Il Maestro di Pietroburgo
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Il Maestro di Pietroburgo
LDB J.M.Coetzee IlMaestrodi Pietroburgo TraduzionediMaria Baiocchi Einaudi 1. Pietroburgo Ottobre 1869. Un calesse scende lentamente lungo le vie del quartiere del mercato agricolo di Pietroburgo. Si arresta davanti a un grosso palazzone residenziale. Il passeggero guarda l’edificio, perplesso. – È sicuro che sia proprioqui? – Via Sečnoj numero 63. Cosímihadetto. Il passeggero scende. È un uomo di mezza età, con la barba,curvo.Halafrontealta e le sopracciglia fitte che gli danno un’aria assorta. Porta unvestitoscurodaltaglioun po’fuorimoda. – Mi aspetti qui – dice al cocchiere. Dietro alle facciate scrostate e danneggiate, le casepiúvecchiedelquartiere del mercato conservano qualcosa dell’eleganza di un tempo, anche se molte ormai sono adibite ad alloggio per impiegati, studenti e operai. Fra l’una e l’altra, a volte addossate alle loro mura, sono sorte baracche di legno di due o anche tre piani, vespai di stanzette e di cubicoli, abitazione dei piú derelitti. Il numero 63, uno dei palazzipiúvecchi,èstrettoai duelatidaquellestrutture.A mezza altezza poi è come assediato da una ragnatela di travi e di impalcature. Nelle pieghe dei rinforzi hanno fattoilnidogliuccellieiloro escrementi imbrattano la facciata. Una banda di ragazzini sale e scende dalle impalcature per lanciare pietre nelle pozzanghere e subito raccoglierle. Interrompono il gioco per osservare lo straniero. I tre piú piccoli sono maschi, la quarta, che sembra il capo, è una ragazzina con i capelli chiari e gli occhi straordinariamentescuri. – Buona sera! – grida lo straniero. – Qualcuno di voi sadoveabitaAnnaSergeevna Kolenkina? Ibambininonrispondono, malofissanoconostilità. La ragazzina invece dopo unattimolasciacaderelesue pietre.–Andiamo!–dice. Il terzo piano del numero 63 è un labirinto di piccole stanze una dentro l’altra che si dipartono da un pianerottolo in cima alle scale. L’uomo segue la ragazzina lungo un corridoio scuroetortuoso,chepuzzadi cavolo e di brodo, oltre un gabinettoconlaportaaperta, finoaunaportagrigiachelei apreconunaspinta. Entrano in una stanza lunga, dal soffitto basso, illuminata solo da una finestra posta un po’ troppo in alto. Il tutto è reso ancora piú lugubre da una pesante striscia di broccato sulla parete piú lunga. Una donna vestita di nero si alza per andargli incontro. Avrà trentacinque anni. Stessi occhi scuri e sopracciglia scolpite della bambina. I capelliperòsononeri. – Mi scuso per essere venuto senza avvertire – dice l’uomo. – Mi chiamo… – esita, – credo che mio figlio siastatosuopensionante. Dalla valigia tira fuori un oggetto avvolto in un fazzolettobianco.Èilritratto di un ragazzo, un dagherrotipo in una cornice d’argento. – Forse lo riconosce – dice, senza lasciarleprendereilritratto. – È Pavel Aleksandrovič, mamma – bisbiglia la bambina. – Sí, è stato da noi – annuisce la donna. – Mi dispiace tanto… – Cala un silenzio strano. – È stato nostro pensionante fin da aprile – riprende a dire la donna. – La sua stanza è comel’halasciata,contuttele sue cose, tranne qualcuna, presa dalla polizia. La vuole vedere? – Sí – l’uomo ha la voce rotta. – Se c’è ancora da pagare l’affitto, naturalmente sonoadisposizione. La stanza del figlio, anche seèsolouncubicoloricavato dal resto dell’appartamento, ha il suo ingresso e pure una finestra sulla strada. Il letto è lindo e rassettato; per il resto c’è una cassettiera, un tavolinettoconunalampadae una poltrona. Ai piedi del letto c’è una valigia con le iniziali P.A.I. La riconosce: era stato lui a regalarla a Pavel. Va alla finestra e guarda fuori. In strada c’è ancora il calesse che aspetta. – Mi farestiunfavore?–chiedealla bambina. – Vai a dire al cocchiere che se ne può andareelopaghiperme? La bambina prende i soldi che l’uomo le porge e scappa via. –Vorreistarmenesoloper un po’, se non le dispiace – dicerivoltoalladonna. Appenaleiescesiprecipita sul letto e lo scopre. Le lenzuola sono fresche. L’uomosiinginocchiaemette il naso sul cuscino. Niente, soloodoredisaponeedisole. Apre i cassetti. Sono stati svuotati. Tira su la valigia e la appoggia sul letto. In cima, ben piegato, c’è un vestito di cotone bianco. Ci preme la fronteconforza.Inafferrabile, leggero, gli arriva l’odore di suo figlio. Inspira con forza, piú volte, e intanto pensa: ecco,èilsuofantasmachemi penetra. Porta la sedia vicino alla finestra e si mette a guardare fuori. L’ombra del tramonto s’infittisce sempre di piú. La stradaèvuota.Iltempopassa, ma i suoi pensieri sono sempre quelli. Ponderare, si dice,èquestoilverbo.Conla testa pesante e gli occhi pesanti,conquelpiomboche gliscendenell’anima. La donna, Anna Sergeevna, e sua figlia stanno cenando,sedutealtavolouna di fronte all’altra, con la lampada al centro. Smettono di parlare quando lui entra nellastanza. –Sapetechisono? La donna lo guarda risoluta senza rispondere, comeinattesa. – Voglio dire, sapete che nonsonoIsaev? – Sí, lo sappiamo. SappiamolastoriadiPavel. – Ma non voglio interrompere la vostra cena. Vi dispiace se per ora lascio quilavaligia?Pagheròl’affitto per tutto il mese. Anzi, lasciate che vi paghi anche novembre. Mi piacerebbe tenere la stanza, se non è già statapromessaaqualcuno. Ledàisoldi,ventirubli. – Non le darà fastidio se qualche volta verrò qui, di pomeriggio? C’è qualcuno in casaduranteilgiorno? Lei esita. Scambia un’occhiata con la figlia. Già ci sta ripensando, si dice l’uomo.Sarebbemegliochesi prendesse la valigia e se la portasse via, per non tornare piú, cosí da chiudere definitivamente la storia del pensionante morto e liberare la stanza. Lei non vuole per casa quest’uomo a lutto, che sembra proiettare il buio intorno a sé. Ma ormai è troppotardi,ildenaroèstato offertoeaccettato. – C’è Matrëša a casa di pomeriggio – risponde sommessamente. – Le darò una chiave. Ma dovrebbe usareilsuoingresso.Laporta fralastanzainaffittoequesta nonsichiudeachiave,main generenonlausiamo. – Mi dispiace. Non me ne eroresoconto,Matrëna. Per un’ora si aggira per le strade del quartiere del mercato che conosce bene, poi, passando per il ponte Kokuškin, rientra nella locanda dove poche ore prima ha preso una stanza, registrandosicomeIsaev. Non ha fame. Tutto vestito, si sdraia sul letto, incrocia le braccia e cerca di dormire. Ma i suoi pensieri tornano al numero 63, alla stanza di suo figlio. Le tende sono aperte e la luce della lunacadesulletto.Luièlí:sta vicino alla porta, respira appena, guarda fisso la sedia nell’angolo, e aspetta che il buio s’infittisca, per trasformarsi in un altro tipo di oscurità, quella della presenza. Senza voce le sue labbraformulanoilnomedel figlio,trevolte,quattrovolte. Stacercandodilanciareun incantesimo,masuchi?Sudi séosulfantasmadisuofiglio? Pensa a Orfeo che torna indietro, un passo dopo l’altro, bisbigliando il nome della donna morta, strappandola alle viscere dell’inferno, e alla sua mitica sposa avvolta nel sudario che lo segue con occhi vuoti, con occhimorti,etienelebraccia dritte davanti a sé, come una sonnambula.Nonc’èilflauto, non c’è la lira, c’è solo la parola, quell’unica parola ripetuta senza sosta. Quando la morte taglia tutti gli altri legami resta sempre il nome. Il battesimo: l’unione di un’anima e di un nome, il nome che porterà per l’eternità.Respirandoappena, formulaancoraquellesillabe: Pavel. La testa incomincia a ondeggiare. – Devo andare ora – mormora, o crede di mormorare.–Tornerò. Tornerò:lastessapromessa che aveva fatto al bambino quando l’aveva portato a scuola per il primo trimestre. Non sarai abbandonato. E l’avevaabbandonato. Si sta addormentando. Gli sembra di scivolare giú per un’alta cascata dentro uno stagno, dove si lascia affondare. 2. Ilcimitero S’incontranoaltraghetto.I fiori di Matrëna lo irritano. Sono piccoli, bianchi e modesti.Nonsaqualisianoi fiori preferiti da Pavel, ma le rose, per quanto possano costare in ottobre, rose scarlatte come il sangue, gli sembranoilminimo. – Ho pensato che lo potremmo piantare – dice la donna, come se gli avesse letto nei pensieri. – Ho portato una paletta. Ginestrino, fiorisce tardi –. Solo adesso lui si accorge delle radici, sono avvolte in unapezzabagnata. Prendono il piccolo traghettocheportaall’isoladi Elagin. Sono passati anni dall’ultima volta che ci è andato.Tranneduevecchiette vestite di nero, loro sono gli unici passeggeri. È una giornata fredda, nebbiosa. Man mano che si avvicinano un cane, grigio ed emaciato, cominciaauggiolareansioso, su e giú per la banchina. L’uomo del traghetto gli lancia un gancio d’accosto e quello si ritira a una distanza di sicurezza. L’isola dei cani, pensa: ce ne sono a frotte, rintanati fra gli alberi, forse aspettano che chi accompagna il funerale se ne vada per cominciare a loro voltaascavare? È Anna Sergeevna che va dal custode a chiedere informazioni, mentre lui aspetta fuori, Anna Sergeevna, alla quale lui continua a pensare come all’affittacamere. Poi c’è la camminata per le vie dei morti. Lui ha cominciato a piangere. Perché ora? si chiede, irritato con se stesso. Eppure a modo loro le lacrimesonolebenvenute:un veloleggerodicecitàfraluie ilmondo. – Qui, mamma! – grida Matrëna. Sonoarrivatidifronteaun monticelloditerrainmezzoa tanti altri uguali da cui spuntano dei pali a croce su cui sono dipinti dei numeri. Cerca di non vedere quel numero, il suo numero, ma ormaihagiàvistoi7ei4eha pensato: Non potrò mai piú scommetteresul7. Ecco,èquestoilmomento in cui dovrebbe lasciarsi caderesullatomba.Matuttoè successo troppo in fretta e quel letto di terra è troppo strano, non suscita neppure unasensazionenelsuocuore. Diffida anche della catena di maniindifferentiperlaquale devono essere passate le membradisuofiglio,mentre lui era ancora a Dresda, all’oscuro di tutto. Dal ragazzo che ancora vive nella sua memoria al nome sul certificato di morte, al numero sul palo, non è ancora pronto ad accettare quella serie di fatalità. Provvisorio, pensa: non ci sono numeri definitivi, sono tutti provvisori, altrimenti il gioco finirebbe. Fra poco la ruota girerà ancora, i numeri ricomincerannoamuoversie tuttoandràbenedinuovo. Il monticello ha il volume eperfinolaformadiuncorpo disteso. E infatti non è altro che il volume di terra fresca smossapercalareunacassadi legno con dentro un giovane alto.C’èqualcosaintuttociò che non può essere pensato, qualcosa che egli allontana con forza da sé. Al posto di quel pensiero emerge il ricordo bruciante di quello che lui faceva a Dresda mentre qui, a Pietroburgo, la proceduraseguivailsuocorso indifferente e Pavel veniva prima messo in deposito, poi registrato, poi chiuso nella cassa,trasportatoeseppellito. Perché neppure un alito di presentimento nell’aria di Dresda?Èdavveronecessario che muoiano le masse intere primacheilcielotremi? Fra le immagini che ritornano ce n’è una di se stesso nel bagno dell’appartamento di Lärchenstrasse, mentre si spunta la barba davanti allo specchio.Irubinettidiottone luccicano sul lavandino; il volto allo specchio, assorto nell’azione, è quello di uno sconosciuto che viene dal passato. Ero già vecchio, pensa. La sentenza era stata pronunciata; e la lettera della sentenza indirizzata a me era già in viaggio, passava di mano in mano, solo che io nonlosapevo.Lagioiaperte èfinita:eraquestochediceva lasentenza. L’affittacamerestafacendo un buco ai piedi del monticello. – Per favore – dice lui con un gesto e la donnasifadaparte. Sisbottonailcappottoela giacca, poi si china e si piega sempredipiúinavanti,finoa distendersi sopra al monticello,conlebracciatese sopra la testa. Ora piange liberamente, il naso gli cola. Strofina la faccia sulla terra bagnata, ce la nasconde dentro. Quando si tira su ha la terra nella barba, nei capelli, nelle sopracciglia. La bambina, alla quale non ha fatto caso, lo fissa stupita. Alloraluisistrofinalafaccia, si soffia il naso e si riabbottona gli abiti. Che sceneggiata da ebreo! pensa. Macheloveda!Chevedache non siamo fatti di pietra, che noncisonolimiti! Una luce gli brilla negli occhi mentre la guarda; la bambina si volta confusa e si va a stringere alla madre. Rientra nel nido! Da lui emanaunamalvagitàterribile nei confronti di tutto ciò che vive, e soprattutto dei bambini vivi. Se in quel momento avesse lí un neonato lo strapperebbe alle braccia della madre e lo sbatterebbecontrolaroccia. Erode, pensa: ora capisco Erode! Che il mondo smetta diriprodursi! Voltalespalleatutteedue eseneva.Benprestoèfuori dallazonadellefossenuovee si aggira fra le vecchie pietre, fra coloro che sono morti da unpezzo. Quando torna, il ginestrinoèstatopiantato. – Chi se ne occuperà? – chiedeaccigliato. Lei si stringe nelle spalle. Non può rispondere a quella domanda.Toccaaluiadesso, èluichedevedire:Verròqui ogni giorno, per curarlo. Oppure: Dio ne avrà cura. O anche: Nessuno se ne occuperà, morirà; lascia che muoia. I piccoli fiori bianchi si muovono allegramente nella brezza. Afferra il braccio della donna. – Lui non è qui, lui non è morto – dice con voce rotta. – No, certo che non è morto, Fëdor Michailovič –. Parla in modo tranquillo, rassicurante.Dipiú:inquesto momentoèmaterna,nonsolo conlafiglia,ancheconPavel. Halemanipiccole,ledita magre,quasidabambina,ma il corpo è florido. L’uomo prova il desiderio assurdo di appoggiarleilcaposulsenoe di sentire quelle dita che gli accarezzanoicapelli. L’innocenza delle mani, sempre nuova. Gli torna in mente un ricordo: il tocco di una mano, intimo nel buio. Ma di chi è quella mano? Mani che emergono come animali, senza vergogna, senzamemoria,nellalucedel giorno. – Devo segnarmi il numero – dice senza guardarla. –Cel’hoioilnumero. Da dove gli viene quel desiderio? È un desiderio acuto, violento: vuole prendere quella donna per il braccio,trascinarladietroalla cabina del custode, tirarle su laveste,accoppiarsiconlei. Pensa alle persone che durante una veglia funebre si buttano sul cibo e sul vino. Con una sorta di esultanza, conboriainfacciaallamorte: Noi,noncihaipresi! Sonotornatiallabanchina. Il cane grigio si avvicina cautamente, furtivamente. Matrëna vorrebbe accarezzarlo, ma la madre la dissuade. C’è qualcosa che non va in quel cane: ha una brutta ferita aperta che gli attraversa la schiena dall’attaccatura della coda. Uggiola piano tutto il tempo, oppuresisiedesullezampedi dietro e cerca di attaccare la feritacoidenti. Tornerò ancora domani, promette:verròsolo,eioete parleremo. Nell’idea del rientro, della traversata del fiume, della strada che lo separa dal letto di suo figlio, nell’idea di stare solo con lui nella nebbia, c’è una muta promessadiavventura. 3. Pavel È seduto nella stanza di suo figlio col vestito bianco sulle ginocchia, respira dolcemente e cerca di perdersi,cercadievocareuno spirito che di certo non può ancora avere abbandonato queiluoghi. Il tempo passa. Dalla stanza accanto, attraverso il tramezzo, arrivano le voci smorzate della donna e della bambinaeisuonidellatavola che stanno apparecchiando. Posa il vestito e bussa alla porta.Levocis’interrompono bruscamente.Entra:–Adesso vilascio. – Come vede stiamo per cenare. Perché non si ferma connoi? Ilcibocheoffreèsemplice: minestra e patate con sale e burro. – Come mai mio figlio è venuto ad abitare con voi? – chiede a un certo punto. Fa ancora attenzione a dire mio figlio, pronunciarne il nome lofarebbetremare. La donna esita e lui sa perché. Potrebbe dire: era un ragazzoperbeneeloabbiamo preso.Maeraèl’ostacoloche le blocca il passaggio. Finché ci sarà un modo per evitare quella parola con la sua durezza, lei non la pronunceràdavantialui. – Un pensionante precedente ce lo aveva raccomandato–diceallafine. Edètutto. Lo colpisce per la sua asciuttezza. È asciutta come l’ala di una farfalla. Come se fra la pelle e la sottana, fra la pelle e le calze nere che certamenteportacifosseuno stratosottiledicenerebianca fina fina, che le fa scivolare i vestitididossosenzanessuna resistenza. La vorrebbe vedere nuda, questadonnanell’ultimofiore digiovinezza. Non è certo quella che si direbbe una donna colta; ma chi parla il russo piú dolcementedilei?Lalinguale palpita in bocca come un uccello: morbide piume, morbidibattitid’ala. Nella figlia non vede niente della morbida asciuttezza materna. Al contrario, c’è qualcosa di liquido in lei, qualcosa della giovane cerbiatta, fiduciosa ma tesa, che allunga il collo persentirel’odoresullamano dello sconosciuto, pronta a scappare via con un balzo. Come è possibile che quella donna cosí scura abbia prodotto una figlia cosí bionda? Eppure i segni rivelatori ci sono: le dita piccole, quasi solo accennate, gli occhi scuri e lucidi, come quelli dei santi bizantini; la bella linea delle sopracciglia scolpite, perfino l’aria scontrosa. Strano come in un bambino un tratto possa raggiungere la sua forma perfettatantochenelgenitore sembraunacopia! La bambina alza gli occhi per un istante, incontra lo sguardo dell’uomo che la esploraesiallontanaconfusa. Un impeto di rabbia lo scuote. Vorrebbe prenderla per un braccio e scuoterla. Guardami, bambina! Guardamieimpara! Glicadeperterrailcoltello e, sollevato, si china a cercarlo. È come se gli avessero strappato la pelle dalla faccia, come se, malgrado se stesso, non facesse altro che gettare in mezzo a quelle due un’orrenda maschera sanguinante. La donna riprende a parlare. – Matrëna e Pavel Aleksandrovič erano buoni amici – dice con guardinga risolutezza.Eallabambina:– Tifacevalezione,nonèvero? – Mi insegnava francese e tedesco. Ma soprattutto francese. Matrëna, non è il nome giusto per lei. È un nome da vecchia, un nome da vecchietta con la faccia rinsecchitacomeunaprugna. – Vorrei che aveste qualcosa di suo – dice. – Qualcosaperricordarlo. Ancora una volta la bambina alza su di lui occhi pieni di stupore e lo ispeziona, come fa un cane con uno sconosciuto. Ascolta appena quello che dice. Che sta succedendo? Ma la risposta viene da sola: non riesceavedereinmeilpadre di Pavel. Cerca di trovare Pavelinmeenonciriesce.E poiancora:Pavelperleinonè ancora morto. Da qualche partedentrodileiviveancora e respira con l’alito caldo e dolcedellagiovinezza.Lamia oscuritàinvece,lamiabarbae lamiafiguraossuta,debbono essere ripugnanti come la Falciatrice, l’immagine stessa della morte. La morte con i fianchiossutieidentilunghi, con le caviglie che scricchiolano quando cammina. Nonhavogliadiparlaredi suo figlio. Ha voglia di sentirneparlare,questosí,ma non di parlarne. Secondo l’aritmetica sono dieci giorni che Pavel è morto. Ogni giorno che passa i ricordi di lui che aleggiano ancora nell’aria come foglie d’autunno possono finire calpestati nel fango, oppure volareviacolvento,sufinoai cieli accecanti. Ma lui vuole raccogliere e conservare quei ricordi. Tutti gli altri ubbidiscono all’ordine della morte, prima il lutto, poi l’oblio. Se non dimenticassimo, dicono, il mondoprestosarebberidotto a una gigantesca biblioteca. Ma la sola idea di Pavel dimenticatolofainfuriare,lo trasformainunvecchiotoro, irritabile,infocato,pericoloso. Vuole sentire raccontare storie. E la bambina, come per miracolo, sta per raccontarne una. – Pavel Aleksandrovič – dice guardando la madre, come peraverelaconfermachepuò pronunciare il nome del morto – diceva che sarebbe rimasto ancora per poco a Pietroburgo, poi sarebbe andatoinFrancia. S’interrompe. L’uomo aspetta con impazienza che prosegua. – Perché voleva andare in Francia?–domanda,equesta volta è a lui solo che si rivolge.–Cosac’èinFrancia? Francia? – Lui non voleva andareinFrancia,volevasolo andarsene dalla Russia – risponde.–Dagiovaninonsi sopportatuttoquellochesiha intorno. Non si sopporta la patria perché ci sembra vecchia e ammuffita. Si ha voglia di posti nuovi, di idee nuove. S’immagina che in Francia o in Germania o in Inghilterra s’incontrerà il futuro che il proprio paese è troppostupidoperoffrire. Laragazzinaècorrucciata. L’uomo dice Francia, patria, ma lei sente qualcos’altro, qualcosa che sta dietro le parole:ilrancore. – Mio figlio ha avuto un’istruzione disordinata – dice, questa volta rivolto alla madre e non alla figlia. – Lo dovevo spostare da una scuolaall’altra.Laragioneera semplice: la mattina non si alzava. Non c’era modo di svegliarlo.Forseglidotroppa importanza. Ma non si può pretendere di andare all’università se non si frequentalascuola. Che strano, dire quelle cose, in un momento del genere!Eppure,sivoltaverso la figlia e va avanti: – Il suo francese non era molto affidabile, te ne sarai accorta. Forseèperquestochevoleva andare in Francia, per migliorareilsuofrancese. – Leggeva tanto – intervienelamadre.–Avolte la lampada restava accesa tuttalanottenellasuastanza –. Continua a parlare con vocebassa,uguale.–Manon cibadavamo,erasemprecosí premuroso, volevamo bene a Pavel Aleksandrovič, non è vero? – Posa sulla figlia uno sguardo che all’uomo sembra unacarezza. Era. Finalmente lo ha detto. La donna aggrotta la fronte: – Quello che ancora noncapisco… Poi uno strano silenzio. Lui non fa niente per alleviarlo, anzi digrigna i denti come un lupo a difesa del suo cucciolo. Attenta, pensa, attenta a pronunciare una sola parola contro di lui! Sono sua madre e suo padre, sono tutto per lui, e anche di piú! C’è qualcosa per cui vorrebbe alzarsi in piedi e gridare. Ma che cosa? E controqualenemico? Dalleprofonditàdellagola, dovenonpuòsoffocarlooltre, sfugge un suono, un rantolo. Sicopreilvisoconlemanie le lacrime gli scorrono sulle dita. Sentecheladonnasialzae lascia la tavola. Aspetta che anchelabambinasenevada, maleiresta. Dopo un poco si asciuga gli occhi e si soffia il naso. – Midispiace–diceinunsoffio alla bambina che se ne sta ancora seduta lí, con la testa chinasulpiattovuoto. Si chiude dietro la porta della stanza di Pavel. Mi dispiace? No. Non è vero. La verità è che non gli dispiace. Tutt’altro, la verità è che ce l’ha con tutti quelli che sono vivi, mentre suo figlio è morto. È furioso contro quella bambina, proprio lei cosí mite, avrebbe voglia di farlaapezzi. Giace sul letto con le braccia strette attorno al torace, respira affannosamente, cercando di cacciare via il demone che si staimpadronendodilui.Sadi avere tutta l’aria di un cadavereesposto,echequello chechiamademoneforsenon è altro che l’anima sua che spiegaleali.Maesserevivoin quel momento gli dà una speciedinausea.Vuoleessere morto, o peggio, estinto, annullato. Quanto alla vita dopo la morte, non ci crede. È convinto che passerà l’eternità sulla sponda di un fiume con eserciti di altre anime morte, aspettando una zattera che non arriverà. L’aria sarà fredda e umida, l’acqua nera lambirà la sponda, i vestiti gli marciranno sulla schiena e cadranno a terra, ai suoi piedi. Non rivedrà mai suo figlio. Con le dita fredde incrociate sul petto, conta ancora i giorni. Sono dieci. Ecco come si sta dopo dieci giorni. La poesia potrebbe restituirgliilfiglio.Haun’idea del poema che ci vorrebbe, del suo ritmo. Ma non è un poeta:somigliapiúauncane che abbia perso il suo osso e chevadaraspandoquaelà. Aspettafinoacheilfilodi luce sotto la porta non sia spento,poipianopianolascia l’appartamento e se ne torna allalocanda. Durante la notte fa un sogno. Sta nuotando sott’acqua. La luce è blu e fioca. Si muove scivolando con facilità, con grazia; non ha piú il cappello in testa ma nel suo vestito nero si sente come una tartaruga, una grossaevecchiatartaruganel suo elemento. Sopra di lui l’acqua è increspata da un movimento,maquisulfondo è tutto immobile. Nuota fra cespugli di alghe; le dita glutinose della pianta acquatica gli sfiorano le pinne,sedipinnesitratta. Sa cosa sta cercando. Mentrenuotaognitantoapre laboccaelanciaquellochegli sembra un grido o un richiamo. A ogni grido o richiamo l’acqua gli riempie la bocca; ogni sillaba è sostituita da una sillaba d’acqua. Diventa sempre piú pesante, fino a che sente lo sterno che struscia contro il lettodelfiume. Pavel giace sdraiato sul dorso. Ha gli occhi chiusi e i capelli, mossi dalla corrente, sembrano quelli di un bambino. Dallasuagoladitartaruga esce un ultimo grido, che gli sembraillatratodiuncane,e affonda, giú, verso il ragazzo. Vuole dargli un bacio, ma quando lo tocca con le sue labbra dure non è piú sicuro chenonsitrattidiunmorso. Èallorachesisveglia. Secondo una vecchia abitudine, passa la mattina allascrivania,nellasuastanza. Quando arriva la cameriera perlepulizielaallontanacon un gesto. Ma non scrive una parola. Non è che sia paralizzato. Il cuore pompa regolarmente, la sua mente è lucida. In un qualsiasi momento potrebbe prendere la penna e cominciare a tracciare le lettere sulla carta. Malascrittura,teme,sarebbe quella di un pazzo: viltà, oscenità, una pagina dopo l’altra, incontrollabile. Pensa alla pazzia come se scorresse lungol’arteriadelsuobraccio destro, fino alla punta delle dita,eallapennaefinalmente alla pagina. Scorre come un torrente; non ha bisogno di intingere la penna nell’inchiostro,nemmenouna volta.Quellochescendesulla pagina non è né sangue né inchiostro,maunacido,nero, con uno sgradevole bagliore verde quando ci rimbalza la luce. Non si asciuga sulla pagina: a passarci un dito sopra si avrebbe una sensazioneinsiemeliquidaed elettrica. Una scrittura che potrebbero leggere anche i ciechi. Nel pomeriggio ritorna a via Sečnoj, nella stanza di Pavel.Chiudelaportainterna chedànell’appartamentoeci mette davanti una sedia. Poi distende il vestito bianco sul letto.Allalucedelgiornopuò vedere come sono sporchi i polsini. L’annusa sotto le braccia e sente l’odore nettamente: non è l’odore di un bambino, è quello di un uomo adulto. Continua a inalare quell’odore. Quante volte potrà farlo prima che svanisca? Se il vestito fosse chiuso in una teca di vetro, anche l’odore rimarrebbe intatto? Si spoglia e s’infila il vestito bianco. Anche se la giacca è larga e i calzoni troppolunghi,nonsisenteun pagliaccio dentro a quel vestito. Si sdraia e incrocia le braccia. Ha preso una posa teatrale,maèprontoaseguire l’impulso, dovunque lo porti. E al tempo stesso non crede all’impulso,neancheunpo’. Ha una visione di Pietroburgo distesa, grande e bassa,sottostellesenzapietà. Il cielo è attraversato da un rotolo con alcune parole scritteinebraico.Nonriescea leggereleparole,masacheè una condanna, una maledizione. Un cancello si è chiuso dietro suo figlio, un cancello chiuso sette volte con cerchi di ferro. Aprire quel cancello èlafaticacheloaspetta. Pensieri, sensazioni, visioni. Ci crede? Vengono dal piú profondo del cuore, ma non c’è motivo di fidarsi piú del cuore che della ragione. Mi ritraggo da un luogo a unaltro,pensa.Quandoavrò finito di ritirarmi, che sarà rimastodime? Pensa a se stesso che rientra nell’uovo, o almeno dentro qualcosa di uniforme, freddo e grigio. Forse non è un uovo, forse è l’anima. Forse è quello l’aspetto dell’anima. Sente un fruscio sotto il letto, forse un topo che fa le sue cose da topo. Non gliene importa niente. Si gira e si copre la faccia con la giacca bianca,inspira. Da quando ha avuto la notizia della morte di suo figlio, qualcosa ha preso a declinare nella sua vita, qualcosa che potrebbe essere la risolutezza. Sono io quello che è morto, pensa; oppure, meglio,sonomortomalamia morte non è arrivata. Ha la sensazione di possedere un corpo forte, resistente, che non cederà volontariamente. Il torace è come una botte dalle doghe solide. Il suo cuore continuerà a battere ancora per un bel pezzo. Eppure è stato trascinato fuoridaltempodegliuomini. La corrente che lo trascina continua a procedere, in una direzione,versounameta;ma la meta non è piú la vita. Lo trascina un’acqua morta, un torrentemorto. Si addormenta. Quando si risveglia tutto il mondo tace, immerso nell’oscurità. Accende un fiammifero, cercando di riemergere dallo stordimentodeisuoipensieri. È mezzanotte passata. Dov’è stato? Si rannicchia sotto le coperte, in uno stato intermittentedisonno-veglia. La mattina dopo, mentre si dirige tutto in disordine e maleodorante verso il bagno, s’imbatte in Anna Sergeevna. Con i capelli coperti da un fazzoletto e gli stivaloni, ha proprio l’aria di una qualunque donna del mercato.Loguardastupita.– Mi sono addormentato. Ero molto stanco – spiega. Ma il problema non era quello, il fattoèchehaancoraindosso ilvestitobianco. – Se non le dispiace – continua – resterò qui nella stanzadiPavelfinoachenon parto. Non per molto, solo pochigiorni. – Ora non ne possiamo parlare, perché ho fretta – rispondeladonna,acuil’idea evidentemente non va giú. Non gli dà il suo consenso. Ma lui ha pagato e non può farciniente. Passa tutta la mattina alla scrivania, in camera di Pavel, con la testa fra le mani. Non può far finta di scrivere. La mente ritorna al momento della morte di Pavel. Quello chenonriesceasopportareè l’ideachenell’ultimafrazione dell’ultimo istante della sua caduta, Pavel sapesse che niente avrebbe potuto salvarlo, che sarebbe morto. Vorrebbe dirsi che a Pavel è stata risparmiata quella certezza, piú terribile dell’annullamento stesso, per la velocità e la confusione della caduta, grazie alle strategie della mente che si anestetizzadifronteaciòche è troppo enorme per essere sopportato. Vuole aggrapparsi a quest’idea con tutto il cuore. Ma, al tempo stesso, sa di volerci credere per anestetizzarsi all’idea che Pavel,cadendo,sapessetutto. In momenti del genere nonriesceadistinguerePavel da se stesso. Sono la stessa personaequellapersonanon è altro che un pensiero, che Pavel pensa in lui e lui pensa in Pavel. Quel pensiero tiene Pavel in vita, sospeso nella suacaduta. È dalla consapevolezza di essere morto che vuole proteggere suo figlio. Fino a quandovivo–pensa–chesia io quello che sa! Qualunque sforzo di volontà richieda, lascia che sia io l’animale pensante che precipita nell’aria. Seduto al tavolino, con gli occhi chiusi e i pugni serrati, cerca di allontanare da Pavel laconsapevolezzadellamorte. S’immagina come il Tritone della fontana di piazza Barberini a Roma, con le labbra poggiate su una conchiglia dalla quale zampilla un getto costante di acqualimpida.Giornoenotte soffia la vita in quell’acqua. I tendini del collo, fissati nel bronzo, sono tesi per lo sforzo. 4. Ilvestitobianco È arrivato novembre e le primenevi.Ilcieloèpienodi uccelli di passo che vanno versosud. Si è trasferito nella stanza di Pavel e nel giro di pochi giorni è divenuto parte della vitadiquelpalazzo.Ibambini non interrompono piú i loro giochi per fissarlo quando passa,maancoraabbassanola voce.Sannochiè.Chiè?Èla sventura, è il padre della sventura. Tutti i giorni si ripete che deve tornare all’isola di Elagin, sulla tomba. Ma non civa. Scrive a sua moglie, a Dresda. Lettere rassicuranti masenzasentimento. Passa le mattine nella stanza, mattine di vuoto assoluto che cominciano ad avere un loro fascino insidioso, letale. Di pomeriggioesceacamminare per le strade, ma evita i paraggi di via Meščanskaja e di Voznesenskij Prospekt, dove potrebbe essere riconosciuto; si ferma per un’ora in una sala da tè, semprelastessa. ADresdaleggevasemprei giornali russi. Ma ora ha perso ogni interesse per il mondoesterno.Ilsuomondo siècontratto,èchiusodentro alsuopetto. Per rispetto di Anna Sergeevna rientra nell’appartamento solo dopo il tramonto e finché non lo chiamanoperlacenasenesta nellastanzacheèsuaenonè sua. Sta seduto sul letto col vestitobiancosulleginocchia. Nessuno lo vede. Niente è cambiato. Sente il laccio dell’amore che lega il suo cuoreaquellodisuofiglio:ha la fisicità di una corda. Sente la corda stringere e lacerargli il cuore. Si lamenta ad alta voce. Sí!, mormora, accogliendo con gioia il dolore; si allontana perché la corda produca un altro strappo. La porta dietro di lui si apre.Colpito,sivolta,curvoe brutto, con gli occhi pieni di lacrimeeilvestitospiegazzato fralemani. – Vuole mangiare adesso? –chiedelabambina. – Grazie, ma vorrei starmenesoloquestasera. Piú tardi la bambina ritorna: – Vuole una tazza di tè?Possoportargliela. Portalateiera,latazzaela zuccheriera,solennemente,su unvassoio. – È il vestito di Pavel Aleksandrovič? L’uomo scansa il vestito e annuisce. La bambina sta lí vicina, mentre lui beve il tè. Ancora una volta è colpito dalla purezza della fronte e degli zigomi, dagli occhi scuri, liquidi, dalle sopracciglia bruneedaqueicapellibiondi come il grano. È invaso da una vampata di sensazioni contraddittorie, come due onde che si scontrino; vorrebbe proteggerla e al tempostessocolpirlaperchéè viva. Meno male che me ne sto qui rintanato, si dice. In questo stato non sono in grado di frequentare il mondo. Aspetta che la bambina dica qualcosa. Vorrebbe che parlasse. Una richiesta assurda da fare a una bambina, eppure lui la fa. Alza gli occhi su di lei, senza veli.Lafissaconunosguardo fintroppopalese. Per un attimo la bambina incontra quello sguardo, poi distoglie gli occhi e indietreggia incerta, fa una specie di strano inchino impacciato e scappa via dalla stanza. Mentre tutto questo succede è consapevole che non dimenticherà quel momento, che forse un giorno ci tornerà su e lo rielaborerà nei suoi scritti. È invasodaunavagasensazione di vergogna, ma una sensazione superficiale, passeggera. Nei suoi libri prima, e adesso anche nella sua vita, la vergogna sembra averpersoforza,sostituitada un vuoto e una passività morale che non si tira indietro davanti a nessun estremo. È come se con l’angolo dell’occhio potesse vedere le nuvole che avanzano verso di lui a una velocità tremenda, nuvole caricheditempesta.Tuttociò che si frappone alla loro avanzata sarà spazzato via. Pieno di spavento, ma anche di eccitazione, aspetta che scoppiiltemporale. Alle undici emerge dalla suastanza,senzaannunciarsi. La tenda è tirata davanti all’alcova dove dormono Matrëna e sua madre, ma Anna Sergeevna è ancora in piedi, seduta vicino al tavolo, cuce alla luce della lampada. L’uomo attraversa la stanza e sisiededavantialei. Lavora con dita abili e movimentiprecisi.InSiberia, per necessità, anche lui ha imparatoacucire,manonsa cucire con quella grazia fluida. Un ago fra le sue dita sembra una bizzarria, una freccialillipuziana. – La luce è fioca per fare un lavoro cosí minuzioso – dice. La donna china la testa, come a dire: – D’accordo, e allora?Cosadovreifare? – Matrëna è la sola figlia chehaavuto? La donna lo guarda dritto in faccia. Gli piace quella franchezza. Gli piacciono i suoi occhi, tutt’altro che morbidi. – Aveva un fratello, ma è morto quand’era ancora moltopiccolo. –Allorasa. –No,nonloso. Che cosa vuole dire? Che la morte di un bambino piccolo è piú facile da sopportare? Non spiega niente. – Se me lo permette, le comprerò una lampada migliore. È un peccato che si rovinilavistacosípresto. La donna china il capo, come a dire: Grazie per il pensiero, ma non mi aspetto chemantengalapromessa. Cosí presto… cosa vuole dire? L’uomohaimparatodaun pezzo a non frenare le parole che gli vengono spontanee. – Ho un forte desiderio di parlare di mio figlio – dice – ma ancora piú forte è il desideriodisentireparlaredi lui. – Era un bravo ragazzo – dice la donna. – Mi spiace averlo avuto per un periodo cosí breve –. Poi, rendendosi conto di aver detto poco, aggiunge: – La sera leggeva per Matrëna. Lei aspettava tutto il giorno che venisse quel momento. I due si volevanodavverobene. –Checosaleggevano? –Oramitornainmenteil Gallo d’oro e Krylov. Le insegnava anche qualche poesiainfrancese.Ancorane saamemoriaunaodue. – È un bene che ci siano libri in casa – accenna a uno scaffaleconunaventinaouna trentina di libri. – Per un bambino che cresce è una buonacosa,vogliodire. – Mio marito faceva il tipografo. Lavorava in una tipografia.Leggevamolto,era il suo passatempo. Questi sonosoloalcunideisuoilibri. A volte, quand’era ancora vivo, l’appartamento straripava di libri, non c’era spazio per contenerli tutti –. Esita: – Abbiamo anche un libro suo, Povera gente. Era uno dei preferiti di mio marito. Cala il silenzio, la fiamma dellalampadatrema,ladonna l’abbassaemetteviailcucito. Gli angoli della stanza sprofondanonelbuio. – Dovetti chiedere a Pavel Aleksandrovičdinoninvitare amici nella sua stanza di sera –dice.–Oramenepento.È successo dopo che una notte ci tennero sveglie, avevano bevutoederanoandatiavanti a chiacchierare per tutta la notte. Aveva degli amici un po’rozzi. –Sí,erademocraticonelle amicizie. Era capace di parlare alla gente comune delle cose che le stanno a cuore. La gente semplice ha famed’ideeeluinontrattava mainessunoconsufficienza. –Già,neppureMatrëša. La luce si fa sempre piú fiocaelostoppinocominciaa fumare. Un unguento di parole, pensa l’uomo, spalmato sulle piaghe. Ma vuole davvero essere medicato? – Era una persona seria, malgrado fosse ancora cosí giovane –. Continua: – Pensava alla Russia, e alle condizioni di vita in questo paese. Era preoccupato delle cosechecontanoperlagente comune. Segue una lunga pausa. È un tributo alla sua memoria, sidice.Eccocosastofacendo, per quanto tardi e debolmente, e cerco di strappare un tributo anche a lei.Eperchéno,delresto? – Ho riflettuto a qualcosa che ha detto l’altro giorno – dice la donna come rimuginando fra i suoi pensieri. – Perché mi ha raccontato quella storia? Perché mi ha detto che Pavel dormivatroppo? – Perché? Perché, per quanto oggi possa sembrare privo d’interesse, gli ha rovinato la vita. Per quella maniadidormirefinoatardi l’ho dovuto ritirare da una scuoladopol’altra.Perquesto nonhapotutofinireglistudi. Cosíallafinesièritrovatoqui a Pietroburgo, ai margini della società studentesca, con laqualenonavevaabbastanza in comune e alla quale non apparteneva in pieno. E non era un problema di pigrizia. Non c’era proprio modo di svegliarlo: grida, scossoni, minacce, preghiere. Niente. Era come voler svegliare un orsoduranteilletargo! – Lo capisco. Ci sono ragazzinichenonsiadattano mai alla scuola. Ma io volevo direun’altracosa.Miscusise glielo dico, ma quello che mi hacolpitonelraccontoèstato che lei sembrava ancora cosí arrabbiatoconlui… – Ma certo che ero arrabbiato! Sua madre è morta, le ricordo, quando lui aveva quindici anni. Non è stato facile tirarlo su da solo. Avevo di meglio da fare che strappare alle coltri un ragazzino di quell’età. Se Pavel avesse finito le scuole come tutti gli altri tutto questononsarebbesuccesso. –Questo? Fa un gesto con la mano, come ad allontanare da sé l’appartamento, la città di Pietroburgo e perfino l’enorme baldacchino scuro dellanottesopraleloroteste. Lei lo guarda. È uno sguardo sereno, pacato. Sotto quello sguardo l’uomo comincia a rendersi conto di quello che ha detto. Viene afferrato da un tremore che comincia a scuoterlo dalla mano sinistra. Si alza e fa avantieindietroperlastanza con le mani giunte dietro la schiena.C’èunostacolosulla sua strada, qualcosa di cui non vuole pronunciare il nome.Cercadiparlare,mala voce gli viene fuori strozzata. Mi comporto come il personaggio di un romanzo, si dice. Ma anche quel rimprovero non basta. Le spalle si gonfiano per i singhiozzi repressi. Poi comincia a piangere sommessamente. In un romanzo la donna avrebbe reagito al suo dolore con un impulso di misericordia. Lei però non reagiscecosí. Senestasedutavicinoalla tavola, alla luce incerta della candela,conlatestagirataeil lavorodicucitosulgrembo.È tardi, nessuno li può vedere, la bambina dorme. Accidenti alcuore!sidicel’uomo. Accidenti a questo sentimentalismo! Il punto non è il cuore e quello che sente, ma il ragazzo morto e quellochesente! In quel momento ha la visione piú limpida, quella di Pavel che gli sorride, che sorride della sua ambiguità, delle sue lacrime, del suo istrionismoediquellochec’è dietro. Non è un sorriso di derisione, al contrario, è un sorriso di complicità e di perdono.Luisa!pensa.Luisa e non gli importa. Un’ondata di gratitudine, di gioia e di amore lo sommerge. Ora è certo che avrà una crisi. Ma non gli importa. Senza trattenerepiúlelacrimetorna a tentoni alla tavola, sprofonda la testa fra le braccia ed emette, uno dopo l’altro,ululatididolore. Nessuno gli accarezza i capelli, nessuno gli mormora all’orecchio parole di consolazione.Maquandoalla finetirasulatestaincercadel fazzoletto, la bambina, Matrëna, è lí di fronte a lui e loosservaattentamente.Porta unacamiciadanottebianca;i capelli, spazzolati all’indietro, le coprono le spalle. L’uomo non può fare a meno di notare i seni appena accennati.Cercadisorriderle, ma la bambina non cambia espressione. Anche lei sa, pensa.Sacosaèveroecosaè falso; o comunque vuole saperloaforzadifissare. Si riprende. Fra le ultime lacrime il suo sguardo s’incolla agli occhi della bambina. In quell’istante qualcosa passa fra di loro, qualcosadacuirifugge,come trafitto da un ferro rovente. Poi le braccia della madre avvolgono la bambina, una parolabisbigliataeleiritorna aletto. 5. Maksimov – Buon giorno. Sono venuto a richiedere – egli stesso è sorpreso dalla sicurezza della sua voce – alcune cose appartenute a miofiglio.Miofigliohaavuto un incidente il mese scorso e la polizia ha ritirato alcune dellesuecose. Spiegalaricevutaelapassa all’impiegato. A seconda che Pavel abbia reso l’anima prima della mezzanotte o dopo, la data è quella del giornosuccessivooquelladel giornostessodellasuamorte. Dice soltanto: lettere e altre carte. Il sergente ispeziona la ricevuta con aria perplessa: – Dodiciottobre,nonèpassato neppureunmese.Ilcasonon saràancorachiuso. – E quanto ci vorrà prima chesiachiuso? – Potrebbero essere due, oppure tre mesi, o forse un anno. Dipende dalle circostanze. –Noncisonocircostanze. Nonsitrattadiundelitto. Il sergente se ne va dalla stanza con la ricevuta aperta davanti agli occhi. Quando ritorna ha un’espressione moltopiúarcigna. –Leièilsignor…? –Isaev.Ilpadre. – Sí, signor Isaev, si sieda. L’ascolterannofrapoco. Si sente mancare il cuore. Aveva sperato che gli restituissero direttamente le carte,conlequaliallontanarsi tranquillamente da quel posto.L’ultimacosaalmondo chesipuòpermettereèchela polizia cominci a interessarsi alui. – Posso fermarmi solo un attimo. – Sí, signore. Sono sicuro che l’investigatore che si occupa del suo caso la riceveràpresto.Sisiedapure. Guarda l’orologio con impazienza, si siede sulla panca, guardandosi intorno nervoso. È presto, c’è solo un’altra persona nell’anticamera. Un giovane con una tuta macchiata di vernice. Sta seduto dritto impalatoesembrachedorma. Hagliocchichiusielabocca semiaperta, dal fondo della golaemetteunrumoresordo. Isaev. Dentro è ancora agitato.Nonfarebbemeglioa lasciarperderesubitolastoria di Isaev, prima di rimanerci intrappolato? Ma come spiegare?–Sergente,c’èstato un piccolo equivoco. Le cose non stanno proprio come sembrachestiano.Inuncerto sensononsonoIsaev.L’Isaev dicuistousandoilnome,per ragionimiechenonstaròqui aspiegare,macomunqueper ottimeragioni,èmortogiàda parecchi anni. E nondimeno io ho allevato Pavel Isaev come fosse stato figlio mio e lo amo come carne della mia carne e sangue del mio sangue. In questo senso portiamo lo stesso cognome, o comunque dovremmo portarlo.Quellepochepagine che ha lasciato per me sono preziose. È per questo che sono qui. Cosa sarebbe successoseavessefattoquella confessione spontaneamente, mentre gli altri non avevano neppureavutounsospetto?E se fossero stati lí lí per dargli le carte? Quella rivelazione li avrebbe certamente bloccati. – Ah, ah! Cosa vuol dire questa storia? Forse questo caso è piú interessante del previsto! Mentre se ne sta seduto e tentenna fra l’idea di rivelare tuttoequelladiandareavanti con l’impostura, mentre tira fuori l’orologio e lo guarda nervoso, nel tentativo di sembrare un uomo d’affari impaziente, infastidito dall’aria viziata dell’anticamera dove in un angolo sfrigola una stufa, ha lapremonizionediunacrisie al tempo stesso capisce che una crisi potrebbe rappresentare un modo, e il piú infantile dei modi, per districarsidaquelpasticcio:e intanto, a latere, riemerge l’ombra fastidiosa di un ricordo: è già stato in questo posto, proprio in questa anticameraoinunaidenticae ha avuto un attacco o un mancamento! Ma perché il ricordo dell’episodio è cosí tenue?Echecosac’entraquel ricordo con l’odore della vernicefresca? –Questoètroppo! Il suo urlo echeggia nella stanza. L’imbianchino che sonnecchiava ha un soprassalto;ilsergentealzala testasorpreso.Cercaalloradi nascondere il suo stato di confusione. – Voglio dire – annuncia abbassando la voce – che non posso aspettare ancora. Ho un appuntamento, come ho già detto. S’è già alzato in piedi e ha infilato il cappotto quando il sergente lo richiama: – Il consigliere Maksimov la riceveràsubito,signore. Nell’ufficio dove viene accompagnato non c’è bancone. Salvo che per un grandedivanoinsimilpelle,è arredatoconlatipicamobilia anonima degli uffici governativi. Il consigliere Maksimov, l’investigatore giudiziario assegnato al caso diPavel,èunuomocalvocon l’aria tarchiata di una contadina; si agita fino a che non trova una posizione comoda e poi apre l’ingombrante cartella che ha davanti,sullascrivaniaelegge a lungo, mormorando parole fra sé e scuotendo la testa di tanto in tanto. – Triste storia…tristestoria… Alla fine tira su la testa: – Le mie piú sincere condoglianze,signorIsaev. Isaev!Èorachesidecida! – Grazie. Sono venuto a chiedere la restituzione delle carte di mio figlio. So che il casononèancorachiuso,ma non vedo che interesse possano rivestire per il suo ufficio delle carte private, né cheimportanzapossanoavere perlesuericerche. – Certo, certo. Come dice lei, carte private… ma mi dica,quandodicecarte,ache cosasiriferisceconesattezza? Gliocchidell’uomohanno una luce acquosa, ha le ciglia chiare, come quelle di un gatto. – Come faccio a dirglielo? Sono state portate via dalla stanzadimiofiglio.Nonleho visteancora.Lettere,carte… – Lei non le ha viste, ma crede che non abbiano alcun interesse per noi. Posso capirla.Capiscocheunpadre è convinto che le carte del figlio trattino di problemi personali, o per lo meno familiari. Certo. D’altra parte c’èun’inchiestaincorso.Pura formalità, forse, ma imposta dallalegge,edunquenonlasi può liquidare con uno schiocco di dita o un gesto impaziente della mano, e le carte rientrano in questa inchiesta.Cosí… Congiunge i polpastrelli delle mani, abbassa la testa, sembra sprofondare in pensieri complessi. Quando solleva di nuovo il capo non hapiúilsorrisosulvolto,ma un’espressione di impressionante risolutezza: – Credo, – dice – sí, credo di avere la soluzione che soddisferà entrambe le parti. Poiché il caso non è chiuso, anzi per la verità è stato appena aperto, non posso restituirle le carte in questione, ma gliele farò vedere. Perché sono d’accordo che non è carino strapparle via alla famiglia in unasituazionecosítragica. Con una mossa improvvisa, come di un giocatore che scopra la carta vincente, sfila un solo foglio dalraccoglitoreeglielomette difronte. È una lista di nomi, tutti nomi russi, scritti in caratteri latini.Comincianotutticonla letteraA. –C’èunequivoco.Questa non è la scrittura di mio figlio. –Nonèlascritturadisuo figlio? Hmm – Maksimov riprendeilfoglioelostudia:– Allora ha idea di chi possa essere,signorIsaev? – No. Non la conosco. Comunque non è quella di miofiglio. Dal fondo della pila Maksimov estrae un altro foglio e glielo mette sotto il naso:–Equesta? Non ha bisogno di leggerlo! Che stupido, pensa. Un’ondata di stordimento lo vince. La sua voce sembra venire da molto lontano. – È una lettera mia, non mi chiamo Isaev, ho preso il nome… Maksimov agita la mano comeacacciarviaunamosca, o a scacciare quelle parole, vuole farlo tacere, ma lui vince lo stordimento e completalasuadichiarazione. – Ho preso il nome di Isaev per non complicare ulteriormentelecose:nonc’è altro motivo. Pavel Aleksandrovič Isaev è il mio figliastro, l’unico figlio della moglie che ho perduto. Ma permeècomeunfiglio.Non haaltrichemealmondo. Maksimov recupera la lettera dalla presa lenta dell’uomo e la scorre di nuovo. È l’ultima lettera da Dresda, una lettera in cui rimproveraPaveldispendere troppo denaro. È imbarazzante stare lí seduto mentreunestraneolalegge.È mortificante averla scritta! Macomesifaasapere,come si fa a sapere, quale sarà l’ultimogiorno? – Tuo affezionatissimo padre, Fëdor Michailovič Dostoevskij, mormora il magistrato e alza la testa: – Allora, cerchiamo di chiarire, lei non è Isaev, lei è Dostoevskij. – Sí, è stato un errore, un inganno, stupido ma innocente,delqualemidolgo. – Capisco, e però lei è venuto qui, dando a intendere… ma davvero dobbiamousarequestabrutta espressione? Usiamola con cautela,perora,inmancanza di una parola piú adatta, dandoaintenderediessereil padre del defunto Pavel Aleksandrovič Isaev e reclamando la restituzione delle sue cose, mentre in verità lei non è affatto la persona in questione. Non è bello,nonèvero? – È stato un errore, come ho detto, del quale mi pento amaramente. Ma il morto è mio figlio, e io sono il suo tutore, riconosciuto dalla legge. – Hmm, capisco. Ecco, lui avevaventunanniestavaper compierne ventidue al momento del decesso. Cosí, dal punto di vista strettamente legale, il suo ruoloditutorenonavevapiú motivodiessere.Unuomodi ventun anni è padrone di se stesso, non è vero? Una persona libera davanti alla legge. È quel tono strafottente che alla fine lo manda in bestia.Sialzainpiedi:–Non sonovenutoquiperdiscutere di mio figlio con gli estranei! –dicealzandolavoce.–Selei insisteavolertrattenerelesue carte,melodicaemiregolerò altrimenti. – Insistere a trattenere le sue carte? Ma certo che no! Caro signore, la prego, si sieda. Ma certo che no! Al contrario, mi piacerebbe molto che esaminasse queste carte, per sé e per noi. Le indicazioni che potrebbe darci ci sarebbero utilissime, sarebberodavveroapprezzate. Tanto per cominciare prendiamo questo, – e gli mettedifronteunadozzinadi fogli scritti su entrambe le facciate. È la lista completa dei nomi, quella di cui aveva vistogiàilprimofoglioconle A.–Nonèlascritturadisuo figlio,vero? –No. – No. Lo sappiamo. Ha idea di chi sia questa scrittura? –No,nonlariconosco. – È la scrittura di una giovane donna, che al momento vive all’estero. Il suo nome non è importante, anchesecredochesentirlola stupirebbe. È un’amica e una socia di un uomo di nome Nečaev, Sergej Gennadevič Nečaev. Questo nome le dice qualcosa? – Non conosco personalmente Nečaev, e dubito che mio figlio lo conoscesse. Nečaev è un cospiratoreeunribelledicui rifiuto con forza il piano insurrezionale. – Non lo conosce personalmente, mi dice, ma haavutocontatticonlui. – No, non ho avuto contatti con lui. Ho partecipato a una conferenza pubblica in Svizzera, a Ginevra, conferenza durante la quale hanno parlato molte persone. Uno di costoro era Nečaev. Dunque siamo stati nella stessa sala. A tanto ammontano i miei contatti conlui. – E a quando risale tutto ciò? – Era l’autunno del 1867. L’incontro era stato organizzato dalla Lega per la Pace e la Libertà, cosí si autodefiniscono… Io vi ho partecipato apertamente, come patriota russo, per sentirequellochesidicedella Russia da ogni parte. Il fatto cheabbiaascoltatoildiscorso di quel giovane, Nečaev, non significa che stia dalla sua parte. Al contrario, lo ripeto, rifiuto tutto ciò che rappresenta, e l’ho dichiarato piúvolte,inpubblicocomein privato. – Anche il benessere del popolo? Non è per il benessere del popolo che Nečaev combatte? Non è a quellochepunta? – Non afferro il senso di queste domande. Nečaev è, prima di tutto e soprattutto, per il rovesciamento violento delle istituzioni sociali, in nome di un principio ugualitario:felicitàugualeper tutti, oppure, se non è possibile, miseria uguale per tutti. Non è un principio che si dia la pena di giustificare, anzi si direbbe che disprezzi le giustificazioni in generale comeperditeditempo,come inutili intellettualismi. La prego, non mi accomuni a Nečaev. – Bene, bene. Accetto la ricusazione, anche se devo dire che sono sorpreso, non l’avrei mai immaginata come un campione dei principî. Comunque sia, torniamo a noi.Allalistadinomicheha di fronte: ne riconosce qualcuno? – Ne riconosco alcuni. Unamanciatadinomi. – È la lista delle persone che debbono essere eliminate nel nome della Vendetta del Popolo, che, come saprà, è l’organizzazione clandestina fondata da Nečaev. Questi omicidi sono stati progettati nell’intento di scatenare una rivolta generale che conduca al rovesciamento dello Stato. Se sfoglia l’elenco fino alla fine, vedrà che c’è un’appendice in cui vengono citate intere classi di persone che verranno giustiziate sommariamente durante l’insurrezione. Fra di loro ci sono tutti gli alti funzionari del sistema giudiziario e gli ufficiali di polizia, nonché quellidellaTerzaSezione,dal grado di capitano in su. La listaèstatatrovatafralecarte disuofiglio. Una volta comunicata la notizia, Maksimov si appoggia allo schienale della poltrona e sorride amichevolmente. –Questosignificachemio figlioèunassassino? – Ma assolutamente no! Comepuòessereunassassino se nessuno è stato assassinato?Quellochevedeè solo un appunto, un abbozzo teorico.Sevuolesaperelamia opinione personale, si tratta di una lista, di quelle che un giovanotto arrabbiato con la società può stilare in un pomeriggio, magari per fare colposullagiovanedonnaalla quale detta i nomi: un modo peresibireilpropriopoteredi vita e di morte, un potere assolutamente illusorio, ovviamente. E nondimeno l’assassinio, il piano di eliminazione che minaccia la nostraburocrazia,èunaffare serio,noncrede? – Molto serio. Lei non ha certo bisogno del mio consiglio.Nečaevvaarrestato immediatamente, se mai dovesse rimettere piede in patria. Per quanto riguarda mio figlio, cosa volete fare? Arrestarepurelui? – Ah, ah. Questa è buona Fëdor Michailovič. No, non potremmoarrestarlo,seppure lo volessimo, perché ci ha lasciato.Mahaanchelasciato problemiirrisoltidietrodisé. Carte, piú carte di quante è permesso lasciarne a un qualunque cospiratore che si rispetti. Ha lasciato dietro di sé anche degli interrogativi. Per esempio: perché si è suicidato? Perché lei crede chesisiasuicidato? Lastanzaondeggiadavanti ai suoi occhi. La faccia dell’investigatore gli incombe addosso, come un enorme pallonerosa. –Luinonsièsuicidato,– bisbiglia – lei non capisce nientediquelragazzo. –Perforzaècosí!Delsuo figliastro e delle vicissitudini della sua vita non capisco un accidente, né pretendo di capire.Quellocheperòspero di capire, in modo molto concreto, da investigatore, è che cosa lo ha portato alla morte. Era forse minacciato? Forseunodeisuoisociaveva minacciato di denunciarlo? E magari la paura delle conseguenze lo ha agitato a tal punto da spingerlo al suicidio? Oppure, forse, non sièsuicidato?Puòessereche, per motivi a noi oscuri, sia stato scoperto come traditore dellacausadellaVendettadel Popolo e giustiziato in quel modo davvero sgradevole? Queste sono alcune delle domandechemipassanoper la testa, ed è per questo che ho colto l’occasione per parlarle, Fëdor Michailovič, perché se non lo conosce lei, cheèstatoilsuopatrignoeil suo protettore per tanto tempo, in assenza di genitori naturali, chi altro può conoscerlo?Poinaturalmente c’è l’altro problema, quello dell’alcol. Era abituato a bere forte o è un’abitudine contrattadirecente,collegata allo stress della sua attività clandestina? –Noncapisco,chec’entra adessol’alcol? – La notte in cui è morto avevabevutomolto,losapeva questo? L’uomo scuote la testa, confuso. –Misembrachiaro,Fëdor Michailovič, che ci sono un mucchio di cose che non sa. Via, lasci che sia sincero, appena ho sentito che era venuto qui a reclamare le carte del suo figliastro, qui, dentro la tana del leone, per cosídire,ebbene,hoavutola certezza, o la quasi certezza, che doveva essere all’oscuro di tutto. Perché se avesse sospettato un collegamento frailsuofigliastroelabanda criminale di Nečaev non sarebbe venuto qui. Oppure mi avrebbe detto fin dall’inizio che era interessato solo a riavere la corrispondenza privata scambiata col suo figliastro. Misegue? –Sí. – E visto che già ha le lettere che il suo figliastro le haspedito,alloraquestovuol dire che avrebbe richiesto sololeletterespeditedaleial suofigliastro.Maperché… – Le lettere, sí, e tutti i documenti privati. Che senso può avere perseguitarlo ormai? –Già,chesensopuòavere! Unataletragedia…Ma…per tornare al problema delle carte, lei usa l’espressione «privati» e mi rendo conto che in una situazione come quella attuale è assai difficile definire cosa sia «privato». Certo è nostro dovere rispettare il defunto, difendere i diritti che il suo figliastro non è piú in grado didifenderepersonalmente,e inquestocasoildirittoauna certaprivacy.L’ideachedopo la nostra morte un estraneo venga a ficcare il naso fra le nostre carte, le nostre cose, e cominciadaprireicassetti,a rompere i sigilli e a leggere lettere intime… beh, l’idea farebbe soffrire chiunque di noi, ne sono certo. D’altra parte in certi casi può essere preferibile che a svolgere tali sgradevoli ma necessarie formalità sia proprio uno sconosciuto. Non staremmo certo a nostro agio sapendo chelenostrestoriepiúsegrete saranno rivelate, quando le emozioni sono ancora vive, allo sguardo di una moglie ignara, o di una figlia o sorella. Meglio dunque in certicasichesiaunestraneoa occuparsene, qualcuno che non rischia di essere ferito, perché non siamo niente per lui e anche perché il lavoro chefal’haabituatoalleoffese. Naturalmente questo è un discorso retorico, perché poi, allafine,èlaleggeadisporre: la legge di successione, che stabiliscechesianoglieredia entrare in possesso delle proprietà e cosí pure delle carteprivateedituttoilresto. E,nelcasodichimuoresenza avernominatounerede,sono leleggidellaconsanguineitàa imporsieadettareildafarsi. Allora, siamo d’accordo, le letterescambiatefraimembri della stessa famiglia sono carte private e vanno trattate con la giusta discrezione. Mentre le comunicazioni di natura sediziosa che arrivano dall’estero, liste di gente segnata, da eliminare, per esempio, non rientrano chiaramente fra le carte private. Ma qui ora ci troviamo di fronte a un caso curioso. L’uomo scorre i fogli nel raccoglitore e intanto tamburella con le dita sul tavolino in modo terribilmenteirritante. – Ecco qui un caso curioso,ecco un caso curioso – ripete, quasi fra sé e sé. – Un racconto – annuncia bruscamente. – Cosa dovremmo fare di un racconto, di un’opera dell’immaginazione? Un racconto è un affare privato? Cosanedicelei? – Privato, assolutamente privato, è affare dello scrittore, fino a che non si è decisoadarloalmondo. Maksimov lo fissa con espressione interlocutoria e intantoglispingesottoilnaso un quaderno a righe. Lui riconosce subito la scrittura inclinata con le curve incerte elemacchie.Unascritturada orfano, pensa. Dovrò imparare ad amarla. E mette una mano protettiva sopra la pagina. – Legga – dice l’altro a vocebassa. Provaaleggere,manonci riesce. Piú cerca di concentrarsi, piú vede solo dettagli della grafia. Ha la vistaoscuratadallelacrime,le asciuga con la manica perché non cadano sul foglio e non producano altre macchie. «Distese di neve intatta», legge, e già vorrebbe correggere quello stereotipo. Racconta qualcosa su un uomo che sta in quella distesa, qualcosa del freddo. Scuote la testa e chiude il quaderno. Maksimov si sporge in avanti e glielo sfila gentilmente di mano. Lo sfoglia finché non trova quello che cercava e spinge il quaderno dall’altra parte del tavolo. –Ecco,leggaqui–glidice – solo una o due pagine. Il nostro eroe è un giovane condannato per cospirazione e tradimento e spedito in Siberia.Fuggedallaprigionee arriva nella casa di un proprietario terriero, dove vienenascostoerifocillatoda una sguattera, una giovane contadina. Sono entrambi giovani e un sentimento romantico nasce fra i due, eccetera. Una sera il proprietario terriero, descritto come un uomo rozzo e lascivo, comincia a importunare la ragazza. E questo è il brano che vorrei farleleggere. Luiscuoteancoralatesta. AlloraMaksimovriprende il quaderno: – «Il giovanotto non può sopportare piú quella scena. Esce dal suo nascondiglio e interviene» – Maksimovleggeadaltavoce: – «Karamzin, il proprietario terriero, si voltò versodiluiesoffiò:“Chisei? Cosafaiqui?”Poirealizzòche aveval’uniformegrigialacera e un resto di ceppi alle caviglie. “Ah, sei uno di quelli!”,gridò.“Oratisistemo io!” Si voltò e si diresse pesantementeversolaporta». Il proprietario terriero viene descritto come un bruto con la faccia rincagnata, le orecchie pelose e le gambe grasse e corte. Non c’è da stupirsi dell’indignazione del nostroeroenelvederelabella fanciulla insidiata da un vecchio ripugnante. Prende un’accettapoggiatasulfianco della stufa e «con tutta la forzacheavevaincorpo,pur essendoscossodauntremito, vibrò l’accetta sulla testa bianca dell’uomo. A Karamzin cedettero le ginocchia e andò giú sul pavimento spazzato, emettendo un grugnito, propriocomeunabestia,con le braccia spalancate. Le sue ditaebberounsussultoprima di rilassarsi. Sergej», è questo il nome del nostro eroe, «rimase lí imbambolato, con l’accetta insanguinata in mano, incapace di credere a quello che aveva fatto. Ma Marfa»,èilnomedell’eroina, «con una presenza di spirito inattesa, afferrò uno straccio bagnato e lo mise sotto la testa del morto, per non far spargere il sangue». Bel guizzodirealismo,nontrova? Il seguito della storia è accennato, non starò a continuare. Forse, una volta fattofuoril’oscenoKaramzin, l’ispirazione del nostro giovaneautoresièaffievolita. Sergej e Marfa trascinano via ilcorpoelogettanodentroa un pozzo abbandonato. Quindi s’incamminano nella notte «pieni di determinazione», è questa la frase. Non è chiaro dove intendano fuggire. Ma mi lasci accennare a un ultimo dettaglio. Sergej non abbandona l’arma del delitto. La porta con sé. Per farne cosa? chiede Marfa. Cito la suarisposta:«Perchéèl’arma del popolo russo, l’arma con cuidifenderci,l’armaconcui vendicarci». L’ascia insanguinata, la vendetta del popolo… l’allusione non potrebbe essere piú chiara, nonlepare? L’uomo fissa Maksimov incredulo. – Non credo alle mie orecchie – mormora. – Vuole davvero montare questobranocomeunaprova a carico di mio figlio? Un racconto,unafantasia,scritto nelsegretodellasuastanza? – Ma no, ma no… Fëdor Michailovič,leimifraintende! –Maksimovsibuttacontrolo schienale della sedia e scuote la testa con aria affranta. – Non si tratta di perseguitare (come lei stesso ha detto prima)ilsuofigliastro.Ilsuo caso è chiuso e questo è quel che conta. Le ho letto la sua fantasia, come l’ha definita, per mostrarle fino a che punto fosse caduto sotto l’influsso dei nečaeviti, che hanno traviato Dio sa quanti dei nostri giovani piú impressionabili e fragili, soprattuttoquiaPietroburgo, eperlopiúgiovanidibuona famiglia. È un’epidemia, il nečaevismo. Un’epidemia o forseunamoda. – No, non è una moda. Quello che lei chiama nečaevismo è sempre esistito in Russia, magari sotto altro nome. Il nečaevismo è un fenomeno russo, come il brigantaggio, ma non sono qui per parlare dei nečaeviti. Sono venuto solo per un motivo. Ritirare le carte di mio figlio. Posso averle? E se non posso averle, posso andarmene? – Può andare. È libero di andarsene. Lei è uscito dalla Russia e ci è rientrato sotto falso nome. Non le chiederò con quale passaporto vada in giro. Ma è libero di andarsene. Se i suoi creditori si accorgono che è in Russia, anchelorosonoliberidifarei passicheritengononecessari. Ma non è affar mio, è una cosa fra lei e loro. Glielo ripeto: è libero di lasciare questo ufficio. Comunque la avverto: non posso coprire attivamentelasuaimpostura. Suquestosiamointesi. –Inquestomomentonon c’è niente che mi interessi meno del denaro. Se debbo essere perseguito per vecchi debiti,siapure. – Lei ha subíto un lutto, è depresso, per questo reagisce cosí. La capisco bene. Ma si ricordi che ha una moglie e un figlio che dipendono da lei. Fosse anche solo per il loro bene, non può permettersidilasciarsiandare al fato. Quanto alla sua richiesta delle carte, mi dispiace, non posso ancora consegnargliele. Fanno parte di un’inchiesta della polizia, perchiarireilegamifrailsuo figliastroeinečaeviti. – Bene. Prima di andarmene posso aggiungere ancora una cosa a proposito deinečaeviti?Giacchéalmeno io ho visto e sentito parlare Nečaev in persona, una conoscenza diretta e dunque (mi corregga se sbaglio) superioreallasua. Maksimovalzalatestacon tono interlocutorio. – La prego,continui. – Nečaev non è un affare di competenza della polizia. Anzi a dire il vero non è un affare di competenza delle autorità in generale, almeno nondelleautoritàlaiche. –Prosegua. –Puòdarsicheriusciatea scovare e anche ad arrestare Nečaev, ma ciò non signica che il nečaevismo sarà eliminato. – Sono perfettamente d’accordo. Il nečaevismo è un’idea diffusa nella nostra terra;Nečaevstessoneèsolo un’incarnazione. Il nečaevismo non finirà finché le cose non cambiano. Perciò ilnostroscopodev’esserepiú modesto e piú concreto: controllare la diffusione di quest’idea, e dove già si è diffusaevitarechesitrasformi inazione. – No, lei continua a fraintendermi. Il nečaevismo non è un’idea. Disprezza le idee, è fuori dal mondo delle idee. È uno spirito, e Nečaev stessononneèl’incarnazione masoloilcorpocheloospita, opiuttostocheèpossedutoda quellospirito. L’espressionediMaksimov èimperscrutabile.Ciriprova. – La prima volta che vidi Sergej Nečaev a Ginevra fui colpito dall’aria tetra e poco attraente di quel giovane, dalla sua intelligenza mediocre e dai suoi modi ordinari. Non credo che quella prima impressione fossesbagliata.Inquelveicolo improbabile però è entrato uno spirito. E non c’è niente dinotevoleinquellospirito.È unospiritoottuso,permaloso eomicida.Perchéhasceltodi risiedere proprio in quel giovanotto? Non lo so. Forse perché lo trova un ospite in cui entrare e da cui uscire facilmente.Maèperviadello spirito che lo abita che Nečaev ha dei seguaci. Seguono lo spirito, non l’uomo. –Ecomesichiamaquesto spirito,FëdorMichailovič? Fa uno sforzo per visualizzare Nečaev ma vede solo una testa di bue, con gli occhi vitrei, la lingua penzolante e il cranio spaccato dalla scure del macellaio.Intornounnugolo dimosche.Glivieneinmente un nome, e in quello stesso momentodice:–Baal. – Interessante. Una metafora, forse non del tutto chiara, ma meritevole di riflessione.Baal.D’altraparte non posso fare a meno di chiedermi se sia utile parlare dispiritiedipossessioni.Eha unsensoancheparlarediidee che si aggirano per il paese, come se le idee avessero braccia e gambe? Questa chiacchierata ci aiuterà nelle nostre fatiche? Aiuterà la Russia? Lei dice che non dobbiamo rinchiudere Nečaev perché Nečaev è posseduto da un demonio (vogliamo chiamarlo demonio?spiritosuonamale). In tal caso cosa dovremmo fare? Dopo tutto non siamo un ordine contemplativo, siamoilbraccioinvestigativo. Silenzio. – Non voglio assolutamente sottovalutare quanto dice – riprende Maksimov. – Lei è un uomo ditalento,unuomocapacedi introspezione, come già sapevoprimadiincontrarla,e questa nuova genia di cospiratori è fatta di un’altra pastarispettoaquelladeiloro predecessori. Credono di essere immortali e in questo senso è davvero un po’ come lottarecontroidemoni.Sono implacabili. Sembra che abbiano nel sangue, per cosí dire, l’odio per la nostra generazione. Un vizio congenito.Nonèfacileessere padri, non è vero? Anch’io sono padre, ma per fortuna padre di femmine. Non mi piacerebbe essere padre di figli maschi di questi tempi. Masuopadrenon…Nonc’è stato qualcosa di spiacevole consuopadre?Maforsesono iochericordomale… Dietro alle ciglia bianche Maksimov gli lancia un’occhiatina maliziosa, poi, senzaaspettare,prosegue. – Cosí in fin dei conti mi chiedoseilfenomenoNečaev sia davvero un’aberrazione dello spirito come lei dice. Forse dopo tutto è solo la vecchia storia dei padri e dei figli, quella di sempre, solo piú mortale, piú spietata nel casodiquestagenerazione.In questo caso, forse, la risoluzionepiúsaggiasarebbe quella piú semplice: mettersi in trincea e aspettare; aspettare che crescano. Dopo tutto abbiamo avuto i decabristiegliuominidel’49. I decabristi oggi sono vecchi, quanto a quelli che sono ancora vivi, sono sicuro che, quali che fossero i demoni che si erano impossessati di loro,lihannoabbandonatida un pezzo. Quanto a Petraševskij e i suoi amici, cosa ne pensa? Anche loro eranopossedutidaidemoni? Petraševskij. Ora perché tirainballoPetraševskij? – Non sono d’accordo, quello che lei chiama il fenomeno Nečaev ha una connotazione personale. Nečaev è un sanguinario. Gli uomini a cui fa l’onore di riferirsi erano degli idealisti. Hannofallitoperché,equesto tornaaloroonore,nonerano abbastanza astuti e certamente non erano sanguinari. Petraševskij, visto chehanominatoPetraševskij, fin dal principio aveva denunciato quella forma di gesuitismo che porta a giustificare i mezzi in nome del fine. Nečaev è un gesuita, ungesuitalaicocheabbraccia apertamente il criterio del finechegiustificaimezziper giustificare il cinico sfruttamentodelleenergiedei suoiseguaci. – Allora c’è qualcosa che non ho capito. Mi spieghi ancoraperchéunaquantitàdi sognatori,dipoeti,digiovani intelligenti come il suo figliastro è attratta da un bandito come Nečaev? Perché, secondo lei, Nečaev non è altro che un bandito con un’infarinatura di cultura,osbaglio? – Non lo so. Forse perché nei giovani c’è qualcosa che ancora non si è acquietato, qualcosa cui fa appello lo spirito di Nečaev. Forse è in tutti noi. Qualcosa che credevamo morto da secoli e che invece dormiva soltanto. Glielo ripeto: non lo so. Non sospiegareilrapportoframio figlio e Nečaev. È una cosa che mi risulta nuova. Ero venuto qui a riprendere le carte di Pavel, che per me sono preziose per motivi che non capirebbe. Sono quelle carte che voglio. Nient’altro. Glielo chiedo ancora una volta:melerestituirà?Perlei sono inutili. Non le diranno perché i giovani intelligenti cadono nella rete dei delinquenti. E meno di tutti lo diranno a lei, perché lei nonsacomeleggerle.Mentre leggeva il racconto di mio figlio(melolascidire)notavo come si teneva eretto e distante dalla pagina, costruendo una barriera ridicola, come se le parole potessero saltar fuori dalla paginaestrangolarla. Qualcosa ha cominciato a prendere fuoco dentro di lui, mentre parlava, e se ne rallegra. Si sporge in avanti, afferraibracciolidellasedia. – Che cos’è che la spaventa, consigliere Maksimov? La lettura di Karamzin o Karamzov come sichiama,quandoilcraniodi Karamzin viene rotto come un uovo, qual è la verità? Soffre con lui o piuttosto esulta dentro di sé, seguendo il braccio che vibra il colpo d’ascia? Non risponde? Mi lasci dire allora: leggere vuol dire essere quel braccio e quell’ascia e quel cranio; leggere vuol dire arrendersi, non schernire e tenersi a distanza. Se glielo chiedo so che mi dirà che sta dando la caccia a Nečaev per processarlo, con tanto di giudici e di avvocati della difesa e cosí via, per poi rinchiuderlo in una cella pulita e illuminata bene. Ma guardi dentro di sé: è questo che desidera davvero? Non è forse vero che gli vuole tagliare la testa, che vuole calpestareilsuosangue? Si riappoggia allo schienale,tuttorosso. – Lei è un uomo molto intelligente, Fëdor Michailovič, ma parla della lettura come si trattasse di una possessione demoniaca. Misuratosuquelmetrotemo di essere un lettore assai scarso,ottusoeconipiediper terra. Ma mi chiedo se in questo momento lei non sia in preda alla febbre. Se potesse guardarsi allo specchio sono certo che capirebbe cosa voglio dire. E poi abbiamo avuto una conversazione molto lunga, interessante ma lunga, e ho tanticompitidasbrigare. –Eledicochequellecarte a cui tiene tanto potrebbero esserescritteinaramaico,per quello che se ne farà. Me le renda! Maksimov fa una risatina: – Lei mi fornisce la migliore, la piú benevola delle ragioni per non cedere alle sue pressioni, Fëdor Michailovič, ecioèchenelsuostatoattuale lo spirito di Nečaev possa saltarfuoridaquellepaginee impossessarsi di lei. Ma, scherziaparte,midicechesa come leggere. Mi farebbe il favore, in futuro, di leggere questifogliperme,tutte,tutte le carte di Nečaev di cui questo non è che un piccolo fascicolo? –Leggergliele? –Sí,leggermele. –Perché? –Perchéleisostienecheio non sappia leggere. Vorrei una dimostrazione dell’arte della lettura. M’insegni, mi spieghi queste idee che non sonoidee. Per la prima volta dopo l’arrivo del telegramma a Dresda, Fëdor Michailovič ride. Sente la tensione del volto allentarsi. Ma è una risataduraesenzagioia.–Ho sempre sentito dire che la polizia rappresenta le orecchie e gli occhi della società. E lei si rivolge a me perché l’aiuti! No, non leggeròperlei. Maksimov incrocia le mani sulle ginocchia, chiude gli occhi con un’aria da Buddha, senza sesso e senza età, e annuisce: – Grazie – mormora – ma ora deve andare. Fëdor Michailovič riemerge in un’anticamera affollata. Per quanto tempo è rimasto chiuso lí dentro con Maksimov? Un’ora? Di piú? La panca è piena, c’è gente appoggiataalmuro,gentenei corridoi saturi del soffocante odore di vernice fresca. Le voci si azzittiscono, gli occhi si voltano a seguirlo senza simpatia. Tanta gente che vuolegiustizia,ognunoconla suastoriadaraccontare! È quasi mezzogiorno e lui non sopporta l’idea di rientrare nella sua stanza. Si incammina verso est, per via Sadovaja. Il cielo è basso e grigio e tira un vento freddo; la strada è ghiacciata e scivolosa.Ungiornotetro,un giorno in cui camminare per lestradeatestabassa.Malui nonriesceafrenarsi,nonpuò fare a meno di osservare le persone che passano, alla ricerca delle spalle, dell’andatura del figlio perduto. Dal modo di camminare lo riconoscerà: primadall’andatura,poidalla figura. Cercadievocareilvoltodi Pavel, ma invece gli compare davanti, e in modo cosí vivido!,lafacciadiungiovane conlesopraccigliafolteeuna barbarada,conlabbrastrette e sottili, la faccia di un giovane seduto sul palco dietro Bakunin, all’ultimo Congresso della Pace, due anni prima. Ha la pelle segnata da cicatrici livide per ilfreddo.–Va’via!–glidice, cercando di cacciare quell’immagine. Ma quella non se ne va. – Pavel! – mormora, cercando di evocaresuofiglio,invano. 6. AnnaSergeevna Non era ancora mai andatoinquelnegozio.Èpiú piccolo di come l’aveva immaginato, scuro, basso e seminterrato. JAKOVLEV DROGHIERE E MERCANTE dice l’insegna. Quando apre la porta suona un campanello. Glicivuoleunpo’perchégli occhisiadattinoall’oscurità. È l’unico cliente. Dietro il bancone c’è un vecchio con un grembiule bianco. Fëdor Michailovič fa finta di esaminare le merci: i sacchi aperti con i fagioli secchi, il grano saraceno, la farina, la biada per i cavalli. Poi si avvicinaalbancone. – Vorrei dello zucchero perfavore. – Come? – chiede il vecchio schiarendosi la gola. Gliocchialifannoappariregli occhi piccoli come due bottoncini. – Vorrei un po’ di zucchero. Lei compare, emergendo da una porta chiusa da una tenda, sul retro del negozio. Seèsorpresadivederlo,certo nonlodimostra.–Pensoioa servire il cliente, Avram Davidovič – dice tutta tranquilla,eilvecchiosifada parte. – Volevo dello zucchero – ripetelui. – Zucchero? – un lieve sorrisoleincrespalelabbra. – Sí, cinque copechi di zucchero. Svelta, la donna prepara un cartoccio, lo piega sul fondo e ci mette dentro lo zucchero bianco, lo pesa e chiude il cartoccio. Mani abili. – Sono appena stato alla polizia. Ho tentato di farmi ridarelecartediPavel. –Ahsí? – Ci sono delle complicazioni che non avevo previsto. – Le riavrà. Ci vuole tempo.Perognicosacivuole tempo. Anche se non ce n’è motivo,l’uomoleggeinquelle parole un doppio senso. Se non ci fosse il vecchio, lí dietro a lei, allungherebbe la mano sul bancone e afferrerebbe quella della donna. –Quantofa? –Fannocinquecopechi. Quando prende il cartoccio, le sfiora le dita. – Hailluminatolamiagiornata – bisbiglia cosí piano che forseneppureleilosente.Poi s’inchina,s’inchinaadAvram Davidovič. Èun’impressione,ohagià vistodaqualchepartel’uomo con il cappotto di montone e il berretto, che, dopo essersi soffermato a guardare gli operai che scaricavano mattoni dall’altra parte della strada,oraimbocca,comelui, viaSečnoj? Elozucchero?Perchémai ha comprato proprio lo zucchero? Scrive un biglietto ad Apollon Majkov. «Sono a Pietroburgo e sono andato sulla sua tomba. Grazie per aver pensato a tutto. Grazie anche per le tante gentilezze fatte a P. in questi anni. Le sono per sempre debitore». FirmaconunaD. Sarebbe piú facile organizzare un incontro segreto. Ma non vuole compromettere il vecchio amico. Majkov sempre generoso,capirà,sidice:sono a lutto e chi è a lutto evita la gente. È una buona scusa, ma è unamenzogna.Nonèalutto. Non ha detto addio a suo figlio,nonharinunciatoalui. Tutt’altro,vuolechesuofiglio siarestituitoallavita. Scrive alla moglie: «È ancoraqui,nellasuastanza.È terrorizzato. Ha perso il suo diritto di stare al mondo, ma l’altro mondo è freddo, freddo come gli spazi interstellari, non è accogliente». Appena ha finito di scrivere la lettera la strappa.Nonhasenso,epoiè un tradimento di quello che rimanefraluiesuofiglio. Suo figlio è dentro di lui. Un bambinello morto dentro una cassa di ferro nella terra gelata. Non sa come fare a resuscitare il bambino o (che poièlastessacosa)nonhala forza di volontà per farlo. È paralizzato, anche mentre camminaperlestradesisente paralizzato. Ogni gesto delle sue mani ha la lentezza di quelli di un uomo congelato. Nonhavolontà,opiuttostola suavolontàsiètrasformatain un masso duro, una pietra che lo tira giú, verso l’immobilitàeilsilenzio. Sa cosa vuol dire il lutto. Questo non è lutto. Questa è la morte, la morte venuta prima del tempo, venuta per stare con lui, non per sopraffarlo o divorarlo, solo per stare con lui. È come un cane che abbia scelto di abitare con lui, un grosso cane grigio, sordo e cieco, stupido e immobile. Quando dorme,ilcanedorme;quando si sveglia, il cane si sveglia; quando esce, il cane lo segue sbandando. Il pensiero ritorna pigramentemaconinsistenza ad Anna Sergeevna. Quando pensaalei,pensaadagilidita che contano le monete. Le monete, il cucito, che cosa rappresentano? Ripensa a una contadina cheunavoltaavevavistosulla porta del convento di Sant’Anna, a Tver. Stava seduta con un bambino mortoalsenoecacciavaviala gente che cercava di portarle via il piccolo cadavere, sorrideva beata, sorrideva propriocomeSant’Anna. Ricordi, come un filo di fumo.Unrecintodicannein mezzoalnulla,eunafiguretta filiforme che passa fra le canne, piatta, senza peso, la figuradiunragazzinovestito di bianco. Un minuscolo villaggio nella steppa con un torrente,dueotrealberi,una mucca con una campana al collo e un filo di fumo che si perdenelcielo.Ilretrobottega dell’universo, la fine del mondo. Un ragazzino che passa come una spola fra le canne,avantiedietro,inuna sorta di metamorfosi interrotta, in una specie di purgatorio. Visioni che vanno e vengono, come lampi, effimere.Nonèpadronedisé. Concautelaspingeviapenna e carta, nell’angolo piú lontano della scrivania, e appoggia la testa fra le mani. Se devo svenire, meglio svenirequi,almioposto. Ha un’altra visione, una figurapressounpozzo,porta un mestolo alle labbra, è un viaggiatore che si mette in cammino; gli occhi guardano aldilàdelbordodelmestolo, intenti a un altrove. Uno sfiorarsidimani.Uncontatto affettuoso:–Addioamico!–e scompare. Perché questo faticoso inseguire per la campagna desertalevocidiunfantasma, ilfantasmadiunavoce? Perché io sono lui. Perché lui è me. C’è qualcosa là che ho bisogno di afferrare: l’attimo prima della fine, quando il sangue ancora scorre, il cuore ancora batte. Ilcuore,questobuefedeleche continua a far girare la ruota del mulino, che non lancia neppure un’occhiata interrogativa,quandol’asciaè sollevata alta su di lui, ma accetta il colpo, si piega sulle ginocchia e muore. Non l’oblio,mailmomentochelo precede, quando arrivo ansimante fino a te, sull’orlo del pozzo e ci guardiamo per l’ultima volta, sapendo che siamo vivi, che viviamo la stessa vita, quest’unica vita nostra.Ètuttoquellochemiè dato afferrare: il momento di quello sguardo, insieme di saluto e di addio, oltre ogni discussione, oltre ogni supplica:–Ciaoamico,addio amico –. Occhi asciutti, lacrimefattecristalli. Tengo la tua testa fra le mani. Ti bacio sulla fronte e sullelabbra. La regola è uno sguardo. Uno solo, senza voltarsi indietro.Maiomivolto. Tustaivicinoalpozzo,coi capelli al vento, non sei un’anima, ma un corpo rarefatto, sollevato alla sua prima,seconda,terza,quarta, quinta essenza; e mi guardi con occhi di cristallo, sorridi conlabbrad’oro. Per sempre rivolto indietro. Per sempre assorto neltuosguardo.Uncampodi punti di cristallo, che danzano, che brillano, e io uno di loro. Stelle nel cielo e fuochi a rispondere sulla pianura. Due regni che si mandanosegnali. Si addormenta allo scrittoio e lí resta addormentato per tutto il pomeriggio. All’ora di cena Matrëna bussa alla porta, ma lui non si sveglia e loro mangianosenzadilui. Molto piú tardi, dopo che la bambina è già andata a letto,emergedallasuastanza, vestito e pronto a uscire. Anna Sergeevna sta seduta, con le spalle rivolte alla sua porta: – Esce allora? Non vuoleunatazzaditèprimadi uscire? Sembra leggermente nervosa, ma la mano che gli porgelatazzaèferma. Non lo invita a sedere e l’uomo beve il tè in silenzio, inpiedi,difrontealei. Vuoledirequalcosa,maha paura di non riuscirci e di scoppiare di nuovo a piangere. Non è padrone di sé. Posa la tazza vuota e appoggialamanosullaspalla della donna. – No – dice lei, scuotendo il capo, e respingendo la sua mano, – nonècosíchesonoabituata. Ha i capelli raccolti indietro da un grosso fermaglio di smalto. Fëdor Michailovič le toglie il fermaglio e lo appoggia sul tavolo. Ora non resiste piú, ma scuote la testa perché i capelli le scendano sulle spalle. – Tutto il resto verrà da solo,teloprometto–dicelui. Sa bene di essere vecchio, un tempo la sua voce aveva un timbro sensuale al quale le donne erano sensibili. Ora invece c’è qualcos’altro che non ha voglia neppure di definire. Come uno strumento rotto, una voce spezzata due volte. – Tutto – ripete. Lei lo guarda con una franchezza e un’intensità su cui non ci si può sbagliare. Poi mette da parte il cucito. Gli scivola fra le mani e scompare nell’alcova chiusa dalletende. Luiaspetta,inerte.Manon succedeniente,alloralasegue escostaletende. Matrëna dorme profondamente,conlelabbra aperteeicapellibiondisparsi sul cuscino come un’aureola. Anna Sergeevna ha sbottonato a metà il suo vestito e con un gesto impaziente della mano e un’occhiata di rimprovero mistaadivertimentolocaccia via. Lui siede e aspetta. La donna emerge a piedi nudi, sui piedi nudi si notano le venebluarilievo.Nonèuna donna giovane, non è una verginechesiarrende,eppure le sue mani, quando le prende, sono fredde e tremano.Nonloguardanegli occhi: – Fëdor Michailovič… – mormora – voglio che sappia che non ho mai fatto una cosa del genere prima d’ora. Haunacateninad’argento al collo. Lui la segue col dito fino a che non arriva al piccolo crocifisso. Porta il crocifisso alle labbra di lei, chelobaciaconcalore,senza esitazione. Ma quando l’uomo cerca di baciarla, si scansa:–Orano–bisbiglia. Passano la notte insieme nella stanza di suo figlio. Quellochesuccedefradiloro succedealbuio,dalprincipio alla fine. Mentre fanno l’amorelacosachelocolpisce di piú è il calore del corpo femminile. Non se lo aspettava: è come se, dentro, leibruciasse.Questoloeccita, eloeccitaanchel’ideadifare una cosa cosí ardente, cosí pericolosa, con la bambina che dorme nella stanza accanto. Siaddormenta.Auncerto punto si sveglia nel cuore della notte. La donna dorme accantoaluinelpiccololetto. Anche se è sfinito cerca di eccitarla. Lei non reagisce e quandoluilapenetraècome una cosa morta nelle sue mani. Non c’è niente in quello che sta facendo che potrebbe definire piacere o anche solo sensazione. È come se facessero l’amore attraverso unlenzuolo,illenzuologrigio elacerodelsuolutto.Quando raggiunge l’orgasmo sprofonda all’indietro nel sonno, come in un lago. Mentreaffonda,Pavelemerge incontro a lui. La faccia del figlio è contratta dalla disperazione: gli stanno scoppiandoipolmoni,sache sta per morire, ha perso ogni speranza; chiama suo padre perchéèl’ultimacosachepuò fare, l’ultima cosa al mondo. Chiede aiuto con un torrente di parole che gli escono gorgogliando dalla gola. È questa la visione, l’orribile estrema visione, che gli balza incontro dal nero vortice dove sprofonda, nel corpo della donna. Gli scoppia addosso e lo travolge, poi prosegueturbinando. Quandosisvegliadinuovo è giorno. L’appartamento è vuoto. Passa la giornata consumato dalla febbre dell’impazienza. Pensa a lei e trema di desiderio come un adolescente. Ma la forza che lo possiede non è la douceur che prende alla gola, quella che lo prendeva vent’anni prima. Si sente piuttosto come una foglia o un seme stretto in una morsa che lo trascinagiú,acapofitto,oun seme alato in balia dei venti piú alti, che lo squassano tramortitosopraglioceani. Durante la cena Anna Sergeevna è composta e distante, concentrata solo sulla bambina, ascolta con ostinazione il racconto disordinato della mattinata a scuola. Quando si deve rivolgere a lui, lo fa in modo gentile ma freddo. Ma la sua freddezza non fa che infiammarlo ancora di piú. È mai possibile che lo sguardo avido che posa sulle labbra, sullagolaesullebracciadella madre, non sia notato dalla bambina? Aspettailsilenzio:ilsegno che Matrëna è andata a letto. Einveceallenovelalucedella stanza accanto è già spenta. Aspetta mezz’ora, e poi ancora mezz’ora. Poi scivola fuoridallastanzaconicalzini aipiedieunacandelaprotetta dalla mano. La candela produce grandi ombre altalenanti. La posa a terra e attraversa la stanza diretto all’alcova. Nella luce fioca intravede Anna Sergeevna seduta in fondo al letto, che gli dà le spalle e tiene le braccia sollevate con grazia sopra il capo, come una ballerina. I capelli scuri sono sciolti. Dallapartedellettopiúvicina allatenda,rannicchiataecon il pollice in bocca, c’è Matrëna, con un braccio mollemente abbandonato sulla madre. Lui ha l’impressione fugace che la bambina sia sveglia e che lo veda, che stia lí a difesa della madre. Le si china sopra; il suo respiro è profondo, regolare. Sussurra il nome: – Anna! –maladonnanonsimuove. Rientra allora nella sua stanza,ecercadistarecalmo. Ci sono ottime ragioni, si dice,perchésenevogliastare solastanotte.Manonriescea persuadersi. Per la seconda volta attraversa la stanza in punta dipiedi.Leduedonnenonsi sonomosse.Ancoraunavolta ha l’impressione strana che Matrënalostiaguardando.Si chinasopradilei. Non si sbaglia: quelli che lofissanoimperturbabilisono occhi aperti. Un brivido lo percorre. Dorme a occhi aperti,sidice.Manonèvero. La bambina è sveglia ed è stata sveglia per tutto il tempo;colpolliceinboccaha controllato ogni suo movimento. Mentre la spia, trattenendo il respiro, gli sembra di vedere gli angoli della bocca curvarsi appena verso l’alto in una smorfia di vittoria, di pipistrello. Anche il braccio, steso mollemente sullamadre,sembraun’ala. Hanno ancora una notte da passare insieme, dopodiché il cancello si chiuderà. Lei entra nella sua stanza,tardi,senzaavvertirlo. Ancora una volta, attraverso di lei, l’uomo attraversa il buio e arriva nelle acque in cui suo figlio galleggia insieme agli altri annegati. – Non avere paura – vorrebbe sussurrare – starò con te. Divideròcontel’amarezza. Si sveglia disteso su di lei, conlelabbrasulsuoorecchio. – Sai dove sono stato? – bisbiglia. La donna si sottrae a quel peso. – Lo sai dove mi hai portato? Ha un bisogno folle di esibirleilragazzo,nelrigoglio delle sue forze, con i suoi occhi penetranti, il mento deciso, la bocca bella. Lo vuole vestire di nuovo col vestito bianco, vuole che la sua voce chiara e profonda emerga ancora una volta dal suo petto. – Vedi che tesoro se n’è andato dal mondo! – vuole gridare. – Vedi cosa abbiamoperso! Lei gli ha voltato le spalle. Lui le accarezza le gambe lunghe con tenerezza, con passione, ma lei lo ferma. – Debboandare–dice,esialza. Lanottesuccessivanonva da lui, rimane con la figlia. Fëdor Michailovič le scrive una lettera e la lascia sul tavolo. Quando si sveglia, al mattino, l’appartamento è vuoto e la lettera è ancora lí, chiusa. Passa dal negozio, ma appena lo vede comparire, la donna si dilegua nel retrobottega e lascia che sia Jakovlevaservirlo. Quella sera l’aspetta per strada e la segue fino a casa, comeun’ombra.Laraggiunge sulla porta di casa. – Perché mieviti? –Nontievito. Lui la prende per un braccio. È buio, e lei porta una cesta; non le è facile divincolarsi. Le aderisce addossoes’inebriadell’odore dinocedeisuoicapelli.Cerca di baciarla, ma lei si gira e le sue labbra le sfiorano l’orecchio. Quando le si è premuto addosso, il corpo delladonnaèrimastosordoal suodesiderio.Sonocadutoin disgrazia,pensa.Eccocomesi cadeindisgrazia. Si fa da parte, ma poi, per le scale, la raggiunge di nuovo. – Ancora una parola! –dice:–Perché? – Non è evidente? C’è proprio bisogno che te lo dica? – dice lei, piantandogli gliocchiinfaccia. – Che cosa è evidente? Nienteèevidente! –Soffrivi.Supplicavi. Luisiritrae:–Nonèvero! – Ne avevi bisogno. Non c’è niente di vergognoso in questo. Ma adesso è finita. Non ti servirebbe continuare e a me non fa bene essere usatainquestomodo. – Usata? Non ti sto usando!Nienteèpiúlontano dame! – Tu mi stai usando per arrivare a qualcun altro. Non tiagitare.Stosolocercandodi spiegarmi, non ti sto accusando. Però non voglio essere trascinata oltre in questastoria.Haiunamoglie tua. Aspetta finché non sarai tornatodalei. Una moglie tua. Perché adesso tira in ballo sua moglie? Mia moglie è troppo giovane! È questo che vorrebbe gridare, troppo giovaneperilmestessodiora! Macomefareadirlo? Eppure quello che lei dice è vero, piú vero di quanto lei stessa non creda. Quando rientrerà a Dresda la moglie cheabbracceràsaràcambiata, sarà infusa della traccia che lui porterà in sé di questa vedova cosí sensuale. Attraverso sua moglie raggiungerà questa donna, propriocomeattraversodilei raggiunge…chi? Forse la sua espressione tradisce quello che gli sta passando per la mente? Improvvisamente la donna arrossisce di rabbia, libera il braccio dalla sua presa e sale velocementelescale. Saleanchelui,sichiudein camera sua e cerca di calmarsi. Il battito del cuore rallenta. Pavel! Ripete quel nome come una formula magica ma, invece di Pavel, l’immagine che si presenta ai suoi occhi, inesorabile, è quelladiSergejNečaev. Non può piú negarlo. Un vuoto incolmabile si sta aprendo fra lui e il figlio morto. È adirato con Pavel, adirato per quel tradimento. Non è stupito che Pavel sia stato attratto dai circoli rivoluzionari, e neppure del fatto che non ne abbia mai parlato nelle sue lettere. Ma Nečaev è un’altra storia. Nečaev non è uno studente dalla testa calda, non è un giovane nichilista. È il Mongolo rimasto dentro l’animadellaRussiadopoche i piú grandi nichilisti si sono ritiratineidesertiasiatici.Edi tutti proprio Pavel, Pavel, doveva essere un soldato di quell’esercito! Ricorda un pamphlet che circolava a Ginevra, Il catechismo di un rivoluzionario: si diceva che fosse di Bakunin, ma era chiaramenteispiratoedettato da Nečaev. «Il rivoluzionario è un uomo segnato dal destino, – cosí cominciava. – Non ha interessi, né sentimenti, né affetti, non ha neppure un nome. Tutto in luiètesoaunasolapassione, totale: la rivoluzione. Nel profondo del suo essere egli ha tagliato tutti i legami con lasocietàcivile,conlaleggee con la morale. Continua a stare nella società solo per distruggerla». E, poco oltre: «Non si aspetta pietà; ogni giornoèprontoamorire». È pronto a morire, non si aspettapietà:faciledirequelle parole, ma qual è il ragazzo che ne comprende a fondo il significato? Non Pavel, forse neppureNečaev,quelgiovane chenonsacosasial’amore. Gli torna alla mente la figuradiNečaev,inunangolo della sala di un albergo di Ginevra,adirato,solo,intento a divorare il cibo. Scuote la testa, cercando di cacciare quell’immagine. Pavel! Pavel! mormora, chiamando il ragazzoassente. Bussanoallaporta:–Èora dicena!–diceMatrëna. Atavolasisforzadiessere piacevole. Il giorno dopo è domenica. Propone una gita all’isola Petrovskij, dove nel pomeriggiocisaràunafierae la banda. Matrëna vorrebbe proprio andarci e con sua sorpresa Anna Sergeevna acconsente. Si mette d’accordo per incontrarle dopo la messa. La mattina dopo,uscendo,nell’atriobuio inciampa in qualche cosa: un barbone. Dorme lí con una coperta muffita addosso. Fëdor Michailovič impreca e il barbone si tira su con un lamento. Arriva a San Gregorio prima della fine della messa. Mentre aspetta nel portico, vede comparire lo stesso barbone, puzzolente, con gli occhiacquosi.Glisiavvicina: –Mistaseguendo? Sono vicinissimi, ma il barbone fa finta di non sentire e non vedere. Allora, infuriato,ripeteladomanda.I fedeli, uscendo dalla chiesa, guardano stupiti i due uomini. Il barbone fila via. Ma poco dopo si ferma, finge di sbadigliare e si appoggia al muro. Non ha guanti, usa la coperta arrotolata come manicotto. Finalmente arrivano Anna Sergeevna e la bambina. Camminano a lungo insieme attraverso il parco, passano per Voznesenskij Prospekt e superano l’isola Vasilevskij. Ancora prima che arrivino al parco, lui si è reso conto di aver fatto un errore, uno stupido errore. Il palco della banda è vuoto, i campi attornoallostagnoghiacciato dovevolteggianoipattinatori sono deserti; solo, qua e là, qualcheimpettitogabbiano. Si scusa con Anna Sergeevna.–C’ètempo,nonè ancora mezzogiorno – risponde lei allegramente. – Vogliamo fare una passeggiata? Il suo buonumore lo stupisce. E ancora di piú il fatto che, dopo poco, la donnaloprendasottobraccio. Con Matrëna dall’altra parte, camminanopericampi.Una famiglia,pensalui.Basterebbe un quarto per fare una famiglia.Comeseglileggesse nei pensieri, Anna Sergeevna glistringeilbraccio. Oltrepassano un gregge di pecorestretteacerchiovicino a un cespuglio di canne. Matrëna si avvicina al gregge con la mano piena d’erba; le bestie si tirano su e si disperdono. Un contadinello conunbastoneescefuoridal fittodellecanneelaminaccia. Per un attimo sembra che debba scoppiare la lite, ma poi il ragazzino ci ripensa e Matrënatornadaloro. Il movimento le ha acceso le guance. Diventerà una bellezza, pensa l’uomo; spezzeràmolticuori. Si chiede cosa penserebbe sua moglie. Le sue avventure fino a quel momento sono sempre state seguite dal rimorso e il rimorso a sua volta dal bisogno violento di confessare. Quelle confessioni, fatte di parole contorte e di descrizioni vaghe nei dettagli, hanno sortitol’effettoditurbaresua moglieepoidifarlaandaresu tuttelefurie,hannomessoin pericolo il suo matrimonio piúdelleinfedeltàstesse. Ma ora non si sente colpevole, anzi ha la sensazione prepotente di essere nel giusto. Si chiede cosa nasconda questa sensazione; ma in verità non lo vuole sapere. Al momento c’è qualcosa che somiglia alla gioia nel suo cuore. Perdonami, Pavel, mormora fra sé. Ma anche in questo casononèvero. Se solo potessi riavere ancora una volta la mia vita; se solo fossi giovane! E forse anche:sesolopotessiviverela vita, la giovinezza che Pavel habuttatovia! Eladonnachecamminaal suo fianco? Forse si è pentita dell’impulsochel’haportataa darglisi? Se non fosse successo quello che è già successo, questa gita segnerebbe l’inizio di un corteggiamento in piena regola. Perché è certamente questocheognidonnavuole, essere corteggiata, supplicata, persuasa, vinta! Anche quandosiconcedenonvuole farlo apertamente, ma in una deliziosanubediturbamento, resistendoecedendoaltempo stesso. Compromettendosi, mamaiinmodoirrevocabile. No:essereviolataepoiuscire come nuova da quella violenza, rinnovata, vergine, pronta a essere supplicata ancora e a cadere di nuovo. Un gioco con la morte e con laresurrezione. Come reagirebbe se sapesse a cosa sta pensando? Indietreggerebbe umiliata? E anche quel ritrarsi ferita farebbepartedelgioco? La guarda furtivamente e in quel momento capisce che potrebbeamarequelladonna. Piú ancora del richiamo del corpo, sente qualcosa che sa definire solo come affinità. Loro due sono della stessa pasta, della stessa generazione. E improvvisamente le generazioni tornano al loro posto. Pavel, Matrëna e sua moglie stanno dalla stessa parte, lui e Anna Sergeevna dall’altra. I giovani contro quelli che giovani non sono; contro quelli che quando fanno l’amore sentono un saporecheèun’anticipazione di quello della morte. È di lí chevienelapassione,ilcalore di quella notte. Lei nelle sue braccia, come Giovanna d’Arco fra le fiamme: lo spirito che lotta con i suoi ceppi,mentreilcorpobrucia. È una lotta col tempo. Una cosa che un giovane non capirebbemai. –Pavelmihadettochesei statoinSiberia. Le parole della donna lo fanno sussultare, strappandolo a quella fantasia. – Sí, per dieci anni. Fu lí che incontrai la madre di Pavel, a Semipalatinsk. Suo marito era un ufficiale della dogana.Pavelavevasetteanni quando morí suo padre. Anche lei è morta, qualche anno fa: Pavel deve avertelo detto. –Epoitiseirisposato. –Sí,cosahadettoPavelin proposito? – Solo che tua moglie è giovane. – Mia moglie e Pavel hanno piú o meno la stessa età. Per un certo periodo abbiamo vissuto tutti e tre insieme in un appartamento di via Meščanskaja. Non un bel periodo per Pavel. Era in competizioneconmiamoglie. Quando gli dissi che ci eravamo fidanzati andò a metterla seriamente in guardia, disse che ero troppo vecchioperlei.Dopodiallora cominciòaparlaredisécome dell’orfano.L’orfanovorrebbe un’altra fetta di pane tostato. L’orfano ha finito i soldi, e cosí via. Noi fingevamo che fosseunoscherzo,manonlo era. Creava tensione in famiglia. – Già, posso capire. Ma non si può fare a meno di provaresimpatiaperlui.Deve averpensatodiavertiperso. – Come avrebbe potuto perdermi? Dal giorno in cui sonodivenutosuopadrenon l’homaitrascuratounavolta. Forsechelotrascuroora? – Ma no, Fëdor Michailovič. Solo che i bambini sono possessivi. Attraversano fasi di gelosia, come tutti noi. E quando siamo gelosi ci inventiamo storie contro noi stessi. Ci esaltiamo,cispaventiamo. Le sue parole sono come un prisma, basta spostarne leggermente l’angolazione perché riflettano un altro significato.Èquestochevuole dire? L’uomo dà un’occhiata a Matrëna. Porta gli stivaletti nuovi con il bordo morbido di pelliccia. Calpesta coi tacchil’erbaumidaevilascia una traccia di impronte. La fronte è corrugata nel pensiero. –Luihadettochelousavi perituoimessaggi. Una fitta dolorosa lo trapassa. Allora Pavel se ne ricordava! – Sí, è vero. L’anno prima che ci sposassimo, il giorno delsuoonomastico.Glichiesi diportarleunregalodaparte mia. Uno sbaglio, di cui in seguitomisonopentitomolto amaramente. Un gesto imperdonabile. Non me ne eroresoconto.C’èdipeggio? –Dipeggio? – Pavel ha mai raccontato cose peggiori di questa? Vorrei saperlo. Perché quando chiedo perdono sappia di cosa sono stato colpevole. Lei lo guarda con un’espressione strana: – Non è una domanda corretta, Fëdor Michailovič. Pavel avevaperiodiincuisisentiva moltosolo,alloraparlavaeio lo stavo ad ascoltare. Spesso raccontavastorie,nonsempre gradevoli. Ma forse era bene cosí. Una volta tirato fuori il passatocheglipesava,poteva smettere di rimuginarci sopra. –Matrëna!Paveltihamai dettoqualcosa…? Ma Anna Sergeevna lo interrompe: – Sono sicura di no–dice,epoi,abassavoce, ma concitata: – Non puoi chiedereunacosadelgenerea unabambina! Si fermano a guardarsi in faccia nel campo deserto. Matrëna guarda altrove scocciata,conlelabbratirate. AnnaSergeevnaèfuriosa. – Comincia a far freddo – dice. – Vogliamo tornare indietro? 7. Matrëna Non le riaccompagna a casa; si ferma a cena in una locanda. Nel retro, in una stanzetta,sistasvolgendouna partita a carte. Si ferma a guardareperunpo’.Beve,ma non gioca. È tardi quando rientra nell’appartamento già buio,nellasuastanzavuota. È solo, e si sente solo. Si lascia andare a una vaga nostalgia per Dresda e per la tranquillità della vita che vi conduce, con una moglie che difende gelosamente la sua privacyecheorganizzalavita intornoallesueabitudini. Alnumero63nonsisente a casa, né mai ci si sentirà. Non solo perché è il piú provvisoriodeipensionanti,e la sua scusa per trattenersi è incomprensibile agli altri quantoalui,maancheperché gli pesa vivere cosí vicino a una donna d’umore volubile, e a una bambina che da un momento all’altro potrebbe trovare la sua presenza fisicamente ripugnante. Quando sta vicino a Matrëna comincia a percepire acutamente di portare vestiti maleodoranti,diaverelapelle secca e squamosa e una dentiera che fa rumore quando parla. Anche le emorroidi lo torturano. Il fisico di ferro che gli ha permesso di sopravvivere alla Siberiacominciaacedereelo spettacolo della decadenza dev’essere ancora piú repellente per una bambina come questa, con il pallino della pulizia, ai cui occhi lui hapresoilpostodiunessere bello e forte come un dio. Cosa risponde quando i compagni di gioco le chiedono notizie di quel funereo visitatore che si rifiuta di fare i bagagli e andarsene? Supplicavi:quandoripensa alleparolediAnnaSergeevna ha un sussulto all’idea di essere stato tutto il tempo solo oggetto di misericordia. Si butta in ginocchio e appoggia la fronte sul letto: cerca la strada che lo porterà all’isoladiElagineallatomba freddadiPavel.Pavelalmeno nonglisirivolteràcontro.Su Pavel può contare, su Pavel e sulsuoalgidoamore. Il padre, la copia sbiadita del figlio. Come può pretenderecheunadonnache havistoilfiglionelfioredegli anni guardi con interesse il padre? Ricorda le parole di un compagno di prigionia in Siberia:«Perchécièconcessa la vecchiaia, fratelli? Per ritornare piccoli, cosí piccoli da passare nella cruna di un ago».Saggezzapopolare. Rimane in ginocchio a lungo, ma Pavel non vuole venireeallafinesiarrampica sulletto. Si sveglia sorpreso. Anche se è ancora notte si sente come se avesse riposato abbastanza per sette notti. È frescoeinvincibile:glisembra che la fibra stessa del suo cervello sia stata lavata e che ora sia tutto pulito. Riesce a malapena a trattenersi. È comeunbambinoilgiornodi Pasqua,aspettaconansiache la casa si svegli per poter gioire con gli altri. Vorrebbe svegliarla, la donna, vorrebbe ballare con tutte e due per la casa.«Cristoèrisorto!»vuole gridare e vuole sentirla rispondere«Cristoèrisorto!» E sbattere il suo uovo contro quello di lei. Tutti e due a ballareincerchioconleuova dipinte in mano e insieme a loro Matrëna, in camicia da notte,cheinciampafraleloro gambe ancora mezza addormentataefeliceeanche il fantasma del quarto si aggira in mezzo a loro, impacciato, con i suoi grandi piedi, sorridente: bambini insieme, appena nati, usciti dalla tomba. E l’alba sulla città, con i galli nei cortili, a cantareilbenvenutoalnuovo giorno. Lagioiacheirrompecome un’alba! Ma solo per un momento. E non solo perché le nuvole cominciano a ingombrare quel cielo radioso. È come se, appena spunta il sole in tutta la sua gloria, apparisse anche un altro sole, un sole d’ombra, un antisole che gli scivola sopra. La parola omen gli attraversailcervellocontutto il suo peso cupo, sinistro. Il sole che sorge è lí solo per subire un’eclissi; la gioia risplende solo per rivelare come sarà la soppressione dellagioia. In un balzo si precipita fuori dal letto. I minuti che seguiranno gli si parano di fronte come un tunnel buio, da percorrere in fretta. Deve vestirsi e lasciare l’appartamento prima di essere sopraffatto dalla vergogna di una crisi; deve trovare un posto lontano dagli occhi e dagli orecchi della gente per bene, dove se lacaveràcomepuò. Esce. Il corridoio è buio come la pece. Con le mani tese davanti a sé, come un cieco, avanza a tentoni fino alle scale e poi, reggendosi alla ringhiera, scende gli scalini uno per uno. Sul pianerottolo del secondo piano è percorso da un’ondata di terrore, un terroresenzaoggetto.Sisiede inunangoloconlatestafrale mani. Le mani puzzano di qualcosa che ha toccato, ma non se le pulisce. Che venga, si dice disperato, ho fatto quellochepotevo. Un urlo risuona per le scale,unurlocosíspaventoso e cosí acuto da svegliare chi dormiva.Quantoalui,nonlo sente.Èincosciente.Iltempo nonesistepiú. Quandosisveglia,ilbuioè cosí fitto che lo sente pesare sullepalpebre.Nonhaideadi dove sia, né di chi sia. È uno stato di veglia, è una coscienza,nient’altro.Ècome se fosse nato da un minuto, venuto al mondo in un universodinottesempiterna. Aspetta, dice quella coscienza, rivolgendosi a se stessa, cercando di calmare il proprio panico: sei già stato qui, aspetta, qualche ricordo tornerà. Un corpo cade a picco nellospaziodentrodilui.Lui èquelcorpo.C’èunacorrente d’aria: lui è quello che sente quella corrente. C’è una gola soffocata dal terrore: lui è quella gola. Lascia che passi, pensa.Lasciachepassi. Cerca di muovere un braccio, ma il braccio è intrappolato sotto di lui. Stupidamente cerca di liberarlo con uno strattone. C’ècattivoodore,isuoivestiti sonoumidi.Comeilghiaccio che si forma nell’acqua, i ricordi cominciano finalmenteacoagularsi:chiè, dov’è, e insieme ai ricordi il bisogno impellente di andarsenedilí,primachesia scoperto in tutta la sua miseria. Queste crisi sono il fardello che si trascina appresso per il mondo. A nessuno ha mai confessato quantotempoperdaaspiarne le premonizioni, a cercare di leggerne i segni. Perché questa maledizione? grida dentrodisé,battendolaterra col bastone, ordinando alla roccia di rispondere. Ma lui nonèMosèelaroccianonsi apre. E quelle trances non sono neppure illuminazioni. Non sono visitazioni. Tutt’altro! Sono solo sorsate intere della sua vita risucchiate da un vortice che non lascia dietro di sé neppurelamemoriadelbuio. Si alza e barcollando scende l’ultima rampa di scale. Trema, tutto il corpo è freddo. Quando esce sta facendo giorno. Ha nevicato. Sulla neve pulsa un’aura scarlatta.Ilcolorenonèsulla neve ma nei suoi occhi, non riesce a liberarsene. Una palpebra gli batte in modo cosí fastidioso che ci poggia sopralamanogelata.Latesta gliduole,comestrettadauna morsa che si allenta solo per riprendere piú forte l’attimo successivo. Il cappello l’ha perso da qualche parte per le scale. Con la testa scoperta e i vestiti sporchi, avanza nella neve fino alla chiesetta del Redentore, vicino a Ponte Kamenij e lí si rifugia fino a chenonèsicurocheMatrëna e sua madre siano uscite di casa. Poi rientra nell’appartamento, scalda l’acqua, si denuda e si lava. Lava anche la biancheria e l’appende nel gabinetto. Fortunato Pavel, pensa, che nonhaavutolacondannadel mal caduco. Fortunato a non essere nato da me! Poi si rende conto di quanto sia grottesco quel pensiero e digrigna i denti. La testa gli martellaperildoloreel’alone rossocoloraancoraognicosa. Si sdraia con la vestaglia addosso e si culla fino ad addormentarsi. Un’ora dopo si sveglia di malumore.Lamedidoloregli attraversano la testa dagli occhi alla nuca; ha la pelle fragile come la carta e tutta dolorante. Con addosso solo la vestaglia, scivola per l’appartamento di Anna Sergeevna; apre i cassetti, guarda negli armadi. È tutto inordine,frescoepulito. In un cassetto, avvolto nel velluto scarlatto, trova un ritrattodiAnnaSergeevnada giovane, vicino a un uomo che immagina sia il tipografo Kolenkin. Vestito con l’abito della festa, Kolenkin ha l’aria macilenta, vecchia e stanca. Che razza di unione poteva essere quella per una donna cosí intensa, cosí cupamente bella? E perché quell’immagine è nascosta dentro un cassetto? Nel rimetterla a posto sporca a bella posta il vetro, lasciando la sua impronta sulla faccia delmorto. Da bambino spiava di nascosto gli ospiti di casa e s’intrufolava nella loro privacy. È una debolezza che finoaoggihaattribuitoalsuo rifiuto di accettare una qualunque limitazione di ciò che è permesso sapere, alla lettura dei libri proibiti e alla sua vocazione di scrittore. Oggi però non ha voglia di essere indulgente con se stesso. È in preda a uno spiritomalignoemeschino,e losa.Laveritàèchefrugarea quelmodofralecosediAnna Sergeevna mentre lei non c’è glidàunbrividodipiacere. Richiude l’ultimo cassetto esiaggiraperl’appartamento impaziente,nonsapendocosa fare.AprelavaligiadiPavele indossailvestitobianco.Fino a questo momento lo aveva fattocomeungestorivoltoal ragazzo morto, un gesto di sfida e d’amore. Ma ora, guardandosi allo specchio, vede solo una sporca impostura e dietro di essa qualcosa di clandestino e di osceno, qualcosa che gli fa pensare a stanze chiuse a chiave, con le finestre oscurate dalle tende, dove uominiconlaparruccaecon lagonnasiscopronoilsedere esifannofrustare. Èmezzogiornopassatoela testa ancora gli duole. Si sdraia e si copre gli occhi col braccio, come per parare un colpo.Tuttogligiraintornoe ha la sensazione di cadere in un buio senza fine. Quando ritorna in sé ha di nuovo perso la cognizione della sua identità.ConoscelaparolaIo, ma piú la fissa, piú diventa enigmatica, come una roccia inmezzoaldeserto. Èsolounsogno,prestomi sveglierò e starò di nuovo bene. Per un attimo si culla con quell’idea, ma poi la veritàgliscoppiaaddossoelo travolge. La porta cigola e Matrëna si affaccia sulla soglia. È evidentemente stupita di vederlo: – Sta male? – domanda, aggrottando la fronte. Non cerca neppure di risponderle. – Perché porta quel vestito? –Senonloportoio,chilo porterà? Un lampo d’impazienza illuminailvisodellabambina. – Conosci la storia del vestitodiPavel? Leiscuoteilcapo. – Vieni qui – le dice invitandola a sedersi ai piedi del letto. – Vieni qui, è una storia lunga, ma te la racconterò. Due anni fa, mentre io ero ancora in Europa, Pavel andò a passare l’estateconsuaziaaTver.Sai dov’èTver? –ÈvicinoaMosca. –ÈsullastradaperMosca. Una grande città. A Tver viveva un ufficiale in pensione, un capitano, che abitava con la sorella. La sorella,MarijaTimofeevna,si occupava della casa. Marija era sciancata e minorata. Un’anima buona, ma incapacediaverecuradisé. Fëdor Michailovič si accorge di essere stato preso dal ritmo del racconto. È comeilpistonediunmotore, incapace di fare un movimento diverso da quello chefa. – Il capitano, il fratello di Marija, purtroppo era un ubriacone e quand’era ubriacomaltrattavalasorella. Dopononricordavaniente. –Checosalefaceva? – La picchiava. Si limitava a picchiarla. Come nella migliore vecchia tradizione russa. Lei non gliene voleva per questo. Forse nella sua semplicità pensava che cosí andasse il mondo. Il mondo: un posto dove si viene picchiati. Ha catturato la sua attenzione. Ora la vuole inchiodare. – Dev’essere questo il modo in cui un cane vede il mondo, dopotutto, o un cavallo. Perché Marija dovrebbe essere diversa? Un cavallo non sa di stare al mondo per tirare i carri. Crede di esistere per essere frustato. Pensa al carro come aungrossooggettoalqualeè legato in modo tale che non può scappare quando viene picchiato. – No… – sussurra la bambina. Capisce che la bambina rifiuta con tutta se stessa la visione del mondo che le sta presentando. Vuole credere alla bontà. Ma la sua convinzioneèfragileeluinon sente nessuna pietà per lei. Questa è la Russia! vorrebbe gridare,ficcarleintestaquelle parole, strofinarle la faccia in quelleparole.InRussianonti puoi permettere di essere un fiore delicato, devi essere bardanaodentedileone. – Un giorno il capitano andòatrovarelaziadiPavel. Nonèchefosseunsuoamico, macomunqueciandòeportò con sé anche sua sorella. Forseavevabevuto.Pavelnon era in casa a quell’ora. Un ospite moscovita, un giovanottochenonconosceva la situazione, si mise a conversare con Marija e cominciò a farla parlare. Forse voleva solo mostrarsi gentile. O forse c’era della malizia in lui. Fatto sta che Marija si eccitò e che la sua fantasia cominciò a correre. Confidò quindi all’ospite di essere fidanzata, anzi come disse lei, «promessa». – E il tuo fidanzato è di queste parti? – domandò il giovanotto. –Sí,diquivicino–rispose lei, dando alla zia di Pavel un’occhiata civettuola (devi pensare a Marija come a una donnaaltaeallampanata,con una vociona e tutt’altro che giovaneecarina). Per buona educazione la ziadiPaveldovettefingeredi congratularsi con lei e anche col capitano. Il capitano ovviamente era inferocito contro la sorella e, appena arrivato a casa, la picchiò a sangue. –Maalloranoneravero? – No, era vero solo nella mente di Marija. Ed era chiaro che l’uomo che immaginava di essere destinata a sposare era proprio Pavel. Cosa le avesse suggerito quell’idea non so. Puòdarsicheluiungiornole avesse rivolto un sorriso, o magarifattouncomplimento perilcappellino.Paveleraun ragazzodalcuored’oro,nonè vero?Epuòdarsicheleifosse tornata a casa pensando a lui e nel giro di poco tempo avesse sognato di essere innamoratadilui,eluidilei. Mentre racconta, l’uomo guarda la bambina con la coda dell’occhio. Lei si agita un poco e poi si mette il polliceinbocca. – Figurati che gran divertimento avrà rappresentato per i salotti di Tver la storia di Marija e del suoinnamoratoimmaginario. Ma adesso lascia che ti racconti cosa fece Pavel. Appena sentí quella storia, Pavel uscí e andò a ordinare al sarto un vestito elegante. Subito dopo col suo vestito bianco e con un mazzo di fiori,miparechefosserorose, andò a trovare i Lebjatkin. E ancheseilcapitanoLebjatkin in principio non la prese bene,luiriuscíaconquistarlo. Con Marija si comportò molto saggiamente, con gentilezza ed educazione, insomma da vero signore, anche se non aveva ancora vent’anni. Quelle visite continuarono per tutta l’estate, fino a quando non lasciò Tver per Pietroburgo. Fu una lezione per tutti, una lezione di cavalleria. Anche per me fu una lezione. Cosí eraPavel.Equestaèlastoria delvestitobianco. –EMarija? – Marija? Marija sta ancora a Tver, per quanto ne so. –Malosa? – Se sa di Pavel? No, non credo. –Perchésièucciso? –Credichesisiaucciso? – Mamma dice che si è ucciso. – Nessuno si uccide, Matrëna. Puoi mettere la tua vitainpericolo,manonpuoi ucciderti.Èpiúprobabileche Pavelsisiaespostoalrischio, per vedere se Dio lo amava tantodasalvarlo.Hachiestoa Dio:misalverai?EDiogliha dato una risposta. Dio ha detto: no. Dio ha detto: muori. –Diolohaucciso? –Diohadettono.Avrebbe potuto dire: sí, ti salverò. Ma hapreferitodireno. – Perché? – mormora Matrëna. –LuihadettoaDio:semi ami, salvami. Se esisti: salvami. Ma non ha sentito che silenzio. Allora lui ha detto: lo so che ci sei. Lo so che mi senti. Scommetto la vitachemisalverai.EDioha continuatoatacere.Alloralui ha detto: anche se non mi rispondi, lo so che mi senti. Verificherò la mia scommessa,ora!Elohafatto, e Dio non è comparso. Dio nonèintervenuto. – Perché? – mormora ancoralabambina. L’uomosorride:ilsuoèun sorriso coperto dalla barba, sgradevole,ambiguo. – Chissà? Forse Dio non vuoleesseremessoallaprova. Forse non essere messo alla provaperluièpiúimportante della vita di un ragazzo. O forse la ragione è molto semplice:Dioèunpo’sordo. Dev’essere molto vecchio oramai,Dio.Vecchiocomeil mondo o anche piú vecchio. Forse è duro di orecchi e deboledivista,propriocome unvecchioqualunque. Oraleièvinta.Nonhapiú domande da fare. Ora è pronta, pensa Fëdor Michailovič, e batte la palma sulletto,vicinoasé. A testa bassa, la bambina gli va vicino. Lui le mette un braccio sulle spalle, la sente tremare. Le accarezza i capelli,letempie.Allafinelei silasciaandaree,strettaalui, col pugno chiuso sotto il mento, si abbandona ai singhiozzi. – Non capisco – dice singhiozzandoforte,–perché dovevamorire? Lui vorrebbe poter dire: – Non è morto, lui è qui. Io sonolui–.Manonpuò. Pensa al seme che per un po’hacontinuatoaviverenel corpo che aveva smesso di respirare, senza sapere che non avrebbe mai fecondato nessuno. – So che gli vuoi bene – sussurra lui con voce roca. – Ancheluilosa,cheseibuona. Sesolofossestatopossibile estrarre il seme dal corpo, anche uno solo, per dargli unacasa! Pensa a una piccola statua diterracottachehavistouna volta al museo etnografico di Berlino: il dio indiano Shiva sdraiato sulla schiena, morto e cianotico, cavalcato dall’immagine di una dea terribile,pienadibraccia,con la bocca enorme e gli occhi sgranati.Estatica,locavalcava e gli tirava fuori il seme divino. Non gli è difficile immaginare questa ragazzina nell’estasi dell’orgasmo. La sua immaginazione sembra nonconoscerelimiti. Pensa a un bambinello congelato, morto, seppellito in una bara di ferro sotto la terra carica di neve, che aspetta la fine dell’inverno, l’arrivodellaprimavera. A tanto arriva la sua violazione: il braccio attorno alle spalle della bambina, le sue cinque dita, bianche e insensibili,stringonolaspalla di lei. Ma avrebbe potuto anche essere lí stesa, nuda. Unadiquelleragazzinechesi concedono perché il loro istinto naturale è di essere buone,disottomettersi.Pensa alle prostitute-bambine che ha conosciuto, in Russia e in Germania, pensa agli uomini che vanno in cerca di quelle bambine perché, sotto il trucco volgare e i vestiti provocanti, indovinano qualcosa di insolente, una certa inviolabilità, una certa castità. Lei prostituisce la Vergine, dice quel tipo d’uomo, riconoscendo il sapore dell’innocenza nel modo in cui la ragazzina gli offreilseno,oaprelegambe. Nella piccola stanza che odoradichiuso,leiemanaun tenue, disperato odore di primavera, di fiori, che lui nonsopporta.Abellaposta,a denti stretti, le fa male, una volta e poi ancora e ancora e intanto le scruta la faccia in cercadiqualcosadipiúdiun trasalimento, di piú del semplice dolore sopportato. Vuole vedere gli occhi sbarrati di una creatura che comincia a capire che la sua vitaèinpericolo. Lavisione,lacrisi,ilrictus immaginario passa. La accarezza un’ultima volta e ritirailbraccio;trovailmodo di comportarsi con lei come prima. – Farà un altare? – chiede labambina. –Nonciavevopensato. – Può fare un altare nell’angolo, con una candela. E poi può metterci il suo ritratto. Se vuole, io posso controllare che la candela sia sempreaccesaquandoleinon c’è. – Un altare non si può eliminare, Matrëna. Tua madrevorràriaffittarequesta stanza,quandoiomenesarò andato. –Quandoseneva? – Non lo so ancora – dice scansando la trappola. E poi: – Il lutto per un figlio morto nonfiniscemai.Èquestoche vuoisentirmidire?Lodico.È vero. Forse perché ha colto un mutamento di tono nella sua voce, o forse perché lui ha toccato un nervo scoperto, la bambinatrasalevisibilmente. – Se tu dovessi morire tua madre ti piangerebbe per il resto dei suoi giorni – e poi, sorprendendo perfino se stesso,aggiunge:–Ancheio. È vero? No, forse non è vero. Non ancora, ma presto losarà. – Allora posso accendere unacandelaperlui? –Sí,puoi. –Etenerlasempreaccesa? –Sí.Maperchélacandela ècosíimportanteperte? Labambinasmaniaunpo’, poi alla fine dice: – Cosí non dovràstarealbuio. È strano, ma anche lui a voltel’avevaimmaginatocosí. Una nave in mare, una notte di tempesta e un ragazzo che cadedallanave.Dimenandosi fra le onde, cercando di mantenersi in qualche modo a galla, il ragazzo urla di terrore:respiraeurla,respira e urla dietro alla nave che è stata casa sua e che non lo è piú. C’è una lanterna sulla poppa e lui la fissa, una briciola di luce nel deserto d’acqua buia. Fino a che riuscirò a vedere quella luce, sidice,nonsonoperduto. – Posso accendere la candelasubito? – Se vuoi, ma non ci metteremo il ritratto, non ancora. La bambina accende una candelaelamettedavantiallo specchio.Poi,conunafiducia che lo coglie di sorpresa, ritorna al letto e poggia la testasulsuobraccio.Insieme guardano la fiamma della candela.Dallastradaarrivano le voci dei bambini che giocano. Le dita dell’uomo si chiudono sulla spalla della bambina, se la stringe addosso.Sentelepiccoleossa tenere piegarsi, una dopo l’altra, come le ali di un uccello. 8. Ivanov Siaddormenta,cometutte lesere,conl’ideaditrovarela strada che lo porta da Pavel. Ma quella notte viene svegliato quasi subito, gli sembra, da una voce, cosí flebile da sembrare disincarnata, una voce che vienedallastrada.Isaev!grida la voce, Isaev, ripete pazientemente. È il vento fra le canne, si dice, e scivola di nuovo, sollevato,nelsonno.Estate,il vento fra le canne, un cielo blu macchiato da un’alta nuvola e lui che cammina lungo un torrente, fischiettando; ha in mano un bastone con cui batte pigramente le canne. C’è un frullo di uccelli tessitori. Si ferma, immobile, in ascolto. Ancheilcantodellecavallette s’interrompe; resta solo il suonodelsuorespiroequello delle canne mosse dal vento. Isaev!gridailvento. Sussulta ed è subito sveglio.Ènottefonda,tuttala casa tace. Va alla finestra, guarda fuori nell’ombra rischiaratadallalucelunaree aspetta che gli giunga ancora quel richiamo. Alla fine arriva.Halostessotimbro,la stessa inflessione, la stessa durata di quello che ancora gliriecheggiadentro,manon è una voce umana. È il lamentotristediuncane. Non è Pavel, che chiama per entrare, è solo una cosa che non lo riguarda, un cane che ulula per suo padre. Ebbene: che sia il padre del cane, chiunque esso sia, ad andare fuori nel freddo e nel buioaraccogliereilsuofiglio rozzoemaleodorante.Chesia luiaconfortarlo,acantarglila ninna nanna e a cullarlo finchénonsiaddormenta. Il cane ulula di nuovo. Nonc’èlaluceargentatadella luna sulla pianura deserta. È un cane, non è un lupo. Un cane,nonsuofiglio.Eallora? Allorasideveliberaredalsuo torpore!Proprioperchénonè suo figlio ma un cane, non deve tornare a letto, ma vestirsi e rispondere a quel richiamo. Se aspetta che suo figlio arrivi come un ladro nella notte e ascolta solo il richiamo del ladro, non lo vedrà mai. Se immagina che suo figlio parli con la voce dell’inatteso, non lo udirà mai. Fino a che aspetterà l’inaspettato,l’inaspettatonon arriverà. Perciò, paradosso nel paradosso, oscurità ingoiata dall’oscurità, deve rispondere a ciò che non si aspetta. Dal terzo piano gli era sembrato che sarebbe stato facile trovare il cane. Ma quando arriva sulla strada si confonde. Il richiamo viene da destra o da sinistra? Da unodeipalazzidifronteoda dietro quei palazzi, o magari anchedauncortileinternodi quei palazzi. E qual è il palazzo? E che dire degli ululati che ora sembrano piú brevi e meno profondi, con un altro timbro, quasi non fosseropiúglistessi? Cerca in lungo e in largo prima di trovare la strada usata dai trasportatori di bottini. In una traversa di quello stradone finalmente trovailcane.Èlegatoconuna catena al tubo di scarico di unagrondaia;lacatenaglisiè impigliata a una zampa davanti e gliela tira su ogni volta che prova ad allontanarsi. Quando lui si avvicinailcanesiritraeilpiú possibile, uggiolando lamentoso. Schiaccia le orecchie sulla testa, si appiattisce a terra, si rivolta sul dorso. Una cagna. Fëdor Michailovičsichinaeliberala zampa dalla catena. I cani sentono l’odore della paura, ma perfino in quel freddo glaciale lui percepisce il terrore della bestia. La solletica dietro l’orecchio e quella,sempreapanciainsu, glileccatimidamenteilpolso. È questo che continuerò a fare per il resto dei miei giorni,sichiede,continueròa scrutare gli occhi dei mendicantiedeicani? Il cane fa un sospiro e si rimette in piedi sulle zampe. Anche se i cani non gli piacciono, non si ritrae, ma resta lí accovacciato, quando la lingua calda e bagnata dell’animaleglileccailviso,le orecchieelabarbasalata. Gli dà un’ultima carezza e poi si tira su. Alla luce della lunanonriescealeggerel’ora sull’orologio.Ilcanestrattona lacatena,uggiolandoansioso. Chiincatenerebbeuncanein una notte come questa? E nondimeno non lo libera. Invecefabruscamentedietrofront e se ne va, seguito da ululatididisperazione. Perché proprio io? si chiede mentre si allontana in fretta. Perché mai dovrei caricarmidituttiifardellidel mondo? Quanto a Pavel, se non è destinato ad avere nient’altro, almeno che abbia la sua morte tutta per sé, che la sua morte non sia trasformata nell’occasione dellaredenzionedelpadre. Ma non va. Il suo ragionamento è specioso, spregevole, non lo inganna neppureperunmomento.La morte di Pavel non appartiene a Pavel; è solo un truccodellalingua.Finchélui esisteràlamortediPavelsarà lasuamorte.Dovunquevada porta Pavel con sé, come un bambino cianotico per il freddo («Chi salverà il bambino blu?» è il ritornello che gli sembra di sentire dentro di sé, intonato da una voce contadina, lamentosa e cantilenante). Pavel non parlerà, non gli dirà cosa fare. «Tira su quell’infima creatura e consolala»,sefossestatocerto chequelleparolevenivanoda Pavel, avrebbe ubbidito loro senza discussioni. Ma non è cosí. Quell’infima creatura: l’infima creatura è forse il cane, abbandonato nel freddo? È il cane la creatura che deve liberare e portare conséenutrireeconfortare? Oppureèilbarbonesporcoe ubriaco, col suo cappotto lacero sotto il ponte? Una disperazione terribile lo invade; è una sensazione legata, chissà perché, al fatto che non può sapere che ore sono, ma al cui fondo c’è la certezza crescente che non uscirà mai piú di notte per rispondere al richiamo di un cane; che si è lasciato alle spalle un’opportunità di rimanerecom’eraechequella di diventare ciò che potrebbe diventare è passata. Io sono io, si ripete, senza speranza, legato a me stesso fino al giorno in cui morirò. Qualunque cosa fosse quella lucechetremolavaperme,io non l’ho meritata, e ora mi è statatolta. Eppure, perfino nel momento in cui sta per chiudersi la porta alle spalle, sa di avere ancora una possibilità di ritornare sulla strada, slegare il cane, portarlo al numero 63 e preparargli una specie di cuccia in fondo alle scale, anche se sa bene che a quel punto il cane non smetterebbe piú di seguirlo ovunqueecheselolegassedi nuovo piangerebbe e abbaierebbe fino a svegliare tutti gli inquilini. Non è mio figlio, è solo un cane, dice protestando con se stesso. Che cos’è per me? Eppure, anche mentre protesta, conosce la risposta, sa che Pavelnonsaràliberatofinoa che lui non avrà liberato il cane e non gli avrà lasciato il suoletto,finoachenonavrà portato con sé l’infima creatura, il mendicante e anchelamendicanteeancora molto altro che ancora non conosce;eanchealloranonci saràcertezza. Lancia un grugnito di disperazione. Che cosa debbo fare? si chiede. Se solo fossi piúvicinoalmiocuore,forse mi sarebbe concesso di sapere.Einvecenonècolsuo cuorechenonriesceaentrare in contatto, ma con la verità. Oppure, ed è l’altra faccia della stessa riflessione, la verità gli è caduta addosso come una cascata, senza moderazione, tanto che oramaiciannega.Epoipensa (rovescia il pensiero e rovesciaancheilrovescio:che razza di trucchetti da gesuita siamo costretti a pensare ai giorni nostri!): per annegare sotto le cascate, di cos’è che ho bisogno? Di piú acqua, di piú inondazione, di un piú profondoannegare. In mezzo alla strada coperta di neve si tocca la faccia con le mani gelide e sentel’odoredelcane,sentele lacrime fredde sulle guance e le lecca. Sale, per chi ha bisogno di sale. Sospetta che non salverà il cane, né stanottenélanottedopo,seci saràun’altranotte.Aspettaun segno e scommette (non c’è parolapiúimportanteperlui) che il cane non è quel segno, nonèaffattounsegno,èsolo unodeitanticanicheululano nella notte. Ma sa anche che, fino a quando cercherà di distinguere con astuzia ciò cheèunsegnodaciòchenon loè,nonsaràsalvato.Questa è la logica dalla quale sarà sconfitto; ne sente la ferrea durezzaenonsapiúchefare, comeuncaneallacatenache gli rompe i denti con cui cerca di spezzarla. E stai attento,staiattento,sidice:il cane alla catena, il secondo cane, non è niente di per sé, nonèun’illuminazione,èsolo l’immaginediuncane! Con i pugni chiusi nelle tasche e la testa china, con le gambe rigide come chiodi, se ne sta in mezzo alla strada e sente la bava del cane che gli sighiaccianellabarba. È possibile che in questo momento nell’atrio buio del numero 63 ci sia qualcuno nascosto che lo spia? Non è sicuro di aver visto il corpo dell’uomo, e perfino la macchia piú chiara che gli sembra corrisponda alla faccia potrebbe essere una chiazza sul muro. Ma piú lo fissa e piú gli sembra che un altro viso lo fissi attentamente. È davvero un viso?Lasuaimmaginazioneè piena di uomini con la barba egliocchiluccicantidentroa vicoli bui. Eppure, mentre passa nella profonda oscurità dell’atrio, la sensazione di un’altrapresenzaumanasifa cosí forte che un brivido lo squassa. Si ferma, trattiene il respiro, ascolta. Poi accende unfiammifero. Nell’angolo c’è un uomo accovacciato, che sbatte le palpebre per la luce del fiammifero. Anche se ha una sciarpa di lana intorno alla testa e alla bocca e una copertasullespalle,riconosce il mendicante che ha incontrato sotto il porticato dellachiesa. –Chisei?–glichiedecon voce stridula. – Perché non milasciinpace? Ilfiammiferosispegne.Ne accendeunaltro. L’uomoscuotelatestacon decisione. Una mano emerge dalla coperta e sposta la sciarpa. – Non mi puoi dare ordini – dice. Nell’aria c’è puzzadipescemarcio. Il fiammifero si spegne. Lui comincia a salire le scale. Mailparadossoglitornaalla mente,tedioso:aspettaquello che non aspetti. Va bene, ma allora ogni mendicante va trattato come un figliol prodigo, abbracciato, accolto in casa, festeggiato con un banchetto!Sí,questoèquello chedirebbePascal:scommetti su ognuno, su ogni mendicante, su ogni cane rognoso,solocosísaraisicuro che l’Unico, il vero figlio, il ladronellanotte,nonsfuggirà dalla rete. Anche Erode sarebbed’accordo:massacrate tutti i bambini senza eccezioni. Scommettere su tutti i numeri è ancora giocare d’azzardo? Senza il rischio, senza sottomettersi alla voce che parla da chissà dove, quando il dado cade, cosa rimanedidivino?Certamente Dio lo sa, e avrà pietà del giocatore nell’animo! E certamente la moglie che, quandoilmaritolesibuttaai piedi e le confessa di aver giocato l’ultimo rublo e si batte il petto e le bacia l’orlo dellaveste,lamogliechelofa rialzare e gli asciuga le lacrime e senza una parola esce e va a impegnare la sua fedeetornaconisoldi(ecco!) perché lui possa tornare alla sala da gioco per l’ultima scommessa che salverà tutti, certamente quella donna ha in sé qualcosa di divino, una donnachecontasuunuomo che non ha piú niente, una donnache,quandoperfinola fedeèstataimpegnataepersa, escenellanotteeritornaconi soldiperun’altrascommessa! E la donna che abita al piano di sopra, quella donna di cui in questo momento non ricorda il nome, che addirittura confonde con la GnädigeFrau,lasuapadrona di casa di Dresda, quella donna ha in sé quel tocco divino? Lui non sa niente di lei,sasololacosapiúintimae segreta: sa come si dà. Dal modo in cui una donna si dà può un uomo indovinare come si darà al dio dell’azzardo? Una donna cosí è segnata dall’abbandono, un abbandono che non importa dovelaporterà,alpiacereoal dolore?Unadonnacheusail suocorposensualesolocome un veicolo e solo perché non possiamo vivere disincarnati? C’è forse un modo di fare l’amorecheleirappresenta,in cui i corpi premono uno contro l’altro, dentro e attraverso, fino a un’oscurità silenziosadovenonsentialtro che lo smuoversi delle lenzuola, come un battito di ali? Il ricordo delle notti con lei lo travolge con una pienezza improvvisa e tutto quellocheinluieraannodato si distende, indicando lei, comeunafreccia.Ildesiderio con tutta la sua voluttà lo vince.Lei,pensa:èlei.Leiche voglio.Perciò… Perciò sorridendo fra sé corredinuovogiúperlescale eatentoniraggiungel’angolo dovel’uomo,ilmercenario,la spia,hafattoilnido.–Vieni– gli dice, nel buio. – Ho un lettoperte. – Questo è il mio posto, devo stare al mio posto – risponde l’uomo con aria furba. Ma niente lo può mettere di malumore, adesso: – Quello che stai aspettando verrà,anchealterzopiano.Te loassicuro.Busseràallaporta, aspetterà pazientemente e si rifiuteràdiandarevia. Segue un gran frusciare e strusciare di carta: – Lei non haunaltrofiammifero,vero? –domandailmendicante. Accende un fiammifero e illumina l’uomo che in fretta infila tutte le sue cose in una bustaepoisialzainpiedi. Sbattendoquaelànelbuio come due ubriaconi salgono per le scale. Alla porta della sua stanza lui bisbiglia all’altro di non far rumore e loprendepermano.Lamano èsgradevolmenteappiccicosa. Dentro accende la luce. È difficilecapirecheetàabbialo sconosciuto. Gli occhi sembranogiovanimaicapelli fini e biondicci e il cranio lentigginoso denunciano una sorta di stanchezza senile, e poi la postura è quella di un uomo provato dagli anni e dalledisgrazie. – Ivanov Pëtr Aleksandrovič – dice l’uomo, battendoitacchiefacendoun piccolo inchino. – Ex funzionariostatale. Luigliindicailletto.–Lo prenda! – Lei si starà chiedendo – dice Ivanov, mentre prova il letto – come succede che un uomo della mia condizione finiscaperfareilguardiano(è cosí che lo definiamo nel nostro mestiere: guardare). – Sisdraiaesistiracchia. Ha la sgradevole sensazione di aver pescato uno di quei mendicanti che, incapaci di suonare il violino o di fare giochi di prestigio, vogliono ripagare la carità conlastoriadellalorovita.– Per favore, abbassi la voce, e sitolgalescarpe. – Lei è l’uomo a cui è mortoilfiglio,nonèvero?Le mie piú profonde condoglianze.Capiscounpo’ come si deve sentire. Non tutto,maunpo’.Ancheame sonomortiduefigli.Strappati dalla meningite, cosí l’hanno chiamata i medici. Mia moglienonsièmairipresada quelcolpo.Avrebberopotuto essere salvati se avessimo avutoisoldiperpagarebuoni dottori. Una tragedia: ma chi ci fa caso? La tragedia è dappertutto intorno a noi ai giorni nostri. La tragedia è diventata la dimensione del nostro mondo –. Si siede sul letto. – Se mi dà retta Fëdor Michailovič (non si offende vero?), se accetta il consiglio di uno che è stato messo a dura prova, lei deve lasciarsi andare al dolore. Deve piangere come una donna. È questo il grande segreto delle donne,ciòcheleavvantaggia rispetto a persone come noi. Loro sanno quando debbono lasciarsi andare e piangere. Noi non lo sappiamo invece, io e lei. Ce lo teniamo tutto chiuso dentro fino a che non diventaundemonio!Eallora facciamo qualche stupidaggine, solo per liberarcene per un’ora o due. Sí, facciamo una qualche stupidagginedellaqualepoici pentiremo per sempre. Le donne non sono cosí; loro conoscono il segreto delle lacrime. Dobbiamo imparare dal sesso debole, Fëdor Michailovič, dobbiamo imparareapiangere!Vede,io nonmivergognodipiangere: il mese prossimo fanno tre mesi che la tragedia mi ha colpitoeiononmivergogno dipiangere. E infatti le lacrime gli colano giú per le guance. Lui se le asciuga con la manica, ma ne scendono sempre di piú. Sembra che non gli sia difficile parlare mentre piange. Anzi a dire il vero sembra piuttosto contento. – Piangerò i miei bambini perduti per il resto dei miei giorni–dice. Mentre Ivanov continua a blaterare a vanvera dei suoi «bambini», l’uomo si interroga. È solo perché si sa chefaloscrittorechelagente gli racconta le sue storie? Forse pensano che non abbia storiesue?Èesausto:ilmaldi testanonglièancorapassato. Seduto sull’unica sedia, con gli uccelli che cominciano a cantare di fuori, ha un bisogno disperato di dormire – vuole a tutti i costi recuperare il letto che ha ceduto. – Possiamo parlarne dopo – prova a dire. – Dorma, ora. Altrimenti che sensohaquesta…–Esita. – Questa carità? – lo aiuta Ivanov, con aria furba. – Era questochevolevadire? Luinonrisponde. – Perché, volevo rassicurarla, lei non deve vergognarsi della carità – continual’uomoavocebassa. – Proprio come non deve vergognarsi del dolore. Sono impulsi generosi, entrambi. Sembra che vogliano trascinarci in basso questi nostriimpulsigenerosi,mala verità è che ci innalzano. Ed Egli li vede e li registra tutti. Colui che vede nelle pieghe delnostrocuore. A fatica apre le palpebre. Ivanovstasedutoinmezzoal letto, a gambe incrociate, come un idolo. Che razza di ciarlatano! pensa e richiude gli occhi. Quando si risveglia Ivanovèancoralí,distesosul letto, con le mani sotto le guance, addormentato. Ha la bocca aperta e dalle sue labbra, piccole e rosa come quellediunbambino,esceun fischio delicato, russa sommessamente. Fino a tarda mattina rimane con Ivanov. Ivanov, l’inizio dell’inatteso, pensa. Vediamo ora dove ci porterà quest’inatteso! Il tempo prima non è mai passato cosí pigramente, non è mai stato cosí privo di rivelazioni. Alla fine, annoiato, sveglia l’uomo:–Èoradiandarsene, ilsuoturnoèfinito–glidice. Ivanov sembra non rendersi conto dell’ironia. È fresco,allegroebenriposato: – Devo andare in bagno! – e poi,tornandoindietro:–Non ha per caso un resto di colazioneperme,vero? Lo porta nell’appartamento. La colazione lo aspetta pronta sulla tavola, ma lui non ha fame. – È per lei – dice bruscamente. Gli occhi di Ivanov luccicano, un filo di saliva gli scorre sul mento. Ma poi mangia dignitosamenteebeveiltècol mignolosollevatoamezz’aria. Appena finito, si appoggia allo schienale e sospira soddisfatto. – Come sono contento che le nostre strade si siano incrociate! – commenta. – Il mondo può essere un luogo cosí freddo, FëdorMichailovič,sonocerto cheleinesaqualcosa!Ionon mi lamento, badi bene. Noi abbiamo quello che ci meritiamo, nel senso piú nobile del termine. Eppure a volte mi chiedo, non meritiamo forse, tutti noi, anche un rifugio, un porto, dove la giustizia per un poco allenti la sua presa e ci sia accordata la pietà? Mi pongo questa domanda come un interrogativo filosofico. Anche se non sta nella Scrittura, non sarebbe forse nello spirito della Scrittura direchemeritiamoquelloche non meritiamo? Cosa ne pensa? –Senzadubbio.Purtroppo questo non è il mio appartamento. Ed è ora che leisenevada. – Fra un attimo, mi conceda un’ultima osservazione. Non era solo una chiacchiera oziosa, sa, quella della notte scorsa, quando le ho detto che Dio vede nelle pieghe del nostro cuore. Forse io non sono proprio un santo idiota, ma questo non m’impedisce di dire la verità. La verità può venire,losa,attraversostrade tortuose e misteriose –. Si batte la testa con l’aria di saperla lunga: – Lei non si sarebbe mai sognato, vero, quando mi ha visto per la prima volta, che un giorno saremmo stati qui seduti a prendere il tè, io e lei, come due persone civili. Eppure eccociqui! – Mi dispiace, ma non riescoaseguirla,lamiamente è altrove. Ora davvero deve andarevia. – Sí, devo andare, anch’io hoimieicompitidasvolgere –. Si alza, si butta la coperta sullespallecomeunmantello e gli tende la mano: – Arrivederci,èstatounpiacere conversare con un uomo di cultura. –Arrivederci. È un sollievo essersene liberati.Mal’odoredipescee di sudiciume è ancora nella stanza e malgrado il freddo è costrettoadaprirelafinestra. Mezz’ora dopo sente bussare alla porta dell’appartamento. Non è possibile, pensa, ancora quell’uomo! e apre la porta conunasmorfiadirabbia. Si trova davanti una ragazzina, una ragazzina grassaconaddossounaspecie di grembiulone scuro, di quelli che portano le novizie. Ha la faccia tonda e inespressiva, gli zigomi cosí alti che quasi nascondono gli occhi piccoli, i capelli sono energicamente tirati indietro eformanounpiccolocodino. –ÈleiilpatrignodiPavel Isaev? – chiede con una voce inaspettatamenteprofonda. Entra e si chiude la porta alle spalle: – Ero un’amica di Pavel – annuncia. Lui si aspetta di sentire le condoglianze, che non vengono.Invecelaragazzagli si piazza di fronte a braccia incrociate; sembra che lo voglia misurare e lo fissa con un’aria insieme calma e guardinga, come quella di un lottatore che aspetta che l’incontro incominci. Il suo petto si solleva e si abbassa conregolarità. – Posso vedere quello che halasciato?–diceallafine. – Ha lasciato molto poco. Potreisapereilsuonome? –Katri.Anchesec’èmolto poco, posso vederlo? È la terza volta che passo. Le prime due volte quella stupida affittacamere non mi ha voluto far entrare. Spero cheleinonfaràlastessacosa. Katri,unnomefinlandese. E anche l’aspetto è quello di unafinlandese. –Sonosicurocheavevale sue ragioni. Conosceva bene miofiglio? Lei non risponde alla domanda. – Si è reso conto chelapoliziahauccisoilsuo figliastro, vero? – dice invece senzascomporsi. Il tempo si immobilizza. Lui può avvertire i battiti del suocuore. – Lo hanno ucciso e poi hannomessoingirolastoria del suicidio. Non mi crede? Non è obbligato a credermi, senonvuole. –Perchémidicequesto?– chiedeinunsoffio. – Perché? Perché è la verità.Perchésennò? Leinonèsolosulpiededi guerra: comincia anche a essere impaziente. Ha cominciato a spostarsi ritmicamente da un piede all’altro, e a dondolare le bracciaaltempo.Malgradoil corpo tarchiato, dà anche un’impressione di agilità. Non c’è da meravigliarsi se Anna Sergeevna non ha volutoaverenienteachefare conlei. – No – dice scuotendo il capo – quello che mio figlio ha lasciato è di carattere personale, di carattere familiare. Mi spieghi per favore il motivo della sua visita. –Noncisonocarte? – C’erano delle carte, ma noncisonopiú.Perchémele chiede? – E poi: – Fa forse partedeiseguacidiNečaev? Quella domanda non la sconcerta. Anzi, la ragazza sorride e solleva le sopracciglia. Per la prima volta si vedono gli occhi, pieni di rabbia e di trionfo. Ma certo che fa parte dei seguaci di Nečaev! Una donna-guerriera, e quel suo dondolio è solo il principio delladanzadiguerra,ladanza di una che non vede l’ora di combattere. – Se lo fossi, crede che glielo direi? – risponde ridendo. – Sa che la polizia fa controllarequestacasa? Oscillando sulle punte, lo fissa intensamente come se volesse fargli cogliere qualcosanellosguardo. – C’è un uomo qui sotto, proprioora,–insistelui. –Dove? – Lei non l’ha notato, ma può stare certa che lui avrà notato lei. Finge di essere un mendicante. Il suo sorriso si allarga in un’espressione davvero divertita: – Crede che una spia della polizia sarebbe abbastanza intelligente da notarmi? – dice. E, con sua sorpresa, agita l’orlo del grembiule e con due piccoli salti mostra le gambe: calzettoni bianchi e semplici scarponcinineri. Ha ragione, pensa l’uomo. Potrebbeesserescambiataper una bambina, ma una bambina posseduta dal demonio, però. Un demonio chelestadentroechesiagita, salta,incapacedistarefermo. – Basta! – dice gelido. – Mio figlio non ha lasciato nienteperlei! – Suo figlio! Non era suo figlio! – È mio figlio e lo sarà sempre. Ora per favore se ne vada. Ne ho abbastanza di questaconversazione. Aprelaportaelainvitaad andarsene. Mentre esce, la ragazzinaglisbatteaddossoa bella posta. È come se gli avesse sbattuto addosso un porco. Quando esce, nel pomeriggio,nonc’ètracciadi Ivanov. E neppure la sera, quando rientra. Dovrebbe preoccuparsene?Seècompito diIvanovvederesenzaessere visto, perché mai dovrebbe essere lui a vedere Ivanov? Anche se nella sciarada che sta giocando il ruolo di Ivanovèquellodell’angelodel Signore, un angelo che è tale soloinvirtúdelfattochenon è per niente angelico, perché mai dovrebbe stare a lui cercare quell’angelo? Che l’angelo venga a bussare alla miaporta,sidice,eiononlo deluderò, gli darò riparo: e tanto basta perché il nostro accordoregga.Eppure,anche mentresiripetequelleparole, sirendecontodimentirease stesso, sa che potrebbe davvero liberare del tutto Ivanov dal suo posto di guardia,alfreddo. Non fa altro che agitarsi, fino a che non si risolve a scendere e cercare quell’uomo. Ma quell’uomo nonstainfondoallescale,né per strada, non lo trova da nessuna parte. Con un sospiro di sollievo si dice: ho fattoquellochepotevo.Main cuor suo sa che non è cosí. Potrebbefaredipiú,moltodi piú. 9. Nečaev Il giorno dopo, per le strade del quartiere del mercato,FëdorMichailovičsi vede balenare di fronte la figura piena, quasi sferica, della ragazzina finlandese. Non è sola. Al suo fianco c’è una donna, alta e magra, che cammina cosí in fretta da costringere la finlandese a procedere saltando per starle dietro. Affretta il passo. Anche se di tanto in tanto le perde di vista fra la folla, non è lontano da loro quando le vede entrare in un negozio. Primadientrareladonnaalta si guarda intorno. Fëdor Michailovič è colpito dall’azzurro intenso degli occhi e dal pallore della pelle di quella donna. Il suo sguardo si è posato anche su diluisenzasoffermarsi. Attraversa la strada e perde tempo, aspettando che escano. Passano cinque, dieci minuti;hafreddo. Sull’insegna di ottone c’è scritto Atelier La Fay o La Fee, modista. Apre la porta, facendo suonare un campanello. In una stanza strettaebeneilluminata,delle ragazze con un’uniforme, un grembiule scuro, siedono a due lunghi tavoli da cucito. Unadonnadimezzaetàglisi faincontropersalutarlo. –Monsieur? – Una mia conoscente è entrataquiqualcheminutofa, una giovane signora… e pensavo che… – Si guarda intorno nella stanza, deluso: non c’è traccia della finlandese e neppure dell’altra. – Mi spiace, devo essermisbagliato. Le due giovani lavoranti piú vicine a lui ridacchiano per il suo imbarazzo. Madame La Fay invece ha perso qualsiasi interesse per lui.–Credochestiaparlando degli studenti – dice freddamente. – Noi non abbiamonienteachefarecon loro. Lui si scusa di nuovo e fa peruscire. – Laggiú! – dice una voce dietrodilui. Si volta e vede una delle ragazze che indica una porticinasullasinistra:–Passi dilí! – La porta conduce a una galleria isolata dalla strada. C’è una scala di ferro che portaalpianodisopra.Esita, poisale. Si ritrova in un corridoio buiocheodoradicucina.Dal piano superiore giunge il suono raschiante di un violino che suona un motivo zigano. Segue la musica per altri due piani, fino alla porticina, semiaperta, di una soffitta. Bussa. La ragazzina finlandese si presenta alla porta. Sulla sua faccia stolida nonc’èsegnodisorpresa. –Possoparlarle? Lei si sposta per farlo entrare. Ungiovanevestitodinero suona il violino. Vedendo lo sconosciuto si ferma a metà frase e lancia un’occhiata interrogativa alla donna alta. Poi,senzaunaparola,prende ilsuocappelloeseneva. Fëdor Michailovič si rivolgeallafinlandese:–L’ho vistapassareperstradael’ho seguita. Possiamo parlare in privato? Leisisiedesuldivano,ma nonloinvitaasedersi.Ipiedi arrivano appena a toccare terra.–Parli!–glidice. –Hafattounaccennoieri a proposito della morte di mio figlio. Mi piacerebbe saperne di piú. Non perché voglia vendicarmi. Cerco di capire per un bisogno mio. Voglio dire per liberarmi da unpeso. Lo guarda con aria perplessa: – Liberarsi da un peso? – Nel senso che non sono venutoaPietroburgoperfare un’inchiesta – continua ostinatamente – ma ora che lei ha detto quello che ha detto a proposito della sua morte, io non posso ignorarlo, non posso dimenticarlo. Fa una pausa. La testa gli gira; improvvisamente si sente esausto. Dietro le palpebre chiuse ha una visione di Pavel che gli va incontro. C’è una ragazza al suo fianco, la ragazza che ha sceltoinmoglie.Pavelstaper parlare, per presentargli la ragazzaeluiintantopensafra sé: Bene, finalmente questi annidiresponsabilitàpaterna sono giunti alla fine, finalmentehaaltrebracciafra lequaliabbandonarsi!Staper sorridere a Pavel, un sorriso di rallegramento e anche di sollievo.Machisaràlasposa? Può essere che sia questa giovanedonnaalta(altaquasi come Pavel) con gli occhi azzurriepenetranti? Si scuote da quella fantasia.Lasuaprossimafrase stagiàemergendo,inuntono che gli ricorda una cantilena: – Ho un dovere nei suoi confronti,undoverechenon posso dimenticare – sta dicendo. È tutto. Le parole finiscono, si esauriscono. Poi il silenzio, un silenzio che aumentaesiprolunga.Cerca di sforzarsi per riafferrare la visione di Pavel e della sua sposa,mafratuttelepersone possibilièproprioIvanovche gli si presenta, o almeno le manidiIvanov:ditapallidee gonfie che emergono come bruchi dai mezziguanti di lana. Quanto alla faccia, ballonzola in un’atmosfera sulfurea, e non sta ferma abbastanzaalungoperchélui lapossafissare.L’impressione cheha,comunque,èquelladi un sorriso furbesco, come se l’uomo fosse a conoscenza di qualcosa che gli può nuocere evolessefarglielocapire. Scuote la testa, e cerca di recuperare le sue facoltà mentali. Ma sembra aver perso la parola. Sta di fronte allafinlandesecomeunattore che ha dimenticato la sua parte. Il silenzio fra di loro, comeunpesocheschiacciala stanza. Un peso o una pace, pensa; che pace ci sarebbe se tutto dovesse pietrificarsi: gli uccelli dell’aria impietriti nel loro volo, il globo enorme sospeso nella sua orbita! È sicurochestapervenirgliuna crisi:nonpuòfarenienteper evitarla. Assapora gli ultimi istanti di immobilità. Che peccato che l’immobilità non possa durare in eterno! Da lontano gli arriva un grido che dev’essere il suo. Ci sarà un digrignare di denti, le parole gli lampeggiano davantiagliocchi,poilafine. Quando ritorna in sé è comesefossestatovia,inun paese lontano, e lí fosse invecchiato e incanutito. E inveceènellastessastanzadi prima, ancora in piedi, con una mano a mezz’aria. E anche le due donne sono lí, nella stessa posizione di prima, anche se ora la finlandesehal’ariastanca. – Mi posso sedere? – biascica. La lingua è troppo spessaperstargliinbocca. Lafinlandeseglifapostoe lui si siede accanto a lei, sul divano, è confuso, tiene la testa reclinata: – Qualcosa nonva? Lui non risponde. Che cos’èchevolevadire,eperché èsemprecosístanco?Ècome se una nebbia gli fosse calata sul cervello. Se fosse il personaggio di un libro, cosa direbbeinunmomentocome questo, quando o il cuore parlaolapaginarestavuota? – Non riesco a spiegarle – incomincia a dire lentamente – quanto mi senta triste ed estraneoquiconlei.Leigioca aungiococuinonmièdato partecipare. Quello per cui s’impegna, quello per cui anche Pavel dev’essersi impegnato, non mi interessa. Anzi, se debbo essere onesto, midisgusta. Senza una parola, la ragazza alta esce dalla stanza. Al suo passaggio il fruscio della veste e un effluvio di lavanda risvegliano in lui un inaspettato guizzo di desiderio. Desiderio di cosa? Di quella ragazza? Certamente no, o comunque non solo di lei. Forse della giovinezza, di quello che ha persopersempre,dellalibertà delle vesti discinte, dei corpi nudi. E comunque sia quella reazione lo indispettisce. Perché qui e ora? Forse è qualcosachehaachefarecon la sua stanchezza, o forse anche con Pavel, col fatto di ritrovarsi immerso nel mondo di Pavel, nel contesto eroticodiPavel. – Mi hanno mostrato le listedellepersonesegnate.Di quelli che devono essere uccisi–dice. La finlandese lo scruta da vicino. – La polizia è in possesso diquelleliste,sperochevene siate resi conto. Le hanno portate via dalla stanza di Pavel. Quello che volevo chiedere è questo: ognuno di voi ha solo un certo numero di persone da uccidere, oppure ci sono certe persone assegnate, strettamente personali?E,seècosí,dovete studiarequellepersoneprima di agire, dovete conoscerne bene la vita quotidiana? Come fate, li spiate mentre sonoincasa? La finlandese prova a parlare, ma lui ormai si sta riprendendo e la sua voce coprequelladilei. – Se è cosí, se è cosí, non nasceun’intimitàtroppoforte con la vittima? Non vi succedecomesuccederebbea un uomo, un mendicante chiamato per strada da qualcuno che gli offre cinquantacopechiperdisfarsi di un vecchio cane cieco, che prendelacordaefailcappio e accarezza il cane per calmarlo, gli mormora una parola o due e mentre lo fa comincia a sentire una corrente di sentimento, cosicchédaquelmomentoin poiluieilcanenonsonopiú estranei e quello che doveva essere solo un lavoretto si è trasformato nel peggiore dei tradimenti, un tradimento talecheilrumorecheemette il cane quando lo appende, mentre lo appende, continua a perseguitarlo per giorni e giorni; un sussulto di sorpresa: Perché proprio tu? Unpensierodelgenerenonvi paralizza? Mentre parlava la donna alta è rientrata. È china nell’angolo piú lontano della stanza, piega lenzuola, arrotola un materasso. La finlandese invece sembra finalmente presente. Ha gli occhi luccicanti e non vede l’ora di parlare. Ma lui continua. – E se questo è quello che succede con un cane, quale sarà la forza di persecuzione degli uomini e delle donne che vi proponete di eliminare? Mi sembra che, per quanto i nemici del popolo siano stati scelti scientificamente, voi non abbiate la possibilità di farli fuori senza ferire le vostre anime. Per esempio quale dovevaesserelaprimavittima di Pavel? Chi gli era stato assegnato? –Perchélochiede?Perché lovuolesapere? – Perché voglio andare davanti alla porta di casa di quella persona, in ginocchio, e ringraziare Dio che Pavel noncisiamaiarrivato. – Cosí è contento che Pavelsiastatoucciso? – Pavel non è morto. Lui avrebbe dovuto morire, ma per sua grande fortuna si è salvato. Per la prima volta l’altra donna apre bocca: – Perché nonvieneasedersiqui,Fëdor Michailovič?–diceindicando un tavolino con due sedie, vicinoallafinestra. – Mia sorella – spiega la finlandese. – Sorelle, ma non figlie degli stessi genitori – dice l’altra, e ridono. Una risata allegra,intima. Ha l’accento tipico di Pietroburgo, una voce profonda.Halasensazionedi averla già incontrata prima. Una cantante? Forse dei tempi in cui seguiva l’Opera? No,ètroppogiovane. Si siede su una delle due sedieeleiglisisiededifronte. La tavola è stretta. Lei gli tocca il piede, Fëdor Michailovičsiritrae. Anche se sta con le spalle alla finestra, ora capisce perché si è coperta di cipria. Ha la pelle segnata dalle cicatrici del vaiolo. Che peccato, pensa: non è una bellezza,macomunqueèuna creaturaattraente. Il piede di lei tocca di nuovo il suo, vi si appoggia con insistenza, stinco contro stinco. Una fastidiosa eccitazione gli serpeggia in corpo. Come agli scacchi, si dice: due giocatoridavantiaunpiccolo tavolino che fanno le loro mosse ponderate. È la determinazione che lo eccita, il piede di fronte sollevato come un pedone e messo contro il suo? E la terza persona,lospettatorechenon vede,l’idiota,cheguardadalla parte sbagliata: anche lei sta recitando la sua parte? Determinazione e volgarità, una volgarità con un che di eccitante.Comehannofattoa scoprire tante cose di lui, dei suoidesideri? Una cantante: una regina delcontralto. – Lei conosceva mio figlio –dice. – Era un seguace. Una mascotte. Conosce quell’espressione eloferisce.Unamascotte:un perdigiorno nei circoli studenteschi,unochevabene comegaloppino. –Maeraunsuoamico? Leisistringenellespalle:– L’amicizia è un sentimento effeminato. Non abbiamo bisognodell’amicizia. Effeminato. Che strana parola nella bocca di una donna! Ormai ha la sensazione di saperne piú di quanto vorrebbe. Il piede sta ancora sul suo, ma ora c’è qualcosa di inerte in quella pressione. Inerte e ingombrante, e perfino minaccioso. Non è piú un piedemaunostivaletto.Pavel non ci sarebbe stato a un giococomequello.Lavisione di Pavel ritorna, Pavel che cammina verso di lui. La ragazzaalsuofianco,lasposa, è nell’ombra. Pavel sorride e quel sorriso ha un che di glorioso. Amico mio! pensa. Unamoreferoceglistringeil cuore. E questo, pensa, è questochedevoaverealposto tuo? – Se non ha bisogno di amicizia, Dio la salvi – mormora. Si alza dal tavolino e volta le spalle alle due donne. Che aspetto avrò? si chiede. Non c’è uno specchio. Quando torna a sedersi le lacrime che aveva temuto di versare si sonoasciugate. –Cosaavetefattoconmio figlio?–domandaafatica. La donna si appoggia sul tavolino e lo fissa col suo sguardoblu.Sottolostratodi cipria, fra le cicatrici del mento,notaipelicheilrasoio non ha rasato. E le sopraccigliasonotroppofolte sopra il naso. Una donna avrebbe avuto il buon senso di suggerirgli di strapparli. Allora anche la finlandese è un ragazzo, un ragazzino piccolo e grasso? All’improvvisoprovadisgusto pertutteedue. Lei (o lui) sta parlando. È Nečaev, proprio lui, non c’è dubbio. La maschera improvvisamente è caduta. Glitornadinuovoallamente con estrema chiarezza: nella saladelCongressodellaPace, durante un intervallo fra i discorsi, Nečaev tutto solo in unangolo,chedivorapanini, furente, con uno sguardo di sfida nei confronti di tutti gli adulticheaffollanolasala:Sí, ridete se ne avete il coraggio, ridete dello studente! Sulla faccia, l’espressione di un ragazzinosorpresosullatazza, con i calzoni calati, vulnerabilemapienodisfida. Ridete, ma un giorno riderò io! Ricordailcommentofatto dallaprincipessaObolenskaja, l’amante di Mroczkowski: – Sarà pure l’enfant terrible dell’anarchismo,madovrebbe farequalcosaperqueibrufoli! – Visto quello che la polizia ha fatto a suo figlio – dice Nečaev – sono sorpreso che non sia infiammato dal furore, come dicono i Vangeli, occhio per occhio, denteperdente. – Mascalzone! Quello non è nei Vangeli! Che cosa dice diPavel?Eperchésièmesso questaridicolamaschera? – Certamente non crederà alla storia del suicidio. Isaev non si è ucciso, quella è solo unafavolamessaingirodalla polizia.Nonpossonousarela legge contro di noi e cosí perpetrano questi osceni omicidi. Ma naturalmente lei deve avere i suoi dubbi, altrimenti perché sarebbe qui? Tutta la finta dolcezza dell’uomo è scomparsa: ora parlaconlasuavoce.Mentre fa avanti e dietro per la stanza,ilvestitofruscia.Cosa c’èsotto:icalzoniolegambe nude? Che effetto farà camminare con le gambe nude ma nascoste, che si strofinanounasull’altra? – Crede forse che non siamotuttiinpericolo?Crede forse che io desideriscivolare mascheratoperlestradedella mia città, della città dove sono nato? Ha idea di che cosa voglia dire essere una donna che cammina sola per le strade di Pietroburgo? – Parla a voce alta, sopraffatto dalla rabbia. – Ha idea di quello che tocca sentire? Gli uomini ti seguono passo passo dicendo oscenità inimmaginabili e tu sei impotentecontrodiloro!–Si riprende:–Oforselosabene, forsequellochestodicendole èpiúchenoto. Lafinlandesesièmessain grembo una pentola piena di patate e ha cominciato a sbucciarle. Ha un’espressione serena, sembra piú che mai una nonnetta: – Sta raffreddando–annuncia. Pazzi! Sono due pazzi, si dice.Machecifaccioioqui? DevoritornaredaPavel! – La prego di ripetere... la prego di ripetere quello che stavadicendodimiofiglio. – Va bene, lasci che le racconti di suo figlio. Il verdettoufficialesaràchesiè ucciso. Se lei ci crede è un ingenuo, un ingenuo irresponsabile! Non è stato ancheleiunrivoluzionarioai vecchi tempi? O mi sbaglio? Sapràchelalottanonsièmai fermata? O ha fatto una pace separata?Quellichestannoin trincea continuano a essere perseguitati, presi, torturati e uccisi.Pensavocheleisapesse tutto ciò e che lo volesse scrivere.Soprattuttoperchéla gente non saprà mai delle storie come quella di suo figlio da questa vergognosa stamparussa. LavocediNečaevsifapiú bassa, piú intensa: – Quello che è successo a suo figlio, può succedere ogni giorno a me o agli altri compagni. Lei dice di non saperne niente, ma vada per le strade, vada nei mercati e nelle taverne dove la gente s’incontra e scopriràchelagentelosa.In qualche modo lo sanno! E quando verrà il giorno del giudizio, il popolo non scorderà chi ha sofferto ed è morto per lui, e chi non ha alzatoundito! La collera di Cristo, ecco qualèilsuomodello.IlCristo del Vecchio Testamento, il Cristo che ha cacciato gli usurai dal tempio. Anche la mascheraglisiadatta,nonun vestito ma una tonaca. Un imitatore, un impostore, un blasfemo. – Non mi minacci! – risponde. – Con che diritto parla in nome del popolo? Il popolo non è vendicativo. Il popolo non passa il suo tempo a complottare e a tramare. – Il popolo conosce i suoi nemici e non spreca lacrime per loro quando muoiono! Quanto a noi, noi almeno sappiamo cosa bisogna fare e lo facciamo! Forse un tempo lo sapeva anche lei, ma ora tutto quello che sa fare è biascicare fra sé, scuotere la testa e piangere. È una cosa da smidollati. Noi non siamo teneri, noi non stiamo qui a piangere, né a sprecare il tempo con chiacchiere intelligenti. Ci sono cose di cuisipuòparlareealtredicui non si può parlare, altre che vanno semplicemente fatte. Noi non parliamo, non piangiamo, non stiamo a pensare in continuazione: da una parte… però dall’altra; noiagiamo! – Ottimo! Voi agite, ma chi vi dà le istruzioni? È alla vocedelpopolocheubbidite, o piuttosto alla vostra stessa voce un po’ camuffata in modo da non essere costretti ariconoscerla? – Un’altra domanda intelligente! Un altro spreco di tempo! Non ne possiamo piú dell’intelligenza! I giorni dell’intelligenza sono contati. L’intelligenzaèunadellecose dicuicilibereremo.Ilgiorno dellagentequalunquestaper arrivare. La gente qualunque non è intelligente. La gente qualunque vuole solo che il lavoro sia fatto. E una volta fatto il lavoro, sarà la gente qualunque a decidere come debbano andare le cose, e se l’intelligenza debba essere permessaoppureno! – E se i libri intelligenti e simili debbano essere permessi oppure no! – Aggiunge la finlandese tutta animata,quasieccitata. È mai possibile, pensa Fëdor Michailovič con disgusto, che Pavel fosse amico di gente simile? Gente sempre pronta a buttarsi a capofittoinquesteesaltazioni ipocrite? Questo posto è peggio di un convento spagnolo ai tempi di Loyola: con le ragazze di buona famiglia, lí a flagellarsi, a rotolarsiquasiinestasi,conla bava alla bocca; oppure intente a digiunare e a pregareperoreeorediessere accolte fra le braccia del Salvatore. Tutti estremisti, esteti sensuali, affamati dell’estasi della morte: uccidere, morire, non importa. E Pavel in mezzo a loro! Poi,comeun’esplosione,il pensierodell’ultimoistantedi Pavel,delcorpodiungiovane uomocolsanguebollente,nel fiore degli anni, che colpisce la terra, dell’ultimo fiato che gli esce dai polmoni, delle ossa che si rompono, della sorpresa, soprattutto della sorpresa, che fosse davvero quella la fine, che non ci potesseessereun’altrachance. Contorce le mani sotto il tavolino in una specie di agonia.Uncorpochecolpisce la terra: la morte, misura di tuttelecose! – Mi dimostri… – dice – midimostriquellochedicedi Pavel. Nečaevglisifapiúvicino: – La porterò là, sul posto – dice articolando ogni parola con lentezza – la porterò propriolàeleaprirògliocchi. In silenzio si alza e va barcollando fino alla porta. Trova le scale e scende, ma poi si perde, non trova piú l’uscita sulla strada. Bussa a caso a una porta. Nessuno risponde. Bussa a un’altra porta. Una donna con l’aria stancaeconleciabatteapree sifadaparteperfarloentrare. – No – dice lui – volevo solo sapere da dove si esce –. La donnarichiudelaportasenza unaparola. Dal fondo del palazzo gli giungeunronzaredivoci.C’è unaportaaperta;entrainuna stanza dal soffitto cosí basso cheglisembradistareinuna gabbiaperuccelli.Cisonotre giovanotti seduti in poltrona, unostaleggendoilgiornalea vocealta.Quandolovedono, tutti tacciono. – Cercavo l’uscita–dice.–Toutdroit!– grida quello che stava leggendoilgiornale,agitando lamano,eriprendelalettura. Sta leggendo il resoconto di unaschermagliafrastudentie gendarmi davanti alla facoltà di filosofia. Alza la testa e vede che l’intruso non si è mosso: – Tout droit, tout droit! – ordina. I suoi compagniscoppianoaridere. Poisiritrovaallecostolela ragazzina finlandese: – Le piace ficcare il naso nei posti piú strani! – commenta allegramente. Lo prende per unbraccioeloguidacomeun cieco, prima giú per un altro pianodiscaleepoilungoun corridoio scuro pieno di scatoloni e di bauli e finalmente a una porta sbarrata che apre. Sono sulla strada, la ragazzina gli tende lamano:–Alloraabbiamoun appuntamento–glidice. – No. Quale appuntamento? – Aspetti all’angolo della Gorochovaja sulla Fontanka, questaseraalledieci. – Non ci sarò, glielo assicuro. – Va bene, non ci sarà. O forse invece ci sarà. Non ha affettoperlasuafamiglia?Lei nonhaintenzioneditradirci, vero? Faquelladomandaintono scherzoso, come se non fosse comunque in grado di danneggiarli. – Perché sa, c’è gente che sostiene che lei ci tradirà, malgradotutto–.Continua:– Dicono che lei è un traditore nato.Cosanepensa? Se avesse per le mani un bastonelacolpirebbe.Macon la sola mano come si fa a colpire un corpo cosí rotondo,cosíottuso? – Non basta conoscere la proprianatura,nonèvero?– Prosegue con aria pensosa. – Voglio dire che la natura ci spinge avanti indipendentemente da quanto ci possiamo riflettere sopra. A che serve impiccare una persona, se è cosí? È come impiccare un lupo perchéhadivoratopernatura l’agnello. Impiccarlo non cambierà la natura dei lupi, non è vero? Oppure impiccare l’uomo che tradí Gesú…nonèservitoaniente, nonèvero? – Nessuno l’ha impiccato, si è impiccato da solo – ribatte Fëdor Michailovič, spazientito. –Falostesso.Nonservea niente, non è vero? Voglio dire, che venga impiccato o ches’impicchidasolo. Un’intuizione terribile comincia a balenargli fra quelleciance:–ChièGesú?– chiedesommessamente. – Gesú? – È il tramonto, loro due sono le uniche persone rimaste in quella strada fredda e vuota. Lei lo guarda incredula: – Non sa chièGesú? – Se dice che io sono Giuda,chièGesú? Laragazzinasorride:–Era solounmododidire–epoi, rivolta piú che altro a se stessa: – Non capiscono niente –. Gli tende di nuovo la mano: – Alle dieci, alla Fontanka. Se non ci sarà nessuno ad aspettarla, vuol dire che è successo qualche cosa. Lui rifiuta la mano e si avvia per la strada. Dietro di sé sente bisbigliare una parola.Nonèchiara,qualcosa come giudeo o Giuda. Sospetta che sia proprio giudeo. Ma è straordinario: dunque pensano che sia quellal’originedellaparola?E perché lo disgustava tanto l’idea di toccarla? Forse perché lei può aver conosciuto Pavel, averlo conosciuto anche troppo bene. Avranno le donne in comune, Nečaev e gli altri? Difficile immaginare quella donna posseduta in comune. È piú probabile che sia lei ad avere piú uomini, magari anche Pavel. Lui resiste a quell’idea,poi,allafine,cede. Vede la finlandese nuda, in mezzo a un letto pieno di cuscini scarlatti, le sue tozze gambe divaricate, le braccia aperte a mostrare i seni e il ventre tondo, priva di peli, ancora quasi immatura. E Pavel alle sue ginocchia, pronto a farsi coprire e consumaredalei. Si scuote di dosso quella fantasia. Fantasia piena di invidia. Quella di un padre come un vecchio topo grigio che s’intrufola nelle scene d’amore, dopo, per vedere cos’è rimasto per lui. Seduto sulcadavere,albuio,sigratta l’orecchio, rosicchia, ascolta, rosicchia.Èperquestochegli scagnozzi della polizia inseguono i liberi giovani di Pietroburgo con tanto livore, conMaksimov,ilbuonpadre, ilgranderatto,allatesta? Gli torna in mente l’atteggiamentodiPaveldopo il suo matrimonio con Anja. Pavel allora aveva diciannove anni eppure non voleva accettare, a nessun costo, che lei, Anna Grigoreevna, potesse, da quel momento in poi, dormire nel letto del padre. Per tutto l’anno che i tre trascorsero insieme, Pavel insistette a far finta che Anja fosse solo una dama di compagnia del padre, una damadicompagnia,comeusa per le vecchie signore: una persona che diriga la casa, ordini il necessario per la dispensa e si occupi del guardaroba. Quando a volte, dopo una partita serale a carte, Fëdor Michailovič annunciavachesenesarebbe andato a letto, Pavel non permetteva ad Anja di seguirlo. Allora la sfidava a una partita di cribbage (Noi duesoli!)eanchequandolei, arrossendo,cercavadiritrarsi, si rifiutava di capire (Non siamo mica in campagna, le diceva,nontidevimicaalzare all’alba per mungere le mucche!) Vasemprecosífrapadrie figli, le battute coprono semprelepeggioririvalità?Ed è questa la vera ragione per cui è disperato? Perché gli è venuta a mancare la terra sotto i piedi, la competizione conilfiglio,eglihasvuotato lavita?NonèlaVendettadel Popolo, ma la Vendetta dei Figli, è questo che sta sotto alla rivoluzione: l’invidia dei padri per i figli, per le donne dei figli, e le trame dei figli che vogliono rubare gli scrigni dei padri? Scuote la testa,stanco. 10. Latorrediguardia Rientrando in casa, Fëdor MichailovičincontraMatrëna incorridoio.Labambinaèin unostatodiforteeccitazione: –Lapoliziaèstataqui,Fëdor Michailovič, cercano un assassino! Il tempo si ferma, lui è agghiacciato. – Perché mai dovrebberocercarloqui?–Le paroleesconodallasuabocca, ma gli arrivano all’orecchio debolissime, come parole lontane pronunciate da qualcunaltro. – Cercano dappertutto, in tuttoilpalazzo! Anna Sergeevna gli riferisce tutta la storia: – Stanno interrogando la gente apropositodiunmendicante che si aggirava per il quartiere. Forse l’avrò anche visto, ma non lo ricordo. Dicono che si rifugiava in questopalazzo. A quel punto potrebbe rivelarle che Ivanov ha passato la notte nel suo appartamento, ma non lo fa. Invecechiede:–Dichecosaè accusato? – La polizia tiene la bocca chiusa. Matrëša dice che ha ucciso qualcuno, ma sono solochiacchiere. –Nonèpossibile.Conosco quell’uomo, ci ho parlato a lungo.Nonèunassassino! Ma non erano solo chiacchiere.C’èstatodavvero un crimine. Il corpo della vittima,proprioilmendicante inquestione,èstatoritrovato in una strada poco lontana dal palazzo. È questo che viene a sapere dal portiere e nerimanescosso.Ivanov,una di quelle facce che si intrufolano dappertutto, sul letto di morte, o sulla tomba, non uno di quelli che muoionoperprimi. – Ma è sicuro che non sia mortodifreddo?–domanda. – Perché mai avrebbero dovutoucciderlo? – Ah no, è proprio un omicidio – risponde il portiere con aria saputa. Quello che mi stupisce è che sidianotantodafareperuna nullitàcomequella. AcenaMatrënaparlasolo dell’omicidio.Èeccitatissima, lebrillanogliocchieleparole leesconoafiumidallabocca. Quanto a lui, avrebbe la sua storia da raccontare, ma per questo dovrà aspettare fino a che la madre non avrà calmatolapiccolaenonl’avrà messaaletto. Quando crede che si sia finalmente addormentata, comincia a raccontare ad Anna Sergeevna il suo incontro con Nečaev. Parla piano.Sabenecheilbisbiglio degli adulti, proibito e affascinante, può penetrare nel sonno piú profondo dei bambini. Annariconosceilnomedi Nečaev, ma sembra avere un’idea molto vaga della persona. E nondimeno è pronta a consigliarlo: – Devi andare all’appuntamento. Non ti darai pace fino a che non saprai che cosa è veramenteaccaduto. – Ma so cosa è accaduto, non ho bisogno di sapere altro. Lei fa un gesto d’impazienza. La sua mancanza di partecipazione le sembra incomprensibile, la vede come pura apatia. E lui, come farà a farle capire? Per farle capire dovrebbe riuscire a parlarle con una voce che viene da sott’acqua, con la voce argentina di un ragazzo che supplica dal buio profondo. – Canta per me, padre, canta per me, caro padre! – La voce dovrebbe materializzarsi e lei dovrebbe sentirla. E lui, da qualche parte dentro di sé, dovrebbe riuscire a trovare non solo quella voce ma le parole, le parolevere.Maleparoleogni tanto gli mancano. Forse, è come un’illuminazione, forse lo aspettano in una di quelle antiche ballate? Ma le ballate non sono scritte nei libri: sono chiuse nel petto del popolo russo, dove lui non può afferrarle. O forse sono nelpettodeibambini. – Pavel non è assetato di vendetta – dice alla fine, esitante. – Chiunque l’abbia ucciso, ormai non conta, la corda è stata recisa, lui si è liberato di quella persona. Io voglio imparare da lui, non voglio essere avvelenato dal desideriodivendetta. Dovrebbe dire di piú, ma non può. Dovrebbe dire che Pavelnonhainteresseachesi racconti la storia della sua caduta. Che Pavel è soprattutto solo e che la sua solitudine ha bisogno di essereconfortataecullata,che ha bisogno di rassicurazione, che non sarà abbandonato solosottotuttaquell’acqua. Fra lui e la donna cala il silenzio. Da domenica è la prima volta che possono parlare da soli. Lei ha l’aria stanca. Le spalle curve, le mani abbandonate, la gola segnata dalle rughe. È piú vecchia di sua moglie, pensa dinuovol’uomo:nonproprio di un’altra generazione, ma quasi. Vorrebbe non doversene rendere conto. È datroppopocotempocheha lasciato Nečaev, cosí giovane nella sua diabolica energia; tutti i demoni minori del restosonogiovani. D’istinto le afferra la mano.Leiloguardasorpresa. –Nontistospingendoalla violenza – dice la donna lentamente.–Certamentehai ragione a proposito di Pavel: noneradinaturavendicativa. Ma aveva il senso di ciò che eragiustoediciòchenonlo era. Vai all’appuntamento. Cercadiscopriretuttoquello che riesci a scoprire. O non avraipiúpace. Lui ancora tiene la mano della donna fra le sue. Una stretta risponde teneramente allasua. – La giustizia, – riflette – che grande parola! Si può davverosegnareilconfinefra giustiziaevendetta?–E,visto cheladonnasembraincapace di seguirlo: – Non è forse questal’originalitàdiNečaev? IlfattodichiamarsiVendetta delPopoloenonGiustiziadel Popolo? Almeno in questo è onesto. – Davvero? È davvero questo che la gente vuole sentirsi dire? Che è la vendetta che vogliono e non la giustizia? Io non credo. Perché la gente dovrebbe prendere tanto sul serio Nečaev?Perchémaichiunque dovrebbeprenderlosulserio? Uno studente, un giovanotto eccitabile. Che forza può averedopotutto? – Non la forza della vita, ma certamente quella della morte. Un bambino può uccidere proprio come un uomo,sehainsélospiritodi morte. E forse ancora una volta è questa l’originalità di Nečaevchedàvoceacoseche non riusciamo neppure a immaginare dei nostri figli, che dà voce a qualcosa di ottuso e di brutale che sta spazzandolaRussiacomeuna tempesta.Noicichiudiamole orecchie, e lui arriva con la sua ascia e ci costringe a sentire. La mano di Anna Sergeevna,cheprimaeraviva, improvvisamente è diventata unacosamorta.Èunadonna pienadisentimenti,pensalui, lasciandolelamano.Comela figlia,eforseanchealtrettanto fragile. La vorrebbe abbracciare, tenerlafralebracciaelenirne leferite.Dovrebbesmetteredi parlare a quel modo, un modocheladisgustaechela allontana.Manonsmette. – Dopotutto non è possibilereclutareseguaciper la propria causa invocando uno spirito che è loro estraneo o comunque indifferente. Nečaev ha un seguitofraigiovaniperchéin loro c’è uno spirito che risponde allo spirito che è in lui. Naturalmente lui non la spiega cosí. Lui si autodefiniscematerialista.Ma questo è solo un gergo alla moda.Laveritàècheinluic’è quello che i Greci chiamavano il demone. Un demone parla in lui, ed è la fontedellasuaenergia. Ancoraunavoltapensadi dover smettere, ma quelle parole aride e letali continuano a fluire. Sa di averlaallontanatadasé. –Lostessodemonedoveva essere in Pavel, altrimenti perché mai Pavel avrebbe risposto al suo appello? È bello pensare che Pavel non fosse vendicativo, è bello pensarebenedeimorti.Maè solounaformadiadulazione. Smettiamo di essere sentimentali: nella vita quotidiana era vendicativo cometuttiglialtrigiovani.Lei si alza in piedi. Lui crede di sapere quello che dirà e, sia pure solo per la forma, è pronto a difendersi. Dici di essereilpadrediPavel,maio noncredocheloami.Èquesto chesiaspetta.Masbaglia. – Non so niente di quell’anarchico, Nečaev. Posso solo prendere per buonoquellochemidici.Ma piú parli e piú è difficile capire chi, se tu o Nečaev, desideri di piú tirare Pavel dalla parte del partito della vendetta. Io non sono nessuno per Pavel, certo non sono sua madre, ma sento il dovere, nei suoi confronti e nei confronti della sua memoria, di protestare. Tu e Nečaev dovreste combattere levostrebattagliesenzatirare dentrolui. – Nečaev non è un anarchico.Èquestolosbaglio che la gente continua a fare. Nečaevèqualcos’altro. – Anarchico, nichilista, qualunque cosa sia non ne voglio piú sentire parlare! Non voglio che l’odio e la discordia siano introdotti nella mia casa! Matrëna è già abbastanza eccitata di suo; non voglio che sia contagiata ancora. – Non è un anarchico e nonèunnichilista–continua ostinatamente. – Etichettandolo continuerai a non afferrare la sua unicità. Lui non agisce in nome di idee. Lui agisce quando sente l’azioneprudergliincorpo.È un sensualista, è un estremista dei sensi. Vuole vivere in un corpo ai limiti dellesensazioni,ailimitidella conoscenza corporea. È per questochepuòaffermareche tutto è permesso, altrimenti perché mai dovrebbe affermare una cosa del genere, se non gli fosse cosí indifferente giustificare se stesso? Fa una pausa. Ancora una volta crede di sapere quello che la donna vuole dire. O piuttosto sa quello che vuole dire, mentre lei non lo sa. E tu?Seicosídiversotu? – Perché credi che lui abbia scelto l’ascia? Se pensi all’ascia e a quello che significa… – dice alzando le mani in segno di disperazione. Non riesce a spiegarsi fino in fondo. L’ascia, strumento della vendetta popolare, arma del popolo,dura,rozza,pesantee senza appello, vibrata con tuttoilpesodelcorpodietro, ilcorpoeilpesodiunavitadi odio e di risentimento accumulato in quel corpo, vibrataconunagioiacupa. Taccionoentrambi. –Cisonopersonechenon provano sensazioni in modo naturale – dice alla fine con voce pacata. – È questo che micolpípiúdituttoinSergej Nečaev la prima volta che lo vidi.Misembròunuomoche non avrebbe potuto avere un rapporto naturale con una donna, per esempio. E mi sono chiesto se questa non potesseessereunadellecause dei suoi tanti risentimenti. Ma forse è cosí che le cose andranno in futuro: le sensazioni non seguiranno piú i vecchi sentieri. I vecchi modi saranno consunti. L’amoreperesempio,l’amore saràusurato.Ecosíbisognerà inventarealtrimodi. Adesso è lei a prendere la parola: – Ora basta. Non voglio continuare a parlare. Sonolenovepassate.Sevuoi andare… Luisialza,fauninchinoe seneva. Allediecisitrovasulluogo dell’appuntamento, sulla Fontanka. Un forte vento la colpisce con rovesci di pioggia e fa ribollire le acque del canale. I lampioni cigolano striduli sulla banchina deserta; l’acqua gorgoglianellegrondaieenei fossi. Si ripara in un portone sempre piú incerto. Se mi prendounraffreddore,pensa, sarà l’ultima goccia. Si raffredda facilmente. Era cosí anche Pavel, fin da piccolo. Chissà se si raffreddava facilmente anche quando vivevaconlei?Loaccudivalei o lo affidava a Matrëna? Immagina Matrëna che entra nella stanza con un bicchiere di tè al limone, che cammina cautamente per tenere in equilibrio la tazza; immagina il sorriso di Pavel, i capelli scuri sul cuscino bianco, Pavel che dice con la voce roca del ragazzo: Grazie sorellina! La vita di un ragazzo in tutta la sua normalità! Con nessuno lí a spiarlo, abbassa la testa ed emette un rantolo da bue malato. Poialzalatestaesitrovala ragazzina di fronte, non Matrëna, ma la finlandese, che lo scruta perplessa: – Si sente male, Fëdor Michailovič? Imbarazzato, l’uomo scuoteilcapo. –Alloraandiamo. Lo conduce, come temeva che avrebbe fatto, a ovest, lungo il canale, verso il molo diStoljarnijelavecchiatorre di vedetta. Alzando la voce per coprire quella del vento, la ragazzina parla in tono amichevole: – Lo sa, Fëdor Michailovič, non si è fatto onore, parlando del popolo come ne ha parlato oggi pomeriggio. Lei ci ha deluso, propriolei,colsuopassato.In fondoèstatoinSiberiaperle sue idee. Noi la rispettiamo per questo. Perfino Pavel Aleksandrovič la rispettava. Non si deve arrendere proprioora. –PerfinoPavel? – Sí, perfino Pavel. Lei ha soffertoasuotempoeadesso anche Pavel si è sacrificato. Lei ha tutto il diritto di camminareatestaalta. Sembra che non abbia alcuna difficoltà a parlare camminando velocemente. Quanto a lui ha un dolore al fianco e respira a fatica: – Rallentiamo – dice ansimando. –Elei?–chiedeallafine– Chenesaràdilei? –Chenesaràdime? – Già, anche lei potrà camminare a testa alta in futuro? Si ferma sotto una lampada che oscilla violentemente al vento. Ha il viso illuminato a tratti dalla luce.Sierasbagliatoapensare che fosse una bambina che giocava a mascherarsi. Malgrado il corpo tondo e informe, ora, sotto la lampada, è visibile la sua determinazione fredda, di donna. –Noncredochestaròqui ancora a lungo, Fëdor Michailovič; né io né Sergej Gennadevič, né gli altri. QuellocheèsuccessoaPavel può succedere a tutti noi in ogni momento, perciò non scherzi su di noi. Si ricordi chescherzaanchesuPavel. Per la seconda volta nello stessogiorno,senteilbisogno dicolpirla.Edèchiarochelei percepisce la sua rabbia e infattispingeavantiilmento, come per sfidarlo a colpirla. Perché è cosí irascibile? Che cosa gli sta succedendo? Sta forse diventando uno di quei vecchi incapaci di controllarsi? O è ancora peggiodicosíe,oracheilsuo erede è morto, è diventato non solo un vecchio, ma un fantasma, uno spirito rabbiosoesolitario? La torre sul molo di Stoljarnij esiste dai tempi della costruzione di Pietroburgo, ma da tanto tempononvienepiúusata.E, anchesec’èancoraunsegnale che vieta il passaggio, è diventata un rifugio per i ragazzi piú audaci dei dintorni che, attraverso una scaletta a spirale incassata nelle mura, salgono su fino allasaladellafornace,postaa un’altezza di una trentina di metrieanchedipiú,finoalla cimadelcaminodimattoni. Legrosseportetempestate di chiodi sono chiuse e fermate da lucchetti, ma la piccola porta sul retro è stata forzata da un pezzo dai vandali. Nell’ombra di quella porta c’è un uomo che li aspetta. Mormora una parola di saluto alla finlandese e lei losegue. Dentro, l’aria puzza di escrementi e di muffa. Nel buio alcune voci basse bisbigliano oscenità. L’uomo accende un fiammifero e poi una lampada. Quasi ai loro piedi ci sono tre persone avvinghiate sopra un letto di sacchi.Distoglielosguardo. Quello con la lampada è Nečaev. Porta un cappotto lungoenerodagranatiere.Il volto è di un pallore innaturale; ha forse dimenticato di togliersi la cipria? –Soffrodivertigini–dice la finlandese, – perciò vi aspetterò qui. Lui le farà vedereilposto. Dentro la torre c’è una scala a chiocciola di ferro. Tenendo alta la lampada, Nečaev comincia a salire. I loro passi rimbombano nel piccolospazio. –Hannoportatoquassúil suofigliastro–diceNečaev.– Forse prima l’hanno fatto ubriacare per facilitarsi il compito. Pavel.Qui. Continuano a salire. Il pozzodellatorresottodiloro èingoiatodall’oscurità.Conta alla rovescia i giorni che lo separanodallamortediPavel, arriva a venti, poi perde il conto. Ricomincia, si confonde di nuovo. È mai possibilechesianopassaticosí tantigiornidaquandoPavelè salito su per quelle stesse scale? Perché non riesce a contarli? I giorni e gli scalini hanno qualcosa in comune. Ogniscalinoèunaltrogiorno sottratto alla somma dei giorni di Pavel. Un conto normale e un conto alla rovescia che procedono contemporaneamente, è questocheloconfonde? Arrivanoincimaallescale, suunlargopontediferro.La suaguidadondolalalanterna. – Da questa parte – dice, illuminando macchinari arrugginiti. Ora sono alti sulla banchina, su di una piattaforma esterna alla torre chiusa da una ringhiera che arrivaall’altezzadellavita.Da un lato nel muro sono incassati un meccanismo a carrucolaeilsostegnodiuna catena. All’improvviso il vento comincia a scuoterli. Lui prende in mano il cappello e si aggrappa alla ringhiera, cercando di non guardare sotto. Una metafora, si dice, eccochecos’è,un’altraparola chespiegailvenirmenodella coscienza, un non esserci, un’assenza. Niente di nuovo. La conosce bene. L’epilettico lo conosce bene quell’avvicinarsi all’orlo, quel guardare in fondo, lo sbandamento dell’anima, il pensiero che pensa se stesso pazzamente,all’infinito,come una campana che suoni a distesa nella testa: il tempo finirà,noncisaràlamorte. Si aggrappa piú forte alla ringhiera, scuote la testa per cacciare lo stordimento. Metafore, che idiozia! C’è la morte, solo la morte. La morte non è metafora di nulla. La morte è la morte. Non avrei mai dovuto accettaredivenire.Oraperil resto dei miei giorni avrò davanti agli occhi, come un’allucinazione, i tetti di Pietroburgo baluginanti sotto la pioggia e la fila di piccoli lampionisulmolo. A denti stretti si ripete le stesse parole: non dovevo venire! Ma i non cominciano a crollare, proprio come era successo con Ivanov. Non avrei dovuto venire e perciò devo stare qui. Non vedrò nient’altro e perciò vedrò tutto.Chefolliaèquesta?Che modomalatodiragionare? La sua guida ha lasciato dentro la lanterna e lui sente con violenza la presenza del corpo giovane vicino al suo, un corpo forte, carico di una forza vibrante, inesausta. In un qualunque momento potrebbeafferrarloperlavita e trascinarlo fino alla ringhiera, buttarlo giú nel vuoto. Ma chi lo farà? E chi saràlavittima? Si volta lentamente per guardare in faccia quel giovane:–SeèverochePavel è stato portato qui per essere eliminato – gli dice – la perdonerò per avermi trascinato fin qui. Ma se questo è solo un qualche mostruoso trucco, se è stato lei a buttarlo giú, l’avverto, nonsaràperdonato. Sono a meno di trenta centimetri di distanza uno dall’altro.Lalucedellalunaè coperta e loro sono percossi da rovesci di pioggia, ma Fëdor Michailovič è sicuro che Nečaev è impassibile. Molto probabilmente ha già fatto questo stesso gioco, con tutte le sue varianti, chissà quante volte; non può dire nientecapacedisorprenderlo. Oppure forse è un demone, che si scuote di dosso le maledizionicomel’acqua. –Dovrebbevergognarsidi parlare cosí. Pavel Isaev era un nostro compagno. Siamo stati la sua famiglia quando nonavevafamiglia.Leiseneè andato dalla Russia e lo ha lasciato solo. Non è rimasto in contatto con lui, è diventatounestraneoperlui. E ora si permette di venir fuori dal nulla e pronunciare le accuse piú folli contro l’unica vera famiglia che ha avuto al mondo –. Nečaev si stringe nel mantello. – Lo sa chi mi ricorda? Quei parenti lontani che arrivano al funerale con la loro borsa da viaggio, che saltano fuori dal nulla a reclamare l’eredità di qualcunochenonhannomai visto. Lei è un cugino di quarto grado, di quinto grado, per Pavel, non è un padre, non è neppure un patrigno. Èuncolpoterribile.Fëdor Michailovič cerca goffamente di scansare Nečaev e andarsene, ma quello gli blocca il passaggio: – Non chiuda le orecchie a quello che le sto dicendo! Lei ha abbandonato Isaev e noi l’abbiamo salvato: come può crederechepotremmoaverne causatolamorte? – Giuralo sulla tua anima immortale! Mentre le pronuncia è colpito dal tono melodrammatico di quelle parole. E di fatto tutta la scena: i due uomini su quell’altapiattaformaallaluce della luna, in lotta con gli elementi, urlanti contro il vento,chesiaccanisconouno contro l’altro, tutta quella scena è melodrammatica, falsa. Ma dove sono le parole veredadire,quelleacuiPavel darebbe la sua approvazione, annuendo, accennando un lentosorriso? – Non giuro su quello in cui non credo! – risponde Nečaev con freddezza. – Ma la ragione dovrebbe bastare a persuaderlachestodicendola verità. –EcheneèdiIvanov?La ragione dovrebbe dirmi che siete innocenti anche della suamorte? –ChièIvanov? –Ivanoverailnomechesi era dato quel disgraziato ingaggiato per controllare il palazzo dove abito. Dove abitava Pavel e dove la sua amicaèvenutaatrovarmi. – Ah, la spia della polizia. Quello con cui lei ha fatto amicizia.Cosaglièsuccesso? –Èstatotrovatomortoieri sera. – E allora? Noi abbiamo perso un uomo, loro hanno persounuomo. – Loro hanno perso un uomo? Vuole paragonare IvanovaPavel?Ècosíchefate iconti? Nečaev scuote la testa: – Non ci tiri dentro le personalità:nonfarebbealtro che confondere le cose. I collaboratori hanno tanti nemici.Ilpopololidetesta.La morte di questo Ivanov non mistupisceperniente. –Neppureioeroamicodi Ivanov né mi piaceva il suo lavoro, ma non mi sembrano buoni motivi per ucciderlo. Quantoalpopolo,cherazzadi idiozia!Nonèstatoilpopolo a farlo fuori. Il popolo non trama omicidi, e non nascondelesueorme. –Ilpopolosaqualisonoi suoi nemici e non spreca lacrimesullaloromorte! – Ivanov non era un nemico del popolo. Era un uomo senza un soldo e con una famiglia da sfamare, come decine di migliaia di altri. Se lui non era uno del popolo,allorachièilpopolo? – Lei sa bene che il suo cuore non stava col popolo. Chiamarlo uno del popolo è ozioso. Il popolo è fatto di contadini e di operai; Ivanov non aveva rapporti col popolo,noneraneppurestato reclutato dal popolo. Era un totale sradicato e per di piú un ubriacone, una preda facile da aizzare contro il popolo. Mi sorprende che un uomo intelligente come lei cada in una trappola tanto ovvia. – Intelligente o no, non accetto questo modo mostruoso di ragionare! Perché mi ha portato in questoposto?Avevadettoche mi avrebbe dato la prova dell’assassiniodiPavel.Dov’è questa prova? Il luogo stesso nonmisembraunaprova. – Certo che non è una prova. Ma questo è il posto dove è avvenuto l’omicidio, un omicidio che potremmo chiamare quasi un’esecuzione, ordinata dallo Stato.L’hoportataquiperché possa vederlo con i suoi occhi. Ora ha avuto la sua possibilità di vedere; se continua a non volerci credere,tantopeggioperlei! Siaggrappaallaringhierae guardalaggiú, nel buio senza fondo. Fra qui e laggiú c’è un’eternità di tempo in mezzo, un tempo cosí lungo che la mente non riesce ad afferrarlo. Fra qui e laggiú Pavel era vivo, piú vivo che mai. La vita raggiunge la massima intensità durante la caduta, una consapevolezza chestraziailcuore. – Se non ci crede è affar suo–ripeteNečaev. Credere, ancora parole. Che vuol dire credere? Io credo nel corpo a terra, là sotto. Credo nel sangue e nelle ossa. Raccogliere quel corpospezzatoeabbracciarlo: questo significa credere. Credere e amare, la stessa cosa. – Io credo nella resurrezione – dice. Parole venute da sole, senza premeditazione. Nella sua voce non c’è piú quel tono folle, enfatico. Pronunciandole, sentendole mentre le pronuncia, prova una gioia subitanea, non tanto per le parole in sé quanto per il modo in cui sono state dette, uscite da lui come fossero di un altro. Pavel!pensa. – Come? – Nečaev gli si avvicinapersentiremeglio. –Credonellaresurrezione delcorpoenellavitaeterna. – Non è questo che le ho chiesto–.Ilventoècosíforte cheilgiovanedeveurlareper farsi sentire. Il mantello gli sbatte addosso; si afferra piú saldamente per tenersi in piedi. – Eppure è questo quello chehodadire! Anche se è mezzanotte passataquandorientra,Anna Sergeevna lo sta aspettando. Sorpreso dalla sua preoccupazione e anche un po’ commosso, le racconta dell’incontro sul molo e delle parole di Nečaev sulla torre. Poi le chiede di spiegargli ancora quello che è successo lanotteincuiPavelèmorto. Per esempio, è sicura che Pavelsiamortosulmolo? – Questo è quello che mi hanno detto – risponde lei. – Cos’altro avrei dovuto credere? Pavel quella sera era uscitosenzadiredovesarebbe andato. Il giorno dopo trovai unmessaggio:avevaavutoun incidente, dovevo andare all’ospedale. –Macomefacevanoloroa sapere,perinformarti? –Intascaavevadellecarte. –Epoi? – Andai all’ospedale per identificarlo.Poilofecisapere alsignorMajkov. – Ma che spiegazione hannodato? – Non mi hanno dato spiegazioni. Io ho dovuto darne a loro. Sono dovuta andare alla polizia per rispondereallelorodomande: chi era; dove stava la sua famiglia; quando lo avevo visto l’ultima volta; per quanto tempo aveva vissuto con noi; chi erano i suoi amici, e cosí via, all’infinito. Tutto quello che mi hanno dettoèstatocheeragiàmorto quando lo hanno trovato e che la cosa era successa al molodiStoljarnij.Equestoè il messaggio che feci avere al signorMajkov.Nonsocosati abbiadettolui. – Lui ha usato la parola disgrazia.Nonc’èdubbioche deve aver parlato con la polizia. Disgrazia è la parola che usano per il suicidio. Era un telegramma, e cosí non poteva darmi troppe spiegazioni. – È quello che ho capito anch’io. Voglio dire, ho pensato che si trattasse di questo.Manonhomaicapito perchél’hafatto,sel’hafatto. Senza un segno, senza un indiziodiquellochestavaper succedergli. – Un’ultima domanda. Cosa indossava quella sera. Aveva addosso qualcosa di insolito? –Quand’èuscito? – No, quando lo hai visto…dopo. – Non lo so. Non ricordo. C’eraunlenzuolo.Nonvoglio parlarne, ma aveva un’aria serena;questovogliochetulo sappia. Lui la ringrazia, con tutto il cuore. Cosí finisce la loro conversazione. Ma una volta nella sua stanza, Fëdor Michailovič non riesce a dormire. Ripensa al telegramma tardivo di Majkov (perché ci aveva messo tanto?) Era stata Anja ad aprirlo; era stata Anja a entrare nel suo studio e a pronunciare le parole che ancora stasera gli rintronano nella testa come campane a morto, ognuna col suo pesante rimbombo: – Fedja, Pavelèmorto! Luiavevapresoinmanoil telegramma, lo aveva voluto leggeredasolo,ederarimasto a fissare imbambolato quel foglio giallo, nel tentativo di far esprimere al francese qualcosa di diverso da quello chediceva.Morto.Andatovia per sempre, dal mondo della luceallaprigionedelpassato. Senzaritorno.Eilfuneralegià fatto. Il conto regolato, il conto con la vita. Il libro chiuso.Cartastraccia. Mésaventure, quella era statalaparolaincodiceusata da Majkov. Suicidio. E ora Nečaev vuole fargli credere un’altra storia! La sua tendenza, l’impulso del suo cuore è a non credere a una paroladiquantodiceNečaev, a dare per buona la storia ufficiale. Ma perché? Perché detesta Nečaev, la sua persona, le sue convinzioni? Perché vuole tenere Pavel, anche in retrospettiva, fuori dalle sue grinfie? Oppure le sueragionisonopiúsporche: eludere finché può il dovere difarlucesuifatti,dicercare giustiziapersuofiglio? Perché riconosce in sé un’inerzia della quale la mortediPavelèsololacausa immediata.Invecchia,diventa giorno dopo giorno quello che certamente sarà, un vecchio in un angolo con nient’altro da fare che ripercorrerelesuesconfitte. Sonoioquellocheèmorto e che è stato sepolto, pensa. Pavel è quello che vive e che vivrà per sempre. Quello che orafacciofaticaacapireèche forma è questa in cui sono uscitodallatomba. Ricorda un compagno di prigioniainSiberia,unuomo alto,curvoegrigio,cheaveva violentato la figlia di dodici anni e dopo l’aveva strangolata. Dopo la tragedia era stato trovato seduto vicinoaunostagnocolcorpo senzavitafralebraccia.Siera arreso senza lottare; aveva solo insistito per portare il cadavere a casa da solo e per metterlosuunatavola:etutto questo, dicevano, sembra l’avesse fatto con la piú grande tenerezza. Gli altri prigionieriloevitavanoecosí non parlava con nessuno. Le sere le passava sulla sua branda con un sorriso tranquillo in faccia. Muoveva le labbra come se si ripetesse il Vangelo. Col tempo si poteva pensare che l’ostracismo si sarebbe allentato e che il suo pentimento sarebbe stato riconosciuto. E invece tutti continuavano a evitarlo, non tanto per un crimine commesso venti anni prima, quantoperquelsorriso,incui c’era qualcosa di cosí furbo e cosí folle che raggelava il sangue nelle vene. Lo stesso sorriso,siripetevanoglialtri, che aveva quando ha commesso il fatto: niente è cambiatonelsuocuore. Perché gli viene in mente proprio ora quell’immagine dell’uomo seduto vicino all’acqua dello stagno con la bambinamortafralebraccia? Una bambina troppo amata. Una bambina divenuta oggetto di tale intimità che non può esserle permesso di sopravvivere. Violenta tenerezza, tenera violenza. L’amore, rovesciato come un guanto, mostra le brutte cuciture. E con che cosa è cucito l’amore? Richiama ancora alla mente la faccia di quell’uomo, ne fissa il viso intensamente, senza concentrarsi sugli occhi socchiusi in una specie di trance,masullelabbra,chesi muovono appena. Non violenza carnale ma voracità: è questo che dicono? I padri che divorano i figli; li tirano su per poi mangiarseli. Delikatessen. Forse questo spiega lo spiritovendicativodiNečaev? Isuoiocchisisonoapertisui padri nudi, sul branco dei padri,contuttiiloroappetiti? Che tipo d’uomo sarà il vecchio Nečaev, il padre di Gennadij?Quandoungiorno gli arriverà la notizia, che primaopoigliarriverà,della morte del figlio, si siederà a piangere in un angolo o sorriderà nel segreto del suo cuore? Scuote la testa come per liberarsi da un assalto di demoni. Cos’è che inquina la purezzadelsuodolore?Cos’è che continua a insinuare che il lutto non sia altro che una grottesca maschera? Dentro di lui la verità sembra aver perso la strada. Come se nel labirinto del suo cervello, ma ancheinquellodelsuocorpo, nelle vene, nelle ossa, negli intestini, nelle membra, ci fosse un bambinello disperso che cerca la luce, che vuole uscire. Come farà a trovare il bambino disperso dentro di sé, come farà a dargli voce perché possa cantare la sua tristenenia? Ilsuonocheescedalleossa. Gli torna in mente una vecchialeggenda.Lastoriadi un giovane ucciso, mutilato, le sue membra disperse; quandosoffiailventodalsuo femore esce una nenia che ripete il nome degli assassini. Una dopo l’altra gli tornano in mente le vecchie leggende, storie sentite dalla nonna, storie di cui non capiva il significato,machehasepolto dentro di sé senza saperlo, come ossa seppellite per il futuro. Un grande ossario di storiepiúvecchiedellastoria, costruite e conservate dalla gente. Che Pavel trovi una stradadentrodime,chetrovi il mio femore e lo suoni per me! Padre, perché mi hai abbandonato nella foresta scura?Padre,quandoverraia salvarmi? La candela davanti all’icona non è piú che un piccolo lago di cera. Il mazzetto di fiori langue. Dopo aver fatto l’altare la bambina l’ha dimenticato o abbandonato.Hacapitoforse che Pavel ha smesso di parlargli, che lui ha perso la strada e che le sole voci che sente oramai sono quelle dei demoni? Tira su lo stoppino, accende la candela e s’inginocchia. Gli occhi della Verginesonoincollatiaquelli del bambino, che lo guarda dall’icona, col piccolo dito alzato,comeadammonirlo. 11. Lapasseggiata Durantelasettimanacheè trascorsadall’ultimoincontro intimo, fra lui e Anna Sergeevnasembraesseresorta una barriera di strano formalismo. Il suo modo di fareconluiècosíforzatoche FëdorMichailovičècertoche la bambina, che osserva e ascolta tutto, deve averne dedotto che la madre vuole che se ne vada al piú presto dallalorocasa. Per chi stanno facendo questa sceneggiata di indifferenza? Non per loro stessi di certo. Non può che essere in nome dei figli, di quella presente e di quello assente.Maluihabisognodi tenerlaancorafralebracciae non crede di esserle davvero indifferente. Per quanto lo riguarda, si sente come un cane che s’insegua la coda in circoli sempre piú stretti. Se avesse lei nell’oscurità protettiva, sente che le sue membra potrebbero sciogliersi e che lo spirito sarebbe liberato; quello spiritocheoraèlegatoalsuo corpo,nellespalle,neifianchi enelleginocchia. Alcentrodiquellafamedi lei, di quel desiderio, c’è qualcosa che la prima notte non aveva capito fino in fondo,macheoraècresciuto, lavogliadelsuoodore.Come due animali, lui è attratto da qualcosa che respira nell’aria che la circonda: l’odore di autunno, piú precisamente l’odore di noci. Ha cominciato a capire cosa guida la vita degli animali e quella dei bambini: l’attrazione o la repulsione per qualcosa che è diffuso nell’aria, per una sorta di alone, di atmosfera. Si vede sopradilei,abbrancatocome un leone che scava col muso fra i peli del collo; sprofonda ilnasonelleascelle,strofinala faccianellapelvi. La porta non è chiusa a chiave. Non è del tutto inconcepibile che la bambina stia aggirandosi per la casa e che possa coglierlo in uno stato di… (non gli piace quella parola, ma è l’unica giusta) di lussuria. E poi ci sono tanti bambini nottambuli:potrebbealzarsie smarrirsi nella sua stanza senza nemmeno svegliarsi. Gli odori intimi si trasmettono di madre in figlia? Chi ama la madre è destinato a desiderare anche la figlia? Pensieri deliranti, desideri deliranti! Dovranno esseresepolticonlui,nascosti a tutti tranne che a uno. Perché ora Pavel è dentro di lui, e Pavel non dorme mai. Può solo pregare perché una debolezza che un tempo avrebbe disgustato il ragazzo oggi non gli strappi altro che un sorriso, un sorriso divertitoetollerante. Forse anche Nečaev, quando avrà attraversato il fiume scuro della morte, smetterà di essere il lupo che è, e imparerà di nuovo a sorridere. Cosí la sera dopo va ad aspettare Anna Sergeevna, quando esce dal negozio di Jakovlev. Attraversa la strada pregustando il moto di sorpresacheavrànelvederlo: – Vogliamo fare una passeggiata?–propone. Lei si stringe alla gola lo scialle scuro: – Non so, Matrënamistaràaspettando. E comunque si incamminano. Il vento si è calmato, l’aria è fredda e pungente.Intornoaloronella strada c’è un gradevole affaccendarsi. Nessuno li nota. Potrebbero essere maritoemoglie. Leiportaunacestachelui leprende.Glipiaceilmodoin cui cammina: a passi lunghi, conlebracciaincrociatesotto ilpetto. –Prestodovròandarmene –ledice. Leinonrisponde. Il problema di sua moglie aleggiadiscretamentefraloro. Alludendo alla sua partenza, Fëdor Michailovič ha la sensazione di essere uno scacchista: ha spostato una pedina che, presa o lasciata, non può che portarli a maggiori complicazioni. I rapporti fra uomini e donne sonosemprecosí?C’èsempre uno che trama e un altro ai cui danni si trama? E questo tramare fa parte del piacere: essere oggetto dell’intrigo di unaltro,esserecondottiinun angoloecostrettidolcemente a capitolare? E mentre gli cammina a fianco anche lei forsetramacontrodilui? – Sto solo aspettando che l’inchiesta faccia il suo corso. Non ho neppure bisogno di fermarmi fino alla sentenza. Quellochevogliosonolesue carte. Tutto il resto non ha importanza. – E poi ritornerai in Germania? –Sí. Sono arrivati all’argine. Quandoattraversanolastrada lui la prende sottobraccio. Fiancoafiancosiappoggiano alparapettosull’acqua. – Non so se devo odiare questacittàperquellocheha fatto a Pavel, o se devo sentirmiancorapiúlegatoper questo.Perchéoraèlacasadi Pavel.Nonlalasceràpiú,non farà piú i viaggi che voleva fare. – Che stupidaggini, Fëdor Michailovič – risponde la donnaconunsorrisoappena accennato. – Pavel è con te. Seitulasuacasa.Luièneltuo cuore,vienecontedovunque tu vada. Chiunque se ne rende conto –. E gli tocca il pettoconlamanoguantata. Lui si sente sobbalzare il cuore, come se le dita della donna lo avessero toccato dentro il petto aperto. Civetteria, di questo si tratta, oppure di un gesto sgorgato dal cuore? Stringerla fra le braccia sarebbe la cosa piú naturaledelmondo.Sachele sta mangiando la bocca ben disegnata con gli occhi, le labbrasucuiancoraaleggiail sorriso.Daquellosguardolei non si ritrae. Non è una giovinetta; non è una bambina. Lo guarda a sua volta.OltreilcorpodiPavel,i due si lanciano le loro sfide. Unpensierobalena:sesololui non fosse qui! Poi svanisce dietrol’angolo. Da un venditore ambulante comprano crocchette di pesce per la cena. Matrëna apre la porta, maappenavedechelamadre è in compagnia se ne va. Durante la cena è di umore insopportabile e insiste perché la madre ascolti tutta la storia confusa di una lite avuta con una compagna di classe. Quando lui interviene per difendere blandamente l’altra bambina, Matrëna grugnisce e non lo degna di unarisposta. Ha sentito qualcosa nell’aria, lui lo sa, e adesso cerca di recuperare la madre. E perché no? È suo diritto. Eppure se solo lei non fosse qui!Questavoltanonreprime il pensiero; se non ci fosse la bambina non sprecherebbe un’altra parola. Spegnerebbe la luce e nel buio loro due si troverebbero ancora una volta. Potrebbero avere il grande letto, il letto della vedova, il letto che non ha visto il corpo di un uomo da… di quanto tempo aveva parlato?daquattroanni. Ha una visione di Anna Sergeevna, cruda nella sua sensualità. La sottogonna tiratasulescopreilseno.Lui sta sdraiato fra le sue gambe, strettofralesuecoscelunghe e bianche. Lei ha la faccia rivoltaaltrove,gliocchichiusi e respira affannosamente. È luil’uomoconcuistafacendo l’amore, eppure vede tutta la scena dal fondo del letto. È una visione dominata dalle sue cosce: le afferra con le mani,selestringesuifianchi. –Avanti,finisciquelloche hainelpiatto–diceallafiglia. –Nonhofame,mifamale lagola–piagnucolaMatrëna. Giocherellaancoraunpo’col cibo nel piatto, poi lo allontana. Lui si alza. – Buona notte, Matrëša. Spero che ti sentirai megliodomani–.Labambina non risponde. Lui se ne va, lasciandola padrona del campo. Oracapiscedadovegliera venutaquellavisione.Dauna cartolina comprata anni primaaParigiepoidistrutta, insiemeatuttalacollezionedi soggetto erotico, quando si è sposato con Anja. Una ragazza con i lunghi capelli nerisottoaunuomocoibaffi. AMORE ZIGANO, diceva la didascaliaagrandilettere.Ma le gambe della ragazza della cartolina erano grassocce, la carne flaccida, il viso rivolto verso l’uomo (che si reggeva rigidamente sulle braccia) privodiespressione.Lecosce diAnnaSergeevna,dell’Anna Sergeevna del suo ricordo, sonopiúmagre,piúforti.Nel modo in cui si stringono c’è qualcosa di risoluto che lui attribuisce al suo non essere piú una bambina, ma una donnaadulta,avida.Adultae perciò aperta (è questa la parola che gli si ripropone) alla morte. Un corpo pronto all’esperienza, perché sa che non vivrà per sempre. È un pensiero che lo eccita e al tempo stesso lo turba. A quelle cosce non importa chi stringono; visto da un luogo imprecisato,sopraeinfondo alletto,l’uomodellacartolina èenonèlui. Sul cuscino trova una lettera.Perunfollemomento pensa che sia di Pavel, che l’ha fatta arrivare di nascosto inquellastanza.Malagrafiaè infantile. «Ho cercato di disegnare Pavel Aleskandrovič–dice(ilnome è scritto male) ma non mi è venuto bene. Se vuole, può metterlosull’altare.Matrëna». Dietro c’è il disegno un po’ imbrattato di un giovane con la fronte alta e le labbra carnose. È un disegno rozzo, la bambina non sa fare i chiaroscuri,eppurelelabbrae soprattutto lo sguardo ardito sonodiPavel. – Sí, – mormora – lo metterò sull’altare –. Porta l’immagine alle labbra, poi la appoggia al candelabro e accendeun’altracandela. Sta ancora fissando la fiammella quando, un’ora dopo, Anna Sergeevna bussa alla porta. – Ho qui la biancheria–dice. –Entra,siediti. – No, non posso. Matrëna è agitata, credo che non stia bene–.Peròsisiedesulletto. – Ci tengono d’occhio questifiglinostri. –Tengonod’occhio? – Controllano la nostra moralità.Citengonoseparati. Èunsollievochenoncisia iltavolodapranzoasepararli. Anche la luce morbida della candelaèdolce. – Mi dispiace che devi partire,maforsesaràunbene per te lasciare questa città triste. Un bene anche per la tua famiglia. Gli mancherai. Anchelorotimancheranno. – Sarò un altro. Mia moglie non mi riconoscerà. Oppure penserà di conoscermi e sbaglierà. Prevedo tempi duri per tutti. Io penserò a te. Ma in che veste? Questo è il problema. Anche mia moglie si chiama Anna. – Io mi chiamavo cosí primadilei–.Èunarisposta tagliente, non scherzosa. Di nuovo capisce che se ama quella donna è perché non è giovane. Ha oltrepassato una linea alla quale sua moglie non si è ancora avvicinata. Puòesserglipiúomenocara, macomunqueglièpiúvicina. L’impulso erotico lo riafferra, piú forte di prima. Unasettimanaprimastavano stretti in quello stesso letto. Come può essere che lei ora noncipensi? Si china e le mette una mano sul fianco. Con la biancheria in grembo la donnachinalatesta.Luilesi fa piú vicino. Le prende il collofrapolliceeindice,attira ilvisoasé;leialzagliocchisu di lui, per un attimo Fëdor Michailovič ha la sensazione diaveredifrontegliocchidi un gatto, sospettoso, appassionato,ingordo. –Devoandare–mormora. Sidivincolaescappa. Ladesidera,èundesiderio acuto.Eperdipiúnonvuole averla in quel lettino ma nel grande letto da vedova, nel letto della stanza accanto. La immagina adesso, sdraiata accanto alla figlia, con gli occhi aperti e luccicanti. Lei appartiene a un tipo di donna, solo ora se ne rende conto,auntipodidonnache nonhamaidescrittoneisuoi libri. Le donne che ha conosciutononsonoprivedi una loro intensità, ma è un’intensità epidermica, fatta di nervi. Le loro sensazioni sono intense, elettriche, immediate, di superficie. In lei invece ha conosciuto un corpochesanguina,uncorpo viscerale, che prova le sensazioniinprofondità. È un tratto che può essere trasportato,ocoltivato,anche nellealtredonne? In sua moglie? Si tratta di una sensazione che ora potrà ritrovareanchenellealtre,ora chel’hascopertainlei? Cheslealtà! Sefossepiúsicurodelsuo francese potrebbe scaricare quest’eccitamento che lo turbainunodiqueilibriche è impossibile pubblicare in Russia,qualcosachepotrebbe scrivere di furia, in due o tre settimane, anche senza un copista, dieci segnature, trecento pagine. Un libro notturnoincuirappresentare tutti gli eccessi, senza limite alcuno.Unlibrochenessuno gli attribuirebbe mai. Il manoscritto verrebbe spedito daDresdaaPaillard,aParigi. Verrebbe stampato clandestinamente e lo venderebbero sotto banco sulla Rive Gauche. Memorie di un nobile russo. Un libro che lei, Anna Sergeevna, la sua vera ispiratrice, non vedrebbe mai. Con un capitolo in cui il nobile memorialista legge ad alta voce alla figlioletta dell’amante la storia della seduzione di una bambina di cui lui stesso si rivela sempre di piú come il protagonista. Unraccontopienodidettagli intimi e di allusioni, che non seduceaffattolabambina,che anzi la spaventa e le agita il sonnoelesuscitatantidiquei tormenti sulla sua purezza chetregiornidopo,disperata, gli si offre, nel modo piú vergognoso, in un modo in cui nessuna bambina potrebbeimmaginarelastoria della propria seduzione e del propriocedimento. Memorie immaginarie. Memoriedell’immaginazione. È questa la risposta alla domanda che si è posto? È questo che vuole concedersi? Scrivereunlibrodelmale.Ea che scopo? Per liberarsi dal male o tagliare i ponti con il bene? Neppure per un attimo di quell’interminabile fantasticheria(lacasaormaiè piombata nel silenzio) gli è passato per la testa Pavel. E ora ecco che torna, pallido, lamentoso, in cerca di un posto dove poggiare il capo. Povero figlio! Che tripudio dei sensi avrebbe potuto godere, la sua eredità strappata!Sdraiatonellettodi Pavel, non può reprimere un brividocupoditrionfo. In genere di mattina resta padrone dell’appartamento. Ma oggi Matrëna non è andata a scuola; ha le guance accese e una tosse secca, fa fatica a respirare. Con lei in giro per casa Fëdor Michailovič non riesce a concentrarsi e a scrivere. Si ritrova a spiare il rumore sordo dei suoi piedi nudi sul pavimento della stanza accanto. In certi momenti giurerebbe di avere i suoi occhiconficcatinellaschiena. A mezzogiorno il portiere porta un messaggio. Lui riconosce subito la carta grigia e il sigillo rosso. L’attesa è finita: gli viene ordinatodirecarsinell’ufficio del Consigliere giudiziario investigativo, P.P. Maksimov in relazione all’affare P.A. Isaev. Da via Sečnoj va alla stazione ferroviaria per fare una prenotazione, e da lí prosegue per il posto di polizia. L’anticamera è piena zeppa. Dà il suo nome al sergenteall’ingressoeaspetta. Rintoccanolequattroquando ilsergenteappoggialapenna, si stiracchia, abbassa la luce della lampada e comincia a mandar via quelli che ancora aspettano. – Come sarebbe? – protestaFëdorMichailovič. – È venerdí. Il venerdí si chiude prima. Torni domattina. Alle sei si trova davanti al negozio di Jakovlev. VedendololíAnnaSergeevna si agita: – Matrëša? – chiede allarmata. – Dormiva quando sono uscito. Sono passato in farmacia e ho preso qualcosa per la sua tosse –. Tira fuori unabottigliettamarrone. –Grazie. – Mi hanno chiamato di nuovoallapoliziaperlecarte diPavel.Sperochedomattina l’affare sarà concluso una voltapertutte. Camminano in silenzio. Anna Sergeevna sembra preoccupata. – C’è una ragione particolare per cui ti premonoquellecarte? –Mistupiscechetumelo chieda. Cos’altro ha lasciato Pavel? Non c’è niente al mondoaltrettantoimportante permeora.Quellecartesono lesueparoleperme–.Epoi, dopounapausa:–Sapeviche stavascrivendounracconto? – Scriveva racconti. Sí, lo sapevo. – Quella a cui sto pensando era la storia di un condannato, riuscito a fuggire. – No, quella non la conosco.Avolteleggevaame e a Matrëša quello che stava scrivendo,persentirecosane pensavamo. Ma non ricordo lastoriadiuncondannato. – Non sapevo che ce ne fosseroaltri. – Oh sí, racconti e anche poesie, ma quelle si vergognava di leggercele. La polizia deve averle prese quandohapresotuttoilresto. Sono stati a lungo nella sua stanza a rovistare. Non te l’avevo detto. Hanno perfino tirato su le assi di legno del pavimento e ci hanno guardato sotto. Hanno preso tutti i pezzi di carta che hannotrovato. – È cosí che Pavel passava iltempo?Scriveva? Leiglilanciaun’occhiata:– Comecredevichelopassasse? Fëdor Michailovič non ha larispostapronta. – Con un padre scrittore cosa ti aspettavi? – continua lei. – La scrittura non è un carattereereditario. –Nonloso.Forseno.Ma nonèdettochevolessefarela professione dello scrittore. Forseerasolountentativodi avvicinarsiasuopadre. Lui fa un gesto di esasperazione. Io lo avrei amatosenzaracconti!pensa,e invece dice: – Non c’è bisogno di guadagnarselo l’amorediunpadre. Lei esita prima di riprendere a parlare: – Ti devo avvertire di una cosa, Fëdor Michailovič. Pavel aveva costruito una specie di mito di suo padre, di Aleksander Isaev voglio dire. Non ne parlerei se non temessi che ne troverai le tracce nei suoi scritti. Devi capire:ifigliamanomitizzare igenitori.AncheMatrëna… – Mitizzare Isaev? Isaev eraunubriacone,unanullità, uncattivomarito.Suamoglie, la madre di Pavel, alla fine nonlosopportavapiú.Senon fosse morto prima, lei lo avrebbelasciato.Comesifaa mitizzare una persona del genere? –Vedendoloattraversoun velo,naturalmente.Pavelnon avrebbe potuto vedere te attraverso un velo perché gli eritroppovicino. –Perchéeroiochedovevo educarlo, un giorno dopo l’altro.Iolohoadottatocome figlio,quandotuttiglialtrilo avevanoabbandonato. – Non esagerare. I suoi genitori non lo avevano abbandonato, erano morti. Inoltresetuaveviildirittodi sceglierlo come figlio, perché luinonavrebbedovutoavere quellodiscegliersiunpadre? – Perché avrebbe potuto trovare qualcosa di meglio di Isaev! È diventata una malattia dei nostri tempi, questadeigiovanichevoltano le spalle ai padri, alle loro case, alla loro educazione, perché non sono piú di loro gusto! Niente li soddisfa, sembra. Vorrebbero solo essere figli e figlie di Stenka RazinodiBakunin! – Questo non ha senso: Pavel non è scappato di casa. Seituchehailasciatolui. Fra loro cala un silenzio pieno di risentimento. Quando arrivano a via Gorochovaja lui si scusa e se neva. Facendo su e giú per l’argine, continua a pensare alleparoledelladonna.Senza dubbio ha lasciato emergere unaspettovergognosodisée ora ce l’ha con lei che ne è stata testimone. Al tempo stesso si vergogna di tanta meschinità. È stretto in un dilemma morale che oramai gli è divenuto familiare, in verità cosí familiare che non gli dà piú neppure fastidio e per questo risulta ancora piú vergognoso. Ma c’è anche qualcos’altro che lo preoccupa, come la punta di unchiodochecominciafarsi sentire attraverso la suola dellascarpa,qualcosachenon havogliadidefinire. C’è ancora tensione nell’aria quando rientra nell’appartamento.Matrënasi è alzata dal letto e si è messa addosso il cappotto della madre sopra la camicia da notte,maipiedisonosempre scalzi.–Miannoio!–protesta piagnucolosa. Non fa caso a lui,eanchesesisiedeatavola con loro si rifiuta di mangiare.Intornoaleic’èun odore penetrante, ha il respiroaffannosoeditantoin tanto veri attacchi di tosse. – Dovresti startene a letto, mia cara – azzarda timidamente Fëdor Michailovič. – Non ha il diritto di dirmi cosa devo fare;nonèmicamiopadre!– ribatte subito la ragazzina. – Matrëša! – esclama la madre con tono di rimprovero. – È vero, non è tuo padre, – conclude poi e scivola in un silenziocaricodipensieri. Lui si è già ritirato nella sua stanza quando Anna Sergeevna bussa alla sua porta. Fëdor Michailovič si alza senza far rumore: – Come sta? – chiede a bassa voce. – Le ho dato un po’ della medicina che hai comprato e misembrachesisiacalmata. Non dovrebbe alzarsi, ma è testarda e io non sono in grado di oppormi. Sono venuta a scusarmi per quello che ho detto prima. E per sapere i tuoi programmi di domani. –Nondeviscusarti.Èstata colpa mia. Ho prenotato un posto per domani sera, ma posso cambiare la prenotazione. –Perché?Avrailecartedi Pavel domani. Perché cambiare la prenotazione? Perché fermarsi piú a lungo del necessario? Non vorrai mica diventare l’eterno pensionante, vero? È il nome diunlibro,osbaglio? – L’eterno pensionante? No,noncheiosappia.Tuttii programmi si possono cambiare, anche quello di domani. Niente è definitivo, ma in questo caso il cambiamentonondipendeda me. –Edachiallora? –Date. – Da me? Assolutamente no. I tuoi programmi dipendono solo da te, io non c’entro niente. È meglio salutarsi ora, domattina non ti vedrò perché devo alzarmi presto, è giorno di mercato. Lascia pure la chiave sulla porta. Allora ci siamo, pensa. Inspira profondamente e si sente la testa vuota. Da quel vuoto comincia a parlare, arrendendosi alle parole che gli vengono fuori spontanee, incontrollate. –Sultraghetto,quandomi hai portato sulla tomba di Pavel,–dice–hoosservatote e Matrëna appoggiate al parapetto che guardavate nella nebbia (ricordi che nebbia quel giorno?) e mi sono detto: «Lei te lo riporterà. Lei è – sospira profondamente – una traghettatricedianime».Non eraquellalaparolachepensai quel giorno, ma ora so che è laparolagiusta. La donna lo guarda con ariainespressiva,mentreluile prendelamano. – Lo rivoglio – le dice. – Deviaiutarmi,vogliobaciarlo sullabocca. Mentre dice quelle parole nesentetuttalafollia;ècome se entrasse e uscisse dalla follia,comeunamoscavicina aunafinestraaperta. Lei si è irrigidita, è pronta a scappare. Lui le stringe la manopiúforte,trattenendola. – Questa è la verità. È questo che penso di te: credo chePavelnonsiaarrivatoqui percaso;erascrittochedaqui sarebbe stato condotto… nellanotte. Crede solo in parte a quellochedice.Glitornaalla mente il ricordo, scollato, frammentario, di un quadro visto da qualche parte: una donna vestita di un austero abito scuro vicina a una finestra.Accantohalafigliae tutte e due guardano il cielo stellato. Ancora piú vividamentedelquadrostesso ricordalevolutedellacornice dorata. Lamanodileièinertefra lesue. – È in tuo potere – continua, inseguendo le parolecomesegnaliluminosi, per vedere dove lo porteranno. – Tu lo puoi riportare indietro, per un minuto,unosolo! Ricorda come gli era sembratadisidratata,laprima volta che l’aveva vista. Come una mummia: ossa secche avvolte in un sudario, ridotte in polvere al minimo contatto. Quando riprende a parlare, Anna Sergeevna dice con voce stridula: – Lo ami tanto che certamente lo rivedrai. Lui lascia andare la sua mano, lei la ritrae come una catena di ossa. Non mi prendere in giro! vorrebbe dirle. – Tu sei un artista, un maestro,–continualadonna –staate,noname,ridarglila vita. Maestro. È una parola che lui associa al metallo, alle lame da temperare, alle campane da fondere. Un mastro ferraio, un mastro fonditore. Maestro di vita: è unastranaespressione.Malui èprontoarifletterci,èpronto ad accogliere qualunque parola,anchelapiústrana,la piú obsoleta, nella speranza che possa essere un anagrammadiPavel. – Io non sono affatto un maestro – dice. – C’è un’incrinatura dentro di me. Che si può fare con una campanafessa?Unacampana fessanonsipuòaggiustare. Quellochediceèvero.Ma intantoglivieneinmenteche una delle campane della cattedrale della Trinità di Sergiev è incrinata dai tempi di Caterina, anzi da prima. Non hanno mai pensato di toglierla e fonderla: tutti i giornisisentesuonareincittà elagentelachiamalagamba dilegnodisanSergio. Ora c’è una nota di esasperazione nella sua voce: – Ti capisco, Fëdor Michailovič, ma devi pensare che non sei il primo genitore chehapersounfiglio.Pavelè vissutoventidueanni.Pensaa quanti bambini muoiono piccoli. –Eallora? – Allora renditi conto che subireunaperditaèlanorma enonl’eccezione,echieditise stai piangendo Pavel o te stesso. Perdita. Il gelo della distanza cala fra di loro. – Io non l’ho perso, lui non è perduto – risponde a denti stretti. Anna Sergeevna si stringe nelle spalle. – Se non è perduto devi scoprire dov’è. Certononèinquestastanza. Lui si guarda intorno. Quelle ombre che ballano in un angolo sono forse la traccia del respiro dell’ombra delfantasmadiPavel?–Non si vive in un posto senza lasciarvi qualcosa di sé – mormora. – No, certo che si lascia sempre qualcosa. È questo che dicevo oggi pomeriggio. Maquellochehalasciatonon èinquestastanza.Luiseneè andato da qui, non è qui che lo troverai. Parla con Matrëna, fai pace con lei prima di partire. Lei e tuo figlio erano molto vicini. Se halasciatounsegnodietrodi sé,quelsegnoèsudilei. –Esudite? – Gli volevo molto bene, Fëdor Michailovič. Era un ragazzo buono e generoso. Il fatto di essere tuo figlio non gli ha facilitato la vita. Era solo, insicuro, doveva lottare per trovare la sua strada. Io menerendevoconto,manon sono della sua generazione, non poteva parlare con me come faceva con Matrëna. Loro due potevano essere bambini insieme –. Esita, poi riprende: – Avevo la sensazione, penso di poterlo dire visto che ci stiamo parlando apertamente, che il bambino in lui fosse stato soffocato troppo presto, prima che avesse avuto il tempodigiocare.Nonsoseci hai mai pensato; forse no. Ancora mi stupisco della tua indignazione per una cosa cosí futile come la sua abitudinedialzarsitardi. –Cosatistupisce? – Non so, mi sarei aspettatapiúsimpatiaperuna cosa del genere da parte tua, da parte di un artista. Certi bambini sognano di notte, altri aspettano il mattino per cominciare a sognare. Bisogna pensarci due volte prima di svegliare un bambino che sogna. Quando Pavel stava con Matrëna poteva dare spazio al bambino che era in lui. Ora sono contenta che ne abbia avuto la possibilità, contenta che questa cosa non gli sia mancata. Gli ritorna alla mente l’immagine di Pavel a sette anni, con il cappotto grigio a quadretti, i copriorecchi e gli stivali troppo larghi per lui, Pavel che galoppa nella neve, gridando euforico. Nell’angolo di quell’immagine c’è qualcos’altro che si muove, qualcosa che Fëdor Michailovičallontana. – La prima volta che ci siamovisti,ioePavel,èstato a Semipalatinsk, quando lui aveva già sette anni. Non gli feci simpatia. Ero lo sconosciuto con cui lui e sua madre sarebbero andati a vivere. Ero quello che gli portavavialamadre. Suamadre,lavedova.Lui, ilfigliodellavedova. L’immagine che aveva cercato di allontanare e che continua a riproporglisi mentre parla è una sorta di troll, un piccolo essere deforme, con i capelli rossi e labarbarossa,nonpiúaltodi un bambino di tre o quattro anni.Pavelcontinuaacorrere egridarenellaneve,abattere leginocchiapergioco.Iltroll se ne sta da una parte e guarda. Porta una giacchetta color ruggine corta e senza maniche aperta sul collo e nonsembrasentirefreddo. … È difficile per un bambino…–AnnaSergeevna sta dicendo qualcosa che lui nonriesceaseguiredeltutto. Chi è quello strano essere? Scruta piú da vicino la sua faccia e ha un sussulto quandoloriconosce.Lapelle butterata, le cicatrici come bozzi duri e lividi nel freddo, la barba fina fina che esce dalle cicatrici, è Nečaev ancora lui, Nečaev rimpicciolito, in Siberia, sulla pista dei primi anni di suo figlio! Che vuol dire quella visione?Glisfuggeungemito e Anna Sergeevna taglia subito corto, offesa. – Mi dispiace–siscusa.Maormai l’ha offesa. – Sono sicura che avraidafarelevaligie–dice, esenevamentreluicontinua ascusarsi. 12. Isaev Viene introdotto nello stessoufficiodoveerastatola primavolta.Mailfunzionario alla scrivania non è Maksimov. Senza presentarsi l’uomoglifasegnodimettersi seduto. – Il suo nome? – chiede. – Credevo di dover incontrare il Consigliere Maksimov – dice dopo aver dettoilsuonome. – Dopo, dopo. Occupazione? –Scrittore. – Scrittore? Che genere di scrittore? –Scrivolibri. –Chegeneredilibri? –Racconti.Romanzi. –Perbambini? – No, non proprio per bambini. Ma spero che i bambinipossanoleggerli. –Nientediindecente? – Niente di indecente? – Riflette. – Niente che possa offendere un bambino – dice allafine. –Bene. – Ma il cuore ha le sue pieghe buie – aggiunge riluttante. – Non sempre ce nerendiamoconto. Per la prima volta l’uomo alza gli occhi dalle carte. – Che cosa intende dire? – È piú giovane di Maksimov, forseèilsuoassistente. –Niente.Niente. L’uomoappoggialapenna. – Passiamo a occuparci della morte di Ivanov. Lei lo conosceva? –Noncapisco.Credevodi essere stato chiamato in relazione alle carte di mio figlio. – Ogni cosa a suo tempo. Torniamo a Ivanov. Quando lohaconosciuto? – Gli ho parlato per la prima volta circa una settimana fa. Bighellonava sulla porta della casa dove attualmenteabito. –ViaSečnoj63. – Via Sečnoj 63. Faceva molto freddo e gli ho offerto unriparonellamiastanza.Ci hapassatolanotteeilgiorno dopohosentitoparlarediun omicidiodicuierasospettato. Solodopo… – Ivanov sospettato? Sospettato di omicidio? Ho capito bene? Lei credeva che Ivanov fosse un assassino? E perché? – Per favore, mi lasci finire! Si era sparsa una voce del genere nel palazzo, oppure la bambina che me l’hariferitaavevacapitomale. Nonsocomestesserolecose. Ma che importanza ha, visto che quell’uomo è morto? Sono rimasto sorpreso e orripilato all’idea che uno come lui fosse stato ucciso. Erainnocuo. – Ma non era quello che sembrava,nonèvero? – Vuol dire un mendicante? – Ecco, non era un mendicante,nonlepare? –Inuncertosensono,ein uncertosensosí. – Lei non è chiaro. Vuole sostenere che non aveva idea del compito di Ivanov? È per questochesièstupito? – Mi sono stupito che qualcuno abbia messo a repentaglio la sua anima immortale per uccidere una nullitàinnocuacomelui. Il funzionario lo guarda con aria sardonica: – Una nullità, è questa la sua parola diamorecristianoperlui? In quel momento entra Maksimovdigranfuria.Sotto il braccio ha un mucchio di fascicoli legati da nastri rosa. Li butta sulla scrivania, tira fuori il fazzoletto e comincia adasciugarsilafrontesudata: – È cosí caldo qui dentro! – bofonchia e poi, rivolto al collega:–Grazie,haifinito? Senza dire una parola l’altro raccoglie le sue carte e se ne va. Sospirando e asciugandosi la faccia, Maksimov si siede alla scrivania: – Mi dispiace davvero, Fëdor Michailovič. Comunque, quanto al problema delle carte del suo figliastro,purtroppodovremo trattenere la lista di persone che vanno, come dicono i nostri amici, liquidate. Sono certo che concorderà con me che è meglio che quella lista non giri perché non farebbe altro che seminare il panico. Inoltre dovrà entrare a far parte del dossier contro Nečaev. Tutte le altre carte sono sue, noi abbiamo finito di esaminarle, ne abbiamo, percosídire,estrattoilmiele. – Comunque, prima di passargliele,vorreipregarladi unacosa,semifaràl’onoredi ascoltarmi. Se mi fossi posto nella pura e semplice posizione dell’ufficiale di polizia, che l’ha incontrata per motivi di lavoro, le consegnerei queste carte senzaulterioricommenti.Ma in questo caso non sono solo un funzionario, sono anche, semipermettelaparola,una persona animata da benevolenza nei suoi confronti.Einquantotaleho forti riserve sull’opportunità di consegnarle queste carte. Mi lasci spiegare queste riserve.Ilproblemaèchelesi preparano scoperte dolorose, dolorose e niente affatto necessarie. Se volesse accettare il mio umile consiglio, io potrei indicarle alcuni passi particolarmente imbarazzanti, sui quali farebbe bene a sorvolare. Ma naturalmente, conoscendola come la conosco, cioè nel modo in cui un lettore conosceunoscrittoredaisuoi libri,unmodomoltointimoe al tempo stesso molto limitato, temo che i miei sforzi sortirebbero solo l’effetto contrario, quello di accendere la sua curiosità. Perciò mi lasci dire solo due parole: non me ne voglia per aver letto queste pagine (dopotutto è il compito affidatomi dalla Corona) e non se la prenda con me per aver previsto correttamente (se cosí sarà) la sua reazione. Amenodigrossenovità,ioe lei non ci vedremo piú. Non c’è motivo per cui lei non possa dirsi che ho smesso di esistere, allo stesso modo in cui un personaggio di un libro si può dire che cessi di esistere una volta chiuso il libro stesso. Per quanto mi riguarda può star certo che sarò una tomba. Nessuno sentirà una parola da me a proposito di questo episodio imbarazzante. Cosí dicendo Maksimov, usando solo il medio della mano destra, spinge il fascicolo sulla scrivania, il fascicolo sorprendentemente altodellecartediPavel. Fëdor Michailovič lo prende, si alza e fa per andarsene,quandoMaksimov aggiunge:–Semièpermesso, vorrei trattenerla un altro minuto a proposito di un altroproblema…nonleèper caso capitato di contattare Nečaev o la sua banda qui a Pietroburgo? Ivanov! Nečaev! Ecco la ragione per la quale è stato convocato!Pavelelesuecarte e tutto il balletto contrito di Maksimov erano solo una scusa, uno specchietto per le allodole! – Non vedo che cosa c’entri la sua domanda – risponde freddamente – né con che diritto si aspetti o pretendadameunarisposta. – Nessun diritto, per carità! Si tranquillizzi, nessuno la sta accusando. Solo una domanda. Quanto allasuaattinenzacredevoche non fosse difficile immaginarla. Avendo parlato conmedisuofiglio,pensavo che le risultasse piú facile parlare di Nečaev. Perché l’altra volta ho avuto l’impressione che le sue parole avessero un doppio senso. Che ciascuna ne nascondesse dietro un’altra. Chenepensa,misbagliavo? – Quali parole, cosa c’era dietro? –Questostaaleidirmelo. –Sisbaglia.Nonparloper enigmi. Ogni parola che uso vuol dire quello che dice. PavelèPavel,nonèNečaev. Detto ciò si volta e se ne va. Maksimov non lo richiama. Passando per le strade della Moskovskaja arriva col suopaccoalnumero63divia Sečnoj e sale su per le scale fino al terzo piano e alla sua stanza,dovesichiude. Scioglie i nastri col cuore che gli martella dolorosamente in petto. Non puònegarechenellasuaansia ci sia qualcosa di ripugnante. È come se fosse tornato adolescente, ai pomeriggi lunghieafosi,nellastanzadel suo amico Albert, passati a sbirciare i libri sfilati dagli scaffali della biblioteca dello ziodiAlbert.Lostessoterrore diesserecoltoconlemaninel sacco(unterroreamodosuo eccitante), lo stesso totale trasporto. Ricorda Albert quando gli aveva mostrato l’accoppiamento di due mosche. Il maschio cavalcava la femmina. – Guarda – gli aveva detto – e aveva stretto fra le dita un’ala dell’insetto; tirando appena, l’ala era venuta via e la mosca non se n’era neppure accorta. Allora gli aveva strappato l’altra e la mosca,oracosíbizzarrasenza le ali, aveva continuato, ignara.Conun’espressionedi disgusto Albert aveva allora buttato per terra la coppia di insettiel’avevaschiacciatacol piede. Poteva immaginare di fissare gli occhi della mosca mentre le venivano strappate le ali: era sicuro che non avrebbero registrato nulla, forse non avrebbero visto neppure lui che li guardava. Era come se, durante l’atto, l’anima del maschio fosse colata dentro la femmina. Quel pensiero l’aveva fatto rabbrividire, avrebbe voluto distruggere tutte le mosche dellaterra. Unarispostainfantileaun atto che non comprendeva, un atto che temeva perché tutti intorno a lui, bisbigliando e ammiccando, sembravano alludere al fatto che anche lui, un giorno avrebbe dovuto farlo. – Non lofarò,nonlofarò!–ansima ilragazzino.–Nonfaraicosa? – rispondono i presenti, sbarrando improvvisamente gliocchi,confusi:–Accidenti, madicheparlaquestostrano ragazzino? Nel fascicolo c’è un diario rilegato in pelle, cinque quaderni,unaventinadifogli spillati insieme, un pacco di lettere legate con una cordicellaequalchepamphlet stampato:testidiBlanquiedi Išutin, un saggio di Pisarev. Lastranezzaèunestrattodel De Officiis di Cicerone, in traduzionefrancese,contesto a fronte. Sull’ultima pagina è stato scritto, con una grafia chenonconosce,Saluspopuli supremalexesto, e sotto, con inchiostro piú chiaro, Talis paterqualisfilius. Un messaggio? Messaggi? Madichieperchi? Prende il diario e, senza leggere,scorrelepaginecome fosserounmazzodicarte.La seconda metà è vuota. Ma comunque la parte scritta è sostanziosa. Guarda la prima data: 29 giugno 1866, onomasticodiPavel.Ildiario dev’essere stato un regalo. Di chi?Nonriescearicordare.Il 1866loricordasoloinquanto è stato l’anno di Anja, l’anno incuiavevaincontratolasua futura moglie e se ne era innamorato.Il1866,unanno in cui Pavel era stato ignorato. Scorre quelle pagine come se si trattasse di un piatto bollente, sta in guardia, pronto a ritrarsi. Comincia a leggere dall’inizio. È il resoconto, piuttosto elaborato, della giornata di Pavel. Il lavoro di un memorialistaalleprimearmi. Non ci trova accuse né denunce. Chiude il diario, sollevato.Quandorientreròa Dresda,sidice,eavròtempo, loleggeròtutto. Le lettere sono tutte sue. Apre la piú recente, l’ultima, prima della morte di Pavel. «Mando cinquanta rubli ad Apollon Grigorevič – legge – è il massimo che ci possiamo permettere al momento. Per favorenoninsistereconA.G. per averne di piú. Devi imparare a vivere contando suituoimezzi». Le sue ultime parole per Pavel,echeparolemeschine! Questo aveva visto Maksimov! Non c’è da stupirsi che l’avesse avvertito dinonleggere!Chevergogna! Vorrebbe bruciare quelle lettere,cancellarledallastoria. Cercailraccontodelquale Maksimov gli aveva letto un brano. Maksimov aveva ragione: il protagonista, Sergej, il giovane eroe deportato in Siberia per aver condotto una rivolta studentesca,nonregge.Mala storia è piú lunga di quanto Maksimov gli aveva fatto credere. Per giorni e giorni dopo aver ucciso il padrone malvagio, Sergej e Marfa fuggono dalla polizia, nascondendosi nei fienili e nelle stalle, protetti dai contadinichelinascondonoe li nutrono e oppongono alle ricerche della polizia un’ottusità piena di stupore. In principio i due dormono fianco a fianco, da casti compagni; poi nasce l’amore, un amore reso con sentimento, con partecipazione. Pavel sta chiaramente preparando una scena di passione. C’è una pagina, pesantemente cancellata, in cui Sergej confessa a Marfa, con lo stile ardente degli scritti giovanili, che ormai è diventata qualcosa di piú di una compagna di lotta, che gli ha presoilcuore.Alsuopostoè stata inserita una sequenza molto piú interessante in cui il ragazzo racconta la storia della sua adolescenza solitaria, senza fratelli e sorelle, e del suo impaccio conledonne.Ilbranofinisce conMarfachebalbettalasua confessione d’amore: «Tu puoi,puoi…»,dice. Ritorna su quel passo. «Non ho genitori – dice SergejaMarfa.–Miopadre,il mioveropadre,eraunnobile esiliato in Siberia per le sue simpatie rivoluzionarie. Morí quando io avevo sette anni e mia madre si risposò. Al suo nuovo marito non piacevo. Appena fui grande abbastanza mi spedí in un collegiopercadetti.Eroilpiú piccolodellaclasse;èlícheho imparato a lottare per i miei diritti. In seguito loro tornarono a Pietroburgo, misero su casa e mi mandarono a prendere. Poi mia madre morí e io rimasi solo col mio patrigno: un uomocupocheraramentemi rivolgevalaparola.Erosolo,i miei unici amici erano fra i servi, è da loro che ho scoperto le sofferenze del popolo». Nonprivodifondamento, eppurecomedistortoadarte! – Non gli piacevo! – Si potrebbe simpatizzare con la solitudine del ragazzino di sette anni e provare il desiderio sincero di proteggerlo,macomeamarlo cosí sospettoso com’era, sempre col muso, sempre incollato alla madre come l’edera, pronto a protestare appena lei si allontanava un momento? Come amare un ragazzino che la notte chiamavalamammadallasua stanza, per sei volte di fila, perché andasse a schiacciare lazanzaracheloinfastidiva? Chiude il manoscritto. Il padre, un nobile. Ah, davvero! Povero bambino! Come era piú prosaica la verità,etuttalaveritàancora piú meschina. Ma chi vorrebbe registrare tutta la prosaica verità, chi a parte l’angelo custode? Cerca di ricordare se a ventidue anni anche lui scriveva con altrettantapartecipazione. C’è una cosa terribilmente importante che vorrebbe dire echeilragazzononpotràmai sentire. Se hai il dono della scrittura, ricordati da dove ti vienequeldono.Scriviperché sei stato solo da bambino, perché non sei stato amato. (La storia però non è andata cosí, vorrebbe aggiungere, tu sei stato amato, saresti stato amato, è stata una tua scelta non esserlo. Che confusione! Uno scimmione all’armonium avrebbe tirato fuori qualcosa di meglio!) Non è la pienezza che ci fa scrivere, ma l’angoscia, la mancanza. In fondo al cuore sonosicurochelosai!Quanto altuocosiddettoveropadree alle sue simpatie rivoluzionarie, sono tutte idiozie! Isaev era un impiegato, uno scribacchino. Se fosse vissuto e tu lo avessi emulato, saresti diventato un impiegato anche tu, non avresti mai scritto questo racconto(Sí, sí, sente la voce acuta del bambino, ma sarei vivo!) Giovanottivestitidibianco che giocano al croquet, croixquette, al gioco francese delle crocette, e tu sul prato verde fra loro! Povero ragazzo! Per le strade di Pietroburgo, nel volgersi di unatestaqui,nelgestodiuna mano là, ti vedo, e tutte le volte il cuore si gonfia come un’onda. Sei dovunque e da nessuna parte, strappato e disperso come Orfeo. Giovane, chryseos, dorato, felice. Il compito che mi è stato affidato: raccogliere i tesori e mettere insieme le membra disperse. Poeta, suonatore di lira,incantatore,signoredella resurrezione, è questo il mio compito. E la verità? Spalle rigideecurvesuunascrivania e il dolore di un cuore che battelentamente.Uncuoredi tartaruga. Sono arrivato troppo tardi per sollevare il coperchio del sepolcro, troppo tardi per baciarti la fronte fredda e liscia. Se le mie labbra, sensibilicomeipolpastrellidi un cieco, avessero potuto sfiorarti almeno una volta, non avresti lasciato il mondo con quel rancore per me. Ma teneseiandatovia,colnome di Isaev e io, vecchio uomo, vecchio pellegrino, resto qui, ti seguo a distanza, inseguo un’ombra viola sul grigio, un’eco. Ecomunqueiosonoquie papà Isaev non c’è. Se annegando dovessi raggiungere Isaev, afferrerai solo la mano di un fantasma. Nella città di Semipalatinsk, nei fascicoli pieni di polvere finiti in uno scatolone nel sottoscala,forseancorasipuò leggere la sua firma; nient’altro. Di lui non resta altra traccia che in questa memoria, nella memoria di unuomochehaaccoltolasua vedovaesuofiglio. 13. Lamaschera L’affare Pavel è chiuso. Non c’è piú niente che lo trattenga a Pietroburgo. Il treno parte alle otto, per martedípotràesseredinuovo con sua moglie e suo figlio a Dresda. Ma piú si avvicina l’ora della partenza piú gli sembrainconcepibilel’ideadi togliere le immagini dall’altare,spegnerelecandele e lasciare la stanza di Pavel a unosconosciuto. Eppure se non parte ora quando partirà? L’eterno pensionante: dove aveva pescato quella definizione Anna Sergeevna? Per quanto tempo può andare avanti ad aspettare un fantasma? A menocheilsuorapportocon la donna non cambi, non cambi completamente… ma allora cosa succederebbe con suamoglie? Lasuamenteètravoltada un vortice, non sa che cosa vuole, sa solo che le otto di sera incombono su di lui comeunacondannaamorte. Cerca il portiere e dopo infinitecontrattazioniriescea mandare un fattorino alla stazione perché sposti la prenotazionealgiornodopo. Quando rientra è stupito ditrovarelastanzaapertacon dentro qualcuno, una donna chedàlespalleallaportaesta ispezionando l’altare. Per un attimo immagina, pieno di sensi di colpa, che sia sua moglie, venuta a Pietroburgo acercarlo.Poicapiscedichisi tratta e dalla gola gli sfugge un grido di protesta: Sergej Nečaev, col vestito blu e il cappellino con cui l’aveva vistoinprecedenza. In quel momento entra ancheMatrëna;primachelui riesca a parlare, la bambina prende l’iniziativa: – Non si spia la gente alle spalle in questomodo!–esclama. – Ma che cosa ci fate voi duenellamiastanza? – Abbiamo almeno gli stessi diritti… – comincia a dire lei con irruenza, ma Nečaevlainterrompe. – Qualcuno ha portato la polizia sulle nostre tracce – dice. Poi fa un passo verso FëdorMichailovičeaggiunge: –Sperononsiastatolei. Sotto il profumo di lavanda si percepisce l’odore asprodelsudoremaschile.La cipria sul collo è percorsa da rivoletti e sotto comincia a spuntarelabarba. – È un’accusa spregevole, davverospregevole.Loripeto: che cosa state facendo nella mia stanza? – Poi si volta verso Matrëna: – E tu per di piú sei malata, dovresti startenealetto! Ignorandolo, la ragazzina tirafuorilavaligiadiPavel:– Gli ho detto che poteva prendereilvestitodiPavel–. E poi, prima che l’altro replichi: – Certo che può. Pavel l’aveva comprato con i soldi suoi e Pavel era amico suo! Aprelavaligia,tirafuoriil vestito bianco – Eccolo! – dicecontonodisfida. Nečaev dà un’occhiata velocealvestito,poilospiega sul letto e comincia a sbottonarsi. – Vorrei delle spiegazioni… –Nonc’ètempo.Miserve ancheunacamicia. Sfilalemanicheeilvestito glicadeaipiedi,luirimanelí davanti a loro con la biancheriadicotonesporcae gli stivaletti di vernice nera. Non porta calzettoni e ha gambemagreepelose. Matrëna, neppure sfiorata dall’imbarazzo, comincia ad aiutarlo a mettersi gli abiti di Pavel. Fëdor Michailovič vorrebbe protestare, ma cosa dire ai giovani quando si tappano le orecchie e stringono le fila contro i vecchi? – Che ne è della finlandese? Come mai non c’e? Nečaev s’infila la giacca; è troppo lunga e le spalle sono troppolargheperlui.Nonha il fisico prestante di Pavel, nonèaltrettantobello.Fëdor Michailovič prova un disperato orgoglio per il figlio. Perché è morto lui e nonquest’altro? – L’ho dovuta lasciare, – diceNečaev–eraimportante filareviavelocemente. – In altre parole l’ha abbandonata –. E poi, prima che l’altro possa rispondergli: – Si lavi la faccia, sembra un pagliaccio. Matrëna sgattaiola via e ritorna con uno straccio bagnato. Nečaev se lo passa sullafaccia.–Anchelafronte – suggerisce la bambina. – Daiqua–glitoglielostraccio di mano e glielo passa sulle sopracciglia impastate di cipria. Sorellina. Chissà se faceva lo stesso anche con Pavel? Qualcosaglistringeilcuore;è invidia. – Pensa davvero di sfuggire alla polizia vestito comeunsignoreinvacanzaal mareinpienoinverno? Nečaev non fa caso alla battuta. – Ho bisogno di soldi,–dice. –Damenonneavrà. Nečaev si rivolge alla bambina:–Haisoldi? Leicorreviaesisenteche trascinaunasedianellastanza accanto. Ritorna con un barattolopienodimonete.Le rovesciasullettoecominciaa contare. – Non bastano – brontola Nečaev ma comunque aspetta. – Cinque rubli e quindici copechi – annunciaMatrëna. –Meneservonodipiú. – Allora vada per strada a chiederli. Da me non li avrà. Vada per strada e chieda la caritàinnomedelpopolo. Iduesifissanoconodio. –Perchénonvuoledarglii soldi? – dice la bambina. – LuièamicodiPavel! –Nonhosoldidadargli. – Questo non è vero! Alla mamma ha detto di avere tanti soldi; perché non gliene dà la metà? Pavel Aleksandrovič gliene avrebbe datalametà. Pavel e Gesú. – Non ho maidettounacosadelgenere. Nonhotantisoldi. – Avanti, fuori i soldi! – Nečaev lo prende per un bracciocongliocchiaccesidi furore. Ancora una volta sente l’odore della paura addosso a quel giovane. Audace ma spaventato: pover’uomo! Poi, con determinazione, chiude il cuore alla pietà: – Non ci pensonemmeno! – Perché è cosí meschino? – grida Matrëna piena di disprezzo. –Nonsonomeschino. – Certo che è meschino! Lo era con Pavel e ora lo è con i suoi amici! È pieno di soldimalitienituttipersé–. Si rivolge a Nečaev. – Lo pagano migliaia di rubli per scrivere libri, ma lui li tiene tutti per sé. È proprio vero, melohadettoPavel! – Che sciocchezza, Pavel noncapivanientedisoldi. – Invece è vero, Pavel ha guardatoneicassetti,havisto isuoiconti. – Accidenti a lui! Pavel nonsacomesileggeunlibro contabile, ci vede solo quello checivuolevedere!Hoavuto per anni e anni da pagare debiti che neppure v’immaginate!–Poi,rivoltoa Nečaev: – Questa è una conversazione ridicola. Non hosoldidadarleepensoche dovrebbe andarsene via di qui,immediatamente. Ma Nečaev non ha piú fretta. Sorride perfino. – Tutt’altro che una conversazione ridicola! – dice. – Al contrario, molto istruttiva. Ho sempre sospettatocheilveropeccato dei padri, quello che non confessano mai, sia l’avidità. Vogliono tenere tutto per sé. Non mollano i cordoni della borsa nemmeno quando è giuntal’ora.L’unicacosaacui tengono è la borsa, non importa a quale prezzo. Io non volevo credere a quello che mi raccontava il suo figliastroperchéavevosentito dire che era un giocatore e credevo che i giocatori non desseroimportanzaaldenaro. Ma c’è un’altra faccia del gioco, non è vero? Lei deve far parte di quella specie di giocatori che giocano perché non sono mai soddisfatti, voglionoaveresempredipiú. Èun’accusaridicola.Pensa adAnjaaDresda,checalcola il centesimo per vestire e nutrire il figlio. Pensa ai suoi colletti delle camicie rivoltati e ai buchi nei calzini. Pensa alle lettere che ha scritto a Strachov e Kraevskij, a Lijubimov, a Stellovskij, un anno dopo l’altro, tutti esercizidiautomortificazione, incuimendicavaunanticipo. Dostoevskij l’avare, che assurdità! Infila la mano in tasca e tira fuori gli ultimi rubli. – Questi – dice mettendoli sotto il naso di Nečaev – questi sono tutto quellocheho! Nečaev guarda con freddezza la mano tesa e poi, con un solo, veloce movimento,acchiappaisoldi, tutti tranne una moneta che rotola sotto il letto. Matrëna situffaaraccoglierla. Lui cerca di recuperare i soldi, prova perfino ad azzuffarsi col giovanotto, ma Nečaev lo tiene facilmente a distanza e al tempo stesso fa scomparireisoldinellatasca. – Calma, calma, calma Fëdor Michailovič… – mormora Nečaev.–Losocheinfondo infondo,perilbenediPavel, me li vuole dare –. Fa un passo indietro lisciandosi il vestito,comepermostrarsiin tuttoilsuosplendore. Che poseur! Che ipocrita! Proprio la Vendetta del Popolo! Eppure non può negarecheunaspeciedigioia gli si sta insinuando nel cuore; l’allegria del marito spendaccione.Certochesono episodi vergognosi quei suoi attacchi di prodigalità. Certo, quando torna a casa spoglio dituttoeconfessaallamoglie e china la testa e sopporta i suoi rimproveri e giura che noncicascheràpiú,èsincero. Ma in fondo al cuore, sotto quellasincerità,dovesoloDio vede, sa di avere ragione, mentre lei ha torto. I soldi esistono per essere spesi, e qualemododispenderlièpiú purodelgioco? Matrëna stende la mano con la moneta da cinquanta copechi sul palmo. Sembra nonsapereachidarla.Fëdor Michailovič accenna a Nečaev.–Dallaalui,luineha bisogno –. Nečaev intasca la moneta. Bene, è fatta. Ora è il suo turno. Ora tocca a lui assumere il ruolo della virtú priva di mezzi e a Nečaev tocca abbassare la testa e subire i rimproveri. Ma che cosa ha da dire? Niente, proprioniente. E a Nečaev non interessa piúaspettare.Staarrotolando ilsuovestitoblu. – Nascondilo da qualche parte – dice alla bambina – non qui, da qualche altra parte –. Le passa anche il cappelloelaparrucca,infilail fondo dei calzoni negli stivaletti,sibuttasullespalleil mantello e si batte la fronte con aria sbadata: – Ho perso troppo tempo – borbotta. – Ha per caso…? – Afferra un berretto di pelliccia dalla sediaesidirigeversolaporta. Poisiricordaqualcosaetorna indietro: – È una persona interessante, Fëdor Michailovič. Se avesse una figlia dell’età giusta non mi dispiacerebbe sposarla. Sarebbe una ragazza eccezionale, ne sono certo. Ma il suo figliastro era diverso, non le somigliava affatto.Nonsoseavreisaputo cosafarmene,nonaveva…lei mi capisce, non aveva quello checivuole.Almenoquestaè lamiaopinione,perquelche vale. –Echecosacivuole? – Era un po’ troppo santarellino. Fate bene ad accenderglilecandele. Parlando ha continuato a muovere la mano sopra la candela, facendo agitare la fiamma. Poi mette un dito direttamentesopralafiamma e ce lo tiene. I secondi passano: uno, due, tre, quattro, cinque. La sua espressione non cambia, sembraintrance. –Èquestocheglimancava –dicetogliendolamanodalla candela – era una femminuccia. Prende Matrëna e la stringe fra le braccia. La bambina risponde all’abbraccio senza riserve, abbandonandogli la testa biondasulpetto. –Wachsam,wachsam!–le bisbiglia complice e, sopra la sua testa, mostra il dito bruciatoaFëdorMichailovič. Poiscompare. Gli ci vuole un po’ per capireilsensodiquellestrane sillabe. Anche dopo aver riconosciuto la parola si chiede cosa significhi. In guardia,inguardiapercosa? Matrënacorreallafinestra, si sporge per guardare la strada. Gli occhi le si riempiono di lacrime fugaci, ma è troppo eccitata per essere triste. – Ce la farà? – domanda e poi, senza aspettarerisposta:–Èmeglio che vada con lui? Potrebbe fingersi cieco e io potrei guidarlo – ma è solo un’idea passeggera.FëdorMichailovič èinpiedidietrodilei.Ormai è quasi buio e comincia a cadere la neve; presto la madresaràacasa. –Tipiace?–lechiede. Leiannuisce. – Una vita movimentata, eh? Lei lo ascolta appena. Che confronto ingiusto! Come può pretendere di competere con questi uomini giovani, che emergono dal nulla e scompaiono nel nulla, circonfusi di avventura e di mistero? Vite davvero movimentate. È lei che dovrebbe stare davvero in guardia. – Perché ti piace cosí tanto,Matrëša? – Perché è il migliore amicodiPavelAleksandrovič. – Ne sei sicura? – ribatte pacatamente. – Io credo di essere il migliore amico di Pavel Aleksandrovič. Io continueròaesseresuoamico quando tutti gli altri lo avrannodimenticato.Iosono suoamicoperl’eternità. Matrëna si stacca dalla finestra e lo guarda stranamente; è sul punto di dire qualcosa, ma che cosa? LeièsoloilpatrignodiPavel Aleksandrovič? Oppure: non miparliconqueltono? Siscansaicapellidalviso, conungestocheormaiFëdor Michailovič riconosce come un segno di imbarazzo e prova a passare sotto il suo braccio, ma lui la blocca con decisione. – Debbo… debbo andareanascondereivestiti– bisbiglialabambina. Lui indugia ancora un po’ perché lei percepisca la propria impotenza. Poi si sposta. – Buttali nella latrina –ledice–nessunociandràa guardare. – Dentro, nella… – ripete leistorcendoilnaso. –Sí,dammiretta.Oppure dalliameetornatenealetto. Lo farò io per te. Non per Nečaev,perte. Avvolge i vestiti in un asciugamanoescivolagiúper le scale, fino alla latrina. Poi però ci ripensa. Vestiti insieme agli escrementi umani. E se avesse sottovalutatoitrasportatoridi bottini? Si rende conto che il portiere lo sta osservando e allora si dirige apposta verso la strada. Poi si accorge di essere uscito senza cappotto. Risale su per le scale e s’imbatte in Amalija Karlovna, la vecchia del primopiano.Leiglitendeun piattodibiscottiallacannella comeperdargliilbenvenuto. –Buongiorno,signore–dice tutta cerimoniosa. Lui borbotta un saluto e l’oltrepassadicorsa. Checosastacercando?Un buco, una crepa, in cui far scomparire e dimenticare il fagottocheadessoèdiventato cosíostinatamentesuo.Senza motivoapparenteèdiventato come una ragazza con un figlietto nato morto o un assassino con un’ascia insanguinata. Dentro gli monta di nuovo una gran rabbia contro Nečaev. Perché metto in pericolo la mia vita perte? vorrebbe urlare, – per techenonseinessunoperme! Maormaiètroppotardi.Dal momentoincuihapresoquel fagottodallemanidiMatrëna sièverificataunasvolta,non c’èmododitornareindietro. In fondo al corridoio, in una stanza vuota, c’è un mucchio di gesso e di detriti. A malincuore comincia a farci un buco dentro con la punta dello stivale. Un operaio smette di spalare e dalla porta aperta lo fissa diffidente. AlmenononhaIvanovalle calcagna. Ma forse Ivanov è giàstatorimpiazzato.Chisarà la nuova spia? Forse quell’operaio, o forse il portiere? S’infila il fagotto sotto il braccio e si dirige di nuovo perstrada.Ilventoècomeun muro di ghiaccio. Al primo angolo gira, poi gira ancora. Haimboccatolastessastrada senza uscita dove aveva trovato il cane. Ora non c’è nessun cane. Chissà se è morto la sera in cui l’ha abbandonato? Appoggia il fagotto in un angolo. I ricci, fissati al cappello, sbattono al vento con un effetto comico e sinistroaltempostesso.Dove avràtrovatoiricciNečaev,da una delle sue sorelle? Quante sorellineavrà,tutteansiosedi sacrificare le loro chiome di verginiperlui? Toglie le forcine e cerca invano di strappare il cappello, poi lo acciacca e lo ficcaneltubodiscaricoacui era legato il cane. Cerca di fare la stessa cosa col vestito mailtuboètroppostretto. Senteglisguardiconficcati nella schiena. Si gira e vede duebambinicheloguardano da una finestra del secondo pianoedietrodilorol’ombra diunapersonapiúalta. Cerca di tirare il cappello fuori dal tubo, ma non riesce ariprenderlo.Maledicelasua stupidità. Col tubo otturato l’acqua comincerà a uscire dalla grondaia. Qualcuno indagherà e troverà il cappello.Chimaiandrebbea ficcareuncappelloinuntubo di scarico se non un colpevole? Gli torna in mente ancora unavoltaIvanov.Ivanov:quel nome è stato ripetuto talmente tante volte che si è accomodatosudiluicomeun cappello. Ivanov è stato ucciso,maluinonportavaun cappello,ocomunquenonun cappello da donna. Allora il cappello non può essere collegatoaIvanov;mad’altra parte non avrebbe potuto essere il cappello indossato dall’assassino di Ivanov? È cosí facile per una donna uccidere un uomo, adescarlo per una stradina, farsi abbrancicarecontrounmuro e poi, durante l’orgasmo, cercargli le costole e ficcargli lo spillone del cappello nel cuore. Uno spillone da cappello non sparge sangue e lascia solo la traccia di una trafittura d’ago. Si inginocchia nell’angolo dove ha buttato gli spilloni del cappello, ma è troppo buio per trovarli. Gli servirebbe una candela, ma quale candela resisterebbe a quel vento? È cosí stanco che riesce a fatica a rimettersi in piedi. È malato?Sièpresoqualcosada Matrëna? O è una delle sue crisi in arrivo? È questo che gli annuncia quella stanchezzamortale? Aquattrozampe,tirasula testa, annusa l’aria come un animale selvatico e cerca di concentrarsi sull’orizzonte interiore. Ma se è un attacco quello che lo sta sopraffacendo, allora sta ledendogli anche i sensi, intorpiditicomelesuemani. 14. Lapolizia Halasciatolechiaviacasa e cosí è costretto a bussare allaporta.AnnaSergeevnagli apreelofissasorpresa:–Hai persoiltreno?–chiede.Poisi accorge dell’aria sconvolta, delle mani che tremano e della barba bagnata. – Qualcosanonva?Staimale? – No, non sono malato. Ho rimandato la partenza, ti spiegheròdopo. Nella stanza c’è un’altra persona, vicino al letto di Matrëna. Un dottore evidentemente, giovane e rasato alla moda tedesca. Ha in mano la bottiglia marrone della farmacia; l’annusa e poi la riattappa con aria di disapprovazione. Chiude la borsaechiudel’alcovaconla tenda. – Stavo dicendo che sua figlia ha un’infiammazione dei bronchi – dice rivolgendosi a Fëdor Michailovič. – I polmoni sono sani. C’è anche… Luilointerrompe:–Nonè mia figlia, sono solo un pensionante. Alzando le spalle con impazienza il medico si rivolge ad Anna Sergeevna: – C’è anche, non posso fare a meno di notarlo, una componenteisterica. –Checosavuoldire? –Vuoldirechefinoache sarà in preda a quest’agitazione non possiamo sperare che si rimetta presto e bene. La sua eccitazione aggrava la malattia.Bisognachesicalmi. Una volta che si sarà tranquillizzatapotràtornarea scuola. Dal punto di vista fisico è sana, non ha problemi. Dunque la terapia checonsiglioèprimaditutto la quiete. Dovrebbe stare a letto e prendere solo pasti leggeri. Niente latte in nessuna forma. Le lascio un linimento per il petto e un sonniferodausarequandoce ne fosse bisogno, come calmante.Levadataunadose pediatrica, se ne ricordi, solo mezzocucchiaio. Appenailmedicoèandato via lui cerca di spiegarsi, ma Anna Sergeevna non ha vogliadiascoltarlo:–Matrëša ha detto che l’hai sgridata! – lo interrompe. Parla a bassa voce,matremadallarabbia.– Nonlopermetto! – Non è vero! Non l’ho sgridata! – Anche se bisbigliano è sicuro che Matrëna, dietro la tenda, ascolta gongolante. Prende Anna Sergeevna per un braccio e la porta nella sua stanza.Chiudelaporta.–Hai sentito cosa ha detto il dottore: è ipereccitata, non puoi credere a tutto quello che ti racconta in questo stato.Tiharaccontatoquello che è successo qui questa mattina? – Ha detto che è passato unamicodiPavelechetusei stato molto duro con lui. È a questochetiriferisci? –Sí. – Allora fammi finire. Quellochesuccedefrateegli amici di Pavel non mi riguarda, ma tu hai perso la pazienzaancheconMatrëšae sei stato rude con lei. Questo nonloaccetto. – L’amico di cui parla è Nečaev. Nečaev in persona. Questotelohadetto?Nečaev, unricercato,èstatoquiacasa tuaoggi.Vuoirimproverarmi perché mi sono arrabbiato con lei che l’ha lasciato entrare e che poi ha difeso contro di me quell’ipocrita, quell’istrione? –Comunquesianonhaiil diritto di perdere la pazienza con lei! Che ne sa lei che Nečaevèunacattivapersona? Che ne so io? Dici che è un istrione,etu?Comegiudicare il tuo comportamento? Credi di agire sempre col cuore in mano? Io non credo che sia cosí. –Nonèpossibilechepensi questo. Certo che agisco col cuore,forseuntempononera cosí, ma ora sí, soprattutto ora.Èlaverità. – Ora. Come mai proprio ora, all’improvviso? Perché dovrei crederti? Perché tu stesso dovresti credere a quellochedici? – Perché non voglio che Pavelsivergognidime. – Pavel? Pavel non c’entra niente. – Non voglio che Pavel debba vergognarsi di suo padre, ora che vede tutto. È questo che è cambiato. Ora c’èunamisuradituttelecose, compresa la verità, e quella misura è Pavel. Quanto a Matrëna, mi dispiace di aver perso la pazienza con lei. Me ne pento e le chiederò scusa. Comeormaiavraicapitoperò – allarga le braccia – io non piaccioaMatrëna. – Lei non capisce cosa ci fai qui, è solo questo il problema. Capiva perché Pavelvivevaconnoi,abbiamo avuto studenti anche prima, ma un pensionante della tua età non è la stessa cosa. Io stessacomincioadaveredelle difficoltà. Non sto cercando di cacciarti, Fëdor Michailovič, ma devo riconoscere che quando hai detto che saresti partito stasera mi sono sentita sollevata. Per quattro anni io e Matrëna abbiamo vissuto insieme una vita molto serena, molto tranquilla. I nostripensionantinonhanno mai avuto il permesso di interferirvi.Invecedaquando Pavelèmortoèstatotuttoun susseguirsidiagitazioni.Non va bene per un bambino. Matrëna non si sarebbe ammalata se l’atmosfera di casa non fosse stata cosí imprevedibile. Quello che ha detto il medico è vero: è eccitatael’eccitazionerendei bambinipiúvulnerabili. Lui aspetta che arrivi a quello che è certamente il nocciolo del problema: che Matrëna si è resa conto di quello che c’è stato fra lui e sua madre ed è in piena crisi di gelosia. Ma sembra che Anna Sergeevna non abbia ancora intenzione di discuterediquesto. – Mi dispiace per la confusione; mi dispiace per tutto. Mi è stato impossibile partire stasera come avevo deciso; non starò a spiegarti perché, le ragioni non sono importanti. Starò qui ancora unooduegiorni,finoachei miei amici mi faranno un prestito. Poi pagherò quello chetidevoemeneandrò. –ADresda? – A Dresda o in un’altra pensione,ancoranonloso. – Va bene Fëdor Michailovič, ma per quanto riguarda i soldi, sistemiamo i conti subito, non voglio appartenere alla lunga lista deituoicreditori. C’è qualcosa nella sua rabbiachenonriesceacapire. In passato non gli ha mai parlato in modo cosí aggressivo. Sisiedealtavolinoescrive subito a Majkov. «Sarai sorpreso, caro Apollon Grigorevič, di sentire che sono ancora a Pietroburgo. Questaèl’ultimavolta,spero, chedebbofareappelloallatua gentilezza. Il fatto è che mi trovo in una situazione tale percui,amenodiimpegnare ilcappotto,nonsocomefare a pagare la padrona di casa, pernonparlaredelviaggiodi ritorno a Dresda. Duecento rublimibasteranno». A sua moglie scrive: «Mi sono stupidamente lasciato indurreafareunprestitoaun amicodiPavel.Majkovdovrà di nuovo tirarmi fuori dai guai. Appena avrò saldato i conti,tifaròuntelegramma». Cosí la colpa viene di nuovo attribuita al cuore generosodiFedja,mailcuore diFedjanonègenerosoè… Bussanoviolentementealla porta. Prima che Anna Sergeevnapossaaprire,Fëdor Michailovičèalsuofianco.– Dev’essere la polizia – le sussurra.–Sololoropossono bussare a quest’ora. Lascia che sia io a parlarci. Vai da Matrëna, è meglio se non la interrogano. Va ad aprire e si trova di frontelafinlandese,inmezzo a due poliziotti in divisa blu, unodiloroèunufficiale. –Èlui?–chiedel’ufficiale. Laragazzaannuisce. Fëdor Michailovič si fa da parte e i due entrano spingendo avanti la ragazza, che è cambiata in modo impressionante.Lafacciaèdi un pallore spaventoso e si muove come un burattino tiratodaifili. – Possiamo passare nella mia stanza? Qui c’è una bambinamalatacheandrebbe lasciatatranquilla. L’ufficiale va a gran passi versol’alcovaeaprelatenda. Si vede Anna Sergeevna, chinaaproteggerelafiglia.Si volta di scatto con occhi di fiamma: – Lasciateci in pace! – sibila. L’altro richiude lentamentelatenda. FëdorMichailovičliscorta nellasuastanza.C’èqualcosa di familiare nell’incedere strascicato della finlandese. Ora capisce: ha i ceppi alle caviglie. L’ufficialeispezional’altare elafotografia.–Chiè? –Miofiglio. C’è qualcosa che non torna. Qualcosa è cambiato nell’altare. Quando capisce cos’è,glisigelailsanguenelle vene. Comincial’interrogatorio. –UnuomodinomeSergej Gennadevič Nečaev è stato quioggi? – Una persona che sospettosiaNečaev,machesi presenta sotto altro nome è stataqui,sí. – Con quale nome si presenta? – Con un nome di donna. È vestito da donna. Portava un cappotto scuro sopra un vestitobluscuro. – E perché questa persona èvenutaqui? –Perchiederesoldi. –Soloperquesto? – Non so se c’erano altri motivi. Non sono un suo amico. –Leiglihadatosoldi? – Mi sono rifiutato, però mihatoltoquellocheavevoe iononl’hoimpedito. – Mi sta dicendo che l’ha derubata? – Ha preso i soldi malgrado il mio rifiuto e io non ho giudicato prudente cercare di riprenderglieli. Se vuolepuòchiamarlarapina. –Quantisoldierano? –Circatrentarubli. –Cos’altroèsuccesso? Lui dà un’occhiata alla finlandese. Le labbra le tremano. Qualunque cosa le abbiano fatto da quando l’hanno presa, è certo che il suo modo di fare è cambiato radicalmente. Sta lí come un animalealmacellocheaspetta l’ascia che gli si abbatterà sullatesta. – Abbiamo parlato di mio figlio. Nečaev era in un certo senso amico di mio figlio. È per questo che conosceva questa casa. Mio figlio aveva una camera in affitto qui. Altrimenti non sarebbe venuto. – Cosa vuol dire «Altrimenti non sarebbe venuto». Vuole dirmi che pensavaditrovaresuofiglio? –No.Nessunodegliamici dimiofigliopensadipoterlo rivedere. Voglio dire che Nečaev non è venuto perché si aspettava simpatia da me, ma per via di quella vecchia amicizia. – Sí, sappiamo tutto sulle colpevoli affiliazioni di suo figlio. Si stringe nelle spalle. – Forse non erano colpevoli e forse non erano affiliazioni, forse erano solo amicizie, ma è inutile sottilizzare. È un interrogativo che non potrà mai essere portato in tribunale. –SadoveèandatoNečaev dopoesserestatoqui? –Nonnehoidea. – Mi faccia vedere i suoi documenti. Glidàilpassaporto,ilsuo, nonquellodiIsaev.L’ufficiale lometteintascaesirimetteil cappello. – Si presenti domattina al posto di polizia di via Sadovaja per fare una deposizione completa. Ogni giornoprimadimezzogiorno dovrà presentarsi allo stesso postodipolizia,settegiornia settimana, fino a nuovo ordine. Non può lasciare Pietroburgo,èchiaro? – E chi si occuperà di pagarelemiespesequi? –Lacosanonmiriguarda. Fa segno al compagno di portarevialaprigioniera,ma, arrivata davanti alla porta, la finlandese, che fino a quel momento non ha aperto bocca,siblocca:–Hofame!– ripetepiagnucolosaequando laguardiacercaditrascinarla via, punta i piedi e si regge alla porta: – Ho fame, voglio qualcosadamangiare. C’è un che di uggiolante e di disperato nel suo grido. Anche se Anna Sergeevna è piúvicinaaleièchiarocheè un appello lanciato alla bambina,cheèscivolatafuori dal letto, a piedi nudi, e col pollice in bocca guarda la scena. – Ci penso io – dice Matrëna e in un lampo corre alla credenza. Torna con un pezzo di pane secco e un cetriolo; ha portato anche il suopiccoloborsellino:–Puoi prendere tutto! – dice eccitatissima e mette cibo e soldinellemanidellaragazza. Poi fa un passo indietro, con unpiccoloassurdoinchino. – Niente soldi! – protesta laguardiacondurezzaelefa riprendereilborsellino. Lafinlandesenondiceuna parola di ringraziamento. Dopo la ribellione momentaneasembraricaduta nell’abulia. È come se le avessero spento la scintilla vitale. L’hanno picchiata? O peggio? E Matrëna lo sa? È quelloilmotivodelsuomoto di pietà? Ma come fa un bambino a sapere una cosa delgenere? Appena andati via Fëdor Michailovič rientra nella sua stanza, spegne la candela, mette l’icona e le immagini sul pavimento e toglie la bandiera a tre strisce che era stata distesa sul tavolinetto. Poirientranell’appartamento. Anna Sergeevna sta seduta vicino al letto di Matrëna e cuce.Luibuttalabandierasul letto.–Separlocontuafiglia perderò certamente di nuovo la pazienza, perciò ti pregherei di chiederle da parte mia come è arrivata questa bandiera nella mia stanza. – Di che cosa stai parlando?Checos’è? –Chiediloalei. – È una bandiera – risponde la bambina corrucciata. Anna Sergeevna distende la bandiera sul letto. È lunga piú di un metro ed è anche consumata perché i colori, bianco rosso e nero a strisce verticali, sono sbiaditi. Dove l’avranno fatta sventolare? Si chiede Fëdor Michailovič, forse dal tetto dell’edificio di MadameLaFay? –Dichiè?–chiedeAnna Sergeevna. Lui aspetta che sia la bambinaarispondere. – È del popolo. È la bandieradelpopolo,–spiega leiallafine,riluttante. – Ora basta – dice Anna Sergeevna.Bacialafigliasulla fronte: – È ora di dormire – dicechiudendolatenda. Cinque minuti dopo lo raggiunge nella sua stanza, conlabandierapiegata. –Vorreiunaspiegazione– dice. –Quellaèlabandieradella Vendetta del Popolo. È la bandiera dell’insurrezione. Se vuoi che ti spieghi il simbolismo dei colori, te lo posso spiegare. Oppure chiedilo a Matrëna, sono certo che lo sa. Non riesco a pensare a provocazione peggiore di quella. Matrëna l’ha messa in bella mostra nella mia stanza, mentre io non c’ero, in modo che la polizia la vedesse. Non capisco che le è preso. È impazzita? – Non voglio sentire cose del genere su mia figlia. Non poteva sapere che sarebbe venutalapolizia.Quantoalla bandiera, se è un problema, penseròioabruciarla. – Bruciarla? – Già, che stupido,nonciavevapensato. Perché non ha bruciato il vestitoblu? – Ma lascia che ti dica – aggiunge lei – che questa storia deve finire, assolutamente. Stai trascinandoMatrënainaffari da cui i bambini devono restarefuori. – Non potrei essere piú d’accordo, ma il problema è che non sono io ma Nečaev checelatrascina. – Fa lo stesso. Se tu non fossi qui non ci sarebbe neppureNečaev. 15. Lacantina Ha nevicato pesantemente durante la notte. Quando esce, l’improvvisa luminosità delbiancoloacceca.Siferma e si curva, sopraffatto da una stranasensazione,unmistodi vertigini e di capogiro. Appena prova a muoversi si sentetrascinatoversoilbasso etemedicadere. Non può che essere il preludio di una crisi. Una crisi che si sta annunciando da giorni con attacchi di capogiro e di palpitazioni cardiache, con stanchezza e irritabilità. A meno che tutta la sua condizione presente non rappresenti uno stato di crisi. Fermo davanti al numero 63, preoccupato di capire quellocheglisuccededentro, non sente niente fino a quando qualcuno gli afferra saldamente un braccio. Apre gli occhi con un sussulto e si trovadavantiNečaev. Nečaev ghigna e mostra i denti. Le cicatrici sul volto sono livide per il freddo. Fëdor Michailovič cerca di liberarsidallapresamal’altro accentualastretta. – Ma è una follia! – gli dice. – Avrebbe dovuto lasciare Pietroburgo finché era in tempo, ormai verrà senz’altropreso. Nečaev con una mano gli ha afferrato il polso e con l’altra gli ha preso l’avambraccio. Gli fa fare dietro-front,efiancoafianco, come un cane trascinato a forza dal suo padrone, procedonoperviaSečnoj. –Maforseilsuodesiderio segreto è proprio quello di esserepreso. Nečaev porta un berretto con lunghi copriorecchi che fluttuano al vento ogni volta chemuovelatesta.Parlacon tono paziente e cantilenante. – Lei non fa altro che attribuireragioniperversealle azionidellagente.Malagente non è fatta cosí. Ci pensi su: perchémaidovreivoleressere preso e sbattuto in carcere? Inoltre chi vuole che faccia casoaduecomenoi?Padree figlio insieme per una passeggiata – dice rivolgendogli un sorriso radioso. Sono arrivati in fondo a via Sečnoj. Con una leggera pressioneNečaevlofavoltare versodestra. –Haun’ideadiquelloche stapassandolasuaamica? – La mia amica? Chi, la finlandese? Non parlerà, mi fidodilei. – Non ne sarebbe cosí sicurosel’avessevista. –Leil’havista? – La polizia l’ha portata nell’appartamento perché mi riconoscesse. – Non si preoccupi. Non ho paura su quel fronte. È coraggiosa,faràilsuodovere. Haavutomododiparlarecon la figlia della sua padrona di casa? – Matrëna? E perché le avrebbedovutoparlare? – Cosí, le piacciono i bambini. Lei stessa è una bambina: molto semplice, moltodiretta. – Sono stato interrogato dallapolizia.Saròinterrogato di nuovo. Non ho nascosto niente e non nasconderò niente neppure in futuro. La avverto, non può usare Pavel controdime. –Nonhobisognodiusare Pavel contro di lei. Posso usare lei direttamente contro dilei. Sono arrivati in via Sadovaja, nel cuore del quartiere del mercato. Lui pianta i piedi e si blocca. – AvevatedatoaPavelunalista di persone da assassinare – dice. – Di questo abbiamo già parlato, non se ne ricorda? Era una copia di una delle tantelistechesonoingiro. – Non era questa la mia domanda. Quello che volevo sapereera…. – Se anche lei è incluso in quella lista? – dice Nečaev, buttandolatestaindietrocon una gran risata. Una nuvoletta di vapore gli esce dallabocca. – Voglio sapere se è stato quelloilmotivopercuiPavel Aleksandrovič ha rotto con voi–perchéhavistochec’ero anch’io e si è rifiutato di eseguiregliordini. – Che assurda idea, Fëdor Michailovič. Lei non è in nessuna lista! È una persona troppo preziosa. Comunque per noi non ha nessuna importanzaqualisianoinomi inclusi nelle liste. Quello che vogliamo è che lorosappiano che siamo pronti alla rappresaglia e che tremino nelle loro case. Il popolo capisceeapprova.Eilpopolo non è interessato ai casi singoli. Il popolo soffre da sempre e crede che sia arrivatoilloroturno.Dunque non si preoccupi, la sua ora non è suonata. Anzi, ci piacerebbe avere la collaborazione di persone comelei. – Persone come me? Cosa vuol dire persone come me? Pensate che mi metta a scriverepamphletpervoi? – Ma naturalmente no. Non va bene per scrivere pamphlet. Lei è troppo sinceroperquesto.Andiamo, venga con me. Le voglio far vedere una cosa, voglio buttare un seme nella sua anima. Nečaev lo prende sottobraccioericomincianoa camminare per via Sadovaja. Due ufficiali con l’uniforme verde oliva dei dragoni si avvicinano. Nečaev si fa da parte per lasciarli passare e li saluta allegramente. Gli ufficiali rispondono al saluto conuncenno. – Ho letto il suo romanzo Delittoecastigo,–riprendea dire.–Èstatoquelloadarmi l’idea.Èunottimolibro,non ho mai letto niente del genere. A tratti mi terrorizzava, la malattia di Raskolnikov e tutto il resto. Chissà quanti lo avranno lodato. Ma comunque creda… – dice mettendosi una mano sul petto e poi stendendola come se volesse offrirgliilcuore.Ilgestodeve sembrargli strano nella sua spontaneità, tanto che lui stessonearrossisce. Èilprimogestospontaneo cheglivedefareelostupisce. Un cuore vergine, si dice, stupito delle sue stesse emozioni. Come la creatura del dottor Frankenstein quando apre gli occhi sul mondo. Per la prima volta sente un moto di pietà per quel ragazzo rigido e antipatico. Ormaisisonoinoltratinel quartieredelmercato.Nečaev lo trascina attraverso vicoli zeppi delle bancarelle dei venditori ambulanti e di tuguri, attraverso un’umanità maleodoranteeindaffarata. Sifermanonell’atriodiun portone. Nečaev tira fuori dalla tasca una sciarpetta di lana blu. – Devo chiederle di lasciarsibendare. –Dovemiporta? – Voglio mostrarle una cosa. –Madovemiporta? – Dove vivo attualmente, tra il popolo. Sarà piú facile per tutti e due. Potrà dire in buona fede che non sa dove sto. Con la benda sugli occhi, Fëdor Michailovič può lasciarsi andare di nuovo al lusso della vertigine. Nečaev lo conduce. I passanti lo urtanoeglisbattonoaddosso e a un certo punto perde l’equilibrio e debbono aiutarloarimettersiinpiedi. Hanno lasciato la strada e sonoentratiinuncortile.Da una taverna gli giungono canti,ilsuonodiunachitarra egridaallegre.L’ariapuzzadi fognaedirestidipesce. Lamanoglivienepostasu un corrimano. – Attento alle scale,–glidiceNečaev.–Qui è talmente buio che anche se le togliessi la benda non le servirebbeaniente. Strascica i piedi giú per le scale come un vecchio. L’aria è umida, fredda e viziata. Da qualche parte si sente un lento gocciolare di acqua. Ha l’impressione di scendere in unagrotta. –Eccoci!–diceNečaev,– attentoallatesta! Si fermano. Nečaev gli toglielabenda:sonoinfondo a una scala buia. Davanti a loro c’è una porta. Nečaev bussa quattro volte, poi tre. Aspettano. L’unico rumore è quellodell’acquachegocciola. Nečaev ripete il segnale. – Dobbiamoaspettare,–dice,– venga. Bussa alla porta dall’altra partedellescale,laapreesifa daparteperfarloentrare. È una cantina, il soffitto è cosí basso che Fëdor Michailovič deve chinarsi, l’unicaluceèquellachefiltra daunafinestrella,oscuratada fogli di carta. Dal pavimento di pietra il freddo sembra penetrare direttamente nelle ossa. Lungo gli angoli scorronoletubatureeilposto puzza di intonaco e mattoni bagnati. Anche se sa che non può essere vero, ha l’impressione che lungo le murascorraunvelod’acqua. In fondo alla cantina è stata tesa una corda sulla quale sta appeso un bucato grigio e umido come il resto dellastanza.Sottolacordac’è un letto con sopra tre bambini, seduti tutti nella stessaposizione,conlespalle al muro, le braccia attorno alle gambe e il mento sulle ginocchia.Hannoipiedinudi eportanogrembiulinidilino. Lapiúgrandeèunafemmina, con i capelli unti e spettinati; lecca languidamente il muco che le scende dal naso sul labbro superiore. Uno degli altri due deve avere appena imparato a camminare. Nessuno dei tre si muove, né fa rumore. Guardano gli intrusi con occhi indifferenti ecatarrosi. Nečaev accende una candela e la appoggia in una nicchiadelmuro. –Èquichevive? – No. Ma non ha importanza –. Comincia a camminare avanti e indietro. Di nuovo ha la sensazione di una grande energia repressa. ImmaginaPavelalsuofianco. Pavel non aveva lo stesso slancio. Non gli sembra piú cosí difficile capire come mai suo figlio lo abbia accettato comeleader. – Mi lasci spiegare perché l’ho portata qui, Fëdor Michailovič – prende a dire Nečaev. – Nella stanza qui a fianco abbiamo una stamperia,unapressaamano. Naturalmente clandestina. L’idiota che ha le chiavi avrebbedovutoesseregiàqui ma purtroppo non c’è. Io le offrol’usodiquestastamperia per il periodo in cui si fermerà a Pietroburgo. Qualunque cosa lei voglia dire, siamo in grado di distribuirla nel giro di poche oreinmigliaiadicopie.Inun momento come questo, alla vigilia di grandi avvenimenti, un suo contributo potrebbe avere grandi effetti. Il suo è unnomestimato,soprattutto fra gli studenti. Se lei è d’accordo a scrivere la storia della morte del suo figliastro firmandola col suo nome, gli studenti non potranno fare a menodiscendereinstrada–. Smette di fare avanti e dietro e lo fissa negli occhi: – Mi dispiace che Pavel Isaev sia morto. Era un bravo compagno,manonpossiamo guardare solo indietro. Dobbiamousarelasuamorte per accendere una fiamma. Lui mi darebbe ragione, la spingerebbe a mettere la sua rabbiaalserviziodiunacausa giusta. Mentre pronuncia quelle parole,sembrarendersiconto diaveresagerato.Provaafare una debole correzione: – La sua rabbia e il suo dolore. Cosí lui non sarà morto inutilmente. Accendere una fiamma. Questo è troppo! Si volta per andarsene, ma Nečaev lo afferraperunbraccio.–Non può andarsene ancora! – sibila a denti stretti. – Come può abbandonare la Russia e ritornare alla sua spregevole vita borghese? Come può ignorareunospettacolocome questo? – con un gesto della mano accenna alla desolazione della cantina. – Uno spettacolo che si ripete permigliaiadicasi,milionidi casiinquestopaese.Checosa le è successo? Non c’è piú ribellione in lei? Non vede quello che ha davanti agli occhi? Si guarda intorno nella cantina umida. Cosa vede? Tre bambini affamati e infreddoliti che aspettano l’angelo della morte. – Vedo quantolei,forsemegliodilei. – No! Perché per vedere nonbastanogliocchi,civuole la giusta interpretazione. Quello che vede è solo la miseria di questa tana, in cui non sarebbe giusto condannare a vivere neppure untopoounoscarafaggio.Lei vede il dramma di tre bambini che muoiono di fame; se aspetta vedrà anche laloromadrecheperportare a casa una crosta di pane si deve vendere per strada. Lei vedecomevivonoipoveripiú poveri di Pietroburgo, ma questo non significa vedere davvero. Questi sono solo dettagli! Lei non riesce a comprendere le forze che determinano il tipo di vita di questi poveretti. È alle forze cheècieco! Col dito traccia una linea da terra (si china a toccare il pavimento e tira su il dito bagnato) fino a fuori della finestraealcielo. – Le forze finiscono qui, ma dove crede che comincino? Cominciano nei ministeri, nei gabinetti degli scacchieri, nei mercati monetari e nelle banche commerciali. Cominciano nelle cancellerie d’Europa. Le linee di forza cominciano lí, s’irradiano in tutte le direzioni e vanno a finire in cantine come questa, in questepoverevitesottoterra. Se scrivesse questo, davvero sveglierebbe il mondo. Ma naturalmente – scoppia in unarisataacida–sescrivesse questo non sarebbe autorizzato a pubblicare. Le lasceranno scrivere tutte le storie che vuole sulla sofferenza muta dei poveri, e l’applaudiranno pure, ma la verità, quella vera, non gliela lasceranno mai pubblicare! È per questo che le offro la stamperia. Incominci; racconti la storia del suo figliastro e di come è stato sacrificato. Sacrificato. Forse si è distratto,oforseèstanco,ma non capisce come e per chi Pavel sarebbe stato sacrificato. Né lo ha commosso tanta veemenza sulle linee di forza. E non è dell’umore giusto per ascoltare comizi. – Io vedo quello che vedo – replica freddamente – e non vedo linee. – Allora poteva anche essere rimasto con la benda sugli occhi. Sarebbe stata la stessa cosa. Devo proprio farle una lezione? Lei è disgustato dal volto orribile della fame, della povertà e della malattia. Ma fame, povertàemalattianonsonoi nemici; sono solo le forme attraverso cui le forze realisi manifestano nel mondo. La fame non è una forza, è un mezzo, come l’acqua è un mezzo. I poveri vivono nella fame come i pesci vivono nell’acqua. Le forze reali nascono nei centri di potere, dalla collusione di interessi chevisidetermina.Leimiha detto di essere spaventato all’idea che il suo nome potesse essere nelle nostre liste.Glieloassicurodinuovo, glielogiuro:nonc’è.Lenostre liste contengono solo le sanguisughe e i ragni al centro delle loro ragnatele. Una volta che ragni e ragnatele saranno stati distrutti, i bambini come questi saranno liberati. In tutta la Russia i bambini potranno uscire dagli scantinati. Ci saranno cibo e vestiti e case, case vere, per tutti. E ci sarà lavoro, tanto lavoro! Prima di tutto bisognerà radere al suolo le banche, le borse e i ministeri del governo, bisognerà fare piazza pulita in modo che non possano mai piú essere ricostruiti. I bambini, che all’inizio sembrava volessero ascoltare, sono di nuovo assenti. Il piú piccolo si è addormentato in gremboallasorella.Lasorella è piú piccola di Matrëna, ma locolpisceperlasuaariapiú indifferente,piúacquiescente. Hagiàcominciatoadiredisí agliuomini? C’è qualcosa di strano nel loro silenzio. Nečaev non gli harivoltolaparoladaquando è entrato, non sembra neppure che ne conosca i nomi. Per lui sono solo esemplari di povertà urbana. Devo proprio farle una lezione? Gli viene in mente il commento malizioso della principessa Obolenskaja. Diceva che Nečaev avrebbe voluto fare l’insegnante, ma era andato male agli esami e allora per vendetta contro i professori si era votato alla rivoluzione. Forse Nečaev è solo un ennesimo pedagogo in pectore, come il suo mentore,Jean-Jacques. Epoilastoriadellelineedi forza. Non ha ancora capito bene che cosa vogliano dire. Non ha certo bisogno di Nečaev per sapere che i banchieri accumulano soldi, chel’aviditàinaridisceicuori. Ma Nečaev insiste su qualcos’altro.Checosa?Vede una serie di numeri passare attraverso la finestra chiusa conlacartaecolpirelepance vuotediqueibambini? Latestacominciadinuovo a girargli. Farle una lezione. Inspira profondamente: – Ha cinquerubli? Nečaev cerca distrattamentenelletasche. – Questa bambinetta, – dice accennando alla ragazzina – con una bella lavata, un taglio di capelli e un vestito nuovo, questa bambinetta potrebbe andare inuncertoposto(possodirle io dove) e stanotte stessa potrebbe far fruttare cento rubli il suo investimento di cinque.Eselanutrissebenee la tenesse pulita, senza farla faticare troppo e senza farla ammalare, potrebbe continuare a guadagnare cinque rubli a notte, almeno per altri cinque anni. Senza problemi. –Checosa? – Ascolti. Ci sono abbastanza bambine negli scantinati di Pietroburgo e abbastanza signori pieni di denaro per le strade. Gente a cui piace la carne fresca. Queste bambine potrebbero fare la ricchezza di tutti i poveri della città. Basta ragionarci sopra con freddezza. Sulle spalle delle sue figlie, il popolo degli scantinatipotrebbeuscirealla lucedelsole. –Qualèilsensodiquesta paraboladepravata? – Io non parlo per parabole. Come lei, anch’io sono ferito dalla sofferenza degli innocenti. Non la sto fraintendendo Sergej Gennadevič, vero? Per molto tempo non sono riuscito a capire come mai mio figlio fosse diventato suo seguace, maoracomincioacapireche cosahavistoinlei.Leiènato con uno spirito di giustizia dentro,unospiritochenonè stato ancora soffocato. Sono sicurochesequestabambina, questa qui, fosse adescata da uno di quei libertini per le strade di Pietroburgo e se lei capitasse lí in quel momento (per esempio perché la tiene d’occhio)leinonesiterebbea ficcare un coltello nella schiena dell’uomo per salvarla. O comunque, se è troppo tardi per salvarla, per vendicarla. – Questa non è una parabola, è un discorso sui bambini e il loro uso. Con l’aiuto di un bambino, le strade di Pietroburgo potrebbero essere ripulite delle sanguisughe, magari perfino di qualche banchiere sanguisuga. E col tempo anche la moglie e i bambini del morto possono essere avviati alla prostituzione per le strade, tanto per livellare unpo’lecose. –Porcoschifoso! –No,nonhacapitoilmio ruolonellastoria.Iononsono il porco della strada. Glielo ripeto: non è una parabola, è solo un racconto. I racconti possono riguardare gli altri, non si è obbligati a trovarsi unruolonellastoria.Masela sete di giustizia non le permette di ignorare le sofferenze dei bambini innocenti persino nei racconti, ci sono molti altri modi per punire i ragni predatori.Nonc’èbisognodi essere un bambino per trascinare un uomo in una strada buia. Basta sbarbarsi bene e incipriarsi la faccia, mettersiunvestitofemminile e stare attenti a muoversi nell’ombra. Adesso Nečaev sorride, anzi scopre i denti. – È tutto presodaunodeisuoilibri!Fa tutto parte delle sue perverse finzioni! –Forse,mahoancorauna domandadafare.Seoggileiè liberodivestirsicomevuolee di seguire la voce del suo spirito di giustizia (uno spirito che credo alberghi ancora nel suo cuore), quale sarà la situazione domani, dopo che la tempesta della Vendetta del Popolo avrà compiuto la sua missione e tuttisarannoequiparati?Sarà ancora libero di essere quello che vuole? Ognuno di noi sarà libero di essere quello chevuoleessere,finalmente? – Non ce ne sarà piú bisogno. – Non ci sarà piú bisogno di mascherarsi, neppure a carnevale? –Questaèunadiscussione idiota. Non ci sarà bisogno delcarnevale. –Nientecarnevale?Niente vacanze? – Ci saranno i giorni per distendersi. La gente potrà scegliereseriposarsioandare in campagna ad aiutare duranteilraccolto. – Già, ho sentito parlare dei giorni del raccolto. Naturalmente canteremo durante il lavoro. Ma voglio tornare alla mia domanda: che ne sarà di me? Qual è il mio posto nella sua utopia? Mi sarà ancora permesso vestire da donna, se ne ho voglia, o come un giovane dandycolvestitobianco,omi sarà concesso solo un nome, un indirizzo, un’età, una famiglia? – Non sono io a poterlo dire. Sono decisioni che prenderà il popolo. Il popolo lediràchecosaleèpermesso. – Ma lei che cosa dice, Sergej Gennadevič? Perché chi è, se non è uno del popolo?Echefuturoha?Sarò ancora libero di spacciarmi per chi mi pare, per esempio per un giovanotto che trascorre le ore di ozio a dettare liste di gente che non gli piace e a inventare punizioni sanguinose per loro, oppure per il bottegaio che deve ordinare la segatura da mettere nel cesto sotto la ghigliottina?Saròliberofinoa quelpunto?Opiuttostodevo ricordare quello che le ho sentito dire a Ginevra: che di uomini come Copernico ne abbiamo avuti abbastanza e chesenedovessesorgereuno nuovo sarebbe bene cavargli gliocchi. –Leistafarneticando:non èCopernico. – Giusto, non sono Copernico: quando guardo il cielo vedo solo le stelle che avevamo sulla testa quando siamo nati e che saranno lí quando moriremo; indifferenti ai nostri travestimentieallaprofondità delle cantine in cui ci rintaniamo. – Io non mi nascondo, sono semplicemente il risultato della fusione col popolo invisibile di questa cittàedellecondizionichemi hanno prodotto. Solo che lei non riesce a vedere quelle condizioni. – Posso dire quello che penso? Sta dicendo idiozie. Può darsi che io non veda linee e numeri in cielo, ma nonsonocieco. – Nessuno è cosí cieco come colui che non vuole vedere! Lei vede i bambini che muoiono di fame negli scantinati, ma si rifiuta di vedere ciò che determina le condizioni di vita di quei bambini.Comefaachiamare questo vedere? Ma certamente lei e quelli che la pagano riscuotete tutti il premio della fame, i bambini con gli occhi infossati. È questo che vi piace leggere, bambini pieni di sentimento, con gli occhi infossati e le vocine stridule. Ebbene, le voglio dire la verità sulla fame. Sa cosa vedono quei bambini con gli occhi infossatiquandolaguardano? Glielo chieda! No, glielo dirò io. Vedono guance grasse e lingue succulente. Quegli innocenti l’assalterebbero come ratti e la divorerebbero se non sapessero che è piú forte. Ma lei preferisce non rendersene conto, preferisce vedere tre angioletti di passaggiosullaterra. – Piú le parlo, Fëdor Michailovič, e piú mi chiedo come abbia fatto a creare Raskolnikov. Raskolnikov almeno era vivo, fino a che nonèstatovintodallafebbre, o quello che era. Lo sa che impressionemifaora?Quella di un vecchio cavallo coi paraocchi che continua a camminare in tondo; sempre lastessastoria.Chedirittoha di venirmi a parlare di travestimenti? Lei non potrebbe travestirsi per salvarsi la vita. Lei è un povero vecchio, un vecchio cavallo da soma rinsecchito vicinoallafinedeisuoigiorni. Non crede che sia ora di provare a condividere la vita degli oppressi, invece di starsene seduto a casa a scrivere di loro e a contare i soldi? Ma vedo che incomincia ad agitarsi. Immagino che abbia fretta di correre a casa per appuntare su un quaderno questo scantinato e questi bambini, prima che il ricordo si sbiadisca.Mifavomitare! Taceperunattimoeglisi avvicina, lo scruta: – Sto esagerando, Fëdor Michailovič? – chiede con tono piú dolce. – Sto oltrepassando i limiti della decenza, scoprendo quello che deve restare nascosto, quello che abbiamo visto dentro di lei tutti noi, compreso il suo figliastro? Perché continua a tacere? Il coltello è andato troppo vicinoall’osso?–Tirafuoridi nuovo la sciarpetta: – Vogliamorimetterelabenda? Vicino all’osso? Sí, forse. Nonl’accusainsé,malavoce che ci sente dietro: quella di Pavel. Pavel che si lamenta con l’amico e l’amico che conserva le parole come un veleno. Stancamente allontana la sciarpa: – Perché cerca di provocarmi? Non mi ha condottoquipervederelasua stamperia,népermostrarmii bambini che muoiono di fame. Quelli sono solo pretesti. Che cos’è che vuole veramente da me? Vuole farmi infuriare in modo che appena uscito da qui vada a denunciarla alla polizia? Perché non è scappato da Pietroburgo? Invece di darsi alla fuga come qualunque persona ragionevole, si comporta come Gesú Cristo alle porte di Gerusalemme; aspettachearriviununasino che lo porti nelle mani dei suoipersecutori.Speracheio voglia interpretare il ruolo dell’asino? Immagina di essereilprincipeinincognito, il principe e il martire che aspetta la chiamata? Vuole rubare la Pasqua a Gesú. Questaèlasecondavoltache mitenta,maiononcedoalla tentazione. – Smetta di cambiare discorso! Stiamo parlando della Russia e non di Gesú e smetta di dare la colpa a me. Semitradiràsaràsoloperché miodia. – Non la odio, non ne ho motivo. – E invece sí! Vuole colpirmiperchéaprogliocchi della gente sulla pasta di cui siete fatti, lei e la sua generazione. –Edichepastasiamofatti ioelamiagenerazione? – Lo vuole sapere? Il suo tempoèscaduto,mainvecedi uscire tranquillamente di scena vuole portarsi tutto il mondo appresso. Non sopportacheleredinipassino nellemanidiuominipiúforti e piú giovani, che costruiranno un mondo migliore. Ecco come siete fatti. E non mi racconti la storia del passato rivoluzionario, della Siberia scontata per le proprie idee. So con certezza che anche in Siberia lei è stato trattato come un nobile. Non doveva condividerelesofferenzedella gente, era solo una messinscena. Ah, quanto mi fanno schifo i vecchi! Il giorno che compirò trentacinqueannimipianterò una pallottola nel cervello, lo giuro! Leultimeparolesonostate dette con una tale supponenza che Fëdor Michailovič non riesce a nascondere un sorriso. Nečaevarrossisceconfuso. –Sperocheabbiamododi diventare padre prima di allora, perché possa capire cosa vuol dire bere questo calice. – Non sarò mai padre! – borbottaNečaev. – E come fa a dirlo? Non nepuòesserecerto.All’uomo basta seminare il seme, il restonondipendedalui. Nečaev scuote la testa con convinzione. Che cosa vuole dire? Che non semina il suo seme, o che si è votato alla verginità,comeGesú? –Nonpuòessernecerto.Il seme diventa il figlio, e il principe diventa re. Il giorno incuisiederàintrono(senon siètiratouncolpoprima)ela terrasaràpienadiprincipini, nascosti negli scantinati e nelle soffitte, lí a tramare contro di lei, che cosa farà? Sguinzaglierà i soldati perché taglinolorolatesta? Nečaev lo guarda torvo. – Sta cercando di irritarmi con le sue stupide parabole. Conosco la storia di suo padre, Pavel Isaev me l’ha raccontata. Era un piccolo tiranno e tutti lo odiavano, fino a che i suoi stessi contadininonl’hannoucciso. Leilavedecosíperchéodiava suopadreesuopadreodiava lei,lastoriadelmondoperciò dovrebbe essere fatta tutta di padriedifiglichesifannola guerra. Non capisce il senso della rivoluzione: la rivoluzioneèlafinedituttoil vecchio, padri e figli compresi. È la fine delle successioni e delle dinastie e continua a rinnovarsi, se è vera rivoluzione. Ogni generazione rovescia la vecchiarivoluzioneelastoria ricomincia.Questaèlanuova idea, l’idea veramente nuova. Anno primo. Carte blanche. Quando tutto viene reinventato, ogni cosa cancellataerifatta:lalegge,la morale, la famiglia, tutto. Quando tutti i prigionieri vengono liberati e tutti i crimini perdonati. È un’idea cosíterribilechenonlapotete capire, né lei né la sua generazione.Oppurelacapite anchetroppobeneelavolete soffocaresulnascere. – E i soldi? Oltre a perdonare i crimini ridistribuireteisoldi? – Faremo di piú. Ogni tanto, quando la gente meno se lo aspetta, dichiareremo fuori corso la moneta correnteestamperemonuove banconote. È questo lo sbaglio che hanno fatto i francesi: lasciare in circolazione la vecchia moneta.Ifrancesinonhanno avuto una vera rivoluzione perché non hanno avuto il coraggio di portarla fino in fondo. Hanno eliminato gli aristocratici ma non la vecchia mentalità. Nelle nostre scuole insegneremo il pensiero popolare, sempre represso fino a oggi. Tutti torneranno a scuola, anche i professori. I contadini saranno i maestri e i professori gli allievi. Nelle nostre scuole faremo gli uomini nuovi e le donne nuove. Tutti rinasceranno conuncuorenuovo. – E Dio? Che ne penserà Diodituttociò? Nečaev scoppia a ridere, esilarato: – Dio? Dio sarà invidioso. –Alloracicredete? – Certo che ci crediamo! Che senso avrebbe tutto ciò altrimenti? Tanto varrebbe dare fuoco a tutto, ridurre il mondo in cenere. No, noi andremo da Dio, davanti al suo trono e lo faremo scendere. E ci andremo davvero! Non avrà scelta, dovrà starci a sentire e allora staremo tutti insieme, finalmentesullostessopiano. –Egliangeli? – Gli angeli staranno attorno a noi e intoneranno l’osanna. Entreranno nel settore dei trasporti. Anche loro saranno liberati, potranno camminare sulla terracomegliuomini. –Eleanimedeimorti? –Quantedomande!Anche le anime dei morti, Fëdor Michailovič, se vuole. Avremoleanimedeimortidi nuovosullaterra,anchePavel Isaev, se vuole. Non ci sono limitiaquellochesipuòfare. Che ciarlatano! Però adesso non sa piú chi conduce;sesialuiaprendersi gioco di Nečaev o viceversa. Tutte le barriere sembrano cadere all’improvviso. Le barriere del pianto e quelle del riso. Se Anna Sergeevna fosse qui, gli viene in mente, riuscirebbeatrovareleparole che non ha trovato in tutto queltempo. Fa un passo avanti e con quellacheglisembralaforza di un gigante se lo stringe al petto.Abbracciailragazzo,gli blocca le braccia sui fianchi, respiral’odoreacidodellasua pelle butterata, singhiozzando, ridendo, lo bacia sulla guancia destra e sulla sinistra. Fianchi e petti incollati,rimanelíperunpo’ strettoalui. Sisenteunrumoredipassi sulle scale. Nečaev si divincola per liberarsi: – Eccoli! – dice con tono trionfante e con gli occhi accesi. Si gira. Sulla porta c’è una donna vestita di nero con un cappellino ridicolo in testa. Nella semioscurità, fra le lacrime,èdifficiledirequanti anniabbia. Nečaev sembra deluso: – Ah, – dice. – Scusaci, entra pure. Ma la donna resta dov’è. Sotto il braccio ha qualcosa avvoltoinunastoffabianca.Il fiutodeibambinièpiúacuto del suo. Tutti insieme, senza una parola, scivolano giú dal letto e sorpassano i due uomini.Labambinatiraviail panno bianco e l’odore di panefrescoriempielastanza. Senza una parola comincia a farloapezzieadistribuirloai fratelli.Strettiallagonnadella madre, con gli occhi vuoti e indifferenti, stanno lí a masticare. Come animali, pensa, sanno da dove viene, ma non gliene importa niente. 16. Latipografia Fa un inchino alla donna. Sotto al cappello ridicolo spunta una faccetta piuttosto giovane, timida, con le lentiggini. Fëdor Michailovič prova un impulso fugace di attrazione sessuale, che però passa subito. Dovrebbe mettersi la cravatta nera, oppure una fascia nera sul braccio, alla moda italiana, alloralasuaposizionesarebbe piúchiara,anchealuistesso. Non è piú un uomo intero: è un uomo dimezzato. Sul risvolto della giacca, un medaglione con l’immagine diPavel.Glièstataportatavia la metà migliore, quella che dovevaancoravenire. –Devoandare–dice. Nečaev gli lancia un’occhiata di scherno: – Vada pure; nessuno glielo impedisce–.Epoi,rivoltoalla donna: – Crede che non sappiadoveva. Il commento gli sembra gratuito. – Dove crede che stiaandando? – Vuole proprio che lo dica? Non è forse questa la suaoccasionepervendicarsi? Vendetta? Dopo ciò che è appena successo, quella parola gli fa l’effetto di una vescica di porco in piena faccia.LaparoladiNečaev,il mondodiNečaev,unmondo basato sulla vendetta. Che cosahaachefareconlui?Ma quella parola orrenda non gli è stata buttata in faccia senza motivo. Gli torna in mente il comportamento di Nečaev la prima volta che si sono incontrati. Il frusciare dell’abito dietro la sedia, la pressione del piede sotto il tavolo, il modo in cui aveva usato il suo corpo, spudorato e al tempo stesso goffo. Sa davveroquellochevuole,quel ragazzo, oppure prova tutto, solo per vedere dove lo porterà? È come me. Io ero comelui–pensa–solo,ionon avevoilsuocoraggio.Epoi:È per questo che Pavel lo ha seguito: perché voleva imparare dal suo coraggio? È per questo che è salito sulla torrequellanotte? Sempre di piú si fa strada in lui una certezza. Nečaev non sarà soddisfatto fino a chenonsaràfinitonellemani della polizia, fino a che non avrà provato anche quello; finché non avrà messo alla provailsuocoraggioelasua determinazione.Esupereràla prova, non c’è dubbio. Non cederà. Non importa se lo picchieranno e se lo faranno morire di fame, non cederà mai, non si ammalerà neppure. Perderà tutti i denti e continuerà a sorridere. Si trascinerà appresso le ossa rotte, ruggendo forte, come unleone. – Vuole che io mi vendichi?Vuole che esca e la vadaadenunciare?Èaquesto che tende tutta questa sciarada di bende e di labirinti? Nečaev ride in modo isterico; sa bene che loro due si capiscono: – Perché mai dovrei volerlo? – risponde con voce melliflua, maliziosa, lanciando alla donna un’occhiata in tralice, come per trascinarla dentro quello scherzo. – Non sono un giovane che ha smarrito la strada, come era il suo figliastro.Sevuoleandarealla polizia, lo dica chiaramente. Non faccia il sentimentale, non finga di non essere mio nemico.Sochehal’abitudine di fare il sentimentale. Lo fa anche con le donne, ne sono certo. Con le donne, e con le bambine –. Si volta verso la ragazzina: – Lo sai anche tu vero, che questo genere di uomini versa lacrime quando ti fa male, per lubrificarsi la coscienza e provare un brivido. È straordinario quante cose abbia intuito, considerando la sua giovane età! Ha capito di piú di una donna di strada, perché ha unasuaastuzia.Pavelavrebbe avuto bisogno di un po’ di quella scaltrezza. C’era piú vita vera nel bestione barcollante del suo racconto (come si chiamava, Karamzin?) che nell’eroe pedantecheavevainventatoa fatica. L’aveva fatto fuori troppopresto.Unerrore. – Non ho intenzione di tradirla–dicestancamente.– Vada a casa da suo padre. Deve avere un padre da qualche parte a Ivanovo, se ricordobene.Vadadaluiesi inginocchi, gli chieda di nasconderla. Lo farà; non c’è limiteaquellocheunpadreè dispostoafareperilfiglio. Nečaev reagisce con una risata che sembra un grugnito. Non riesce piú a stare fermo, cammina maestosamente per la stanza, scansando i bambini quando passa.–Miopadre!Chenesa di mio padre? Non sono un sempliciotto come il suo figliastro! Io non mi attacco allagentechemiopprime.Ho lasciatolacasadimiopadrea sedici anni e non ci ho piú fatto ritorno, sa perché? Perchémipicchiava.Glidissi: picchiamiun’altravoltaenon mivedraimaipiú.Cosíluimi picchiò e non mi rivide piú. Da quel giorno ha smesso di esseremiopadre.Orasonoio miopadre.Misonorifattoda solo.Nonhobisognodipadri per nascondermi. Se ho bisogno di nascondermi, il popolomiaccoglierà.Leidice chenoncisonolimitiaquello cheunpadreèdispostoafare per un figlio. Sa che mio padre mostra le mie lettere allapolizia?Ioscrivoallemie sorelleeluirubalelettereele copia;poileportaallapolizia che lo paga. Quello è il suo limite. Il che mostra quanto sia disperata la polizia, se arriva a pagare per quella roba. Si attaccano proprio a tutto, ma non gli resta in mano niente. Perché non c’è niente di quello che ho fatto che loro siano in grado di dimostrare,niente! Ha una voglia matta di esseretradito,diunpadreche lotradisca. –Forsenonsonoingrado di dimostrare niente, ma sanno; loro sanno, lei sa e lo so anch’io, che lei non è innocente.Nonsièlimitatoa stilare elenchi, o sbaglio? Le sue mani sono sporche di sangue.Nonlestochiedendo diconfessare,ma,rimanendo su un piano puramente astratto,midica,perché? – Su un piano puramente astratto?Perchésenonuccidi non ti prendono sul serio. È quella l’unica prova che conta. – Ma che bisogno c’è di essere presi sul serio? Perché non restare giovani e privi di responsabilità finché si può? C’è tanto tempo, dopo, per essere seri. E perché non dedicare un pensiero a quei seguaci piú deboli che hanno fatto lo sbaglio di prenderla sul serio? Pensi alla sua amichetta finlandese e a quello che sta passando proprio in questo momento peraverlapresasulserio. –Lasmettadiparlaredella mia cosiddetta amica finlandese! Abbiamo già pensato a lei. Ora non soffre piú.Enonmivengaadiredi aspettare la vecchiaia per essere preso sul serio. Ho visto cosa succede quando s’invecchia. Quando sarò vecchiononsaròpiúio. Tanta perspicacia se la sarebbeaspettatadaPavel,ma nondaNečaev.Chespreco!– Vorrei – dice – avervi visti insieme, lei e Pavel –. Quello che non dice è il seguito: come due spade, due spade sguainate! GenialedapartediNečaev averlo messo in guardia rispetto alla pietà! Perché è proprio quello che sta per succedergli: pietà per un ragazzo abbandonato in mezzo al mare, un ragazzo che lotta con le onde, eppure affoga. Dunque sbaglia a immaginare qualcosa di troppo studiato nell’aria tenebrosa di Nečaev (l’altro infatti nel frattempo è stranamenteammutolito),nel suo sguardo meditabondo. Forseèpiúchestudiato,forse è scaltro. Ma c’è stato un tempo in cui le parole venivanodavverodalcuoree raggiungevano il cuore? Questa è l’età della finzione, l’età del travestimento. Pavel era troppo all’antica, troppo bambino per viverci bene. I suoieroiparlanolalinguadel cuore, buffa, incerta, vecchio stile. – Vorrei… vorrei… – Tu puoi… tu puoi… – Ma Pavelalmenoavevaprovatoa proiettarsi fuori di sé, in un altro cuore. Invece è impossibile immaginare Sergej Nečaev che scrive. È solounegoista,opeggio.Edi sicuro è anche un pessimo amante, incapace di sentimenti, incapace di indulgenza. Immaturo nei sentimenti,bloccato,comeun nano. Un uomo del futuro, del secolo venturo, con una testa mostruosa e desideri mostruosi,manient’altro.Un uomo solo, solitario. Il posto giustoperlui:untronoinuna stanza deserta. Il trono delle idee. Il pontefice delle idee, delle idee stupide. Che Dio salvi i suoi fedeli allora, che Diosalviisuoisudditi! Quei pensieri vengono interrottidauntramestioche arriva dalle scale. Nečaev sfrecciaallaporta,ascolta,poi esce. Si sente un bisbigliare concitato, poi il rumore di unachiavenellaserraturaeil silenzio. Sempre col suo curioso cappellino bianco in testa, la donnasièandataasederesul bordo del letto e ha attaccato al seno il piccolo. Quando incontra lo sguardo di Fëdor Michailovič arrossisce, poi rialza la testa in segno di sfida. – Il signor Išutin dice cheforseleicipuòaiutare. –Išutin? –Išutin,ilsuoamico. – Come può aver detto unacosadelgenere?Conosce lamiasituazione. –Stannopercacciarci,per via dell’affitto. Ho pagato quello di questo mese, ma non riesco a pagare gli arretrati,ètroppo. Il piccolo smette di succhiare e comincia a dimenarsi. Lei lo lascia andare. Scivola giú dal suo grembo e esce dalla stanza. È andato a fare i suoi bisogni sotto le scale, lamentandosi debolmente. – Sono settimane che è ammalato – piagnucola la donna. –Fammivedereilseno. Lei sbottona un altro bottone e mostra le mammelle. I capezzoli sono duri per il freddo. Li prende fra le dita e li manipola delicatamente. Ne esce una perladilatte. Luihacinquerublipresiin prestito da Anna Sergeevna. Gliene dà due. Lei prende le monete senza fiatare e le avvolgeinunfazzoletto. Rientra Nečaev. – Allora Sonia le ha detto i suoi problemi? – dice. – Ho pensatochelasuapadronadi casa avrebbe potuto fare qualcosa per loro. È una personagenerosa,nonèvero? CosímidicevaIsaev. – È fuori discussione. Comefaccioaportare…? Laragazza(puòessereche si chiami davvero Sonia?) guarda altrove imbarazzata. Porta un vestito di povera stoffettaafiori,assolutamente inadatto alla stagione, tutto abbottonato davanti. Cominciaatremare. –Neriparliamodopo,ora vogliomostrarlelatipografia. – Non mi interessa la vostratipografia. MaNečaevloafferraperil braccio e un po’ lo guida un po’ lo trascina verso la porta. Ancora una volta Fëdor Michailovič è sorpreso della suastessapassività,ècomese vivesse in uno stato di trance morale. Cosa penserebbe Pavel se lo vedesse cosí manipolatodalsuoassassino. O è proprio Pavel che lo guida? Riconosce subito la macchina per la stampa, è la stessa vecchia Albion-ofBirmingham che aveva suo fratello per stampare volantini e pubblicità. Non è possibile che stampi migliaia di copie. Al massimo ne può stampareduecentol’ora. – Ecco la fonte del potere di ogni scrittore – dice Nečaev dando una pacca alla macchina. – La sua dichiarazione verrà distribuita nelle cellule stanotte e per le strade domani. O, se preferisce, possiamoaspettarefinoache non avrà oltrepassato il confine. Se mai venisse accusato per questo, può sempredirechesitrattadiun falso. Allora non avrà piú nessuna importanza, avrà già fattoilsuoeffetto. Nella stanza c’è un altro uomo,piúvecchiodiNečaev, un uomo smilzo con i capelli bruni,lacarnagionegiallastra e gli occhi scuri e spenti. Sta curvo sulla macchina col mento appoggiato alle mani. Nonsembrafarecasoaloro,e Nečaevnonlopresenta. –Lamiadichiarazione? – Sí, la sua dichiarazione. La può scrivere qui, subito. Risparmieremotempo. – E se decidessi di dire la verità? – Qualunque cosa scriva, la distribuiremo, glielo prometto. –Noncredochebastiuna stampatrice a mano per scriverelaverità. – Lascialo solo! – La voce viene dall’altro uomo, ancora piegato sul testo che ha davanti.–Luièunoscrittore, nonlavoracosí. –Alloracomelavora? – Gli scrittori hanno le loro regole. Non possono lavorare con la gente che li guardaallespalle. – Allora dovranno imparare a seguire le nuove regole. La privacy è un lusso di cui possiamo fare a meno. Il popolo non ha bisogno di privacy. Ora che qualcuno lo ascolta, Nečaev ha ripreso il vecchiotono.Quantoaluine ha abbastanza di quelle provocazioni: – Debbo andarmene–ripete. – Se non scrive, dovremo scriverenoiperlei. – Che cosa? Scrivere per me? –Sí. –Efirmarecolmionome? – Certo. Non abbiamo scelta. – Nessuno lo accetterà. Noncicrederànessuno. – Gli studenti ci crederanno, ha un certo seguitofradiloro,comeleho detto. Soprattutto se non devono leggere un grosso tomo per cogliere il messaggio. Gli studenti crederannoqualsiasicosa. – Ma via! Sergej Gennadevič… – dice l’altro uomo. Non sembra affatto divertito. Ha gli occhi cerchiati, si è acceso una sigaretta e la fuma nervosamente. – Perché ce l’hai tanto con i libri? E con glistudenti? – Quello che non si può direinunapaginanonmerita di essere detto. E poi perché alcunidovrebberostarsenein poltrona a leggere libri mentre altri non sanno neppure leggere? Credi che Sonia, quella della porta accanto, abbia tempo di leggere libri? E poi gli studenti chiacchierano troppo. Non fanno altro che perdersi in chiacchiere e dissipare le loro energie. All’università ti insegnano a discutere, discutere per non concluderemainiente.Come gliEbreichetaglianoicapelli a Sansone. La discussione è una trappola. Credono che parlando faranno il mondo migliore, non capiscono che le cose devono peggiorare primadipotermigliorare. Ilsuocompagnosbadiglia. La sua indifferenza sembra caricare Nečaev. – È cosí! È per questo che bisogna provocarli! Se li lasci fare si rimetterannosempresedutia chiacchierare e a discutere e tuttoandràinmalora.Anche ilsuofigliastroeracosí,Fëdor Michailovič, sempre lí a parlare. La gente che soffre non ha bisogno di chiacchiere, ha bisogno di azione. Il nostro compito è quello di spingerli all’azione. Se riusciamo a spingerli ad agire,lanostraguerrasaràgià vinta per metà. Potranno essere schiacciati e repressi, ma questo non farà che produrremaggioresofferenza e maggiore indignazione. Dunque maggiore voglia di agire. È cosí che vanno le cose. Inoltre se alcuni soffronocomesifaràadavere giustizia prima che tutti soffrano? E le cose cosí verranno accelerate. Vedrà come si può muovere velocemente la storia, una voltainnescatoilmovimento. I cicli saranno sempre piú brevi. Se agiamo oggi, il futuro sarà nostro prima ancora che ce ne rendiamo conto. – E questo autorizza il falso. Autorizza qualunque cosa? – E perché no? Dov’è la novità? Tutto è permesso in funzione del futuro, perfino i credenti lo dicono. Non mi sorprenderebbe di trovarlo scrittonellaBibbia. –Certamentenonc’è.Solo igesuitisonodiquelpareree non saranno perdonati. Neppurevoisareteperdonati. – Non saremo perdonati? E chi lo sa? Stiamo parlando di un pamphlet, Fëdor Michailovič. Che importa chi lo scrive? Le parole sono come il vento, oggi qui, domanichissàdove.Nessuno ha la proprietà delle parole. Stiamo parlando delle folle. Sonocertochesisaràtrovato in mezzo alla folla. La folla non è interessata ad argute disquisizionisullapaternitàdi uno scritto. La folla non ha intelletto, ma passioni. Oppure voleva dire qualcos’altro? – Volevo dire che se lei, consapevolmente e in nome del futuro, acuisce le sofferenze di quei miseri bambini della porta accanto, nonsaràperdonato. – Consapevolmente? Che vuol dire consapevolmente? Lei continua a parlare di quello che passa per la testa dellagente,malastorianonè fatta di idee, non si fa nelle mentidellagente.Lastoriasi fa per le strade. E non mi venga a dire che questo è proprio parlare di idee. Questo è un altro di quei trucchetti dialettici con cui abbindolano gli studenti. Io non sto parlando di idee e se purefossenonmiimporta.Io posso pensare una cosa ora e un’altra un minuto dopo e non me ne importa niente se agisco. Il popolo agisce. Inoltre lei si sbaglia, non conosce la dottrina religiosa! Non ha mai sentito parlare del pellegrinaggio della MadrediDio?Ilgiornodopo l’ultimo giorno? Quando tutto sarà stato deciso e i cancelli dell’inferno saranno stati chiusi, la Madre di Dio lascerà il suo trono in cielo e farà un pellegrinaggio all’infernoperintercedereper i dannati. S’inginocchierà e nonsitireràpiúsufinoache Dio non si sarà commosso e tutti non saranno stati perdonati, anche gli atei, anche i blasfemi. Dunque lei si sbaglia, viene contraddetto daisuoistessilibri–conclude Nečaev trionfante, con gli occhifiammeggianti. Il perdono per tutti. Al solo pensiero la testa cominciaaturbinargli.Eloro saranno riuniti, il padre e il figlio. Siccome viene dalla bocca falsa di un blasfemo non dovrebbe essere vero? Chipuòdiredovesceglieràdi vivere la Madre di Dio? Se Cristo si nasconde, perché non potrebbe nascondersi negli scantinati? Chi può escluderechesiapropriolíin quel momento? Nel bambino che succhia il latte dalla madre, alla porta accanto, o nella bambina con gli occhi opachi ma furbi, nello stesso SergejNečaev? – Sta provocando Dio, se scommettesullapietàdiDioè perduto. Non ci pensi neppure,midiaretta,ocadrà! La sua voce è cosí indistinta che riesce a malapena a pronunciare le parole. Per la prima volta il compagno di Nečaev alza gli occhisudiluieloguardacon interesse. Come intuendo la propria debolezza, Nečaev si scatena, come un cane arrabbiato: – Diciotto secoli sono passati dall’era di Dio, quasi diciannove! Siamo alla soglia di un’era nuova, in cui saremo liberi di pensare quello che vogliamo. Non c’è niente che ci sia proibito pensare! E lei lo sa bene. Lo deve sapere… è quello che dice Raskolnikov nel suo libro,primadiammalarsi! – Lei è pazzo! Non sa leggere! – biascica. Ma ormai sa di avere perso. Ha perso perché è il primo a non credere a quello che dice. E non crede a quello che dice perché ha perso. La logica, la ragione, tutto gli crolla addosso. Fissa Nečaev e vede solo un cristallo che brilla nella luce del deserto, un cristallo chiuso in se stesso, impenetrabile. – Attenzione! – dice Nečaev agitando un dito minaccioso.–Attenzionealle parole che usa con me. Io sonodallapartedellaRussiae semidicechesonopazzosta dicendochelaRussiaèpazza! – Bravo! – grida il compagno e lo applaude con stancaironia. Luiprovaariprendersiper l’ultima volta: – Non è vero, questisonosolosofismi.Leiè solo una parte della Russia, una parte della pazzia della Russia. Sono io quello, – si metteunamanosulpetto,ma poi, colpito dalla retorica del suo gesto, la lascia cadere – sono io quello che si porta appresso la pazzia. È il mio destino,ilmiofardello,nonil suo.Leiètroppogiovaneper cominciare a portare quel peso. – Bravo! ancora! – dice l’altro battendo le mani. – Ti hafregato,Sergej! –Allorafaròunpattocon lei – continua a dire. – Scriverò per voi. Dirò la verità, tutta la verità, in una pagina,comevuolelei.Lamia condizioneèchelastampiate esattamente com’è, senza cambiare una parola e che la distribuiateaquelmodo. – D’accordo! – Nečaev è raggianteperlavittoria.–Mi piaccionoipatti.Daglicartae penna! L’altrometteunalastrasul tavolodacomposizioneetira fuorilacarta. FëdorMichailovičscrive: «La notte del 12 ottobre dell’anno di Nostro Signore 1869, il mio figliastro Pavel Aleksandrovič Isaev è morto cadendo dalla torre del molo di Stoljarnij. È stata fatta circolare la voce che la sua morte sarebbe stata causata dalla Terza Sezione della Polizia imperiale. Si tratta di unfalsomessoingiroabella posta. Io credo che il mio figliastro sia stato assassinato dal suo falso amico Sergej GennadevičNečaev. PossaDioaverepietàdella suaanima. F.M.Dostoevskij 18novembre1869». Scosso da un leggero tremore, Fëdor Michailovič passailfoglioaNečaev. – Eccellente! – esclama Nečaev,passandoloall’altro.– Laverità,diuncieco! –Stampalo! – Componilo! – ordina al compagno. L’altro gli lancia un’occhiata interlocutoria: – Èvero? – La verità? Che cos’è la verità?–urlaNečaevconuna voce che risuona in tutta la cantina. – Componilo. Abbiamo già perso abbastanzatempo! In quel momento capisce di essere caduto in una trappola. – Aspetti, devo cambiare una cosa – dice, riprendendo il foglio. Lo appallottola e se lometteintasca.Nečaevnon provanemmenoafermarlo:– Troppo tardi, non si torna indietro.Lohascrittodavanti a un testimone. Lo stamperemo come abbiamo promesso,parolaperparola. Una trappola. Una trappola diabolica. Lui non era, come aveva creduto, una comparsa dietro le quinte intromessasi al momento sbagliato nella lotta fra il figliastro e l’anarchico Nečaev.LamortediPavelera statasoloun’escaperstanarlo da Dresda e trascinarlo a Pietroburgo.Eraluilapredaa cui puntava. È stato tirato fuori dal suo nascondiglio e ora Nečaev gli è saltato addossoelohaazzannatoalla gola. Fissa Nečaev furente, ma quello non recede di un millimetro. 17. Ilveleno Il sole è basso nel cielo pallido e sereno. Uscito dalla selva di vicoletti su VoznesenskijProspekt,Fëdor Michailovič deve chiudere gli occhi.Icapogiricherischiano di farlo cadere sono ripresi, tanto che quasi desidera il conforto della benda sugli occhi e di una mano che lo guidi. È stanco del maelstrom di Pietroburgo. Dresda luccica in lontananza come un miraggiodipace:Dresda,sua moglie, i suoi libri e le sue carte e tutte quelle piccole comoditàchefannounacasa, non ultimo il piacere della biancheria fresca. E tutto questo proprio ora che è senza passaporto e che non puòpartire!«Pavel!»,bisbiglia il nome piú volte, come una formulamagica.Mahaperso il contatto con lui e con la logica che gli spiega perché, visto che Pavel è morto a Pietroburgo, lui è legato a quella città. Quello che lo trattiene non è piú Pavel e neppureAnnaSergeevna,ma la buca scavata per lui dal traditore di Pavel. Invece di girareasinistrasuviaSečnoj, Fëdor Michailovič gira a destra su via Sadovaja e si dirige alla stazione di polizia. Nel suo furore spera che Nečaevglisiaallecostole,che lospii. La sala d’attesa è piena di gente,comealsolito.Simette in fila e dopo venti minuti arrivadavantiall’impiegato:– Dostoevskij. Mi sono presentatocomerichiesto. – Richiesto da chi? – L’impiegato è giovane e non indossa neppure l’uniforme dellapolizia. Luialzalebracciaalcielo, irritato. – Ma come faccio a saperlo? Mi hanno detto di presentarmiqui.Eccomi. – Si sieda. Qualcuno si occuperàdilei. Comincia a essere esasperato.–Nonhobisogno chequalcunosioccupidime. Basta che mi sia presentato qui in carne e ossa, che altro volete? E come faccio a sedermisenoncisonosedie? L’impiegato è palesemente interdettodallasuaveemenza; nellastanzac’èaltragenteche loguarda. – Scrivete il mio nome e fatelafinita!–chiede. – Non posso scrivere un nome – risponde l’altro saggiamente.–Comefaccioa sapere come si chiama? Mi mostriilpassaporto. Lui non domina piú la rabbia:–Primamiconfiscate il passaporto e poi mi chiedete di presentarlo. Che follia! Fatemi vedere il ConsigliereMaksimov! Secredechel’impiegatosi impressioni sentendo pronunciare il nome di Maksimov, si sbaglia: – Il Consigliere Maksimov è occupato. È meglio che si sieda e si calmi. Qualcuno si occuperàdilei. –Quando? – Come faccio a dirglielo? Nonèl’unicapersonacheha dei problemi –. Indica la stanza piena di gente. – Comunque se vuole protestare, la procedura da seguire è quella di presentare una lettera. Non ci possiamo muoverefinchénonabbiamo qualcosa di scritto, qualcosa su cui mettere le mani, per cosí dire. Lei mi sembra una personacolta.Senz’altrosene rende conto –. Detto ciò, si rivolge alla persona in fila dopodilui. Non c’è dubbio che se potesse vedere subito Maksimov non esiterebbe a vendere Nečaev per il passaporto.L’unicaesitazione potrebbe derivare dal fatto che è convinto che essere tradito – e tradito da lui, Dostoevskij – è proprio quello che vuole Nečaev. O è ancora peggio, c’è ancora un altro trucco? È possibile che dietro tutte le insinuazioni che Nečaev ha fatto sulla sua natura di traditore ci sia l’intento di inibirlo e confonderlo? Ha la sensazione di essere stato sconfitto a ogni mano, sconfitto forse perché vuole essere sconfitto, sconfitto da un giocatore che dal giorno chel’haincontrato,oforseda prima, ha capito che l’altro godeva a cedere, a essere accalappiato,truffato,sedotto e che ha piegato quell’intuizione ai suoi fini. Come spiegare altrimenti la sua stupida passività, lo stato di torpore della sua coscienza? Era successa la stessa cosa con Pavel? Forse Pavel in fondo era figlio del suo patrigno, aveva la stessa debolezza, amava farsi sedurre dall’idea di essere sedotto. Nečaev aveva parlato dei banchieri come di ragni, quanto a lui, ora si sente come una mosca presa nella ragnatela di Nečaev. Non c’è un ragno piú grosso di Nečaev, o forse sí, è il Consigliere Maksimov, seduto alla sua scrivania, che schiocca la lingua e fissa la prossima preda. Spera di mangiarsi Nečaev, di ingoiarlo in un boccone solo, rompergli le ossa e sputare i restispolpati. Ecco che, dopo l’autocompiacimento, è caduto in balia del piú meschino desiderio di vendetta.Èpossibilechecada ancora piú in basso? Ricorda la frase di Maksimov: ai giorninostribeatoquelpadre chehafigliefemmine.Sefigli cidevonoessere,megliofargli da padre a distanza, come fannoleraneoipesci. Immagina il ragno Maksimov a casa, con le tre figlie intorno, che lo accarezzanoconiloroartigli, che soffiano dolcemente. Anchecontrodiluiprovaun acutorisentimento. Sperava in una risposta pronta da parte di Apollon Majkov, ma il portiere è impenetrabile e non ci sono messaggi. – È sicuro che la mia letterasiastataconsegnata? – Non lo chieda a me; lo chieda al ragazzino che l’ha portata. Cerca di rintracciare il ragazzino, ma nessuno sa dovesia. Deveforseriscrivere?Seil primo appello è arrivato a Majkov ed è stato ignorato, un secondo appello non sembrerà abietto? Non è ancoraunmendicante.Mala sgradevole verità è che sta vivendo, giorno dopo giorno, della carità di Anna Sergeevna.Enonpuòsperare che la sua presenza a Pietroburgo continui a passareinosservatamoltopiú alungo.Lanotiziacircoleràe da quel momento dovrà aspettarsi che una mezza dozzina di creditori si metta inmotoperfarloarrestare.Il fatto che sia povero in canna non basta; qualunque creditore si renderebbe facilmentecontodelfattoche, alle brutte, sua moglie, o la famiglia di lei, o anche i suoi colleghi scrittori potrebbero fare una colletta per salvarlo dalcarcere. Unaragioneinpiúdunque per andarsene da Pietroburgo!Deverecuperare ilpassaportoesenonciriesce dovrà provare a viaggiare di nuovoconquellodiIsaev. Ha promesso ad Anna Sergeevnadidareun’occhiata alla bambina malata. Trova l’alcova con le tende aperte e Matrëna seduta in mezzo al letto. –Comestai?–lechiede. Lei non risponde, assorta neisuoipensieri. Lesiavvicina,lemetteuna mano sulla fronte. Sulle guance ha le macchie rosse dell’eccitazione, ha il fiato corto,manonhafebbre. –FëdorMichailovič–dice parlando lentamente e senza guardarlo–famalemorire? Lui è meravigliato del corso che hanno preso i suoi pensieri:–MacaraMatrëša– esclama – tu non stai mica morendo!Mettitigiú,fattiun sonno e quando ti sveglierai vedrai che ti sentirai meglio. Fra pochi giorni potrai tornareascuola,lohaisentito ilmedico,no? Mentre lui parla, la bambina continua a scuotere latesta:–Nonstopensandoa me. Voglio dire: fa male morire,ingenerale? Ora capisce che sta parlando sul serio: – Dici il momentodellamorte? –Sí,nonquandosièmorti deltutto,masubitoprima. – Quando si capisce che è finita? –Sí. Deo gratia! Finalmente, dopo giorni di chiusura e di comportamento ostile e infantile, dopo giorni di rancore,dopogiorniincuisi è rifiutata di parlare del suo prezioso ricordo di Pavel, Matrënaètornatainsé. – Per gli animali non è duro morire, – le dice con tenerezza.–Forsedovremmo prendere esempio da loro. Forse è per questo che sono qui con noi, sulla terra, per mostrarcichevivereemorire non sono cose cosí difficili comepensiamo. Tace.Poiriprova. – Ciò che ci spaventa di piú nella morte non è il dolore, ma è l’idea di lasciare quelli che ci amano e di viaggiare da soli. Ma non è cosí, davvero non è cosí. Quando moriamo ci portiamo in petto le persone amate.Paveltihaportatocon sé, e ha portato anche me e tua madre. Ci porta sempre consé.Pavelnonèsolo. Sempre con la stessa lentezza, con la stessa aria assorta, la bambina dice: – NonpensavoaPavel. Fëdor Michailovič è sconcertato, non ci capisce piúniente;maglicivuoleun pocoprimadirendersiconto fino a che punto non ha capito. –Achipensavi,allora? – Alla ragazza che è stata quisabato. –Dichiparli? – Dell’amica di Sergej Gennadevič. – La finlandese? Sei preoccupata perché la polizia l’ha portata qui? Non devi stare a tormentarti per questo!–Leprendelamanoe l’accarezza per rassicurarla: – Nessuno morirà, la polizia non ammazza la gente! La rimanderanno in Karelia e basta. O, alla peggio, la terranno in prigione per un po’. Leiritraelamanoegirala faccia verso il muro. Ora comincia a balenargli il sospetto di continuare a non capire. Forse la bambina non gli sta chiedendo rassicurazione,nonvuoleche vengano fugate le sue paure infantili. Forse sta cercando, in modo contorto, di dirgli qualcosachenonsa. – Hai paura che la condannino a morte? È questo che temi? Perché sai che ha fatto qualcosa di terribile? Matrënascuotelatesta. – Allora devi dirmelo tu. Nonriescoapensareadaltro. – Hanno tutti giurato che non si faranno catturare. Hanno giurato di uccidersi prima. –Èfacilegiurare,Matrëna. Meno facile mantenere i giuramenti, soprattutto quando i tuoi amici ti hanno abbandonato e sei rimasta sola.Lavitaèpreziosaeleifa bene a tenersela stretta, non devibiasimarlaperquesto. Matrëna continua a ruminare fra sé per un po’, giocherellandodistrattamente conlelenzuola.Quandoparla lo fa bisbigliando e a testa bassa, tanto che è difficile cogliere le parole: – Le ho datoilveleno. –Cosalehaidato? La bambina si scosta i capellidalvisoeluivedeche nascondevaunvagosorriso. – Il veleno – dice dolcemente. – Fa male il veleno? – E come hai fatto? – le chiede, interdetto, con la menteinsubbuglio. – Quando le ho dato il pane. Nessuno se ne è accorto. Ricorda la scena che lo aveva lasciato interdetto: quell’inchino all’antica, l’offerta del cibo al prigioniero. –Leilosapeva?–bisbiglia afaticaFëdorMichailovič. –Sí. – Ne sei certa? Sei sicura chesapessecos’era? Lei annuisce. Ripensando alla legnosità e all’ingratitudine mostrata dalla finlandese in quel momento, non ha ragione di dubitarne. – Ma come hai fatto a procurartiilveleno? – Lo aveva lasciato Sergej Gennadevičperlei. –Checos’altrohalasciato? –Labandiera. –Labandieraechealtro? –Qualchealtracosa.Miha chiestodicustodirla. –Fammivedere. La bambina scende dal letto, si china, cerca fra le lenzuola e alla fine tira fuori un pacchetto avvolto in una pezza di cotone. Fëdor Michailovič lo appoggia sul lettoeloapre.Dentrocisono una pistola americana e alcune pallottole, un po’ di volantini e un borsellino di stoffa chiuso da un lungo cordoncino. – Il veleno sta lí – spiega Matrëna. Dopo averlo aperto, l’uomo rovescia il contenuto del borsellino sul letto: tre capsule di vetro con una polverinaverdedentro. –Èquestochelehaidato? Labambinaannuisce:–Ne avrebbe dovuto avere uno comequestoalcollo,manon cel’aveva–.Matrënasipassa il cordone sulla testa e lascia pendere il borsellino fra i seni, come un medaglione. – Se ce l’avesse avuto non l’avrebberopresa. –Ecosílehaidatounadi queste? – Lei lo voleva perché l’aveva giurato. Avrebbe fatto qualunque cosa per Sergej Gennadevič. –Forse,oalmenoèquello che sostiene lui. Comunque senonleavessidatoilveleno sarebbestatopiúfacileperlei nonmantenereunapromessa cosídifficiledamantenere. Lei arriccia il naso con un’espressione che Fëdor Michailovič oramai conosce, quella di quando si sente stretta in un angolo e la cosa non le piace. Lui comunque insiste. – Non credi che Sergej Gennadevič distribuisca la morte con troppa disinvoltura? Ricordi il mendicante che è stato ucciso? È stato Sergej Gennadevič a farlo, o a ordinare a qualcuno di farlo; qualcuno che ha ubbidito, comehaifattotu. Matrëna arriccia di nuovo ilnaso:–Perché?Perchéloha volutouccidere? – Per mandare un messaggio al mondo, immagino.Unmessaggioche dice che con lui, Sergej Gennadevič Nečaev, non si scherza.Oppureperverificare selapersonaacuiavevadato l’ordine gli avrebbe ubbidito. Non lo so. Non riesco a leggere nel suo cuore e nemmenonehopiúvoglia. Matrëna rimane pensierosaperunpo’:–Non mi piaceva, – dice alla fine – puzzavadipesce. Fëdor Michailovič la fissa senza battere ciglio e lei ricambia candidamente lo stessosguardoimpassibile. – Invece Sergej Gennadevičtipiace? –Sí. Quello che vorrebbe, ma che non si sa risolvere a chiedere, è: lo ami? Faresti qualunque cosa per lui? Ma leisabenecosaluiintendesse dire e ha già dato una risposta. Ora resta solo una domanda:piúdiPavel? La bambina esita, è evidente che sta pesando i suoi due amori: uno nella mano destra e l’altro nella sinistra, come mele. – No, – diceallafineconunasortadi grazia – mi piace sempre di piúPavel. – Perché non avrebbero potutoesserepiúdiversiquei due,nonèvero?Comecalcee cacio. – Calce e cacio? – Sembra divertitadall’idea. – È solo un modo di dire. Come un cavallo e un lupo, uncervoeunlupo. Matrëna riflette sui nuovi paragoni. – Tutti e due amano divertirsi – amavano divertirsi – protesta, incespicandoneitempi. Fëdor Michailovič scuote latesta:–No,quisbagli,non c’è allegria in Sergej Gennadevič. Certamente ha una sua forma di umorismo, ma senza allegria –. Si china, le scosta dal viso la ciocca di capellichelocopre,letoccala guancia.–SentiMatrëna,non puoi nascondere questa roba a tua madre – indica gli strumenti di morte. – Li eliminerò io per te, come ho già fatto col vestito blu. Non importa quello che dirà Nečaev. Tu non puoi tenerli, è troppo pericoloso. Mi capisci? Matrënaaprelelabbra,gli angolidellaboccaletremano. Sta per piangere, pensa. Ma nonècosí,quandoglialzagli occhi in faccia Fëdor Michailovič è avvolto da uno sguardosfrontato,discherno. Labambinasiritraedallasua mano scuotendo i capelli: – No! – grida lui. Quello sguardo è provocatorio e sarcastico.Poilacrisipassae la bambina è come prima, confusa,vergognosa. È impossibile che quello che ha appena visto si sia davveroverificato.Quelloche havistononvienedalmondo che conosce ma da un’altra esistenza. È come se per la prima volta fosse stato presenteduranteunacrisiese per la prima volta avesse capito dove viene trascinato durante gli attacchi. Incomincia a chiedersi se attaccosialaparolagiusta,se nonsidebbapiuttostoparlare dipossessione, se tutto quello che per vent’anni è stato chiamato epilessia non fosse piuttosto solo il presentimento di quanto gli sta succedendo ora, se il tremito e le convulsioni del corpo non siano state un lungo preludio al collasso dell’anima. La morte dell’innocenza. In vita sua non si è mai sentito tanto solo. È un pellegrino in un’enorme pianura; sopra la sua testa si assembrano le nuvole, all’orizzontebalenanoilampi e l’oscurità si addensa, uno strato dopo l’altro. Non c’è rifugio, se aveva una meta ormai l’ha dimenticata da un pezzo, piú si ammassano e piú le nubi si fanno pesanti. Chescoppipure! grida. Tanto acheserverimandare? Sono le sei e la strada è piena di gente, quando si precipita fuori con il suo pacco. Passa per via Gorochovaja fino al canale Fontanka, e si mescola alla follacheattraversailponte.A metà strada si ferma e si affacciasullasponda. L’acquaormaièghiacciata, tranne che per un canaletto scavato nel centro. Chissà cosa si ammassa sotto il ghiaccio nel letto del canale! Quando a primavera arriva il disgelo chissà che raccolto di colpevolisegreti:coltelli,asce, vestitiinsanguinati.Omagari peggio. Facile uccidere l’anima, difficile invece disfarsi di quello che resta quandol’animasen’èandata. La stessa sepoltura e le sue formule magiche non sono dirette, se vogliamo dire la verità, all’anima, ma al corpo ostinato,perchénonrisorgae nonritorni. Cosí,concautela,comeun uomocheesplorilasuastessa ferita, riammette Pavel nei suoi pensieri. Sotto la sua coperta di terra e neve, nell’isola di Elagin, Pavel, implacato, esiste ancora ostinatamente. Pavel si irrigidisce per resistere al freddo,digrignaidenticome un teschio, e sopporta quello che deve sopportare, per i secoli dei secoli che dovrà durare, fino al giorno della resurrezione, quando le tombesarannoscoperchiatee i sepolcri spalancati, e il sole splenderàancorasudilui,che potrà finalmente rilassare le membratese.Poverofiglio! Unagiovanecoppiaglisiè fermata accanto. L’uomo circonda col braccio le spalle della donna. Fëdor Michailovič si allontana da loro. Sotto il ponte l’acqua nera scorre pigramente, lambendo una cassetta di legno disseminata di ghiaccioli. Poggia sulla balaustrailsuopaccoavvolto nella tela e legato con la corda. La ragazza gli dà un’occhiata, poi distoglie lo sguardo.Inquelmomentolui dàunaspintaalpaccocheva afiniresulghiaccio,proprioa lato del canaletto e resta lí, benvisibileatutti. Non riesce a crederci! Sta esattamente sopra al canale, eppure il pacco non c’è caduto dentro, è colpa della parallasse? O forse alcuni oggetti non cadono verticalmente? Una voce alla sua sinistra lofasussultare.–Orasícheè neiguai!–Unvecchioconun casco da operaio e con la barba grigia gli rivolge un largo sorriso ammiccante. Chefacciadiabolica!–Nonci si potrà camminare almeno per un’altra settimana, temo. Cosapensadifare? Ci vorrebbe una crisi, pensa. Allora il mio calice sarà davvero pieno. Si immagina con le convulsioni e con la schiuma alla bocca, vede la gente adunarglisi intornomentrel’uomoconla barbagrigiaindicailpuntoin cui si trova la pistola sul ghiaccio. Una crisi come un fulminedelcielo,chestronchi il peccatore. Ma la crisi non arriva.–Sifacciaifattisuoi!– borbotta, allontanandosi in fretta. 18. Ildiario Èlaterzavoltachesisiede a leggere le carte di Pavel. Non sa che cosa renda cosí difficile la lettura, sa solo che la sua attenzione continua a spostarsi dal senso delle parole alle parole stesse, alle lettere sulla carta, alla traccia d’inchiostro del movimento dellemani,alleombrelasciate dalla pressione delle dita. Ci sono momenti in cui chiude gliocchiesfioralepaginecon le labbra. Caro: ogni graffio sullacartamiècaro,sidice. Ma nella sua riluttanza c’è qualcosa di piú. C’è qualcosa di brutto in questa sua intrusionenellavitadiPavele c’è qualcosa di osceno nell’idea del Nachlass 1 di un figlio. L’ironia di Maksimov gli harovinato,forsepersempre, il racconto di Pavel ambientato in Siberia. Non può non riconoscere il carattere giovanile e la scarsa originalità della scrittura. Eppure ci vorrebbe cosí poco a infonderle vita! Vorrebbe prendere la penna, cancellare i lunghi brani sentimentalideologici e aggiungere qua e là quei tocchi vitali di cui ha tanto bisogno. Il giovane Sergejèunipocritaarrogante che va guardato a distanza, visto con piú umorismo, soprattutto per quanto riguarda la solenne disciplina cui sottopone il corpo. Quel che spinge la contadina nelle sue braccia non può certamenteesserelapromessa di una vita matrimoniale (a base di pane secco e rape, a quantosipuògiudicare,euna dura tavola per dormire) ma la sua aria di tenersi pronto perundestinomisterioso.Da dove viene questo? Da Cernyševskijcerto.Maaparte Cernyševskij, dai Vangeli, da Gesú, da un’imitazione di Gesú cosí ottusa e perversa che ricorda quella dell’ateo Nečaev, che si circonda di una banda di discepoli e li conduce a imprese di morte. Un pifferaio con una truppa di maiali che gli ballano attorno. – Lei farebbe qualunque cosa per lui – aveva detto Matrëna a proposito della ragazzamaiala, della piccola martire Katri. Qualunque cosa, sopportare l’umiliazione, affrontarelamorte.Senzapiú pudore, senza amor proprio. Cosa succedeva fra Nečaev e le sue donne nella stanza sopra il negozio di Madame LaFay?EMatrëna?Anchelei sarebbe stata avviata all’harem? Chiude il manoscritto di Pavel e lo allontana da sé. Se dovessecominciareascriverci lotrasformerebbedisicuroin qualcosadiabominevole. Poi c’è il diario. Sfogliandolo nota per la primavoltaunasciadisegnia matita, piccoli e nitidi segni certamente non di mano di Pavel, che dunque non possono essere stati fatti che da Maksimov. A chi erano rivolti?Forseauncopista,ma nella condizione in cui si trovanonpuòfareamenodi interpretarli come tracce segnateperlui. «Visto A.», dice il brano segnato in data 11 novembre 1868.Circaunannoprima.In data 14 novembre di nuovo una misteriosa A. Il 20 novembre: «A. da Antonov». Daquelmomentoinpoiogni accennoadA.èstatosegnato. Ritornaindietro.Laprima A.èdel6giugno,sesiesclude il 14 marzo: «Lunga chiacchierata con…», con un segno e un punto interrogativoaccanto. 14 settembre 1869, un anno prima della sua morte: «Schema per un racconto (idea di A.). Un portone chiuso, noi stiamo fuori e lo tempestiamo di pugni, chiediamo di entrare. Di tanto in tanto viene aperto uno spiraglio e una guardia chiama uno di noi. Il prescelto viene privato di tutto quello che possiede, perfinodellevesti.Diventaun servo,imparaainchinarsiea parlare a voce bassa. Come servi scelgono quelli che ritengono piú docili, i piú facilidadomare.Ifortinonli fannoentrare. Tema: diffusione dello spirito fra i servi. Prima protestasoffocata,poirabbia, ribellione, alla fine strette di mano e giuramento di vendicarsi. Si chiude con un vecchio servo fedele con i capelli bianchi e l’aria di un nonno che arriva con un candelabro a “fare la sua parte”(comedice)edàfuoco alletende». È un’idea buona per una favola,unaparabola,nonper un racconto. Senza una vita sua,uncentro.Senz’anima. 6 luglio 1869. «In una lettera dieci rubli dalla Snitkina, per il mio onomastico (in ritardo), con ordine di non dirlo al Maestro». La Snitkina è Anja, sua moglie.IlMaestroèlui.Eraa quellochepensavaMaksimov quando lo ha avvertito che c’erano brani dolorosi? Se è cosí allora Maksimov non sa che quella per lui è una freccia da pigmeo. Può sopportare di piú, molto di piú. Ritorna indietro, ai primi giorni. 26 marzo 1867. «IncrociatoF.M.perstradadi notte. Aria furtiva (era stato con una puttana?), cosí ho dovuto far finta di essere piú ubriacodiquellocheero.Lui “haguidatoimieipassifinoa casa” (adora fare il padre che perdona il figliol prodigo), poi mi ha messo giú sul divano come un cadavere e intanto lui e la Snitkina discutevano a voce bassa. Io avevopersolescarpe(forsele avevo regalate). È finita con F.M. in maniche di camicia checercavadilavarmiipiedi. Tutto molto imbarazzante. StamattinahodettoallaS.che debbo trovare un posto mio, dovrebbe insistere, usare le sue grazie, ma lei è troppo spaventatadalui». Doloroso? Sí, doloroso. Maksimov ha ragione. Ma semmai smetterà di leggere nonsaràperildolore,maper la paura. Paura, per esempio, che venga minata la fiducia che ripone in sua moglie. Pauraancheperlafiduciache hainPavel. Per chi erano state scritte quelle pagine maligne? Forse Pavel le aveva scritte per gli occhi del padre e poi era morto per lasciare le sue accuse senza risposta? Che idea assurda. Piuttosto era come una donna che scriva all’amante, con il fantasma del marito che legge dietro le spalle. Ogni parola è doppia: uno ci legge la passione e la promessa di una resa, l’altro una supplica e un rimprovero. La scrittura divisa di un cuore diviso. Chissà se Maksimov se ne è resoconto. 2 luglio 1867, tre mesi dopo. «Liberazione dei servi! Finalmente libero! Portato F.M. e moglie alla stazione e poi dato immediatamente disdetta della sistemazione impossibile che mi ha trovato (tazza personale, portasalviette personale e alle 10,30 il coprifuoco). V.G. mi hadettochepossostaredalui finché non trovo qualcos’altro. Devo convincere il vecchio Majkov a darmi i soldi per pagare direttamentel’affitto». Scorre le pagine distrattamente, avanti e indietro. Perdono, possibile che non ci sia una parola di perdono, per quanto obliqua e nascosta? Impossibile continuare a vivere con un figlio dentro di sé, morto senzaunaparoladiperdono. Dentrolacassadipiombo, una d’argento. Dentro quella d’argento una d’oro e dentro quella d’oro il corpo di un giovanevestitodibianco,con le mani incrociate sul petto. Fra le dita un telegramma. Sbircia il telegramma alla ricerca di una parola di perdono che non c’è. Il telegramma è scritto in ebraico, in assiro, in simboli chenonhamaivistoprima. Sente bussare alla porta. È Anna Sergeevna, dev’essere appenarientrata,–Grazieper aver dato un’occhiata a Matrëša. Ha creato qualche problema? Gli ci vuole un po’ prima di tornare in sé e ricordarsi che lei non sa niente dell’uso abominevole che Nečaev ha fattodellasuabambina. –Nessunproblema.Come tisembrachestia? – Dorme, non voglio svegliarla. Vede le carte sparse sul letto. –Vedochefinalmentestai leggendo i suoi scritti, non vogliointerromperti. – Aspetta, non te ne andare ancora. Non è piacevole. –FëdorMichailovič,lascia che te lo ripeta, non leggere cose che non erano pensate perché tu le leggessi. Ti farà solomale. – Vorrei poter seguire il tuo consiglio, ma purtroppo non è per questo che sono qui. Non è per evitare la sofferenza che sono qui. Ho scorso il diario di Pavel, e ho trovato il resoconto di un incidentedidueannifa;iolo ricordo fin troppo bene. È stato illuminante rivederlo attraverso gli occhi di un altro.Paveleratornatoacasa a notte fonda, ubriaco fradicio. Svestendolo notai qualcosa di cui non mi ero mai accorto prima: aveva le unghie dei piedi piccole piccole, come se non fossero piú cresciute da quand’era bambino. Piedi larghi e carnosi (immagino presi dal padre) con le unghie minuscole. Aveva perso le scarpe o le aveva regalate e i suoi piedi sembravano blocchidighiaccio. Pavel che girovaga per le strade fredde dopo mezzanotte,senzascarpe.Un angelo caduto, un angelo imperfetto, uno di quelli scacciati da Dio. I suoi piedi sono quelli di un camminatore, di uno che calpesta pesantemente la nostra grande madre, di un contadino, non di un ballerino. Poi, sdraiato sul divano, con la testa ciondolante e il vomitosuivestiti. –Glidiediunvecchiopaio di scarpe e lo vidi andarsene via la mattina dopo, molto scontroso e con le scarpe in mano. Ecco tutto. Un’età strana però, a diciotto, diciannove anni sono adulti, ma non riescono ancora a lasciare il nido. Hanno le ali ma non sanno ancora volare. Sempre a mangiare, sempre affamati.Mifannopensareai pellicani, creature allampanate, gli uccelli piú goffi, prima che riescano a spiegare le loro grandi ali e a lasciare la terra. Purtroppo non è cosí che Pavel ricorda quellanotte.Nelsuoracconto non ci sono angeli né uccelli, non si parla di cure paterne, diamorepaterno. – Fëdor Michailovič, non ti servirà torturarti a questo modo. Se non ce la fai a bruciare queste carte almeno mettile via per un po’ e ritornacisoprasolodopoche avrai fatto pace con Pavel. Ascoltami, fai come ti dico, periltuobene. –Grazie,Annacara.Letue parole mi toccano il cuore, maquandoparlodievitarela sofferenza, quando parlo del perchésonoqui,nonintendo dire in questa casa o a Pietroburgo.Intendodireche non sono qui in Russia, di questi tempi, per vivere una vita priva di dolore. Non posso fare altro che vivere (come definirla?) una vita russa: una vita dentro la Russia,oconlaRussiadentro di me, qualunque cosa la Russia voglia dire. È un destinoalqualenonmiposso sottrarre. Il che non significa che io gli rivendichi una grossaimportanza.Nonèuna vita da analizzare da vicino. Anzi non è tanto una vita quanto un prezzo o una moneta. È qualcosa con cui pago per poter scrivere. È questo che Pavel non capiva, chepagoanch’io. Leisirabbuia.Oracapisce da chi ha preso certe smorfie Matrëna. Non ha pazienza per questo strapparsi le viscere. Ha ragione: è una mania troppo diffusa in Russia. Ma comunque pago anch’io. Lo ripeterebbe, se lei lostesseasentire.Lodirebbe ancoraedirebbeanchedipiú. Pagoevendo:èquestalamia vita. Vendo la mia vita e quelladellepersoneintornoa me. Vendo tutti. Sono un Jakovlev che traffica in vite. La finlandese aveva ragione, dopotutto: un Giuda, non un Gesú. Vendo te, tua figlia, vendo tutti quelli che amo. Ho venduto Pavel quand’era vivoeoravenderòquelloche ho dentro, se ci riesco. Spero di riuscire a vendere anche Nečaev. Una vita disonorata; tradimento senza limite, confessionesenzascopo. La donna interrompe il corso dei suoi pensieri: – Pensiancoradipartire? –Sí,certo. – Te lo chiedo perché c’è qualcuno che si è informato sullastanza.Doveandrai? – Prima di tutto da Majkov. –Nonavevidettochenon cipuoiandare? – Mi presterà i soldi, ne sono certo. Gli dirò che devo rientrare a Dresda e poi mi cercheròunpostodovestare. – Perché non torni subito aDresda?Noncredichecosí risolverestiogniproblema? – La polizia ha ancora il mio passaporto e poi ci sono altreconsiderazioni. – Perché ormai hai fatto quello che potevi. Ormai stai sprecando il tuo tempo qui a Pietroburgo. Forsenonhasentitoquello chelehadetto?Oppurecerca di provocarlo? Fëdor Michailovič si alza, raccoglie le carte e si volta per affrontarla: – No, mia cara Anna, non sto affatto sprecando il mio tempo. Ho tutteleragionidelmondoper restare qui. Nessuno ha ragioni migliori delle mie. E sono sicuro che in fondo al cuorelosaianchetu. Lei scuote la testa: – Non so – mormora, ma il tono è quello di chi vuole essere contraddetto. –C’èstatounmomentoin cui ero sicuro che mi avresti condotto da Pavel, immaginavo noi due su una barca,tu,allaprua,laguidavi attraverso la nebbia. L’immagine era vivida come lavitastessa.Iohoripostoin tetuttalamiafiducia. Lei scuote nuovamente il capo. – Può darsi che abbia sbagliato nei dettagli, ma la sensazione non era sbagliata. Fin dall’inizio ho sentito qualcosadispecialeperte. Se lo volesse fermare, lo fermerebbeora.Manonlofa. Beve le sue parole come una pianta beve l’acqua. E perché no? –Abbiamoresolecosepiú difficili per noi, buttandoci in…inquelloincuicisiamo buttati. –Èstataanchecolpamia– interviene lei – ma ora non mivadiparlarne. –No,neppureame.Lascia solo che ti dica che la settimana scorsa ho capito quantosiaimportantepernoi la fedeltà, per tutti e due noi. Abbiamo dovuto recuperare lanostrafedeltà.Dicobene? La scruta con attenzione. Leiaspettacheluidicadipiú, aspetta perché vuole essere sicuracheluisappiacosavuol direfedeltà. –Vogliodire,dapartetua fedeltà nei confronti di tua figlia e da parte mia fedeltà a mio figlio. Non possiamo amare senza la loro benedizione,nonèvero? Anche se lui sa che è d’accordo, lei non lo dirà. Di fronte a quella dolce resistenza Fëdor Michailovič insiste: – Vorrei avere un figliodate. Lei arrossisce: – Che stupidaggine! Hai già una moglieeunfiglio! – Loro sono di un’altra famiglia.Tuseidellafamiglia diPavel,tueMatrëna,tuttee due,comeme. –Noncapiscochecosastai dicendo. –Sí,incuortuolosai. – In cuor mio, non lo so! Checosamistaiproponendo, di tirare su un figlio con il padre all’estero che manda l’assegno per posta? Che follia! – E perché, non pensavi forseaPavel? – Pavel era un pensionante,nonunfiglio! – Non c’è bisogno che tu decidasubito. – E io invece decido subito! No! È questa la mia decisione! –Esefossigiàincinta? Lei si risente: – Non sono affarituoi! –Eseionontornassipiúa Dresda. Se rimanessi qui e mandassilíl’assegno? – Qui? Nella stanza degli ospiti? A Pietroburgo? Pensavo che non potessi fermartiaPietroburgosenon volevi finire in galera per debiti. – Posso pagare i debiti… mi basterebbe un solo successo. Leiride.Forseèarrabbiata, manonèoffesa.Luipuòdirle quello che vuole. Che differenzadaAnja!ConAnja sarebbero lacrime, porte sbattute, settimane di suppliche per ritornare nelle suegrazie. – Fëdor Michailovič, – dice Anna Sergeevna – domattina ti sveglierai e non ti ricorderai neppure di queste chiacchiere. È solo un’idea che ti è venuta in mente cosí; non ci hai mica riflettuto. –Èvero.Èandatacosí,ma èperquestochecicredo. Lei non si butta fra le sue braccia, ma neppure lo respinge. – Bigamia! – dice ridacchiando sommessamente, e poi scoppia di nuovo a ridere. Poi, con aria piú decisa: – Vuoichevengastanotte? – Non c’è cosa al mondo chevogliodipiú! –Vedremo. A mezzanotte torna. – Non posso fermarmi – dice, ma intanto si chiude la porta allespalle. Fanno l’amore come due condannati a morte, assorti, risoluti. In certi momenti lui non sa dire quale dei due sia lui, quale lei. Sono scheletri, mucchidiossaedilegamenti stretti avvinghiati, bocca a bocca, occhi negli occhi, costole incatenate, ossa delle gambeintrecciate. Dopo, lei resta appoggiata addosso all’uomo nel letto stretto,latestasulsuotorace, lalungagambaaccavallatasu quella di lui. La testa gli gira dolcemente. – Allora tutto questo era per produrre la nascita del salvatore? – mormoraAnnaSergeevna.E, quando vede che lui non capisce: – Un fiume di sperma. Volevi proprio esserne certo. Il letto è fradicio. Il pensiero blasfemo lo intriga.Ognivoltatrovainlei qualcosa di nuovo e di sorprendente. Impensabile lasciare Pietroburgo, inconcepibile l’idea di non tornare piú, di non rivederla piú. –Perchésalvatore? – Non è questo il suo compito?Salvarti,salvarci? –Perchéseicosícertache siaunmaschio? –Ledonnelosanno. – Cosa ne penserà Matrëša? –Matrëšadiunfratellino? Non desidera altro. Potrebbe farglidamadrequantovuole. Apparentemente la domanda riguarda Matrëša ma è solo la piccola parte pronunciata di un’altra domanda, una domanda che non fa perché conosce la risposta. Pavel non sarebbe contento di un fratello. Pavel lo acchiapperebbe per un piedeeglisbatterebbelatesta controilmuro.PerPavelnon sarebbe un salvatore ma un concorrente, un usurpatore, un piccolo diavolo furbo vestitodellacarnepaffutadei bambini. E chi può giurare chesbagli? – Le donne lo sanno sempre? –Vuoidiresesodiessere incinta? Non preoccuparti, non succederà –. E poi: – Se mi fermo ancora un po’ qui miaddormento–.Siscopree lo scavalca. Alla luce della lunatrovaivestitiecomincia arimetterseli. Lui sente una stretta. Memoriesmossedigioventú, ilgiovanecheèdentrodilui, chenonèancoramorto,cerca di farsi sentire, il cadavere dentro di lui non è ancora stato sepolto. È sul punto di innamorarsi di un amore senza riserve, senza limiti. Ancora una volta il mal caduco,ounasuavariante. L’impulso è forte, ma passa. Forte, ma non forte abbastanza.Nonsaràmaipiú abbastanza forte, a meno che non trovi una stampella da qualcheparte. –Vieniquiunmomento– lesussurra. Lei si siede sul letto. Le prendelamano. – Posso darti un suggerimento?Noncredoche sia una buona idea che Matrëša continui a vedere SergejNečaeveisuoiamici. Leiritiralamano:–Certo cheno!Machec’entraora?– Lasuavoceèfreddaepiatta. –Perchécredocheleinon vada lasciata sola quando c’è ilrischiocheluipassi. –Checosasuggerisci? – Non può passare la giornata al piano di sotto, da Amalija Karlovna, fino a quandotunonrientri? –Nonsipuòchiedereuna cosadelgenereaunavecchia di quell’età, che per di piú non va d’accordo con Matrëša. Perché non dovrebbe bastare dire alla bambina di non aprire la portaaglisconosciuti? – Perché non ti rendi conto dell’ascendente di Nečaevsudilei. Si alza. – Non mi piace questa storia – dice. – Non capisco che bisogno c’è di discuteredimiafigliainpiena notte. L’atmosfera fra di loro è improvvisamente piú gelida chemai. – Possibile che io non possa pronunciare il suo nome senza scatenare le tue ire? – chiede sconsolato. – Credi che solleverei il problema se non mi stesse a cuoreilsuobene? Leinonrisponde.Laporta siapreesirichiude. 1 [In tedesco nel testo: «Eredità»]. 19. Incendi Sprofondare ancora una volta dalla rinnovata intimità all’estraniamento lo lascia interdetto e cupo. Passa dal desiderio di fare pace con questa donna difficile e permalosa alla gran voglia di lavarsenelemani.Nonsolodi una relazione poco gratificante, ma anche di una cittàdiluttoeintrigoconcui non sente piú un rapporto vitale. Sta precipitando: Pavel! sussurra, cercando di riprendersi. Ma Pavel ha lasciato la sua mano, Pavel nonlosalverà. Pertuttalamattinatasene sta chiuso in camera, con le ginocchia fra le braccia e la testachina.Nonèsolo.Mala presenza che sente nella stanza non è quella di suo figlio. Sono mille piccoli demoni, che oscurano l’aria come locuste uscite da un barattolo. Quando alla fine si alza è per tirare giú le immagini di Pavel, il dagherrotipo che ha portato con sé da Dresda e il disegnodiMatrëna.Liincarta insieme, faccia a faccia, e li mettevia. Esce per andare, come sempre, a presentarsi alla polizia.QuandorientraAnna Sergeevnaèacasa,piúpresto delsolitoepiuttostoagitata.– Abbiamo dovuto chiudere il negozio – dice – tutto il giorno c’è stata battaglia fra studentiepolizia.Soprattutto nella zona di Petrogradskaja, maanchedaquestapartedel fiume. Tutti i negozi hanno chiuso, è troppo pericoloso girare per le strade. Il nipote di Jakovlev tornava dal mercato sul carro quando qualcuno, senza alcun motivo, gli ha tirato addosso un ciottolo. Lo ha colpito al polso; ora ha forti dolori e non può muovere le dita, teme che gli abbia rotto un osso. Dice che anche gli operai si stanno unendo alla lottaecheglistudentihanno ripresoadappiccareilfuoco. – Possiamo andare a vedere? – grida Matrëna dal letto. – Assolutamente no, è pericoloso!Epoifaunfreddo cane. Si comporta come se non ricordasse quello che è successolanotteprecedente. Fëdor Michailovič esce di nuovo e si ferma in una sala da tè. I giornali non parlano degli scontri che si stanno svolgendo per le strade, ma c’è la notizia che, «data la sempre maggiore indisciplina del corpo studentesco», l’università rimarrà chiusa finoanuovoordine. Sono passate le quattro. Nonostante tiri un vento gelido, Fëdor Michailovič scende lungo il fiume, verso est. Tutti i ponti sono bloccati: i gendarmi in uniforme azzurra e con i caschi piumati li presidiano con le baionette. Sull’altra sponda rilucono i bagliori degliincendicontroilcieloal tramonto. Segue il corso del fiume fino a quando arriva in vista dei primi magazzini sventrati e ancora fumanti. Ha cominciato a nevicare e i fiocchi di neve si dissolvono appena sfiorano il legno bruciato. Non crede che Anna Sergeevna vorrà tornare ancora da lui. E invece ci torna,comeprima,senzadare spiegazioni. È incredibile l’energia selvaggia con cui fa l’amore, considerando che Matrëna è nella stanza accanto. Soffoca a mala pena grida e sospiri; non sono, né lo sono mai state, grida di piacere animale. Solo ora cominciaacapirecheèilsuo modo di indursi una sorta di tranceerotica. In principio la sua intensità lo contagia; per un lungomomentoperdeancora una volta la consapevolezza della propria identità e di quella di lei. Sono chiusi dentro una sfera di piacere incandescente; ci galleggiano dentro,comegemelli,girando lentamente. Non ha mai conosciuto una donna capace di lasciarsi andare fino a quel punto alla pulsione erotica. Eppure quando raggiunge il livello piú alto di eccitazione, Fëdor Michailovič comincia a ritrarsi da lei. Ha l’impressione che qualcosa stia cambiando: le sensazioni che durante la prima notte d’amore sembravano proveniredallaprofonditàdel suo corpo ora sembrano migrate alla superficie. E lei infatti comincia a essere «elettrica» come tante altre donnechehaconosciuto. Anna Sergeevna ha insistito per lasciare accesa la candela sulla toletta. Quando si avvicina all’orgasmo i suoi occhi scuri scrutano la faccia dell’uomo sempre piú intensamente, anche quando le palpebre tremano e il brividolasquassa. A un certo punto gli sembra di sentirle dire qualcosa che coglie solo in parte:–Checosa?–lechiede. Ma lei scuote la testa e digrignaidenti. Nonhacapitobene,masa cosahadetto:demone. È una parola che egli stesso usa, anche se in un altro senso. Il demone: l’istante che precede l’acme, quando l’anima viene proiettata fuori dal corpo e comincia a precipitare a spirale nell’oblio. Non è difficile immaginarla posseduta da un demone, quandoscuotelatestadauna parte e dall’altra, stringe i dentiemugola. La donna gli si butta addossoancoraunavoltaper ricominciare e con piú ferocia.Mailpozzoèseccoe presto se ne rendono conto entrambi.–Noncelafaccio– soffia, e rimane immobile. Con le mani alzate, le palme aperte,giace,comesesifosse arresa. – Non ce la faccio a continuare! – Le lacrime le rotolanogiúperleguance. La luce della candela la illumina. Lui stringe il suo corpo abbandonato fra le braccia. Le lacrime continuano a scorrerle sul viso e lei non fa niente per fermarle. –Cosac’è? – Non ho la forza di continuare. Ci ho provato in tuttiimodi,masonoesausta. Perfavoreoralasciacistare. –Lasciaci? – Sí, noi, noi due. Non riusciamo a respirare sotto il tuopeso.Soffochiamo. –Meloavrestidovutodire prima.Nonavevocapito. – Non ti sto rimproverando.Hocercatodi tenere tutto per me, ma non celafacciopiú.Sonostatain piedituttoilgiorno.Lanotte scorsa non ho dormito, sono sfinita. –Credichetiabbiausato? – No, non in quel senso. Però mi usi come mezzo per raggiungeremiafiglia. – Matrëna! Che assurdità! Nondirmichepensiunacosa delgenere! –Èlaverità,chiaracomeil sole!Miusiperarrivarealeie iononlosopporto!–Sisiede sul letto, incrocia le braccia sul seno nudo, e si mette a dondolare avanti e indietro con aria disperata. – Tu sei dominato da qualcosa che non riesco ad afferrare. Sembri presente, ma invece non ci sei. Ero pronta ad aiutarti per via di… – solleva le spalle impotente: – ma ora noncelafacciopiú. –PerviadiPavel? – Sí, per via di Pavel, per quello che avevi detto. Ero pronta a provare. Ma ora mi costa troppo. Mi consuma. Non sarei mai arrivata a questo punto se non avessi temuto che avresti utilizzato Matrënaallostessomodo. Le mette una mano sulle labbra: – Abbassa la voce. È un’accusa terribile. Che cosa ti ha detto? Non potrei mai metterle le mani addosso, lo giuro. –Logiurisuchi,osuche cosa? In cosa credi per poter giurare? Comunque non ha niente a che fare con lemani addosso, e tu lo sai bene. E non dirmi di stare calma –. Scaglia via le coperte e va in cercadeivestiti.–Devostare solaoimpazzisco. Un’ora dopo, proprio mentre lui si sta addormentando, s’infila nel suo letto, gli si avvinghia con la sua pelle calda, intreccia le gambe alle sue: – Non fare caso a quello che ho detto – dice – a volte non sono io; ti cidovraiabituare. Durante la notte Fëdor Michailovič si risveglia. Anche se le tende sono chiuse, la stanza è illuminata comesecifosselalunapiena. Sialzaevaallafinestra.Aun chilometro di lí le fiamme lambiscono il cielo notturno. L’incendio dall’altra parte del fiumeècosíimmensochegli sembradisentirneilcalore. Ritorna nel letto con Anna. Cosí li trova Matrëna la mattina dopo. La madre, spettinata e profondamente addormentata, sta accucciata vicino a lui e russa debolmente. Lui apre gli occhi e incontra quelli severi dellabambinasullaporta. Un’apparizione che avrebbe potuto anche essere unsogno,masachenonloè. Leivedetuttoesatutto. 20. Stavrogin Unanuvoladifumocopre la città. Dal cielo cade la cenere e in alcuni punti perfinolaneveègrigia. Tutta la mattina se ne sta seduto solo nella sua stanza. Ora sa perché non è tornato all’isoladiElagin.Èperchéha paura di vedere una montagnoladiterrasmossa,il sepolcro spalancato, il corpo sparito. Un cadavere sepolto nel modo sbagliato, ora sepolto dentro di lui, nel suo petto, un cadavere che non piange piú ma che soffia pazzia, che gli sussurra di precipitare. È malato e sa il nome del suo male. Nečaev la voce dei tempi,lachiamavendetta,ma il suo nome piú vero, meno nobile,èrancore. Ha di fronte una scelta. Può gridare mentre precipita vergognosamente, battere le bracciacomeali,invocareDio o la Madonna perché lo salvino. Oppure si può lasciare andare, rifiutare il cloroformio del terrore o dell’inconsapevolezza,starein guardia e in ascolto del momento che potrebbe arrivare o forse no (non è in suopotereforzarlo)incuida corpochesprofondanelbuio diventerà un corpo dentro il quale si verifica un tuffo nel buio, un corpo che contiene la sua stessa caduta e la sua stessaoscurità. Se c’è qualcuno che ha il dovere di sopravvivere alla folliadeinostritempiquelloè lui, aveva detto ad Anna Sergeevna.Nonperemergere dalla caduta senza un graffio, ma per compiere quello che suo figlio non ha portato a termine: per lottare con l’oscurità sibilante, per assorbirla, farne il suo elemento; per trasformare la caduta in volo, sia pure nel volo lento, vecchio e goffo di una tartaruga. Vivere dove Pavel è morto. Vivere in Russiaeascoltarelevocidella Russia che gli mormorano dentro. Per tenere tutto dentro di sé, la Russia, Pavel, lamorte. Questoavevadetto,maera la verità o una vanteria? La risposta non importa, purché lui non indietreggi. Né importa che lui parli per metafora, facendo della sua sordida e spregevole malattia ilsimbolodelmaledelsecolo. Lafolliaèdentrodiluieluiè dentro la follia; si pensano reciprocamente, qualunque sia il nome che si danno: follia, epilessia, vendetta o spirito del tempo, non importa. Quello dove vive nonèl’ospiziodellafollia,né Pietroburgo è la città della follia.Èluiilpazzoecoluiche ammette di essere pazzo è pazzo a sua volta. Niente di ciò che dice è vero, né falso, niente può essere creduto né rifiutato.Nonc’ènienteacui aggrapparsi, nient’altro da farecheprecipitare. Scartaloscrittoioportatile, tirafuoriisuoimateriali.Non si tratta piú di ascoltare il richiamo del figlio morto trascinatodaltorrente,nonsi tratta piú di essere fedeli a Pavel quando tutti hanno ceduto. Non si tratta piú di fedeltà. Al contrario, si tratta di tradimento – tradimento dell’amore prima di tutto, e poi di Pavel e della madre e del figlio e di tutti gli altri. Perversione: utilizzare ogni cosa e ognuno per un altro fine, per aggrapparcisi e precipitareinsieme. Ricorda l’assistente di Maksimov e la domanda che gli aveva fatto: «Che tipo di libri scrive?» Ora sa come avrebbe dovuto rispondere. «Scrivodelleperversionidella verità. Scelgo le strade del male e porto i bambini negli angoli bui. Seguo la danza dellapenna». Nellospecchiosullatoletta coglie un balenare della sua immagine curva sul tavolino. Nella luce grigia, senza occhiali, potrebbe confonderlaconquelladiuno sconosciuto, la barba scura potrebbeessereunveloouna cortinadiapi. Sposta la sedia per non vedere lo specchio. Ma la sensazione di un’altra presenzanellastanzapersiste: se non proprio di una persona, almeno di una traccia, uno spaventapasseri insaccato in un vestito vecchio,conlatestaditeladi sacco imbottita e un fazzolettodavantiallabocca. È distratto e innervosito per la sua distrazione. Lo stesso spirito d’irritazione tieneperversamenteinvitalo spaventapasseri; quella muta indifferenza alla sua irritazione non fa che amplificarelasuarabbia. Fa su e giú per la stanza, sposta ancora una volta il tavolino. Si china sullo specchio, si scruta il viso, i pori della pelle. Non riesce a scrivere,nonriesceapensare. Non riesce a pensare, e allora?Nonhadimenticatoil ladro nella notte. Se ci sarà salvezza verrà dal ladro nella notte, per la sua venuta deve rimanere sempre in guardia. Ma il ladro non verrà perché il padrone di casa lo ha dimenticato e si è addormentato. Il padrone di casa non può stare sempre all’ertaesveglio,altrimentila parabola non si compirà. Il padronedicasadevedormire e se lui deve dormire come può Dio condannarne il sonno?Diodevesalvarlo,Dio non può fare altro. Ma intrappolare cosí Dio in una rete di razionalità è una provocazione, è una bestemmia. È di nuovo nel vecchio labirinto:è,sottoaltraforma, la stessa storia del giocatore. Lui gioca perché Dio non parla.GiocaperspingereDio a parlare. Ma volere che Dio parliattraversolecarteèuna bestemmia.Soloquandotace, Dio parla. Quando sembra cheparli,Diononparla. Rimane seduto al tavolino per ore. La penna non si muove. Di tanto in tanto la traccia di quella presenza ritorna, l’uomo vecchio e curvo, una caricatura di se stesso. È paralizzato, è in prigione. Eallora?Allorache? Chiude gli occhi e si costringe a guardare quella traccia, lascia che l’immagine sidelineipiúchiaramente.Sul volto c’è ancora un velo, che non sembra in grado di togliere. Solo quella figura puòfarloenonlofaràprima che le venga richiesto. Per chiederglielo deve saperne il nome. Come si chiamerà? Ivanov? È Ivanov che è ritornato. Ivanov l’oscuro, il dimenticato?Qualesaràstato il vero nome di Ivanov? Oppure è Pavel? Chi era il pensionante che occupava quella stanza prima di lui? Chi era il P.A.I., proprietario della valigia? La P. era davvero l’iniziale di Pavel? E Pavel si chiamava davvero cosí? Se viene chiamato con un nome non suo, si presenteràmaiPavel? Una volta Pavel era colui che si era perso. Ora è lui a essersiperso,ècosípersoche non sa neppure come fare a chiedereaiuto. Se lascia cadere la penna, può essere che la figura dall’altra parte del tavolo la raccolgaesimettaascrivere? Ripensaaquellochegliha dettoAnnaSergeevna:tuseia luttopertestesso. Lelacrimechegliscorrono sulle guance sono cristalline, quasiinsipidesullalingua.Se in lui si sta verificando una sorta di purificazione, quello cheesceèstranamentepuro. Alla fine non gli sarà concesso riportare in vita il ragazzomorto.Allafine,selo vorrà incontrare, dovrà incontrarlonellamorte. C’èlavaligia.C’èilvestito bianco.Daqualchepartequel vestito bianco ancora esiste. Esisterà un modo, cominciando dai piedi, di ricostruire il corpo dentro il vestito, fino a che alla fine noncompaiailvolto,siapure quello di Baal con il muso di bue? La testa della figura dall’altrapartedeltavoloèun po’troppogrande,piúgrande di come dev’essere una testa umana.Eabenguardaretutte le proporzioni sono lievemente sbagliate; c’è qualcosadieccessivo. Si chiede se per caso non abbia la febbre. Peccato che nonpossachiamareMatrëna, nella stanza accanto, perché glisentalafronte. Quella figura non gli trasmettesensazioni,nessuna. Opiuttostoavverteintornoa essa un campo di indifferenza, di una forza terribile,comeunmantellodi oscurità.Èperquestochenon riesce a trovare il nome: non perchéilnomeènascosto,ma perché quella figura è indifferente a tutti i nomi, a tutte le parole, a qualunque cosasidicadilei. Lasuaforzaècosíviolenta che se la sente premere addosso, come onde silenziose,unadopol’altra. La terza prova. Le sue parole ad Anna Sergeevna: sono stato mandato qui per vivere la vita della Russia. È cosí che la Russia si manifesta?Inquestaforza,in questa oscurità, in questa indifferenzaainomi? Oppure il nome che non riesce a trovare è quello dell’altro ragazzo, di quello che ha ripudiato: Nečaev? È questo che deve capire: che agli occhi di Dio non c’è differenza fra i due? Che Pavel Isaev e Sergej Nečaev sono passeri dello stesso peso? Dovrà rinunciare all’ultima speranza che Pavel sia innocente; riconoscerlo come compagno e seguace di Nečaev, un giovane inquieto cheharispostosenzariservea tuttoquellocheNečaevgliha proposto? Non solo all’avventura della cospirazione ma anche all’estasi che gonfia l’anima, quella di dare la morte? E se Nečaev odia i padri e fa loro una guerra implacabile, bisogna concedere a Pavel di seguirlo? Mentre si pone questa domanda, mentre permette a Pavel di sentire per la prima volta il sapore dell’odio e del sangue, qualcosa si agita anche dentro di lui. Gli sta montando dentro una furia, inrispostaaPaveleaNečaev, inrispostaatuttiloro.Padrie figli:nemici.Nemiciamorte. Restalíseduto,paralizzato. OPavelrestadentrodilui,un figlio murato nella cripta del suo dolore, lí, a piangere ininterrottamente; oppure lascia che liberi la sua furia controlaleggedeipadri.Che anche la sua rabbia sia liberata, come un genio dalla bottiglia, la rabbia contro l’ingratitudine e l’irriverenza deifigli. Nonvedealtrosenonuna scelta che non è una scelta. Non riesce a pensare, né a scrivere,nonriesceapiangere altri che se stesso. Fino a che Pavel, il vero Pavel, non lo visiterà senza essere stato chiamato, di sua spontanea volontà, lui resterà prigioniero nel suo stesso petto. E non c’è certezza che Pavelnonsiagiàvenutonella notte, che non abbia già parlato. A Pavel è concesso di parlare una volta sola, ma lui non accetta l’idea di non essere perdonato perché era sordo, o addormentato, o stupido quando la parola è stata pronunciata. Per questo tende l’orecchio alla seconda parola di Pavel. Sa bene di non meritare una seconda parola, sa bene che non ci saràunasecondaparola.Maè fermamenteconvintocheuna secondaparolaarriverà. Sa che rischia di puntare sullasecondachance.Appena avrà puntato sulla seconda chance, avrà perso. Deve fare quello che non riesce a fare: rassegnarsiaquellocheverrà, allaparolaoalsilenzio. Teme che Pavel abbia parlato. Crede che Pavel parlerà. Tutte e due le cose. Calceecacio. È con questo spirito che siedealtavolinodiPavel,con gli occhi fissi sul fantasma di fronte,implacabilequantolui, ilfantasmacheglièstatodato perchélofacciavivere. NonèNečaev,oralosa.È piú grande di Nečaev. Non è neppurePavel.Forseèquello che Pavel avrebbe potuto essere un giorno, lasciata del tutto alle spalle l’adolescenza, divenuto pienamente adulto: unbell’uomodalvisofreddo, un uomo che nessun amore riesce a toccare, neppure l’adorazione di una bambina che farebbe qualsiasi cosa per lui. È una versione che lo infastidisce.Nonèlaverità,o non è ancora tutta la verità. Ma quella visione di Pavel cresciuto,oltrel’adolescenzae oltre l’amore, cresciuto non allamanieradegliuominima a quella degli insetti, che cambiano completamente formaaognistadiodellaloro evoluzione, quella visione lo agghiaccia. Affrontarla è comescenderenelleacquedel Nilo e trovarsi davanti qualcosa di enorme, freddo e grigio, qualcosa che forse un giorno era nato da una donna,machecolpassaredel tempo si è trasformato in pietra, non appartiene piú a questo mondo, qualcosa che confonderà e schiaccerà ogni suacapacitàcreativa. Anche Cristo sul Calvario lo schiaccia. Ma la figura che ha di fronte non è quella di Cristo. Non c’è amore in lei ma solo l’indifferenza massicciaegelidadellapietra. È questa presenza, cosí grigiaecosíprivaditratti,che devegenerare,aleidevedare sangue, carne, vita? Oppure non capisce, non ha mai capito niente fin dal principio? Forse invece deve lasciare da parte tutto quello che è, tutto quello che è diventato,perfinoisuoitratti, e diventare di nuovo un infante? Forse è quella figura che deve generarlo e lui deve solo abbandonarsi e lasciarsi generare? Seècosíchedev’essere,se èquellalastradaperlaverità e la resurrezione, lo farà. Rinuncerà a tutto. Seguirà quell’ombra, nudo come un infante, nelle fauci dell’inferno. Gli viene in mente un’immagine che ha rimosso pertuttoilmese:Pavelnudoe con le ossa rotte, Pavel insanguinato all’obitorio, morto o morente anche il semenelsuocorpo. Non c’è piú niente di privato oramai. Senza battere ciglio, per quanto gli è possibile,fissaquellepartidel corpo senza le quali non ci può essere paternità. E la mentegliritornaalmuseodi Berlino, alla terribile divinità che tira fuori il seme dal cadavereelosalva. Cosí finalmente viene il momento in cui la sua mano prende la penna e si mette a scrivere. Ma le parole che scrive non sono parole di salvezza. Raccontano di mosche, anzi di una sola moscanera,cheronzacontro ilvetrodiunafinestrachiusa. È piena estate a Pietroburgo, calda e appiccicosa; dalla strada arriva il rumore della musica. Nella stanza una bambinacongliocchiscurie i capelli biondi e lisci giace sdraiata vicino a un uomo; i suoi piedi nudi non arrivano alle caviglie di lui, preme il viso sulla sua spalla, contro cui si strofina e si accuccia comeunaneonata. Chièl’uomo?Ilsuocorpo èbellocomequellodiundio, ma emana un tale gelo marmoreochenonèpossibile che la bambina non ne sia agghiacciata. Il viso non si riesceavedere. Siede con la penna in mano, rifuggendo da quelle immagini che non hanno posto nel mondo; vacilla nell’istante in cui tutta la creazioneèspalancataaisuoi piedi,subitoprimadimollare la presa e cominciare a rotolare. È un momento che comincia a conoscere bene, convoluttà,unmomentoper ilqualesaràdannato. Sialzaagitato.Tirafuoriil diario di Pavel dalla valigia e lo apre alla prima pagina vuota, quella su cui il figlio non ha cominciato a scrivere perché oramai era morto. Su quella pagina ricomincia, per lasecondavolta,ascrivere. Nel racconto si trova in quellastessastanza,sedutoal tavolino dov’è seduto. Ma la stanza è di Pavel e solo di Pavel. E lui non è piú se stesso,nonèpiúunuomodi quarantanoveanni.Ègiovane invece e ha tutta la forza arrogante della gioventú. Porta un vestito bianco, dal taglioperfetto.È,inunacerta misura, Pavel Isaev, anche se PavelIsaevnonèilnomeche sidarà. Nel sangue di questo giovane uomo, in questa versione di Pavel, scorre un senso di trionfo. È passato attraverso i cancelli ed è tornato: niente lo può piú toccare. Non è un dio, ma non è neppure piú un essere umano.Èinuncertosensoal di là dell’umano, al di là dell’uomo. Non c’è niente di cuinonsiacapace. Attraverso questo giovane uomo, il palazzo, il palazzo con i suoi corridoi che puzzano di chiuso e i suoi angoli bui, comincia a scriversi, è proprio questo palazzo di Pietroburgo, in Russia. In cima alla pagina, in belle lettere maiuscole, L’APPARTAMENTO, e scrive: Dorme fino a tardi, quasi mai si alza prima di mezzogiorno, quando l’appartamento è diventato cosícaldochelelenzuolasono intrise del suo sudore. Allora vaincespicandofinoalpiccolo bagno sul pianerottolo, si sciacqua la faccia, si lava i denticonilditoepoiritorna, incespicando, nell’appartamento. Lí, con la barbaancoradafareeicapelli da pettinare, mangia la colazione che la padrona di casa gli ha preparato (il burro ormai sciolto, insetti che galleggiano nel latte) poi si sbarba e si rimette la biancheriadelgiornoprima,la camicia del giorno prima e il vestitobianco(icalzonihanno la piega nettissima, grazie alla notte passata sotto il materasso);sibagnaicapellie se li appiattisce in testa, poi, preparatosi per la giornata, perde ogni interesse, ogni energia, ogni motivazione: si risiede di nuovo alla tavola ancoraingombradeirestidella colazioneesilasciaandarealle fantasticherie, oppure si allunga scompostamente sul divano e si mette a pulirsi le unghiecolcoltello,aspettando che succeda qualcosa, che la bambina torni a casa da scuola. Oppure vaga per l’appartamento aprendo i cassetti,toccandoglioggetti. Trova un pendente con le fotografiedellasuapadronadi casaedelmaritomorto.Sputa sul vetro e lo strofina col fazzoletto. La coppia si fissa vividamente dentro la piccola prigione. Affonda la testa fra la biancheria di lei che esala un leggeroaromadilavanda. Pur essendo iscritto all’università non segue le lezioni.Entrainunkružok,un circolo i cui membri sperimentano l’amore libero. Un pomeriggio si porta in stanza una ragazza. Gli viene in mente che dovrebbe chiudere a chiave la porta ma nonlofa.Iduefannol’amore, poisiaddormentano. Lo sveglia un rumore, sa chequalcunolistaguardando. Tocca la ragazza, è sveglia. Sono tutti e due nudi, stupendi, nel fiore della giovinezza. Fanno ancora l’amore. Per tutto il tempo lui sa che la porta è accostata e che la bambina li guarda. Prova un piacere acuto che si comunica alla sua compagna; mai prima hanno assaggiato unmielecosíoscuro. Dopo, quando riporta la ragazza a casa, lascia il letto disfatto perché la bambina, ficcanasando, possa abituarsi all’odoredell’amore. Ogni mercoledí pomeriggio,daquelmomento in poi e per tutto il resto dell’estate, porta la stessa ragazza nella sua stanza. Ogni volta, quando vanno via, l’appartamento sembra vuoto, ma ogni volta, lo sa, la bambina è entrata di soppiatto,havistoehasentito e poi si è nascosta da qualche parte. – Fallo ancora – bisbiglierà laragazza. –Checosa? – Quello! – dice rossa di desiderio. – Prima dillo! – e le fa pronunciare le parole: – Piú forte! – insiste lui. Dirlo la eccitaterribilmente. Ricorda le parole di Svidrigajlov.«Alledonnepiace essereumiliate». Luivedetuttociòcomeun modo per creare il gusto nella bambina, come si crea quello per i cibi innaturali, per le ostricheoleanimelle. Si chiede perché lo fa e la risposta che si dà è che la storia sta per chiudere i battenti, i vecchi registri saranno presto dati alle fiammeecheinquestotempo mortocheseparailvecchiodal nuovo, tutto è permesso. Non crede molto alla sua stessa spiegazione, ma neppure la rifiuta:funziona. Oppure, si dice, è colpa dell’estate di Pietroburgo, questi pomeriggi lunghi, torridi, appiccicosi, con le mosche che ronzano sui vetri delle finestre, queste sere saturedelronziodellezanzare. Che passi l’estate e poi l’inverno; allora me ne andrò in Svizzera, in montagna, e diventeròunaltro. Cenaconlapadronadicasa e con la figlia di lei. Un mercoledí sera, fingendosi di ottimo umore, allunga il braccio sulla tavola e arruffa i capelli della bambina. Lei si ritrae. Allora capisce di non essersilavatolemaniechelei ha riconosciuto l’odore dell’amore.Rossainviso,tutta turbata, la bambina si china sul piatto ed evita il suo sguardo. Scrive tutto questo nitidamente,inbellascrittura, senza cancellare una parola. Mentre scrive prova uno straordinario piacere sensuale: la sensazione della penna,poggiatanelcavodella mano e ancora di piú quella dellamanotrattenutaappena nel suo movimento sulla pagina, dalla forma severa e immutabiledellelettere,dalla disciplinadell’alfabeto. Anja, Anja Snitkina, era stata la sua segretaria, prima di diventare sua moglie. L’aveva ingaggiata perché gli mettesse ordine nei manoscritti e poi l’aveva sposata. Una specie di fata, chiamata a filare il bandolo dellasuascritturaeaestrarne un unico filo d’oro. Se oggi scrivecosíchiaramenteèsolo perché non scrive piú per i suoi occhi. Scrive per sé. Scrive per l’eternità. Scrive perimorti. Eppure, mentre siede lí cosí tranquillo, è preso nel vortice. Gli volano attorno torrentidicarta,frammentidi una vecchia vita strappati dal rombo della spirale che sale. Vienetrascinatoinaltosopra la terra, sbattuto dalle correnti, prima che la presa del vento si allenti per un attimo, prima che inizi la caduta, gli è concesso esprimere l’immobilità e la trasparenza; il mondo si apre aisuoipiedicomeunamappa disestesso. Lettere dal vortice. Foglie sparse, che lui raccoglie, un corpo smembrato che ricompone. Qualcunobussaallaporta. È Matrëna, in camicia da notte, per un attimo impressionantemente identicaasuamadre.–Posso entrare?–diceconvoceroca. –Haiancoramaldigola? –Hm. Si siede sul suo letto. Ancheaquelladistanzasente come è affannoso il suo respiro. Perché è venuta? Vuole farepace?Ancheleièsfinita? – Pavel stava seduto cosí quando scriveva. Ho creduto che fosse Pavel quando sono entrata. – Sono in pieno racconto, tidispiacesecontinuo? Lei si siede in silenzio alle suespalleeloguardascrivere. L’aria nella stanza è carica di elettricità;perfinoleparticelle di polvere sembrano restare insospensione. –Tipiaceiltuonome? –Ilmionome? –Sí,Matrëna. –No,loodio.Lohascelto miopadre.Nonsoperchémi tocca tenermelo. Era il nome dimianonna.Èmortaprima cheionascessi. –Hounaltronomeperte, Duša –. Scrive il nome in cima alla pagina e glielo mostra.–Tipiace? Leinonrisponde. – Che cosa è successo veramente a Pavel? – le domanda.–Losai? –Credo…credochesisia consegnato. –Sièconsegnatopercosa? – Per il futuro, per essere unodeimartiri. – Martiri? Cosa vuol dire martire? Esita. – È uno che si consegna,perilfuturo. – E la ragazza finlandese? Ancheleieraunamartire? Labambinaannuisce. SichiedeseanchePavelsi fosse abituato a parlare per slogan, verso la fine. Per la prima volta gli passa per la testa che forse è meglio che Pavelsiamorto.Oracheloha pensato, affronta quel pensiero,senzarinnegarlo. Una guerra: i vecchi contro i giovani, i giovani controivecchi. – Ora devi andare – le dice. – Debbo continuare il miolavoro. Intitola la pagina successiva LA BAMBINA e scrive: Un giorno arriva una lettera per lui, il suo nome e l’indirizzosonoscritticonuna scrittura piccola e chiara, in stampatello. La bambina la prende dal portiere e la lascia davantiallospecchiodellasua stanza. – Quella lettera… vuoi saperechimel’hamandata?– chiede casualmente quando si ritrovanosoli.Eleraccontala storia di Marija Lebijatkin, di comeMarijaavessedisonorato il fratello, il capitano Lebijatkin e fosse diventata lo zimbello di Tver per aver sostenuto di avere un ammiratore, di cui si rifiutava di rivelare il nome, che aveva chiestolasuamano. –ElaletteraèdiMarija? –Aspettaelosaprai. –Maperchéridevanodilei, perché qualcuno non avrebbe potutovolerlainmoglie? – Perché Marija era una sempliciotta e le persone cosí non devono sposarsi per evitare di mettere al mondo figlicomeloro,chealorovolta metteranno al mondo figli comeloroecosívia,finoache tutta la terra sarà piena di sempliciotti. Come un’epidemia. –Un’epidemia? – Sí, vuoi che continui? Tutto è successo l’estate scorsa, mentre ero ospite di miazia.Avevosentitolastoria di Marija e del suo corteggiatorefantasmaeavevo deciso di fare qualcosa. Prima dituttomifecifareunvestito bianco,adattoallaparte. –Questovestito? –Sí,questovestito.Quando il vestito fu pronto, tutti già sapevano quello che stava succedendo. A Tver le notizie sidiffondonovelocemente.Mi misiilvestitoeconunmazzo di fiori andai a trovare i Lebijatkin. Il capitano era confuso,malasorellano.Non aveva mai smesso di crederci. Da quel momento in poi passai di lí tutti i giorni. Una volta la portai a spasso nel bosco. Noi due soli. Era il giorno prima che partissi per Pietroburgo. – Allora eri tu il suo ammiratore? – No, non è cosí. L’ammiratoreerasolounodei suoisogni.Eisempliciottinon riescono a distinguere fra sogno e realtà. Loro credono nei sogni. Lei pensava che io fossi un sogno, perché io mi comportavo come in un sogno. –Etorneraiatrovarla? – Non credo, anzi no di certo.Eseleidovessevenirea cercarmi non la fare entrare. Díchehocambiatocasaeche non sai il mio indirizzo. Oppure dalle un indirizzo falso. Inventalo. La riconoscerai subito. È alta e ossuta, ha i denti sporgenti e ride sempre. È una specie di strega. – È questo che dice nella lettera…cheverràqui? –Sí. –Maperché…? – Perché l’ho fatto? Per scherzo. L’estate in campagna ècosínoiosa–nonhaiideadi comesianoiosa. Non gli ci vogliono piú di ventiminutiascriveretuttala scena, senza neppure una cancellatura. La versione finale dovrà essere piú ricca ma per ora può bastare. Si alzaelascialeduepaginesul tavolino. È un assalto all’innocenza diunbambino.Unattoperil quale non può sperare di essere perdonato. Cosí ha oltrepassatolasoglia.OraDio deve parlare, ora Dio non oserà piú restare muto. Corrompereunbambinovuol direforzarelamanodiDio.Il dispositivo che ha preparato si incurva e si richiude a molla, come una trappola, una trappola per acchiappare Dio. Sa quello che sta facendo. Al tempo stesso, in questa partitatruccataconDio,luiè fuori di sé, forse fuori della sua anima. Sta da qualche parteeguardasestessoeDio che si girano intorno. Anche il tempo si è fermato e guarda. Il tempo è sospeso, tutto è sospeso prima del baratro. Hopersoilmiopostonella miaanima,pensa. Prende il cappello ed esce. Non riconosce il cappello, non sa che scarpe abbia ai piedi.Nonriconoscenientedi sé. Se si guardasse allo specchio ora non si stupirebbedivederviapparire un’altrafaccia,unafacciache lofissasenzariconoscerlo. Hatraditotuttienonvede come il suo tradimento potrebbe andare piú a fondo. Se mai ha voluto sapere se il tradimento ha piú il sapore dell’aceto o quello del fiele, questoèilmomento. Ma non sente nessun sapore in bocca, nessun peso sul cuore. Anzi il cuore è come svuotato. Non aveva idea,prima,chesarebbestato cosí.Macomeavrebbepotuto saperlo? Non tormento, ma opaca assenza di tormento. Come un soldato ferito sul campo di battaglia, che sanguina, vede il sangue, ma nonsentedoloreesichiedese ègiàmorto. Il prezzo da pagare gli sembraenorme.Glidannoun saccodisoldiperscriverelibri, aveva detto la bambina ripetendo le parole del figlio morto. Quello che non avevanodettoerachedoveva darel’animaincambio. Oracominciaasentirlo.Sa difiele. Il libro U N FRAMMENTO drammatico della vita di Dostoevskij sullo sfondo della Russia prerivoluzionaria, attraverso la straordinaria scrittura del Nobel sudafricano. In esilio a Dresda, Dostoevskij ritorna a Pietroburgo sotto falsa identità, dopo la morte dai contorni poco chiari del figliastro. Lo scrittore si stabilisce nell’appartamento che era stato di Pavel e ossessivamente, insegue il fantasma del figlio per scoprire che cosa veramente gli sia capitato, indagando negli ambienti rivoluzionari di Nečaev. Pietroburgo diventa lo scenario dove si intrecciano le passioni dello scrittore:ildoloreperilfiglio morto,l’attrazionecheprova per Anna Sergeevna – la padrona di casa di Pavel che oraospitalui–,epersinoper la giovane figlia di lei, il conseguente desiderio di rimanereinRussiamaaltresí ilbisognoditornareall’esilio diDresda... L’autore J. M. Coetzee ha vinto nel 2003ilpremioNobelperla Letteratura ed è uno dei piú importanti narratori sudafricani. Einaudi ha pubblicato: La vita e il tempo di Michael K., Infanzia, Gioventú, Terre al crepuscolo, Aspettando i barbari, Vergogna, Elizabeth Costello, Nel cuoredelpaeseeFoe. Dello stesso autore Aspettandoibarbari Vergogna Infanzia LavitaeiltempodiMichaelK Gioventú Terrealcrepuscolo ElizabethCostello Nelcuoredelpaese Foe SlowMan Spiaggestraniere Etàdiferro Diariodiunannodifficile Lavoridiscavo TitolooriginaleTheMasterof Petersburg ©1994J.M.Coetzee ©1994Donzellieditore ©2005GiulioEinaudieditore s.p.a.,Torino Incopertina:IIjaRepin,Ilduello, oliosutela,1901(particolare). Mosca,MuseoPuškin. FotoBridgeman/ArchiviAlinari. Progettografico:46xy. Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzatodall’editore,aitermini eallecondizioniallequalièstato acquistato o da quanto esplicitamenteprevistodallalegge applicabile. 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