sua moglie. Le sue avventure
fino a quel momento sono
sempre state seguite dal
rimorso e il rimorso a sua
volta dal bisogno violento di
confessare.
Quelle
confessioni, fatte di parole
contorte e di descrizioni
vaghe nei dettagli, hanno
sortitol’effettoditurbaresua
moglieepoidifarlaandaresu
tuttelefurie,hannomessoin
pericolo il suo matrimonio
piúdelleinfedeltàstesse.
Ma ora non si sente
colpevole, anzi ha la
sensazione prepotente di
essere nel giusto. Si chiede
cosa
nasconda
questa
sensazione; ma in verità non
lo vuole sapere. Al momento
c’è qualcosa che somiglia alla
gioia nel suo cuore.
Perdonami, Pavel, mormora
fra sé. Ma anche in questo
casononèvero.
Se solo potessi riavere
ancora una volta la mia vita;
se solo fossi giovane! E forse
anche:sesolopotessiviverela
vita, la giovinezza che Pavel
habuttatovia!
Eladonnachecamminaal
suo fianco? Forse si è pentita
dell’impulsochel’haportataa
darglisi? Se non fosse
successo quello che è già
successo,
questa
gita
segnerebbe l’inizio di un
corteggiamento in piena
regola. Perché è certamente
questocheognidonnavuole,
essere corteggiata, supplicata,
persuasa, vinta! Anche
quandosiconcedenonvuole
farlo apertamente, ma in una
deliziosanubediturbamento,
resistendoecedendoaltempo
stesso. Compromettendosi,
mamaiinmodoirrevocabile.
No:essereviolataepoiuscire
come nuova da quella
violenza, rinnovata, vergine,
pronta a essere supplicata
ancora e a cadere di nuovo.
Un gioco con la morte e con
laresurrezione.
Come reagirebbe se
sapesse a cosa sta pensando?
Indietreggerebbe umiliata? E
anche quel ritrarsi ferita
farebbepartedelgioco?
La guarda furtivamente e
in quel momento capisce che
potrebbeamarequelladonna.
Piú ancora del richiamo del
corpo, sente qualcosa che sa
definire solo come affinità.
Loro due sono della stessa
pasta,
della
stessa
generazione.
E
improvvisamente
le
generazioni tornano al loro
posto. Pavel, Matrëna e sua
moglie stanno dalla stessa
parte, lui e Anna Sergeevna
dall’altra. I giovani contro
quelli che giovani non sono;
contro quelli che quando
fanno l’amore sentono un
saporecheèun’anticipazione
di quello della morte. È di lí
chevienelapassione,ilcalore
di quella notte. Lei nelle sue
braccia, come Giovanna
d’Arco fra le fiamme: lo
spirito che lotta con i suoi
ceppi,mentreilcorpobrucia.
È una lotta col tempo. Una
cosa che un giovane non
capirebbemai.
–Pavelmihadettochesei
statoinSiberia.
Le parole della donna lo
fanno
sussultare,
strappandolo
a
quella
fantasia.
– Sí, per dieci anni. Fu lí
che incontrai la madre di
Pavel, a Semipalatinsk. Suo
marito era un ufficiale della
dogana.Pavelavevasetteanni
quando morí suo padre.
Anche lei è morta, qualche
anno fa: Pavel deve avertelo
detto.
–Epoitiseirisposato.
–Sí,cosahadettoPavelin
proposito?
– Solo che tua moglie è
giovane.
– Mia moglie e Pavel
hanno piú o meno la stessa
età. Per un certo periodo
abbiamo vissuto tutti e tre
insieme in un appartamento
di via Meščanskaja. Non un
bel periodo per Pavel. Era in
competizioneconmiamoglie.
Quando gli dissi che ci
eravamo fidanzati andò a
metterla
seriamente
in
guardia, disse che ero troppo
vecchioperlei.Dopodiallora
cominciòaparlaredisécome
dell’orfano.L’orfanovorrebbe
un’altra fetta di pane tostato.
L’orfano ha finito i soldi, e
cosí via. Noi fingevamo che
fosseunoscherzo,manonlo
era. Creava tensione in
famiglia.
– Già, posso capire. Ma
non si può fare a meno di
provaresimpatiaperlui.Deve
averpensatodiavertiperso.
– Come avrebbe potuto
perdermi? Dal giorno in cui
sonodivenutosuopadrenon
l’homaitrascuratounavolta.
Forsechelotrascuroora?
–
Ma
no,
Fëdor
Michailovič. Solo che i
bambini sono possessivi.
Attraversano fasi di gelosia,
come tutti noi. E quando
siamo gelosi ci inventiamo
storie contro noi stessi. Ci
esaltiamo,cispaventiamo.
Le sue parole sono come
un prisma, basta spostarne
leggermente
l’angolazione
perché riflettano un altro
significato.Èquestochevuole
dire?
L’uomo dà un’occhiata a
Matrëna. Porta gli stivaletti
nuovi con il bordo morbido
di pelliccia. Calpesta coi
tacchil’erbaumidaevilascia
una traccia di impronte. La
fronte è corrugata nel
pensiero.
–Luihadettochelousavi
perituoimessaggi.
Una fitta dolorosa lo
trapassa. Allora Pavel se ne
ricordava!
– Sí, è vero. L’anno prima
che ci sposassimo, il giorno
delsuoonomastico.Glichiesi
diportarleunregalodaparte
mia. Uno sbaglio, di cui in
seguitomisonopentitomolto
amaramente. Un gesto
imperdonabile. Non me ne
eroresoconto.C’èdipeggio?
–Dipeggio?
– Pavel ha mai raccontato
cose peggiori di questa?
Vorrei
saperlo.
Perché
quando chiedo perdono
sappia di cosa sono stato
colpevole.
Lei lo guarda con
un’espressione strana: – Non
è una domanda corretta,
Fëdor Michailovič. Pavel
avevaperiodiincuisisentiva
moltosolo,alloraparlavaeio
lo stavo ad ascoltare. Spesso
raccontavastorie,nonsempre
gradevoli. Ma forse era bene
cosí. Una volta tirato fuori il
passatocheglipesava,poteva
smettere di rimuginarci
sopra.
–Matrëna!Paveltihamai
dettoqualcosa…?
Ma Anna Sergeevna lo
interrompe: – Sono sicura di
no–dice,epoi,abassavoce,
ma concitata: – Non puoi
chiedereunacosadelgenerea
unabambina!
Si fermano a guardarsi in
faccia nel campo deserto.
Matrëna guarda altrove
scocciata,conlelabbratirate.
AnnaSergeevnaèfuriosa.
– Comincia a far freddo –
dice. – Vogliamo tornare
indietro?
7.
Matrëna
Non le riaccompagna a
casa; si ferma a cena in una
locanda. Nel retro, in una
stanzetta,sistasvolgendouna
partita a carte. Si ferma a
guardareperunpo’.Beve,ma
non gioca. È tardi quando
rientra nell’appartamento già
buio,nellasuastanzavuota.
È solo, e si sente solo. Si
lascia andare a una vaga
nostalgia per Dresda e per la
tranquillità della vita che vi
conduce, con una moglie che
difende gelosamente la sua
privacyecheorganizzalavita
intornoallesueabitudini.
Alnumero63nonsisente
a casa, né mai ci si sentirà.
Non solo perché è il piú
provvisoriodeipensionanti,e
la sua scusa per trattenersi è
incomprensibile agli altri
quantoalui,maancheperché
gli pesa vivere cosí vicino a
una donna d’umore volubile,
e a una bambina che da un
momento all’altro potrebbe
trovare la sua presenza
fisicamente
ripugnante.
Quando sta vicino a Matrëna
comincia
a
percepire
acutamente di portare vestiti
maleodoranti,diaverelapelle
secca e squamosa e una
dentiera che fa rumore
quando parla. Anche le
emorroidi lo torturano. Il
fisico di ferro che gli ha
permesso di sopravvivere alla
Siberiacominciaacedereelo
spettacolo della decadenza
dev’essere
ancora
piú
repellente per una bambina
come questa, con il pallino
della pulizia, ai cui occhi lui
hapresoilpostodiunessere
bello e forte come un dio.
Cosa risponde quando i
compagni di gioco le
chiedono notizie di quel
funereo visitatore che si
rifiuta di fare i bagagli e
andarsene?
Supplicavi:quandoripensa
alleparolediAnnaSergeevna
ha un sussulto all’idea di
essere stato tutto il tempo
solo oggetto di misericordia.
Si butta in ginocchio e
appoggia la fronte sul letto:
cerca la strada che lo porterà
all’isoladiElagineallatomba
freddadiPavel.Pavelalmeno
nonglisirivolteràcontro.Su
Pavel può contare, su Pavel e
sulsuoalgidoamore.
Il padre, la copia sbiadita
del figlio. Come può
pretenderecheunadonnache
havistoilfiglionelfioredegli
anni guardi con interesse il
padre?
Ricorda le parole di un
compagno di prigionia in
Siberia:«Perchécièconcessa
la vecchiaia, fratelli? Per
ritornare piccoli, cosí piccoli
da passare nella cruna di un
ago».Saggezzapopolare.
Rimane in ginocchio a
lungo, ma Pavel non vuole
venireeallafinesiarrampica
sulletto.
Si sveglia sorpreso. Anche
se è ancora notte si sente
come se avesse riposato
abbastanza per sette notti. È
frescoeinvincibile:glisembra
che la fibra stessa del suo
cervello sia stata lavata e che
ora sia tutto pulito. Riesce a
malapena a trattenersi. È
comeunbambinoilgiornodi
Pasqua,aspettaconansiache
la casa si svegli per poter
gioire con gli altri. Vorrebbe
svegliarla, la donna, vorrebbe
ballare con tutte e due per la
casa.«Cristoèrisorto!»vuole
gridare e vuole sentirla
rispondere«Cristoèrisorto!»
E sbattere il suo uovo contro
quello di lei. Tutti e due a
ballareincerchioconleuova
dipinte in mano e insieme a
loro Matrëna, in camicia da
notte,cheinciampafraleloro
gambe
ancora
mezza
addormentataefeliceeanche
il fantasma del quarto si
aggira in mezzo a loro,
impacciato, con i suoi grandi
piedi, sorridente: bambini
insieme, appena nati, usciti
dalla tomba. E l’alba sulla
città, con i galli nei cortili, a
cantareilbenvenutoalnuovo
giorno.
Lagioiacheirrompecome
un’alba! Ma solo per un
momento. E non solo perché
le nuvole cominciano a
ingombrare
quel
cielo
radioso. È come se, appena
spunta il sole in tutta la sua
gloria, apparisse anche un
altro sole, un sole d’ombra,
un antisole che gli scivola
sopra. La parola omen gli
attraversailcervellocontutto
il suo peso cupo, sinistro. Il
sole che sorge è lí solo per
subire un’eclissi; la gioia
risplende solo per rivelare
come sarà la soppressione
dellagioia.
In un balzo si precipita
fuori dal letto. I minuti che
seguiranno gli si parano di
fronte come un tunnel buio,
da percorrere in fretta. Deve
vestirsi
e
lasciare
l’appartamento prima di
essere sopraffatto dalla
vergogna di una crisi; deve
trovare un posto lontano
dagli occhi e dagli orecchi
della gente per bene, dove se
lacaveràcomepuò.
Esce. Il corridoio è buio
come la pece. Con le mani
tese davanti a sé, come un
cieco, avanza a tentoni fino
alle scale e poi, reggendosi
alla ringhiera, scende gli
scalini uno per uno. Sul
pianerottolo del secondo
piano è percorso da
un’ondata di terrore, un
terroresenzaoggetto.Sisiede
inunangoloconlatestafrale
mani. Le mani puzzano di
qualcosa che ha toccato, ma
non se le pulisce. Che venga,
si dice disperato, ho fatto
quellochepotevo.
Un urlo risuona per le
scale,unurlocosíspaventoso
e cosí acuto da svegliare chi
dormiva.Quantoalui,nonlo
sente.Èincosciente.Iltempo
nonesistepiú.
Quandosisveglia,ilbuioè
cosí fitto che lo sente pesare
sullepalpebre.Nonhaideadi
dove sia, né di chi sia. È uno
stato di veglia, è una
coscienza,nient’altro.Ècome
se fosse nato da un minuto,
venuto al mondo in un
universodinottesempiterna.
Aspetta,
dice
quella
coscienza, rivolgendosi a se
stessa, cercando di calmare il
proprio panico: sei già stato
qui, aspetta, qualche ricordo
tornerà.
Un corpo cade a picco
nellospaziodentrodilui.Lui
èquelcorpo.C’èunacorrente
d’aria: lui è quello che sente
quella corrente. C’è una gola
soffocata dal terrore: lui è
quella gola. Lascia che passi,
pensa.Lasciachepassi.
Cerca di muovere un
braccio, ma il braccio è
intrappolato sotto di lui.
Stupidamente
cerca
di
liberarlo con uno strattone.
C’ècattivoodore,isuoivestiti
sonoumidi.Comeilghiaccio
che si forma nell’acqua, i
ricordi
cominciano
finalmenteacoagularsi:chiè,
dov’è, e insieme ai ricordi il
bisogno
impellente
di
andarsenedilí,primachesia
scoperto in tutta la sua
miseria.
Queste crisi sono il
fardello che si trascina
appresso per il mondo. A
nessuno ha mai confessato
quantotempoperdaaspiarne
le premonizioni, a cercare di
leggerne i segni. Perché
questa maledizione? grida
dentrodisé,battendolaterra
col bastone, ordinando alla
roccia di rispondere. Ma lui
nonèMosèelaroccianonsi
apre. E quelle trances non
sono neppure illuminazioni.
Non
sono
visitazioni.
Tutt’altro! Sono solo sorsate
intere della sua vita
risucchiate da un vortice che
non lascia dietro di sé
neppurelamemoriadelbuio.
Si alza e barcollando
scende l’ultima rampa di
scale. Trema, tutto il corpo è
freddo. Quando esce sta
facendo giorno. Ha nevicato.
Sulla neve pulsa un’aura
scarlatta.Ilcolorenonèsulla
neve ma nei suoi occhi, non
riesce a liberarsene. Una
palpebra gli batte in modo
cosí fastidioso che ci poggia
sopralamanogelata.Latesta
gliduole,comestrettadauna
morsa che si allenta solo per
riprendere piú forte l’attimo
successivo. Il cappello l’ha
perso da qualche parte per le
scale.
Con la testa scoperta e i
vestiti sporchi, avanza nella
neve fino alla chiesetta del
Redentore, vicino a Ponte
Kamenij e lí si rifugia fino a
chenonèsicurocheMatrëna
e sua madre siano uscite di
casa.
Poi
rientra
nell’appartamento,
scalda
l’acqua, si denuda e si lava.
Lava anche la biancheria e
l’appende nel gabinetto.
Fortunato Pavel, pensa, che
nonhaavutolacondannadel
mal caduco. Fortunato a non
essere nato da me! Poi si
rende conto di quanto sia
grottesco quel pensiero e
digrigna i denti. La testa gli
martellaperildoloreel’alone
rossocoloraancoraognicosa.
Si sdraia con la vestaglia
addosso e si culla fino ad
addormentarsi.
Un’ora dopo si sveglia di
malumore.Lamedidoloregli
attraversano la testa dagli
occhi alla nuca; ha la pelle
fragile come la carta e tutta
dolorante.
Con addosso solo la
vestaglia,
scivola
per
l’appartamento di Anna
Sergeevna; apre i cassetti,
guarda negli armadi. È tutto
inordine,frescoepulito.
In un cassetto, avvolto nel
velluto scarlatto, trova un
ritrattodiAnnaSergeevnada
giovane, vicino a un uomo
che immagina sia il tipografo
Kolenkin. Vestito con l’abito
della festa, Kolenkin ha l’aria
macilenta, vecchia e stanca.
Che razza di unione poteva
essere quella per una donna
cosí intensa, cosí cupamente
bella?
E
perché
quell’immagine è nascosta
dentro un cassetto? Nel
rimetterla a posto sporca a
bella posta il vetro, lasciando
la sua impronta sulla faccia
delmorto.
Da bambino spiava di
nascosto gli ospiti di casa e
s’intrufolava
nella
loro
privacy. È una debolezza che
finoaoggihaattribuitoalsuo
rifiuto di accettare una
qualunque limitazione di ciò
che è permesso sapere, alla
lettura dei libri proibiti e alla
sua vocazione di scrittore.
Oggi però non ha voglia di
essere indulgente con se
stesso. È in preda a uno
spiritomalignoemeschino,e
losa.Laveritàèchefrugarea
quelmodofralecosediAnna
Sergeevna mentre lei non c’è
glidàunbrividodipiacere.
Richiude l’ultimo cassetto
esiaggiraperl’appartamento
impaziente,nonsapendocosa
fare.AprelavaligiadiPavele
indossailvestitobianco.Fino
a questo momento lo aveva
fattocomeungestorivoltoal
ragazzo morto, un gesto di
sfida e d’amore. Ma ora,
guardandosi allo specchio,
vede solo una sporca
impostura e dietro di essa
qualcosa di clandestino e di
osceno, qualcosa che gli fa
pensare a stanze chiuse a
chiave, con le finestre
oscurate dalle tende, dove
uominiconlaparruccaecon
lagonnasiscopronoilsedere
esifannofrustare.
Èmezzogiornopassatoela
testa ancora gli duole. Si
sdraia e si copre gli occhi col
braccio, come per parare un
colpo.Tuttogligiraintornoe
ha la sensazione di cadere in
un buio senza fine. Quando
ritorna in sé ha di nuovo
perso la cognizione della sua
identità.ConoscelaparolaIo,
ma piú la fissa, piú diventa
enigmatica, come una roccia
inmezzoaldeserto.
Èsolounsogno,prestomi
sveglierò e starò di nuovo
bene. Per un attimo si culla
con quell’idea, ma poi la
veritàgliscoppiaaddossoelo
travolge.
La porta cigola e Matrëna
si affaccia sulla soglia. È
evidentemente stupita di
vederlo: – Sta male? –
domanda, aggrottando la
fronte.
Non cerca neppure di
risponderle.
– Perché porta quel
vestito?
–Senonloportoio,chilo
porterà?
Un lampo d’impazienza
illuminailvisodellabambina.
– Conosci la storia del
vestitodiPavel?
Leiscuoteilcapo.
– Vieni qui – le dice
invitandola a sedersi ai piedi
del letto. – Vieni qui, è una
storia lunga, ma te la
racconterò. Due anni fa,
mentre io ero ancora in
Europa, Pavel andò a passare
l’estateconsuaziaaTver.Sai
dov’èTver?
–ÈvicinoaMosca.
–ÈsullastradaperMosca.
Una grande città. A Tver
viveva un ufficiale in
pensione, un capitano, che
abitava con la sorella. La
sorella,MarijaTimofeevna,si
occupava della casa. Marija
era sciancata e minorata.
Un’anima
buona,
ma
incapacediaverecuradisé.
Fëdor Michailovič si
accorge di essere stato preso
dal ritmo del racconto. È
comeilpistonediunmotore,
incapace di fare un
movimento diverso da quello
chefa.
– Il capitano, il fratello di
Marija, purtroppo era un
ubriacone
e
quand’era
ubriacomaltrattavalasorella.
Dopononricordavaniente.
–Checosalefaceva?
– La picchiava. Si limitava
a picchiarla. Come nella
migliore vecchia tradizione
russa. Lei non gliene voleva
per questo. Forse nella sua
semplicità pensava che cosí
andasse il mondo. Il mondo:
un posto dove si viene
picchiati.
Ha catturato la sua
attenzione. Ora la vuole
inchiodare.
– Dev’essere questo il
modo in cui un cane vede il
mondo, dopotutto, o un
cavallo.
Perché
Marija
dovrebbe essere diversa? Un
cavallo non sa di stare al
mondo per tirare i carri.
Crede di esistere per essere
frustato. Pensa al carro come
aungrossooggettoalqualeè
legato in modo tale che non
può scappare quando viene
picchiato.
– No… – sussurra la
bambina.
Capisce che la bambina
rifiuta con tutta se stessa la
visione del mondo che le sta
presentando. Vuole credere
alla bontà. Ma la sua
convinzioneèfragileeluinon
sente nessuna pietà per lei.
Questa è la Russia! vorrebbe
gridare,ficcarleintestaquelle
parole, strofinarle la faccia in
quelleparole.InRussianonti
puoi permettere di essere un
fiore delicato, devi essere
bardanaodentedileone.
– Un giorno il capitano
andòatrovarelaziadiPavel.
Nonèchefosseunsuoamico,
macomunqueciandòeportò
con sé anche sua sorella.
Forseavevabevuto.Pavelnon
era in casa a quell’ora. Un
ospite
moscovita,
un
giovanottochenonconosceva
la situazione, si mise a
conversare con Marija e
cominciò a farla parlare.
Forse voleva solo mostrarsi
gentile. O forse c’era della
malizia in lui. Fatto sta che
Marija si eccitò e che la sua
fantasia cominciò a correre.
Confidò quindi all’ospite di
essere fidanzata, anzi come
disse lei, «promessa». – E il
tuo fidanzato è di queste
parti? – domandò il
giovanotto.
–Sí,diquivicino–rispose
lei, dando alla zia di Pavel
un’occhiata civettuola (devi
pensare a Marija come a una
donnaaltaeallampanata,con
una vociona e tutt’altro che
giovaneecarina).
Per buona educazione la
ziadiPaveldovettefingeredi
congratularsi con lei e anche
col capitano. Il capitano
ovviamente era inferocito
contro la sorella e, appena
arrivato a casa, la picchiò a
sangue.
–Maalloranoneravero?
– No, era vero solo nella
mente di Marija. Ed era
chiaro che l’uomo che
immaginava
di
essere
destinata a sposare era
proprio Pavel. Cosa le avesse
suggerito quell’idea non so.
Puòdarsicheluiungiornole
avesse rivolto un sorriso, o
magarifattouncomplimento
perilcappellino.Paveleraun
ragazzodalcuored’oro,nonè
vero?Epuòdarsicheleifosse
tornata a casa pensando a lui
e nel giro di poco tempo
avesse sognato di essere
innamoratadilui,eluidilei.
Mentre racconta, l’uomo
guarda la bambina con la
coda dell’occhio. Lei si agita
un poco e poi si mette il
polliceinbocca.
– Figurati che gran
divertimento
avrà
rappresentato per i salotti di
Tver la storia di Marija e del
suoinnamoratoimmaginario.
Ma adesso lascia che ti
racconti cosa fece Pavel.
Appena sentí quella storia,
Pavel uscí e andò a ordinare
al sarto un vestito elegante.
Subito dopo col suo vestito
bianco e con un mazzo di
fiori,miparechefosserorose,
andò a trovare i Lebjatkin. E
ancheseilcapitanoLebjatkin
in principio non la prese
bene,luiriuscíaconquistarlo.
Con Marija si comportò
molto saggiamente, con
gentilezza ed educazione,
insomma da vero signore,
anche se non aveva ancora
vent’anni. Quelle visite
continuarono per tutta
l’estate, fino a quando non
lasciò Tver per Pietroburgo.
Fu una lezione per tutti, una
lezione di cavalleria. Anche
per me fu una lezione. Cosí
eraPavel.Equestaèlastoria
delvestitobianco.
–EMarija?
– Marija? Marija sta
ancora a Tver, per quanto ne
so.
–Malosa?
– Se sa di Pavel? No, non
credo.
–Perchésièucciso?
–Credichesisiaucciso?
– Mamma dice che si è
ucciso.
– Nessuno si uccide,
Matrëna. Puoi mettere la tua
vitainpericolo,manonpuoi
ucciderti.Èpiúprobabileche
Pavelsisiaespostoalrischio,
per vedere se Dio lo amava
tantodasalvarlo.Hachiestoa
Dio:misalverai?EDiogliha
dato una risposta. Dio ha
detto: no. Dio ha detto:
muori.
–Diolohaucciso?
–Diohadettono.Avrebbe
potuto dire: sí, ti salverò. Ma
hapreferitodireno.
– Perché? – mormora
Matrëna.
–LuihadettoaDio:semi
ami, salvami. Se esisti:
salvami. Ma non ha sentito
che silenzio. Allora lui ha
detto: lo so che ci sei. Lo so
che mi senti. Scommetto la
vitachemisalverai.EDioha
continuatoatacere.Alloralui
ha detto: anche se non mi
rispondi, lo so che mi senti.
Verificherò
la
mia
scommessa,ora!Elohafatto,
e Dio non è comparso. Dio
nonèintervenuto.
– Perché? – mormora
ancoralabambina.
L’uomosorride:ilsuoèun
sorriso coperto dalla barba,
sgradevole,ambiguo.
– Chissà? Forse Dio non
vuoleesseremessoallaprova.
Forse non essere messo alla
provaperluièpiúimportante
della vita di un ragazzo. O
forse la ragione è molto
semplice:Dioèunpo’sordo.
Dev’essere molto vecchio
oramai,Dio.Vecchiocomeil
mondo o anche piú vecchio.
Forse è duro di orecchi e
deboledivista,propriocome
unvecchioqualunque.
Oraleièvinta.Nonhapiú
domande da fare. Ora è
pronta,
pensa
Fëdor
Michailovič, e batte la palma
sulletto,vicinoasé.
A testa bassa, la bambina
gli va vicino. Lui le mette un
braccio sulle spalle, la sente
tremare. Le accarezza i
capelli,letempie.Allafinelei
silasciaandaree,strettaalui,
col pugno chiuso sotto il
mento, si abbandona ai
singhiozzi.
– Non capisco – dice
singhiozzandoforte,–perché
dovevamorire?
Lui vorrebbe poter dire: –
Non è morto, lui è qui. Io
sonolui–.Manonpuò.
Pensa al seme che per un
po’hacontinuatoaviverenel
corpo che aveva smesso di
respirare, senza sapere che
non avrebbe mai fecondato
nessuno.
– So che gli vuoi bene –
sussurra lui con voce roca. –
Ancheluilosa,cheseibuona.
Sesolofossestatopossibile
estrarre il seme dal corpo,
anche uno solo, per dargli
unacasa!
Pensa a una piccola statua
diterracottachehavistouna
volta al museo etnografico di
Berlino: il dio indiano Shiva
sdraiato sulla schiena, morto
e
cianotico,
cavalcato
dall’immagine di una dea
terribile,pienadibraccia,con
la bocca enorme e gli occhi
sgranati.Estatica,locavalcava
e gli tirava fuori il seme
divino.
Non gli è difficile
immaginare questa ragazzina
nell’estasi dell’orgasmo. La
sua immaginazione sembra
nonconoscerelimiti.
Pensa a un bambinello
congelato, morto, seppellito
in una bara di ferro sotto la
terra carica di neve, che
aspetta la fine dell’inverno,
l’arrivodellaprimavera.
A tanto arriva la sua
violazione: il braccio attorno
alle spalle della bambina, le
sue cinque dita, bianche e
insensibili,stringonolaspalla
di lei. Ma avrebbe potuto
anche essere lí stesa, nuda.
Unadiquelleragazzinechesi
concedono perché il loro
istinto naturale è di essere
buone,disottomettersi.Pensa
alle prostitute-bambine che
ha conosciuto, in Russia e in
Germania, pensa agli uomini
che vanno in cerca di quelle
bambine perché, sotto il
trucco volgare e i vestiti
provocanti,
indovinano
qualcosa di insolente, una
certa inviolabilità, una certa
castità. Lei prostituisce la
Vergine, dice quel tipo
d’uomo, riconoscendo il
sapore dell’innocenza nel
modo in cui la ragazzina gli
offreilseno,oaprelegambe.
Nella piccola stanza che
odoradichiuso,leiemanaun
tenue, disperato odore di
primavera, di fiori, che lui
nonsopporta.Abellaposta,a
denti stretti, le fa male, una
volta e poi ancora e ancora e
intanto le scruta la faccia in
cercadiqualcosadipiúdiun
trasalimento, di piú del
semplice dolore sopportato.
Vuole vedere gli occhi
sbarrati di una creatura che
comincia a capire che la sua
vitaèinpericolo.
Lavisione,lacrisi,ilrictus
immaginario
passa.
La
accarezza un’ultima volta e
ritirailbraccio;trovailmodo
di comportarsi con lei come
prima.
– Farà un altare? – chiede
labambina.
–Nonciavevopensato.
– Può fare un altare
nell’angolo, con una candela.
E poi può metterci il suo
ritratto. Se vuole, io posso
controllare che la candela sia
sempreaccesaquandoleinon
c’è.
– Un altare non si può
eliminare, Matrëna. Tua
madrevorràriaffittarequesta
stanza,quandoiomenesarò
andato.
–Quandoseneva?
– Non lo so ancora – dice
scansando la trappola. E poi:
– Il lutto per un figlio morto
nonfiniscemai.Èquestoche
vuoisentirmidire?Lodico.È
vero.
Forse perché ha colto un
mutamento di tono nella sua
voce, o forse perché lui ha
toccato un nervo scoperto, la
bambinatrasalevisibilmente.
– Se tu dovessi morire tua
madre ti piangerebbe per il
resto dei suoi giorni – e poi,
sorprendendo perfino se
stesso,aggiunge:–Ancheio.
È vero? No, forse non è
vero. Non ancora, ma presto
losarà.
– Allora posso accendere
unacandelaperlui?
–Sí,puoi.
–Etenerlasempreaccesa?
–Sí.Maperchélacandela
ècosíimportanteperte?
Labambinasmaniaunpo’,
poi alla fine dice: – Cosí non
dovràstarealbuio.
È strano, ma anche lui a
voltel’avevaimmaginatocosí.
Una nave in mare, una notte
di tempesta e un ragazzo che
cadedallanave.Dimenandosi
fra le onde, cercando di
mantenersi in qualche modo
a galla, il ragazzo urla di
terrore:respiraeurla,respira
e urla dietro alla nave che è
stata casa sua e che non lo è
piú. C’è una lanterna sulla
poppa e lui la fissa, una
briciola di luce nel deserto
d’acqua buia. Fino a che
riuscirò a vedere quella luce,
sidice,nonsonoperduto.
– Posso accendere la
candelasubito?
– Se vuoi, ma non ci
metteremo il ritratto, non
ancora.
La bambina accende una
candelaelamettedavantiallo
specchio.Poi,conunafiducia
che lo coglie di sorpresa,
ritorna al letto e poggia la
testasulsuobraccio.Insieme
guardano la fiamma della
candela.Dallastradaarrivano
le voci dei bambini che
giocano. Le dita dell’uomo si
chiudono sulla spalla della
bambina, se la stringe
addosso.Sentelepiccoleossa
tenere piegarsi, una dopo
l’altra, come le ali di un
uccello.
8.
Ivanov
Siaddormenta,cometutte
lesere,conl’ideaditrovarela
strada che lo porta da Pavel.
Ma quella notte viene
svegliato quasi subito, gli
sembra, da una voce, cosí
flebile
da
sembrare
disincarnata, una voce che
vienedallastrada.Isaev!grida
la voce, Isaev, ripete
pazientemente.
È il vento fra le canne, si
dice, e scivola di nuovo,
sollevato,nelsonno.Estate,il
vento fra le canne, un cielo
blu macchiato da un’alta
nuvola e lui che cammina
lungo
un
torrente,
fischiettando; ha in mano un
bastone con cui batte
pigramente le canne. C’è un
frullo di uccelli tessitori. Si
ferma, immobile, in ascolto.
Ancheilcantodellecavallette
s’interrompe; resta solo il
suonodelsuorespiroequello
delle canne mosse dal vento.
Isaev!gridailvento.
Sussulta ed è subito
sveglio.Ènottefonda,tuttala
casa tace. Va alla finestra,
guarda fuori nell’ombra
rischiaratadallalucelunaree
aspetta che gli giunga ancora
quel richiamo. Alla fine
arriva.Halostessotimbro,la
stessa inflessione, la stessa
durata di quello che ancora
gliriecheggiadentro,manon
è una voce umana. È il
lamentotristediuncane.
Non è Pavel, che chiama
per entrare, è solo una cosa
che non lo riguarda, un cane
che ulula per suo padre.
Ebbene: che sia il padre del
cane, chiunque esso sia, ad
andare fuori nel freddo e nel
buioaraccogliereilsuofiglio
rozzoemaleodorante.Chesia
luiaconfortarlo,acantarglila
ninna nanna e a cullarlo
finchénonsiaddormenta.
Il cane ulula di nuovo.
Nonc’èlaluceargentatadella
luna sulla pianura deserta. È
un cane, non è un lupo. Un
cane,nonsuofiglio.Eallora?
Allorasideveliberaredalsuo
torpore!Proprioperchénonè
suo figlio ma un cane, non
deve tornare a letto, ma
vestirsi e rispondere a quel
richiamo. Se aspetta che suo
figlio arrivi come un ladro
nella notte e ascolta solo il
richiamo del ladro, non lo
vedrà mai. Se immagina che
suo figlio parli con la voce
dell’inatteso, non lo udirà
mai. Fino a che aspetterà
l’inaspettato,l’inaspettatonon
arriverà. Perciò, paradosso
nel paradosso, oscurità
ingoiata dall’oscurità, deve
rispondere a ciò che non si
aspetta.
Dal terzo piano gli era
sembrato che sarebbe stato
facile trovare il cane. Ma
quando arriva sulla strada si
confonde. Il richiamo viene
da destra o da sinistra? Da
unodeipalazzidifronteoda
dietro quei palazzi, o magari
anchedauncortileinternodi
quei palazzi. E qual è il
palazzo? E che dire degli
ululati che ora sembrano piú
brevi e meno profondi, con
un altro timbro, quasi non
fosseropiúglistessi?
Cerca in lungo e in largo
prima di trovare la strada
usata dai trasportatori di
bottini. In una traversa di
quello stradone finalmente
trovailcane.Èlegatoconuna
catena al tubo di scarico di
unagrondaia;lacatenaglisiè
impigliata a una zampa
davanti e gliela tira su ogni
volta
che
prova
ad
allontanarsi. Quando lui si
avvicinailcanesiritraeilpiú
possibile,
uggiolando
lamentoso. Schiaccia le
orecchie sulla testa, si
appiattisce a terra, si rivolta
sul dorso. Una cagna. Fëdor
Michailovičsichinaeliberala
zampa dalla catena. I cani
sentono l’odore della paura,
ma perfino in quel freddo
glaciale lui percepisce il
terrore della bestia. La
solletica dietro l’orecchio e
quella,sempreapanciainsu,
glileccatimidamenteilpolso.
È questo che continuerò a
fare per il resto dei miei
giorni,sichiede,continueròa
scrutare gli occhi dei
mendicantiedeicani?
Il cane fa un sospiro e si
rimette in piedi sulle zampe.
Anche se i cani non gli
piacciono, non si ritrae, ma
resta lí accovacciato, quando
la lingua calda e bagnata
dell’animaleglileccailviso,le
orecchieelabarbasalata.
Gli dà un’ultima carezza e
poi si tira su. Alla luce della
lunanonriescealeggerel’ora
sull’orologio.Ilcanestrattona
lacatena,uggiolandoansioso.
Chiincatenerebbeuncanein
una notte come questa? E
nondimeno non lo libera.
Invecefabruscamentedietrofront e se ne va, seguito da
ululatididisperazione.
Perché proprio io? si
chiede mentre si allontana in
fretta. Perché mai dovrei
caricarmidituttiifardellidel
mondo? Quanto a Pavel, se
non è destinato ad avere
nient’altro, almeno che abbia
la sua morte tutta per sé, che
la sua morte non sia
trasformata
nell’occasione
dellaredenzionedelpadre.
Ma non va. Il suo
ragionamento è specioso,
spregevole, non lo inganna
neppureperunmomento.La
morte di Pavel non
appartiene a Pavel; è solo un
truccodellalingua.Finchélui
esisteràlamortediPavelsarà
lasuamorte.Dovunquevada
porta Pavel con sé, come un
bambino cianotico per il
freddo («Chi salverà il
bambino blu?» è il ritornello
che gli sembra di sentire
dentro di sé, intonato da una
voce contadina, lamentosa e
cantilenante).
Pavel non parlerà, non gli
dirà cosa fare. «Tira su
quell’infima
creatura
e
consolala»,sefossestatocerto
chequelleparolevenivanoda
Pavel, avrebbe ubbidito loro
senza discussioni. Ma non è
cosí. Quell’infima creatura:
l’infima creatura è forse il
cane,
abbandonato
nel
freddo? È il cane la creatura
che deve liberare e portare
conséenutrireeconfortare?
Oppureèilbarbonesporcoe
ubriaco, col suo cappotto
lacero sotto il ponte? Una
disperazione terribile lo
invade; è una sensazione
legata, chissà perché, al fatto
che non può sapere che ore
sono, ma al cui fondo c’è la
certezza crescente che non
uscirà mai piú di notte per
rispondere al richiamo di un
cane; che si è lasciato alle
spalle un’opportunità di
rimanerecom’eraechequella
di diventare ciò che potrebbe
diventare è passata. Io sono
io, si ripete, senza speranza,
legato a me stesso fino al
giorno in cui morirò.
Qualunque cosa fosse quella
lucechetremolavaperme,io
non l’ho meritata, e ora mi è
statatolta.
Eppure,
perfino
nel
momento in cui sta per
chiudersi la porta alle spalle,
sa di avere ancora una
possibilità di ritornare sulla
strada, slegare il cane,
portarlo al numero 63 e
preparargli una specie di
cuccia in fondo alle scale,
anche se sa bene che a quel
punto
il
cane
non
smetterebbe piú di seguirlo
ovunqueecheselolegassedi
nuovo
piangerebbe
e
abbaierebbe fino a svegliare
tutti gli inquilini. Non è mio
figlio, è solo un cane, dice
protestando con se stesso.
Che cos’è per me? Eppure,
anche mentre protesta,
conosce la risposta, sa che
Pavelnonsaràliberatofinoa
che lui non avrà liberato il
cane e non gli avrà lasciato il
suoletto,finoachenonavrà
portato con sé l’infima
creatura, il mendicante e
anchelamendicanteeancora
molto altro che ancora non
conosce;eanchealloranonci
saràcertezza.
Lancia un grugnito di
disperazione. Che cosa debbo
fare? si chiede. Se solo fossi
piúvicinoalmiocuore,forse
mi sarebbe concesso di
sapere.Einvecenonècolsuo
cuorechenonriesceaentrare
in contatto, ma con la verità.
Oppure, ed è l’altra faccia
della stessa riflessione, la
verità gli è caduta addosso
come una cascata, senza
moderazione, tanto che
oramaiciannega.Epoipensa
(rovescia il pensiero e
rovesciaancheilrovescio:che
razza di trucchetti da gesuita
siamo costretti a pensare ai
giorni nostri!): per annegare
sotto le cascate, di cos’è che
ho bisogno? Di piú acqua, di
piú inondazione, di un piú
profondoannegare.
In mezzo alla strada
coperta di neve si tocca la
faccia con le mani gelide e
sentel’odoredelcane,sentele
lacrime fredde sulle guance e
le lecca. Sale, per chi ha
bisogno di sale. Sospetta che
non salverà il cane, né
stanottenélanottedopo,seci
saràun’altranotte.Aspettaun
segno e scommette (non c’è
parolapiúimportanteperlui)
che il cane non è quel segno,
nonèaffattounsegno,èsolo
unodeitanticanicheululano
nella notte. Ma sa anche che,
fino a quando cercherà di
distinguere con astuzia ciò
cheèunsegnodaciòchenon
loè,nonsaràsalvato.Questa
è la logica dalla quale sarà
sconfitto; ne sente la ferrea
durezzaenonsapiúchefare,
comeuncaneallacatenache
gli rompe i denti con cui
cerca di spezzarla. E stai
attento,staiattento,sidice:il
cane alla catena, il secondo
cane, non è niente di per sé,
nonèun’illuminazione,èsolo
l’immaginediuncane!
Con i pugni chiusi nelle
tasche e la testa china, con le
gambe rigide come chiodi, se
ne sta in mezzo alla strada e
sente la bava del cane che gli
sighiaccianellabarba.
È possibile che in questo
momento nell’atrio buio del
numero 63 ci sia qualcuno
nascosto che lo spia? Non è
sicuro di aver visto il corpo
dell’uomo, e perfino la
macchia piú chiara che gli
sembra corrisponda alla
faccia potrebbe essere una
chiazza sul muro. Ma piú lo
fissa e piú gli sembra che un
altro
viso
lo
fissi
attentamente. È davvero un
viso?Lasuaimmaginazioneè
piena di uomini con la barba
egliocchiluccicantidentroa
vicoli bui. Eppure, mentre
passa nella profonda oscurità
dell’atrio, la sensazione di
un’altrapresenzaumanasifa
cosí forte che un brivido lo
squassa. Si ferma, trattiene il
respiro, ascolta. Poi accende
unfiammifero.
Nell’angolo c’è un uomo
accovacciato, che sbatte le
palpebre per la luce del
fiammifero. Anche se ha una
sciarpa di lana intorno alla
testa e alla bocca e una
copertasullespalle,riconosce
il mendicante che ha
incontrato sotto il porticato
dellachiesa.
–Chisei?–glichiedecon
voce stridula. – Perché non
milasciinpace?
Ilfiammiferosispegne.Ne
accendeunaltro.
L’uomoscuotelatestacon
decisione. Una mano emerge
dalla coperta e sposta la
sciarpa. – Non mi puoi dare
ordini – dice. Nell’aria c’è
puzzadipescemarcio.
Il fiammifero si spegne.
Lui comincia a salire le scale.
Mailparadossoglitornaalla
mente,tedioso:aspettaquello
che non aspetti. Va bene, ma
allora ogni mendicante va
trattato come un figliol
prodigo, abbracciato, accolto
in casa, festeggiato con un
banchetto!Sí,questoèquello
chedirebbePascal:scommetti
su ognuno, su ogni
mendicante, su ogni cane
rognoso,solocosísaraisicuro
che l’Unico, il vero figlio, il
ladronellanotte,nonsfuggirà
dalla rete. Anche Erode
sarebbed’accordo:massacrate
tutti i bambini senza
eccezioni.
Scommettere su tutti i
numeri è ancora giocare
d’azzardo? Senza il rischio,
senza sottomettersi alla voce
che parla da chissà dove,
quando il dado cade, cosa
rimanedidivino?Certamente
Dio lo sa, e avrà pietà del
giocatore nell’animo! E
certamente la moglie che,
quandoilmaritolesibuttaai
piedi e le confessa di aver
giocato l’ultimo rublo e si
batte il petto e le bacia l’orlo
dellaveste,lamogliechelofa
rialzare e gli asciuga le
lacrime e senza una parola
esce e va a impegnare la sua
fedeetornaconisoldi(ecco!)
perché lui possa tornare alla
sala da gioco per l’ultima
scommessa che salverà tutti,
certamente quella donna ha
in sé qualcosa di divino, una
donnachecontasuunuomo
che non ha piú niente, una
donnache,quandoperfinola
fedeèstataimpegnataepersa,
escenellanotteeritornaconi
soldiperun’altrascommessa!
E la donna che abita al
piano di sopra, quella donna
di cui in questo momento
non ricorda il nome, che
addirittura confonde con la
GnädigeFrau,lasuapadrona
di casa di Dresda, quella
donna ha in sé quel tocco
divino? Lui non sa niente di
lei,sasololacosapiúintimae
segreta: sa come si dà. Dal
modo in cui una donna si dà
può un uomo indovinare
come si darà al dio
dell’azzardo? Una donna cosí
è segnata dall’abbandono, un
abbandono che non importa
dovelaporterà,alpiacereoal
dolore?Unadonnacheusail
suocorposensualesolocome
un veicolo e solo perché non
possiamo vivere disincarnati?
C’è forse un modo di fare
l’amorecheleirappresenta,in
cui i corpi premono uno
contro l’altro, dentro e
attraverso, fino a un’oscurità
silenziosadovenonsentialtro
che lo smuoversi delle
lenzuola, come un battito di
ali?
Il ricordo delle notti con
lei lo travolge con una
pienezza improvvisa e tutto
quellocheinluieraannodato
si distende, indicando lei,
comeunafreccia.Ildesiderio
con tutta la sua voluttà lo
vince.Lei,pensa:èlei.Leiche
voglio.Perciò…
Perciò sorridendo fra sé
corredinuovogiúperlescale
eatentoniraggiungel’angolo
dovel’uomo,ilmercenario,la
spia,hafattoilnido.–Vieni–
gli dice, nel buio. – Ho un
lettoperte.
– Questo è il mio posto,
devo stare al mio posto –
risponde l’uomo con aria
furba.
Ma niente lo può mettere
di malumore, adesso: –
Quello che stai aspettando
verrà,anchealterzopiano.Te
loassicuro.Busseràallaporta,
aspetterà pazientemente e si
rifiuteràdiandarevia.
Segue un gran frusciare e
strusciare di carta: – Lei non
haunaltrofiammifero,vero?
–domandailmendicante.
Accende un fiammifero e
illumina l’uomo che in fretta
infila tutte le sue cose in una
bustaepoisialzainpiedi.
Sbattendoquaelànelbuio
come due ubriaconi salgono
per le scale. Alla porta della
sua stanza lui bisbiglia
all’altro di non far rumore e
loprendepermano.Lamano
èsgradevolmenteappiccicosa.
Dentro accende la luce. È
difficilecapirecheetàabbialo
sconosciuto.
Gli
occhi
sembranogiovanimaicapelli
fini e biondicci e il cranio
lentigginoso denunciano una
sorta di stanchezza senile, e
poi la postura è quella di un
uomo provato dagli anni e
dalledisgrazie.
–
Ivanov
Pëtr
Aleksandrovič – dice l’uomo,
battendoitacchiefacendoun
piccolo inchino. – Ex
funzionariostatale.
Luigliindicailletto.–Lo
prenda!
– Lei si starà chiedendo –
dice Ivanov, mentre prova il
letto – come succede che un
uomo della mia condizione
finiscaperfareilguardiano(è
cosí che lo definiamo nel
nostro mestiere: guardare). –
Sisdraiaesistiracchia.
Ha
la
sgradevole
sensazione di aver pescato
uno di quei mendicanti che,
incapaci di suonare il violino
o di fare giochi di prestigio,
vogliono ripagare la carità
conlastoriadellalorovita.–
Per favore, abbassi la voce, e
sitolgalescarpe.
– Lei è l’uomo a cui è
mortoilfiglio,nonèvero?Le
mie
piú
profonde
condoglianze.Capiscounpo’
come si deve sentire. Non
tutto,maunpo’.Ancheame
sonomortiduefigli.Strappati
dalla meningite, cosí l’hanno
chiamata i medici. Mia
moglienonsièmairipresada
quelcolpo.Avrebberopotuto
essere salvati se avessimo
avutoisoldiperpagarebuoni
dottori. Una tragedia: ma chi
ci fa caso? La tragedia è
dappertutto intorno a noi ai
giorni nostri. La tragedia è
diventata la dimensione del
nostro mondo –. Si siede sul
letto. – Se mi dà retta Fëdor
Michailovič (non si offende
vero?), se accetta il consiglio
di uno che è stato messo a
dura prova, lei deve lasciarsi
andare al dolore. Deve
piangere come una donna. È
questo il grande segreto delle
donne,ciòcheleavvantaggia
rispetto a persone come noi.
Loro sanno quando debbono
lasciarsi andare e piangere.
Noi non lo sappiamo invece,
io e lei. Ce lo teniamo tutto
chiuso dentro fino a che non
diventaundemonio!Eallora
facciamo
qualche
stupidaggine,
solo
per
liberarcene per un’ora o due.
Sí, facciamo una qualche
stupidagginedellaqualepoici
pentiremo per sempre. Le
donne non sono cosí; loro
conoscono il segreto delle
lacrime. Dobbiamo imparare
dal sesso debole, Fëdor
Michailovič,
dobbiamo
imparareapiangere!Vede,io
nonmivergognodipiangere:
il mese prossimo fanno tre
mesi che la tragedia mi ha
colpitoeiononmivergogno
dipiangere.
E infatti le lacrime gli
colano giú per le guance. Lui
se le asciuga con la manica,
ma ne scendono sempre di
piú. Sembra che non gli sia
difficile parlare mentre
piange. Anzi a dire il vero
sembra piuttosto contento. –
Piangerò i miei bambini
perduti per il resto dei miei
giorni–dice.
Mentre Ivanov continua a
blaterare a vanvera dei suoi
«bambini»,
l’uomo
si
interroga. È solo perché si sa
chefaloscrittorechelagente
gli racconta le sue storie?
Forse pensano che non abbia
storiesue?Èesausto:ilmaldi
testanonglièancorapassato.
Seduto sull’unica sedia, con
gli uccelli che cominciano a
cantare di fuori, ha un
bisogno disperato di dormire
– vuole a tutti i costi
recuperare il letto che ha
ceduto. – Possiamo parlarne
dopo – prova a dire. –
Dorma, ora. Altrimenti che
sensohaquesta…–Esita.
– Questa carità? – lo aiuta
Ivanov, con aria furba. – Era
questochevolevadire?
Luinonrisponde.
–
Perché,
volevo
rassicurarla, lei non deve
vergognarsi della carità –
continual’uomoavocebassa.
– Proprio come non deve
vergognarsi del dolore. Sono
impulsi generosi, entrambi.
Sembra
che
vogliano
trascinarci in basso questi
nostriimpulsigenerosi,mala
verità è che ci innalzano. Ed
Egli li vede e li registra tutti.
Colui che vede nelle pieghe
delnostrocuore.
A fatica apre le palpebre.
Ivanovstasedutoinmezzoal
letto, a gambe incrociate,
come un idolo. Che razza di
ciarlatano! pensa e richiude
gli occhi. Quando si risveglia
Ivanovèancoralí,distesosul
letto, con le mani sotto le
guance, addormentato. Ha la
bocca aperta e dalle sue
labbra, piccole e rosa come
quellediunbambino,esceun
fischio
delicato,
russa
sommessamente.
Fino a tarda mattina
rimane con Ivanov. Ivanov,
l’inizio dell’inatteso, pensa.
Vediamo ora dove ci porterà
quest’inatteso!
Il tempo prima non è mai
passato cosí pigramente, non
è mai stato cosí privo di
rivelazioni.
Alla fine, annoiato, sveglia
l’uomo:–Èoradiandarsene,
ilsuoturnoèfinito–glidice.
Ivanov
sembra
non
rendersi conto dell’ironia. È
fresco,allegroebenriposato:
– Devo andare in bagno! – e
poi,tornandoindietro:–Non
ha per caso un resto di
colazioneperme,vero?
Lo
porta
nell’appartamento.
La
colazione lo aspetta pronta
sulla tavola, ma lui non ha
fame. – È per lei – dice
bruscamente. Gli occhi di
Ivanov luccicano, un filo di
saliva gli scorre sul mento.
Ma
poi
mangia
dignitosamenteebeveiltècol
mignolosollevatoamezz’aria.
Appena finito, si appoggia
allo schienale e sospira
soddisfatto. – Come sono
contento che le nostre strade
si siano incrociate! –
commenta. – Il mondo può
essere un luogo cosí freddo,
FëdorMichailovič,sonocerto
cheleinesaqualcosa!Ionon
mi lamento, badi bene. Noi
abbiamo quello che ci
meritiamo, nel senso piú
nobile del termine. Eppure a
volte mi chiedo, non
meritiamo forse, tutti noi,
anche un rifugio, un porto,
dove la giustizia per un poco
allenti la sua presa e ci sia
accordata la pietà? Mi pongo
questa domanda come un
interrogativo
filosofico.
Anche se non sta nella
Scrittura, non sarebbe forse
nello spirito della Scrittura
direchemeritiamoquelloche
non meritiamo? Cosa ne
pensa?
–Senzadubbio.Purtroppo
questo non è il mio
appartamento. Ed è ora che
leisenevada.
– Fra un attimo, mi
conceda
un’ultima
osservazione. Non era solo
una chiacchiera oziosa, sa,
quella della notte scorsa,
quando le ho detto che Dio
vede nelle pieghe del nostro
cuore. Forse io non sono
proprio un santo idiota, ma
questo non m’impedisce di
dire la verità. La verità può
venire,losa,attraversostrade
tortuose e misteriose –. Si
batte la testa con l’aria di
saperla lunga: – Lei non si
sarebbe mai sognato, vero,
quando mi ha visto per la
prima volta, che un giorno
saremmo stati qui seduti a
prendere il tè, io e lei, come
due persone civili. Eppure
eccociqui!
– Mi dispiace, ma non
riescoaseguirla,lamiamente
è altrove. Ora davvero deve
andarevia.
– Sí, devo andare, anch’io
hoimieicompitidasvolgere
–. Si alza, si butta la coperta
sullespallecomeunmantello
e gli tende la mano: –
Arrivederci,èstatounpiacere
conversare con un uomo di
cultura.
–Arrivederci.
È un sollievo essersene
liberati.Mal’odoredipescee
di sudiciume è ancora nella
stanza e malgrado il freddo è
costrettoadaprirelafinestra.
Mezz’ora dopo sente
bussare
alla
porta
dell’appartamento. Non è
possibile, pensa, ancora
quell’uomo! e apre la porta
conunasmorfiadirabbia.
Si trova davanti una
ragazzina, una ragazzina
grassaconaddossounaspecie
di grembiulone scuro, di
quelli che portano le novizie.
Ha la faccia tonda e
inespressiva, gli zigomi cosí
alti che quasi nascondono gli
occhi piccoli, i capelli sono
energicamente tirati indietro
eformanounpiccolocodino.
–ÈleiilpatrignodiPavel
Isaev? – chiede con una voce
inaspettatamenteprofonda.
Entra e si chiude la porta
alle spalle: – Ero un’amica di
Pavel – annuncia. Lui si
aspetta di sentire le
condoglianze,
che
non
vengono.Invecelaragazzagli
si piazza di fronte a braccia
incrociate; sembra che lo
voglia misurare e lo fissa con
un’aria insieme calma e
guardinga, come quella di un
lottatore che aspetta che
l’incontro incominci. Il suo
petto si solleva e si abbassa
conregolarità.
– Posso vedere quello che
halasciato?–diceallafine.
– Ha lasciato molto poco.
Potreisapereilsuonome?
–Katri.Anchesec’èmolto
poco, posso vederlo? È la
terza volta che passo. Le
prime due volte quella
stupida affittacamere non mi
ha voluto far entrare. Spero
cheleinonfaràlastessacosa.
Katri,unnomefinlandese.
E anche l’aspetto è quello di
unafinlandese.
–Sonosicurocheavevale
sue ragioni. Conosceva bene
miofiglio?
Lei non risponde alla
domanda. – Si è reso conto
chelapoliziahauccisoilsuo
figliastro, vero? – dice invece
senzascomporsi.
Il tempo si immobilizza.
Lui può avvertire i battiti del
suocuore.
– Lo hanno ucciso e poi
hannomessoingirolastoria
del suicidio. Non mi crede?
Non è obbligato a credermi,
senonvuole.
–Perchémidicequesto?–
chiedeinunsoffio.
– Perché? Perché è la
verità.Perchésennò?
Leinonèsolosulpiededi
guerra: comincia anche a
essere
impaziente.
Ha
cominciato
a
spostarsi
ritmicamente da un piede
all’altro, e a dondolare le
bracciaaltempo.Malgradoil
corpo tarchiato, dà anche
un’impressione di agilità.
Non c’è da meravigliarsi se
Anna Sergeevna non ha
volutoaverenienteachefare
conlei.
– No – dice scuotendo il
capo – quello che mio figlio
ha lasciato è di carattere
personale,
di
carattere
familiare. Mi spieghi per
favore il motivo della sua
visita.
–Noncisonocarte?
– C’erano delle carte, ma
noncisonopiú.Perchémele
chiede? – E poi: – Fa forse
partedeiseguacidiNečaev?
Quella domanda non la
sconcerta. Anzi, la ragazza
sorride
e
solleva
le
sopracciglia. Per la prima
volta si vedono gli occhi,
pieni di rabbia e di trionfo.
Ma certo che fa parte dei
seguaci di Nečaev! Una
donna-guerriera, e quel suo
dondolio è solo il principio
delladanzadiguerra,ladanza
di una che non vede l’ora di
combattere.
– Se lo fossi, crede che
glielo direi? – risponde
ridendo.
– Sa che la polizia fa
controllarequestacasa?
Oscillando sulle punte, lo
fissa intensamente come se
volesse
fargli
cogliere
qualcosanellosguardo.
– C’è un uomo qui sotto,
proprioora,–insistelui.
–Dove?
– Lei non l’ha notato, ma
può stare certa che lui avrà
notato lei. Finge di essere un
mendicante.
Il suo sorriso si allarga in
un’espressione
davvero
divertita: – Crede che una
spia della polizia sarebbe
abbastanza intelligente da
notarmi? – dice. E, con sua
sorpresa, agita l’orlo del
grembiule e con due piccoli
salti mostra le gambe:
calzettoni bianchi e semplici
scarponcinineri.
Ha ragione, pensa l’uomo.
Potrebbeesserescambiataper
una bambina, ma una
bambina posseduta dal
demonio, però. Un demonio
chelestadentroechesiagita,
salta,incapacedistarefermo.
– Basta! – dice gelido. –
Mio figlio non ha lasciato
nienteperlei!
– Suo figlio! Non era suo
figlio!
– È mio figlio e lo sarà
sempre. Ora per favore se ne
vada. Ne ho abbastanza di
questaconversazione.
Aprelaportaelainvitaad
andarsene. Mentre esce, la
ragazzinaglisbatteaddossoa
bella posta. È come se gli
avesse sbattuto addosso un
porco.
Quando
esce,
nel
pomeriggio,nonc’ètracciadi
Ivanov. E neppure la sera,
quando rientra. Dovrebbe
preoccuparsene?Seècompito
diIvanovvederesenzaessere
visto, perché mai dovrebbe
essere lui a vedere Ivanov?
Anche se nella sciarada che
sta giocando il ruolo di
Ivanovèquellodell’angelodel
Signore, un angelo che è tale
soloinvirtúdelfattochenon
è per niente angelico, perché
mai dovrebbe stare a lui
cercare quell’angelo? Che
l’angelo venga a bussare alla
miaporta,sidice,eiononlo
deluderò, gli darò riparo: e
tanto basta perché il nostro
accordoregga.Eppure,anche
mentresiripetequelleparole,
sirendecontodimentirease
stesso, sa che potrebbe
davvero liberare del tutto
Ivanov dal suo posto di
guardia,alfreddo.
Non fa altro che agitarsi,
fino a che non si risolve a
scendere
e
cercare
quell’uomo. Ma quell’uomo
nonstainfondoallescale,né
per strada, non lo trova da
nessuna parte. Con un
sospiro di sollievo si dice: ho
fattoquellochepotevo.Main
cuor suo sa che non è cosí.
Potrebbefaredipiú,moltodi
piú.
9.
Nečaev
Il giorno dopo, per le
strade del quartiere del
mercato,FëdorMichailovičsi
vede balenare di fronte la
figura piena, quasi sferica,
della ragazzina finlandese.
Non è sola. Al suo fianco c’è
una donna, alta e magra, che
cammina cosí in fretta da
costringere la finlandese a
procedere saltando per starle
dietro.
Affretta il passo. Anche se
di tanto in tanto le perde di
vista fra la folla, non è
lontano da loro quando le
vede entrare in un negozio.
Primadientrareladonnaalta
si guarda intorno. Fëdor
Michailovič
è
colpito
dall’azzurro intenso degli
occhi e dal pallore della pelle
di quella donna. Il suo
sguardo si è posato anche su
diluisenzasoffermarsi.
Attraversa la strada e
perde tempo, aspettando che
escano. Passano cinque, dieci
minuti;hafreddo.
Sull’insegna di ottone c’è
scritto Atelier La Fay o La
Fee, modista. Apre la porta,
facendo
suonare
un
campanello. In una stanza
strettaebeneilluminata,delle
ragazze con un’uniforme, un
grembiule scuro, siedono a
due lunghi tavoli da cucito.
Unadonnadimezzaetàglisi
faincontropersalutarlo.
–Monsieur?
– Una mia conoscente è
entrataquiqualcheminutofa,
una giovane signora… e
pensavo che… – Si guarda
intorno nella stanza, deluso:
non c’è traccia della
finlandese
e
neppure
dell’altra. – Mi spiace, devo
essermisbagliato.
Le due giovani lavoranti
piú vicine a lui ridacchiano
per il suo imbarazzo.
Madame La Fay invece ha
perso qualsiasi interesse per
lui.–Credochestiaparlando
degli studenti – dice
freddamente. – Noi non
abbiamonienteachefarecon
loro.
Lui si scusa di nuovo e fa
peruscire.
– Laggiú! – dice una voce
dietrodilui.
Si volta e vede una delle
ragazze che indica una
porticinasullasinistra:–Passi
dilí!
– La porta conduce a una
galleria isolata dalla strada.
C’è una scala di ferro che
portaalpianodisopra.Esita,
poisale.
Si ritrova in un corridoio
buiocheodoradicucina.Dal
piano superiore giunge il
suono raschiante di un
violino che suona un motivo
zigano. Segue la musica per
altri due piani, fino alla
porticina, semiaperta, di una
soffitta. Bussa. La ragazzina
finlandese si presenta alla
porta. Sulla sua faccia stolida
nonc’èsegnodisorpresa.
–Possoparlarle?
Lei si sposta per farlo
entrare.
Ungiovanevestitodinero
suona il violino. Vedendo lo
sconosciuto si ferma a metà
frase e lancia un’occhiata
interrogativa alla donna alta.
Poi,senzaunaparola,prende
ilsuocappelloeseneva.
Fëdor Michailovič si
rivolgeallafinlandese:–L’ho
vistapassareperstradael’ho
seguita. Possiamo parlare in
privato?
Leisisiedesuldivano,ma
nonloinvitaasedersi.Ipiedi
arrivano appena a toccare
terra.–Parli!–glidice.
–Hafattounaccennoieri
a proposito della morte di
mio figlio. Mi piacerebbe
saperne di piú. Non perché
voglia vendicarmi. Cerco di
capire per un bisogno mio.
Voglio dire per liberarmi da
unpeso.
Lo guarda con aria
perplessa: – Liberarsi da un
peso?
– Nel senso che non sono
venutoaPietroburgoperfare
un’inchiesta – continua
ostinatamente – ma ora che
lei ha detto quello che ha
detto a proposito della sua
morte, io non posso
ignorarlo,
non
posso
dimenticarlo.
Fa una pausa. La testa gli
gira; improvvisamente si
sente esausto. Dietro le
palpebre chiuse ha una
visione di Pavel che gli va
incontro. C’è una ragazza al
suo fianco, la ragazza che ha
sceltoinmoglie.Pavelstaper
parlare, per presentargli la
ragazzaeluiintantopensafra
sé: Bene, finalmente questi
annidiresponsabilitàpaterna
sono giunti alla fine,
finalmentehaaltrebracciafra
lequaliabbandonarsi!Staper
sorridere a Pavel, un sorriso
di rallegramento e anche di
sollievo.Machisaràlasposa?
Può essere che sia questa
giovanedonnaalta(altaquasi
come Pavel) con gli occhi
azzurriepenetranti?
Si scuote da quella
fantasia.Lasuaprossimafrase
stagiàemergendo,inuntono
che gli ricorda una cantilena:
– Ho un dovere nei suoi
confronti,undoverechenon
posso dimenticare – sta
dicendo.
È tutto. Le parole
finiscono, si esauriscono. Poi
il silenzio, un silenzio che
aumentaesiprolunga.Cerca
di sforzarsi per riafferrare la
visione di Pavel e della sua
sposa,mafratuttelepersone
possibilièproprioIvanovche
gli si presenta, o almeno le
manidiIvanov:ditapallidee
gonfie che emergono come
bruchi dai mezziguanti di
lana. Quanto alla faccia,
ballonzola in un’atmosfera
sulfurea, e non sta ferma
abbastanzaalungoperchélui
lapossafissare.L’impressione
cheha,comunque,èquelladi
un sorriso furbesco, come se
l’uomo fosse a conoscenza di
qualcosa che gli può nuocere
evolessefarglielocapire.
Scuote la testa, e cerca di
recuperare le sue facoltà
mentali. Ma sembra aver
perso la parola. Sta di fronte
allafinlandesecomeunattore
che ha dimenticato la sua
parte. Il silenzio fra di loro,
comeunpesocheschiacciala
stanza. Un peso o una pace,
pensa; che pace ci sarebbe se
tutto dovesse pietrificarsi: gli
uccelli dell’aria impietriti nel
loro volo, il globo enorme
sospeso nella sua orbita! È
sicurochestapervenirgliuna
crisi:nonpuòfarenienteper
evitarla. Assapora gli ultimi
istanti di immobilità. Che
peccato che l’immobilità non
possa durare in eterno! Da
lontano gli arriva un grido
che dev’essere il suo. Ci sarà
un digrignare di denti, le
parole gli lampeggiano
davantiagliocchi,poilafine.
Quando ritorna in sé è
comesefossestatovia,inun
paese lontano, e lí fosse
invecchiato e incanutito. E
inveceènellastessastanzadi
prima, ancora in piedi, con
una mano a mezz’aria. E
anche le due donne sono lí,
nella stessa posizione di
prima, anche se ora la
finlandesehal’ariastanca.
– Mi posso sedere? –
biascica. La lingua è troppo
spessaperstargliinbocca.
Lafinlandeseglifapostoe
lui si siede accanto a lei, sul
divano, è confuso, tiene la
testa reclinata: – Qualcosa
nonva?
Lui non risponde. Che
cos’èchevolevadire,eperché
èsemprecosístanco?Ècome
se una nebbia gli fosse calata
sul cervello. Se fosse il
personaggio di un libro, cosa
direbbeinunmomentocome
questo, quando o il cuore
parlaolapaginarestavuota?
– Non riesco a spiegarle –
incomincia a dire lentamente
– quanto mi senta triste ed
estraneoquiconlei.Leigioca
aungiococuinonmièdato
partecipare. Quello per cui
s’impegna, quello per cui
anche Pavel dev’essersi
impegnato, non mi interessa.
Anzi, se debbo essere onesto,
midisgusta.
Senza una parola, la
ragazza alta esce dalla stanza.
Al suo passaggio il fruscio
della veste e un effluvio di
lavanda risvegliano in lui un
inaspettato
guizzo
di
desiderio. Desiderio di cosa?
Di
quella
ragazza?
Certamente no, o comunque
non solo di lei. Forse della
giovinezza, di quello che ha
persopersempre,dellalibertà
delle vesti discinte, dei corpi
nudi. E comunque sia quella
reazione lo indispettisce.
Perché qui e ora? Forse è
qualcosachehaachefarecon
la sua stanchezza, o forse
anche con Pavel, col fatto di
ritrovarsi
immerso
nel
mondo di Pavel, nel contesto
eroticodiPavel.
– Mi hanno mostrato le
listedellepersonesegnate.Di
quelli che devono essere
uccisi–dice.
La finlandese lo scruta da
vicino.
– La polizia è in possesso
diquelleliste,sperochevene
siate resi conto. Le hanno
portate via dalla stanza di
Pavel. Quello che volevo
chiedere è questo: ognuno di
voi ha solo un certo numero
di persone da uccidere,
oppure ci sono certe persone
assegnate,
strettamente
personali?E,seècosí,dovete
studiarequellepersoneprima
di agire, dovete conoscerne
bene la vita quotidiana?
Come fate, li spiate mentre
sonoincasa?
La finlandese prova a
parlare, ma lui ormai si sta
riprendendo e la sua voce
coprequelladilei.
– Se è cosí, se è cosí, non
nasceun’intimitàtroppoforte
con la vittima? Non vi
succedecomesuccederebbea
un uomo, un mendicante
chiamato per strada da
qualcuno che gli offre
cinquantacopechiperdisfarsi
di un vecchio cane cieco, che
prendelacordaefailcappio
e accarezza il cane per
calmarlo, gli mormora una
parola o due e mentre lo fa
comincia a sentire una
corrente di sentimento,
cosicchédaquelmomentoin
poiluieilcanenonsonopiú
estranei e quello che doveva
essere solo un lavoretto si è
trasformato nel peggiore dei
tradimenti, un tradimento
talecheilrumorecheemette
il cane quando lo appende,
mentre lo appende, continua
a perseguitarlo per giorni e
giorni; un sussulto di
sorpresa: Perché proprio tu?
Unpensierodelgenerenonvi
paralizza?
Mentre parlava la donna
alta è rientrata. È china
nell’angolo piú lontano della
stanza,
piega
lenzuola,
arrotola un materasso. La
finlandese invece sembra
finalmente presente. Ha gli
occhi luccicanti e non vede
l’ora di parlare. Ma lui
continua.
– E se questo è quello che
succede con un cane, quale
sarà la forza di persecuzione
degli uomini e delle donne
che vi proponete di
eliminare? Mi sembra che,
per quanto i nemici del
popolo siano stati scelti
scientificamente, voi non
abbiate la possibilità di farli
fuori senza ferire le vostre
anime. Per esempio quale
dovevaesserelaprimavittima
di Pavel? Chi gli era stato
assegnato?
–Perchélochiede?Perché
lovuolesapere?
– Perché voglio andare
davanti alla porta di casa di
quella persona, in ginocchio,
e ringraziare Dio che Pavel
noncisiamaiarrivato.
– Cosí è contento che
Pavelsiastatoucciso?
– Pavel non è morto. Lui
avrebbe dovuto morire, ma
per sua grande fortuna si è
salvato.
Per la prima volta l’altra
donna apre bocca: – Perché
nonvieneasedersiqui,Fëdor
Michailovič?–diceindicando
un tavolino con due sedie,
vicinoallafinestra.
– Mia sorella – spiega la
finlandese.
– Sorelle, ma non figlie
degli stessi genitori – dice
l’altra, e ridono. Una risata
allegra,intima.
Ha l’accento tipico di
Pietroburgo,
una
voce
profonda.Halasensazionedi
averla già incontrata prima.
Una cantante? Forse dei
tempi in cui seguiva l’Opera?
No,ètroppogiovane.
Si siede su una delle due
sedieeleiglisisiededifronte.
La tavola è stretta. Lei gli
tocca il piede, Fëdor
Michailovičsiritrae.
Anche se sta con le spalle
alla finestra, ora capisce
perché si è coperta di cipria.
Ha la pelle segnata dalle
cicatrici del vaiolo. Che
peccato, pensa: non è una
bellezza,macomunqueèuna
creaturaattraente.
Il piede di lei tocca di
nuovo il suo, vi si appoggia
con insistenza, stinco contro
stinco.
Una fastidiosa eccitazione
gli serpeggia in corpo. Come
agli scacchi, si dice: due
giocatoridavantiaunpiccolo
tavolino che fanno le loro
mosse ponderate. È la
determinazione che lo eccita,
il piede di fronte sollevato
come un pedone e messo
contro il suo? E la terza
persona,lospettatorechenon
vede,l’idiota,cheguardadalla
parte sbagliata: anche lei sta
recitando la sua parte?
Determinazione e volgarità,
una volgarità con un che di
eccitante.Comehannofattoa
scoprire tante cose di lui, dei
suoidesideri?
Una cantante: una regina
delcontralto.
– Lei conosceva mio figlio
–dice.
– Era un seguace. Una
mascotte.
Conosce quell’espressione
eloferisce.Unamascotte:un
perdigiorno
nei
circoli
studenteschi,unochevabene
comegaloppino.
–Maeraunsuoamico?
Leisistringenellespalle:–
L’amicizia è un sentimento
effeminato. Non abbiamo
bisognodell’amicizia.
Effeminato. Che strana
parola nella bocca di una
donna! Ormai ha la
sensazione di saperne piú di
quanto vorrebbe. Il piede sta
ancora sul suo, ma ora c’è
qualcosa di inerte in quella
pressione.
Inerte
e
ingombrante, e perfino
minaccioso. Non è piú un
piedemaunostivaletto.Pavel
non ci sarebbe stato a un
giococomequello.Lavisione
di Pavel ritorna, Pavel che
cammina verso di lui. La
ragazzaalsuofianco,lasposa,
è nell’ombra. Pavel sorride e
quel sorriso ha un che di
glorioso. Amico mio! pensa.
Unamoreferoceglistringeil
cuore. E questo, pensa, è
questochedevoaverealposto
tuo?
– Se non ha bisogno di
amicizia, Dio la salvi –
mormora.
Si alza dal tavolino e volta
le spalle alle due donne. Che
aspetto avrò? si chiede. Non
c’è uno specchio. Quando
torna a sedersi le lacrime che
aveva temuto di versare si
sonoasciugate.
–Cosaavetefattoconmio
figlio?–domandaafatica.
La donna si appoggia sul
tavolino e lo fissa col suo
sguardoblu.Sottolostratodi
cipria, fra le cicatrici del
mento,notaipelicheilrasoio
non ha rasato. E le
sopraccigliasonotroppofolte
sopra il naso. Una donna
avrebbe avuto il buon senso
di suggerirgli di strapparli.
Allora anche la finlandese è
un ragazzo, un ragazzino
piccolo
e
grasso?
All’improvvisoprovadisgusto
pertutteedue.
Lei (o lui) sta parlando. È
Nečaev, proprio lui, non c’è
dubbio.
La
maschera
improvvisamente è caduta.
Glitornadinuovoallamente
con estrema chiarezza: nella
saladelCongressodellaPace,
durante un intervallo fra i
discorsi, Nečaev tutto solo in
unangolo,chedivorapanini,
furente, con uno sguardo di
sfida nei confronti di tutti gli
adulticheaffollanolasala:Sí,
ridete se ne avete il coraggio,
ridete dello studente! Sulla
faccia, l’espressione di un
ragazzinosorpresosullatazza,
con i calzoni calati,
vulnerabilemapienodisfida.
Ridete, ma un giorno riderò
io!
Ricordailcommentofatto
dallaprincipessaObolenskaja,
l’amante di Mroczkowski: –
Sarà pure l’enfant terrible
dell’anarchismo,madovrebbe
farequalcosaperqueibrufoli!
– Visto quello che la
polizia ha fatto a suo figlio –
dice Nečaev – sono sorpreso
che non sia infiammato dal
furore, come dicono i
Vangeli, occhio per occhio,
denteperdente.
– Mascalzone! Quello non
è nei Vangeli! Che cosa dice
diPavel?Eperchésièmesso
questaridicolamaschera?
– Certamente non crederà
alla storia del suicidio. Isaev
non si è ucciso, quella è solo
unafavolamessaingirodalla
polizia.Nonpossonousarela
legge contro di noi e cosí
perpetrano questi osceni
omicidi. Ma naturalmente lei
deve avere i suoi dubbi,
altrimenti perché sarebbe
qui?
Tutta la finta dolcezza
dell’uomo è scomparsa: ora
parlaconlasuavoce.Mentre
fa avanti e dietro per la
stanza,ilvestitofruscia.Cosa
c’èsotto:icalzoniolegambe
nude? Che effetto farà
camminare con le gambe
nude ma nascoste, che si
strofinanounasull’altra?
– Crede forse che non
siamotuttiinpericolo?Crede
forse che io desideriscivolare
mascheratoperlestradedella
mia città, della città dove
sono nato? Ha idea di che
cosa voglia dire essere una
donna che cammina sola per
le strade di Pietroburgo? –
Parla a voce alta, sopraffatto
dalla rabbia. – Ha idea di
quello che tocca sentire? Gli
uomini ti seguono passo
passo dicendo oscenità
inimmaginabili e tu sei
impotentecontrodiloro!–Si
riprende:–Oforselosabene,
forsequellochestodicendole
èpiúchenoto.
Lafinlandesesièmessain
grembo una pentola piena di
patate e ha cominciato a
sbucciarle. Ha un’espressione
serena, sembra piú che mai
una nonnetta: – Sta
raffreddando–annuncia.
Pazzi! Sono due pazzi, si
dice.Machecifaccioioqui?
DevoritornaredaPavel!
– La prego di ripetere... la
prego di ripetere quello che
stavadicendodimiofiglio.
– Va bene, lasci che le
racconti di suo figlio. Il
verdettoufficialesaràchesiè
ucciso. Se lei ci crede è un
ingenuo,
un
ingenuo
irresponsabile! Non è stato
ancheleiunrivoluzionarioai
vecchi tempi? O mi sbaglio?
Sapràchelalottanonsièmai
fermata? O ha fatto una pace
separata?Quellichestannoin
trincea continuano a essere
perseguitati, presi, torturati e
uccisi.Pensavocheleisapesse
tutto ciò e che lo volesse
scrivere.Soprattuttoperchéla
gente non saprà mai delle
storie come quella di suo
figlio da questa vergognosa
stamparussa.
LavocediNečaevsifapiú
bassa, piú intensa: – Quello
che è successo a suo figlio,
può succedere ogni giorno a
me o agli altri compagni. Lei
dice di non saperne niente,
ma vada per le strade, vada
nei mercati e nelle taverne
dove la gente s’incontra e
scopriràchelagentelosa.In
qualche modo lo sanno! E
quando verrà il giorno del
giudizio, il popolo non
scorderà chi ha sofferto ed è
morto per lui, e chi non ha
alzatoundito!
La collera di Cristo, ecco
qualèilsuomodello.IlCristo
del Vecchio Testamento, il
Cristo che ha cacciato gli
usurai dal tempio. Anche la
mascheraglisiadatta,nonun
vestito ma una tonaca. Un
imitatore, un impostore, un
blasfemo.
– Non mi minacci! –
risponde. – Con che diritto
parla in nome del popolo? Il
popolo non è vendicativo. Il
popolo non passa il suo
tempo a complottare e a
tramare.
– Il popolo conosce i suoi
nemici e non spreca lacrime
per loro quando muoiono!
Quanto a noi, noi almeno
sappiamo cosa bisogna fare e
lo facciamo! Forse un tempo
lo sapeva anche lei, ma ora
tutto quello che sa fare è
biascicare fra sé, scuotere la
testa e piangere. È una cosa
da smidollati. Noi non siamo
teneri, noi non stiamo qui a
piangere, né a sprecare il
tempo
con
chiacchiere
intelligenti. Ci sono cose di
cuisipuòparlareealtredicui
non si può parlare, altre che
vanno semplicemente fatte.
Noi non parliamo, non
piangiamo, non stiamo a
pensare in continuazione: da
una parte… però dall’altra;
noiagiamo!
– Ottimo! Voi agite, ma
chi vi dà le istruzioni? È alla
vocedelpopolocheubbidite,
o piuttosto alla vostra stessa
voce un po’ camuffata in
modo da non essere costretti
ariconoscerla?
– Un’altra domanda
intelligente! Un altro spreco
di tempo! Non ne possiamo
piú dell’intelligenza! I giorni
dell’intelligenza sono contati.
L’intelligenzaèunadellecose
dicuicilibereremo.Ilgiorno
dellagentequalunquestaper
arrivare. La gente qualunque
non è intelligente. La gente
qualunque vuole solo che il
lavoro sia fatto. E una volta
fatto il lavoro, sarà la gente
qualunque a decidere come
debbano andare le cose, e se
l’intelligenza debba essere
permessaoppureno!
– E se i libri intelligenti e
simili
debbano
essere
permessi oppure no! –
Aggiunge la finlandese tutta
animata,quasieccitata.
È mai possibile, pensa
Fëdor
Michailovič
con
disgusto, che Pavel fosse
amico di gente simile? Gente
sempre pronta a buttarsi a
capofittoinquesteesaltazioni
ipocrite? Questo posto è
peggio di un convento
spagnolo ai tempi di Loyola:
con le ragazze di buona
famiglia, lí a flagellarsi, a
rotolarsiquasiinestasi,conla
bava alla bocca; oppure
intente a digiunare e a
pregareperoreeorediessere
accolte fra le braccia del
Salvatore. Tutti estremisti,
esteti sensuali, affamati
dell’estasi
della
morte:
uccidere,
morire,
non
importa. E Pavel in mezzo a
loro!
Poi,comeun’esplosione,il
pensierodell’ultimoistantedi
Pavel,delcorpodiungiovane
uomocolsanguebollente,nel
fiore degli anni, che colpisce
la terra, dell’ultimo fiato che
gli esce dai polmoni, delle
ossa che si rompono, della
sorpresa, soprattutto della
sorpresa, che fosse davvero
quella la fine, che non ci
potesseessereun’altrachance.
Contorce le mani sotto il
tavolino in una specie di
agonia.Uncorpochecolpisce
la terra: la morte, misura di
tuttelecose!
– Mi dimostri… – dice –
midimostriquellochedicedi
Pavel.
Nečaevglisifapiúvicino:
– La porterò là, sul posto –
dice articolando ogni parola
con lentezza – la porterò
propriolàeleaprirògliocchi.
In silenzio si alza e va
barcollando fino alla porta.
Trova le scale e scende, ma
poi si perde, non trova piú
l’uscita sulla strada. Bussa a
caso a una porta. Nessuno
risponde. Bussa a un’altra
porta. Una donna con l’aria
stancaeconleciabatteapree
sifadaparteperfarloentrare.
– No – dice lui – volevo solo
sapere da dove si esce –. La
donnarichiudelaportasenza
unaparola.
Dal fondo del palazzo gli
giungeunronzaredivoci.C’è
unaportaaperta;entrainuna
stanza dal soffitto cosí basso
cheglisembradistareinuna
gabbiaperuccelli.Cisonotre
giovanotti seduti in poltrona,
unostaleggendoilgiornalea
vocealta.Quandolovedono,
tutti tacciono. – Cercavo
l’uscita–dice.–Toutdroit!–
grida quello che stava
leggendoilgiornale,agitando
lamano,eriprendelalettura.
Sta leggendo il resoconto di
unaschermagliafrastudentie
gendarmi davanti alla facoltà
di filosofia. Alza la testa e
vede che l’intruso non si è
mosso: – Tout droit, tout
droit! – ordina. I suoi
compagniscoppianoaridere.
Poisiritrovaallecostolela
ragazzina finlandese: – Le
piace ficcare il naso nei posti
piú strani! – commenta
allegramente. Lo prende per
unbraccioeloguidacomeun
cieco, prima giú per un altro
pianodiscaleepoilungoun
corridoio scuro pieno di
scatoloni e di bauli e
finalmente a una porta
sbarrata che apre. Sono sulla
strada, la ragazzina gli tende
lamano:–Alloraabbiamoun
appuntamento–glidice.
–
No.
Quale
appuntamento?
– Aspetti all’angolo della
Gorochovaja sulla Fontanka,
questaseraalledieci.
– Non ci sarò, glielo
assicuro.
– Va bene, non ci sarà. O
forse invece ci sarà. Non ha
affettoperlasuafamiglia?Lei
nonhaintenzioneditradirci,
vero?
Faquelladomandaintono
scherzoso, come se non fosse
comunque in grado di
danneggiarli.
– Perché sa, c’è gente che
sostiene che lei ci tradirà,
malgradotutto–.Continua:–
Dicono che lei è un traditore
nato.Cosanepensa?
Se avesse per le mani un
bastonelacolpirebbe.Macon
la sola mano come si fa a
colpire un corpo cosí
rotondo,cosíottuso?
– Non basta conoscere la
proprianatura,nonèvero?–
Prosegue con aria pensosa. –
Voglio dire che la natura ci
spinge
avanti
indipendentemente
da
quanto ci possiamo riflettere
sopra. A che serve impiccare
una persona, se è cosí? È
come impiccare un lupo
perchéhadivoratopernatura
l’agnello. Impiccarlo non
cambierà la natura dei lupi,
non è vero? Oppure
impiccare l’uomo che tradí
Gesú…nonèservitoaniente,
nonèvero?
– Nessuno l’ha impiccato,
si è impiccato da solo –
ribatte Fëdor Michailovič,
spazientito.
–Falostesso.Nonservea
niente, non è vero? Voglio
dire, che venga impiccato o
ches’impicchidasolo.
Un’intuizione
terribile
comincia a balenargli fra
quelleciance:–ChièGesú?–
chiedesommessamente.
– Gesú? – È il tramonto,
loro due sono le uniche
persone rimaste in quella
strada fredda e vuota. Lei lo
guarda incredula: – Non sa
chièGesú?
– Se dice che io sono
Giuda,chièGesú?
Laragazzinasorride:–Era
solounmododidire–epoi,
rivolta piú che altro a se
stessa: – Non capiscono
niente –. Gli tende di nuovo
la mano: – Alle dieci, alla
Fontanka. Se non ci sarà
nessuno ad aspettarla, vuol
dire che è successo qualche
cosa.
Lui rifiuta la mano e si
avvia per la strada. Dietro di
sé sente bisbigliare una
parola.Nonèchiara,qualcosa
come giudeo o Giuda.
Sospetta che sia proprio
giudeo. Ma è straordinario:
dunque pensano che sia
quellal’originedellaparola?E
perché lo disgustava tanto
l’idea di toccarla? Forse
perché lei può aver
conosciuto Pavel, averlo
conosciuto anche troppo
bene. Avranno le donne in
comune, Nečaev e gli altri?
Difficile immaginare quella
donna posseduta in comune.
È piú probabile che sia lei ad
avere piú uomini, magari
anche Pavel. Lui resiste a
quell’idea,poi,allafine,cede.
Vede la finlandese nuda, in
mezzo a un letto pieno di
cuscini scarlatti, le sue tozze
gambe divaricate, le braccia
aperte a mostrare i seni e il
ventre tondo, priva di peli,
ancora quasi immatura. E
Pavel alle sue ginocchia,
pronto a farsi coprire e
consumaredalei.
Si scuote di dosso quella
fantasia. Fantasia piena di
invidia. Quella di un padre
come un vecchio topo grigio
che s’intrufola nelle scene
d’amore, dopo, per vedere
cos’è rimasto per lui. Seduto
sulcadavere,albuio,sigratta
l’orecchio, rosicchia, ascolta,
rosicchia.Èperquestochegli
scagnozzi
della
polizia
inseguono i liberi giovani di
Pietroburgo con tanto livore,
conMaksimov,ilbuonpadre,
ilgranderatto,allatesta?
Gli torna in mente
l’atteggiamentodiPaveldopo
il suo matrimonio con Anja.
Pavel allora aveva diciannove
anni eppure non voleva
accettare, a nessun costo, che
lei, Anna Grigoreevna,
potesse, da quel momento in
poi, dormire nel letto del
padre. Per tutto l’anno che i
tre trascorsero insieme, Pavel
insistette a far finta che Anja
fosse solo una dama di
compagnia del padre, una
damadicompagnia,comeusa
per le vecchie signore: una
persona che diriga la casa,
ordini il necessario per la
dispensa e si occupi del
guardaroba. Quando a volte,
dopo una partita serale a
carte, Fëdor Michailovič
annunciavachesenesarebbe
andato a letto, Pavel non
permetteva ad Anja di
seguirlo. Allora la sfidava a
una partita di cribbage (Noi
duesoli!)eanchequandolei,
arrossendo,cercavadiritrarsi,
si rifiutava di capire (Non
siamo mica in campagna, le
diceva,nontidevimicaalzare
all’alba per mungere le
mucche!)
Vasemprecosífrapadrie
figli, le battute coprono
semprelepeggioririvalità?Ed
è questa la vera ragione per
cui è disperato? Perché gli è
venuta a mancare la terra
sotto i piedi, la competizione
conilfiglio,eglihasvuotato
lavita?NonèlaVendettadel
Popolo, ma la Vendetta dei
Figli, è questo che sta sotto
alla rivoluzione: l’invidia dei
padri per i figli, per le donne
dei figli, e le trame dei figli
che vogliono rubare gli
scrigni dei padri? Scuote la
testa,stanco.
10.
Latorrediguardia
Rientrando in casa, Fëdor
MichailovičincontraMatrëna
incorridoio.Labambinaèin
unostatodiforteeccitazione:
–Lapoliziaèstataqui,Fëdor
Michailovič, cercano un
assassino!
Il tempo si ferma, lui è
agghiacciato. – Perché mai
dovrebberocercarloqui?–Le
paroleesconodallasuabocca,
ma gli arrivano all’orecchio
debolissime, come parole
lontane pronunciate da
qualcunaltro.
– Cercano dappertutto, in
tuttoilpalazzo!
Anna
Sergeevna
gli
riferisce tutta la storia: –
Stanno interrogando la gente
apropositodiunmendicante
che si aggirava per il
quartiere. Forse l’avrò anche
visto, ma non lo ricordo.
Dicono che si rifugiava in
questopalazzo.
A quel punto potrebbe
rivelarle che Ivanov ha
passato la notte nel suo
appartamento, ma non lo fa.
Invecechiede:–Dichecosaè
accusato?
– La polizia tiene la bocca
chiusa. Matrëša dice che ha
ucciso qualcuno, ma sono
solochiacchiere.
–Nonèpossibile.Conosco
quell’uomo, ci ho parlato a
lungo.Nonèunassassino!
Ma non erano solo
chiacchiere.C’èstatodavvero
un crimine. Il corpo della
vittima,proprioilmendicante
inquestione,èstatoritrovato
in una strada poco lontana
dal palazzo. È questo che
viene a sapere dal portiere e
nerimanescosso.Ivanov,una
di quelle facce che si
intrufolano dappertutto, sul
letto di morte, o sulla tomba,
non uno di quelli che
muoionoperprimi.
– Ma è sicuro che non sia
mortodifreddo?–domanda.
– Perché mai avrebbero
dovutoucciderlo?
– Ah no, è proprio un
omicidio – risponde il
portiere con aria saputa.
Quello che mi stupisce è che
sidianotantodafareperuna
nullitàcomequella.
AcenaMatrënaparlasolo
dell’omicidio.Èeccitatissima,
lebrillanogliocchieleparole
leesconoafiumidallabocca.
Quanto a lui, avrebbe la sua
storia da raccontare, ma per
questo dovrà aspettare fino a
che la madre non avrà
calmatolapiccolaenonl’avrà
messaaletto.
Quando crede che si sia
finalmente
addormentata,
comincia a raccontare ad
Anna Sergeevna il suo
incontro con Nečaev. Parla
piano.Sabenecheilbisbiglio
degli adulti, proibito e
affascinante, può penetrare
nel sonno piú profondo dei
bambini.
Annariconosceilnomedi
Nečaev, ma sembra avere
un’idea molto vaga della
persona. E nondimeno è
pronta a consigliarlo: – Devi
andare
all’appuntamento.
Non ti darai pace fino a che
non saprai che cosa è
veramenteaccaduto.
– Ma so cosa è accaduto,
non ho bisogno di sapere
altro.
Lei
fa
un
gesto
d’impazienza.
La
sua
mancanza di partecipazione
le sembra incomprensibile, la
vede come pura apatia. E lui,
come farà a farle capire? Per
farle capire dovrebbe riuscire
a parlarle con una voce che
viene da sott’acqua, con la
voce argentina di un ragazzo
che supplica dal buio
profondo. – Canta per me,
padre, canta per me, caro
padre! – La voce dovrebbe
materializzarsi e lei dovrebbe
sentirla. E lui, da qualche
parte dentro di sé, dovrebbe
riuscire a trovare non solo
quella voce ma le parole, le
parolevere.Maleparoleogni
tanto gli mancano. Forse, è
come un’illuminazione, forse
lo aspettano in una di quelle
antiche ballate? Ma le ballate
non sono scritte nei libri:
sono chiuse nel petto del
popolo russo, dove lui non
può afferrarle. O forse sono
nelpettodeibambini.
– Pavel non è assetato di
vendetta – dice alla fine,
esitante. – Chiunque l’abbia
ucciso, ormai non conta, la
corda è stata recisa, lui si è
liberato di quella persona. Io
voglio imparare da lui, non
voglio essere avvelenato dal
desideriodivendetta.
Dovrebbe dire di piú, ma
non può. Dovrebbe dire che
Pavelnonhainteresseachesi
racconti la storia della sua
caduta. Che Pavel è
soprattutto solo e che la sua
solitudine ha bisogno di
essereconfortataecullata,che
ha bisogno di rassicurazione,
che non sarà abbandonato
solosottotuttaquell’acqua.
Fra lui e la donna cala il
silenzio. Da domenica è la
prima volta che possono
parlare da soli. Lei ha l’aria
stanca. Le spalle curve, le
mani abbandonate, la gola
segnata dalle rughe. È piú
vecchia di sua moglie, pensa
dinuovol’uomo:nonproprio
di un’altra generazione, ma
quasi.
Vorrebbe
non
doversene rendere conto. È
datroppopocotempocheha
lasciato Nečaev, cosí giovane
nella sua diabolica energia;
tutti i demoni minori del
restosonogiovani.
D’istinto le afferra la
mano.Leiloguardasorpresa.
–Nontistospingendoalla
violenza – dice la donna
lentamente.–Certamentehai
ragione a proposito di Pavel:
noneradinaturavendicativa.
Ma aveva il senso di ciò che
eragiustoediciòchenonlo
era. Vai all’appuntamento.
Cercadiscopriretuttoquello
che riesci a scoprire. O non
avraipiúpace.
Lui ancora tiene la mano
della donna fra le sue. Una
stretta risponde teneramente
allasua.
– La giustizia, – riflette –
che grande parola! Si può
davverosegnareilconfinefra
giustiziaevendetta?–E,visto
cheladonnasembraincapace
di seguirlo: – Non è forse
questal’originalitàdiNečaev?
IlfattodichiamarsiVendetta
delPopoloenonGiustiziadel
Popolo? Almeno in questo è
onesto.
– Davvero? È davvero
questo che la gente vuole
sentirsi dire? Che è la
vendetta che vogliono e non
la giustizia? Io non credo.
Perché la gente dovrebbe
prendere tanto sul serio
Nečaev?Perchémaichiunque
dovrebbeprenderlosulserio?
Uno studente, un giovanotto
eccitabile. Che forza può
averedopotutto?
– Non la forza della vita,
ma certamente quella della
morte. Un bambino può
uccidere proprio come un
uomo,sehainsélospiritodi
morte. E forse ancora una
volta è questa l’originalità di
Nečaevchedàvoceacoseche
non riusciamo neppure a
immaginare dei nostri figli,
che dà voce a qualcosa di
ottuso e di brutale che sta
spazzandolaRussiacomeuna
tempesta.Noicichiudiamole
orecchie, e lui arriva con la
sua ascia e ci costringe a
sentire.
La mano di Anna
Sergeevna,cheprimaeraviva,
improvvisamente è diventata
unacosamorta.Èunadonna
pienadisentimenti,pensalui,
lasciandolelamano.Comela
figlia,eforseanchealtrettanto
fragile.
La vorrebbe abbracciare,
tenerlafralebracciaelenirne
leferite.Dovrebbesmetteredi
parlare a quel modo, un
modocheladisgustaechela
allontana.Manonsmette.
– Dopotutto non è
possibilereclutareseguaciper
la propria causa invocando
uno spirito che è loro
estraneo
o
comunque
indifferente. Nečaev ha un
seguitofraigiovaniperchéin
loro c’è uno spirito che
risponde allo spirito che è in
lui. Naturalmente lui non la
spiega
cosí.
Lui
si
autodefiniscematerialista.Ma
questo è solo un gergo alla
moda.Laveritàècheinluic’è
quello
che
i
Greci
chiamavano il demone. Un
demone parla in lui, ed è la
fontedellasuaenergia.
Ancoraunavoltapensadi
dover smettere, ma quelle
parole aride e letali
continuano a fluire. Sa di
averlaallontanatadasé.
–Lostessodemonedoveva
essere in Pavel, altrimenti
perché mai Pavel avrebbe
risposto al suo appello? È
bello pensare che Pavel non
fosse vendicativo, è bello
pensarebenedeimorti.Maè
solounaformadiadulazione.
Smettiamo
di
essere
sentimentali:
nella
vita
quotidiana era vendicativo
cometuttiglialtrigiovani.Lei
si alza in piedi. Lui crede di
sapere quello che dirà e, sia
pure solo per la forma, è
pronto a difendersi. Dici di
essereilpadrediPavel,maio
noncredocheloami.Èquesto
chesiaspetta.Masbaglia.
– Non so niente di
quell’anarchico,
Nečaev.
Posso solo prendere per
buonoquellochemidici.Ma
piú parli e piú è difficile
capire chi, se tu o Nečaev,
desideri di piú tirare Pavel
dalla parte del partito della
vendetta. Io non sono
nessuno per Pavel, certo non
sono sua madre, ma sento il
dovere, nei suoi confronti e
nei confronti della sua
memoria, di protestare. Tu e
Nečaev dovreste combattere
levostrebattagliesenzatirare
dentrolui.
– Nečaev non è un
anarchico.Èquestolosbaglio
che la gente continua a fare.
Nečaevèqualcos’altro.
– Anarchico, nichilista,
qualunque cosa sia non ne
voglio piú sentire parlare!
Non voglio che l’odio e la
discordia siano introdotti
nella mia casa! Matrëna è già
abbastanza eccitata di suo;
non voglio che sia contagiata
ancora.
– Non è un anarchico e
nonèunnichilista–continua
ostinatamente.
–
Etichettandolo continuerai a
non afferrare la sua unicità.
Lui non agisce in nome di
idee. Lui agisce quando sente
l’azioneprudergliincorpo.È
un sensualista, è un
estremista dei sensi. Vuole
vivere in un corpo ai limiti
dellesensazioni,ailimitidella
conoscenza corporea. È per
questochepuòaffermareche
tutto è permesso, altrimenti
perché
mai
dovrebbe
affermare una cosa del
genere, se non gli fosse cosí
indifferente giustificare se
stesso?
Fa una pausa. Ancora una
volta crede di sapere quello
che la donna vuole dire. O
piuttosto sa quello che vuole
dire, mentre lei non lo sa. E
tu?Seicosídiversotu?
– Perché credi che lui
abbia scelto l’ascia? Se pensi
all’ascia e a quello che
significa… – dice alzando le
mani
in
segno
di
disperazione. Non riesce a
spiegarsi fino in fondo.
L’ascia, strumento della
vendetta popolare, arma del
popolo,dura,rozza,pesantee
senza appello, vibrata con
tuttoilpesodelcorpodietro,
ilcorpoeilpesodiunavitadi
odio e di risentimento
accumulato in quel corpo,
vibrataconunagioiacupa.
Taccionoentrambi.
–Cisonopersonechenon
provano sensazioni in modo
naturale – dice alla fine con
voce pacata. – È questo che
micolpípiúdituttoinSergej
Nečaev la prima volta che lo
vidi.Misembròunuomoche
non avrebbe potuto avere un
rapporto naturale con una
donna, per esempio. E mi
sono chiesto se questa non
potesseessereunadellecause
dei suoi tanti risentimenti.
Ma forse è cosí che le cose
andranno in futuro: le
sensazioni non seguiranno
piú i vecchi sentieri. I vecchi
modi saranno consunti.
L’amoreperesempio,l’amore
saràusurato.Ecosíbisognerà
inventarealtrimodi.
Adesso è lei a prendere la
parola: – Ora basta. Non
voglio continuare a parlare.
Sonolenovepassate.Sevuoi
andare…
Luisialza,fauninchinoe
seneva.
Allediecisitrovasulluogo
dell’appuntamento,
sulla
Fontanka. Un forte vento la
colpisce con rovesci di
pioggia e fa ribollire le acque
del canale. I lampioni
cigolano
striduli
sulla
banchina deserta; l’acqua
gorgoglianellegrondaieenei
fossi.
Si ripara in un portone
sempre piú incerto. Se mi
prendounraffreddore,pensa,
sarà l’ultima goccia. Si
raffredda facilmente. Era cosí
anche Pavel, fin da piccolo.
Chissà se si raffreddava
facilmente anche quando
vivevaconlei?Loaccudivalei
o lo affidava a Matrëna?
Immagina Matrëna che entra
nella stanza con un bicchiere
di tè al limone, che cammina
cautamente per tenere in
equilibrio la tazza; immagina
il sorriso di Pavel, i capelli
scuri sul cuscino bianco,
Pavel che dice con la voce
roca del ragazzo: Grazie
sorellina! La vita di un
ragazzo in tutta la sua
normalità! Con nessuno lí a
spiarlo, abbassa la testa ed
emette un rantolo da bue
malato.
Poialzalatestaesitrovala
ragazzina di fronte, non
Matrëna, ma la finlandese,
che lo scruta perplessa: – Si
sente
male,
Fëdor
Michailovič?
Imbarazzato,
l’uomo
scuoteilcapo.
–Alloraandiamo.
Lo conduce, come temeva
che avrebbe fatto, a ovest,
lungo il canale, verso il molo
diStoljarnijelavecchiatorre
di vedetta. Alzando la voce
per coprire quella del vento,
la ragazzina parla in tono
amichevole: – Lo sa, Fëdor
Michailovič, non si è fatto
onore, parlando del popolo
come ne ha parlato oggi
pomeriggio. Lei ci ha deluso,
propriolei,colsuopassato.In
fondoèstatoinSiberiaperle
sue idee. Noi la rispettiamo
per questo. Perfino Pavel
Aleksandrovič la rispettava.
Non si deve arrendere
proprioora.
–PerfinoPavel?
– Sí, perfino Pavel. Lei ha
soffertoasuotempoeadesso
anche Pavel si è sacrificato.
Lei ha tutto il diritto di
camminareatestaalta.
Sembra che non abbia
alcuna difficoltà a parlare
camminando velocemente.
Quanto a lui ha un dolore al
fianco e respira a fatica: –
Rallentiamo
–
dice
ansimando.
–Elei?–chiedeallafine–
Chenesaràdilei?
–Chenesaràdime?
– Già, anche lei potrà
camminare a testa alta in
futuro?
Si ferma sotto una
lampada
che
oscilla
violentemente al vento. Ha il
viso illuminato a tratti dalla
luce.Sierasbagliatoapensare
che fosse una bambina che
giocava
a
mascherarsi.
Malgrado il corpo tondo e
informe, ora, sotto la
lampada, è visibile la sua
determinazione fredda, di
donna.
–Noncredochestaròqui
ancora a lungo, Fëdor
Michailovič; né io né Sergej
Gennadevič, né gli altri.
QuellocheèsuccessoaPavel
può succedere a tutti noi in
ogni momento, perciò non
scherzi su di noi. Si ricordi
chescherzaanchesuPavel.
Per la seconda volta nello
stessogiorno,senteilbisogno
dicolpirla.Edèchiarochelei
percepisce la sua rabbia e
infattispingeavantiilmento,
come per sfidarlo a colpirla.
Perché è cosí irascibile? Che
cosa gli sta succedendo? Sta
forse diventando uno di quei
vecchi
incapaci
di
controllarsi? O è ancora
peggiodicosíe,oracheilsuo
erede è morto, è diventato
non solo un vecchio, ma un
fantasma,
uno
spirito
rabbiosoesolitario?
La torre sul molo di
Stoljarnij esiste dai tempi
della
costruzione
di
Pietroburgo, ma da tanto
tempononvienepiúusata.E,
anchesec’èancoraunsegnale
che vieta il passaggio, è
diventata un rifugio per i
ragazzi piú audaci dei
dintorni che, attraverso una
scaletta a spirale incassata
nelle mura, salgono su fino
allasaladellafornace,postaa
un’altezza di una trentina di
metrieanchedipiú,finoalla
cimadelcaminodimattoni.
Legrosseportetempestate
di chiodi sono chiuse e
fermate da lucchetti, ma la
piccola porta sul retro è stata
forzata da un pezzo dai
vandali. Nell’ombra di quella
porta c’è un uomo che li
aspetta. Mormora una parola
di saluto alla finlandese e lei
losegue.
Dentro, l’aria puzza di
escrementi e di muffa. Nel
buio alcune voci basse
bisbigliano oscenità. L’uomo
accende un fiammifero e poi
una lampada. Quasi ai loro
piedi ci sono tre persone
avvinghiate sopra un letto di
sacchi.Distoglielosguardo.
Quello con la lampada è
Nečaev. Porta un cappotto
lungoenerodagranatiere.Il
volto è di un pallore
innaturale;
ha
forse
dimenticato di togliersi la
cipria?
–Soffrodivertigini–dice
la finlandese, – perciò vi
aspetterò qui. Lui le farà
vedereilposto.
Dentro la torre c’è una
scala a chiocciola di ferro.
Tenendo alta la lampada,
Nečaev comincia a salire. I
loro passi rimbombano nel
piccolospazio.
–Hannoportatoquassúil
suofigliastro–diceNečaev.–
Forse prima l’hanno fatto
ubriacare per facilitarsi il
compito.
Pavel.Qui.
Continuano a salire. Il
pozzodellatorresottodiloro
èingoiatodall’oscurità.Conta
alla rovescia i giorni che lo
separanodallamortediPavel,
arriva a venti, poi perde il
conto.
Ricomincia,
si
confonde di nuovo. È mai
possibilechesianopassaticosí
tantigiornidaquandoPavelè
salito su per quelle stesse
scale? Perché non riesce a
contarli? I giorni e gli scalini
hanno qualcosa in comune.
Ogniscalinoèunaltrogiorno
sottratto alla somma dei
giorni di Pavel. Un conto
normale e un conto alla
rovescia che procedono
contemporaneamente,
è
questocheloconfonde?
Arrivanoincimaallescale,
suunlargopontediferro.La
suaguidadondolalalanterna.
– Da questa parte – dice,
illuminando
macchinari
arrugginiti.
Ora sono alti sulla
banchina, su di una
piattaforma esterna alla torre
chiusa da una ringhiera che
arrivaall’altezzadellavita.Da
un lato nel muro sono
incassati un meccanismo a
carrucolaeilsostegnodiuna
catena.
All’improvviso il vento
comincia a scuoterli. Lui
prende in mano il cappello e
si aggrappa alla ringhiera,
cercando di non guardare
sotto. Una metafora, si dice,
eccochecos’è,un’altraparola
chespiegailvenirmenodella
coscienza, un non esserci,
un’assenza. Niente di nuovo.
La conosce bene. L’epilettico
lo
conosce
bene
quell’avvicinarsi all’orlo, quel
guardare in fondo, lo
sbandamento dell’anima, il
pensiero che pensa se stesso
pazzamente,all’infinito,come
una campana che suoni a
distesa nella testa: il tempo
finirà,noncisaràlamorte.
Si aggrappa piú forte alla
ringhiera, scuote la testa per
cacciare lo stordimento.
Metafore, che idiozia! C’è la
morte, solo la morte. La
morte non è metafora di
nulla. La morte è la morte.
Non avrei mai dovuto
accettaredivenire.Oraperil
resto dei miei giorni avrò
davanti agli occhi, come
un’allucinazione, i tetti di
Pietroburgo baluginanti sotto
la pioggia e la fila di piccoli
lampionisulmolo.
A denti stretti si ripete le
stesse parole: non dovevo
venire! Ma i non cominciano
a crollare, proprio come era
successo con Ivanov. Non
avrei dovuto venire e perciò
devo stare qui. Non vedrò
nient’altro e perciò vedrò
tutto.Chefolliaèquesta?Che
modomalatodiragionare?
La sua guida ha lasciato
dentro la lanterna e lui sente
con violenza la presenza del
corpo giovane vicino al suo,
un corpo forte, carico di una
forza vibrante, inesausta. In
un qualunque momento
potrebbeafferrarloperlavita
e trascinarlo fino alla
ringhiera, buttarlo giú nel
vuoto. Ma chi lo farà? E chi
saràlavittima?
Si volta lentamente per
guardare in faccia quel
giovane:–SeèverochePavel
è stato portato qui per essere
eliminato – gli dice – la
perdonerò
per
avermi
trascinato fin qui. Ma se
questo è solo un qualche
mostruoso trucco, se è stato
lei a buttarlo giú, l’avverto,
nonsaràperdonato.
Sono a meno di trenta
centimetri di distanza uno
dall’altro.Lalucedellalunaè
coperta e loro sono percossi
da rovesci di pioggia, ma
Fëdor Michailovič è sicuro
che Nečaev è impassibile.
Molto probabilmente ha già
fatto questo stesso gioco, con
tutte le sue varianti, chissà
quante volte; non può dire
nientecapacedisorprenderlo.
Oppure forse è un demone,
che si scuote di dosso le
maledizionicomel’acqua.
–Dovrebbevergognarsidi
parlare cosí. Pavel Isaev era
un nostro compagno. Siamo
stati la sua famiglia quando
nonavevafamiglia.Leiseneè
andato dalla Russia e lo ha
lasciato solo. Non è rimasto
in contatto con lui, è
diventatounestraneoperlui.
E ora si permette di venir
fuori dal nulla e pronunciare
le accuse piú folli contro
l’unica vera famiglia che ha
avuto al mondo –. Nečaev si
stringe nel mantello. – Lo sa
chi mi ricorda? Quei parenti
lontani che arrivano al
funerale con la loro borsa da
viaggio, che saltano fuori dal
nulla a reclamare l’eredità di
qualcunochenonhannomai
visto. Lei è un cugino di
quarto grado, di quinto
grado, per Pavel, non è un
padre, non è neppure un
patrigno.
Èuncolpoterribile.Fëdor
Michailovič cerca goffamente
di scansare Nečaev e
andarsene, ma quello gli
blocca il passaggio: – Non
chiuda le orecchie a quello
che le sto dicendo! Lei ha
abbandonato Isaev e noi
l’abbiamo salvato: come può
crederechepotremmoaverne
causatolamorte?
– Giuralo sulla tua anima
immortale!
Mentre le pronuncia è
colpito
dal
tono
melodrammatico di quelle
parole. E di fatto tutta la
scena: i due uomini su
quell’altapiattaformaallaluce
della luna, in lotta con gli
elementi, urlanti contro il
vento,chesiaccanisconouno
contro l’altro, tutta quella
scena è melodrammatica,
falsa. Ma dove sono le parole
veredadire,quelleacuiPavel
darebbe la sua approvazione,
annuendo, accennando un
lentosorriso?
– Non giuro su quello in
cui non credo! – risponde
Nečaev con freddezza. – Ma
la ragione dovrebbe bastare a
persuaderlachestodicendola
verità.
–EcheneèdiIvanov?La
ragione dovrebbe dirmi che
siete innocenti anche della
suamorte?
–ChièIvanov?
–Ivanoverailnomechesi
era dato quel disgraziato
ingaggiato per controllare il
palazzo dove abito. Dove
abitava Pavel e dove la sua
amicaèvenutaatrovarmi.
– Ah, la spia della polizia.
Quello con cui lei ha fatto
amicizia.Cosaglièsuccesso?
–Èstatotrovatomortoieri
sera.
– E allora? Noi abbiamo
perso un uomo, loro hanno
persounuomo.
– Loro hanno perso un
uomo? Vuole paragonare
IvanovaPavel?Ècosíchefate
iconti?
Nečaev scuote la testa: –
Non ci tiri dentro le
personalità:nonfarebbealtro
che confondere le cose. I
collaboratori hanno tanti
nemici.Ilpopololidetesta.La
morte di questo Ivanov non
mistupisceperniente.
–Neppureioeroamicodi
Ivanov né mi piaceva il suo
lavoro, ma non mi sembrano
buoni motivi per ucciderlo.
Quantoalpopolo,cherazzadi
idiozia!Nonèstatoilpopolo
a farlo fuori. Il popolo non
trama omicidi, e non
nascondelesueorme.
–Ilpopolosaqualisonoi
suoi nemici e non spreca
lacrimesullaloromorte!
– Ivanov non era un
nemico del popolo. Era un
uomo senza un soldo e con
una famiglia da sfamare,
come decine di migliaia di
altri. Se lui non era uno del
popolo,allorachièilpopolo?
– Lei sa bene che il suo
cuore non stava col popolo.
Chiamarlo uno del popolo è
ozioso. Il popolo è fatto di
contadini e di operai; Ivanov
non aveva rapporti col
popolo,noneraneppurestato
reclutato dal popolo. Era un
totale sradicato e per di piú
un ubriacone, una preda
facile da aizzare contro il
popolo. Mi sorprende che un
uomo intelligente come lei
cada in una trappola tanto
ovvia.
– Intelligente o no, non
accetto
questo
modo
mostruoso di ragionare!
Perché mi ha portato in
questoposto?Avevadettoche
mi avrebbe dato la prova
dell’assassiniodiPavel.Dov’è
questa prova? Il luogo stesso
nonmisembraunaprova.
– Certo che non è una
prova. Ma questo è il posto
dove è avvenuto l’omicidio,
un omicidio che potremmo
chiamare
quasi
un’esecuzione, ordinata dallo
Stato.L’hoportataquiperché
possa vederlo con i suoi
occhi. Ora ha avuto la sua
possibilità di vedere; se
continua a non volerci
credere,tantopeggioperlei!
Siaggrappaallaringhierae
guardalaggiú, nel buio senza
fondo. Fra qui e laggiú c’è
un’eternità di tempo in
mezzo, un tempo cosí lungo
che la mente non riesce ad
afferrarlo. Fra qui e laggiú
Pavel era vivo, piú vivo che
mai. La vita raggiunge la
massima intensità durante la
caduta, una consapevolezza
chestraziailcuore.
– Se non ci crede è affar
suo–ripeteNečaev.
Credere, ancora parole.
Che vuol dire credere? Io
credo nel corpo a terra, là
sotto. Credo nel sangue e
nelle ossa. Raccogliere quel
corpospezzatoeabbracciarlo:
questo significa credere.
Credere e amare, la stessa
cosa.
–
Io
credo
nella
resurrezione – dice. Parole
venute da sole, senza
premeditazione. Nella sua
voce non c’è piú quel tono
folle,
enfatico.
Pronunciandole, sentendole
mentre le pronuncia, prova
una gioia subitanea, non
tanto per le parole in sé
quanto per il modo in cui
sono state dette, uscite da lui
come fossero di un altro.
Pavel!pensa.
– Come? – Nečaev gli si
avvicinapersentiremeglio.
–Credonellaresurrezione
delcorpoenellavitaeterna.
– Non è questo che le ho
chiesto–.Ilventoècosíforte
cheilgiovanedeveurlareper
farsi sentire. Il mantello gli
sbatte addosso; si afferra piú
saldamente per tenersi in
piedi.
– Eppure è questo quello
chehodadire!
Anche se è mezzanotte
passataquandorientra,Anna
Sergeevna lo sta aspettando.
Sorpreso
dalla
sua
preoccupazione e anche un
po’ commosso, le racconta
dell’incontro sul molo e delle
parole di Nečaev sulla torre.
Poi le chiede di spiegargli
ancora quello che è successo
lanotteincuiPavelèmorto.
Per esempio, è sicura che
Pavelsiamortosulmolo?
– Questo è quello che mi
hanno detto – risponde lei. –
Cos’altro
avrei
dovuto
credere? Pavel quella sera era
uscitosenzadiredovesarebbe
andato. Il giorno dopo trovai
unmessaggio:avevaavutoun
incidente, dovevo andare
all’ospedale.
–Macomefacevanoloroa
sapere,perinformarti?
–Intascaavevadellecarte.
–Epoi?
– Andai all’ospedale per
identificarlo.Poilofecisapere
alsignorMajkov.
– Ma che spiegazione
hannodato?
– Non mi hanno dato
spiegazioni. Io ho dovuto
darne a loro. Sono dovuta
andare alla polizia per
rispondereallelorodomande:
chi era; dove stava la sua
famiglia; quando lo avevo
visto l’ultima volta; per
quanto tempo aveva vissuto
con noi; chi erano i suoi
amici, e cosí via, all’infinito.
Tutto quello che mi hanno
dettoèstatocheeragiàmorto
quando lo hanno trovato e
che la cosa era successa al
molodiStoljarnij.Equestoè
il messaggio che feci avere al
signorMajkov.Nonsocosati
abbiadettolui.
– Lui ha usato la parola
disgrazia.Nonc’èdubbioche
deve aver parlato con la
polizia. Disgrazia è la parola
che usano per il suicidio. Era
un telegramma, e cosí non
poteva
darmi
troppe
spiegazioni.
– È quello che ho capito
anch’io. Voglio dire, ho
pensato che si trattasse di
questo.Manonhomaicapito
perchél’hafatto,sel’hafatto.
Senza un segno, senza un
indiziodiquellochestavaper
succedergli.
– Un’ultima domanda.
Cosa indossava quella sera.
Aveva addosso qualcosa di
insolito?
–Quand’èuscito?
– No, quando lo hai
visto…dopo.
– Non lo so. Non ricordo.
C’eraunlenzuolo.Nonvoglio
parlarne, ma aveva un’aria
serena;questovogliochetulo
sappia.
Lui la ringrazia, con tutto
il cuore. Cosí finisce la loro
conversazione. Ma una volta
nella sua stanza, Fëdor
Michailovič non riesce a
dormire.
Ripensa
al
telegramma
tardivo
di
Majkov (perché ci aveva
messo tanto?) Era stata Anja
ad aprirlo; era stata Anja a
entrare nel suo studio e a
pronunciare le parole che
ancora stasera gli rintronano
nella testa come campane a
morto, ognuna col suo
pesante rimbombo: – Fedja,
Pavelèmorto!
Luiavevapresoinmanoil
telegramma, lo aveva voluto
leggeredasolo,ederarimasto
a fissare imbambolato quel
foglio giallo, nel tentativo di
far esprimere al francese
qualcosa di diverso da quello
chediceva.Morto.Andatovia
per sempre, dal mondo della
luceallaprigionedelpassato.
Senzaritorno.Eilfuneralegià
fatto. Il conto regolato, il
conto con la vita. Il libro
chiuso.Cartastraccia.
Mésaventure, quella era
statalaparolaincodiceusata
da Majkov. Suicidio. E ora
Nečaev vuole fargli credere
un’altra storia! La sua
tendenza, l’impulso del suo
cuore è a non credere a una
paroladiquantodiceNečaev,
a dare per buona la storia
ufficiale. Ma perché? Perché
detesta Nečaev, la sua
persona, le sue convinzioni?
Perché vuole tenere Pavel,
anche in retrospettiva, fuori
dalle sue grinfie? Oppure le
sueragionisonopiúsporche:
eludere finché può il dovere
difarlucesuifatti,dicercare
giustiziapersuofiglio?
Perché riconosce in sé
un’inerzia della quale la
mortediPavelèsololacausa
immediata.Invecchia,diventa
giorno dopo giorno quello
che certamente sarà, un
vecchio in un angolo con
nient’altro da fare che
ripercorrerelesuesconfitte.
Sonoioquellocheèmorto
e che è stato sepolto, pensa.
Pavel è quello che vive e che
vivrà per sempre. Quello che
orafacciofaticaacapireèche
forma è questa in cui sono
uscitodallatomba.
Ricorda un compagno di
prigioniainSiberia,unuomo
alto,curvoegrigio,cheaveva
violentato la figlia di dodici
anni e dopo l’aveva
strangolata. Dopo la tragedia
era stato trovato seduto
vicinoaunostagnocolcorpo
senzavitafralebraccia.Siera
arreso senza lottare; aveva
solo insistito per portare il
cadavere a casa da solo e per
metterlosuunatavola:etutto
questo, dicevano, sembra
l’avesse fatto con la piú
grande tenerezza. Gli altri
prigionieriloevitavanoecosí
non parlava con nessuno. Le
sere le passava sulla sua
branda con un sorriso
tranquillo in faccia. Muoveva
le labbra come se si ripetesse
il Vangelo. Col tempo si
poteva
pensare
che
l’ostracismo
si
sarebbe
allentato e che il suo
pentimento sarebbe stato
riconosciuto. E invece tutti
continuavano a evitarlo, non
tanto per un crimine
commesso venti anni prima,
quantoperquelsorriso,incui
c’era qualcosa di cosí furbo e
cosí folle che raggelava il
sangue nelle vene. Lo stesso
sorriso,siripetevanoglialtri,
che aveva quando ha
commesso il fatto: niente è
cambiatonelsuocuore.
Perché gli viene in mente
proprio ora quell’immagine
dell’uomo seduto vicino
all’acqua dello stagno con la
bambinamortafralebraccia?
Una bambina troppo amata.
Una bambina divenuta
oggetto di tale intimità che
non può esserle permesso di
sopravvivere.
Violenta
tenerezza, tenera violenza.
L’amore, rovesciato come un
guanto, mostra le brutte
cuciture. E con che cosa è
cucito l’amore? Richiama
ancora alla mente la faccia di
quell’uomo, ne fissa il viso
intensamente,
senza
concentrarsi sugli occhi
socchiusi in una specie di
trance,masullelabbra,chesi
muovono appena. Non
violenza carnale ma voracità:
è questo che dicono? I padri
che divorano i figli; li tirano
su per poi mangiarseli.
Delikatessen.
Forse questo spiega lo
spiritovendicativodiNečaev?
Isuoiocchisisonoapertisui
padri nudi, sul branco dei
padri,contuttiiloroappetiti?
Che tipo d’uomo sarà il
vecchio Nečaev, il padre di
Gennadij?Quandoungiorno
gli arriverà la notizia, che
primaopoigliarriverà,della
morte del figlio, si siederà a
piangere in un angolo o
sorriderà nel segreto del suo
cuore?
Scuote la testa come per
liberarsi da un assalto di
demoni. Cos’è che inquina la
purezzadelsuodolore?Cos’è
che continua a insinuare che
il lutto non sia altro che una
grottesca maschera? Dentro
di lui la verità sembra aver
perso la strada. Come se nel
labirinto del suo cervello, ma
ancheinquellodelsuocorpo,
nelle vene, nelle ossa, negli
intestini, nelle membra, ci
fosse un bambinello disperso
che cerca la luce, che vuole
uscire. Come farà a trovare il
bambino disperso dentro di
sé, come farà a dargli voce
perché possa cantare la sua
tristenenia?
Ilsuonocheescedalleossa.
Gli torna in mente una
vecchialeggenda.Lastoriadi
un giovane ucciso, mutilato,
le sue membra disperse;
quandosoffiailventodalsuo
femore esce una nenia che
ripete il nome degli assassini.
Una dopo l’altra gli tornano
in mente le vecchie leggende,
storie sentite dalla nonna,
storie di cui non capiva il
significato,machehasepolto
dentro di sé senza saperlo,
come ossa seppellite per il
futuro. Un grande ossario di
storiepiúvecchiedellastoria,
costruite e conservate dalla
gente. Che Pavel trovi una
stradadentrodime,chetrovi
il mio femore e lo suoni per
me! Padre, perché mi hai
abbandonato nella foresta
scura?Padre,quandoverraia
salvarmi?
La
candela
davanti
all’icona non è piú che un
piccolo lago di cera. Il
mazzetto di fiori langue.
Dopo aver fatto l’altare la
bambina l’ha dimenticato o
abbandonato.Hacapitoforse
che Pavel ha smesso di
parlargli, che lui ha perso la
strada e che le sole voci che
sente oramai sono quelle dei
demoni?
Tira su lo stoppino,
accende la candela e
s’inginocchia. Gli occhi della
Verginesonoincollatiaquelli
del bambino, che lo guarda
dall’icona, col piccolo dito
alzato,comeadammonirlo.
11.
Lapasseggiata
Durantelasettimanacheè
trascorsadall’ultimoincontro
intimo, fra lui e Anna
Sergeevnasembraesseresorta
una barriera di strano
formalismo. Il suo modo di
fareconluiècosíforzatoche
FëdorMichailovičècertoche
la bambina, che osserva e
ascolta tutto, deve averne
dedotto che la madre vuole
che se ne vada al piú presto
dallalorocasa.
Per chi stanno facendo
questa
sceneggiata
di
indifferenza? Non per loro
stessi di certo. Non può che
essere in nome dei figli, di
quella presente e di quello
assente.Maluihabisognodi
tenerlaancorafralebracciae
non crede di esserle davvero
indifferente. Per quanto lo
riguarda, si sente come un
cane che s’insegua la coda in
circoli sempre piú stretti. Se
avesse
lei
nell’oscurità
protettiva, sente che le sue
membra
potrebbero
sciogliersi e che lo spirito
sarebbe liberato; quello
spiritocheoraèlegatoalsuo
corpo,nellespalle,neifianchi
enelleginocchia.
Alcentrodiquellafamedi
lei, di quel desiderio, c’è
qualcosa che la prima notte
non aveva capito fino in
fondo,macheoraècresciuto,
lavogliadelsuoodore.Come
due animali, lui è attratto da
qualcosa che respira nell’aria
che la circonda: l’odore di
autunno, piú precisamente
l’odore
di
noci.
Ha
cominciato a capire cosa
guida la vita degli animali e
quella
dei
bambini:
l’attrazione o la repulsione
per qualcosa che è diffuso
nell’aria, per una sorta di
alone, di atmosfera. Si vede
sopradilei,abbrancatocome
un leone che scava col muso
fra i peli del collo; sprofonda
ilnasonelleascelle,strofinala
faccianellapelvi.
La porta non è chiusa a
chiave. Non è del tutto
inconcepibile che la bambina
stia aggirandosi per la casa e
che possa coglierlo in uno
stato di… (non gli piace
quella parola, ma è l’unica
giusta) di lussuria. E poi ci
sono
tanti
bambini
nottambuli:potrebbealzarsie
smarrirsi nella sua stanza
senza nemmeno svegliarsi.
Gli
odori
intimi
si
trasmettono di madre in
figlia? Chi ama la madre è
destinato a desiderare anche
la figlia? Pensieri deliranti,
desideri deliranti! Dovranno
esseresepolticonlui,nascosti
a tutti tranne che a uno.
Perché ora Pavel è dentro di
lui, e Pavel non dorme mai.
Può solo pregare perché una
debolezza che un tempo
avrebbe disgustato il ragazzo
oggi non gli strappi altro che
un sorriso, un sorriso
divertitoetollerante.
Forse anche Nečaev,
quando avrà attraversato il
fiume scuro della morte,
smetterà di essere il lupo che
è, e imparerà di nuovo a
sorridere.
Cosí la sera dopo va ad
aspettare Anna Sergeevna,
quando esce dal negozio di
Jakovlev. Attraversa la strada
pregustando il moto di
sorpresacheavrànelvederlo:
– Vogliamo fare una
passeggiata?–propone.
Lei si stringe alla gola lo
scialle scuro: – Non so,
Matrënamistaràaspettando.
E
comunque
si
incamminano. Il vento si è
calmato, l’aria è fredda e
pungente.Intornoaloronella
strada c’è un gradevole
affaccendarsi. Nessuno li
nota. Potrebbero essere
maritoemoglie.
Leiportaunacestachelui
leprende.Glipiaceilmodoin
cui cammina: a passi lunghi,
conlebracciaincrociatesotto
ilpetto.
–Prestodovròandarmene
–ledice.
Leinonrisponde.
Il problema di sua moglie
aleggiadiscretamentefraloro.
Alludendo alla sua partenza,
Fëdor Michailovič ha la
sensazione di essere uno
scacchista: ha spostato una
pedina che, presa o lasciata,
non può che portarli a
maggiori complicazioni. I
rapporti fra uomini e donne
sonosemprecosí?C’èsempre
uno che trama e un altro ai
cui danni si trama? E questo
tramare fa parte del piacere:
essere oggetto dell’intrigo di
unaltro,esserecondottiinun
angoloecostrettidolcemente
a capitolare? E mentre gli
cammina a fianco anche lei
forsetramacontrodilui?
– Sto solo aspettando che
l’inchiesta faccia il suo corso.
Non ho neppure bisogno di
fermarmi fino alla sentenza.
Quellochevogliosonolesue
carte. Tutto il resto non ha
importanza.
– E poi ritornerai in
Germania?
–Sí.
Sono arrivati all’argine.
Quandoattraversanolastrada
lui la prende sottobraccio.
Fiancoafiancosiappoggiano
alparapettosull’acqua.
– Non so se devo odiare
questacittàperquellocheha
fatto a Pavel, o se devo
sentirmiancorapiúlegatoper
questo.Perchéoraèlacasadi
Pavel.Nonlalasceràpiú,non
farà piú i viaggi che voleva
fare.
– Che stupidaggini, Fëdor
Michailovič – risponde la
donnaconunsorrisoappena
accennato. – Pavel è con te.
Seitulasuacasa.Luièneltuo
cuore,vienecontedovunque
tu vada. Chiunque se ne
rende conto –. E gli tocca il
pettoconlamanoguantata.
Lui si sente sobbalzare il
cuore, come se le dita della
donna lo avessero toccato
dentro il petto aperto.
Civetteria, di questo si tratta,
oppure di un gesto sgorgato
dal cuore? Stringerla fra le
braccia sarebbe la cosa piú
naturaledelmondo.Sachele
sta mangiando la bocca ben
disegnata con gli occhi, le
labbrasucuiancoraaleggiail
sorriso.Daquellosguardolei
non si ritrae. Non è una
giovinetta; non è una
bambina. Lo guarda a sua
volta.OltreilcorpodiPavel,i
due si lanciano le loro sfide.
Unpensierobalena:sesololui
non fosse qui! Poi svanisce
dietrol’angolo.
Da
un
venditore
ambulante
comprano
crocchette di pesce per la
cena. Matrëna apre la porta,
maappenavedechelamadre
è in compagnia se ne va.
Durante la cena è di umore
insopportabile e insiste
perché la madre ascolti tutta
la storia confusa di una lite
avuta con una compagna di
classe. Quando lui interviene
per difendere blandamente
l’altra bambina, Matrëna
grugnisce e non lo degna di
unarisposta.
Ha sentito qualcosa
nell’aria, lui lo sa, e adesso
cerca di recuperare la madre.
E perché no? È suo diritto.
Eppure se solo lei non fosse
qui!Questavoltanonreprime
il pensiero; se non ci fosse la
bambina non sprecherebbe
un’altra parola. Spegnerebbe
la luce e nel buio loro due si
troverebbero ancora una
volta. Potrebbero avere il
grande letto, il letto della
vedova, il letto che non ha
visto il corpo di un uomo
da… di quanto tempo aveva
parlato?daquattroanni.
Ha una visione di Anna
Sergeevna, cruda nella sua
sensualità. La sottogonna
tiratasulescopreilseno.Lui
sta sdraiato fra le sue gambe,
strettofralesuecoscelunghe
e bianche. Lei ha la faccia
rivoltaaltrove,gliocchichiusi
e respira affannosamente. È
luil’uomoconcuistafacendo
l’amore, eppure vede tutta la
scena dal fondo del letto. È
una visione dominata dalle
sue cosce: le afferra con le
mani,selestringesuifianchi.
–Avanti,finisciquelloche
hainelpiatto–diceallafiglia.
–Nonhofame,mifamale
lagola–piagnucolaMatrëna.
Giocherellaancoraunpo’col
cibo nel piatto, poi lo
allontana.
Lui si alza. – Buona notte,
Matrëša. Spero che ti sentirai
megliodomani–.Labambina
non risponde. Lui se ne va,
lasciandola padrona del
campo.
Oracapiscedadovegliera
venutaquellavisione.Dauna
cartolina comprata anni
primaaParigiepoidistrutta,
insiemeatuttalacollezionedi
soggetto erotico, quando si è
sposato con Anja. Una
ragazza con i lunghi capelli
nerisottoaunuomocoibaffi.
AMORE ZIGANO, diceva la
didascaliaagrandilettere.Ma
le gambe della ragazza della
cartolina erano grassocce, la
carne flaccida, il viso rivolto
verso l’uomo (che si reggeva
rigidamente sulle braccia)
privodiespressione.Lecosce
diAnnaSergeevna,dell’Anna
Sergeevna del suo ricordo,
sonopiúmagre,piúforti.Nel
modo in cui si stringono c’è
qualcosa di risoluto che lui
attribuisce al suo non essere
piú una bambina, ma una
donnaadulta,avida.Adultae
perciò aperta (è questa la
parola che gli si ripropone)
alla morte. Un corpo pronto
all’esperienza, perché sa che
non vivrà per sempre. È un
pensiero che lo eccita e al
tempo stesso lo turba. A
quelle cosce non importa chi
stringono; visto da un luogo
imprecisato,sopraeinfondo
alletto,l’uomodellacartolina
èenonèlui.
Sul cuscino trova una
lettera.Perunfollemomento
pensa che sia di Pavel, che
l’ha fatta arrivare di nascosto
inquellastanza.Malagrafiaè
infantile. «Ho cercato di
disegnare
Pavel
Aleskandrovič–dice(ilnome
è scritto male) ma non mi è
venuto bene. Se vuole, può
metterlosull’altare.Matrëna».
Dietro c’è il disegno un po’
imbrattato di un giovane con
la fronte alta e le labbra
carnose. È un disegno rozzo,
la bambina non sa fare i
chiaroscuri,eppurelelabbrae
soprattutto lo sguardo ardito
sonodiPavel.
– Sí, – mormora – lo
metterò sull’altare –. Porta
l’immagine alle labbra, poi la
appoggia al candelabro e
accendeun’altracandela.
Sta ancora fissando la
fiammella quando, un’ora
dopo, Anna Sergeevna bussa
alla porta. – Ho qui la
biancheria–dice.
–Entra,siediti.
– No, non posso. Matrëna
è agitata, credo che non stia
bene–.Peròsisiedesulletto.
– Ci tengono d’occhio
questifiglinostri.
–Tengonod’occhio?
– Controllano la nostra
moralità.Citengonoseparati.
Èunsollievochenoncisia
iltavolodapranzoasepararli.
Anche la luce morbida della
candelaèdolce.
– Mi dispiace che devi
partire,maforsesaràunbene
per te lasciare questa città
triste. Un bene anche per la
tua famiglia. Gli mancherai.
Anchelorotimancheranno.
– Sarò un altro. Mia
moglie non mi riconoscerà.
Oppure
penserà
di
conoscermi e sbaglierà.
Prevedo tempi duri per tutti.
Io penserò a te. Ma in che
veste? Questo è il problema.
Anche mia moglie si chiama
Anna.
– Io mi chiamavo cosí
primadilei–.Èunarisposta
tagliente, non scherzosa. Di
nuovo capisce che se ama
quella donna è perché non è
giovane. Ha oltrepassato una
linea alla quale sua moglie
non si è ancora avvicinata.
Puòesserglipiúomenocara,
macomunqueglièpiúvicina.
L’impulso erotico lo
riafferra, piú forte di prima.
Unasettimanaprimastavano
stretti in quello stesso letto.
Come può essere che lei ora
noncipensi?
Si china e le mette una
mano sul fianco. Con la
biancheria in grembo la
donnachinalatesta.Luilesi
fa piú vicino. Le prende il
collofrapolliceeindice,attira
ilvisoasé;leialzagliocchisu
di lui, per un attimo Fëdor
Michailovič ha la sensazione
diaveredifrontegliocchidi
un
gatto,
sospettoso,
appassionato,ingordo.
–Devoandare–mormora.
Sidivincolaescappa.
Ladesidera,èundesiderio
acuto.Eperdipiúnonvuole
averla in quel lettino ma nel
grande letto da vedova, nel
letto della stanza accanto. La
immagina adesso, sdraiata
accanto alla figlia, con gli
occhi aperti e luccicanti. Lei
appartiene a un tipo di
donna, solo ora se ne rende
conto,auntipodidonnache
nonhamaidescrittoneisuoi
libri. Le donne che ha
conosciutononsonoprivedi
una loro intensità, ma è
un’intensità epidermica, fatta
di nervi. Le loro sensazioni
sono intense, elettriche,
immediate, di superficie. In
lei invece ha conosciuto un
corpochesanguina,uncorpo
viscerale, che prova le
sensazioniinprofondità.
È un tratto che può essere
trasportato,ocoltivato,anche
nellealtredonne?
In sua moglie? Si tratta di
una sensazione che ora potrà
ritrovareanchenellealtre,ora
chel’hascopertainlei?
Cheslealtà!
Sefossepiúsicurodelsuo
francese potrebbe scaricare
quest’eccitamento che lo
turbainunodiqueilibriche
è impossibile pubblicare in
Russia,qualcosachepotrebbe
scrivere di furia, in due o tre
settimane, anche senza un
copista, dieci segnature,
trecento pagine. Un libro
notturnoincuirappresentare
tutti gli eccessi, senza limite
alcuno.Unlibrochenessuno
gli attribuirebbe mai. Il
manoscritto verrebbe spedito
daDresdaaPaillard,aParigi.
Verrebbe
stampato
clandestinamente
e
lo
venderebbero sotto banco
sulla Rive Gauche. Memorie
di un nobile russo. Un libro
che lei, Anna Sergeevna, la
sua vera ispiratrice, non
vedrebbe mai. Con un
capitolo in cui il nobile
memorialista legge ad alta
voce
alla
figlioletta
dell’amante la storia della
seduzione di una bambina di
cui lui stesso si rivela sempre
di piú come il protagonista.
Unraccontopienodidettagli
intimi e di allusioni, che non
seduceaffattolabambina,che
anzi la spaventa e le agita il
sonnoelesuscitatantidiquei
tormenti sulla sua purezza
chetregiornidopo,disperata,
gli si offre, nel modo piú
vergognoso, in un modo in
cui
nessuna
bambina
potrebbeimmaginarelastoria
della propria seduzione e del
propriocedimento.
Memorie
immaginarie.
Memoriedell’immaginazione.
È questa la risposta alla
domanda che si è posto? È
questo che vuole concedersi?
Scrivereunlibrodelmale.Ea
che scopo? Per liberarsi dal
male o tagliare i ponti con il
bene?
Neppure per un attimo di
quell’interminabile
fantasticheria(lacasaormaiè
piombata nel silenzio) gli è
passato per la testa Pavel. E
ora ecco che torna, pallido,
lamentoso, in cerca di un
posto dove poggiare il capo.
Povero figlio! Che tripudio
dei sensi avrebbe potuto
godere, la sua eredità
strappata!Sdraiatonellettodi
Pavel, non può reprimere un
brividocupoditrionfo.
In genere di mattina resta
padrone dell’appartamento.
Ma oggi Matrëna non è
andata a scuola; ha le guance
accese e una tosse secca, fa
fatica a respirare. Con lei in
giro per casa Fëdor
Michailovič non riesce a
concentrarsi e a scrivere. Si
ritrova a spiare il rumore
sordo dei suoi piedi nudi sul
pavimento della stanza
accanto. In certi momenti
giurerebbe di avere i suoi
occhiconficcatinellaschiena.
A mezzogiorno il portiere
porta un messaggio. Lui
riconosce subito la carta
grigia e il sigillo rosso.
L’attesa è finita: gli viene
ordinatodirecarsinell’ufficio
del Consigliere giudiziario
investigativo, P.P. Maksimov
in relazione all’affare P.A.
Isaev.
Da via Sečnoj va alla
stazione ferroviaria per fare
una prenotazione, e da lí
prosegue per il posto di
polizia. L’anticamera è piena
zeppa. Dà il suo nome al
sergenteall’ingressoeaspetta.
Rintoccanolequattroquando
ilsergenteappoggialapenna,
si stiracchia, abbassa la luce
della lampada e comincia a
mandar via quelli che ancora
aspettano.
– Come sarebbe? –
protestaFëdorMichailovič.
– È venerdí. Il venerdí si
chiude
prima.
Torni
domattina.
Alle sei si trova davanti al
negozio
di
Jakovlev.
VedendololíAnnaSergeevna
si agita: – Matrëša? – chiede
allarmata.
– Dormiva quando sono
uscito. Sono passato in
farmacia e ho preso qualcosa
per la sua tosse –. Tira fuori
unabottigliettamarrone.
–Grazie.
– Mi hanno chiamato di
nuovoallapoliziaperlecarte
diPavel.Sperochedomattina
l’affare sarà concluso una
voltapertutte.
Camminano in silenzio.
Anna Sergeevna sembra
preoccupata. – C’è una
ragione particolare per cui ti
premonoquellecarte?
–Mistupiscechetumelo
chieda. Cos’altro ha lasciato
Pavel? Non c’è niente al
mondoaltrettantoimportante
permeora.Quellecartesono
lesueparoleperme–.Epoi,
dopounapausa:–Sapeviche
stavascrivendounracconto?
– Scriveva racconti. Sí, lo
sapevo.
– Quella a cui sto
pensando era la storia di un
condannato,
riuscito
a
fuggire.
– No, quella non la
conosco.Avolteleggevaame
e a Matrëša quello che stava
scrivendo,persentirecosane
pensavamo. Ma non ricordo
lastoriadiuncondannato.
– Non sapevo che ce ne
fosseroaltri.
– Oh sí, racconti e anche
poesie, ma quelle si
vergognava di leggercele. La
polizia deve averle prese
quandohapresotuttoilresto.
Sono stati a lungo nella sua
stanza a rovistare. Non te
l’avevo detto. Hanno perfino
tirato su le assi di legno del
pavimento e ci hanno
guardato sotto. Hanno preso
tutti i pezzi di carta che
hannotrovato.
– È cosí che Pavel passava
iltempo?Scriveva?
Leiglilanciaun’occhiata:–
Comecredevichelopassasse?
Fëdor Michailovič non ha
larispostapronta.
– Con un padre scrittore
cosa ti aspettavi? – continua
lei.
– La scrittura non è un
carattereereditario.
–Nonloso.Forseno.Ma
nonèdettochevolessefarela
professione dello scrittore.
Forseerasolountentativodi
avvicinarsiasuopadre.
Lui fa un gesto di
esasperazione. Io lo avrei
amatosenzaracconti!pensa,e
invece dice: – Non c’è
bisogno di guadagnarselo
l’amorediunpadre.
Lei esita prima di
riprendere a parlare: – Ti
devo avvertire di una cosa,
Fëdor Michailovič. Pavel
aveva costruito una specie di
mito di suo padre, di
Aleksander Isaev voglio dire.
Non ne parlerei se non
temessi che ne troverai le
tracce nei suoi scritti. Devi
capire:ifigliamanomitizzare
igenitori.AncheMatrëna…
– Mitizzare Isaev? Isaev
eraunubriacone,unanullità,
uncattivomarito.Suamoglie,
la madre di Pavel, alla fine
nonlosopportavapiú.Senon
fosse morto prima, lei lo
avrebbelasciato.Comesifaa
mitizzare una persona del
genere?
–Vedendoloattraversoun
velo,naturalmente.Pavelnon
avrebbe potuto vedere te
attraverso un velo perché gli
eritroppovicino.
–Perchéeroiochedovevo
educarlo, un giorno dopo
l’altro.Iolohoadottatocome
figlio,quandotuttiglialtrilo
avevanoabbandonato.
– Non esagerare. I suoi
genitori non lo avevano
abbandonato, erano morti.
Inoltresetuaveviildirittodi
sceglierlo come figlio, perché
luinonavrebbedovutoavere
quellodiscegliersiunpadre?
– Perché avrebbe potuto
trovare qualcosa di meglio di
Isaev! È diventata una
malattia dei nostri tempi,
questadeigiovanichevoltano
le spalle ai padri, alle loro
case, alla loro educazione,
perché non sono piú di loro
gusto! Niente li soddisfa,
sembra. Vorrebbero solo
essere figli e figlie di Stenka
RazinodiBakunin!
– Questo non ha senso:
Pavel non è scappato di casa.
Seituchehailasciatolui.
Fra loro cala un silenzio
pieno
di
risentimento.
Quando arrivano a via
Gorochovaja lui si scusa e se
neva.
Facendo su e giú per
l’argine, continua a pensare
alleparoledelladonna.Senza
dubbio ha lasciato emergere
unaspettovergognosodisée
ora ce l’ha con lei che ne è
stata testimone. Al tempo
stesso si vergogna di tanta
meschinità. È stretto in un
dilemma morale che oramai
gli è divenuto familiare, in
verità cosí familiare che non
gli dà piú neppure fastidio e
per questo risulta ancora piú
vergognoso. Ma c’è anche
qualcos’altro
che
lo
preoccupa, come la punta di
unchiodochecominciafarsi
sentire attraverso la suola
dellascarpa,qualcosachenon
havogliadidefinire.
C’è ancora tensione
nell’aria quando rientra
nell’appartamento.Matrënasi
è alzata dal letto e si è messa
addosso il cappotto della
madre sopra la camicia da
notte,maipiedisonosempre
scalzi.–Miannoio!–protesta
piagnucolosa. Non fa caso a
lui,eanchesesisiedeatavola
con loro si rifiuta di
mangiare.Intornoaleic’èun
odore penetrante, ha il
respiroaffannosoeditantoin
tanto veri attacchi di tosse. –
Dovresti startene a letto, mia
cara – azzarda timidamente
Fëdor Michailovič. – Non ha
il diritto di dirmi cosa devo
fare;nonèmicamiopadre!–
ribatte subito la ragazzina. –
Matrëša! – esclama la madre
con tono di rimprovero. – È
vero, non è tuo padre, –
conclude poi e scivola in un
silenziocaricodipensieri.
Lui si è già ritirato nella
sua stanza quando Anna
Sergeevna bussa alla sua
porta. Fëdor Michailovič si
alza senza far rumore: –
Come sta? – chiede a bassa
voce.
– Le ho dato un po’ della
medicina che hai comprato e
misembrachesisiacalmata.
Non dovrebbe alzarsi, ma è
testarda e io non sono in
grado di oppormi. Sono
venuta a scusarmi per quello
che ho detto prima. E per
sapere i tuoi programmi di
domani.
–Nondeviscusarti.Èstata
colpa mia. Ho prenotato un
posto per domani sera, ma
posso
cambiare
la
prenotazione.
–Perché?Avrailecartedi
Pavel
domani.
Perché
cambiare la prenotazione?
Perché fermarsi piú a lungo
del necessario? Non vorrai
mica diventare l’eterno
pensionante, vero? È il nome
diunlibro,osbaglio?
– L’eterno pensionante?
No,noncheiosappia.Tuttii
programmi
si
possono
cambiare, anche quello di
domani. Niente è definitivo,
ma in questo caso il
cambiamentonondipendeda
me.
–Edachiallora?
–Date.
– Da me? Assolutamente
no. I tuoi programmi
dipendono solo da te, io non
c’entro niente. È meglio
salutarsi ora, domattina non
ti vedrò perché devo alzarmi
presto, è giorno di mercato.
Lascia pure la chiave sulla
porta.
Allora ci siamo, pensa.
Inspira profondamente e si
sente la testa vuota. Da quel
vuoto comincia a parlare,
arrendendosi alle parole che
gli vengono fuori spontanee,
incontrollate.
–Sultraghetto,quandomi
hai portato sulla tomba di
Pavel,–dice–hoosservatote
e Matrëna appoggiate al
parapetto che guardavate
nella nebbia (ricordi che
nebbia quel giorno?) e mi
sono detto: «Lei te lo
riporterà. Lei è – sospira
profondamente
–
una
traghettatricedianime».Non
eraquellalaparolachepensai
quel giorno, ma ora so che è
laparolagiusta.
La donna lo guarda con
ariainespressiva,mentreluile
prendelamano.
– Lo rivoglio – le dice. –
Deviaiutarmi,vogliobaciarlo
sullabocca.
Mentre dice quelle parole
nesentetuttalafollia;ècome
se entrasse e uscisse dalla
follia,comeunamoscavicina
aunafinestraaperta.
Lei si è irrigidita, è pronta
a scappare. Lui le stringe la
manopiúforte,trattenendola.
– Questa è la verità. È
questo che penso di te: credo
chePavelnonsiaarrivatoqui
percaso;erascrittochedaqui
sarebbe stato condotto…
nellanotte.
Crede solo in parte a
quellochedice.Glitornaalla
mente il ricordo, scollato,
frammentario, di un quadro
visto da qualche parte: una
donna vestita di un austero
abito scuro vicina a una
finestra.Accantohalafigliae
tutte e due guardano il cielo
stellato.
Ancora
piú
vividamentedelquadrostesso
ricordalevolutedellacornice
dorata.
Lamanodileièinertefra
lesue.
– È in tuo potere –
continua, inseguendo le
parolecomesegnaliluminosi,
per
vedere
dove
lo
porteranno. – Tu lo puoi
riportare indietro, per un
minuto,unosolo!
Ricorda come gli era
sembratadisidratata,laprima
volta che l’aveva vista. Come
una mummia: ossa secche
avvolte in un sudario, ridotte
in polvere al minimo
contatto. Quando riprende a
parlare, Anna Sergeevna dice
con voce stridula: – Lo ami
tanto che certamente lo
rivedrai.
Lui lascia andare la sua
mano, lei la ritrae come una
catena di ossa. Non mi
prendere in giro! vorrebbe
dirle.
– Tu sei un artista, un
maestro,–continualadonna
–staate,noname,ridarglila
vita.
Maestro. È una parola che
lui associa al metallo, alle
lame da temperare, alle
campane da fondere. Un
mastro ferraio, un mastro
fonditore. Maestro di vita: è
unastranaespressione.Malui
èprontoarifletterci,èpronto
ad accogliere qualunque
parola,anchelapiústrana,la
piú obsoleta, nella speranza
che possa essere un
anagrammadiPavel.
– Io non sono affatto un
maestro – dice. – C’è
un’incrinatura dentro di me.
Che si può fare con una
campanafessa?Unacampana
fessanonsipuòaggiustare.
Quellochediceèvero.Ma
intantoglivieneinmenteche
una delle campane della
cattedrale della Trinità di
Sergiev è incrinata dai tempi
di Caterina, anzi da prima.
Non hanno mai pensato di
toglierla e fonderla: tutti i
giornisisentesuonareincittà
elagentelachiamalagamba
dilegnodisanSergio.
Ora c’è una nota di
esasperazione nella sua voce:
– Ti capisco, Fëdor
Michailovič, ma devi pensare
che non sei il primo genitore
chehapersounfiglio.Pavelè
vissutoventidueanni.Pensaa
quanti bambini muoiono
piccoli.
–Eallora?
– Allora renditi conto che
subireunaperditaèlanorma
enonl’eccezione,echieditise
stai piangendo Pavel o te
stesso.
Perdita. Il gelo della
distanza cala fra di loro. – Io
non l’ho perso, lui non è
perduto – risponde a denti
stretti.
Anna Sergeevna si stringe
nelle spalle. – Se non è
perduto devi scoprire dov’è.
Certononèinquestastanza.
Lui si guarda intorno.
Quelle ombre che ballano in
un angolo sono forse la
traccia del respiro dell’ombra
delfantasmadiPavel?–Non
si vive in un posto senza
lasciarvi qualcosa di sé –
mormora.
– No, certo che si lascia
sempre qualcosa. È questo
che dicevo oggi pomeriggio.
Maquellochehalasciatonon
èinquestastanza.Luiseneè
andato da qui, non è qui che
lo troverai. Parla con
Matrëna, fai pace con lei
prima di partire. Lei e tuo
figlio erano molto vicini. Se
halasciatounsegnodietrodi
sé,quelsegnoèsudilei.
–Esudite?
– Gli volevo molto bene,
Fëdor Michailovič. Era un
ragazzo buono e generoso. Il
fatto di essere tuo figlio non
gli ha facilitato la vita. Era
solo, insicuro, doveva lottare
per trovare la sua strada. Io
menerendevoconto,manon
sono della sua generazione,
non poteva parlare con me
come faceva con Matrëna.
Loro due potevano essere
bambini insieme –. Esita, poi
riprende: – Avevo la
sensazione, penso di poterlo
dire visto che ci stiamo
parlando apertamente, che il
bambino in lui fosse stato
soffocato troppo presto,
prima che avesse avuto il
tempodigiocare.Nonsoseci
hai mai pensato; forse no.
Ancora mi stupisco della tua
indignazione per una cosa
cosí futile come la sua
abitudinedialzarsitardi.
–Cosatistupisce?
– Non so, mi sarei
aspettatapiúsimpatiaperuna
cosa del genere da parte tua,
da parte di un artista. Certi
bambini sognano di notte,
altri aspettano il mattino per
cominciare
a
sognare.
Bisogna pensarci due volte
prima di svegliare un
bambino che sogna. Quando
Pavel stava con Matrëna
poteva dare spazio al
bambino che era in lui. Ora
sono contenta che ne abbia
avuto la possibilità, contenta
che questa cosa non gli sia
mancata.
Gli ritorna alla mente
l’immagine di Pavel a sette
anni, con il cappotto grigio a
quadretti, i copriorecchi e gli
stivali troppo larghi per lui,
Pavel che galoppa nella neve,
gridando
euforico.
Nell’angolo
di
quell’immagine
c’è
qualcos’altro che si muove,
qualcosa
che
Fëdor
Michailovičallontana.
– La prima volta che ci
siamovisti,ioePavel,èstato
a Semipalatinsk, quando lui
aveva già sette anni. Non gli
feci simpatia. Ero lo
sconosciuto con cui lui e sua
madre sarebbero andati a
vivere. Ero quello che gli
portavavialamadre.
Suamadre,lavedova.Lui,
ilfigliodellavedova.
L’immagine che aveva
cercato di allontanare e che
continua a riproporglisi
mentre parla è una sorta di
troll, un piccolo essere
deforme, con i capelli rossi e
labarbarossa,nonpiúaltodi
un bambino di tre o quattro
anni.Pavelcontinuaacorrere
egridarenellaneve,abattere
leginocchiapergioco.Iltroll
se ne sta da una parte e
guarda. Porta una giacchetta
color ruggine corta e senza
maniche aperta sul collo e
nonsembrasentirefreddo.
… È difficile per un
bambino…–AnnaSergeevna
sta dicendo qualcosa che lui
nonriesceaseguiredeltutto.
Chi è quello strano essere?
Scruta piú da vicino la sua
faccia e ha un sussulto
quandoloriconosce.Lapelle
butterata, le cicatrici come
bozzi duri e lividi nel freddo,
la barba fina fina che esce
dalle cicatrici, è Nečaev
ancora
lui,
Nečaev
rimpicciolito, in Siberia, sulla
pista dei primi anni di suo
figlio! Che vuol dire quella
visione?Glisfuggeungemito
e Anna Sergeevna taglia
subito corto, offesa. – Mi
dispiace–siscusa.Maormai
l’ha offesa. – Sono sicura che
avraidafarelevaligie–dice,
esenevamentreluicontinua
ascusarsi.
12.
Isaev
Viene introdotto nello
stessoufficiodoveerastatola
primavolta.Mailfunzionario
alla scrivania non è
Maksimov. Senza presentarsi
l’uomoglifasegnodimettersi
seduto. – Il suo nome? –
chiede.
– Credevo di dover
incontrare il Consigliere
Maksimov – dice dopo aver
dettoilsuonome.
–
Dopo,
dopo.
Occupazione?
–Scrittore.
– Scrittore? Che genere di
scrittore?
–Scrivolibri.
–Chegeneredilibri?
–Racconti.Romanzi.
–Perbambini?
– No, non proprio per
bambini. Ma spero che i
bambinipossanoleggerli.
–Nientediindecente?
– Niente di indecente? –
Riflette. – Niente che possa
offendere un bambino – dice
allafine.
–Bene.
– Ma il cuore ha le sue
pieghe buie – aggiunge
riluttante. – Non sempre ce
nerendiamoconto.
Per la prima volta l’uomo
alza gli occhi dalle carte. –
Che cosa intende dire? – È
piú giovane di Maksimov,
forseèilsuoassistente.
–Niente.Niente.
L’uomoappoggialapenna.
– Passiamo a occuparci della
morte di Ivanov. Lei lo
conosceva?
–Noncapisco.Credevodi
essere stato chiamato in
relazione alle carte di mio
figlio.
– Ogni cosa a suo tempo.
Torniamo a Ivanov. Quando
lohaconosciuto?
– Gli ho parlato per la
prima volta circa una
settimana fa. Bighellonava
sulla porta della casa dove
attualmenteabito.
–ViaSečnoj63.
– Via Sečnoj 63. Faceva
molto freddo e gli ho offerto
unriparonellamiastanza.Ci
hapassatolanotteeilgiorno
dopohosentitoparlarediun
omicidiodicuierasospettato.
Solodopo…
– Ivanov sospettato?
Sospettato di omicidio? Ho
capito bene? Lei credeva che
Ivanov fosse un assassino? E
perché?
– Per favore, mi lasci
finire! Si era sparsa una voce
del genere nel palazzo,
oppure la bambina che me
l’hariferitaavevacapitomale.
Nonsocomestesserolecose.
Ma che importanza ha, visto
che quell’uomo è morto?
Sono rimasto sorpreso e
orripilato all’idea che uno
come lui fosse stato ucciso.
Erainnocuo.
– Ma non era quello che
sembrava,nonèvero?
–
Vuol
dire
un
mendicante?
– Ecco, non era un
mendicante,nonlepare?
–Inuncertosensono,ein
uncertosensosí.
– Lei non è chiaro. Vuole
sostenere che non aveva idea
del compito di Ivanov? È per
questochesièstupito?
– Mi sono stupito che
qualcuno abbia messo a
repentaglio la sua anima
immortale per uccidere una
nullitàinnocuacomelui.
Il funzionario lo guarda
con aria sardonica: – Una
nullità, è questa la sua parola
diamorecristianoperlui?
In quel momento entra
Maksimovdigranfuria.Sotto
il braccio ha un mucchio di
fascicoli legati da nastri rosa.
Li butta sulla scrivania, tira
fuori il fazzoletto e comincia
adasciugarsilafrontesudata:
– È cosí caldo qui dentro! –
bofonchia e poi, rivolto al
collega:–Grazie,haifinito?
Senza dire una parola
l’altro raccoglie le sue carte e
se ne va. Sospirando e
asciugandosi
la
faccia,
Maksimov si siede alla
scrivania: – Mi dispiace
davvero, Fëdor Michailovič.
Comunque,
quanto
al
problema delle carte del suo
figliastro,purtroppodovremo
trattenere la lista di persone
che vanno, come dicono i
nostri amici, liquidate. Sono
certo che concorderà con me
che è meglio che quella lista
non giri perché non farebbe
altro che seminare il panico.
Inoltre dovrà entrare a far
parte del dossier contro
Nečaev. Tutte le altre carte
sono sue, noi abbiamo finito
di esaminarle, ne abbiamo,
percosídire,estrattoilmiele.
– Comunque, prima di
passargliele,vorreipregarladi
unacosa,semifaràl’onoredi
ascoltarmi. Se mi fossi posto
nella pura e semplice
posizione dell’ufficiale di
polizia, che l’ha incontrata
per motivi di lavoro, le
consegnerei queste carte
senzaulterioricommenti.Ma
in questo caso non sono solo
un funzionario, sono anche,
semipermettelaparola,una
persona
animata
da
benevolenza
nei
suoi
confronti.Einquantotaleho
forti riserve sull’opportunità
di consegnarle queste carte.
Mi lasci spiegare queste
riserve.Ilproblemaèchelesi
preparano scoperte dolorose,
dolorose e niente affatto
necessarie.
Se
volesse
accettare il mio umile
consiglio, io potrei indicarle
alcuni passi particolarmente
imbarazzanti, sui quali
farebbe bene a sorvolare. Ma
naturalmente, conoscendola
come la conosco, cioè nel
modo in cui un lettore
conosceunoscrittoredaisuoi
libri,unmodomoltointimoe
al tempo stesso molto
limitato, temo che i miei
sforzi sortirebbero solo
l’effetto contrario, quello di
accendere la sua curiosità.
Perciò mi lasci dire solo due
parole: non me ne voglia per
aver letto queste pagine
(dopotutto è il compito
affidatomi dalla Corona) e
non se la prenda con me per
aver previsto correttamente
(se cosí sarà) la sua reazione.
Amenodigrossenovità,ioe
lei non ci vedremo piú. Non
c’è motivo per cui lei non
possa dirsi che ho smesso di
esistere, allo stesso modo in
cui un personaggio di un
libro si può dire che cessi di
esistere una volta chiuso il
libro stesso. Per quanto mi
riguarda può star certo che
sarò una tomba. Nessuno
sentirà una parola da me a
proposito di questo episodio
imbarazzante.
Cosí dicendo Maksimov,
usando solo il medio della
mano destra, spinge il
fascicolo sulla scrivania, il
fascicolo sorprendentemente
altodellecartediPavel.
Fëdor Michailovič lo
prende, si alza e fa per
andarsene,quandoMaksimov
aggiunge:–Semièpermesso,
vorrei trattenerla un altro
minuto a proposito di un
altroproblema…nonleèper
caso capitato di contattare
Nečaev o la sua banda qui a
Pietroburgo?
Ivanov! Nečaev! Ecco la
ragione per la quale è stato
convocato!Pavelelesuecarte
e tutto il balletto contrito di
Maksimov erano solo una
scusa, uno specchietto per le
allodole!
– Non vedo che cosa
c’entri la sua domanda –
risponde freddamente – né
con che diritto si aspetti o
pretendadameunarisposta.
– Nessun diritto, per
carità!
Si
tranquillizzi,
nessuno la sta accusando.
Solo una domanda. Quanto
allasuaattinenzacredevoche
non
fosse
difficile
immaginarla. Avendo parlato
conmedisuofiglio,pensavo
che le risultasse piú facile
parlare di Nečaev. Perché
l’altra volta ho avuto
l’impressione che le sue
parole avessero un doppio
senso. Che ciascuna ne
nascondesse dietro un’altra.
Chenepensa,misbagliavo?
– Quali parole, cosa c’era
dietro?
–Questostaaleidirmelo.
–Sisbaglia.Nonparloper
enigmi. Ogni parola che uso
vuol dire quello che dice.
PavelèPavel,nonèNečaev.
Detto ciò si volta e se ne
va. Maksimov non lo
richiama.
Passando per le strade
della Moskovskaja arriva col
suopaccoalnumero63divia
Sečnoj e sale su per le scale
fino al terzo piano e alla sua
stanza,dovesichiude.
Scioglie i nastri col cuore
che
gli
martella
dolorosamente in petto. Non
puònegarechenellasuaansia
ci sia qualcosa di ripugnante.
È come se fosse tornato
adolescente, ai pomeriggi
lunghieafosi,nellastanzadel
suo amico Albert, passati a
sbirciare i libri sfilati dagli
scaffali della biblioteca dello
ziodiAlbert.Lostessoterrore
diesserecoltoconlemaninel
sacco(unterroreamodosuo
eccitante), lo stesso totale
trasporto.
Ricorda Albert quando gli
aveva
mostrato
l’accoppiamento di due
mosche. Il maschio cavalcava
la femmina. – Guarda – gli
aveva detto – e aveva stretto
fra le dita un’ala dell’insetto;
tirando appena, l’ala era
venuta via e la mosca non se
n’era neppure accorta. Allora
gli aveva strappato l’altra e la
mosca,oracosíbizzarrasenza
le ali, aveva continuato,
ignara.Conun’espressionedi
disgusto Albert aveva allora
buttato per terra la coppia di
insettiel’avevaschiacciatacol
piede.
Poteva immaginare di
fissare gli occhi della mosca
mentre le venivano strappate
le ali: era sicuro che non
avrebbero registrato nulla,
forse non avrebbero visto
neppure lui che li guardava.
Era come se, durante l’atto,
l’anima del maschio fosse
colata dentro la femmina.
Quel pensiero l’aveva fatto
rabbrividire, avrebbe voluto
distruggere tutte le mosche
dellaterra.
Unarispostainfantileaun
atto che non comprendeva,
un atto che temeva perché
tutti
intorno
a
lui,
bisbigliando e ammiccando,
sembravano alludere al fatto
che anche lui, un giorno
avrebbe dovuto farlo. – Non
lofarò,nonlofarò!–ansima
ilragazzino.–Nonfaraicosa?
– rispondono i presenti,
sbarrando improvvisamente
gliocchi,confusi:–Accidenti,
madicheparlaquestostrano
ragazzino?
Nel fascicolo c’è un diario
rilegato in pelle, cinque
quaderni,unaventinadifogli
spillati insieme, un pacco di
lettere legate con una
cordicellaequalchepamphlet
stampato:testidiBlanquiedi
Išutin, un saggio di Pisarev.
Lastranezzaèunestrattodel
De Officiis di Cicerone, in
traduzionefrancese,contesto
a fronte. Sull’ultima pagina è
stato scritto, con una grafia
chenonconosce,Saluspopuli
supremalexesto, e sotto, con
inchiostro piú chiaro, Talis
paterqualisfilius.
Un messaggio? Messaggi?
Madichieperchi?
Prende il diario e, senza
leggere,scorrelepaginecome
fosserounmazzodicarte.La
seconda metà è vuota. Ma
comunque la parte scritta è
sostanziosa. Guarda la prima
data: 29 giugno 1866,
onomasticodiPavel.Ildiario
dev’essere stato un regalo. Di
chi?Nonriescearicordare.Il
1866loricordasoloinquanto
è stato l’anno di Anja, l’anno
incuiavevaincontratolasua
futura moglie e se ne era
innamorato.Il1866,unanno
in cui Pavel era stato
ignorato.
Scorre quelle pagine come
se si trattasse di un piatto
bollente, sta in guardia,
pronto a ritrarsi. Comincia a
leggere dall’inizio. È il
resoconto,
piuttosto
elaborato, della giornata di
Pavel. Il lavoro di un
memorialistaalleprimearmi.
Non ci trova accuse né
denunce. Chiude il diario,
sollevato.Quandorientreròa
Dresda,sidice,eavròtempo,
loleggeròtutto.
Le lettere sono tutte sue.
Apre la piú recente, l’ultima,
prima della morte di Pavel.
«Mando cinquanta rubli ad
Apollon Grigorevič – legge –
è il massimo che ci possiamo
permettere al momento. Per
favorenoninsistereconA.G.
per averne di piú. Devi
imparare a vivere contando
suituoimezzi».
Le sue ultime parole per
Pavel,echeparolemeschine!
Questo
aveva
visto
Maksimov! Non c’è da
stupirsi che l’avesse avvertito
dinonleggere!Chevergogna!
Vorrebbe bruciare quelle
lettere,cancellarledallastoria.
Cercailraccontodelquale
Maksimov gli aveva letto un
brano. Maksimov aveva
ragione: il protagonista,
Sergej, il giovane eroe
deportato in Siberia per aver
condotto
una
rivolta
studentesca,nonregge.Mala
storia è piú lunga di quanto
Maksimov gli aveva fatto
credere. Per giorni e giorni
dopo aver ucciso il padrone
malvagio, Sergej e Marfa
fuggono
dalla
polizia,
nascondendosi nei fienili e
nelle stalle, protetti dai
contadinichelinascondonoe
li nutrono e oppongono alle
ricerche
della
polizia
un’ottusità piena di stupore.
In principio i due dormono
fianco a fianco, da casti
compagni; poi nasce l’amore,
un
amore
reso
con
sentimento,
con
partecipazione. Pavel sta
chiaramente preparando una
scena di passione. C’è una
pagina,
pesantemente
cancellata, in cui Sergej
confessa a Marfa, con lo stile
ardente degli scritti giovanili,
che ormai è diventata
qualcosa di piú di una
compagna di lotta, che gli ha
presoilcuore.Alsuopostoè
stata inserita una sequenza
molto piú interessante in cui
il ragazzo racconta la storia
della
sua
adolescenza
solitaria, senza fratelli e
sorelle, e del suo impaccio
conledonne.Ilbranofinisce
conMarfachebalbettalasua
confessione d’amore: «Tu
puoi,puoi…»,dice.
Ritorna su quel passo.
«Non ho genitori – dice
SergejaMarfa.–Miopadre,il
mioveropadre,eraunnobile
esiliato in Siberia per le sue
simpatie rivoluzionarie. Morí
quando io avevo sette anni e
mia madre si risposò. Al suo
nuovo marito non piacevo.
Appena
fui
grande
abbastanza mi spedí in un
collegiopercadetti.Eroilpiú
piccolodellaclasse;èlícheho
imparato a lottare per i miei
diritti. In seguito loro
tornarono a Pietroburgo,
misero su casa e mi
mandarono a prendere. Poi
mia madre morí e io rimasi
solo col mio patrigno: un
uomocupocheraramentemi
rivolgevalaparola.Erosolo,i
miei unici amici erano fra i
servi, è da loro che ho
scoperto le sofferenze del
popolo».
Nonprivodifondamento,
eppurecomedistortoadarte!
– Non gli piacevo! – Si
potrebbe simpatizzare con la
solitudine del ragazzino di
sette anni e provare il
desiderio
sincero
di
proteggerlo,macomeamarlo
cosí sospettoso com’era,
sempre col muso, sempre
incollato alla madre come
l’edera, pronto a protestare
appena lei si allontanava un
momento? Come amare un
ragazzino che la notte
chiamavalamammadallasua
stanza, per sei volte di fila,
perché andasse a schiacciare
lazanzaracheloinfastidiva?
Chiude il manoscritto. Il
padre, un nobile. Ah,
davvero! Povero bambino!
Come era piú prosaica la
verità,etuttalaveritàancora
piú meschina. Ma chi
vorrebbe registrare tutta la
prosaica verità, chi a parte
l’angelo custode? Cerca di
ricordare se a ventidue anni
anche lui scriveva con
altrettantapartecipazione.
C’è una cosa terribilmente
importante che vorrebbe dire
echeilragazzononpotràmai
sentire. Se hai il dono della
scrittura, ricordati da dove ti
vienequeldono.Scriviperché
sei stato solo da bambino,
perché non sei stato amato.
(La storia però non è andata
cosí, vorrebbe aggiungere, tu
sei stato amato, saresti stato
amato, è stata una tua scelta
non esserlo. Che confusione!
Uno
scimmione
all’armonium avrebbe tirato
fuori qualcosa di meglio!)
Non è la pienezza che ci fa
scrivere, ma l’angoscia, la
mancanza. In fondo al cuore
sonosicurochelosai!Quanto
altuocosiddettoveropadree
alle
sue
simpatie
rivoluzionarie, sono tutte
idiozie! Isaev era un
impiegato, uno scribacchino.
Se fosse vissuto e tu lo avessi
emulato, saresti diventato un
impiegato anche tu, non
avresti mai scritto questo
racconto(Sí, sí, sente la voce
acuta del bambino, ma sarei
vivo!)
Giovanottivestitidibianco
che giocano al croquet,
croixquette, al gioco francese
delle crocette, e tu sul prato
verde fra loro! Povero
ragazzo! Per le strade di
Pietroburgo, nel volgersi di
unatestaqui,nelgestodiuna
mano là, ti vedo, e tutte le
volte il cuore si gonfia come
un’onda. Sei dovunque e da
nessuna parte, strappato e
disperso
come
Orfeo.
Giovane, chryseos, dorato,
felice.
Il compito che mi è stato
affidato: raccogliere i tesori e
mettere insieme le membra
disperse. Poeta, suonatore di
lira,incantatore,signoredella
resurrezione, è questo il mio
compito. E la verità? Spalle
rigideecurvesuunascrivania
e il dolore di un cuore che
battelentamente.Uncuoredi
tartaruga.
Sono arrivato troppo tardi
per sollevare il coperchio del
sepolcro, troppo tardi per
baciarti la fronte fredda e
liscia. Se le mie labbra,
sensibilicomeipolpastrellidi
un cieco, avessero potuto
sfiorarti almeno una volta,
non avresti lasciato il mondo
con quel rancore per me. Ma
teneseiandatovia,colnome
di Isaev e io, vecchio uomo,
vecchio pellegrino, resto qui,
ti seguo a distanza, inseguo
un’ombra viola sul grigio,
un’eco.
Ecomunqueiosonoquie
papà Isaev non c’è. Se
annegando
dovessi
raggiungere Isaev, afferrerai
solo la mano di un fantasma.
Nella città di Semipalatinsk,
nei fascicoli pieni di polvere
finiti in uno scatolone nel
sottoscala,forseancorasipuò
leggere la sua firma;
nient’altro. Di lui non resta
altra traccia che in questa
memoria, nella memoria di
unuomochehaaccoltolasua
vedovaesuofiglio.
13.
Lamaschera
L’affare Pavel è chiuso.
Non c’è piú niente che lo
trattenga a Pietroburgo. Il
treno parte alle otto, per
martedípotràesseredinuovo
con sua moglie e suo figlio a
Dresda. Ma piú si avvicina
l’ora della partenza piú gli
sembrainconcepibilel’ideadi
togliere
le
immagini
dall’altare,spegnerelecandele
e lasciare la stanza di Pavel a
unosconosciuto.
Eppure se non parte ora
quando partirà? L’eterno
pensionante: dove aveva
pescato quella definizione
Anna Sergeevna? Per quanto
tempo può andare avanti ad
aspettare un fantasma? A
menocheilsuorapportocon
la donna non cambi, non
cambi completamente… ma
allora cosa succederebbe con
suamoglie?
Lasuamenteètravoltada
un vortice, non sa che cosa
vuole, sa solo che le otto di
sera incombono su di lui
comeunacondannaamorte.
Cerca il portiere e dopo
infinitecontrattazioniriescea
mandare un fattorino alla
stazione perché sposti la
prenotazionealgiornodopo.
Quando rientra è stupito
ditrovarelastanzaapertacon
dentro qualcuno, una donna
chedàlespalleallaportaesta
ispezionando l’altare. Per un
attimo immagina, pieno di
sensi di colpa, che sia sua
moglie, venuta a Pietroburgo
acercarlo.Poicapiscedichisi
tratta e dalla gola gli sfugge
un grido di protesta: Sergej
Nečaev, col vestito blu e il
cappellino con cui l’aveva
vistoinprecedenza.
In quel momento entra
ancheMatrëna;primachelui
riesca a parlare, la bambina
prende l’iniziativa: – Non si
spia la gente alle spalle in
questomodo!–esclama.
– Ma che cosa ci fate voi
duenellamiastanza?
– Abbiamo almeno gli
stessi diritti… – comincia a
dire lei con irruenza, ma
Nečaevlainterrompe.
– Qualcuno ha portato la
polizia sulle nostre tracce –
dice. Poi fa un passo verso
FëdorMichailovičeaggiunge:
–Sperononsiastatolei.
Sotto il profumo di
lavanda si percepisce l’odore
asprodelsudoremaschile.La
cipria sul collo è percorsa da
rivoletti e sotto comincia a
spuntarelabarba.
– È un’accusa spregevole,
davverospregevole.Loripeto:
che cosa state facendo nella
mia stanza? – Poi si volta
verso Matrëna: – E tu per di
piú sei malata, dovresti
startenealetto!
Ignorandolo, la ragazzina
tirafuorilavaligiadiPavel:–
Gli ho detto che poteva
prendereilvestitodiPavel–.
E poi, prima che l’altro
replichi: – Certo che può.
Pavel l’aveva comprato con i
soldi suoi e Pavel era amico
suo!
Aprelavaligia,tirafuoriil
vestito bianco – Eccolo! –
dicecontonodisfida.
Nečaev dà un’occhiata
velocealvestito,poilospiega
sul letto e comincia a
sbottonarsi.
–
Vorrei
delle
spiegazioni…
–Nonc’ètempo.Miserve
ancheunacamicia.
Sfilalemanicheeilvestito
glicadeaipiedi,luirimanelí
davanti a loro con la
biancheriadicotonesporcae
gli stivaletti di vernice nera.
Non porta calzettoni e ha
gambemagreepelose.
Matrëna, neppure sfiorata
dall’imbarazzo, comincia ad
aiutarlo a mettersi gli abiti di
Pavel. Fëdor Michailovič
vorrebbe protestare, ma cosa
dire ai giovani quando si
tappano le orecchie e
stringono le fila contro i
vecchi?
– Che ne è della
finlandese? Come mai non
c’e?
Nečaev s’infila la giacca; è
troppo lunga e le spalle sono
troppolargheperlui.Nonha
il fisico prestante di Pavel,
nonèaltrettantobello.Fëdor
Michailovič
prova
un
disperato orgoglio per il
figlio. Perché è morto lui e
nonquest’altro?
– L’ho dovuta lasciare, –
diceNečaev–eraimportante
filareviavelocemente.
– In altre parole l’ha
abbandonata –. E poi, prima
che l’altro possa rispondergli:
– Si lavi la faccia, sembra un
pagliaccio.
Matrëna sgattaiola via e
ritorna con uno straccio
bagnato. Nečaev se lo passa
sullafaccia.–Anchelafronte
– suggerisce la bambina. –
Daiqua–glitoglielostraccio
di mano e glielo passa sulle
sopracciglia impastate di
cipria.
Sorellina. Chissà se faceva
lo stesso anche con Pavel?
Qualcosaglistringeilcuore;è
invidia.
– Pensa davvero di
sfuggire alla polizia vestito
comeunsignoreinvacanzaal
mareinpienoinverno?
Nečaev non fa caso alla
battuta. – Ho bisogno di
soldi,–dice.
–Damenonneavrà.
Nečaev si rivolge alla
bambina:–Haisoldi?
Leicorreviaesisenteche
trascinaunasedianellastanza
accanto. Ritorna con un
barattolopienodimonete.Le
rovesciasullettoecominciaa
contare. – Non bastano –
brontola
Nečaev
ma
comunque aspetta. – Cinque
rubli e quindici copechi –
annunciaMatrëna.
–Meneservonodipiú.
– Allora vada per strada a
chiederli. Da me non li avrà.
Vada per strada e chieda la
caritàinnomedelpopolo.
Iduesifissanoconodio.
–Perchénonvuoledarglii
soldi? – dice la bambina. –
LuièamicodiPavel!
–Nonhosoldidadargli.
– Questo non è vero! Alla
mamma ha detto di avere
tanti soldi; perché non gliene
dà
la
metà?
Pavel
Aleksandrovič gliene avrebbe
datalametà.
Pavel e Gesú. – Non ho
maidettounacosadelgenere.
Nonhotantisoldi.
– Avanti, fuori i soldi! –
Nečaev lo prende per un
bracciocongliocchiaccesidi
furore. Ancora una volta
sente l’odore della paura
addosso a quel giovane.
Audace ma spaventato:
pover’uomo!
Poi,
con
determinazione, chiude il
cuore alla pietà: – Non ci
pensonemmeno!
– Perché è cosí meschino?
– grida Matrëna piena di
disprezzo.
–Nonsonomeschino.
– Certo che è meschino!
Lo era con Pavel e ora lo è
con i suoi amici! È pieno di
soldimalitienituttipersé–.
Si rivolge a Nečaev. – Lo
pagano migliaia di rubli per
scrivere libri, ma lui li tiene
tutti per sé. È proprio vero,
melohadettoPavel!
– Che sciocchezza, Pavel
noncapivanientedisoldi.
– Invece è vero, Pavel ha
guardatoneicassetti,havisto
isuoiconti.
– Accidenti a lui! Pavel
nonsacomesileggeunlibro
contabile, ci vede solo quello
checivuolevedere!Hoavuto
per anni e anni da pagare
debiti
che
neppure
v’immaginate!–Poi,rivoltoa
Nečaev: – Questa è una
conversazione ridicola. Non
hosoldidadarleepensoche
dovrebbe andarsene via di
qui,immediatamente.
Ma Nečaev non ha piú
fretta. Sorride perfino. –
Tutt’altro
che
una
conversazione ridicola! –
dice. – Al contrario, molto
istruttiva.
Ho
sempre
sospettatocheilveropeccato
dei padri, quello che non
confessano mai, sia l’avidità.
Vogliono tenere tutto per sé.
Non mollano i cordoni della
borsa nemmeno quando è
giuntal’ora.L’unicacosaacui
tengono è la borsa, non
importa a quale prezzo. Io
non volevo credere a quello
che mi raccontava il suo
figliastroperchéavevosentito
dire che era un giocatore e
credevo che i giocatori non
desseroimportanzaaldenaro.
Ma c’è un’altra faccia del
gioco, non è vero? Lei deve
far parte di quella specie di
giocatori che giocano perché
non sono mai soddisfatti,
voglionoaveresempredipiú.
Èun’accusaridicola.Pensa
adAnjaaDresda,checalcola
il centesimo per vestire e
nutrire il figlio. Pensa ai suoi
colletti delle camicie rivoltati
e ai buchi nei calzini. Pensa
alle lettere che ha scritto a
Strachov e Kraevskij, a
Lijubimov, a Stellovskij, un
anno dopo l’altro, tutti
esercizidiautomortificazione,
incuimendicavaunanticipo.
Dostoevskij l’avare, che
assurdità! Infila la mano in
tasca e tira fuori gli ultimi
rubli. – Questi – dice
mettendoli sotto il naso di
Nečaev – questi sono tutto
quellocheho!
Nečaev
guarda
con
freddezza la mano tesa e poi,
con un solo, veloce
movimento,acchiappaisoldi,
tutti tranne una moneta che
rotola sotto il letto. Matrëna
situffaaraccoglierla.
Lui cerca di recuperare i
soldi, prova perfino ad
azzuffarsi col giovanotto, ma
Nečaev lo tiene facilmente a
distanza e al tempo stesso fa
scomparireisoldinellatasca.
– Calma, calma, calma Fëdor
Michailovič… – mormora
Nečaev.–Losocheinfondo
infondo,perilbenediPavel,
me li vuole dare –. Fa un
passo indietro lisciandosi il
vestito,comepermostrarsiin
tuttoilsuosplendore.
Che poseur! Che ipocrita!
Proprio la Vendetta del
Popolo! Eppure non può
negarecheunaspeciedigioia
gli si sta insinuando nel
cuore; l’allegria del marito
spendaccione.Certochesono
episodi vergognosi quei suoi
attacchi di prodigalità. Certo,
quando torna a casa spoglio
dituttoeconfessaallamoglie
e china la testa e sopporta i
suoi rimproveri e giura che
noncicascheràpiú,èsincero.
Ma in fondo al cuore, sotto
quellasincerità,dovesoloDio
vede, sa di avere ragione,
mentre lei ha torto. I soldi
esistono per essere spesi, e
qualemododispenderlièpiú
purodelgioco?
Matrëna stende la mano
con la moneta da cinquanta
copechi sul palmo. Sembra
nonsapereachidarla.Fëdor
Michailovič
accenna
a
Nečaev.–Dallaalui,luineha
bisogno –. Nečaev intasca la
moneta.
Bene, è fatta. Ora è il suo
turno. Ora tocca a lui
assumere il ruolo della virtú
priva di mezzi e a Nečaev
tocca abbassare la testa e
subire i rimproveri. Ma che
cosa ha da dire? Niente,
proprioniente.
E a Nečaev non interessa
piúaspettare.Staarrotolando
ilsuovestitoblu.
– Nascondilo da qualche
parte – dice alla bambina –
non qui, da qualche altra
parte –. Le passa anche il
cappelloelaparrucca,infilail
fondo dei calzoni negli
stivaletti,sibuttasullespalleil
mantello e si batte la fronte
con aria sbadata: – Ho perso
troppo tempo – borbotta. –
Ha per caso…? – Afferra un
berretto di pelliccia dalla
sediaesidirigeversolaporta.
Poisiricordaqualcosaetorna
indietro: – È una persona
interessante,
Fëdor
Michailovič. Se avesse una
figlia dell’età giusta non mi
dispiacerebbe
sposarla.
Sarebbe
una
ragazza
eccezionale, ne sono certo.
Ma il suo figliastro era
diverso, non le somigliava
affatto.Nonsoseavreisaputo
cosafarmene,nonaveva…lei
mi capisce, non aveva quello
checivuole.Almenoquestaè
lamiaopinione,perquelche
vale.
–Echecosacivuole?
– Era un po’ troppo
santarellino. Fate bene ad
accenderglilecandele.
Parlando ha continuato a
muovere la mano sopra la
candela, facendo agitare la
fiamma. Poi mette un dito
direttamentesopralafiamma
e ce lo tiene. I secondi
passano: uno, due, tre,
quattro, cinque. La sua
espressione non cambia,
sembraintrance.
–Èquestocheglimancava
–dicetogliendolamanodalla
candela
–
era
una
femminuccia.
Prende Matrëna e la
stringe fra le braccia. La
bambina
risponde
all’abbraccio senza riserve,
abbandonandogli la testa
biondasulpetto.
–Wachsam,wachsam!–le
bisbiglia complice e, sopra la
sua testa, mostra il dito
bruciatoaFëdorMichailovič.
Poiscompare.
Gli ci vuole un po’ per
capireilsensodiquellestrane
sillabe. Anche dopo aver
riconosciuto la parola si
chiede cosa significhi. In
guardia,inguardiapercosa?
Matrënacorreallafinestra,
si sporge per guardare la
strada. Gli occhi le si
riempiono di lacrime fugaci,
ma è troppo eccitata per
essere triste. – Ce la farà? –
domanda e poi, senza
aspettarerisposta:–Èmeglio
che vada con lui? Potrebbe
fingersi cieco e io potrei
guidarlo – ma è solo un’idea
passeggera.FëdorMichailovič
èinpiedidietrodilei.Ormai
è quasi buio e comincia a
cadere la neve; presto la
madresaràacasa.
–Tipiace?–lechiede.
Leiannuisce.
– Una vita movimentata,
eh?
Lei lo ascolta appena. Che
confronto ingiusto! Come
può pretendere di competere
con questi uomini giovani,
che emergono dal nulla e
scompaiono
nel
nulla,
circonfusi di avventura e di
mistero?
Vite
davvero
movimentate. È lei che
dovrebbe stare davvero in
guardia.
– Perché ti piace cosí
tanto,Matrëša?
– Perché è il migliore
amicodiPavelAleksandrovič.
– Ne sei sicura? – ribatte
pacatamente. – Io credo di
essere il migliore amico di
Pavel Aleksandrovič. Io
continueròaesseresuoamico
quando tutti gli altri lo
avrannodimenticato.Iosono
suoamicoperl’eternità.
Matrëna si stacca dalla
finestra e lo guarda
stranamente; è sul punto di
dire qualcosa, ma che cosa?
LeièsoloilpatrignodiPavel
Aleksandrovič? Oppure: non
miparliconqueltono?
Siscansaicapellidalviso,
conungestocheormaiFëdor
Michailovič riconosce come
un segno di imbarazzo e
prova a passare sotto il suo
braccio, ma lui la blocca con
decisione. – Debbo… debbo
andareanascondereivestiti–
bisbiglialabambina.
Lui indugia ancora un po’
perché lei percepisca la
propria impotenza. Poi si
sposta. – Buttali nella latrina
–ledice–nessunociandràa
guardare.
– Dentro, nella… – ripete
leistorcendoilnaso.
–Sí,dammiretta.Oppure
dalliameetornatenealetto.
Lo farò io per te. Non per
Nečaev,perte.
Avvolge i vestiti in un
asciugamanoescivolagiúper
le scale, fino alla latrina. Poi
però ci ripensa. Vestiti
insieme agli escrementi
umani.
E
se
avesse
sottovalutatoitrasportatoridi
bottini?
Si rende conto che il
portiere lo sta osservando e
allora si dirige apposta verso
la strada. Poi si accorge di
essere uscito senza cappotto.
Risale su per le scale e
s’imbatte
in
Amalija
Karlovna, la vecchia del
primopiano.Leiglitendeun
piattodibiscottiallacannella
comeperdargliilbenvenuto.
–Buongiorno,signore–dice
tutta
cerimoniosa.
Lui
borbotta un saluto e
l’oltrepassadicorsa.
Checosastacercando?Un
buco, una crepa, in cui far
scomparire e dimenticare il
fagottocheadessoèdiventato
cosíostinatamentesuo.Senza
motivoapparenteèdiventato
come una ragazza con un
figlietto nato morto o un
assassino
con
un’ascia
insanguinata. Dentro gli
monta di nuovo una gran
rabbia contro Nečaev. Perché
metto in pericolo la mia vita
perte? vorrebbe urlare, – per
techenonseinessunoperme!
Maormaiètroppotardi.Dal
momentoincuihapresoquel
fagottodallemanidiMatrëna
sièverificataunasvolta,non
c’èmododitornareindietro.
In fondo al corridoio, in
una stanza vuota, c’è un
mucchio di gesso e di detriti.
A malincuore comincia a
farci un buco dentro con la
punta dello stivale. Un
operaio smette di spalare e
dalla porta aperta lo fissa
diffidente.
AlmenononhaIvanovalle
calcagna. Ma forse Ivanov è
giàstatorimpiazzato.Chisarà
la nuova spia? Forse
quell’operaio, o forse il
portiere?
S’infila il fagotto sotto il
braccio e si dirige di nuovo
perstrada.Ilventoècomeun
muro di ghiaccio. Al primo
angolo gira, poi gira ancora.
Haimboccatolastessastrada
senza uscita dove aveva
trovato il cane. Ora non c’è
nessun cane. Chissà se è
morto la sera in cui l’ha
abbandonato?
Appoggia il fagotto in un
angolo. I ricci, fissati al
cappello, sbattono al vento
con un effetto comico e
sinistroaltempostesso.Dove
avràtrovatoiricciNečaev,da
una delle sue sorelle? Quante
sorellineavrà,tutteansiosedi
sacrificare le loro chiome di
verginiperlui?
Toglie le forcine e cerca
invano di strappare il
cappello, poi lo acciacca e lo
ficcaneltubodiscaricoacui
era legato il cane. Cerca di
fare la stessa cosa col vestito
mailtuboètroppostretto.
Senteglisguardiconficcati
nella schiena. Si gira e vede
duebambinicheloguardano
da una finestra del secondo
pianoedietrodilorol’ombra
diunapersonapiúalta.
Cerca di tirare il cappello
fuori dal tubo, ma non riesce
ariprenderlo.Maledicelasua
stupidità. Col tubo otturato
l’acqua comincerà a uscire
dalla grondaia. Qualcuno
indagherà e troverà il
cappello.Chimaiandrebbea
ficcareuncappelloinuntubo
di scarico se non un
colpevole?
Gli torna in mente ancora
unavoltaIvanov.Ivanov:quel
nome è stato ripetuto
talmente tante volte che si è
accomodatosudiluicomeun
cappello. Ivanov è stato
ucciso,maluinonportavaun
cappello,ocomunquenonun
cappello da donna. Allora il
cappello non può essere
collegatoaIvanov;mad’altra
parte non avrebbe potuto
essere il cappello indossato
dall’assassino di Ivanov? È
cosí facile per una donna
uccidere un uomo, adescarlo
per una stradina, farsi
abbrancicarecontrounmuro
e poi, durante l’orgasmo,
cercargli le costole e ficcargli
lo spillone del cappello nel
cuore. Uno spillone da
cappello non sparge sangue e
lascia solo la traccia di una
trafittura
d’ago.
Si
inginocchia nell’angolo dove
ha buttato gli spilloni del
cappello, ma è troppo buio
per trovarli. Gli servirebbe
una candela, ma quale
candela resisterebbe a quel
vento?
È cosí stanco che riesce a
fatica a rimettersi in piedi. È
malato?Sièpresoqualcosada
Matrëna? O è una delle sue
crisi in arrivo? È questo che
gli
annuncia
quella
stanchezzamortale?
Aquattrozampe,tirasula
testa, annusa l’aria come un
animale selvatico e cerca di
concentrarsi sull’orizzonte
interiore. Ma se è un attacco
quello
che
lo
sta
sopraffacendo, allora sta
ledendogli anche i sensi,
intorpiditicomelesuemani.
14.
Lapolizia
Halasciatolechiaviacasa
e cosí è costretto a bussare
allaporta.AnnaSergeevnagli
apreelofissasorpresa:–Hai
persoiltreno?–chiede.Poisi
accorge dell’aria sconvolta,
delle mani che tremano e
della barba bagnata. –
Qualcosanonva?Staimale?
– No, non sono malato.
Ho rimandato la partenza, ti
spiegheròdopo.
Nella stanza c’è un’altra
persona, vicino al letto di
Matrëna.
Un
dottore
evidentemente, giovane e
rasato alla moda tedesca. Ha
in mano la bottiglia marrone
della farmacia; l’annusa e poi
la riattappa con aria di
disapprovazione. Chiude la
borsaechiudel’alcovaconla
tenda. – Stavo dicendo che
sua
figlia
ha
un’infiammazione
dei
bronchi – dice rivolgendosi a
Fëdor Michailovič. – I
polmoni sono sani. C’è
anche…
Luilointerrompe:–Nonè
mia figlia, sono solo un
pensionante.
Alzando le spalle con
impazienza il medico si
rivolge ad Anna Sergeevna: –
C’è anche, non posso fare a
meno di notarlo, una
componenteisterica.
–Checosavuoldire?
–Vuoldirechefinoache
sarà
in
preda
a
quest’agitazione
non
possiamo sperare che si
rimetta presto e bene. La sua
eccitazione
aggrava
la
malattia.Bisognachesicalmi.
Una volta che si sarà
tranquillizzatapotràtornarea
scuola. Dal punto di vista
fisico è sana, non ha
problemi. Dunque la terapia
checonsiglioèprimaditutto
la quiete. Dovrebbe stare a
letto e prendere solo pasti
leggeri. Niente latte in
nessuna forma. Le lascio un
linimento per il petto e un
sonniferodausarequandoce
ne fosse bisogno, come
calmante.Levadataunadose
pediatrica, se ne ricordi, solo
mezzocucchiaio.
Appenailmedicoèandato
via lui cerca di spiegarsi, ma
Anna Sergeevna non ha
vogliadiascoltarlo:–Matrëša
ha detto che l’hai sgridata! –
lo interrompe. Parla a bassa
voce,matremadallarabbia.–
Nonlopermetto!
– Non è vero! Non l’ho
sgridata! – Anche se
bisbigliano è sicuro che
Matrëna, dietro la tenda,
ascolta gongolante. Prende
Anna Sergeevna per un
braccio e la porta nella sua
stanza.Chiudelaporta.–Hai
sentito cosa ha detto il
dottore: è ipereccitata, non
puoi credere a tutto quello
che ti racconta in questo
stato.Tiharaccontatoquello
che è successo qui questa
mattina?
– Ha detto che è passato
unamicodiPavelechetusei
stato molto duro con lui. È a
questochetiriferisci?
–Sí.
– Allora fammi finire.
Quellochesuccedefrateegli
amici di Pavel non mi
riguarda, ma tu hai perso la
pazienzaancheconMatrëšae
sei stato rude con lei. Questo
nonloaccetto.
– L’amico di cui parla è
Nečaev. Nečaev in persona.
Questotelohadetto?Nečaev,
unricercato,èstatoquiacasa
tuaoggi.Vuoirimproverarmi
perché mi sono arrabbiato
con lei che l’ha lasciato
entrare e che poi ha difeso
contro di me quell’ipocrita,
quell’istrione?
–Comunquesianonhaiil
diritto di perdere la pazienza
con lei! Che ne sa lei che
Nečaevèunacattivapersona?
Che ne so io? Dici che è un
istrione,etu?Comegiudicare
il tuo comportamento? Credi
di agire sempre col cuore in
mano? Io non credo che sia
cosí.
–Nonèpossibilechepensi
questo. Certo che agisco col
cuore,forseuntempononera
cosí, ma ora sí, soprattutto
ora.Èlaverità.
– Ora. Come mai proprio
ora, all’improvviso? Perché
dovrei crederti? Perché tu
stesso dovresti credere a
quellochedici?
– Perché non voglio che
Pavelsivergognidime.
– Pavel? Pavel non c’entra
niente.
– Non voglio che Pavel
debba vergognarsi di suo
padre, ora che vede tutto. È
questo che è cambiato. Ora
c’èunamisuradituttelecose,
compresa la verità, e quella
misura è Pavel. Quanto a
Matrëna, mi dispiace di aver
perso la pazienza con lei. Me
ne pento e le chiederò scusa.
Comeormaiavraicapitoperò
– allarga le braccia – io non
piaccioaMatrëna.
– Lei non capisce cosa ci
fai qui, è solo questo il
problema. Capiva perché
Pavelvivevaconnoi,abbiamo
avuto studenti anche prima,
ma un pensionante della tua
età non è la stessa cosa. Io
stessacomincioadaveredelle
difficoltà. Non sto cercando
di
cacciarti,
Fëdor
Michailovič,
ma
devo
riconoscere che quando hai
detto che saresti partito
stasera mi sono sentita
sollevata. Per quattro anni io
e Matrëna abbiamo vissuto
insieme una vita molto
serena, molto tranquilla. I
nostripensionantinonhanno
mai avuto il permesso di
interferirvi.Invecedaquando
Pavelèmortoèstatotuttoun
susseguirsidiagitazioni.Non
va bene per un bambino.
Matrëna non si sarebbe
ammalata se l’atmosfera di
casa non fosse stata cosí
imprevedibile. Quello che ha
detto il medico è vero: è
eccitatael’eccitazionerendei
bambinipiúvulnerabili.
Lui aspetta che arrivi a
quello che è certamente il
nocciolo del problema: che
Matrëna si è resa conto di
quello che c’è stato fra lui e
sua madre ed è in piena crisi
di gelosia. Ma sembra che
Anna Sergeevna non abbia
ancora
intenzione
di
discuterediquesto.
– Mi dispiace per la
confusione; mi dispiace per
tutto. Mi è stato impossibile
partire stasera come avevo
deciso; non starò a spiegarti
perché, le ragioni non sono
importanti. Starò qui ancora
unooduegiorni,finoachei
miei amici mi faranno un
prestito. Poi pagherò quello
chetidevoemeneandrò.
–ADresda?
– A Dresda o in un’altra
pensione,ancoranonloso.
– Va bene Fëdor
Michailovič, ma per quanto
riguarda i soldi, sistemiamo i
conti subito, non voglio
appartenere alla lunga lista
deituoicreditori.
C’è qualcosa nella sua
rabbiachenonriesceacapire.
In passato non gli ha mai
parlato in modo cosí
aggressivo.
Sisiedealtavolinoescrive
subito a Majkov. «Sarai
sorpreso, caro Apollon
Grigorevič, di sentire che
sono ancora a Pietroburgo.
Questaèl’ultimavolta,spero,
chedebbofareappelloallatua
gentilezza. Il fatto è che mi
trovo in una situazione tale
percui,amenodiimpegnare
ilcappotto,nonsocomefare
a pagare la padrona di casa,
pernonparlaredelviaggiodi
ritorno a Dresda. Duecento
rublimibasteranno».
A sua moglie scrive: «Mi
sono stupidamente lasciato
indurreafareunprestitoaun
amicodiPavel.Majkovdovrà
di nuovo tirarmi fuori dai
guai. Appena avrò saldato i
conti,tifaròuntelegramma».
Cosí la colpa viene di
nuovo attribuita al cuore
generosodiFedja,mailcuore
diFedjanonègenerosoè…
Bussanoviolentementealla
porta. Prima che Anna
Sergeevnapossaaprire,Fëdor
Michailovičèalsuofianco.–
Dev’essere la polizia – le
sussurra.–Sololoropossono
bussare a quest’ora. Lascia
che sia io a parlarci. Vai da
Matrëna, è meglio se non la
interrogano.
Va ad aprire e si trova di
frontelafinlandese,inmezzo
a due poliziotti in divisa blu,
unodiloroèunufficiale.
–Èlui?–chiedel’ufficiale.
Laragazzaannuisce.
Fëdor Michailovič si fa da
parte e i due entrano
spingendo avanti la ragazza,
che è cambiata in modo
impressionante.Lafacciaèdi
un pallore spaventoso e si
muove come un burattino
tiratodaifili.
– Possiamo passare nella
mia stanza? Qui c’è una
bambinamalatacheandrebbe
lasciatatranquilla.
L’ufficiale va a gran passi
versol’alcovaeaprelatenda.
Si vede Anna Sergeevna,
chinaaproteggerelafiglia.Si
volta di scatto con occhi di
fiamma: – Lasciateci in pace!
– sibila. L’altro richiude
lentamentelatenda.
FëdorMichailovičliscorta
nellasuastanza.C’èqualcosa
di familiare nell’incedere
strascicato della finlandese.
Ora capisce: ha i ceppi alle
caviglie.
L’ufficialeispezional’altare
elafotografia.–Chiè?
–Miofiglio.
C’è qualcosa che non
torna. Qualcosa è cambiato
nell’altare. Quando capisce
cos’è,glisigelailsanguenelle
vene.
Comincial’interrogatorio.
–UnuomodinomeSergej
Gennadevič Nečaev è stato
quioggi?
– Una persona che
sospettosiaNečaev,machesi
presenta sotto altro nome è
stataqui,sí.
– Con quale nome si
presenta?
– Con un nome di donna.
È vestito da donna. Portava
un cappotto scuro sopra un
vestitobluscuro.
– E perché questa persona
èvenutaqui?
–Perchiederesoldi.
–Soloperquesto?
– Non so se c’erano altri
motivi. Non sono un suo
amico.
–Leiglihadatosoldi?
– Mi sono rifiutato, però
mihatoltoquellocheavevoe
iononl’hoimpedito.
– Mi sta dicendo che l’ha
derubata?
– Ha preso i soldi
malgrado il mio rifiuto e io
non ho giudicato prudente
cercare di riprenderglieli. Se
vuolepuòchiamarlarapina.
–Quantisoldierano?
–Circatrentarubli.
–Cos’altroèsuccesso?
Lui dà un’occhiata alla
finlandese. Le labbra le
tremano. Qualunque cosa le
abbiano fatto da quando
l’hanno presa, è certo che il
suo modo di fare è cambiato
radicalmente. Sta lí come un
animalealmacellocheaspetta
l’ascia che gli si abbatterà
sullatesta.
– Abbiamo parlato di mio
figlio. Nečaev era in un certo
senso amico di mio figlio. È
per questo che conosceva
questa casa. Mio figlio aveva
una camera in affitto qui.
Altrimenti non sarebbe
venuto.
– Cosa vuol dire
«Altrimenti non sarebbe
venuto». Vuole dirmi che
pensavaditrovaresuofiglio?
–No.Nessunodegliamici
dimiofigliopensadipoterlo
rivedere. Voglio dire che
Nečaev non è venuto perché
si aspettava simpatia da me,
ma per via di quella vecchia
amicizia.
– Sí, sappiamo tutto sulle
colpevoli affiliazioni di suo
figlio.
Si stringe nelle spalle. –
Forse non erano colpevoli e
forse non erano affiliazioni,
forse erano solo amicizie, ma
è inutile sottilizzare. È un
interrogativo che non potrà
mai essere portato in
tribunale.
–SadoveèandatoNečaev
dopoesserestatoqui?
–Nonnehoidea.
– Mi faccia vedere i suoi
documenti.
Glidàilpassaporto,ilsuo,
nonquellodiIsaev.L’ufficiale
lometteintascaesirimetteil
cappello. – Si presenti
domattina al posto di polizia
di via Sadovaja per fare una
deposizione completa. Ogni
giornoprimadimezzogiorno
dovrà presentarsi allo stesso
postodipolizia,settegiornia
settimana, fino a nuovo
ordine. Non può lasciare
Pietroburgo,èchiaro?
– E chi si occuperà di
pagarelemiespesequi?
–Lacosanonmiriguarda.
Fa segno al compagno di
portarevialaprigioniera,ma,
arrivata davanti alla porta, la
finlandese, che fino a quel
momento non ha aperto
bocca,siblocca:–Hofame!–
ripetepiagnucolosaequando
laguardiacercaditrascinarla
via, punta i piedi e si regge
alla porta: – Ho fame, voglio
qualcosadamangiare.
C’è un che di uggiolante e
di disperato nel suo grido.
Anche se Anna Sergeevna è
piúvicinaaleièchiarocheè
un appello lanciato alla
bambina,cheèscivolatafuori
dal letto, a piedi nudi, e col
pollice in bocca guarda la
scena.
– Ci penso io – dice
Matrëna e in un lampo corre
alla credenza. Torna con un
pezzo di pane secco e un
cetriolo; ha portato anche il
suopiccoloborsellino:–Puoi
prendere tutto! – dice
eccitatissima e mette cibo e
soldinellemanidellaragazza.
Poi fa un passo indietro, con
unpiccoloassurdoinchino.
– Niente soldi! – protesta
laguardiacondurezzaelefa
riprendereilborsellino.
Lafinlandesenondiceuna
parola di ringraziamento.
Dopo
la
ribellione
momentaneasembraricaduta
nell’abulia. È come se le
avessero spento la scintilla
vitale. L’hanno picchiata? O
peggio? E Matrëna lo sa? È
quelloilmotivodelsuomoto
di pietà? Ma come fa un
bambino a sapere una cosa
delgenere?
Appena andati via Fëdor
Michailovič rientra nella sua
stanza, spegne la candela,
mette l’icona e le immagini
sul pavimento e toglie la
bandiera a tre strisce che era
stata distesa sul tavolinetto.
Poirientranell’appartamento.
Anna Sergeevna sta seduta
vicino al letto di Matrëna e
cuce.Luibuttalabandierasul
letto.–Separlocontuafiglia
perderò certamente di nuovo
la pazienza, perciò ti
pregherei di chiederle da
parte mia come è arrivata
questa bandiera nella mia
stanza.
– Di che cosa stai
parlando?Checos’è?
–Chiediloalei.
– È una bandiera –
risponde
la
bambina
corrucciata.
Anna Sergeevna distende
la bandiera sul letto. È lunga
piú di un metro ed è anche
consumata perché i colori,
bianco rosso e nero a strisce
verticali, sono sbiaditi. Dove
l’avranno fatta sventolare? Si
chiede Fëdor Michailovič,
forse dal tetto dell’edificio di
MadameLaFay?
–Dichiè?–chiedeAnna
Sergeevna.
Lui aspetta che sia la
bambinaarispondere.
– È del popolo. È la
bandieradelpopolo,–spiega
leiallafine,riluttante.
– Ora basta – dice Anna
Sergeevna.Bacialafigliasulla
fronte: – È ora di dormire –
dicechiudendolatenda.
Cinque minuti dopo lo
raggiunge nella sua stanza,
conlabandierapiegata.
–Vorreiunaspiegazione–
dice.
–Quellaèlabandieradella
Vendetta del Popolo. È la
bandiera dell’insurrezione. Se
vuoi che ti spieghi il
simbolismo dei colori, te lo
posso spiegare. Oppure
chiedilo a Matrëna, sono
certo che lo sa. Non riesco a
pensare a provocazione
peggiore di quella. Matrëna
l’ha messa in bella mostra
nella mia stanza, mentre io
non c’ero, in modo che la
polizia la vedesse. Non
capisco che le è preso. È
impazzita?
– Non voglio sentire cose
del genere su mia figlia. Non
poteva sapere che sarebbe
venutalapolizia.Quantoalla
bandiera, se è un problema,
penseròioabruciarla.
– Bruciarla? – Già, che
stupido,nonciavevapensato.
Perché non ha bruciato il
vestitoblu?
– Ma lascia che ti dica –
aggiunge lei – che questa
storia
deve
finire,
assolutamente.
Stai
trascinandoMatrënainaffari
da cui i bambini devono
restarefuori.
– Non potrei essere piú
d’accordo, ma il problema è
che non sono io ma Nečaev
checelatrascina.
– Fa lo stesso. Se tu non
fossi qui non ci sarebbe
neppureNečaev.
15.
Lacantina
Ha nevicato pesantemente
durante la notte. Quando
esce, l’improvvisa luminosità
delbiancoloacceca.Siferma
e si curva, sopraffatto da una
stranasensazione,unmistodi
vertigini e di capogiro.
Appena prova a muoversi si
sentetrascinatoversoilbasso
etemedicadere.
Non può che essere il
preludio di una crisi. Una
crisi che si sta annunciando
da giorni con attacchi di
capogiro e di palpitazioni
cardiache, con stanchezza e
irritabilità. A meno che tutta
la sua condizione presente
non rappresenti uno stato di
crisi.
Fermo davanti al numero
63, preoccupato di capire
quellocheglisuccededentro,
non sente niente fino a
quando qualcuno gli afferra
saldamente un braccio. Apre
gli occhi con un sussulto e si
trovadavantiNečaev.
Nečaev ghigna e mostra i
denti. Le cicatrici sul volto
sono livide per il freddo.
Fëdor Michailovič cerca di
liberarsidallapresamal’altro
accentualastretta.
– Ma è una follia! – gli
dice. – Avrebbe dovuto
lasciare Pietroburgo finché
era in tempo, ormai verrà
senz’altropreso.
Nečaev con una mano gli
ha afferrato il polso e con
l’altra
gli
ha
preso
l’avambraccio. Gli fa fare
dietro-front,efiancoafianco,
come un cane trascinato a
forza dal suo padrone,
procedonoperviaSečnoj.
–Maforseilsuodesiderio
segreto è proprio quello di
esserepreso.
Nečaev porta un berretto
con lunghi copriorecchi che
fluttuano al vento ogni volta
chemuovelatesta.Parlacon
tono paziente e cantilenante.
– Lei non fa altro che
attribuireragioniperversealle
azionidellagente.Malagente
non è fatta cosí. Ci pensi su:
perchémaidovreivoleressere
preso e sbattuto in carcere?
Inoltre chi vuole che faccia
casoaduecomenoi?Padree
figlio insieme per una
passeggiata
–
dice
rivolgendogli un sorriso
radioso.
Sono arrivati in fondo a
via Sečnoj. Con una leggera
pressioneNečaevlofavoltare
versodestra.
–Haun’ideadiquelloche
stapassandolasuaamica?
– La mia amica? Chi, la
finlandese? Non parlerà, mi
fidodilei.
– Non ne sarebbe cosí
sicurosel’avessevista.
–Leil’havista?
– La polizia l’ha portata
nell’appartamento perché mi
riconoscesse.
– Non si preoccupi. Non
ho paura su quel fronte. È
coraggiosa,faràilsuodovere.
Haavutomododiparlarecon
la figlia della sua padrona di
casa?
– Matrëna? E perché le
avrebbedovutoparlare?
– Cosí, le piacciono i
bambini. Lei stessa è una
bambina: molto semplice,
moltodiretta.
– Sono stato interrogato
dallapolizia.Saròinterrogato
di nuovo. Non ho nascosto
niente e non nasconderò
niente neppure in futuro. La
avverto, non può usare Pavel
controdime.
–Nonhobisognodiusare
Pavel contro di lei. Posso
usare lei direttamente contro
dilei.
Sono arrivati in via
Sadovaja, nel cuore del
quartiere del mercato. Lui
pianta i piedi e si blocca. –
AvevatedatoaPavelunalista
di persone da assassinare –
dice.
– Di questo abbiamo già
parlato, non se ne ricorda?
Era una copia di una delle
tantelistechesonoingiro.
– Non era questa la mia
domanda. Quello che volevo
sapereera….
– Se anche lei è incluso in
quella lista? – dice Nečaev,
buttandolatestaindietrocon
una gran risata. Una
nuvoletta di vapore gli esce
dallabocca.
– Voglio sapere se è stato
quelloilmotivopercuiPavel
Aleksandrovič ha rotto con
voi–perchéhavistochec’ero
anch’io e si è rifiutato di
eseguiregliordini.
– Che assurda idea, Fëdor
Michailovič. Lei non è in
nessuna lista! È una persona
troppo preziosa. Comunque
per noi non ha nessuna
importanzaqualisianoinomi
inclusi nelle liste. Quello che
vogliamo è che lorosappiano
che siamo pronti alla
rappresaglia e che tremino
nelle loro case. Il popolo
capisceeapprova.Eilpopolo
non è interessato ai casi
singoli. Il popolo soffre da
sempre e crede che sia
arrivatoilloroturno.Dunque
non si preoccupi, la sua ora
non è suonata. Anzi, ci
piacerebbe
avere
la
collaborazione di persone
comelei.
– Persone come me? Cosa
vuol dire persone come me?
Pensate che mi metta a
scriverepamphletpervoi?
– Ma naturalmente no.
Non va bene per scrivere
pamphlet. Lei è troppo
sinceroperquesto.Andiamo,
venga con me. Le voglio far
vedere una cosa, voglio
buttare un seme nella sua
anima.
Nečaev
lo
prende
sottobraccioericomincianoa
camminare per via Sadovaja.
Due ufficiali con l’uniforme
verde oliva dei dragoni si
avvicinano. Nečaev si fa da
parte per lasciarli passare e li
saluta allegramente. Gli
ufficiali rispondono al saluto
conuncenno.
– Ho letto il suo romanzo
Delittoecastigo,–riprendea
dire.–Èstatoquelloadarmi
l’idea.Èunottimolibro,non
ho mai letto niente del
genere.
A
tratti
mi
terrorizzava, la malattia di
Raskolnikov e tutto il resto.
Chissà quanti lo avranno
lodato.
Ma
comunque
creda… – dice mettendosi
una mano sul petto e poi
stendendola come se volesse
offrirgliilcuore.Ilgestodeve
sembrargli strano nella sua
spontaneità, tanto che lui
stessonearrossisce.
Èilprimogestospontaneo
cheglivedefareelostupisce.
Un cuore vergine, si dice,
stupito delle sue stesse
emozioni. Come la creatura
del dottor Frankenstein
quando apre gli occhi sul
mondo. Per la prima volta
sente un moto di pietà per
quel ragazzo rigido e
antipatico.
Ormaisisonoinoltratinel
quartieredelmercato.Nečaev
lo trascina attraverso vicoli
zeppi delle bancarelle dei
venditori ambulanti e di
tuguri, attraverso un’umanità
maleodoranteeindaffarata.
Sifermanonell’atriodiun
portone. Nečaev tira fuori
dalla tasca una sciarpetta di
lana blu. – Devo chiederle di
lasciarsibendare.
–Dovemiporta?
– Voglio mostrarle una
cosa.
–Madovemiporta?
– Dove vivo attualmente,
tra il popolo. Sarà piú facile
per tutti e due. Potrà dire in
buona fede che non sa dove
sto.
Con la benda sugli occhi,
Fëdor Michailovič può
lasciarsi andare di nuovo al
lusso della vertigine. Nečaev
lo conduce. I passanti lo
urtanoeglisbattonoaddosso
e a un certo punto perde
l’equilibrio
e
debbono
aiutarloarimettersiinpiedi.
Hanno lasciato la strada e
sonoentratiinuncortile.Da
una taverna gli giungono
canti,ilsuonodiunachitarra
egridaallegre.L’ariapuzzadi
fognaedirestidipesce.
Lamanoglivienepostasu
un corrimano. – Attento alle
scale,–glidiceNečaev.–Qui
è talmente buio che anche se
le togliessi la benda non le
servirebbeaniente.
Strascica i piedi giú per le
scale come un vecchio. L’aria
è umida, fredda e viziata. Da
qualche parte si sente un
lento gocciolare di acqua. Ha
l’impressione di scendere in
unagrotta.
–Eccoci!–diceNečaev,–
attentoallatesta!
Si fermano. Nečaev gli
toglielabenda:sonoinfondo
a una scala buia. Davanti a
loro c’è una porta. Nečaev
bussa quattro volte, poi tre.
Aspettano. L’unico rumore è
quellodell’acquachegocciola.
Nečaev ripete il segnale. –
Dobbiamoaspettare,–dice,–
venga.
Bussa alla porta dall’altra
partedellescale,laapreesifa
daparteperfarloentrare.
È una cantina, il soffitto è
cosí basso che Fëdor
Michailovič deve chinarsi,
l’unicaluceèquellachefiltra
daunafinestrella,oscuratada
fogli di carta. Dal pavimento
di pietra il freddo sembra
penetrare direttamente nelle
ossa. Lungo gli angoli
scorronoletubatureeilposto
puzza di intonaco e mattoni
bagnati. Anche se sa che non
può essere vero, ha
l’impressione che lungo le
murascorraunvelod’acqua.
In fondo alla cantina è
stata tesa una corda sulla
quale sta appeso un bucato
grigio e umido come il resto
dellastanza.Sottolacordac’è
un letto con sopra tre
bambini, seduti tutti nella
stessaposizione,conlespalle
al muro, le braccia attorno
alle gambe e il mento sulle
ginocchia.Hannoipiedinudi
eportanogrembiulinidilino.
Lapiúgrandeèunafemmina,
con i capelli unti e spettinati;
lecca languidamente il muco
che le scende dal naso sul
labbro superiore. Uno degli
altri due deve avere appena
imparato a camminare.
Nessuno dei tre si muove, né
fa rumore. Guardano gli
intrusi con occhi indifferenti
ecatarrosi.
Nečaev accende una
candela e la appoggia in una
nicchiadelmuro.
–Èquichevive?
– No. Ma non ha
importanza –. Comincia a
camminare avanti e indietro.
Di nuovo ha la sensazione di
una grande energia repressa.
ImmaginaPavelalsuofianco.
Pavel non aveva lo stesso
slancio. Non gli sembra piú
cosí difficile capire come mai
suo figlio lo abbia accettato
comeleader.
– Mi lasci spiegare perché
l’ho portata qui, Fëdor
Michailovič – prende a dire
Nečaev. – Nella stanza qui a
fianco
abbiamo
una
stamperia,unapressaamano.
Naturalmente clandestina.
L’idiota che ha le chiavi
avrebbedovutoesseregiàqui
ma purtroppo non c’è. Io le
offrol’usodiquestastamperia
per il periodo in cui si
fermerà a Pietroburgo.
Qualunque cosa lei voglia
dire, siamo in grado di
distribuirla nel giro di poche
oreinmigliaiadicopie.Inun
momento come questo, alla
vigilia di grandi avvenimenti,
un suo contributo potrebbe
avere grandi effetti. Il suo è
unnomestimato,soprattutto
fra gli studenti. Se lei è
d’accordo a scrivere la storia
della morte del suo figliastro
firmandola col suo nome, gli
studenti non potranno fare a
menodiscendereinstrada–.
Smette di fare avanti e dietro
e lo fissa negli occhi: – Mi
dispiace che Pavel Isaev sia
morto. Era un bravo
compagno,manonpossiamo
guardare solo indietro.
Dobbiamousarelasuamorte
per accendere una fiamma.
Lui mi darebbe ragione, la
spingerebbe a mettere la sua
rabbiaalserviziodiunacausa
giusta.
Mentre pronuncia quelle
parole,sembrarendersiconto
diaveresagerato.Provaafare
una debole correzione: – La
sua rabbia e il suo dolore.
Cosí lui non sarà morto
inutilmente.
Accendere una fiamma.
Questo è troppo! Si volta per
andarsene, ma Nečaev lo
afferraperunbraccio.–Non
può andarsene ancora! –
sibila a denti stretti. – Come
può abbandonare la Russia e
ritornare alla sua spregevole
vita borghese? Come può
ignorareunospettacolocome
questo? – con un gesto della
mano
accenna
alla
desolazione della cantina. –
Uno spettacolo che si ripete
permigliaiadicasi,milionidi
casiinquestopaese.Checosa
le è successo? Non c’è piú
ribellione in lei? Non vede
quello che ha davanti agli
occhi?
Si guarda intorno nella
cantina umida. Cosa vede?
Tre bambini affamati e
infreddoliti che aspettano
l’angelo della morte. – Vedo
quantolei,forsemegliodilei.
– No! Perché per vedere
nonbastanogliocchi,civuole
la giusta interpretazione.
Quello che vede è solo la
miseria di questa tana, in cui
non
sarebbe
giusto
condannare a vivere neppure
untopoounoscarafaggio.Lei
vede il dramma di tre
bambini che muoiono di
fame; se aspetta vedrà anche
laloromadrecheperportare
a casa una crosta di pane si
deve vendere per strada. Lei
vedecomevivonoipoveripiú
poveri di Pietroburgo, ma
questo non significa vedere
davvero. Questi sono solo
dettagli! Lei non riesce a
comprendere le forze che
determinano il tipo di vita di
questi poveretti. È alle forze
cheècieco!
Col dito traccia una linea
da terra (si china a toccare il
pavimento e tira su il dito
bagnato) fino a fuori della
finestraealcielo.
– Le forze finiscono qui,
ma
dove
crede
che
comincino? Cominciano nei
ministeri, nei gabinetti degli
scacchieri,
nei
mercati
monetari e nelle banche
commerciali.
Cominciano
nelle cancellerie d’Europa. Le
linee di forza cominciano lí,
s’irradiano in tutte le
direzioni e vanno a finire in
cantine come questa, in
questepoverevitesottoterra.
Se scrivesse questo, davvero
sveglierebbe il mondo. Ma
naturalmente – scoppia in
unarisataacida–sescrivesse
questo
non
sarebbe
autorizzato a pubblicare. Le
lasceranno scrivere tutte le
storie che vuole sulla
sofferenza muta dei poveri, e
l’applaudiranno pure, ma la
verità, quella vera, non gliela
lasceranno mai pubblicare! È
per questo che le offro la
stamperia.
Incominci;
racconti la storia del suo
figliastro e di come è stato
sacrificato.
Sacrificato. Forse si è
distratto,oforseèstanco,ma
non capisce come e per chi
Pavel
sarebbe
stato
sacrificato. Né lo ha
commosso tanta veemenza
sulle linee di forza. E non è
dell’umore
giusto
per
ascoltare comizi. – Io vedo
quello che vedo – replica
freddamente – e non vedo
linee.
– Allora poteva anche
essere rimasto con la benda
sugli occhi. Sarebbe stata la
stessa cosa. Devo proprio
farle una lezione? Lei è
disgustato dal volto orribile
della fame, della povertà e
della malattia. Ma fame,
povertàemalattianonsonoi
nemici; sono solo le forme
attraverso cui le forze realisi
manifestano nel mondo. La
fame non è una forza, è un
mezzo, come l’acqua è un
mezzo. I poveri vivono nella
fame come i pesci vivono
nell’acqua. Le forze reali
nascono nei centri di potere,
dalla collusione di interessi
chevisidetermina.Leimiha
detto di essere spaventato
all’idea che il suo nome
potesse essere nelle nostre
liste.Glieloassicurodinuovo,
glielogiuro:nonc’è.Lenostre
liste contengono solo le
sanguisughe e i ragni al
centro delle loro ragnatele.
Una volta che ragni e
ragnatele
saranno
stati
distrutti, i bambini come
questi saranno liberati. In
tutta la Russia i bambini
potranno
uscire
dagli
scantinati. Ci saranno cibo e
vestiti e case, case vere, per
tutti. E ci sarà lavoro, tanto
lavoro! Prima di tutto
bisognerà radere al suolo le
banche, le borse e i ministeri
del governo, bisognerà fare
piazza pulita in modo che
non possano mai piú essere
ricostruiti.
I bambini, che all’inizio
sembrava volessero ascoltare,
sono di nuovo assenti. Il piú
piccolo si è addormentato in
gremboallasorella.Lasorella
è piú piccola di Matrëna, ma
locolpisceperlasuaariapiú
indifferente,piúacquiescente.
Hagiàcominciatoadiredisí
agliuomini?
C’è qualcosa di strano nel
loro silenzio. Nečaev non gli
harivoltolaparoladaquando
è entrato, non sembra
neppure che ne conosca i
nomi. Per lui sono solo
esemplari di povertà urbana.
Devo proprio farle una
lezione? Gli viene in mente il
commento malizioso della
principessa
Obolenskaja.
Diceva che Nečaev avrebbe
voluto fare l’insegnante, ma
era andato male agli esami e
allora per vendetta contro i
professori si era votato alla
rivoluzione. Forse Nečaev è
solo un ennesimo pedagogo
in pectore, come il suo
mentore,Jean-Jacques.
Epoilastoriadellelineedi
forza. Non ha ancora capito
bene che cosa vogliano dire.
Non ha certo bisogno di
Nečaev per sapere che i
banchieri accumulano soldi,
chel’aviditàinaridisceicuori.
Ma Nečaev insiste su
qualcos’altro.Checosa?Vede
una serie di numeri passare
attraverso la finestra chiusa
conlacartaecolpirelepance
vuotediqueibambini?
Latestacominciadinuovo
a girargli. Farle una lezione.
Inspira profondamente: – Ha
cinquerubli?
Nečaev
cerca
distrattamentenelletasche.
– Questa bambinetta, –
dice
accennando
alla
ragazzina – con una bella
lavata, un taglio di capelli e
un vestito nuovo, questa
bambinetta potrebbe andare
inuncertoposto(possodirle
io dove) e stanotte stessa
potrebbe far fruttare cento
rubli il suo investimento di
cinque.Eselanutrissebenee
la tenesse pulita, senza farla
faticare troppo e senza farla
ammalare,
potrebbe
continuare a guadagnare
cinque rubli a notte, almeno
per altri cinque anni. Senza
problemi.
–Checosa?
– Ascolti. Ci sono
abbastanza bambine negli
scantinati di Pietroburgo e
abbastanza signori pieni di
denaro per le strade. Gente a
cui piace la carne fresca.
Queste bambine potrebbero
fare la ricchezza di tutti i
poveri della città. Basta
ragionarci
sopra
con
freddezza. Sulle spalle delle
sue figlie, il popolo degli
scantinatipotrebbeuscirealla
lucedelsole.
–Qualèilsensodiquesta
paraboladepravata?
– Io non parlo per
parabole. Come lei, anch’io
sono ferito dalla sofferenza
degli innocenti. Non la sto
fraintendendo
Sergej
Gennadevič, vero? Per molto
tempo non sono riuscito a
capire come mai mio figlio
fosse diventato suo seguace,
maoracomincioacapireche
cosahavistoinlei.Leiènato
con uno spirito di giustizia
dentro,unospiritochenonè
stato ancora soffocato. Sono
sicurochesequestabambina,
questa qui, fosse adescata da
uno di quei libertini per le
strade di Pietroburgo e se lei
capitasse lí in quel momento
(per esempio perché la tiene
d’occhio)leinonesiterebbea
ficcare un coltello nella
schiena
dell’uomo
per
salvarla. O comunque, se è
troppo tardi per salvarla, per
vendicarla.
– Questa non è una
parabola, è un discorso sui
bambini e il loro uso. Con
l’aiuto di un bambino, le
strade
di
Pietroburgo
potrebbero essere ripulite
delle sanguisughe, magari
perfino di qualche banchiere
sanguisuga. E col tempo
anche la moglie e i bambini
del morto possono essere
avviati alla prostituzione per
le strade, tanto per livellare
unpo’lecose.
–Porcoschifoso!
–No,nonhacapitoilmio
ruolonellastoria.Iononsono
il porco della strada. Glielo
ripeto: non è una parabola, è
solo un racconto. I racconti
possono riguardare gli altri,
non si è obbligati a trovarsi
unruolonellastoria.Masela
sete di giustizia non le
permette di ignorare le
sofferenze dei bambini
innocenti
persino
nei
racconti, ci sono molti altri
modi per punire i ragni
predatori.Nonc’èbisognodi
essere un bambino per
trascinare un uomo in una
strada buia. Basta sbarbarsi
bene e incipriarsi la faccia,
mettersiunvestitofemminile
e stare attenti a muoversi
nell’ombra.
Adesso Nečaev sorride,
anzi scopre i denti. – È tutto
presodaunodeisuoilibri!Fa
tutto parte delle sue perverse
finzioni!
–Forse,mahoancorauna
domandadafare.Seoggileiè
liberodivestirsicomevuolee
di seguire la voce del suo
spirito di giustizia (uno
spirito che credo alberghi
ancora nel suo cuore), quale
sarà la situazione domani,
dopo che la tempesta della
Vendetta del Popolo avrà
compiuto la sua missione e
tuttisarannoequiparati?Sarà
ancora libero di essere quello
che vuole? Ognuno di noi
sarà libero di essere quello
chevuoleessere,finalmente?
– Non ce ne sarà piú
bisogno.
– Non ci sarà piú bisogno
di mascherarsi, neppure a
carnevale?
–Questaèunadiscussione
idiota. Non ci sarà bisogno
delcarnevale.
–Nientecarnevale?Niente
vacanze?
– Ci saranno i giorni per
distendersi. La gente potrà
scegliereseriposarsioandare
in campagna ad aiutare
duranteilraccolto.
– Già, ho sentito parlare
dei giorni del raccolto.
Naturalmente
canteremo
durante il lavoro. Ma voglio
tornare alla mia domanda:
che ne sarà di me? Qual è il
mio posto nella sua utopia?
Mi sarà ancora permesso
vestire da donna, se ne ho
voglia, o come un giovane
dandycolvestitobianco,omi
sarà concesso solo un nome,
un indirizzo, un’età, una
famiglia?
– Non sono io a poterlo
dire. Sono decisioni che
prenderà il popolo. Il popolo
lediràchecosaleèpermesso.
– Ma lei che cosa dice,
Sergej Gennadevič? Perché
chi è, se non è uno del
popolo?Echefuturoha?Sarò
ancora libero di spacciarmi
per chi mi pare, per esempio
per un giovanotto che
trascorre le ore di ozio a
dettare liste di gente che non
gli piace e a inventare
punizioni sanguinose per
loro, oppure per il bottegaio
che deve ordinare la segatura
da mettere nel cesto sotto la
ghigliottina?Saròliberofinoa
quelpunto?Opiuttostodevo
ricordare quello che le ho
sentito dire a Ginevra: che di
uomini come Copernico ne
abbiamo avuti abbastanza e
chesenedovessesorgereuno
nuovo sarebbe bene cavargli
gliocchi.
–Leistafarneticando:non
èCopernico.
– Giusto, non sono
Copernico: quando guardo il
cielo vedo solo le stelle che
avevamo sulla testa quando
siamo nati e che saranno lí
quando
moriremo;
indifferenti
ai
nostri
travestimentieallaprofondità
delle cantine in cui ci
rintaniamo.
– Io non mi nascondo,
sono
semplicemente
il
risultato della fusione col
popolo invisibile di questa
cittàedellecondizionichemi
hanno prodotto. Solo che lei
non riesce a vedere quelle
condizioni.
– Posso dire quello che
penso? Sta dicendo idiozie.
Può darsi che io non veda
linee e numeri in cielo, ma
nonsonocieco.
– Nessuno è cosí cieco
come colui che non vuole
vedere! Lei vede i bambini
che muoiono di fame negli
scantinati, ma si rifiuta di
vedere ciò che determina le
condizioni di vita di quei
bambini.Comefaachiamare
questo
vedere?
Ma
certamente lei e quelli che la
pagano riscuotete tutti il
premio della fame, i bambini
con gli occhi infossati. È
questo che vi piace leggere,
bambini pieni di sentimento,
con gli occhi infossati e le
vocine stridule. Ebbene, le
voglio dire la verità sulla
fame. Sa cosa vedono quei
bambini con gli occhi
infossatiquandolaguardano?
Glielo chieda! No, glielo dirò
io. Vedono guance grasse e
lingue succulente. Quegli
innocenti
l’assalterebbero
come ratti e la divorerebbero
se non sapessero che è piú
forte. Ma lei preferisce non
rendersene conto, preferisce
vedere tre angioletti di
passaggiosullaterra.
– Piú le parlo, Fëdor
Michailovič, e piú mi chiedo
come abbia fatto a creare
Raskolnikov.
Raskolnikov
almeno era vivo, fino a che
nonèstatovintodallafebbre,
o quello che era. Lo sa che
impressionemifaora?Quella
di un vecchio cavallo coi
paraocchi che continua a
camminare in tondo; sempre
lastessastoria.Chedirittoha
di venirmi a parlare di
travestimenti?
Lei
non
potrebbe travestirsi per
salvarsi la vita. Lei è un
povero vecchio, un vecchio
cavallo da soma rinsecchito
vicinoallafinedeisuoigiorni.
Non crede che sia ora di
provare a condividere la vita
degli oppressi, invece di
starsene seduto a casa a
scrivere di loro e a contare i
soldi? Ma vedo che
incomincia ad agitarsi.
Immagino che abbia fretta di
correre a casa per appuntare
su un quaderno questo
scantinato e questi bambini,
prima che il ricordo si
sbiadisca.Mifavomitare!
Taceperunattimoeglisi
avvicina, lo scruta: – Sto
esagerando,
Fëdor
Michailovič? – chiede con
tono piú dolce. – Sto
oltrepassando i limiti della
decenza, scoprendo quello
che deve restare nascosto,
quello che abbiamo visto
dentro di lei tutti noi,
compreso il suo figliastro?
Perché continua a tacere? Il
coltello è andato troppo
vicinoall’osso?–Tirafuoridi
nuovo la sciarpetta: –
Vogliamorimetterelabenda?
Vicino all’osso? Sí, forse.
Nonl’accusainsé,malavoce
che ci sente dietro: quella di
Pavel. Pavel che si lamenta
con l’amico e l’amico che
conserva le parole come un
veleno.
Stancamente allontana la
sciarpa: – Perché cerca di
provocarmi? Non mi ha
condottoquipervederelasua
stamperia,népermostrarmii
bambini che muoiono di
fame. Quelli sono solo
pretesti. Che cos’è che vuole
veramente da me? Vuole
farmi infuriare in modo che
appena uscito da qui vada a
denunciarla alla polizia?
Perché non è scappato da
Pietroburgo? Invece di darsi
alla fuga come qualunque
persona ragionevole, si
comporta come Gesú Cristo
alle porte di Gerusalemme;
aspettachearriviununasino
che lo porti nelle mani dei
suoipersecutori.Speracheio
voglia interpretare il ruolo
dell’asino? Immagina di
essereilprincipeinincognito,
il principe e il martire che
aspetta la chiamata? Vuole
rubare la Pasqua a Gesú.
Questaèlasecondavoltache
mitenta,maiononcedoalla
tentazione.
– Smetta di cambiare
discorso! Stiamo parlando
della Russia e non di Gesú e
smetta di dare la colpa a me.
Semitradiràsaràsoloperché
miodia.
– Non la odio, non ne ho
motivo.
– E invece sí! Vuole
colpirmiperchéaprogliocchi
della gente sulla pasta di cui
siete fatti, lei e la sua
generazione.
–Edichepastasiamofatti
ioelamiagenerazione?
– Lo vuole sapere? Il suo
tempoèscaduto,mainvecedi
uscire tranquillamente di
scena vuole portarsi tutto il
mondo
appresso.
Non
sopportacheleredinipassino
nellemanidiuominipiúforti
e
piú
giovani,
che
costruiranno un mondo
migliore. Ecco come siete
fatti. E non mi racconti la
storia
del
passato
rivoluzionario, della Siberia
scontata per le proprie idee.
So con certezza che anche in
Siberia lei è stato trattato
come un nobile. Non doveva
condividerelesofferenzedella
gente,
era
solo
una
messinscena. Ah, quanto mi
fanno schifo i vecchi! Il
giorno
che
compirò
trentacinqueannimipianterò
una pallottola nel cervello, lo
giuro!
Leultimeparolesonostate
dette
con
una
tale
supponenza
che
Fëdor
Michailovič non riesce a
nascondere un sorriso.
Nečaevarrossisceconfuso.
–Sperocheabbiamododi
diventare padre prima di
allora, perché possa capire
cosa vuol dire bere questo
calice.
– Non sarò mai padre! –
borbottaNečaev.
– E come fa a dirlo? Non
nepuòesserecerto.All’uomo
basta seminare il seme, il
restonondipendedalui.
Nečaev scuote la testa con
convinzione. Che cosa vuole
dire? Che non semina il suo
seme, o che si è votato alla
verginità,comeGesú?
–Nonpuòessernecerto.Il
seme diventa il figlio, e il
principe diventa re. Il giorno
incuisiederàintrono(senon
siètiratouncolpoprima)ela
terrasaràpienadiprincipini,
nascosti negli scantinati e
nelle soffitte, lí a tramare
contro di lei, che cosa farà?
Sguinzaglierà i soldati perché
taglinolorolatesta?
Nečaev lo guarda torvo. –
Sta cercando di irritarmi con
le sue stupide parabole.
Conosco la storia di suo
padre, Pavel Isaev me l’ha
raccontata. Era un piccolo
tiranno e tutti lo odiavano,
fino a che i suoi stessi
contadininonl’hannoucciso.
Leilavedecosíperchéodiava
suopadreesuopadreodiava
lei,lastoriadelmondoperciò
dovrebbe essere fatta tutta di
padriedifiglichesifannola
guerra. Non capisce il senso
della
rivoluzione:
la
rivoluzioneèlafinedituttoil
vecchio, padri e figli
compresi. È la fine delle
successioni e delle dinastie e
continua a rinnovarsi, se è
vera
rivoluzione.
Ogni
generazione rovescia la
vecchiarivoluzioneelastoria
ricomincia.Questaèlanuova
idea, l’idea veramente nuova.
Anno primo. Carte blanche.
Quando
tutto
viene
reinventato,
ogni
cosa
cancellataerifatta:lalegge,la
morale, la famiglia, tutto.
Quando tutti i prigionieri
vengono liberati e tutti i
crimini perdonati. È un’idea
cosíterribilechenonlapotete
capire, né lei né la sua
generazione.Oppurelacapite
anchetroppobeneelavolete
soffocaresulnascere.
– E i soldi? Oltre a
perdonare
i
crimini
ridistribuireteisoldi?
– Faremo di piú. Ogni
tanto, quando la gente meno
se lo aspetta, dichiareremo
fuori corso la moneta
correnteestamperemonuove
banconote. È questo lo
sbaglio che hanno fatto i
francesi:
lasciare
in
circolazione
la
vecchia
moneta.Ifrancesinonhanno
avuto una vera rivoluzione
perché non hanno avuto il
coraggio di portarla fino in
fondo. Hanno eliminato gli
aristocratici ma non la
vecchia mentalità. Nelle
nostre scuole insegneremo il
pensiero popolare, sempre
represso fino a oggi. Tutti
torneranno a scuola, anche i
professori.
I
contadini
saranno i maestri e i
professori gli allievi. Nelle
nostre scuole faremo gli
uomini nuovi e le donne
nuove. Tutti rinasceranno
conuncuorenuovo.
– E Dio? Che ne penserà
Diodituttociò?
Nečaev scoppia a ridere,
esilarato: – Dio? Dio sarà
invidioso.
–Alloracicredete?
– Certo che ci crediamo!
Che senso avrebbe tutto ciò
altrimenti? Tanto varrebbe
dare fuoco a tutto, ridurre il
mondo in cenere. No, noi
andremo da Dio, davanti al
suo trono e lo faremo
scendere. E ci andremo
davvero! Non avrà scelta,
dovrà starci a sentire e allora
staremo
tutti
insieme,
finalmentesullostessopiano.
–Egliangeli?
– Gli angeli staranno
attorno a noi e intoneranno
l’osanna. Entreranno nel
settore dei trasporti. Anche
loro
saranno
liberati,
potranno camminare sulla
terracomegliuomini.
–Eleanimedeimorti?
–Quantedomande!Anche
le anime dei morti, Fëdor
Michailovič,
se
vuole.
Avremoleanimedeimortidi
nuovosullaterra,anchePavel
Isaev, se vuole. Non ci sono
limitiaquellochesipuòfare.
Che ciarlatano! Però
adesso non sa piú chi
conduce;sesialuiaprendersi
gioco di Nečaev o viceversa.
Tutte le barriere sembrano
cadere all’improvviso. Le
barriere del pianto e quelle
del riso. Se Anna Sergeevna
fosse qui, gli viene in mente,
riuscirebbeatrovareleparole
che non ha trovato in tutto
queltempo.
Fa un passo avanti e con
quellacheglisembralaforza
di un gigante se lo stringe al
petto.Abbracciailragazzo,gli
blocca le braccia sui fianchi,
respiral’odoreacidodellasua
pelle
butterata,
singhiozzando, ridendo, lo
bacia sulla guancia destra e
sulla sinistra. Fianchi e petti
incollati,rimanelíperunpo’
strettoalui.
Sisenteunrumoredipassi
sulle scale. Nečaev si
divincola per liberarsi: –
Eccoli! – dice con tono
trionfante e con gli occhi
accesi.
Si gira. Sulla porta c’è una
donna vestita di nero con un
cappellino ridicolo in testa.
Nella semioscurità, fra le
lacrime,èdifficiledirequanti
anniabbia.
Nečaev sembra deluso: –
Ah, – dice. – Scusaci, entra
pure.
Ma la donna resta dov’è.
Sotto il braccio ha qualcosa
avvoltoinunastoffabianca.Il
fiutodeibambinièpiúacuto
del suo. Tutti insieme, senza
una parola, scivolano giú dal
letto e sorpassano i due
uomini.Labambinatiraviail
panno bianco e l’odore di
panefrescoriempielastanza.
Senza una parola comincia a
farloapezzieadistribuirloai
fratelli.Strettiallagonnadella
madre, con gli occhi vuoti e
indifferenti, stanno lí a
masticare. Come animali,
pensa, sanno da dove viene,
ma non gliene importa
niente.
16.
Latipografia
Fa un inchino alla donna.
Sotto al cappello ridicolo
spunta una faccetta piuttosto
giovane, timida, con le
lentiggini. Fëdor Michailovič
prova un impulso fugace di
attrazione sessuale, che però
passa subito. Dovrebbe
mettersi la cravatta nera,
oppure una fascia nera sul
braccio, alla moda italiana,
alloralasuaposizionesarebbe
piúchiara,anchealuistesso.
Non è piú un uomo intero: è
un uomo dimezzato. Sul
risvolto della giacca, un
medaglione con l’immagine
diPavel.Glièstataportatavia
la metà migliore, quella che
dovevaancoravenire.
–Devoandare–dice.
Nečaev
gli
lancia
un’occhiata di scherno: –
Vada pure; nessuno glielo
impedisce–.Epoi,rivoltoalla
donna: – Crede che non
sappiadoveva.
Il commento gli sembra
gratuito. – Dove crede che
stiaandando?
– Vuole proprio che lo
dica? Non è forse questa la
suaoccasionepervendicarsi?
Vendetta? Dopo ciò che è
appena successo, quella
parola gli fa l’effetto di una
vescica di porco in piena
faccia.LaparoladiNečaev,il
mondodiNečaev,unmondo
basato sulla vendetta. Che
cosahaachefareconlui?Ma
quella parola orrenda non gli
è stata buttata in faccia senza
motivo. Gli torna in mente il
comportamento di Nečaev la
prima volta che si sono
incontrati.
Il
frusciare
dell’abito dietro la sedia, la
pressione del piede sotto il
tavolo, il modo in cui aveva
usato il suo corpo, spudorato
e al tempo stesso goffo. Sa
davveroquellochevuole,quel
ragazzo, oppure prova tutto,
solo per vedere dove lo
porterà? È come me. Io ero
comelui–pensa–solo,ionon
avevoilsuocoraggio.Epoi:È
per questo che Pavel lo ha
seguito:
perché
voleva
imparare dal suo coraggio? È
per questo che è salito sulla
torrequellanotte?
Sempre di piú si fa strada
in lui una certezza. Nečaev
non sarà soddisfatto fino a
chenonsaràfinitonellemani
della polizia, fino a che non
avrà provato anche quello;
finché non avrà messo alla
provailsuocoraggioelasua
determinazione.Esupereràla
prova, non c’è dubbio. Non
cederà. Non importa se lo
picchieranno e se lo faranno
morire di fame, non cederà
mai, non si ammalerà
neppure. Perderà tutti i denti
e continuerà a sorridere. Si
trascinerà appresso le ossa
rotte, ruggendo forte, come
unleone.
– Vuole che io mi
vendichi?Vuole che esca e la
vadaadenunciare?Èaquesto
che tende tutta questa
sciarada di bende e di
labirinti?
Nečaev ride in modo
isterico; sa bene che loro due
si capiscono: – Perché mai
dovrei volerlo? – risponde
con voce melliflua, maliziosa,
lanciando
alla
donna
un’occhiata in tralice, come
per trascinarla dentro quello
scherzo. – Non sono un
giovane che ha smarrito la
strada, come era il suo
figliastro.Sevuoleandarealla
polizia, lo dica chiaramente.
Non faccia il sentimentale,
non finga di non essere mio
nemico.Sochehal’abitudine
di fare il sentimentale. Lo fa
anche con le donne, ne sono
certo. Con le donne, e con le
bambine –. Si volta verso la
ragazzina: – Lo sai anche tu
vero, che questo genere di
uomini versa lacrime quando
ti fa male, per lubrificarsi la
coscienza e provare un
brivido.
È straordinario quante
cose
abbia
intuito,
considerando la sua giovane
età! Ha capito di piú di una
donna di strada, perché ha
unasuaastuzia.Pavelavrebbe
avuto bisogno di un po’ di
quella scaltrezza. C’era piú
vita vera nel bestione
barcollante del suo racconto
(come
si
chiamava,
Karamzin?) che nell’eroe
pedantecheavevainventatoa
fatica. L’aveva fatto fuori
troppopresto.Unerrore.
– Non ho intenzione di
tradirla–dicestancamente.–
Vada a casa da suo padre.
Deve avere un padre da
qualche parte a Ivanovo, se
ricordobene.Vadadaluiesi
inginocchi, gli chieda di
nasconderla. Lo farà; non c’è
limiteaquellocheunpadreè
dispostoafareperilfiglio.
Nečaev reagisce con una
risata che sembra un
grugnito. Non riesce piú a
stare
fermo,
cammina
maestosamente per la stanza,
scansando i bambini quando
passa.–Miopadre!Chenesa
di mio padre? Non sono un
sempliciotto come il suo
figliastro! Io non mi attacco
allagentechemiopprime.Ho
lasciatolacasadimiopadrea
sedici anni e non ci ho piú
fatto ritorno, sa perché?
Perchémipicchiava.Glidissi:
picchiamiun’altravoltaenon
mivedraimaipiú.Cosíluimi
picchiò e non mi rivide piú.
Da quel giorno ha smesso di
esseremiopadre.Orasonoio
miopadre.Misonorifattoda
solo.Nonhobisognodipadri
per nascondermi. Se ho
bisogno di nascondermi, il
popolomiaccoglierà.Leidice
chenoncisonolimitiaquello
cheunpadreèdispostoafare
per un figlio. Sa che mio
padre mostra le mie lettere
allapolizia?Ioscrivoallemie
sorelleeluirubalelettereele
copia;poileportaallapolizia
che lo paga. Quello è il suo
limite. Il che mostra quanto
sia disperata la polizia, se
arriva a pagare per quella
roba. Si attaccano proprio a
tutto, ma non gli resta in
mano niente. Perché non c’è
niente di quello che ho fatto
che loro siano in grado di
dimostrare,niente!
Ha una voglia matta di
esseretradito,diunpadreche
lotradisca.
–Forsenonsonoingrado
di dimostrare niente, ma
sanno; loro sanno, lei sa e lo
so anch’io, che lei non è
innocente.Nonsièlimitatoa
stilare elenchi, o sbaglio? Le
sue mani sono sporche di
sangue.Nonlestochiedendo
diconfessare,ma,rimanendo
su un piano puramente
astratto,midica,perché?
– Su un piano puramente
astratto?Perchésenonuccidi
non ti prendono sul serio. È
quella l’unica prova che
conta.
– Ma che bisogno c’è di
essere presi sul serio? Perché
non restare giovani e privi di
responsabilità finché si può?
C’è tanto tempo, dopo, per
essere seri. E perché non
dedicare un pensiero a quei
seguaci piú deboli che hanno
fatto lo sbaglio di prenderla
sul serio? Pensi alla sua
amichetta finlandese e a
quello che sta passando
proprio in questo momento
peraverlapresasulserio.
–Lasmettadiparlaredella
mia
cosiddetta
amica
finlandese! Abbiamo già
pensato a lei. Ora non soffre
piú.Enonmivengaadiredi
aspettare la vecchiaia per
essere preso sul serio. Ho
visto cosa succede quando
s’invecchia. Quando sarò
vecchiononsaròpiúio.
Tanta perspicacia se la
sarebbeaspettatadaPavel,ma
nondaNečaev.Chespreco!–
Vorrei – dice – avervi visti
insieme, lei e Pavel –. Quello
che non dice è il seguito:
come due spade, due spade
sguainate!
GenialedapartediNečaev
averlo messo in guardia
rispetto alla pietà! Perché è
proprio quello che sta per
succedergli: pietà per un
ragazzo abbandonato in
mezzo al mare, un ragazzo
che lotta con le onde, eppure
affoga. Dunque sbaglia a
immaginare qualcosa di
troppo studiato nell’aria
tenebrosa di Nečaev (l’altro
infatti nel frattempo è
stranamenteammutolito),nel
suo sguardo meditabondo.
Forseèpiúchestudiato,forse
è scaltro. Ma c’è stato un
tempo in cui le parole
venivanodavverodalcuoree
raggiungevano il cuore?
Questa è l’età della finzione,
l’età del travestimento. Pavel
era troppo all’antica, troppo
bambino per viverci bene. I
suoieroiparlanolalinguadel
cuore, buffa, incerta, vecchio
stile. – Vorrei… vorrei… –
Tu puoi… tu puoi… – Ma
Pavelalmenoavevaprovatoa
proiettarsi fuori di sé, in un
altro cuore. Invece è
impossibile
immaginare
Sergej Nečaev che scrive. È
solounegoista,opeggio.Edi
sicuro è anche un pessimo
amante,
incapace
di
sentimenti, incapace di
indulgenza. Immaturo nei
sentimenti,bloccato,comeun
nano. Un uomo del futuro,
del secolo venturo, con una
testa mostruosa e desideri
mostruosi,manient’altro.Un
uomo solo, solitario. Il posto
giustoperlui:untronoinuna
stanza deserta. Il trono delle
idee. Il pontefice delle idee,
delle idee stupide. Che Dio
salvi i suoi fedeli allora, che
Diosalviisuoisudditi!
Quei pensieri vengono
interrottidauntramestioche
arriva dalle scale. Nečaev
sfrecciaallaporta,ascolta,poi
esce. Si sente un bisbigliare
concitato, poi il rumore di
unachiavenellaserraturaeil
silenzio.
Sempre col suo curioso
cappellino bianco in testa, la
donnasièandataasederesul
bordo del letto e ha attaccato
al seno il piccolo. Quando
incontra lo sguardo di Fëdor
Michailovič arrossisce, poi
rialza la testa in segno di
sfida. – Il signor Išutin dice
cheforseleicipuòaiutare.
–Išutin?
–Išutin,ilsuoamico.
– Come può aver detto
unacosadelgenere?Conosce
lamiasituazione.
–Stannopercacciarci,per
via dell’affitto. Ho pagato
quello di questo mese, ma
non riesco a pagare gli
arretrati,ètroppo.
Il piccolo smette di
succhiare e comincia a
dimenarsi. Lei lo lascia
andare. Scivola giú dal suo
grembo e esce dalla stanza. È
andato a fare i suoi bisogni
sotto le scale, lamentandosi
debolmente.
– Sono settimane che è
ammalato – piagnucola la
donna.
–Fammivedereilseno.
Lei sbottona un altro
bottone e mostra le
mammelle. I capezzoli sono
duri per il freddo. Li prende
fra le dita e li manipola
delicatamente. Ne esce una
perladilatte.
Luihacinquerublipresiin
prestito da Anna Sergeevna.
Gliene dà due. Lei prende le
monete senza fiatare e le
avvolgeinunfazzoletto.
Rientra Nečaev. – Allora
Sonia le ha detto i suoi
problemi? – dice. – Ho
pensatochelasuapadronadi
casa avrebbe potuto fare
qualcosa per loro. È una
personagenerosa,nonèvero?
CosímidicevaIsaev.
– È fuori discussione.
Comefaccioaportare…?
Laragazza(puòessereche
si chiami davvero Sonia?)
guarda altrove imbarazzata.
Porta un vestito di povera
stoffettaafiori,assolutamente
inadatto alla stagione, tutto
abbottonato
davanti.
Cominciaatremare.
–Neriparliamodopo,ora
vogliomostrarlelatipografia.
– Non mi interessa la
vostratipografia.
MaNečaevloafferraperil
braccio e un po’ lo guida un
po’ lo trascina verso la porta.
Ancora una volta Fëdor
Michailovič è sorpreso della
suastessapassività,ècomese
vivesse in uno stato di trance
morale. Cosa penserebbe
Pavel se lo vedesse cosí
manipolatodalsuoassassino.
O è proprio Pavel che lo
guida?
Riconosce
subito
la
macchina per la stampa, è la
stessa vecchia Albion-ofBirmingham che aveva suo
fratello
per
stampare
volantini e pubblicità. Non è
possibile che stampi migliaia
di copie. Al massimo ne può
stampareduecentol’ora.
– Ecco la fonte del potere
di ogni scrittore – dice
Nečaev dando una pacca alla
macchina. – La sua
dichiarazione
verrà
distribuita nelle cellule
stanotte e per le strade
domani. O, se preferisce,
possiamoaspettarefinoache
non avrà oltrepassato il
confine. Se mai venisse
accusato per questo, può
sempredirechesitrattadiun
falso. Allora non avrà piú
nessuna importanza, avrà già
fattoilsuoeffetto.
Nella stanza c’è un altro
uomo,piúvecchiodiNečaev,
un uomo smilzo con i capelli
bruni,lacarnagionegiallastra
e gli occhi scuri e spenti. Sta
curvo sulla macchina col
mento appoggiato alle mani.
Nonsembrafarecasoaloro,e
Nečaevnonlopresenta.
–Lamiadichiarazione?
– Sí, la sua dichiarazione.
La può scrivere qui, subito.
Risparmieremotempo.
– E se decidessi di dire la
verità?
– Qualunque cosa scriva,
la distribuiremo, glielo
prometto.
–Noncredochebastiuna
stampatrice a mano per
scriverelaverità.
– Lascialo solo! – La voce
viene dall’altro uomo, ancora
piegato sul testo che ha
davanti.–Luièunoscrittore,
nonlavoracosí.
–Alloracomelavora?
– Gli scrittori hanno le
loro regole. Non possono
lavorare con la gente che li
guardaallespalle.
–
Allora
dovranno
imparare a seguire le nuove
regole. La privacy è un lusso
di cui possiamo fare a meno.
Il popolo non ha bisogno di
privacy.
Ora che qualcuno lo
ascolta, Nečaev ha ripreso il
vecchiotono.Quantoaluine
ha abbastanza di quelle
provocazioni: – Debbo
andarmene–ripete.
– Se non scrive, dovremo
scriverenoiperlei.
– Che cosa? Scrivere per
me?
–Sí.
–Efirmarecolmionome?
– Certo. Non abbiamo
scelta.
– Nessuno lo accetterà.
Noncicrederànessuno.
– Gli studenti ci
crederanno, ha un certo
seguitofradiloro,comeleho
detto. Soprattutto se non
devono leggere un grosso
tomo per cogliere il
messaggio. Gli studenti
crederannoqualsiasicosa.
– Ma via! Sergej
Gennadevič… – dice l’altro
uomo. Non sembra affatto
divertito. Ha gli occhi
cerchiati, si è acceso una
sigaretta
e
la
fuma
nervosamente. – Perché ce
l’hai tanto con i libri? E con
glistudenti?
– Quello che non si può
direinunapaginanonmerita
di essere detto. E poi perché
alcunidovrebberostarsenein
poltrona a leggere libri
mentre altri non sanno
neppure leggere? Credi che
Sonia, quella della porta
accanto, abbia tempo di
leggere libri? E poi gli
studenti
chiacchierano
troppo. Non fanno altro che
perdersi in chiacchiere e
dissipare le loro energie.
All’università ti insegnano a
discutere, discutere per non
concluderemainiente.Come
gliEbreichetaglianoicapelli
a Sansone. La discussione è
una trappola. Credono che
parlando faranno il mondo
migliore, non capiscono che
le cose devono peggiorare
primadipotermigliorare.
Ilsuocompagnosbadiglia.
La sua indifferenza sembra
caricare Nečaev. – È cosí! È
per questo che bisogna
provocarli! Se li lasci fare si
rimetterannosempresedutia
chiacchierare e a discutere e
tuttoandràinmalora.Anche
ilsuofigliastroeracosí,Fëdor
Michailovič, sempre lí a
parlare. La gente che soffre
non
ha
bisogno
di
chiacchiere, ha bisogno di
azione. Il nostro compito è
quello di spingerli all’azione.
Se riusciamo a spingerli ad
agire,lanostraguerrasaràgià
vinta per metà. Potranno
essere schiacciati e repressi,
ma questo non farà che
produrremaggioresofferenza
e maggiore indignazione.
Dunque maggiore voglia di
agire. È cosí che vanno le
cose. Inoltre se alcuni
soffronocomesifaràadavere
giustizia prima che tutti
soffrano? E le cose cosí
verranno accelerate. Vedrà
come si può muovere
velocemente la storia, una
voltainnescatoilmovimento.
I cicli saranno sempre piú
brevi. Se agiamo oggi, il
futuro sarà nostro prima
ancora che ce ne rendiamo
conto.
– E questo autorizza il
falso. Autorizza qualunque
cosa?
– E perché no? Dov’è la
novità? Tutto è permesso in
funzione del futuro, perfino i
credenti lo dicono. Non mi
sorprenderebbe di trovarlo
scrittonellaBibbia.
–Certamentenonc’è.Solo
igesuitisonodiquelpareree
non saranno perdonati.
Neppurevoisareteperdonati.
– Non saremo perdonati?
E chi lo sa? Stiamo parlando
di un pamphlet, Fëdor
Michailovič. Che importa chi
lo scrive? Le parole sono
come il vento, oggi qui,
domanichissàdove.Nessuno
ha la proprietà delle parole.
Stiamo parlando delle folle.
Sonocertochesisaràtrovato
in mezzo alla folla. La folla
non è interessata ad argute
disquisizionisullapaternitàdi
uno scritto. La folla non ha
intelletto,
ma
passioni.
Oppure
voleva
dire
qualcos’altro?
– Volevo dire che se lei,
consapevolmente e in nome
del futuro, acuisce le
sofferenze di quei miseri
bambini della porta accanto,
nonsaràperdonato.
– Consapevolmente? Che
vuol dire consapevolmente?
Lei continua a parlare di
quello che passa per la testa
dellagente,malastorianonè
fatta di idee, non si fa nelle
mentidellagente.Lastoriasi
fa per le strade. E non mi
venga a dire che questo è
proprio parlare di idee.
Questo è un altro di quei
trucchetti dialettici con cui
abbindolano gli studenti. Io
non sto parlando di idee e se
purefossenonmiimporta.Io
posso pensare una cosa ora e
un’altra un minuto dopo e
non me ne importa niente se
agisco. Il popolo agisce.
Inoltre lei si sbaglia, non
conosce la dottrina religiosa!
Non ha mai sentito parlare
del pellegrinaggio della
MadrediDio?Ilgiornodopo
l’ultimo giorno? Quando
tutto sarà stato deciso e i
cancelli dell’inferno saranno
stati chiusi, la Madre di Dio
lascerà il suo trono in cielo e
farà
un
pellegrinaggio
all’infernoperintercedereper
i dannati. S’inginocchierà e
nonsitireràpiúsufinoache
Dio non si sarà commosso e
tutti non saranno stati
perdonati, anche gli atei,
anche i blasfemi. Dunque lei
si sbaglia, viene contraddetto
daisuoistessilibri–conclude
Nečaev trionfante, con gli
occhifiammeggianti.
Il perdono per tutti. Al
solo pensiero la testa
cominciaaturbinargli.Eloro
saranno riuniti, il padre e il
figlio. Siccome viene dalla
bocca falsa di un blasfemo
non dovrebbe essere vero?
Chipuòdiredovesceglieràdi
vivere la Madre di Dio? Se
Cristo si nasconde, perché
non potrebbe nascondersi
negli scantinati? Chi può
escluderechesiapropriolíin
quel momento? Nel bambino
che succhia il latte dalla
madre, alla porta accanto, o
nella bambina con gli occhi
opachi ma furbi, nello stesso
SergejNečaev?
– Sta provocando Dio, se
scommettesullapietàdiDioè
perduto. Non ci pensi
neppure,midiaretta,ocadrà!
La sua voce è cosí
indistinta che riesce a
malapena a pronunciare le
parole. Per la prima volta il
compagno di Nečaev alza gli
occhisudiluieloguardacon
interesse.
Come intuendo la propria
debolezza, Nečaev si scatena,
come un cane arrabbiato: –
Diciotto secoli sono passati
dall’era di Dio, quasi
diciannove! Siamo alla soglia
di un’era nuova, in cui
saremo liberi di pensare
quello che vogliamo. Non c’è
niente che ci sia proibito
pensare! E lei lo sa bene. Lo
deve sapere… è quello che
dice Raskolnikov nel suo
libro,primadiammalarsi!
– Lei è pazzo! Non sa
leggere! – biascica. Ma ormai
sa di avere perso. Ha perso
perché è il primo a non
credere a quello che dice. E
non crede a quello che dice
perché ha perso. La logica, la
ragione, tutto gli crolla
addosso. Fissa Nečaev e vede
solo un cristallo che brilla
nella luce del deserto, un
cristallo chiuso in se stesso,
impenetrabile.
– Attenzione! – dice
Nečaev agitando un dito
minaccioso.–Attenzionealle
parole che usa con me. Io
sonodallapartedellaRussiae
semidicechesonopazzosta
dicendochelaRussiaèpazza!
– Bravo! – grida il
compagno e lo applaude con
stancaironia.
Luiprovaariprendersiper
l’ultima volta: – Non è vero,
questisonosolosofismi.Leiè
solo una parte della Russia,
una parte della pazzia della
Russia. Sono io quello, – si
metteunamanosulpetto,ma
poi, colpito dalla retorica del
suo gesto, la lascia cadere –
sono io quello che si porta
appresso la pazzia. È il mio
destino,ilmiofardello,nonil
suo.Leiètroppogiovaneper
cominciare a portare quel
peso.
– Bravo! ancora! – dice
l’altro battendo le mani. – Ti
hafregato,Sergej!
–Allorafaròunpattocon
lei – continua a dire. –
Scriverò per voi. Dirò la
verità, tutta la verità, in una
pagina,comevuolelei.Lamia
condizioneèchelastampiate
esattamente com’è, senza
cambiare una parola e che la
distribuiateaquelmodo.
– D’accordo! – Nečaev è
raggianteperlavittoria.–Mi
piaccionoipatti.Daglicartae
penna!
L’altrometteunalastrasul
tavolodacomposizioneetira
fuorilacarta.
FëdorMichailovičscrive:
«La notte del 12 ottobre
dell’anno di Nostro Signore
1869, il mio figliastro Pavel
Aleksandrovič Isaev è morto
cadendo dalla torre del molo
di Stoljarnij. È stata fatta
circolare la voce che la sua
morte sarebbe stata causata
dalla Terza Sezione della
Polizia imperiale. Si tratta di
unfalsomessoingiroabella
posta. Io credo che il mio
figliastro sia stato assassinato
dal suo falso amico Sergej
GennadevičNečaev.
PossaDioaverepietàdella
suaanima.
F.M.Dostoevskij
18novembre1869».
Scosso da un leggero
tremore, Fëdor Michailovič
passailfoglioaNečaev.
– Eccellente! – esclama
Nečaev,passandoloall’altro.–
Laverità,diuncieco!
–Stampalo!
– Componilo! – ordina al
compagno.
L’altro
gli
lancia
un’occhiata interlocutoria: –
Èvero?
– La verità? Che cos’è la
verità?–urlaNečaevconuna
voce che risuona in tutta la
cantina.
–
Componilo.
Abbiamo
già
perso
abbastanzatempo!
In quel momento capisce
di essere caduto in una
trappola.
– Aspetti, devo cambiare
una cosa – dice, riprendendo
il foglio. Lo appallottola e se
lometteintasca.Nečaevnon
provanemmenoafermarlo:–
Troppo tardi, non si torna
indietro.Lohascrittodavanti
a
un
testimone.
Lo
stamperemo come abbiamo
promesso,parolaperparola.
Una
trappola.
Una
trappola diabolica. Lui non
era, come aveva creduto, una
comparsa dietro le quinte
intromessasi al momento
sbagliato nella lotta fra il
figliastro
e
l’anarchico
Nečaev.LamortediPavelera
statasoloun’escaperstanarlo
da Dresda e trascinarlo a
Pietroburgo.Eraluilapredaa
cui puntava. È stato tirato
fuori dal suo nascondiglio e
ora Nečaev gli è saltato
addossoelohaazzannatoalla
gola.
Fissa Nečaev furente, ma
quello non recede di un
millimetro.
17.
Ilveleno
Il sole è basso nel cielo
pallido e sereno. Uscito dalla
selva
di
vicoletti
su
VoznesenskijProspekt,Fëdor
Michailovič deve chiudere gli
occhi.Icapogiricherischiano
di farlo cadere sono ripresi,
tanto che quasi desidera il
conforto della benda sugli
occhi e di una mano che lo
guidi.
È stanco del maelstrom di
Pietroburgo. Dresda luccica
in lontananza come un
miraggiodipace:Dresda,sua
moglie, i suoi libri e le sue
carte e tutte quelle piccole
comoditàchefannounacasa,
non ultimo il piacere della
biancheria fresca. E tutto
questo proprio ora che è
senza passaporto e che non
puòpartire!«Pavel!»,bisbiglia
il nome piú volte, come una
formulamagica.Mahaperso
il contatto con lui e con la
logica che gli spiega perché,
visto che Pavel è morto a
Pietroburgo, lui è legato a
quella città. Quello che lo
trattiene non è piú Pavel e
neppureAnnaSergeevna,ma
la buca scavata per lui dal
traditore di Pavel. Invece di
girareasinistrasuviaSečnoj,
Fëdor Michailovič gira a
destra su via Sadovaja e si
dirige alla stazione di polizia.
Nel suo furore spera che
Nečaevglisiaallecostole,che
lospii.
La sala d’attesa è piena di
gente,comealsolito.Simette
in fila e dopo venti minuti
arrivadavantiall’impiegato:–
Dostoevskij.
Mi
sono
presentatocomerichiesto.
– Richiesto da chi? –
L’impiegato è giovane e non
indossa neppure l’uniforme
dellapolizia.
Luialzalebracciaalcielo,
irritato. – Ma come faccio a
saperlo? Mi hanno detto di
presentarmiqui.Eccomi.
– Si sieda. Qualcuno si
occuperàdilei.
Comincia
a
essere
esasperato.–Nonhobisogno
chequalcunosioccupidime.
Basta che mi sia presentato
qui in carne e ossa, che altro
volete? E come faccio a
sedermisenoncisonosedie?
L’impiegato è palesemente
interdettodallasuaveemenza;
nellastanzac’èaltragenteche
loguarda.
– Scrivete il mio nome e
fatelafinita!–chiede.
– Non posso scrivere un
nome – risponde l’altro
saggiamente.–Comefaccioa
sapere come si chiama? Mi
mostriilpassaporto.
Lui non domina piú la
rabbia:–Primamiconfiscate
il passaporto e poi mi
chiedete di presentarlo. Che
follia! Fatemi vedere il
ConsigliereMaksimov!
Secredechel’impiegatosi
impressioni
sentendo
pronunciare il nome di
Maksimov, si sbaglia: – Il
Consigliere Maksimov è
occupato. È meglio che si
sieda e si calmi. Qualcuno si
occuperàdilei.
–Quando?
– Come faccio a dirglielo?
Nonèl’unicapersonacheha
dei problemi –. Indica la
stanza piena di gente. –
Comunque
se
vuole
protestare, la procedura da
seguire è quella di presentare
una lettera. Non ci possiamo
muoverefinchénonabbiamo
qualcosa di scritto, qualcosa
su cui mettere le mani, per
cosí dire. Lei mi sembra una
personacolta.Senz’altrosene
rende conto –. Detto ciò, si
rivolge alla persona in fila
dopodilui.
Non c’è dubbio che se
potesse
vedere
subito
Maksimov non esiterebbe a
vendere Nečaev per il
passaporto.L’unicaesitazione
potrebbe derivare dal fatto
che è convinto che essere
tradito – e tradito da lui,
Dostoevskij – è proprio
quello che vuole Nečaev. O è
ancora peggio, c’è ancora un
altro trucco? È possibile che
dietro tutte le insinuazioni
che Nečaev ha fatto sulla sua
natura di traditore ci sia
l’intento di inibirlo e
confonderlo?
Ha
la
sensazione di essere stato
sconfitto a ogni mano,
sconfitto forse perché vuole
essere sconfitto, sconfitto da
un giocatore che dal giorno
chel’haincontrato,oforseda
prima, ha capito che l’altro
godeva a cedere, a essere
accalappiato,truffato,sedotto
e
che
ha
piegato
quell’intuizione ai suoi fini.
Come spiegare altrimenti la
sua stupida passività, lo stato
di torpore della sua
coscienza?
Era successa la stessa cosa
con Pavel? Forse Pavel in
fondo era figlio del suo
patrigno, aveva la stessa
debolezza,
amava
farsi
sedurre dall’idea di essere
sedotto.
Nečaev aveva parlato dei
banchieri come di ragni,
quanto a lui, ora si sente
come una mosca presa nella
ragnatela di Nečaev. Non c’è
un ragno piú grosso di
Nečaev, o forse sí, è il
Consigliere
Maksimov,
seduto alla sua scrivania, che
schiocca la lingua e fissa la
prossima preda. Spera di
mangiarsi
Nečaev,
di
ingoiarlo in un boccone solo,
rompergli le ossa e sputare i
restispolpati.
Ecco
che,
dopo
l’autocompiacimento,
è
caduto in balia del piú
meschino
desiderio
di
vendetta.Èpossibilechecada
ancora piú in basso? Ricorda
la frase di Maksimov: ai
giorninostribeatoquelpadre
chehafigliefemmine.Sefigli
cidevonoessere,megliofargli
da padre a distanza, come
fannoleraneoipesci.
Immagina
il
ragno
Maksimov a casa, con le tre
figlie intorno, che lo
accarezzanoconiloroartigli,
che soffiano dolcemente.
Anchecontrodiluiprovaun
acutorisentimento.
Sperava in una risposta
pronta da parte di Apollon
Majkov, ma il portiere è
impenetrabile e non ci sono
messaggi.
– È sicuro che la mia
letterasiastataconsegnata?
– Non lo chieda a me; lo
chieda al ragazzino che l’ha
portata.
Cerca di rintracciare il
ragazzino, ma nessuno sa
dovesia.
Deveforseriscrivere?Seil
primo appello è arrivato a
Majkov ed è stato ignorato,
un secondo appello non
sembrerà abietto? Non è
ancoraunmendicante.Mala
sgradevole verità è che sta
vivendo, giorno dopo giorno,
della carità di Anna
Sergeevna.Enonpuòsperare
che la sua presenza a
Pietroburgo continui a
passareinosservatamoltopiú
alungo.Lanotiziacircoleràe
da quel momento dovrà
aspettarsi che una mezza
dozzina di creditori si metta
inmotoperfarloarrestare.Il
fatto che sia povero in canna
non
basta;
qualunque
creditore si renderebbe
facilmentecontodelfattoche,
alle brutte, sua moglie, o la
famiglia di lei, o anche i suoi
colleghi scrittori potrebbero
fare una colletta per salvarlo
dalcarcere.
Unaragioneinpiúdunque
per
andarsene
da
Pietroburgo!Deverecuperare
ilpassaportoesenonciriesce
dovrà provare a viaggiare di
nuovoconquellodiIsaev.
Ha promesso ad Anna
Sergeevnadidareun’occhiata
alla bambina malata. Trova
l’alcova con le tende aperte e
Matrëna seduta in mezzo al
letto.
–Comestai?–lechiede.
Lei non risponde, assorta
neisuoipensieri.
Lesiavvicina,lemetteuna
mano sulla fronte. Sulle
guance ha le macchie rosse
dell’eccitazione, ha il fiato
corto,manonhafebbre.
–FëdorMichailovič–dice
parlando lentamente e senza
guardarlo–famalemorire?
Lui è meravigliato del
corso che hanno preso i suoi
pensieri:–MacaraMatrëša–
esclama – tu non stai mica
morendo!Mettitigiú,fattiun
sonno e quando ti sveglierai
vedrai che ti sentirai meglio.
Fra pochi giorni potrai
tornareascuola,lohaisentito
ilmedico,no?
Mentre lui parla, la
bambina continua a scuotere
latesta:–Nonstopensandoa
me. Voglio dire: fa male
morire,ingenerale?
Ora capisce che sta
parlando sul serio: – Dici il
momentodellamorte?
–Sí,nonquandosièmorti
deltutto,masubitoprima.
– Quando si capisce che è
finita?
–Sí.
Deo gratia! Finalmente,
dopo giorni di chiusura e di
comportamento ostile e
infantile, dopo giorni di
rancore,dopogiorniincuisi
è rifiutata di parlare del suo
prezioso ricordo di Pavel,
Matrënaètornatainsé.
– Per gli animali non è
duro morire, – le dice con
tenerezza.–Forsedovremmo
prendere esempio da loro.
Forse è per questo che sono
qui con noi, sulla terra, per
mostrarcichevivereemorire
non sono cose cosí difficili
comepensiamo.
Tace.Poiriprova.
– Ciò che ci spaventa di
piú nella morte non è il
dolore, ma è l’idea di lasciare
quelli che ci amano e di
viaggiare da soli. Ma non è
cosí, davvero non è cosí.
Quando
moriamo
ci
portiamo in petto le persone
amate.Paveltihaportatocon
sé, e ha portato anche me e
tua madre. Ci porta sempre
consé.Pavelnonèsolo.
Sempre con la stessa
lentezza, con la stessa aria
assorta, la bambina dice: –
NonpensavoaPavel.
Fëdor Michailovič è
sconcertato, non ci capisce
piúniente;maglicivuoleun
pocoprimadirendersiconto
fino a che punto non ha
capito.
–Achipensavi,allora?
– Alla ragazza che è stata
quisabato.
–Dichiparli?
– Dell’amica di Sergej
Gennadevič.
– La finlandese? Sei
preoccupata perché la polizia
l’ha portata qui? Non devi
stare a tormentarti per
questo!–Leprendelamanoe
l’accarezza per rassicurarla: –
Nessuno morirà, la polizia
non ammazza la gente! La
rimanderanno in Karelia e
basta. O, alla peggio, la
terranno in prigione per un
po’.
Leiritraelamanoegirala
faccia verso il muro. Ora
comincia a balenargli il
sospetto di continuare a non
capire. Forse la bambina non
gli
sta
chiedendo
rassicurazione,nonvuoleche
vengano fugate le sue paure
infantili. Forse sta cercando,
in modo contorto, di dirgli
qualcosachenonsa.
– Hai paura che la
condannino a morte? È
questo che temi? Perché sai
che ha fatto qualcosa di
terribile?
Matrënascuotelatesta.
– Allora devi dirmelo tu.
Nonriescoapensareadaltro.
– Hanno tutti giurato che
non si faranno catturare.
Hanno giurato di uccidersi
prima.
–Èfacilegiurare,Matrëna.
Meno facile mantenere i
giuramenti,
soprattutto
quando i tuoi amici ti hanno
abbandonato e sei rimasta
sola.Lavitaèpreziosaeleifa
bene a tenersela stretta, non
devibiasimarlaperquesto.
Matrëna continua a
ruminare fra sé per un po’,
giocherellandodistrattamente
conlelenzuola.Quandoparla
lo fa bisbigliando e a testa
bassa, tanto che è difficile
cogliere le parole: – Le ho
datoilveleno.
–Cosalehaidato?
La bambina si scosta i
capellidalvisoeluivedeche
nascondevaunvagosorriso.
– Il veleno – dice
dolcemente. – Fa male il
veleno?
– E come hai fatto? – le
chiede, interdetto, con la
menteinsubbuglio.
– Quando le ho dato il
pane. Nessuno se ne è
accorto.
Ricorda la scena che lo
aveva lasciato interdetto:
quell’inchino
all’antica,
l’offerta
del
cibo
al
prigioniero.
–Leilosapeva?–bisbiglia
afaticaFëdorMichailovič.
–Sí.
– Ne sei certa? Sei sicura
chesapessecos’era?
Lei annuisce. Ripensando
alla
legnosità
e
all’ingratitudine
mostrata
dalla finlandese in quel
momento, non ha ragione di
dubitarne.
– Ma come hai fatto a
procurartiilveleno?
– Lo aveva lasciato Sergej
Gennadevičperlei.
–Checos’altrohalasciato?
–Labandiera.
–Labandieraechealtro?
–Qualchealtracosa.Miha
chiestodicustodirla.
–Fammivedere.
La bambina scende dal
letto, si china, cerca fra le
lenzuola e alla fine tira fuori
un pacchetto avvolto in una
pezza di cotone. Fëdor
Michailovič lo appoggia sul
lettoeloapre.Dentrocisono
una pistola americana e
alcune pallottole, un po’ di
volantini e un borsellino di
stoffa chiuso da un lungo
cordoncino.
– Il veleno sta lí – spiega
Matrëna.
Dopo averlo aperto,
l’uomo rovescia il contenuto
del borsellino sul letto: tre
capsule di vetro con una
polverinaverdedentro.
–Èquestochelehaidato?
Labambinaannuisce:–Ne
avrebbe dovuto avere uno
comequestoalcollo,manon
cel’aveva–.Matrënasipassa
il cordone sulla testa e lascia
pendere il borsellino fra i
seni, come un medaglione. –
Se ce l’avesse avuto non
l’avrebberopresa.
–Ecosílehaidatounadi
queste?
– Lei lo voleva perché
l’aveva giurato. Avrebbe fatto
qualunque cosa per Sergej
Gennadevič.
–Forse,oalmenoèquello
che sostiene lui. Comunque
senonleavessidatoilveleno
sarebbestatopiúfacileperlei
nonmantenereunapromessa
cosídifficiledamantenere.
Lei arriccia il naso con
un’espressione che Fëdor
Michailovič oramai conosce,
quella di quando si sente
stretta in un angolo e la cosa
non le piace. Lui comunque
insiste.
– Non credi che Sergej
Gennadevič distribuisca la
morte
con
troppa
disinvoltura? Ricordi il
mendicante che è stato
ucciso? È stato Sergej
Gennadevič a farlo, o a
ordinare a qualcuno di farlo;
qualcuno che ha ubbidito,
comehaifattotu.
Matrëna arriccia di nuovo
ilnaso:–Perché?Perchéloha
volutouccidere?
– Per mandare un
messaggio
al
mondo,
immagino.Unmessaggioche
dice che con lui, Sergej
Gennadevič Nečaev, non si
scherza.Oppureperverificare
selapersonaacuiavevadato
l’ordine gli avrebbe ubbidito.
Non lo so. Non riesco a
leggere nel suo cuore e
nemmenonehopiúvoglia.
Matrëna
rimane
pensierosaperunpo’:–Non
mi piaceva, – dice alla fine –
puzzavadipesce.
Fëdor Michailovič la fissa
senza battere ciglio e lei
ricambia candidamente lo
stessosguardoimpassibile.
–
Invece
Sergej
Gennadevičtipiace?
–Sí.
Quello che vorrebbe, ma
che non si sa risolvere a
chiedere, è: lo ami? Faresti
qualunque cosa per lui? Ma
leisabenecosaluiintendesse
dire e ha già dato una
risposta. Ora resta solo una
domanda:piúdiPavel?
La bambina esita, è
evidente che sta pesando i
suoi due amori: uno nella
mano destra e l’altro nella
sinistra, come mele. – No, –
diceallafineconunasortadi
grazia – mi piace sempre di
piúPavel.
– Perché non avrebbero
potutoesserepiúdiversiquei
due,nonèvero?Comecalcee
cacio.
– Calce e cacio? – Sembra
divertitadall’idea.
– È solo un modo di dire.
Come un cavallo e un lupo,
uncervoeunlupo.
Matrëna riflette sui nuovi
paragoni. – Tutti e due
amano divertirsi – amavano
divertirsi
–
protesta,
incespicandoneitempi.
Fëdor Michailovič scuote
latesta:–No,quisbagli,non
c’è allegria in Sergej
Gennadevič. Certamente ha
una sua forma di umorismo,
ma senza allegria –. Si china,
le scosta dal viso la ciocca di
capellichelocopre,letoccala
guancia.–SentiMatrëna,non
puoi nascondere questa roba
a tua madre – indica gli
strumenti di morte. – Li
eliminerò io per te, come ho
già fatto col vestito blu. Non
importa quello che dirà
Nečaev. Tu non puoi tenerli,
è troppo pericoloso. Mi
capisci?
Matrënaaprelelabbra,gli
angolidellaboccaletremano.
Sta per piangere, pensa. Ma
nonècosí,quandoglialzagli
occhi in faccia Fëdor
Michailovič è avvolto da uno
sguardosfrontato,discherno.
Labambinasiritraedallasua
mano scuotendo i capelli: –
No! – grida lui. Quello
sguardo è provocatorio e
sarcastico.Poilacrisipassae
la bambina è come prima,
confusa,vergognosa.
È impossibile che quello
che ha appena visto si sia
davveroverificato.Quelloche
havistononvienedalmondo
che conosce ma da un’altra
esistenza. È come se per la
prima volta fosse stato
presenteduranteunacrisiese
per la prima volta avesse
capito dove viene trascinato
durante
gli
attacchi.
Incomincia a chiedersi se
attaccosialaparolagiusta,se
nonsidebbapiuttostoparlare
dipossessione, se tutto quello
che per vent’anni è stato
chiamato epilessia non fosse
piuttosto
solo
il
presentimento di quanto gli
sta succedendo ora, se il
tremito e le convulsioni del
corpo non siano state un
lungo preludio al collasso
dell’anima.
La morte dell’innocenza.
In vita sua non si è mai
sentito tanto solo. È un
pellegrino in un’enorme
pianura; sopra la sua testa si
assembrano
le
nuvole,
all’orizzontebalenanoilampi
e l’oscurità si addensa, uno
strato dopo l’altro. Non c’è
rifugio, se aveva una meta
ormai l’ha dimenticata da un
pezzo, piú si ammassano e
piú le nubi si fanno pesanti.
Chescoppipure! grida. Tanto
acheserverimandare?
Sono le sei e la strada è
piena di gente, quando si
precipita fuori con il suo
pacco. Passa per via
Gorochovaja fino al canale
Fontanka, e si mescola alla
follacheattraversailponte.A
metà strada si ferma e si
affacciasullasponda.
L’acquaormaièghiacciata,
tranne che per un canaletto
scavato nel centro. Chissà
cosa si ammassa sotto il
ghiaccio nel letto del canale!
Quando a primavera arriva il
disgelo chissà che raccolto di
colpevolisegreti:coltelli,asce,
vestitiinsanguinati.Omagari
peggio. Facile uccidere
l’anima, difficile invece
disfarsi di quello che resta
quandol’animasen’èandata.
La stessa sepoltura e le sue
formule magiche non sono
dirette, se vogliamo dire la
verità, all’anima, ma al corpo
ostinato,perchénonrisorgae
nonritorni.
Cosí,concautela,comeun
uomocheesplorilasuastessa
ferita, riammette Pavel nei
suoi pensieri. Sotto la sua
coperta di terra e neve,
nell’isola di Elagin, Pavel,
implacato, esiste ancora
ostinatamente. Pavel si
irrigidisce per resistere al
freddo,digrignaidenticome
un teschio, e sopporta quello
che deve sopportare, per i
secoli dei secoli che dovrà
durare, fino al giorno della
resurrezione, quando le
tombesarannoscoperchiatee
i sepolcri spalancati, e il sole
splenderàancorasudilui,che
potrà finalmente rilassare le
membratese.Poverofiglio!
Unagiovanecoppiaglisiè
fermata accanto. L’uomo
circonda col braccio le spalle
della
donna.
Fëdor
Michailovič si allontana da
loro. Sotto il ponte l’acqua
nera scorre pigramente,
lambendo una cassetta di
legno
disseminata
di
ghiaccioli. Poggia sulla
balaustrailsuopaccoavvolto
nella tela e legato con la
corda. La ragazza gli dà
un’occhiata, poi distoglie lo
sguardo.Inquelmomentolui
dàunaspintaalpaccocheva
afiniresulghiaccio,proprioa
lato del canaletto e resta lí,
benvisibileatutti.
Non riesce a crederci! Sta
esattamente sopra al canale,
eppure il pacco non c’è
caduto dentro, è colpa della
parallasse? O forse alcuni
oggetti
non
cadono
verticalmente?
Una voce alla sua sinistra
lofasussultare.–Orasícheè
neiguai!–Unvecchioconun
casco da operaio e con la
barba grigia gli rivolge un
largo sorriso ammiccante.
Chefacciadiabolica!–Nonci
si potrà camminare almeno
per un’altra settimana, temo.
Cosapensadifare?
Ci vorrebbe una crisi,
pensa. Allora il mio calice
sarà davvero pieno. Si
immagina con le convulsioni
e con la schiuma alla bocca,
vede la gente adunarglisi
intornomentrel’uomoconla
barbagrigiaindicailpuntoin
cui si trova la pistola sul
ghiaccio. Una crisi come un
fulminedelcielo,chestronchi
il peccatore. Ma la crisi non
arriva.–Sifacciaifattisuoi!–
borbotta, allontanandosi in
fretta.
18.
Ildiario
Èlaterzavoltachesisiede
a leggere le carte di Pavel.
Non sa che cosa renda cosí
difficile la lettura, sa solo che
la sua attenzione continua a
spostarsi dal senso delle
parole alle parole stesse, alle
lettere sulla carta, alla traccia
d’inchiostro del movimento
dellemani,alleombrelasciate
dalla pressione delle dita. Ci
sono momenti in cui chiude
gliocchiesfioralepaginecon
le labbra. Caro: ogni graffio
sullacartamiècaro,sidice.
Ma nella sua riluttanza c’è
qualcosa di piú. C’è qualcosa
di brutto in questa sua
intrusionenellavitadiPavele
c’è qualcosa di osceno
nell’idea del Nachlass 1 di un
figlio.
L’ironia di Maksimov gli
harovinato,forsepersempre,
il racconto di Pavel
ambientato in Siberia. Non
può non riconoscere il
carattere giovanile e la scarsa
originalità della scrittura.
Eppure ci vorrebbe cosí poco
a infonderle vita! Vorrebbe
prendere la penna, cancellare
i lunghi brani sentimentalideologici e aggiungere qua e
là quei tocchi vitali di cui ha
tanto bisogno. Il giovane
Sergejèunipocritaarrogante
che va guardato a distanza,
visto con piú umorismo,
soprattutto per quanto
riguarda la solenne disciplina
cui sottopone il corpo. Quel
che spinge la contadina nelle
sue braccia non può
certamenteesserelapromessa
di una vita matrimoniale (a
base di pane secco e rape, a
quantosipuògiudicare,euna
dura tavola per dormire) ma
la sua aria di tenersi pronto
perundestinomisterioso.Da
dove viene questo? Da
Cernyševskijcerto.Maaparte
Cernyševskij, dai Vangeli, da
Gesú, da un’imitazione di
Gesú cosí ottusa e perversa
che ricorda quella dell’ateo
Nečaev, che si circonda di
una banda di discepoli e li
conduce a imprese di morte.
Un pifferaio con una truppa
di maiali che gli ballano
attorno. – Lei farebbe
qualunque cosa per lui –
aveva detto Matrëna a
proposito della ragazzamaiala, della piccola martire
Katri. Qualunque cosa,
sopportare
l’umiliazione,
affrontarelamorte.Senzapiú
pudore, senza amor proprio.
Cosa succedeva fra Nečaev e
le sue donne nella stanza
sopra il negozio di Madame
LaFay?EMatrëna?Anchelei
sarebbe
stata
avviata
all’harem?
Chiude il manoscritto di
Pavel e lo allontana da sé. Se
dovessecominciareascriverci
lotrasformerebbedisicuroin
qualcosadiabominevole.
Poi
c’è
il
diario.
Sfogliandolo nota per la
primavoltaunasciadisegnia
matita, piccoli e nitidi segni
certamente non di mano di
Pavel, che dunque non
possono essere stati fatti che
da Maksimov. A chi erano
rivolti?Forseauncopista,ma
nella condizione in cui si
trovanonpuòfareamenodi
interpretarli come tracce
segnateperlui.
«Visto A.», dice il brano
segnato in data 11 novembre
1868.Circaunannoprima.In
data 14 novembre di nuovo
una misteriosa A. Il 20
novembre: «A. da Antonov».
Daquelmomentoinpoiogni
accennoadA.èstatosegnato.
Ritornaindietro.Laprima
A.èdel6giugno,sesiesclude
il 14 marzo: «Lunga
chiacchierata con…», con un
segno
e
un
punto
interrogativoaccanto.
14 settembre 1869, un
anno prima della sua morte:
«Schema per un racconto
(idea di A.). Un portone
chiuso, noi stiamo fuori e lo
tempestiamo
di
pugni,
chiediamo di entrare. Di
tanto in tanto viene aperto
uno spiraglio e una guardia
chiama uno di noi. Il
prescelto viene privato di
tutto quello che possiede,
perfinodellevesti.Diventaun
servo,imparaainchinarsiea
parlare a voce bassa. Come
servi scelgono quelli che
ritengono piú docili, i piú
facilidadomare.Ifortinonli
fannoentrare.
Tema: diffusione dello
spirito fra i servi. Prima
protestasoffocata,poirabbia,
ribellione, alla fine strette di
mano e giuramento di
vendicarsi. Si chiude con un
vecchio servo fedele con i
capelli bianchi e l’aria di un
nonno che arriva con un
candelabro a “fare la sua
parte”(comedice)edàfuoco
alletende».
È un’idea buona per una
favola,unaparabola,nonper
un racconto. Senza una vita
sua,uncentro.Senz’anima.
6 luglio 1869. «In una
lettera dieci rubli dalla
Snitkina, per il mio
onomastico (in ritardo), con
ordine di non dirlo al
Maestro».
La Snitkina è Anja, sua
moglie.IlMaestroèlui.Eraa
quellochepensavaMaksimov
quando lo ha avvertito che
c’erano brani dolorosi? Se è
cosí allora Maksimov non sa
che quella per lui è una
freccia da pigmeo. Può
sopportare di piú, molto di
piú.
Ritorna indietro, ai primi
giorni.
26
marzo
1867.
«IncrociatoF.M.perstradadi
notte. Aria furtiva (era stato
con una puttana?), cosí ho
dovuto far finta di essere piú
ubriacodiquellocheero.Lui
“haguidatoimieipassifinoa
casa” (adora fare il padre che
perdona il figliol prodigo),
poi mi ha messo giú sul
divano come un cadavere e
intanto lui e la Snitkina
discutevano a voce bassa. Io
avevopersolescarpe(forsele
avevo regalate). È finita con
F.M. in maniche di camicia
checercavadilavarmiipiedi.
Tutto molto imbarazzante.
StamattinahodettoallaS.che
debbo trovare un posto mio,
dovrebbe insistere, usare le
sue grazie, ma lei è troppo
spaventatadalui».
Doloroso? Sí, doloroso.
Maksimov ha ragione. Ma
semmai smetterà di leggere
nonsaràperildolore,maper
la paura. Paura, per esempio,
che venga minata la fiducia
che ripone in sua moglie.
Pauraancheperlafiduciache
hainPavel.
Per chi erano state scritte
quelle pagine maligne? Forse
Pavel le aveva scritte per gli
occhi del padre e poi era
morto per lasciare le sue
accuse senza risposta? Che
idea assurda. Piuttosto era
come una donna che scriva
all’amante, con il fantasma
del marito che legge dietro le
spalle. Ogni parola è doppia:
uno ci legge la passione e la
promessa di una resa, l’altro
una
supplica
e
un
rimprovero. La scrittura
divisa di un cuore diviso.
Chissà se Maksimov se ne è
resoconto.
2 luglio 1867, tre mesi
dopo. «Liberazione dei servi!
Finalmente libero! Portato
F.M. e moglie alla stazione e
poi dato immediatamente
disdetta della sistemazione
impossibile che mi ha trovato
(tazza
personale,
portasalviette personale e alle
10,30 il coprifuoco). V.G. mi
hadettochepossostaredalui
finché
non
trovo
qualcos’altro.
Devo
convincere il vecchio Majkov
a darmi i soldi per pagare
direttamentel’affitto».
Scorre
le
pagine
distrattamente, avanti e
indietro. Perdono, possibile
che non ci sia una parola di
perdono, per quanto obliqua
e nascosta? Impossibile
continuare a vivere con un
figlio dentro di sé, morto
senzaunaparoladiperdono.
Dentrolacassadipiombo,
una d’argento. Dentro quella
d’argento una d’oro e dentro
quella d’oro il corpo di un
giovanevestitodibianco,con
le mani incrociate sul petto.
Fra le dita un telegramma.
Sbircia il telegramma alla
ricerca di una parola di
perdono che non c’è. Il
telegramma è scritto in
ebraico, in assiro, in simboli
chenonhamaivistoprima.
Sente bussare alla porta. È
Anna Sergeevna, dev’essere
appenarientrata,–Grazieper
aver dato un’occhiata a
Matrëša. Ha creato qualche
problema?
Gli ci vuole un po’ prima
di tornare in sé e ricordarsi
che lei non sa niente dell’uso
abominevole che Nečaev ha
fattodellasuabambina.
–Nessunproblema.Come
tisembrachestia?
– Dorme, non voglio
svegliarla.
Vede le carte sparse sul
letto.
–Vedochefinalmentestai
leggendo i suoi scritti, non
vogliointerromperti.
– Aspetta, non te ne
andare ancora. Non è
piacevole.
–FëdorMichailovič,lascia
che te lo ripeta, non leggere
cose che non erano pensate
perché tu le leggessi. Ti farà
solomale.
– Vorrei poter seguire il
tuo consiglio, ma purtroppo
non è per questo che sono
qui. Non è per evitare la
sofferenza che sono qui. Ho
scorso il diario di Pavel, e ho
trovato il resoconto di un
incidentedidueannifa;iolo
ricordo fin troppo bene. È
stato illuminante rivederlo
attraverso gli occhi di un
altro.Paveleratornatoacasa
a notte fonda, ubriaco
fradicio. Svestendolo notai
qualcosa di cui non mi ero
mai accorto prima: aveva le
unghie dei piedi piccole
piccole, come se non fossero
piú cresciute da quand’era
bambino. Piedi larghi e
carnosi (immagino presi dal
padre) con le unghie
minuscole. Aveva perso le
scarpe o le aveva regalate e i
suoi
piedi
sembravano
blocchidighiaccio.
Pavel che girovaga per le
strade
fredde
dopo
mezzanotte,senzascarpe.Un
angelo caduto, un angelo
imperfetto, uno di quelli
scacciati da Dio. I suoi piedi
sono
quelli
di
un
camminatore, di uno che
calpesta pesantemente la
nostra grande madre, di un
contadino, non di un
ballerino.
Poi, sdraiato sul divano,
con la testa ciondolante e il
vomitosuivestiti.
–Glidiediunvecchiopaio
di scarpe e lo vidi andarsene
via la mattina dopo, molto
scontroso e con le scarpe in
mano. Ecco tutto. Un’età
strana però, a diciotto,
diciannove anni sono adulti,
ma non riescono ancora a
lasciare il nido. Hanno le ali
ma non sanno ancora volare.
Sempre a mangiare, sempre
affamati.Mifannopensareai
pellicani,
creature
allampanate, gli uccelli piú
goffi, prima che riescano a
spiegare le loro grandi ali e a
lasciare la terra. Purtroppo
non è cosí che Pavel ricorda
quellanotte.Nelsuoracconto
non ci sono angeli né uccelli,
non si parla di cure paterne,
diamorepaterno.
– Fëdor Michailovič, non
ti servirà torturarti a questo
modo. Se non ce la fai a
bruciare queste carte almeno
mettile via per un po’ e
ritornacisoprasolodopoche
avrai fatto pace con Pavel.
Ascoltami, fai come ti dico,
periltuobene.
–Grazie,Annacara.Letue
parole mi toccano il cuore,
maquandoparlodievitarela
sofferenza, quando parlo del
perchésonoqui,nonintendo
dire in questa casa o a
Pietroburgo.Intendodireche
non sono qui in Russia, di
questi tempi, per vivere una
vita priva di dolore. Non
posso fare altro che vivere
(come definirla?) una vita
russa: una vita dentro la
Russia,oconlaRussiadentro
di me, qualunque cosa la
Russia voglia dire. È un
destinoalqualenonmiposso
sottrarre. Il che non significa
che io gli rivendichi una
grossaimportanza.Nonèuna
vita da analizzare da vicino.
Anzi non è tanto una vita
quanto un prezzo o una
moneta. È qualcosa con cui
pago per poter scrivere. È
questo che Pavel non capiva,
chepagoanch’io.
Leisirabbuia.Oracapisce
da chi ha preso certe smorfie
Matrëna. Non ha pazienza
per questo strapparsi le
viscere. Ha ragione: è una
mania troppo diffusa in
Russia.
Ma comunque pago
anch’io. Lo ripeterebbe, se lei
lostesseasentire.Lodirebbe
ancoraedirebbeanchedipiú.
Pagoevendo:èquestalamia
vita. Vendo la mia vita e
quelladellepersoneintornoa
me. Vendo tutti. Sono un
Jakovlev che traffica in vite.
La finlandese aveva ragione,
dopotutto: un Giuda, non un
Gesú. Vendo te, tua figlia,
vendo tutti quelli che amo.
Ho venduto Pavel quand’era
vivoeoravenderòquelloche
ho dentro, se ci riesco. Spero
di riuscire a vendere anche
Nečaev.
Una vita disonorata;
tradimento senza limite,
confessionesenzascopo.
La donna interrompe il
corso dei suoi pensieri: –
Pensiancoradipartire?
–Sí,certo.
– Te lo chiedo perché c’è
qualcuno che si è informato
sullastanza.Doveandrai?
– Prima di tutto da
Majkov.
–Nonavevidettochenon
cipuoiandare?
– Mi presterà i soldi, ne
sono certo. Gli dirò che devo
rientrare a Dresda e poi mi
cercheròunpostodovestare.
– Perché non torni subito
aDresda?Noncredichecosí
risolverestiogniproblema?
– La polizia ha ancora il
mio passaporto e poi ci sono
altreconsiderazioni.
– Perché ormai hai fatto
quello che potevi. Ormai stai
sprecando il tuo tempo qui a
Pietroburgo.
Forsenonhasentitoquello
chelehadetto?Oppurecerca
di
provocarlo?
Fëdor
Michailovič si alza, raccoglie
le carte e si volta per
affrontarla: – No, mia cara
Anna, non sto affatto
sprecando il mio tempo. Ho
tutteleragionidelmondoper
restare qui. Nessuno ha
ragioni migliori delle mie. E
sono sicuro che in fondo al
cuorelosaianchetu.
Lei scuote la testa: – Non
so – mormora, ma il tono è
quello di chi vuole essere
contraddetto.
–C’èstatounmomentoin
cui ero sicuro che mi avresti
condotto
da
Pavel,
immaginavo noi due su una
barca,tu,allaprua,laguidavi
attraverso
la
nebbia.
L’immagine era vivida come
lavitastessa.Iohoripostoin
tetuttalamiafiducia.
Lei scuote nuovamente il
capo.
– Può darsi che abbia
sbagliato nei dettagli, ma la
sensazione non era sbagliata.
Fin dall’inizio ho sentito
qualcosadispecialeperte.
Se lo volesse fermare, lo
fermerebbeora.Manonlofa.
Beve le sue parole come una
pianta beve l’acqua. E perché
no?
–Abbiamoresolecosepiú
difficili per noi, buttandoci
in…inquelloincuicisiamo
buttati.
–Èstataanchecolpamia–
interviene lei – ma ora non
mivadiparlarne.
–No,neppureame.Lascia
solo che ti dica che la
settimana scorsa ho capito
quantosiaimportantepernoi
la fedeltà, per tutti e due noi.
Abbiamo dovuto recuperare
lanostrafedeltà.Dicobene?
La scruta con attenzione.
Leiaspettacheluidicadipiú,
aspetta perché vuole essere
sicuracheluisappiacosavuol
direfedeltà.
–Vogliodire,dapartetua
fedeltà nei confronti di tua
figlia e da parte mia fedeltà a
mio figlio. Non possiamo
amare senza la loro
benedizione,nonèvero?
Anche se lui sa che è
d’accordo, lei non lo dirà. Di
fronte a quella dolce
resistenza Fëdor Michailovič
insiste: – Vorrei avere un
figliodate.
Lei arrossisce: – Che
stupidaggine! Hai già una
moglieeunfiglio!
– Loro sono di un’altra
famiglia.Tuseidellafamiglia
diPavel,tueMatrëna,tuttee
due,comeme.
–Noncapiscochecosastai
dicendo.
–Sí,incuortuolosai.
– In cuor mio, non lo so!
Checosamistaiproponendo,
di tirare su un figlio con il
padre all’estero che manda
l’assegno per posta? Che
follia!
– E perché, non pensavi
forseaPavel?
–
Pavel
era
un
pensionante,nonunfiglio!
– Non c’è bisogno che tu
decidasubito.
– E io invece decido
subito! No! È questa la mia
decisione!
–Esefossigiàincinta?
Lei si risente: – Non sono
affarituoi!
–Eseionontornassipiúa
Dresda. Se rimanessi qui e
mandassilíl’assegno?
– Qui? Nella stanza degli
ospiti?
A
Pietroburgo?
Pensavo che non potessi
fermartiaPietroburgosenon
volevi finire in galera per
debiti.
– Posso pagare i debiti…
mi basterebbe un solo
successo.
Leiride.Forseèarrabbiata,
manonèoffesa.Luipuòdirle
quello che vuole. Che
differenzadaAnja!ConAnja
sarebbero lacrime, porte
sbattute,
settimane
di
suppliche per ritornare nelle
suegrazie.
– Fëdor Michailovič, –
dice Anna Sergeevna –
domattina ti sveglierai e non
ti ricorderai neppure di
queste chiacchiere. È solo
un’idea che ti è venuta in
mente cosí; non ci hai mica
riflettuto.
–Èvero.Èandatacosí,ma
èperquestochecicredo.
Lei non si butta fra le sue
braccia, ma neppure lo
respinge. – Bigamia! – dice
ridacchiando
sommessamente,
e
poi
scoppia di nuovo a ridere.
Poi, con aria piú decisa: –
Vuoichevengastanotte?
– Non c’è cosa al mondo
chevogliodipiú!
–Vedremo.
A mezzanotte torna. –
Non posso fermarmi – dice,
ma intanto si chiude la porta
allespalle.
Fanno l’amore come due
condannati a morte, assorti,
risoluti. In certi momenti lui
non sa dire quale dei due sia
lui, quale lei. Sono scheletri,
mucchidiossaedilegamenti
stretti avvinghiati, bocca a
bocca, occhi negli occhi,
costole incatenate, ossa delle
gambeintrecciate.
Dopo, lei resta appoggiata
addosso all’uomo nel letto
stretto,latestasulsuotorace,
lalungagambaaccavallatasu
quella di lui. La testa gli gira
dolcemente. – Allora tutto
questo era per produrre la
nascita del salvatore? –
mormoraAnnaSergeevna.E,
quando vede che lui non
capisce: – Un fiume di
sperma. Volevi proprio
esserne certo. Il letto è
fradicio.
Il pensiero blasfemo lo
intriga.Ognivoltatrovainlei
qualcosa di nuovo e di
sorprendente. Impensabile
lasciare
Pietroburgo,
inconcepibile l’idea di non
tornare piú, di non rivederla
piú.
–Perchésalvatore?
– Non è questo il suo
compito?Salvarti,salvarci?
–Perchéseicosícertache
siaunmaschio?
–Ledonnelosanno.
– Cosa ne penserà
Matrëša?
–Matrëšadiunfratellino?
Non desidera altro. Potrebbe
farglidamadrequantovuole.
Apparentemente
la
domanda riguarda Matrëša
ma è solo la piccola parte
pronunciata di un’altra
domanda, una domanda che
non fa perché conosce la
risposta. Pavel non sarebbe
contento di un fratello. Pavel
lo acchiapperebbe per un
piedeeglisbatterebbelatesta
controilmuro.PerPavelnon
sarebbe un salvatore ma un
concorrente, un usurpatore,
un piccolo diavolo furbo
vestitodellacarnepaffutadei
bambini. E chi può giurare
chesbagli?
– Le donne lo sanno
sempre?
–Vuoidiresesodiessere
incinta? Non preoccuparti,
non succederà –. E poi: – Se
mi fermo ancora un po’ qui
miaddormento–.Siscopree
lo scavalca. Alla luce della
lunatrovaivestitiecomincia
arimetterseli.
Lui sente una stretta.
Memoriesmossedigioventú,
ilgiovanecheèdentrodilui,
chenonèancoramorto,cerca
di farsi sentire, il cadavere
dentro di lui non è ancora
stato sepolto. È sul punto di
innamorarsi di un amore
senza riserve, senza limiti.
Ancora una volta il mal
caduco,ounasuavariante.
L’impulso è forte, ma
passa. Forte, ma non forte
abbastanza.Nonsaràmaipiú
abbastanza forte, a meno che
non trovi una stampella da
qualcheparte.
–Vieniquiunmomento–
lesussurra.
Lei si siede sul letto. Le
prendelamano.
– Posso darti un
suggerimento?Noncredoche
sia una buona idea che
Matrëša continui a vedere
SergejNečaeveisuoiamici.
Leiritiralamano:–Certo
cheno!Machec’entraora?–
Lasuavoceèfreddaepiatta.
–Perchécredocheleinon
vada lasciata sola quando c’è
ilrischiocheluipassi.
–Checosasuggerisci?
– Non può passare la
giornata al piano di sotto, da
Amalija Karlovna, fino a
quandotunonrientri?
–Nonsipuòchiedereuna
cosadelgenereaunavecchia
di quell’età, che per di piú
non va d’accordo con
Matrëša.
Perché
non
dovrebbe bastare dire alla
bambina di non aprire la
portaaglisconosciuti?
– Perché non ti rendi
conto dell’ascendente di
Nečaevsudilei.
Si alza. – Non mi piace
questa storia – dice. – Non
capisco che bisogno c’è di
discuteredimiafigliainpiena
notte.
L’atmosfera fra di loro è
improvvisamente piú gelida
chemai.
– Possibile che io non
possa pronunciare il suo
nome senza scatenare le tue
ire? – chiede sconsolato. –
Credi che solleverei il
problema se non mi stesse a
cuoreilsuobene?
Leinonrisponde.Laporta
siapreesirichiude.
1
[In tedesco nel testo:
«Eredità»].
19.
Incendi
Sprofondare ancora una
volta dalla rinnovata intimità
all’estraniamento lo lascia
interdetto e cupo. Passa dal
desiderio di fare pace con
questa donna difficile e
permalosa alla gran voglia di
lavarsenelemani.Nonsolodi
una
relazione
poco
gratificante, ma anche di una
cittàdiluttoeintrigoconcui
non sente piú un rapporto
vitale.
Sta precipitando: Pavel!
sussurra,
cercando
di
riprendersi. Ma Pavel ha
lasciato la sua mano, Pavel
nonlosalverà.
Pertuttalamattinatasene
sta chiuso in camera, con le
ginocchia fra le braccia e la
testachina.Nonèsolo.Mala
presenza che sente nella
stanza non è quella di suo
figlio. Sono mille piccoli
demoni, che oscurano l’aria
come locuste uscite da un
barattolo.
Quando alla fine si alza è
per tirare giú le immagini di
Pavel, il dagherrotipo che ha
portato con sé da Dresda e il
disegnodiMatrëna.Liincarta
insieme, faccia a faccia, e li
mettevia.
Esce per andare, come
sempre, a presentarsi alla
polizia.QuandorientraAnna
Sergeevnaèacasa,piúpresto
delsolitoepiuttostoagitata.–
Abbiamo dovuto chiudere il
negozio – dice – tutto il
giorno c’è stata battaglia fra
studentiepolizia.Soprattutto
nella zona di Petrogradskaja,
maanchedaquestapartedel
fiume. Tutti i negozi hanno
chiuso, è troppo pericoloso
girare per le strade. Il nipote
di Jakovlev tornava dal
mercato sul carro quando
qualcuno,
senza
alcun
motivo, gli ha tirato addosso
un ciottolo. Lo ha colpito al
polso; ora ha forti dolori e
non può muovere le dita,
teme che gli abbia rotto un
osso. Dice che anche gli
operai si stanno unendo alla
lottaecheglistudentihanno
ripresoadappiccareilfuoco.
– Possiamo andare a
vedere? – grida Matrëna dal
letto.
– Assolutamente no, è
pericoloso!Epoifaunfreddo
cane.
Si comporta come se non
ricordasse quello che è
successolanotteprecedente.
Fëdor Michailovič esce di
nuovo e si ferma in una sala
da tè. I giornali non parlano
degli scontri che si stanno
svolgendo per le strade, ma
c’è la notizia che, «data la
sempre maggiore indisciplina
del corpo studentesco»,
l’università rimarrà chiusa
finoanuovoordine.
Sono passate le quattro.
Nonostante tiri un vento
gelido, Fëdor Michailovič
scende lungo il fiume, verso
est. Tutti i ponti sono
bloccati: i gendarmi in
uniforme azzurra e con i
caschi piumati li presidiano
con le baionette. Sull’altra
sponda rilucono i bagliori
degliincendicontroilcieloal
tramonto.
Segue il corso del fiume
fino a quando arriva in vista
dei primi magazzini sventrati
e ancora fumanti. Ha
cominciato a nevicare e i
fiocchi di neve si dissolvono
appena sfiorano il legno
bruciato.
Non crede che Anna
Sergeevna vorrà tornare
ancora da lui. E invece ci
torna,comeprima,senzadare
spiegazioni. È incredibile
l’energia selvaggia con cui fa
l’amore, considerando che
Matrëna è nella stanza
accanto. Soffoca a mala pena
grida e sospiri; non sono, né
lo sono mai state, grida di
piacere animale. Solo ora
cominciaacapirecheèilsuo
modo di indursi una sorta di
tranceerotica.
In principio la sua
intensità lo contagia; per un
lungomomentoperdeancora
una volta la consapevolezza
della propria identità e di
quella di lei. Sono chiusi
dentro una sfera di piacere
incandescente; ci galleggiano
dentro,comegemelli,girando
lentamente.
Non ha mai conosciuto
una donna capace di lasciarsi
andare fino a quel punto alla
pulsione erotica. Eppure
quando raggiunge il livello
piú alto di eccitazione, Fëdor
Michailovič comincia a
ritrarsi
da
lei.
Ha
l’impressione che qualcosa
stia cambiando: le sensazioni
che durante la prima notte
d’amore
sembravano
proveniredallaprofonditàdel
suo corpo ora sembrano
migrate alla superficie. E lei
infatti comincia a essere
«elettrica» come tante altre
donnechehaconosciuto.
Anna
Sergeevna
ha
insistito per lasciare accesa la
candela sulla toletta. Quando
si avvicina all’orgasmo i suoi
occhi scuri scrutano la faccia
dell’uomo
sempre
piú
intensamente, anche quando
le palpebre tremano e il
brividolasquassa.
A un certo punto gli
sembra di sentirle dire
qualcosa che coglie solo in
parte:–Checosa?–lechiede.
Ma lei scuote la testa e
digrignaidenti.
Nonhacapitobene,masa
cosahadetto:demone. È una
parola che egli stesso usa,
anche se in un altro senso. Il
demone: l’istante che precede
l’acme, quando l’anima viene
proiettata fuori dal corpo e
comincia a precipitare a
spirale nell’oblio. Non è
difficile
immaginarla
posseduta da un demone,
quandoscuotelatestadauna
parte e dall’altra, stringe i
dentiemugola.
La donna gli si butta
addossoancoraunavoltaper
ricominciare e con piú
ferocia.Mailpozzoèseccoe
presto se ne rendono conto
entrambi.–Noncelafaccio–
soffia, e rimane immobile.
Con le mani alzate, le palme
aperte,giace,comesesifosse
arresa. – Non ce la faccio a
continuare! – Le lacrime le
rotolanogiúperleguance.
La luce della candela la
illumina. Lui stringe il suo
corpo abbandonato fra le
braccia.
Le
lacrime
continuano a scorrerle sul
viso e lei non fa niente per
fermarle.
–Cosac’è?
– Non ho la forza di
continuare. Ci ho provato in
tuttiimodi,masonoesausta.
Perfavoreoralasciacistare.
–Lasciaci?
– Sí, noi, noi due. Non
riusciamo a respirare sotto il
tuopeso.Soffochiamo.
–Meloavrestidovutodire
prima.Nonavevocapito.
–
Non
ti
sto
rimproverando.Hocercatodi
tenere tutto per me, ma non
celafacciopiú.Sonostatain
piedituttoilgiorno.Lanotte
scorsa non ho dormito, sono
sfinita.
–Credichetiabbiausato?
– No, non in quel senso.
Però mi usi come mezzo per
raggiungeremiafiglia.
– Matrëna! Che assurdità!
Nondirmichepensiunacosa
delgenere!
–Èlaverità,chiaracomeil
sole!Miusiperarrivarealeie
iononlosopporto!–Sisiede
sul letto, incrocia le braccia
sul seno nudo, e si mette a
dondolare avanti e indietro
con aria disperata. – Tu sei
dominato da qualcosa che
non riesco ad afferrare.
Sembri presente, ma invece
non ci sei. Ero pronta ad
aiutarti per via di… – solleva
le spalle impotente: – ma ora
noncelafacciopiú.
–PerviadiPavel?
– Sí, per via di Pavel, per
quello che avevi detto. Ero
pronta a provare. Ma ora mi
costa troppo. Mi consuma.
Non sarei mai arrivata a
questo punto se non avessi
temuto che avresti utilizzato
Matrënaallostessomodo.
Le mette una mano sulle
labbra: – Abbassa la voce. È
un’accusa terribile. Che cosa
ti ha detto? Non potrei mai
metterle le mani addosso, lo
giuro.
–Logiurisuchi,osuche
cosa? In cosa credi per poter
giurare? Comunque non ha
niente a che fare con lemani
addosso, e tu lo sai bene. E
non dirmi di stare calma –.
Scaglia via le coperte e va in
cercadeivestiti.–Devostare
solaoimpazzisco.
Un’ora dopo, proprio
mentre
lui
si
sta
addormentando, s’infila nel
suo letto, gli si avvinghia con
la sua pelle calda, intreccia le
gambe alle sue: – Non fare
caso a quello che ho detto –
dice – a volte non sono io; ti
cidovraiabituare.
Durante la notte Fëdor
Michailovič si risveglia.
Anche se le tende sono
chiuse, la stanza è illuminata
comesecifosselalunapiena.
Sialzaevaallafinestra.Aun
chilometro di lí le fiamme
lambiscono il cielo notturno.
L’incendio dall’altra parte del
fiumeècosíimmensochegli
sembradisentirneilcalore.
Ritorna nel letto con
Anna. Cosí li trova Matrëna
la mattina dopo. La madre,
spettinata e profondamente
addormentata, sta accucciata
vicino a lui e russa
debolmente. Lui apre gli
occhi e incontra quelli severi
dellabambinasullaporta.
Un’apparizione
che
avrebbe potuto anche essere
unsogno,masachenonloè.
Leivedetuttoesatutto.
20.
Stavrogin
Unanuvoladifumocopre
la città. Dal cielo cade la
cenere e in alcuni punti
perfinolaneveègrigia.
Tutta la mattina se ne sta
seduto solo nella sua stanza.
Ora sa perché non è tornato
all’isoladiElagin.Èperchéha
paura di vedere una
montagnoladiterrasmossa,il
sepolcro spalancato, il corpo
sparito. Un cadavere sepolto
nel modo sbagliato, ora
sepolto dentro di lui, nel suo
petto, un cadavere che non
piange piú ma che soffia
pazzia, che gli sussurra di
precipitare.
È malato e sa il nome del
suo male. Nečaev la voce dei
tempi,lachiamavendetta,ma
il suo nome piú vero, meno
nobile,èrancore.
Ha di fronte una scelta.
Può gridare mentre precipita
vergognosamente, battere le
bracciacomeali,invocareDio
o la Madonna perché lo
salvino. Oppure si può
lasciare andare, rifiutare il
cloroformio del terrore o
dell’inconsapevolezza,starein
guardia e in ascolto del
momento che potrebbe
arrivare o forse no (non è in
suopotereforzarlo)incuida
corpochesprofondanelbuio
diventerà un corpo dentro il
quale si verifica un tuffo nel
buio, un corpo che contiene
la sua stessa caduta e la sua
stessaoscurità.
Se c’è qualcuno che ha il
dovere di sopravvivere alla
folliadeinostritempiquelloè
lui, aveva detto ad Anna
Sergeevna.Nonperemergere
dalla caduta senza un graffio,
ma per compiere quello che
suo figlio non ha portato a
termine: per lottare con
l’oscurità sibilante, per
assorbirla, farne il suo
elemento; per trasformare la
caduta in volo, sia pure nel
volo lento, vecchio e goffo di
una tartaruga. Vivere dove
Pavel è morto. Vivere in
Russiaeascoltarelevocidella
Russia che gli mormorano
dentro. Per tenere tutto
dentro di sé, la Russia, Pavel,
lamorte.
Questoavevadetto,maera
la verità o una vanteria? La
risposta non importa, purché
lui non indietreggi. Né
importa che lui parli per
metafora, facendo della sua
sordida e spregevole malattia
ilsimbolodelmaledelsecolo.
Lafolliaèdentrodiluieluiè
dentro la follia; si pensano
reciprocamente, qualunque
sia il nome che si danno:
follia, epilessia, vendetta o
spirito del tempo, non
importa. Quello dove vive
nonèl’ospiziodellafollia,né
Pietroburgo è la città della
follia.Èluiilpazzoecoluiche
ammette di essere pazzo è
pazzo a sua volta. Niente di
ciò che dice è vero, né falso,
niente può essere creduto né
rifiutato.Nonc’ènienteacui
aggrapparsi, nient’altro da
farecheprecipitare.
Scartaloscrittoioportatile,
tirafuoriisuoimateriali.Non
si tratta piú di ascoltare il
richiamo del figlio morto
trascinatodaltorrente,nonsi
tratta piú di essere fedeli a
Pavel quando tutti hanno
ceduto. Non si tratta piú di
fedeltà. Al contrario, si tratta
di tradimento – tradimento
dell’amore prima di tutto, e
poi di Pavel e della madre e
del figlio e di tutti gli altri.
Perversione: utilizzare ogni
cosa e ognuno per un altro
fine, per aggrapparcisi e
precipitareinsieme.
Ricorda l’assistente di
Maksimov e la domanda che
gli aveva fatto: «Che tipo di
libri scrive?» Ora sa come
avrebbe dovuto rispondere.
«Scrivodelleperversionidella
verità. Scelgo le strade del
male e porto i bambini negli
angoli bui. Seguo la danza
dellapenna».
Nellospecchiosullatoletta
coglie un balenare della sua
immagine curva sul tavolino.
Nella luce grigia, senza
occhiali,
potrebbe
confonderlaconquelladiuno
sconosciuto, la barba scura
potrebbeessereunveloouna
cortinadiapi.
Sposta la sedia per non
vedere lo specchio. Ma la
sensazione
di
un’altra
presenzanellastanzapersiste:
se non proprio di una
persona, almeno di una
traccia, uno spaventapasseri
insaccato in un vestito
vecchio,conlatestaditeladi
sacco imbottita e un
fazzolettodavantiallabocca.
È distratto e innervosito
per la sua distrazione. Lo
stesso spirito d’irritazione
tieneperversamenteinvitalo
spaventapasseri; quella muta
indifferenza
alla
sua
irritazione non fa che
amplificarelasuarabbia.
Fa su e giú per la stanza,
sposta ancora una volta il
tavolino. Si china sullo
specchio, si scruta il viso, i
pori della pelle. Non riesce a
scrivere,nonriesceapensare.
Non riesce a pensare, e
allora?Nonhadimenticatoil
ladro nella notte. Se ci sarà
salvezza verrà dal ladro nella
notte, per la sua venuta deve
rimanere sempre in guardia.
Ma il ladro non verrà perché
il padrone di casa lo ha
dimenticato
e
si
è
addormentato. Il padrone di
casa non può stare sempre
all’ertaesveglio,altrimentila
parabola non si compirà. Il
padronedicasadevedormire
e se lui deve dormire come
può Dio condannarne il
sonno?Diodevesalvarlo,Dio
non può fare altro. Ma
intrappolare cosí Dio in una
rete di razionalità è una
provocazione,
è
una
bestemmia.
È di nuovo nel vecchio
labirinto:è,sottoaltraforma,
la stessa storia del giocatore.
Lui gioca perché Dio non
parla.GiocaperspingereDio
a parlare. Ma volere che Dio
parliattraversolecarteèuna
bestemmia.Soloquandotace,
Dio parla. Quando sembra
cheparli,Diononparla.
Rimane seduto al tavolino
per ore. La penna non si
muove. Di tanto in tanto la
traccia di quella presenza
ritorna, l’uomo vecchio e
curvo, una caricatura di se
stesso. È paralizzato, è in
prigione.
Eallora?Allorache?
Chiude gli occhi e si
costringe a guardare quella
traccia, lascia che l’immagine
sidelineipiúchiaramente.Sul
volto c’è ancora un velo, che
non sembra in grado di
togliere. Solo quella figura
puòfarloenonlofaràprima
che le venga richiesto. Per
chiederglielo deve saperne il
nome. Come si chiamerà?
Ivanov? È Ivanov che è
ritornato. Ivanov l’oscuro, il
dimenticato?Qualesaràstato
il vero nome di Ivanov?
Oppure è Pavel? Chi era il
pensionante che occupava
quella stanza prima di lui?
Chi era il P.A.I., proprietario
della valigia? La P. era
davvero l’iniziale di Pavel? E
Pavel si chiamava davvero
cosí? Se viene chiamato con
un nome non suo, si
presenteràmaiPavel?
Una volta Pavel era colui
che si era perso. Ora è lui a
essersiperso,ècosípersoche
non sa neppure come fare a
chiedereaiuto.
Se lascia cadere la penna,
può essere che la figura
dall’altra parte del tavolo la
raccolgaesimettaascrivere?
Ripensaaquellochegliha
dettoAnnaSergeevna:tuseia
luttopertestesso.
Lelacrimechegliscorrono
sulle guance sono cristalline,
quasiinsipidesullalingua.Se
in lui si sta verificando una
sorta di purificazione, quello
cheesceèstranamentepuro.
Alla fine non gli sarà
concesso riportare in vita il
ragazzomorto.Allafine,selo
vorrà incontrare, dovrà
incontrarlonellamorte.
C’èlavaligia.C’èilvestito
bianco.Daqualchepartequel
vestito bianco ancora esiste.
Esisterà
un
modo,
cominciando dai piedi, di
ricostruire il corpo dentro il
vestito, fino a che alla fine
noncompaiailvolto,siapure
quello di Baal con il muso di
bue?
La testa della figura
dall’altrapartedeltavoloèun
po’troppogrande,piúgrande
di come dev’essere una testa
umana.Eabenguardaretutte
le
proporzioni
sono
lievemente sbagliate; c’è
qualcosadieccessivo.
Si chiede se per caso non
abbia la febbre. Peccato che
nonpossachiamareMatrëna,
nella stanza accanto, perché
glisentalafronte.
Quella figura non gli
trasmettesensazioni,nessuna.
Opiuttostoavverteintornoa
essa
un
campo
di
indifferenza, di una forza
terribile,comeunmantellodi
oscurità.Èperquestochenon
riesce a trovare il nome: non
perchéilnomeènascosto,ma
perché quella figura è
indifferente a tutti i nomi, a
tutte le parole, a qualunque
cosasidicadilei.
Lasuaforzaècosíviolenta
che se la sente premere
addosso,
come
onde
silenziose,unadopol’altra.
La terza prova. Le sue
parole ad Anna Sergeevna:
sono stato mandato qui per
vivere la vita della Russia. È
cosí che la Russia si
manifesta?Inquestaforza,in
questa oscurità, in questa
indifferenzaainomi?
Oppure il nome che non
riesce a trovare è quello
dell’altro ragazzo, di quello
che ha ripudiato: Nečaev? È
questo che deve capire: che
agli occhi di Dio non c’è
differenza fra i due? Che
Pavel Isaev e Sergej Nečaev
sono passeri dello stesso
peso? Dovrà rinunciare
all’ultima speranza che Pavel
sia innocente; riconoscerlo
come compagno e seguace di
Nečaev, un giovane inquieto
cheharispostosenzariservea
tuttoquellocheNečaevgliha
proposto?
Non
solo
all’avventura
della
cospirazione ma anche
all’estasi che gonfia l’anima,
quella di dare la morte? E se
Nečaev odia i padri e fa loro
una guerra implacabile,
bisogna concedere a Pavel di
seguirlo?
Mentre si pone questa
domanda, mentre permette a
Pavel di sentire per la prima
volta il sapore dell’odio e del
sangue, qualcosa si agita
anche dentro di lui. Gli sta
montando dentro una furia,
inrispostaaPaveleaNečaev,
inrispostaatuttiloro.Padrie
figli:nemici.Nemiciamorte.
Restalíseduto,paralizzato.
OPavelrestadentrodilui,un
figlio murato nella cripta del
suo dolore, lí, a piangere
ininterrottamente;
oppure
lascia che liberi la sua furia
controlaleggedeipadri.Che
anche la sua rabbia sia
liberata, come un genio dalla
bottiglia, la rabbia contro
l’ingratitudine e l’irriverenza
deifigli.
Nonvedealtrosenonuna
scelta che non è una scelta.
Non riesce a pensare, né a
scrivere,nonriesceapiangere
altri che se stesso. Fino a che
Pavel, il vero Pavel, non lo
visiterà senza essere stato
chiamato, di sua spontanea
volontà,
lui
resterà
prigioniero nel suo stesso
petto. E non c’è certezza che
Pavelnonsiagiàvenutonella
notte, che non abbia già
parlato.
A Pavel è concesso di
parlare una volta sola, ma lui
non accetta l’idea di non
essere perdonato perché era
sordo, o addormentato, o
stupido quando la parola è
stata pronunciata. Per questo
tende l’orecchio alla seconda
parola di Pavel. Sa bene di
non meritare una seconda
parola, sa bene che non ci
saràunasecondaparola.Maè
fermamenteconvintocheuna
secondaparolaarriverà.
Sa che rischia di puntare
sullasecondachance.Appena
avrà puntato sulla seconda
chance, avrà perso. Deve fare
quello che non riesce a fare:
rassegnarsiaquellocheverrà,
allaparolaoalsilenzio.
Teme che Pavel abbia
parlato. Crede che Pavel
parlerà. Tutte e due le cose.
Calceecacio.
È con questo spirito che
siedealtavolinodiPavel,con
gli occhi fissi sul fantasma di
fronte,implacabilequantolui,
ilfantasmacheglièstatodato
perchélofacciavivere.
NonèNečaev,oralosa.È
piú grande di Nečaev. Non è
neppurePavel.Forseèquello
che Pavel avrebbe potuto
essere un giorno, lasciata del
tutto alle spalle l’adolescenza,
divenuto pienamente adulto:
unbell’uomodalvisofreddo,
un uomo che nessun amore
riesce a toccare, neppure
l’adorazione di una bambina
che farebbe qualsiasi cosa per
lui.
È una versione che lo
infastidisce.Nonèlaverità,o
non è ancora tutta la verità.
Ma quella visione di Pavel
cresciuto,oltrel’adolescenzae
oltre l’amore, cresciuto non
allamanieradegliuominima
a quella degli insetti, che
cambiano
completamente
formaaognistadiodellaloro
evoluzione, quella visione lo
agghiaccia. Affrontarla è
comescenderenelleacquedel
Nilo e trovarsi davanti
qualcosa di enorme, freddo e
grigio, qualcosa che forse un
giorno era nato da una
donna,machecolpassaredel
tempo si è trasformato in
pietra, non appartiene piú a
questo mondo, qualcosa che
confonderà e schiaccerà ogni
suacapacitàcreativa.
Anche Cristo sul Calvario
lo schiaccia. Ma la figura che
ha di fronte non è quella di
Cristo. Non c’è amore in lei
ma
solo
l’indifferenza
massicciaegelidadellapietra.
È questa presenza, cosí
grigiaecosíprivaditratti,che
devegenerare,aleidevedare
sangue, carne, vita? Oppure
non capisce, non ha mai
capito niente fin dal
principio? Forse invece deve
lasciare da parte tutto quello
che è, tutto quello che è
diventato,perfinoisuoitratti,
e diventare di nuovo un
infante? Forse è quella figura
che deve generarlo e lui deve
solo abbandonarsi e lasciarsi
generare?
Seècosíchedev’essere,se
èquellalastradaperlaverità
e la resurrezione, lo farà.
Rinuncerà a tutto. Seguirà
quell’ombra, nudo come un
infante,
nelle
fauci
dell’inferno.
Gli viene in mente
un’immagine che ha rimosso
pertuttoilmese:Pavelnudoe
con le ossa rotte, Pavel
insanguinato
all’obitorio,
morto o morente anche il
semenelsuocorpo.
Non c’è piú niente di
privato oramai. Senza battere
ciglio, per quanto gli è
possibile,fissaquellepartidel
corpo senza le quali non ci
può essere paternità. E la
mentegliritornaalmuseodi
Berlino, alla terribile divinità
che tira fuori il seme dal
cadavereelosalva.
Cosí finalmente viene il
momento in cui la sua mano
prende la penna e si mette a
scrivere. Ma le parole che
scrive non sono parole di
salvezza. Raccontano di
mosche, anzi di una sola
moscanera,cheronzacontro
ilvetrodiunafinestrachiusa.
È piena estate a Pietroburgo,
calda e appiccicosa; dalla
strada arriva il rumore della
musica. Nella stanza una
bambinacongliocchiscurie
i capelli biondi e lisci giace
sdraiata vicino a un uomo; i
suoi piedi nudi non arrivano
alle caviglie di lui, preme il
viso sulla sua spalla, contro
cui si strofina e si accuccia
comeunaneonata.
Chièl’uomo?Ilsuocorpo
èbellocomequellodiundio,
ma emana un tale gelo
marmoreochenonèpossibile
che la bambina non ne sia
agghiacciata. Il viso non si
riesceavedere.
Siede con la penna in
mano, rifuggendo da quelle
immagini che non hanno
posto nel mondo; vacilla
nell’istante in cui tutta la
creazioneèspalancataaisuoi
piedi,subitoprimadimollare
la presa e cominciare a
rotolare.
È un momento che
comincia a conoscere bene,
convoluttà,unmomentoper
ilqualesaràdannato.
Sialzaagitato.Tirafuoriil
diario di Pavel dalla valigia e
lo apre alla prima pagina
vuota, quella su cui il figlio
non ha cominciato a scrivere
perché oramai era morto. Su
quella pagina ricomincia, per
lasecondavolta,ascrivere.
Nel racconto si trova in
quellastessastanza,sedutoal
tavolino dov’è seduto. Ma la
stanza è di Pavel e solo di
Pavel. E lui non è piú se
stesso,nonèpiúunuomodi
quarantanoveanni.Ègiovane
invece e ha tutta la forza
arrogante della gioventú.
Porta un vestito bianco, dal
taglioperfetto.È,inunacerta
misura, Pavel Isaev, anche se
PavelIsaevnonèilnomeche
sidarà.
Nel sangue di questo
giovane uomo, in questa
versione di Pavel, scorre un
senso di trionfo. È passato
attraverso i cancelli ed è
tornato: niente lo può piú
toccare. Non è un dio, ma
non è neppure piú un essere
umano.Èinuncertosensoal
di là dell’umano, al di là
dell’uomo. Non c’è niente di
cuinonsiacapace.
Attraverso questo giovane
uomo, il palazzo, il palazzo
con i suoi corridoi che
puzzano di chiuso e i suoi
angoli bui, comincia a
scriversi, è proprio questo
palazzo di Pietroburgo, in
Russia.
In cima alla pagina, in
belle lettere maiuscole,
L’APPARTAMENTO,
e
scrive:
Dorme fino a tardi, quasi
mai si alza prima di
mezzogiorno,
quando
l’appartamento è diventato
cosícaldochelelenzuolasono
intrise del suo sudore. Allora
vaincespicandofinoalpiccolo
bagno sul pianerottolo, si
sciacqua la faccia, si lava i
denticonilditoepoiritorna,
incespicando,
nell’appartamento. Lí, con la
barbaancoradafareeicapelli
da pettinare, mangia la
colazione che la padrona di
casa gli ha preparato (il burro
ormai sciolto, insetti che
galleggiano nel latte) poi si
sbarba e si rimette la
biancheriadelgiornoprima,la
camicia del giorno prima e il
vestitobianco(icalzonihanno
la piega nettissima, grazie alla
notte passata sotto il
materasso);sibagnaicapellie
se li appiattisce in testa, poi,
preparatosi per la giornata,
perde ogni interesse, ogni
energia, ogni motivazione: si
risiede di nuovo alla tavola
ancoraingombradeirestidella
colazioneesilasciaandarealle
fantasticherie, oppure si
allunga scompostamente sul
divano e si mette a pulirsi le
unghiecolcoltello,aspettando
che succeda qualcosa, che la
bambina torni a casa da
scuola.
Oppure
vaga
per
l’appartamento aprendo i
cassetti,toccandoglioggetti.
Trova un pendente con le
fotografiedellasuapadronadi
casaedelmaritomorto.Sputa
sul vetro e lo strofina col
fazzoletto. La coppia si fissa
vividamente dentro la piccola
prigione.
Affonda la testa fra la
biancheria di lei che esala un
leggeroaromadilavanda.
Pur
essendo
iscritto
all’università non segue le
lezioni.Entrainunkružok,un
circolo i cui membri
sperimentano l’amore libero.
Un pomeriggio si porta in
stanza una ragazza. Gli viene
in mente che dovrebbe
chiudere a chiave la porta ma
nonlofa.Iduefannol’amore,
poisiaddormentano.
Lo sveglia un rumore, sa
chequalcunolistaguardando.
Tocca la ragazza, è sveglia.
Sono tutti e due nudi,
stupendi, nel fiore della
giovinezza. Fanno ancora
l’amore. Per tutto il tempo lui
sa che la porta è accostata e
che la bambina li guarda.
Prova un piacere acuto che si
comunica alla sua compagna;
mai prima hanno assaggiato
unmielecosíoscuro.
Dopo, quando riporta la
ragazza a casa, lascia il letto
disfatto perché la bambina,
ficcanasando, possa abituarsi
all’odoredell’amore.
Ogni
mercoledí
pomeriggio,daquelmomento
in poi e per tutto il resto
dell’estate, porta la stessa
ragazza nella sua stanza. Ogni
volta, quando vanno via,
l’appartamento sembra vuoto,
ma ogni volta, lo sa, la
bambina è entrata di
soppiatto,havistoehasentito
e poi si è nascosta da qualche
parte.
– Fallo ancora – bisbiglierà
laragazza.
–Checosa?
– Quello! – dice rossa di
desiderio.
– Prima dillo! – e le fa
pronunciare le parole: – Piú
forte! – insiste lui. Dirlo la
eccitaterribilmente.
Ricorda le parole di
Svidrigajlov.«Alledonnepiace
essereumiliate».
Luivedetuttociòcomeun
modo per creare il gusto nella
bambina, come si crea quello
per i cibi innaturali, per le
ostricheoleanimelle.
Si chiede perché lo fa e la
risposta che si dà è che la
storia sta per chiudere i
battenti, i vecchi registri
saranno presto dati alle
fiammeecheinquestotempo
mortocheseparailvecchiodal
nuovo, tutto è permesso. Non
crede molto alla sua stessa
spiegazione, ma neppure la
rifiuta:funziona.
Oppure, si dice, è colpa
dell’estate di Pietroburgo,
questi pomeriggi lunghi,
torridi, appiccicosi, con le
mosche che ronzano sui vetri
delle finestre, queste sere
saturedelronziodellezanzare.
Che passi l’estate e poi
l’inverno; allora me ne andrò
in Svizzera, in montagna, e
diventeròunaltro.
Cenaconlapadronadicasa
e con la figlia di lei. Un
mercoledí sera, fingendosi di
ottimo umore, allunga il
braccio sulla tavola e arruffa i
capelli della bambina. Lei si
ritrae. Allora capisce di non
essersilavatolemaniechelei
ha
riconosciuto
l’odore
dell’amore.Rossainviso,tutta
turbata, la bambina si china
sul piatto ed evita il suo
sguardo.
Scrive
tutto
questo
nitidamente,inbellascrittura,
senza cancellare una parola.
Mentre scrive prova uno
straordinario
piacere
sensuale: la sensazione della
penna,poggiatanelcavodella
mano e ancora di piú quella
dellamanotrattenutaappena
nel suo movimento sulla
pagina, dalla forma severa e
immutabiledellelettere,dalla
disciplinadell’alfabeto.
Anja, Anja Snitkina, era
stata la sua segretaria, prima
di diventare sua moglie.
L’aveva ingaggiata perché gli
mettesse
ordine
nei
manoscritti e poi l’aveva
sposata. Una specie di fata,
chiamata a filare il bandolo
dellasuascritturaeaestrarne
un unico filo d’oro. Se oggi
scrivecosíchiaramenteèsolo
perché non scrive piú per i
suoi occhi. Scrive per sé.
Scrive per l’eternità. Scrive
perimorti.
Eppure, mentre siede lí
cosí tranquillo, è preso nel
vortice. Gli volano attorno
torrentidicarta,frammentidi
una vecchia vita strappati dal
rombo della spirale che sale.
Vienetrascinatoinaltosopra
la terra, sbattuto dalle
correnti, prima che la presa
del vento si allenti per un
attimo, prima che inizi la
caduta, gli è concesso
esprimere l’immobilità e la
trasparenza; il mondo si apre
aisuoipiedicomeunamappa
disestesso.
Lettere dal vortice. Foglie
sparse, che lui raccoglie, un
corpo
smembrato
che
ricompone.
Qualcunobussaallaporta.
È Matrëna, in camicia da
notte, per un attimo
impressionantemente
identicaasuamadre.–Posso
entrare?–diceconvoceroca.
–Haiancoramaldigola?
–Hm.
Si siede sul suo letto.
Ancheaquelladistanzasente
come è affannoso il suo
respiro.
Perché è venuta? Vuole
farepace?Ancheleièsfinita?
– Pavel stava seduto cosí
quando scriveva. Ho creduto
che fosse Pavel quando sono
entrata.
– Sono in pieno racconto,
tidispiacesecontinuo?
Lei si siede in silenzio alle
suespalleeloguardascrivere.
L’aria nella stanza è carica di
elettricità;perfinoleparticelle
di polvere sembrano restare
insospensione.
–Tipiaceiltuonome?
–Ilmionome?
–Sí,Matrëna.
–No,loodio.Lohascelto
miopadre.Nonsoperchémi
tocca tenermelo. Era il nome
dimianonna.Èmortaprima
cheionascessi.
–Hounaltronomeperte,
Duša –. Scrive il nome in
cima alla pagina e glielo
mostra.–Tipiace?
Leinonrisponde.
– Che cosa è successo
veramente a Pavel? – le
domanda.–Losai?
–Credo…credochesisia
consegnato.
–Sièconsegnatopercosa?
– Per il futuro, per essere
unodeimartiri.
– Martiri? Cosa vuol dire
martire?
Esita. – È uno che si
consegna,perilfuturo.
– E la ragazza finlandese?
Ancheleieraunamartire?
Labambinaannuisce.
SichiedeseanchePavelsi
fosse abituato a parlare per
slogan, verso la fine. Per la
prima volta gli passa per la
testa che forse è meglio che
Pavelsiamorto.Oracheloha
pensato,
affronta
quel
pensiero,senzarinnegarlo.
Una guerra: i vecchi
contro i giovani, i giovani
controivecchi.
– Ora devi andare – le
dice. – Debbo continuare il
miolavoro.
Intitola
la
pagina
successiva LA BAMBINA e
scrive:
Un giorno arriva una
lettera per lui, il suo nome e
l’indirizzosonoscritticonuna
scrittura piccola e chiara, in
stampatello. La bambina la
prende dal portiere e la lascia
davantiallospecchiodellasua
stanza.
– Quella lettera… vuoi
saperechimel’hamandata?–
chiede casualmente quando si
ritrovanosoli.Eleraccontala
storia di Marija Lebijatkin, di
comeMarijaavessedisonorato
il fratello, il capitano
Lebijatkin e fosse diventata lo
zimbello di Tver per aver
sostenuto di avere un
ammiratore, di cui si rifiutava
di rivelare il nome, che aveva
chiestolasuamano.
–ElaletteraèdiMarija?
–Aspettaelosaprai.
–Maperchéridevanodilei,
perché qualcuno non avrebbe
potutovolerlainmoglie?
– Perché Marija era una
sempliciotta e le persone cosí
non devono sposarsi per
evitare di mettere al mondo
figlicomeloro,chealorovolta
metteranno al mondo figli
comeloroecosívia,finoache
tutta la terra sarà piena di
sempliciotti.
Come
un’epidemia.
–Un’epidemia?
– Sí, vuoi che continui?
Tutto è successo l’estate
scorsa, mentre ero ospite di
miazia.Avevosentitolastoria
di Marija e del suo
corteggiatorefantasmaeavevo
deciso di fare qualcosa. Prima
dituttomifecifareunvestito
bianco,adattoallaparte.
–Questovestito?
–Sí,questovestito.Quando
il vestito fu pronto, tutti già
sapevano quello che stava
succedendo. A Tver le notizie
sidiffondonovelocemente.Mi
misiilvestitoeconunmazzo
di fiori andai a trovare i
Lebijatkin. Il capitano era
confuso,malasorellano.Non
aveva mai smesso di crederci.
Da quel momento in poi
passai di lí tutti i giorni. Una
volta la portai a spasso nel
bosco. Noi due soli. Era il
giorno prima che partissi per
Pietroburgo.
– Allora eri tu il suo
ammiratore?
– No, non è cosí.
L’ammiratoreerasolounodei
suoisogni.Eisempliciottinon
riescono a distinguere fra
sogno e realtà. Loro credono
nei sogni. Lei pensava che io
fossi un sogno, perché io mi
comportavo come in un
sogno.
–Etorneraiatrovarla?
– Non credo, anzi no di
certo.Eseleidovessevenirea
cercarmi non la fare entrare.
Díchehocambiatocasaeche
non sai il mio indirizzo.
Oppure dalle un indirizzo
falso.
Inventalo.
La
riconoscerai subito. È alta e
ossuta, ha i denti sporgenti e
ride sempre. È una specie di
strega.
– È questo che dice nella
lettera…cheverràqui?
–Sí.
–Maperché…?
– Perché l’ho fatto? Per
scherzo. L’estate in campagna
ècosínoiosa–nonhaiideadi
comesianoiosa.
Non gli ci vogliono piú di
ventiminutiascriveretuttala
scena, senza neppure una
cancellatura. La versione
finale dovrà essere piú ricca
ma per ora può bastare. Si
alzaelascialeduepaginesul
tavolino.
È un assalto all’innocenza
diunbambino.Unattoperil
quale non può sperare di
essere perdonato. Cosí ha
oltrepassatolasoglia.OraDio
deve parlare, ora Dio non
oserà piú restare muto.
Corrompereunbambinovuol
direforzarelamanodiDio.Il
dispositivo che ha preparato
si incurva e si richiude a
molla, come una trappola,
una trappola per acchiappare
Dio.
Sa quello che sta facendo.
Al tempo stesso, in questa
partitatruccataconDio,luiè
fuori di sé, forse fuori della
sua anima. Sta da qualche
parteeguardasestessoeDio
che si girano intorno. Anche
il tempo si è fermato e
guarda. Il tempo è sospeso,
tutto è sospeso prima del
baratro.
Hopersoilmiopostonella
miaanima,pensa.
Prende il cappello ed esce.
Non riconosce il cappello,
non sa che scarpe abbia ai
piedi.Nonriconoscenientedi
sé. Se si guardasse allo
specchio ora non si
stupirebbedivederviapparire
un’altrafaccia,unafacciache
lofissasenzariconoscerlo.
Hatraditotuttienonvede
come il suo tradimento
potrebbe andare piú a fondo.
Se mai ha voluto sapere se il
tradimento ha piú il sapore
dell’aceto o quello del fiele,
questoèilmomento.
Ma non sente nessun
sapore in bocca, nessun peso
sul cuore. Anzi il cuore è
come svuotato. Non aveva
idea,prima,chesarebbestato
cosí.Macomeavrebbepotuto
saperlo? Non tormento, ma
opaca assenza di tormento.
Come un soldato ferito sul
campo di battaglia, che
sanguina, vede il sangue, ma
nonsentedoloreesichiedese
ègiàmorto.
Il prezzo da pagare gli
sembraenorme.Glidannoun
saccodisoldiperscriverelibri,
aveva detto la bambina
ripetendo le parole del figlio
morto. Quello che non
avevanodettoerachedoveva
darel’animaincambio.
Oracominciaasentirlo.Sa
difiele.
Il libro
U
N
FRAMMENTO
drammatico della
vita di Dostoevskij
sullo sfondo della
Russia
prerivoluzionaria,
attraverso la straordinaria
scrittura
del
Nobel
sudafricano.
In
esilio
a
Dresda,
Dostoevskij
ritorna
a
Pietroburgo sotto falsa
identità, dopo la morte dai
contorni poco chiari del
figliastro. Lo scrittore si
stabilisce nell’appartamento
che era stato di Pavel e
ossessivamente, insegue il
fantasma del figlio per
scoprire che cosa veramente
gli sia capitato, indagando
negli ambienti rivoluzionari
di Nečaev. Pietroburgo
diventa lo scenario dove si
intrecciano le passioni dello
scrittore:ildoloreperilfiglio
morto,l’attrazionecheprova
per Anna Sergeevna – la
padrona di casa di Pavel che
oraospitalui–,epersinoper
la giovane figlia di lei, il
conseguente desiderio di
rimanereinRussiamaaltresí
ilbisognoditornareall’esilio
diDresda...
L’autore
J. M. Coetzee ha vinto nel
2003ilpremioNobelperla
Letteratura ed è uno dei
piú importanti narratori
sudafricani. Einaudi ha
pubblicato: La vita e il
tempo di Michael K.,
Infanzia, Gioventú, Terre
al crepuscolo, Aspettando i
barbari,
Vergogna,
Elizabeth Costello, Nel
cuoredelpaeseeFoe.
Dello stesso
autore
Aspettandoibarbari
Vergogna
Infanzia
LavitaeiltempodiMichaelK
Gioventú
Terrealcrepuscolo
ElizabethCostello
Nelcuoredelpaese
Foe
SlowMan
Spiaggestraniere
Etàdiferro
Diariodiunannodifficile
Lavoridiscavo
TitolooriginaleTheMasterof
Petersburg
©1994J.M.Coetzee
©1994Donzellieditore
©2005GiulioEinaudieditore
s.p.a.,Torino
Incopertina:IIjaRepin,Ilduello,
oliosutela,1901(particolare).
Mosca,MuseoPuškin.
FotoBridgeman/ArchiviAlinari.
Progettografico:46xy.
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