L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 216 (47.351) Città del Vaticano mercoledì 21 settembre 2016 . Da Santa Marta prima di partire per Assisi il Papa invita le donne e gli uomini di buona volontà in tutto il mondo alla preghiera e alla penitenza Il giorno della pace Nel Sacro convento il pranzo con un gruppo di rifugiati poi nel pomeriggio la celebrazione ecumenica e l’incontro con i leader religiosi Il Papa è ad Assisi per la giornata di preghiera per la pace con i leader religiosi di tutto il pianeta, a trent’anni dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II nella città di san Francesco il 27 ottobre 1986. Nella mattina di martedì 20 settembre il Pontefice è arrivato in elicottero a Santa Maria degli Angeli e si è poi recato al sacro convento, dove si è unito ai numerosi rappresentanti di Chiese, confessioni e religioni giunti da ogni parte del mondo per dar vita all’appuntamento «Sete di pace. Religioni e culture in dialogo», apertosi domenica 18. Dopo averli salutati individualmente il Papa ha pranzato con loro e con un gruppo di rifugiati provenienti da Paesi che vivono la tragica esperienza della guerra. E proprio al dramma di queste «terre dove giorno e notte le bombe cadono» e «uccidono bambini, anziani, uomini, donne» Francesco aveva fatto riferimento nella messa celebrata a Santa Marta all’inizio della mattinata, prima di lasciare il Vaticano alla volta dell’Umbria. «Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono» ha esortato, ricordando che la guerra, anche se materialmente distan- te dalle nostre latitudini, è comunque «vicinissima» perché «tocca tutti» e «incomincia nel cuore». Per questo, ha incalzato, «dobbiamo pregare oggi per la pace»: non «per fare uno spettacolo» — ha precisato — ma per vivere una «giornata di preghiera, di penitenza, di pianto», una giornata «per sentire il grido del povero». Dio infatti, ha ricordato, «è Dio di pace, non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti». Ecco perché «oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il mondo a pregare per la pace» ha rimarcato il Pontefice, suggerendo a tutti di dedicare «un po’ di tempo» alla preghiera e alla riflessione. E la preghiera è al centro dell’incontro che apre il pomeriggio del Papa ad Assisi. Francesco si unisce agli altri esponenti di Chiese e confessioni cristiane per una celebrazione ecumenica nella basilica inferiore, mentre ciascun gruppo religioso prega in luoghi differenti. Al termine la cerimonia comune nella piazza inferiore di San Francesco, con la firma di un appello per la pace. PAGINA 8 Raid colpisce un convoglio umanitario uccidendo venti operatori della Croce rossa Finita la tregua in Siria y(7HA3J1*QSSKKM( +.!"!;!?!=! DAMASCO, 20. La tregua in Siria è ormai solo un ricordo. I combattimenti tra governativi e ribelli sono ripresi ieri pomeriggio, poco dopo la scadenza ufficiale dell’accordo tra Mosca e Washington per la cessazione delle ostilità. Durante i raid è stato colpito anche un convoglio composto da 18 camion carichi di aiuti umanitari destinati a circa ottantamila civili nella regione di Aleppo. Trentasei le vittime, tra le quali venti operatori umanitari, tutti volontari della Croce rossa. Le Nazioni Unite hanno annunciato la sospensione dei convogli umanitari. «Siamo sotto shock — ha detto la portavoce della Croce rossa Ingy Sedky — per la brutalità contro una missione umanitaria». Per il momento, il palazzo di vetro non si pronuncia sulle responsabilità dell’azione. Il responsabile per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, si è detto «disgustato e inorridito dal vergognoso attacco», rivelando che nel raid sono stati colpiti anche un deposito della Mezzaluna rossa e una struttura sanitaria. «Non ci possono essere giustificazioni né scuse, nessuna ragione per attaccare operatori umanitari coraggiosi e altruisti che cercavano di raggiungere i loro concittadini che hanno un disperato bisogno di assistenza» ha denunciato O’Brien. «Sia chiaro, se si scoprirà che questo attacco orrendo è stato deliberato, sarà considerato un crimine di guerra». In un comunicato, il dipartimento di Stato americano ha assicurato che sia i russi che i siriani erano a conoscenza della destinazione del convoglio. Una fonte vicina all’amministrazione ha detto che l’attacco è stato un «bombardamento» delle forze russe e ci sono «seri dubbi sulla volontà di Mosca» di fare la sua parte affinché sia rispettata la cessazione delle ostilità. «Abbiamo prove evidenti, non solo nostre ma anche dell’Onu e della Croce rossa, che si sia trattato di un attacco aereo», ha spiegato la fonte citata dalle maggiori agenzie internazionali, aggiungendo poi: «Non sappiamo al momento se si sia trattato di un raid russo o siriano, ma in qualunque caso i russi sono responsabili di questo tipo di attacchi». Un’altra fonte dell’amministrazione di Washington ha sottolineato co- Rifugiati e responsabilità Non i confini ma le persone SANTO MARCIANÒ A PAGINA 7 me l’attacco di ieri abbia dato «un duro colpo ai nostri sforzi di portare la pace in Siria; sta ai russi dimostrare la serietà delle loro intenzioni». Oggi dovrebbe tenersi a margine dell’assemblea generale dell’O nu un nuovo incontro tra i responsabili militari delle due parti. Non è escluso che il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, e il segretario di stato americano, John Kerry, decidano di incontrarsi per fare il punto della situazione e calmare le acque con un nuovo accordo per la tregua. «La cessazione delle ostilità su cui è stato trovato l’accordo tra Stati Uniti e Russia è assolutamente essenziale, e sta a Washington e Mosca garantire che sia applicato» ha detto l’alto rappresentante europeo per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, parlando con i giornalisti a New York. «L’aspetto umanitario nei negoziati politici è lo spazio dove l’Unione europea può giocare il ruolo più importante nel facilitare un futuro per il paese — ha aggiunto Mogherini — ma per fare ciò abbiamo assolutamente bisogno prima di tutto che Stati Uniti e Russia garantiscano il rispetto del cessate il fuoco». Dunque, la tregua è ormai finita e le speranze di pace sembrano lontane. A confermarlo è la cronaca delle ultime ore: almeno quaranta persone, in gran parte civili, sono morte nel corso di diversi raid nella regione di Aleppo. Un corrispondente della France Presse, che si trova ad Aleppo, ha confermato la ripresa dei combattimenti in molte parti della città, soprattutto nei quartieri sud-occidentali. Raid aerei hanno colpito la zona settentrionale e occidentale della città, mentre le forze governative, sostenute dai combattenti libanesi sciiti di Hezbollah, si sono scontrate con gruppi di ribelli. Molte fonti parlano anche di operazioni di terra dei governativi. Secondo una nota di Damasco, sarebbero stati «i ribelli a sabotare l’intesa» mentre l’opposizione siriana accusa il Governo di Assad «di aver violato più volte la tregua per poterne annunciare la fine». Secondo l’esercito siriano, che assicura di aver sempre rispettato la tregua, i ribelli avrebbero violato almeno trecento volte l’accordo di pace. Altrettante, secondo l’opposizione, i raid portati a termine dai governativi supportati dai russi. Ieri il presidente Assad è intervenuto criticando duramente gli Stati Uniti. Il leader siriano ha dichiarato che il raid nel quale, sabato scorso, aerei della coalizione a guida statunitense hanno ucciso soldati di Damasco sarebbe stato compiuto «per aiutare i jihadisti» del cosiddetto Stato islamico (Is). E intanto, secondo il quotidiano panarabo «Al Quds Al Arabi», l’Is ha nominato il successore di Al Adnani, portavoce dell’organizzazione ucciso nei pressi di Aleppo lo scorso 30 agosto. Il nuovo leader è il saudita di origini siriane Al Jabra, alias Abu Mohammed Al Shimali, ricercato dalle autorità saudite e anche dall’antiterrorismo statunitense, che sulla sua testa ha posto una taglia di cinque milioni di dollari. L’uomo, «con grande esperienza militare — scrive il giornale — è stato rinchiuso per anni in un carcere saudita», ma dopo il suo rilascio si è unito alle forze di Al Baghdadi in Siria «assumendo la responsabilità di controllo delle frontiere del territorio e dell’ingresso dei foreign fighters». Violento incendio a Lesbo Distrutto il campo profughi ATENE, 20. Migliaia di migranti e rifugiati sono in fuga dal campo di Moria, sull’isola di Lesbo, in Grecia, a causa di un violento incendio scoppiato nella notte. I media locali riportano le immagini di fiamme altissime, alimentate dal vento, che stanno distruggendo le tende del campo profughi. Secondo la polizia, si tratterebbe di un incendio doloso. Nel complesso, si contano almeno quattromila richiedenti asilo in fuga dal campo. I volontari nel campo hanno riferito che non ci sono feriti, ma le tende e i prefabbricati sono stati completamente distrutti o notevolmente danneggiati. Stando a quanto riporta il «Guardian», la polizia avrebbe sta- bilito — ma ancora si tratta soltanto di una ipotesi — che le fiamme sarebbero state appiccate da un gruppo di immigrati in segno di protesta per le condizioni di vita nel campo, nel quale vivono 5400 migranti, no- nostante abbia una capacità di 3500 persone. La cronaca delle ultime ore, intanto, mostra che l’ondata di sbarchi sulle coste italiane non accenna a fermarsi. Sono arrivati ieri a Portopalo, in Sicilia, 47 migranti bloccati successivamente dal gruppo interforze della procura di Siracusa. Tra gli stranieri, afghani, iracheni e iraniani, ci sono 34 uomini, cinque donne e otto minori che sono stati accompagnati a bordo di una motovedetta della Guardia di finanza al porto commerciale di Augusta. Il summit dell’Onu sui migranti Alla radice del problema Il dolore della Conferenza episcopale PIETRO PAROLIN Assassinati due sacerdoti in Messico CITTÀ DEL MESSICO, 20. Due sacerdoti sono stati sequestrati da uomini armati in una chiesa e poi ritrovati uccisi poco distante sul ciglio di una strada. È accaduto ieri a Poza Rica de Hidalgo, nello stato di Veracruz. Alejo Nabor Jiménez Juárez e José Alfredo Juárez de la Cruz sono stati rapiti nella chiesa di Nostra Signora di Fátima assieme a un laico che collaborava con i sacerdoti come autista. Sono subito scattate le ricerche da parte di polizia ed esercito che, poche ore dopo, sulla strada fra Papantla e Poza Rica, hanno individuato i corpi senza vita dei sacerdoti, con accanto, legato ma illeso, l’autista. Gli investigatori avrebbero già fermato almeno uno dei responsabili dell’assassinio. La zona è considerata a forte presenza di crimine organizzato e non è da escludere che il duplice omicidio debba inserirsi nel generale clima di violenza e illegalità che, in Messico, ha già avuto tra le vittime membri del clero. Condoglianze, vicinanza e preghiera ai familiari dei due sacerdoti e alla diocesi di Papantla sono state espresse dalla Conferenza episcopale messicana con un comunicato a firma del cardinale presidente, Francisco Robles Ortega, e del vescovo segretario generale, Alfonso Gerardo Miranda Guardiola. «Esprimiamo il nostro dolore e la nostra indignazione davanti a tale violenza» e «imploriamo al Signore la conversione degli aggressori», scrivono i presuli, chiedendo alle autorità «il chiarimento dei fatti e l’applicazione della legge contro i responsabili». A PAGINA 2 NOSTRE INFORMAZIONI Provvista di Chiesa Una giovane tra i resti del campo profughi di Moria (Reuters) Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita di Clermont (Francia) Sua Eccellenza Monsignor François Kalist, finora Vescovo di Limoges. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 21 settembre 2016 La conferenza sui migranti nel quartier generale dell’Onu a New York (Ansa) L’intervento del segretario di Stato al summit dell’Onu sui migranti Alla radice del problema Adottata dalle Nazioni Unite la Dichiarazione che apre la strada a un patto globale sull’immigrazione Punto di partenza NEW YORK, 20. «Un accordo internazionale sull’immigrazione farà sì che un maggior numero di bambini avrà la possibilità di andare a scuola, i diritti di rifugiati e migranti verranno protetti, più persone potranno trovare lavoro all’estero». Con queste parole il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha salutato l’adozione, ieri, della cosiddetta Dichiarazione di New York, un insieme di principi e impegni teorici su come affrontare l'emergenza globale dell'immigrazione. Il testo è stato approvato dai rappresentanti di 193 paesi durante il summit sui migranti che si è tenuto a margine dei lavori dell'assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. «Questo vertice — ha aggiunto Ban Ki-moon, aprendo i lavori — rappresenta un punto di svolta nei nostri sforzi collettivi per far fronte alle sfide poste dai movimenti di massa. Rifugiati e migranti non devono essere considerati un ostacolo, ma un’opportunità, hanno un grande potenziale, se solo riuscissimo a farlo venir fuori». La Dichiarazione non ha tuttavia mancato di suscitare critiche e perplessità. Come hanno fatto notare numerose ong, il testo è troppo minimalista e astratto, non vincolante, e l'unica decisione concreta è il rinvio di un accordo al 2018. E soprattutto, è scomparso un punto chiave: l’impegno dei Paesi più ricchi ad accogliere il dieci per cento dei migranti e rifugiati. «Nonostante alcuni spunti incoraggianti, la Dichiarazione di New York è troppo vaga, non ha l’urgenza necessaria a migliorare davvero le vite di rifugiati e migranti ed è lontana da ogni reale volontà di affrontare questa gravissima crisi globale» ha dichiarato l'organizzazione Medici senza frontiere. «La realtà è che gli stessi paesi che partecipano al summit sono già oggi responsabili della violazione dei principi espressi nel documento conclusivo. Sappiano quei leader — sostiene l’organizzazione — che la sofferenza e il dolore che milioni di persone in fuga vivono ogni giorno non possono essere né cancellati né leniti da parole retoriche o semplici discorsi di circostanza. Occorrono misure concrete e visionarie, impegni audaci e forse impopolari, volontà concreta di cambiamento». Più smussato il giudizio dell’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, secondo cui la Dichiarazione «rappresenta un primo passo per far fronte a una migrazione umana senza precedenti che il mondo si trova ad affrontare». Il documento «delinea una risposta più completa e sostenibile agli spostamenti forzati, e un sistema di governance per le migrazioni internazionali». Nonostante il carattere globale dell'emergenza, al summit di ieri si è discusso soprattutto di Europa e dell’incapacità di Bruxelles di trovare una strategia comune. Lo ha sottolineato anche in un’intervista il segretario di Stato americano, John Kerry, secondo cui «per l’Europa è arrivato il momento di muoversi. Un’Europa unita è oggi più importante che mai». Nel suo intervento al palazzo di vetro, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha detto che «nel rafforzamento dei confini esterni dell’Unione e nell’aumentare l’assistenza finanziaria a co- L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va loro che si trovano in uno stato di bisogno, gli stati membri sono uniti, cosa confermata dall’incontro di Bratislava tre giorni fa». Parole critiche sono giunte invece dal presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi. «Se l’Europa continua così noi dovremo organizzarci in modo autonomo sull’immigrazione; è un problema dell’Europa ma l’Italia può fare da sola, è in grado» ha detto il titolare di Palazzo Chigi, per il quale «occorre gestire in modo diverso la questione africana». Prioritari, «da parte nostra sono i rapporti con l’Africa». Da segnalare, tra gli altri interventi, anche quello del primo ministro australiano, il conservatore Malcolm Turnbull, il quale ha sottolineato la necessità di controlli più rigidi e di un approccio inflessibile. «Affrontare l’immigrazione irregolare contando su confini sicuri, è stato essenziale per creare nei cittadini la fiducia che il governo può gestire l’immigrazione senza rischi» ha detto il premier Turnbull. Diverso l’atteggiamento del presidente messicano, Enrique Peña Nieto. «Il Messico continuerà a lavorare affinché i migranti siano riconosciuti come agenti di cambiamento e di sviluppo, affinché vengano rispettati i loro diritti umani e per far terminare le dichiarazioni di odio e discriminazione» ha detto. Un appello concreto ai leader riuniti a New York è stato espresso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha chiesto più impegno sul fronte dei vaccini ai minori migranti. «Una ricerca dell’O ms sulla necessità della vaccinazione delle persone in emergenze umanitarie critiche, ha individuato numerosi rischi dalle malattie prevenibili con il vaccino e spesso aggravate dalla mancanza di cibo, acqua potabile e servizi igienici adeguati» si legge in una nota dell’organizzazione. È di «vitale importanza» per l’organizzazione estendere il programma di vaccinazioni anche per le nazioni ospitanti, «indipendentemente dalla loro situazione legale». E oggi, intanto, c’è attesa per un secondo vertice, questa volta organizzato dall’amministrazione statunitense, che avrà al suo centro sempre la questione dell’immigrazione. Il presidente Barack Obama chiederà a vari paesi di «prendere impegni concreti per espandere la rete di sicurezza umanitaria e creare opportunità durevoli per i rifugiati di più lungo termine». Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana l’intervento pronunciato, il 19 settembre al summit delle Nazioni Unite sui migranti, dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, durante la tavola rotonda numero 1 sul tema: «Affrontare alla radice le cause dei grandi movimenti di rifugiati e migranti». Signor Presidente, Nelle fasi preparatorie di questo vertice sono stati dedicati grandi sforzi e attenzione alla ricerca di soluzioni durature e di modi più efficaci per condividere la responsabilità dinanzi a grandi movimenti di rifugiati e di migranti. La sfida più grande che ci si pone, però, è di identificare e agire sulle cause fondamentali che costringono milioni di persone ad abbandonare la propria casa, il lavoro, la famiglia e il proprio paese, rischiando la propria vita e quella dei loro cari, alla ricerca di sicurezza, di pace e di una vita migliore in terre straniere. [Nella sua relazione In Safety and Dignity: Addressing Large Movements of Refugees and Migrants, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha affermato che tra le cause dei movimenti dei rifugiati vi sono «conflitto, violenza, persecuzione, repressione politica e altre gravi violazioni dei diritti umani»]. La causa principale dell’attuale crisi dei rifugiati e dei migranti è un prodotto dell’uomo: vale a dire guerra e conflitto. Poiché sono scelte umane a generare conflitti e guerre, è perfettamente in nostro potere ed è nostra responsabilità affrontare questa causa fondamentale che spinge milioni di individui a di- ventare rifugiati, migranti forzati e sfollati interni. Pertanto, la Santa Sede chiede un impegno comune da parte dei singoli governi e della comunità internazionale per porre fine a ogni conflitto, odio e violenza, e per perseguire la pace e la riconciliazione. La Santa Sede continua a essere fermamente convinta che, come ha spesso affermato Papa Francesco, la via per risolvere le questioni aperte deve essere quella della diplomazia e del dialogo (cfr. Papa Francesco, Discorso ai membri dell’eccellentissimo Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Città del Vaticano, 13 gennaio 2014). Inoltre, negli ultimi anni la persecuzione religiosa è diventata sempre più causa di dislocamento. Sebbene anche altri gruppi siano fortemente presi di mira, numerose relazioni confermano che i cristiani sono di gran lunga il gruppo confessionale più perseguitato, parlando di «pulizia etnico-religiosa», che Papa Francesco definisce «una forma di genocidio». Alcuni perseguitati, perfino nei paesi di asilo, devono subire aggressioni negli stessi ambienti di rifugiati. Non dobbiamo abbandonarli. Il documento preparatorio di questa tavola rotonda giustamente evidenzia che la disponibilità e l’utilizzo delle armi di bassa tecnologia ha portato all’allargamento dei conflitti, specialmente in paesi e società dove lo stato di diritto è fragile e la povertà è diffusa. Signor Presidente, La Santa Sede ha più volte invitato a limitare rigidamente e a controllare la produzione e la vendita di armi, laddove la possibilità che vengano usate illegalmente e che fi- Merkel si assume la responsabilità della sconfitta elettorale Paura ad Amatrice e Accumoli Il voto a Berlino e la politica di accoglienza La terra trema ancora nel reatino BERLINO, 20. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è assunta ieri la responsabilità politica della nuova sconfitta del partito cristiano-democratico (Cdu) alle elezioni regionali di domenica a Berlino, in cui l’avanzata dei populisti anti-migranti dell’Adf ha sbriciolato la grande coalizione formata con i socialdemocratici. Merkel ha però difeso la propria linea politica sui profughi, sostenendo che «serve solo spiegarla meglio», senza cedere alle pressioni dell’ala destra del suo partito che vorrebbe una chiusura basata su valori culturali antiislamici. Nell’ultimo test elettorale prima della tornata di tre regionali Londra non scioglie le riserve LONDRA, 20. Downing Street non ha ancora sciolto la riserva sui tempi dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, premessa necessaria per l’avvio delle procedure di uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Lo scrive la stampa britannica, citando fonti dello staff del premier, Theresa May. Finora, il primo ministro si è limitata a dire che l’articolo 50 non verrà invocato prima della fine del 2016. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio prevista in primavera e delle politiche del settembre dell’anno prossimo, la Cdu ha raccolto a Berlino solo il 17,6 per cento, con un crollo di 5,7 punti rispetto alle precedenti consultazioni: si tratta del peggior risultato elettorale del dopoguerra. In questo quadro, Merkel, rinunciando a partecipare al vertice dell’Onu sui migranti a New York, ha sottolineato che la sconfitta della Cdu a Berlino ha una «componente regionale e motivi locali». Ma non solo: «Ovviamente mi assumo la parte di responsabilità che mi spetta come cancelliere e presidente del partito», ha detto. «La grande coalizione non ha più una maggioranza e ciò è molto amaro», ha precisato. Il cancelliere ha ammesso errori nella gestione della crisi umanitaria dei migranti, che l’anno scorso portò all’apertura straordinaria delle frontiere e all’ingresso in Germania di 1,1 milioni di profughi. «Se potessi, tornerei indietro di molti, molti anni per evitare quello che avvenne: a lungo non abbiamo avuto la situazione sotto controllo», ha aggiunto Merkel che però ha definito «assolutamente corretta» la propria politica attuale. «Voglio sforzarmi di spiegarla con più energia», ha annunciato il cancelliere. Pur senza sbilanciarsi sulla possibilità di una quarta candidatura alla cancelleria, Merkel è venuta incontro alla Csu, l’ala destra bavarese della Cdu, affermando che «un ingresso in parte incontrollato di profughi in Germania come nel 2015 non deve ripetersi». Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ROMA, 20. La terra è tornata a tremare la notte scorsa nel reatino. Una forte scossa di magnitudo 4.1 è stata registrata all’1,34 con epicentro a pochi chilometri da Accumoli e da Amatrice, le stesse zona colpite dal terribile terremoto del 24 agosto scorso. Il sisma è stato avvertito anche nella provincia di Ascoli Piceno. Una scossa di assestamento, di magnitudo 2.1, è stata registrata alcuni minuti dopo. Alle 5,30 la terra ha invece tremato vicino Perugia. Non sono stati segnalati danni di rilievo. Ad Amatrice, intanto, grazie all’intervento della Protezione civile regionale del Friuli Venezia Giulia, sono arrivati i primi moduli abitativi per gli agricoltori e gli allevatori della zona, che, in questo modo, potranno continuare la loro attività rimanendo sul territorio. I moduli sono 70 (valore complessivo di 350.000 euro), ciascuno di 16 metri quadri dotati di bagno e servizi, che permetteranno all’economia di non estinguersi e di rianimarsi. Già nei prossimi giorni, non appena verranno definite le localizzazioni, la protezione civile farà arrivare altri prefabbricati: un’operazione complessa a causa di una viabilità ancora segnata dalle conseguenze del terremoto. Allestimento ad Amatrice di tensostrutture a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma (Ansa) Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 niscano in mano ad attori non statali è reale e presente. La proliferazione di qualsiasi tipo di arma aggrava situazioni di conflitto e genera immensi costi umani e materiali, provocando grandi movimenti di rifugiati e di migranti e minando profondamente lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura. Affrontare le cause alla radice del dislocamento di popoli esige forza e volontà politica. Come ha detto Papa Francesco, significherebbe «rimettere in discussione abitudini e prassi consolidate, a partire dalle problematiche connesse al commercio degli armamenti, al problema dell’approvvigionamento di materie prime e di energia, agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino alla grave piaga della corruzione». Infine, la Santa Sede sente il dovere di portare urgentemente l’attenzione sulla piaga di quei migranti che fuggono da situazioni di povertà estrema e degrado ambientale. Sebbene questi non vengano riconosciuti come rifugiati dalle convenzioni internazionali e quindi non godano di una particolare tutela giuridica, soffrono però molto e sono più vulnerabili al traffico di esseri umani e a diverse forme di schiavitù umana. Per questa ragione, nei nostri sforzi per affrontare in modo efficace i motivi alla radice dei grandi movimenti di rifugiati e di altri migranti forzati dovremmo cercare anche di eliminare le cause strutturali della povertà e della fame, raggiungere risultati più sostanziali nel proteggere l’ambiente, assicurare un lavoro dignitoso e produttivo per tutti, fornire accesso a una formazione di qualità e dare un’adeguata protezione alla famiglia, elemento essenziale nello sviluppo umano e sociale (cfr. Papa Francesco, Discorso ai membri del Consiglio dei capi esecutivi per il coordinamento delle Nazioni Unite, Città del Vaticano, 9 maggio 2014). Grazie, Signor Presidente. Il cardinale Parolin alla cerimonia della firma degli accordi di pace in Colombia La Nunziatura apostolica in Colombia e la Conferenza episcopale colombiana hanno diffuso questo comunicato: Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Papa Francesco, con altri rappresentanti di Stati ed Organismi internazionali, assisterà alla cerimonia della firma degli accordi dell’Avana fra il Governo della Colombia e le Farc, il prossimo 26 settembre, nella città di Cartagena de Indias (Colombia). Il Cardinale Segretario di Stato ha accettato l’invito del Governo a presiedere la liturgia che precederà la cerimonia, per pregare per la concordia e la riconciliazione del popolo di questa nobile Nazione, dalle profonde radici cattoliche e tanto apprezzata dalla comunità internazionale, che sta cercando di costruire una società di pace. Nel massimo rispetto dell’autonomia delle istituzioni, il Cardinale Parolin chiederà a Dio di illuminare il popolo colombiano affinché, operando in coscienza e nella massima libertà, con responsabilità e ben documentato, partecipi alle decisioni che interessano il bene comune del Paese, tanto caro al Papa Francesco. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 21 settembre 2016 pagina 3 Agenti di polizia a Linden, nel New Jersey, dove è stato arrestato il terrorista afghano ricercato (Afp) Obama incontra il premier cinese Test missilistico di Pyongyang WASHINGTON, 20. A quindici anni dall’attacco alle Torri gemelle e dall’inizio della guerra in Afghanistan, per i newyorchesi la paura arriva ancora una volta dal paese asiatico, dove aveva trovato il proprio covo Osama bin Laden. È Ahmad Khan Rahami, 28 anni, l’uomo sospettato di aver gettato nel panico la Grande Mela facendo esplodere due giorni fa una bomba a Manhattan e causando il ferimento di 29 persone. In base alle ricostruzioni della stampa, Khan Rahami avrebbe anche lasciato un sacco con cinque tubi-bomba nella stazione di Elizabeth, nel New Jersey. L’uomo è adesso in carcere. Era «armato e pericoloso» ha fatto sapere la polizia, diffondendo una sua foto e un numero di telefono al quale potesse rivolgersi chi lo avesse visto. Avvisati dal proprietario di un bar, gli agenti lo hanno intercettato a Linden mentre dormiva nell’ingresso di un caseggiato. «Uno dei nostri agenti — ha detto il sindaco di Linde, Derek Armstead — si è avvicinato a lui e lo ha svegliato. Appena compreso che si trattava del sospettato ricercato, quest’ultimo ha sparato contro di lui. Arrestato il sospetto ricercato per le bombe a Manhattan e nel New Jersey Ancora tensione a New York Grazie a Dio, l’agente aveva il giubbotto antiproiettile, che gli ha salvato la vita». Prima dell'arresto di Khan Rahami, la paura si era legittimamente diffusa tra gli americani. «Non sarei sorpreso ce ci fosse un legame straniero» con le bombe, ha detto il governatore di New York Andrew Cuomo. «Non cederemo alla paura», ha l'apertura dell’Assemblea generale dell’O nu. «Abbiamo tutte le ragioni per credere che si sia trattato di un atto di terrorismo», ha spiegato il sindaco della città, Bill De Blasio, che in un primo momento aveva invece escluso che l’attacco fosse legato a cellule terroristiche. sottolineato con forza il presidente statunitense, Barack Obama, che ha escluso un collegamento tra l’attacco nel Minnesota, dove nove persone erano state accoltellate in un centro commerciale, e quelli della East Coast. È certo, però, che il terrore ha scelto di riaffacciarsi a New York, e proprio nelle ore che precedevano PYONGYANG, 20. Nuova provocazione della Corea del Nord nei confronti della comunità internazionale. Incurante della condanna e della minaccia di nuove sanzioni — in questi giorni all’esame del Consiglio di sicurezza dell’Onu — per i test missilistici e nucleari condotti negli ultimi mesi, il regime comunista di Pyongyang ha annunciato oggi di aver espletato, con successo, un nuovo test missilistico sotterraneo provando un nuovo potente motore per vettori per il lancio di satelliti. Lo ha riferito l’agenzia di stampa ufficiale Kcna, secondo cui il leader nordcoreano, Kim Jong Un, era presente al test avvenuto al sito di Sohae, dove ha chiesto a scienziati e ingegneri nordcoreani di prepararsi al più presto al lancio di un satellite. Secondo quanto riferito, il motore testato darà al Paese «la capacità sufficiente per condurre il lancio di vari tipi di satellite, tra cui quelli di osservazione della terra». Alcuni esperti ritengono che il regime comunista di Pyongyang potrebbe effettuare il lancio di un satellite il prossimo 10 ottobre anniversario Due tecnici italiani rapiti nella città di Ghat Decine di morti Miliziani dell’Is circondati in Libia Sanguinose violenze a Kinshasa TRIPOLI, 20. I miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) sono circondati in un’area di appena 400 metri quadrati nel centro di Sirte, ultima loro roccaforte in Libia. Lo ha detto Mohamed Al Ghasri, ufficiale delle forze di Misurata. alleate del Governo di accordo nazionale di Tripoli, del premier designato Fayez Al Sarraj, impegnate nell’operazione militare per liberare la città libica. «I nostri progressi a Sirte continuano. Ci stiamo dirigendo verso il distretto costiero di Jizah per eliminare gli ultimi terroristi, dopo sarà il turno del distretto 600. I militanti dell’Is sono confinati in un’area inferiore a un chilometro quadrato: la loro ultima ora sta per scoccare», ha detto Al Gharsi. Il portavoce dell’operazione militare ha sottoli- Giordania al voto per le politiche AMMAN, 20. Urne aperte oggi in Giordania — tra eccezionali misure di sicurezza — per le elezioni parlamentari, che vedono dopo nove anni di assenza il ritorno sulla scena politica dei Fratelli musulmani. Per la prima volta dal 1993, oltre 4 milioni di cittadini sono chiamati al voto con il sistema proporzionale, secondo il quale tutti i candidati devono correre in lista e non individualmente. Il vecchio sistema elettorale — ricordano gli analisti — aveva causato il boicottaggio del Fronte di azione islamica (Fai), braccio politico dei Fratelli musulmani, nel 2010 e nel 2013. Il Fai presenta 70 candidati nella coalizione dominata da Alleanza nazionale per la riforma, che comprende 120 aspiranti alla elezione, compresi, affiliati alle tribù. In totale, i giordani sono chiamati a scegliere tra 1257 candidati, tra cui 257 donne, in lizza per i 130 seggi del parlamento di Amman. Si teme una bassa affluenza alle urne, non solo per la sfiducia della popolazione a causa della crisi economica, ma anche per gli effetti della nuova legge elettorale. Vigilano sul voto anche 110 osservatori dell’Unione europea. Le preoccupazioni maggiori sono per possibili azioni del cosiddetto Stato islamico, che potrebbe usare il voto per compiere attacchi. neato che le operazioni sono condotte solo dalle forze libiche con il sostegno dell’aviazione statunitense, che ha già condotto 155 raid aerei. Nel frattempo, un «piccolo gruppo fuorilegge» e non i terroristi di Al Qaeda si celerebbe dietro il rapimento, non ancora rivendicato, di due italiani e un canadese, sequestrati ieri nella città di Ghat, nella Libia sudoccidentale, al confine con l’Algeria. È quanto ha dichiarato al portale di notizie libico Al Wasat il capo dell’ufficio stampa del consiglio municipale di Ghat. I due tecnici italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, che lavoravano all’aeroporto di Ghat come dipendenti della Con.I.Cos di Mondovì, e l’ingegnere canadese sono stati rapiti ieri da ignoti mentre si trovavano sulla via che collega la zona di Tahala e Ghat. Il portavoce ha aggiunto che il sindaco di Ghat, Komani Saleh, ha convocato una riunione d’emergenza con tutti gli apparati di sicurezza e militari locali per studiare il caso, che è il primo del genere che coinvolge cittadini stranieri nella regione di Ghat. «Il consiglio municipale sta portando avanti i suoi sforzi per ritrovare i lavoratori spariti e farli tornare incolumi», ha detto ancora il portavoce condannando «con forza» quanto accaduto. KINSHASA, 20. Riesplode la violenza nella Repubblica Democratica del Congo dove almeno 17 persone — oltre 50 secondo fonti dell’opposizione — per lo più civili, sono morte ieri durante scontri nella capitale Kinshasa, avvenuti prima di una manifestazione dell’opposizione, che chiedeva le dimissioni del presidente Joseph Kabila. Lo rende noto il ministro dell’Interno congolese, Evariste Boshab. Le autorità hanno successivamente deciso di annullare la manifestazione. Governo e opposizione si sono rinfacciati la responsabilità delle violenze, come nel gennaio del 2015, quando si registrarono decine di vittime dopo giorni di proteste di piazza da parte dell’opposizione contro una proposta di riforma elettorale che avrebbe permesso al presidente Kabila di rimanere in carica oltre la scadenza del suo mandato presidenziale. In particolare, la coalizione dell’opposizione ha denunciato la morte di oltre 50 manifestanti vittime «di colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia e dalla guardia repubblicana» e ha sottolineato una «deriva totalitaria del regime» rivolgendo un appello «a tutta la popolazione a scendere in piazza oggi per continuare la protesta». E, intanto, la sede dell’Unione per la democrazia e il progresso so- Otto agenti afghani uccisi per errore in un raid Disordini nelle strade di Kinshasa (Ap) ciale (Udps), primo partito d’opposizione all’Assemblea nazionale congolese, è stata data oggi alle fiamme nella capitale. Il fuoco bruciava all’interno dei locali mentre un cordone di polizia filtrava i sostenitori accorsi intorno all’edificio situato nel centro-ovest di Kinshasa. Un giornalista dell’agenzia France presse ha visto due corpi carbonizzati, altre due persone bru- ciate vive e un uomo gravemente ferito alla testa disteso sulla strada. All’interno dell’edificio, bidoni di liquido infiammabile testimoniavano il carattere criminale dell’incendio. La situazione resta confusa. Sul posto è presente il capo dell’ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo, José Maria Aranaz. In Cisgiordania e a Gerusalemme est Nuovi attacchi palestinesi Palestinesi fermati a un posto di blocco vicino Hebron (Epa) della fondazione del Partito dei lavoratori della Corea del Nord. Nel frattempo, il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Yukiya Amano, ha sottolineato che il recente test nucleare della Corea del Nord costituisce una «chiara violazione» delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu. Il diplomatico giapponese, aprendo ieri a Vienna il board dell’Aiea ha rivolto un appello al regime di Pyongyang perché consenta il ritorno degli ispettori dell’agenzia dell’Onu, che mancano dal 2009. «Tali test e i lanci di missili — ha aggiunto Amano — costituiscono una seria minaccia per l’Asia nord-orientale e non solo». E, intanto, Cina e Stati Uniti aumenteranno la cooperazione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e attraverso altri canali sulla Corea del Nord. Lo ha comunicato la Casa Bianca, dopo un incontro a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, tra il primo ministro cinese, Li Keqiang, e il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. «Entrambi i leader hanno condannato il test nucleare nordcoreano del 9 settembre scorso e hanno deciso di rafforzare la coordinazione per la denuclearizzazione della penisola coreana, incluso il rafforzamento della cooperazione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nei canali di applicazione della legge», spiega un comunicato emesso dalla Casa Bianca. La Cina ha espresso «forte opposizione» al test nucleare del regime comunista di Pyongyang, il quinto in assoluto — secondo gli esperti la potenza sprigionata è stata pari «a 10 kilotoni, quella di Hiroshima a 15» — ma si dice contraria a sanzioni unilaterali nei confronti della Corea del Nord. TEL AVIV, 20. Sette attacchi palestinesi in quattro giorni. Israele fronteggia una nuova ondata di violenza a Gerusalemme e in Cisgiordania e teme una escalation per le prossime festività ebraiche di inizio ottobre. Per la prima volta da molti mesi le autorità di sicurezza hanno segnalato una ripresa degli assalti, tanto che il premier Benjamin Netanyahu ha incontrato ieri sera i vertici dell’esercito e dei servizi per affrontare la situazione. «La soglia del rischio si è elevata» ha spiegato il leader del Likud. Gli ultimi due attacchi sono avvenuti ieri. Il primo ha avuto luogo a Gerusalemme, nei pressi della Porta di Damasco. Due agenti di pattuglia sono stati accoltellati da un palestinese, poi ferito dalla reazione delle forze di sicurezza e portato in ospedale. Uno dei due agenti, una donna di 38 anni, è stata ricoverata in gravi condizioni per serie ferite al collo ed è in coma. Il secondo attentato si è svolto a Hebron, in Cisgiordania, nei pressi della Tomba dei patriarchi. Due palestinesi — secondo la polizia — hanno tentato di accoltellare alcuni soldati e sono stati colpiti dal fuoco di reazione. Uno dei due attentatori è morto sul colpo, l’altro è deceduto in ospedale per le ferite: il ministero della sanità palestinese — citato dall’agenzia Maan — li ha identificati in Muhammad Jameel Al Rajby (21 anni) e Ameer Jamal Al Rajby (17 anni) entrambi residenti a Hebron. Le autorità israeliane hanno quindi deciso di inviare un altro battaglione di fanteria di rinforzo nella zona di Hebron, considerata per ora la più calda. È stato poi disposto anche un rafforzamento della sicurezza attorno alla Spianata delle moschee. KABUL, 20. Otto agenti della polizia nazionale afghana (Anp) sono morti la notte scorsa in due successivi raid realizzati dall’aviazione statunitense contro il loro checkpoint a Tirinkot, capoluogo della provincia centrale di Uruzgan. Lo scrive oggi l’agenzia Pajhwok. Il comandante della locale polizia, Haji Rahimullah, ha precisato che il check-point colpito è quello che si trova nell’area di Saki lungo la statale fra le province di Uruzgan e Kandahar. «Un poliziotto è morto nel corso di un primo raid — ha spiegato l’alto ufficiale condannando l’attacco sbagliato — mentre altri sette hanno perso la vita in un secondo intervento aereo». I talebani avevano issato bandiera bianca in aree vicine a quella colpita, ha concluso, e le loro posizioni non sono state bombardate. A Kabul il portavoce dell’esercito statunitense, generale Charles Cleveland, ha sostenuto che l’operazione aerea è stata decisa dopo che un gruppo di insorti ha attaccato le forze di sicurezza afghane a Tirinkot. «Non sappiamo chi erano quelli che sparavano contro le forze afghane né chi siano le vittime — ha sottolineato il generale Cleveland — ma le forze afghane e statunitensi si riservano il diritto di risposte per autodifesa». Sull’incidente, scrive ancora l’agenzia di stampa Pajhwok, sono intervenuti anche i talebani secondo cui «un numero imprecisato di agenti di polizia sono stati uccisi in raid statunitensi a Tirinkot». Le autorità di Kabul hanno reso noto che verrà aperta un’inchiesta sull’incidente. Nel settembre dell’anno scorso, 11 poliziotti afghani specializzati nella lotta antidroga furono uccisi per errore in un altro raid statunitense. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 21 settembre 2016 Angelo Sarti, cere policrome raffiguranti Benedetto XIII (XVIII secolo) Il secondo volume del «Corpus Coelestinianum» Alla ricerca di un luogo isolato e disagiato deltà si riscontra nei resoconti dei miracoli: annotarono, infatti, in modo scrupoloso se i testimoni erano stati spettatori diretti dei fatti narraa poco è in libreria il ti oppure se li avessero appresi per secondo volume del sentito dire, fino a precisare — all’inCorpus Coelestinianum, terno di una stessa guarigione — con gli atti del procesquali azioni avessero visto con i loro so informativo in partiocchi e quali, invece, gli fossero stabus svoltosi nel 1306-1307 e tramante solo riferite. Chiarirono pure che dati da un codice unico conservato Pietro Grasso, napoletano, notaio a Sulmona (Il processo di canonizzadel re di Sicilia, depose a modo zione di Celestino V 2, a cura di A. suo, vale a dire «non seguendo l’orMarini, Corpus Coelestinianum 1/2, dine degli articoli». Firenze, Sismel - Edizioni del GalDelle testimonianze superstiti, 82 luzzo, 2016, pagine 359). Gli studiosi devono a uomini e 35 a donne. Pochi testimoni, in ragione dell’età, si perciò — dopo che nel primo vofurono in grado di dire qualcosa di preciso sui primi passi dell’esperienza monastico-eremitica di frate Pietro e sul suo stile di vita nell’eremo. Risulta nondimeno preziosa la testimonianza di Rainaldo di Gentile, il quale asserì di averlo incontrato, pressappoco sessantacinque anni prima, fuori di Sulmona, quando aveva circa quindici anni d’età e Pietro circa ventiquattro (ma i conti non tornano, perché nel 1241 di anni Pietro avrebbe dovuti averne trentadue, anche se Rainaldo dichiarò che tale gli sembrava essere allora l’età di frate Pietro: (ut sibi videbatur), vestito dell’abito monastico in cerca dell’ubicazione dell’eremo nel quale aveva fatto penitenza frate Flaviano di FossaAffresco raffigurante il «santo eremita» (XIV secolo) nova; Rainaldo, allora, gli mostrò la grotta dove quell’eremita aveva lume (cfr. «L’Osservatore Romano» rone (art. 1), sulla sua attività mona- dimorato. Si tratta di un racconto asdel 7 novembre 2015) era stato pub- stica, vale a dire sull’opera di fonda- sai vivo, di cui il notaio stende un blicato il preziosissimo Compendium tore e organizzatore di monasteri resoconto fedele; come dubitare, indella Inquisitio in partibus, che con- (art. 2), sui suoi miracoli in vita e fatti, delle parole che il testimone disente in qualche modo di integrare post mortem (art. 3), infine sulla sua chiarò di aver rivolto a Pietro, il quale lacune del codice sulmonese — fama pubblica (art. 4). La linea scel- le si era assentato dalla grotta alla ripossono ora avere facile accesso alle ta da Clemente V appariva così chia- cerca di un luogo più isolato e disafonti relative al processo imbastito ra sin dall’inizio: poiché la figura di giato: «Aspetta che cada la neve e per accertare la santità di Pietro del «frate Pietro» chiamava inevitabil- allora vedrai se questo luogo è Morrone, il quale per il breve tem- mente in causa la persona di Boni- aspro»! Mutila risulta invece la preziosispo di pochi mesi aveva detenuto il facio VIII, la sua canonizzazione in potere delle chiavi affidate da Cristo quanto Papa avrebbe gettato una sima testimonianza di frate Bartoloa Pietro e ai suoi successori con il pesante ipoteca sul pontificato del meo da Trasacco, che dal 1266 circa nome di Celestino V. era entrato nell’O rdine Il codice di Sulmona, acefalo e monastico fondato da mutilo (risultano deperditi 32 fogli, frate Pietro ed era staLa griglia delle domande più quelli finali la cui entità è imto suo compagno in possibile precisare), riporta le depodiversi luoghi. Forturivolte ai testimoni sizioni rese da 117 testimoni su un natamente, il suo testo V rivela l’intento di Clemente totale di 324 nel corso dell’inchiesta, si conserva nel Comaffidata da Clemente V all’agostiniapendium e il confronto di concentrare l’iter di canonizzazione no Giacomo da Viterbo, arcivescovo mostra come, nelle sulla figura del monaco di Napoli, e a Federico Raimundi parti comuni, quest’ulde Lecio, vescovo di Valva e Sulmotimo segua fedelmente E non su quella del Papa na. I giudici iniziarono le loro audiil codice di Sulmona. I zioni a Napoli, il 13 maggio 1306, miracoli, oggetto per proseguire poi l’indagine a Cadell’articolo terzo, copua (25 maggio), a Castel di Sangro suo successore. Bertrand de Got stituiscono la spina dorsale dei rac(27 maggio), a Sulmona (29 maggio venne quindi incontro, per un verso, conti: non poteva d’altronde essere - 3 giugno), a Santo Spirito di Valva alle richieste del re di Francia Filip- altrimenti, visto che la santità rivela(4 giugno), ancora a Sulmona (6 po IV, accogliendone — dopo un re- va il suo coronamento nella virtus giugno) e portarsi infine a Ferentino golare processo — l’istanza di cano- signorum. in una data impossibile da preci- nizzazione, per l’altro resistette inveMolto ancora si potrebbe dire sul sare. ce alle sue pressioni, ascrivendo nel nuovo volume del Corpus CoelestiA dispetto della sicurezza con la catalogo dei santi Pietro del Morro- nianum. Queste schematiche note quale il quarantenne Niccolò Vertibastino per ora a darci un’idea della cello, canonico della Chiesa di Na- ne, non Celestino V. I notai assolsero al loro compito sua ricchezza e delle inedite piste di poli e professore di diritto civile, affermava che la fama pubblica di fra- con notevole precisione: nel riferire ricerca che — mettendo a disposiziote Pietro corresse nelle provincie di l’età dei testimoni tennero conto in ne di molti una fonte finora non faAbruzzo, Campagna, Terra di maniera accurata delle diverse sfu- cilmente raggiungibile in un testo Lavoro e nelle altre provincie del mature percepibili dalle loro asser- notevolmente migliorato, con l’ausiRegno di Sicilia, nonostante vari te- zioni, per cui affiancarono spesso lio di indici e note critiche — esso stimoni attestassero la grande noto- un «circa» al numero degli anni da consentirà di aprire. Un grazie sinrietà di cui egli godeva nell’area di essi indicato o vi aggiunsero un «e cero, perciò, va ad Alfonso Marini, Capua, e malgrado il costruttore più» oppure un «e oltre», rivelando che tra gli studiosi di cose celesti(fabricator) di Sulmona Nicolò di in tal modo un’adesione fedele niane è indubbiamente uno dei più Berardo asserisse di aver visto che il all’oralità di ciascuno. La stessa fe- costanti e competenti. di FELICE ACCRO CCA D re di Sicilia e suo figlio, il re d’Ungheria, insieme a molti altri nobili si erano recati a visitarlo, di fatto la fama sanctitatis dell’eremita prima della sua elezione papale sembra restringersi a un’area piuttosto limitata, cioè alle località dell’Abruzzo che facevano corona al massiccio della Maiella. La griglia delle domande rivolte ai testimoni rivela l’intento, perseguito da Clemente V, di concentrare il processo di canonizzazione su Pietro del Morrone monaco, non su Papa Celestino V e sulla sua abdicazione: si chiese loro, infatti, di riferire sulla vita di frate Pietro del Mor- Montagano in Molise tra san Pietro Celestino e Benedetto XIII I due Papi dell’antica Fagifulae di CLAUDIO MATARESE una storia di singolare bellezza quella racchiusa nelle ultime pagine della Descrizione dello stato antico ed attuale del contado di Molise con un saggio storico sulla costituzione del regno stampata a Napoli nel 1781. L’autore, Giuseppe Maria Galanti, economista e riformatore napoletano illuminista decisamente laico, allievo dell’abate Antonio Genovesi, trascorse le estati del 1779-1780 viaggiando per il Molise per la preparazione di quest’opera. L’ultimo paragrafo è dedicato alla religione. «Io non scrivo questo articolo — precisa Galanti — che per render giustizia alla memoria di un uomo grande e che per la bizzarria delle cose umane è sconosciuto. Montagano è una bella terra sei miglia lontana da Campobasso. Quando io vi giunsi trovai il paese tutto coperto di alberi e di frutti, e di un genere il più squisito. Io ne restai sorpreso e fui istruito che di beneficio così singolare per questo paese, è stato opera (di) un suo arciprete chiamato Damiano Petrone». In nota Galanti specifica: nacque in Montagano il dì 5 luglio 1659, «vi fu arciprete a 25 settembre 1690 e vi è morto a 17 agosto 1710». Egli «non dava altra penitenza a peccatori che di piantare un numero determinato di certi arbori ne fondi loro proprii, e quando non ne aveano, negli altrui, e le piantagioni erano in proporzione del numero e qualità dei peccati. Si era obbligato talvolta a portarsi in regioni lontane a farne l’acquisto. Quando i peccatori si scusavano di essere poveri e di non avere strumenti né modo il nostro parroco era colui che di suo denaro gli uni e È L’attuale abbazia benedettina di Faifoli l’altro somministrava (…) Io fui dio di legno con porte avanti, curioso di sapere, se il nostro dove sta dipinta santa Lucia e Petrone era stato uomo di dot- santa Caterina e nel muro vi sotrina. Egli (...) felicemente non no dipinti crocifisso, san Gioconsultava che il suo buon sen- vanni battista e Pietro Celestino. E detta statua sta posta sopra so naturale». Nel 1785 sempre a Napoli in un gradino di legno dipinto che una Raccolta di varj aneddoti fi- serve per li candelieri. Lo stipite losofici e morali, di diversi celebri dello altare è di fabbrica e tiene autori troviamo un saggio di cin- il suo altaretto portatile di marquanta pagine intitolato Il par- mo. Si ascende a questo altare roco di Montagano, o la prosperità per due gradini di pietra, oltre a promossa dalla Religione. Prova due altri gradini che stanno in che la figura di don Damiano mezzo della chiesa, e sopra detaveva colpito l’immaginazione to altare vi è il capocielo di ledell’ambiente culturale napoleta- gno dipinto. Non tiene peso di messe e si mantiene dall’abbate no contemporaneo del Galanti. Napoli del resto era la capita- pro tempore». le del regno; anni più tardi, nelSono note le iniziative del lo stesso milieu culturale, colpirà cardinale Orsini tese a stimolare l’immaginazione di Benedetto lo sviluppo dell’economia agraria, con l’istituzione di un monCroce. Nella patria di Damiano Pe- te frumentario che ebbe succestrone il genius loci doveva essere so nella diocesi di Benevento. molto ben disposto: non lonta- Fu uno dei primi esperimenti di no da Montagano, sulla strada a credito agrario nel Mezzogiorno tornanti che scende alla valle del d’Italia. Il nostro arciprete si Biferno, sorgeva l’abbazia bene- trovò dunque tra due Papi, a didettina di Santa Maria di Faifoli, eretta nei pressi Vincenzo Maria Orsini dell’antico centro sannitico poi munisale al soglio di Pietro nel 1723 cipio romano di FaMa anche da Pontefice conserva gifulae (da faggio, citato da Tito Livio l’arcivescovado di Benevento e Plinio il Vecchio); e lo visita più volte è l’abbazia dove san Pietro Celestino entrò in giovane età nel 1230 circa, studiò, prese stanza di quattro secoli, tutti e l’abito di san Benedetto e di cui due amanti della natura. San più tardi, negli anni 1276-1279, Pietro Celestino, un Pontefice fu abate. Pietro era nato proba- che era stato eremita e aveva bilmente a Sant’Angelo Limosa- amato la natura fino a immerno, dall’altra parte del Biferno. gersi in essa, a cui era stato dato Il monastero di Faifoli fu ab- il dono di sentire dentro la vita bandonato alla fine del secolo che sboccia il mistero perenne tredicesimo, ma quelle antiche della creazione, e Papa Orsini, pietre che Celestino aveva ama- anch’egli attento al lavoro della to, che erano state testimoni terra. dell’origine della spiritualità ceA Faifoli poi vi furono terrelestiniana, continuarono a custo- moti, nuovi restauri e rivoluziodirla e irradiarla, continuarono a ni. Ma il genius loci dev’essere pregare. ancora ben disposto. Oggi la La chiesa continuò a esistere, chiesa abbaziale di Santa Maria fino a che, proprio negli anni di di Faifoli non conserva più la don Damiano Petrone, fu re- statua antica, la Madonna col staurata dal cardinale Vincenzo bambino che regge il globo simMaria Orsini, arcivescovo di Be- bolo dell’universo, ma una stanevento e futuro Papa Benedet- tua della Madonna detta to XIII. Il 5 luglio 1705 Orsini ri- dell’Incoronata, la Madonna consacrò la chiesa abbadiale e il della transumanza, e una scultusuo altare maggiore, e la definì ra lignea che rappresenta la Ver«la più insigne delle 12 insigni gine assisa non su un classico badie mitrate della sua arcidiotrono ma su un tronco, tra i racesi». E dedicò il restauro alla mi di un albero. memoria di Celestino, come riNel 1705 l’abate commendatacorda una lapide posta all’interno della chiesa. Nel restauro di rio Finy commissionò la pala questo luogo alle origini della che attualmente è posta sull’alspiritualità celestiniana il nostro tare maggiore: la Madonna col arciprete dovette avere un ruolo bambino, san Pietro Celestino, primario: nell’inventario della san Benedetto, san Domenico, chiesa abbadiale del 1701 don al cui ordine apparteneva il carDamiano Petrone era procurato- dinale Orsini, e san Filippo Nere dell’allora abate commendata- ri, suo patrono. Alla morte di Finy il monastero fu affidato rio Francesco Antonio Finy. Nel testo, stilato nella prima- all’ordine dei Celestini, che lo vera 1701, si legge la sua descri- tenne fino a che non fu soppreszione del complesso abbaziale: so nel regno di Napoli all’inizio dalle lapidi dell’antica Fagifulae dell’Ottocento. Orsini diviene nel pavimento della chiesa, Papa nel 1723, e anche da Ponteall’inventario dell’unico altare. fice conserva l’arcivescovado di «A capo della chiesa dirimpetto Benevento, all’epoca parte intealla porta vedesi eretto un altare grante dello Stato della Chiesa. sotto il titolo di santa Maria Ed è proprio da Benevento che consistente in una statua di rilie- è proposta ora la causa di beativo a tutto busto miracolosissi- ficazione. Come dicevamo, un ma, col suo bambino, che tiene arciprete tra due Papi, uno già una palla in mano e sta colloca- dichiarato santo e l’altro sulla ta dentro una cascia o sia arma- strada per diventarlo. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 21 settembre 2016 pagina 5 L’evangelista Marco (VI secolo) Si tratta di quindici miniature a colori ispirate alla «passio Christi» Rappresentano trascrizioni figurate del Nuovo Testamento di FABRIZIO BISCONTI ai primi giorni di luglio, come abbiamo avuto modo di annunciare (sull’O sservatore Romano del 3 luglio 2016), è possibile ammirare, nel museo diocesano di Rossano Calabro (Cosenza) il celebre Codice purpureo, ora recuperato da un accurato restauro eseguito presso l’Istituto centrale del restauro di Roma, che ha permesso di confermare la manifattura bizantina, forse antiochena, la cronologia, da fissare agli anni centrali del VI secolo, le dinamiche relative all’arrivo del prezioso documento nella cittadina calabra al seguito di un gruppo di monaci grecoorientali o di un alto gerarca bizantino. Le 188 pagine colorate in porpora, attraverso un prodotto vegetale, conservano, oltre a una porzione dei vangeli scritti in onciale aurea e argentea, alcune articolate miniature, che esprimono una raffinata narrazione figurativa ispirata a quell’ellenismo perenne individuato dal grande storico dell’arte Ernst Kitzinger che, per primo, comprese come il repertorio iconografico di invenzione e fortuna ellenistica prosegue, con apparizioni intermittenti, secondo il percorso di un fiume carsico, attraverso tutti i secoli della tarda antichità, per sfociare nel grande estuario bizantino. Se procediamo alla lettura testuale delle immagini dipinte, sfogliando il prezioso manoscritto bizantino, pari per celebrità alla Genesi di Vienna e al Vangelo sinopense di Parigi, emergono vere e proprie trascrizioni figurate del Nuovo Testamento. Si tratta di 15 miniature ispirate, per lo più, alla passio Christi, ma il vero capolavoro è rappresentato dal ritratto di Marco, che dobbiamo riferire — grazie ai recenti restauri — al momento bizantino e non al medioevo, come è stato ipotizzato nel passato prossimo. L’evangelista è seduto come un ispirato filosofo su un solenne trono a intreccio vimineo e si china a scri- D Sul restauro del Codice purpureo conservato a Rossano Calabro Marco e la musa ispiratrice vere il suo vangelo su un lungo rotolo svolto, assistito da una severa matrona dal manto azzurro, secondo le sembianze di una musa ispiratrice, forse la Sophia (la Sapienza). Patrimonio Unesco D all’ottobre del 2015 il codice è stato riconosciuto come patrimonio dell’umanità ed è stato inserito dall’Unesco tra i nuovi documenti del Registro della memoria mondiale grazie alla tenacia di monsignor Santo Marcianò, dal 2006 al 2013 arcivescovo di Rossano-Cariati. Il Registro contiene oltre trecento documenti, su supporti di ogni tipo, dalla pergamena alla celluloide. La scena è incastonata in un singolare e sintetico organismo architettonico sostenuto da due esili colonne scure provviste di capitelli corin- N rispettivamente secondo Marco 23- il fine dell’enfatica ostentazione di 26 e Giovanni 13, 8, ma il codice ac- un alto gerarca bizantino, non si coglie anche un trionfale ingresso di esclude che esso sia stato, poi, donaGesù a Gerusalemme, la parabola to a una comunità monastica, secondelle vergini stolte e delle vergini do un gesto gratificante ed espiatosagge, la comunione con il pane e rio, con un auspicio salvifico ed con il vino, Gesù nell’orto del Get- evergetico. semani, la guarigione del cieco nato, la parabola del buon samaritano, il confronto di Gesù con Barabba. Il frontespizio accoglie una completa miniatura che propone una sorta di corona in cui sono incastonati i busti-ritratto dei quattro evangelisti nimbati, con i codici dei loro testi e con la mano levata nel gesto della parola. Il manoscritto, che, secondo alcuni studiosi, doveva essere utile per la liturgia bizantina, mostra tutti i preziosi caratteri di un oggetto di apparato, che vuole assurgere a status symbol del committente. Se, comunque, il ricchissimo evangeliario può essere Ingresso di Cristo a Gerusalemme (VI secolo) stato ordinato con Seminario del Centro italiano opere femminili salesiane di SILVIA GUIDI on più Cenerentola relegata in un angolo, in perenne attesa di un principe-mecenate che spesso tarda ad arrivare, ma una figlia di pari grado, amata e valorizzata come tutti gli altri componenti della famiglia. Fuor di metafora, la formazione professionale può e deve cambiare, diventando una realtà educativa di pari dignità, riconosciuta come risorsa preziosa e irrinunciabile per costruire la società di domani. Di questo si è parlato dal 7 al 9 settembre scorso a Firenze, durante la zi, sui quali si posa un leggero architrave sormontato dai due apici di altrettanti cibori speculari, ai lati di una larga, variopinta e preziosa nicchia conchigliata. È sintomatico che la singolare struttura echeggi quel fastigium argenteum e quelle camerae fulgentes, che il Liber Pontificalis romano riferisce alle fabbriche costantiniane del Laterano e del Vaticano, guardando fatti e monumenti proprio dall’osservatorio cronologico del VI secolo, proiettando qualche cono d’ombra sulla collocazione cronologica di alcune imprese pontificie, disinvoltamente attribuite a Papa Silvestro. Ma torniamo alle vignette del codice rossanense, per fermarci al “fregio continuo” che rappresenta il colloquio del Cristo con i sacerdoti del tempio, come viene riferito dal secondo capitolo di Giovanni. Il tempio è rappresentato schematicamente sulla sinistra, per mezzo di un colonnato entro cui si collocano i protagonisti della cacciata dei mercanti dal cortile. Più suggestiva appare la miniatura, che raffigura il Cristo che assurge a protagonista di una tragica e articolata resurrezione di Lazzaro. Gesù, in tunica purpurea, pallio aureo e nimbo dorato alza la mano destra nel gesto della parola per ordinare all’amico defunto: «Lazzaro, alzati e cammina». Il Cristo è accompagnato dal serrato manipolo dei discepoli, mentre le sorelle Marta e Maria si inginocchiano per chiedere la grazia. Altri giovani pregano il Maestro, affinché compia il miracolo, mentre, all’estrema destra, da un sepolcro rupestre, e non da un mausoleo, come riscontriamo nell’iconografia occidentale, esce Lazzaro, ancora fasciato e accompagnato da un giovane, che si copre il naso con la veste per non avvertire il cattivo odore della decomposizione. La scena si propone come un cortometraggio e unisce, in una sola soluzione figurativa, i due momenti della narrazione evangelica, relativi rispettivamente all’accorata richiesta del miracolo e alla realizzazione del prodigio, secondo una dinamica figurativa tipica, appunto, del “fregio continuo”. Ispirata al cerimoniale imperiale risulta la pagina istoriata con il processo di Cristo davanti a Pilato. Nella porzione superiore si distende la dettagliata narrazione dell’esordio del processo, con Pilato seduto in trono, al centro della rappresentazione, tra due cortigiani che sorreggono altrettanti ritratti. Da sinistra sopraggiunge il Cristo, che incede verso Caifa e Anna, mentre, a destra, un impassibile gruppo di uomini astanti completano il registro. In basso, si sviluppa il crescendo narrativo, secondo cui Giuda si pente del tradimento: per questo egli restituisce i trenta denari, rifiutati dai sacerdoti, e poi si impicca. Un foglio accoglie le scene dell’ultima cena e della lavanda dei piedi, Imparare facendo edizione del Seminario Europa, l’iniziativa ideata dal Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione professionale in collaborazione con l’associazione di categoria Forma in cui, facendo tesoro dell’esperienza di altri Paesi europei, esperti, educatori e politici si sono interrogati su un tema chiave per il futuro delle giovani generazioni. XXVIII Robert Doisneau, «L’informazione scolastica» (1956) Con l’avvio in Italia, a settembre, della sperimentazione ministeriale relativa al cosiddetto sistema duale che, accanto al tradizionale percorso scolastico scuola superiore/università, prevede la messa a regime in tutto il paese del sistema della formazione professionale, si è a una svolta nell’offrire ai giovani la possibilità di imparare, fino ai livelli più alti, lavorando. Intitolata «La sperimentazione duale in Italia. Un passo per un sistema strutturato di formazione professionale nelle politiche attive del lavoro», l’edizione 2016 del Seminario di formazione Europea ha contribuito a una corretta formazione e occupazione giovanile aprendo il dibattito ai contributi, alle testimonianze, ai metodi, ai sistemi e all’esperienza degli ospiti provenienti, quest’anno, da Spagna, Gran Bretagna e Polonia. «Da qualche tempo nel nostro Paese» spiega Lauretta Valente, presidente del Centro, «avvertiamo che l’attenzione e la considerazione nei confronti della formazione professionale sono cresciute: si è compreso che si tratta di uno strumento necessario a favorire l’occupazione giovanile con la sperimentazione di prossimo avvio, che in due anni coinvolgerà circa sessantamila giovani, il ministero del Lavoro ha scelto di puntare sulla filiera che insegna un mestiere non solo in classe ma anche attraverso il lavoro sul campo e di incrementare i contratti di apprendistato». Una nuova premessa per definire, in forma organica e uniforme su tutto il territorio nazionale, un vero e proprio sistema formativo da offrire ai giovani in alternativa al tradizionale iter scolastico/universitario, superando l’impostazione frammentaria, volontaristica e incompiuta finora lasciata all’iniziativa delle singole regioni, diverse delle quali, al presente, non hanno neppure avviato il percorso formativo-professionale. Il tema è rilevante soprattutto se si considera che la formazione professionale, verso la quale si orientano sempre più ragazzi, non necessariamente per ripiego, è efficace proprio per la particolare forma di apprendimento pratico di un mestiere, parte in aula e parte all’interno delle imprese. Partita nell’anno 2003/2004 con alcune migliaia di giovani, oggi l’istruzione e formazione professionale su base regionale è arrivata ad accogliere, tra triennio e quarto anno, ben 329.387 allievi (dati Isfol anno formativo 20142015). Una tendenza significativa e in continua crescita, cui si aggiunge un successo occupazionale a breve termine pari al cinquanta per cento, che al nord raggiunge anche il sessanta per cento, e una dispersione scolastica tra le più basse. E questo nonostante il fatto che, come già detto, non in tutte le regioni italiane è possibile intraprendere questo percorso di apprendimento. Anche quest’anno, lo “spot pubblicitario” più efficace per far conoscere questa realtà educativa è stato offerto dalle storie degli allievi. Da Yari, felice di aver frequentato un corso biennale in termodinamica, che lo ha fatto appassionare di nuovo allo studio dopo un periodo di grave crisi personale (adesso è di nuovo iscritto al liceo e deciso ad andare all’università), a Giordano, 22 anni, grato di aver imparato un metodo che non lo fa sentire sprovveduto nel mondo del lavoro. «Al Ciofs siamo entrati tutti in un modo e ne siamo usciti tutti in un altro. In azienda riuscivo a fare quello che mi Frequentare i corsi garantisce un successo occupazionale a breve termine pari al cinquanta per cento Con punte del sessanta nel nord Italia chiedevano perché l’avevo già sperimentato, mi era stato spiegato, avevo provato, sapevo come fare». Commovente e bellissima la storia di Alessandro (nome di fantasia) un ragazzo ipovedente che ha frequentato il corso post-diploma di giardiniere d’arte in collaborazione con la reggia di Venaria in Piemonte. «Lo abbiamo aiutato stampandogli in corpo 20 i materiali da leggere — spiega Silvia, un’operatrice —. Il primo stage lo ha fatto in un vivaio e la proprietaria ci ha detto che, se non l’avesse saputo, non avrebbe mai sospettato il suo problema visivo. Per i datori di lavoro è come se non avesse una disabilità, tanto è capace». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 21 settembre 2016 Conferenza dei catechisti in Indonesia Fede e social network MUMBAI, 20. La famiglia in India si trova oggi ad affrontare nuove sfide poste dalla modernità che non sempre è sinonimo di progresso. Così, il tessuto familiare indiano è oggi lacerato dalla secolarizzazione, che pone l’aspetto della spiritualità ai margini della vita quotidiana, mentre l’alcolismo sta diventando una piaga per l’intera nazione. Proprio per questo, la Chiesa in India «è impegnata a rafforzare la vita della famiglia, nonostante le numerose sfide che essa affronta». Lo spiega padre Milton Gonsalves, segretario esecutivo della commissione per la famiglia della Conferenza episcopale dei vescovi di rito latino (Conference of Catholic Bishops of India, Ccbi). Dal 2014 il sacerdote effettua viaggi in tutte le regioni del Paese e svolge corsi prematrimoniali e di formazione sull’apostolato nelle famiglie. Data la sua esperienza, è un osservatore particolarmente affidabile riguardo ai problemi familiari e alle possibili soluzioni. Secondo padre Gonsalves, dunque, nelle famiglie esiste un «problema comune: il fatto di confinare l’aspetto della spiritualità. Quando una famiglia — dichiara ad AsiaNews — non sperimenta nella propria vita il potere della grazia e della preghiera, la vita stessa della famiglia si deteriora in modo graduale ma costante e si trova caratterizzata da numerosi pericoli e sfide». Individuato il problema, il sacerdote sottolinea che la Chiesa «pone Preoccupazione nelle Filippine per la crescente ondata di violenze MANILA, 20. Tutti gli attacchi alla vita umana, dall’aborto agli atti di terrorismo e di giustizia sommaria, sono peccati «che gridano al cielo per la giustizia divina». Lo affermano i vescovi filippini che in un messaggio esprimono la loro preoccupazione per l’escalation di violenze che si registra nelle Filippine. Nelle ultime dieci settimane 3500 persone sono state uccise nel Paese, 1400 delle quali erano sospetti trafficanti di droga. L’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, monsignor Socrates B. Villegas, presidente della Conferenza episcopale, ha ricordato che «la dignità umana va sempre protetta e la nobiltà di ogni persona umana continua a brillare nonostante le cicatrici del crimine e del peccato». Già a fine agosto, l’arcivescovo aveva lanciato un appello per la fine della catena di omicidi extragiudiziali della quale sono rimasti vittime come detto molti presunti trafficanti di droga. I vescovi hanno chiesto alle famiglie delle vittime di non cercare vendetta e di perseguire invece la giustizia. Trigesimo Nel trigesimo del ritorno a Dio Padre Misericordioso di S.E.R. Monsignor GIROLAMO GRILLO Vescovo Emerito di Civitavecchia-Tarquinia e Canonico Liberiano giovedì 22 settembre alle ore 18.00, nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, si celebrerà una santa Messa di suffragio, presieduta dall’Em.mo Cardinale Santos Abril y Castelló, Arciprete della Basilica Liberiana. Roma, 20 settembre 2016 In India l’episcopato è impegnato nella lotta contro secolarizzazione e alcolismo La famiglia al centro della pastorale l’accento sul fatto che i genitori debbano ispirare i bambini, attraverso l’esempio, con i buoni valori cristiani e morali». Per il segretario esecutivo della commissione episcopale, quindi, «ogni famiglia ha bisogno di continuare a pregare e a rafforzare la sua spiritualità. Anche avere una buona relazione nella coppia è essenziale per affrontare le sfide che emergono nel matrimonio». Un altro problema dilagante delle famiglie indiane, come accennato, è l’alcolismo, che, osserva il sacerdote, «provoca conflitto nel rapporto tra i coniugi e di conseguenza colpisce anche i bambini e gli altri membri della famiglia». Nei suoi viaggi, padre Gonsalves ha notato che «in generale in India il tessuto della vita familiare è sconvolto. Per questo la Chiesa cattolica in India con i ve- scovi, i sacerdoti e i religiosi sta facendo sforzi comuni per dare una guida pastorale alle famiglie, in modo che esse possano vivere davvero il mistero di Cristo e la fede in maniera concreta». Il segretario esecutivo riferisce, inoltre, che una delle priorità della commissione per la famiglia è quella di «creare una struttura pastorale sull’apostolato nelle famiglie in ogni parrocchia indiana». La commissione sta lavorando per diffondere in maniera capillare il messaggio di Giovanni Paolo II contenuto nell’esortazione apostolica Familiaris consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, e laetitia, l’esortazione dell’Amoris postsinodale di Papa Francesco. «A questo proposito, abbiamo redatto un manuale per i corsi prematrimo- MAKASSAR, 20. Il tema del rapporto tra famiglie cattoliche e nuove tecnologie deve essere discusso in maniera urgente fra i genitori, i vescovi e i catechisti: è una delle conclusioni emerse dalla conferenza «La fede in famiglia: le fondamenta della società indonesiana in continuo cambiamento», organizzata a Makassar, capoluogo della provincia di Celebes Meridionale, in collaborazione con la Commissione catechistica della Conferenza episcopale indonesiana. Padre Fransiskus Adisusanto, direttore del Dipartimento per l’informazione, ha spiegato ad AsiaNews che è importante trovare nuovi modi per utilizzare le scoperte tecnologiche per il bene della società, inserendoli nella moderna catechesi. Proprio per favorire la comprensione del nuovo ambiente sociale da parte della Chiesa, i vescovi hanno deciso di affidare ad alcuni giovani sacerdoti lo studio delle moderne tecnologie, affinché possano aiutare nello sviluppo di una nuova pastorale. Qual è il rapporto tra fede e moderne tecnologie? E come trasmettere di padre in figlio la religione in un ambiente dove i social network hanno sempre più spazio nella vita dei ragazzi? Queste alcune delle domande alle quali centodieci catechisti provenienti da trentasette diocesi indonesiane hanno cercato di dare una risposta. Molti di essi hanno messo in guardia dal rischio che i nuovi strumenti «possano allontanare le persone le une dalle altre, perché ognuno è troppo occupato con il proprio gadget e non si cura di parlare più con il prossimo». niali, rivolto sia alle coppie che agli educatori. Inoltre — ha concluso padre Gonsalves — la mia esperienza mi suggerisce che non basta solo preparare i coniugi prima delle nozze, ma bisogna sviluppare un programma periodico di arricchimento. Questo consoliderà davvero il tessuto familiare in India». La necessità di focalizzare l’attenzione sui problemi quotidiani delle famiglie indiane ha portato la Conference of Catholic Bishops of India a decidere di discuterne durante il prossimo incontro biennale, che si terrà a Bhopal, nello Stato del Madhya Pradesh, dal 31 gennaio al 7 febbraio 2017. La Ccbi collabora anche con altri movimenti cristiani impegnati in ambito familiare, come il Couples For Christ (Cfc) che comprende circa trentamila famiglie. Incontro su «Amoris laetitia» in Bangladesh Primo compito della scuola cattolica in Thailandia Con la gioia della misericordia Educazione alla bellezza e alla pace DACCA, 20. «Solo l’amore rende viva la famiglia e gioiosa la vita familiare». Sono le parole con cui il vescovo di Rajshahi, Gervas Rozario, ha introdotto nei giorni scorsi l’incontro di pastorale familiare che la diocesi bengalese ha promosso alla luce di Amoris laetitia. L’esortazione apostolica di Papa Francesco ha fatto infatti da sfondo alla “tre giorni” di lavori, che ha visto riuniti oltre duecento fedeli in rappresentanza della ventina di parrocchie della diocesi. Ogni parrocchia — riferisce l’agenzia AsiaNews — ha presentato un rapporto sulla situazione dei cattolici e sui problemi riscontrati nelle famiglie: mancanza di dialogo fra coniugi, alcolismo, droghe. «Abbiamo compreso i problemi — ha detto il vescovo — e i partecipanti hanno imparato come possono affrontarli grazie all’amore. Dio non è rimasto soddisfatto solo nel creare l’uomo e la donna, ma vuole che l’uomo e la donna si amino. Essi possono rendere piena di gioia la vita della loro famiglia con l’amore ma anche con il sacrificio». L’incontro è stato l’occasione per passare in rassegna le principali preoccupazioni della vivace comunità cattolica locale — a Rajshahi, cittadina al confine con l’India di oltre 800.000 abitanti, i fedeli sono circa 60.000 — per interrogarsi sul sacramento del matrimonio e dare risposte alla crisi della famiglia. Il vescovo ha ricordato a tutti l’esigente verità sul matrimonio: «Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Ma ha anche ricordato che, sull’esempio di Cristo, la famiglia cristiana si nutre di misericordia. «La famiglia — ha sottolineato padre Dilif Costa, uno dei sacerdoti intervenuti all’incontro — è il luogo fondamentale dove le persone imparano ad amare. Cristo con la sua vita ci ha insegnato a essere misericordiosi, e noi possiamo portare felicità in famiglia se seguiamo i suoi insegnamenti». Un altro sacerdote, padre Gomes, ha individuato, grazie alla sua esperienza, le maggiori sfide che coinvolgono le famiglie: «La mancanza di fiducia tra marito e moglie, la carenza di valori religiosi e sociali, il fatto che i giovani convivano (al di fuori del matrimonio) in maniera sempre più frequente, l’apatia nelle attività religiose, il consumo di alcol e la dipendenza dalle droghe». E ha dato alcuni piccoli concreti suggerimenti per superare tali ostacoli: rinnovare la relazione tra i coniugi, condividere in famiglia la preghiera della sera, mangiare insieme, frequentare la messa della domenica. BANGKOK, 20. «La cooperazione fra la scuola e la famiglia è fondamentale»: per questo «le scuole cattoliche non devono solo comunicare una conoscenza, ma educare anche al bello e alla convivenza pacifica». È quanto è stato sottolineato al termine di un seminario che si è svolto nei giorni scorsi a Pattaya, importante centro situato a sud-est di Bangkok, sul tema: «Educare oggi e domani: una passione che si rinnova». La condizione della famiglia odierna, ha detto monsignor Silvio Siripong Charatsri, vescovo di Chanthaburi e presidente della Commissione cattolica per la famiglia, «è un tema della più grande importanza e ha molte conseguenze. La cura pastorale della famiglia e l’educazione cattolica sono infatti due ambiti inseparabili, visto che la famiglia è la prima scuola che educa i bambini». All’appuntamento, riferisce l’agenzia AsiaNews, hanno partecipato oltre cinquecento tra insegnanti, educatori ed esperti provenienti da tutte le diocesi della Thailandia. Al centro della riflessione la necessità di rinnovare con il messaggio cristiano il sistema educativo thailandese, ritenuto, secondo recenti valutazioni, uno dei più insufficienti del pianeta. Infatti, la Thailandia pur essendo il Paese che spende di più al mondo nell’educazione (il 4 per cento del pil, il 20 per cento del budget del bilancio governativo) è anche paradossalmente agli ultimi posti della graduatoria per qualità dell’educazione. Da un lato, infatti, i ragazzi sono sempre meno concentrati sullo studio, distratti dalla tecnologia e da mille informazioni che vengono dimenticate subito. Dall’altro, le scuole organizzano troppe attività che non hanno a che fare se non in modo indiretto con l’apprendimento. Tanto che da un recente sondag- gio è risultato che su otto materie valutate, solo in lingua thailandese i ragazzi superano la sufficienza. In tutte le altre materie sono ben al di sotto dello standard internazionale. In questo senso, durante il convegno è stato sottolineato che per risolvere i problemi che affliggono la società thailandese è necessario concentrarsi sulla formazione della gioventù cattolica. L’identità del cattolico, è stato affermato, deve essere centrata su Gesù Cristo, l’unico che può fare scoprire all’uomo la misericordia di Dio. Mettendo in pratica questo principio, le istituzioni cattoliche devono educare i ragazzi secondo gli ideali del Vangelo. Ideale che deve anche innervare il nuovo Piano di educazione nazionale che sarà in vigore dal 2017 al 2031. Un sistema educativo con costi altissimi ma scarsi risultati, a cui la Chiesa è comunque chiamata a fornire il suo originale contributo nella formazione di giovani intelligenti e virtuosi. Per ottenere tutto ciò, afferma monsignor Charatsri, «la cooperazione fra la scuola e la famiglia è significativa e necessaria. Sfortunatamente l’istituzione della famiglia thai sta cambiando in modo drammatico, sia nella struttura che nelle relazioni. Le famiglie numerose del passato hanno lasciato il posto a piccoli gruppi di tre persone o, peggio, con un solo genitore. È una sciagura che il 50 per cento delle unioni termini con un divorzio e che il ruolo educativo dei giovani finisca solo sulle spalle del personale scolastico». Sulla stessa lunghezza d’onda anche padre Francis Xavier Deja Arphonrat, segretario generale della Commissione cattolica per l’educazione, per il quale «le scuole cattoliche devono avere come primo scopo l’evangelizzazione». L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 21 settembre 2016 pagina 7 Rifugiati e responsabilità nell’anno della misericordia WASHINGTON, 20. Non solo profughi siriani e ondate migratorie centroamericane. Esiste una realtà altrettanto drammatica e forse ancor più incredibilmente quasi ignorata dai grandi mezzi d’informazione e dunque sovente anche dalla politica internazionale. È la condizione dei profughi del Sudest asiatico, in particolare la popolazione rohingya (ma anche pakistani e montagnard), vittime di sistematiche violazioni dei diritti umani e dell’ignobile tratta delle persone. Su questa enorme emergenza umanitaria, proprio mentre è in corso a New York l’assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata proprio al tema dei rifugiati, accende i riflettori l’episcopato cattolico statunitense. Sul sito in rete dei vescovi americani viene infatti pubblicato in queste ore un report realizzato dal Migration and Refugee Services in cui, appunto, si sollecitano i responsabili della comunità internazionale a ricercare quanto prima soluzioni umanitarie durevoli per i profughi di questa macroregione. Il rapporto, viene reso noto, è stato realizzato al termine di una visita sul campo che una delegazione dell’ufficio migrazioni e rifugiati dell’episcopato ha compiuto recentemente nei Paesi interessati: non solo in Myanmar ma anche in Thailandia, Malaysia, Indonesia e Australia. La delegazione, viene spiegato, ha avuto modo di incontrare bambini non accompagnati, rifugiati, vittime della tratta di esseri umani, governi locali, organizzazioni non governative, leader di comunità per meglio comprendere la situazione e contribuire così a tro- Non i confini ma le persone di SANTO MARCIANÒ Richieste dai vescovi statunitensi Soluzioni urgenti per i rohingya vare una soluzione alla crisi umanitaria. In particolare, come accennato, i presuli statunitensi richiamano l’attenzione sulla condizione dei rohingya, una delle minoranze più perseguitate nel mondo, relegati in ghetti o in campi profughi in Bangladesh e sulla zona di confine tra Thailandia e Myanmar. Gravi episodi di persecuzione religiosa — i rohingya sono di fede musulmana — vengono continuamente registrati in Myanmar, dove nello Stato del Rakhine circa 120.000 individui vivono ammassati in più di ottanta campi profughi. Per loro però si spera che la si- tuazione possa presto cambiare in meglio. Dopo un lungo periodo di regime militare, adesso il Myanmar ha un Governo democraticamente eletto dal quale anche i presuli statunitensi si aspettano provvedimenti concreti in favore dei rohingya. «Mi unisco con i miei fratelli vescovi birmani nella preghiera per la pace, la continuazione delle riforme, la ricostruzione del Paese e per l’assistenza, la protezione, la ricerca di soluzioni definitive per tutti gli sfollati», ha detto Eusebio L. Elizondo, vescovo ausiliare di Seattle e responsabile della Commissione episcopale sulle migrazioni. Appello del presidente di Caritas italiana Trovate il coraggio di cambiare ASSISI, 20. «Ritrovare il coraggio e la volontà di cambiare la realtà, non farci inseguire da essa perché ne resteremo schiacciati ma riuscire a prendere in mano il volante per gestire questo flusso. Si discute, si discute e intanto i morti aumentano. Le soluzioni non si trovano, la gente scappa». È l’appello che da Assisi, dove si trova per la giornata di preghiera per la pace, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, lancia ai leader mondiali riuniti a New York per il vertice Onu su migranti e rifugiati. «Chiamo il Mediterraneo una tomba liquida perché ormai sono 25.000 e più le persone accertate che sono morte nel tentativo di attraversarlo a cui vanno aggiunte tutte quelle di cui non sappiamo. E continuano ad aumentare. Nel mar Egeo sono morti più di mille bam- bini in un anno. La nostra emozione — sostiene il porporato — deve diventare commozione e la commozione tradursi in azione. Se ci si ferma all’emozione, la storia non va avanti». All’Europa che costruisce i muri, il presidente di Caritas italiana dice: «Ci sarebbe da dire che forse non abbiamo studiato la storia. Tentiamo di costruire una storia nuova, non ricordando quella passata. Nessun muro ha mai retto. Noi pensiamo di inventare qualcosa di nuovo ma stiamo riproponendo il vecchio che è stato fallimentare fino ad ora. Insomma, siamo già sconfitti. Alzare dei muri è alzare bandiera bianca davanti a una realtà più grande di noi. Qualche volta ho detto che Ue, Unione europea, si può anche leggere “unione degli egoismi” e tanti egoismi insieme non fanno unione». Lo scarto dei rifugiati non è solo il rifiuto che può esserci alle frontiere ma inizia da una cultura che divide il mondo in ricchi e poveri, potenti e deboli, facendo sempre ricadere sui deboli le conseguenze di ogni ingiustizia e discriminazione, anche quella contro il creato. «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa […]. La mancanza di reazione di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (Laudato si’, 25). Nella denuncia di Papa Francesco, la parola «responsabilità» risuona in tutta la sua chiarezza. C’è una responsabilità disattesa, verso l’uomo e il mondo, verso la giustizia e la pace, che ha permesso e continua a permettere l’emergenza dei rifugiati. C’è però anche chi, come l’Italia, si è assunta una tale responsabilità di soccorso e di accoglienza: al 31 dicembre 2015, un totale di 103.792 stranieri risultava ospitato in diverse strutture. È una responsabilità accolta soprattutto da militari e forze dell’ordine italiani: Marina, Aeronautica, Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri. Coordinati dalla Guardia costiera e in collaborazione con altri, costoro riescono a compiere un lavoro che le stesse istituzioni spesso non sono capaci di organizzare e, d’altra parte, considerano la propria missione di difesa della vita come prioritaria anche rispetto a limiti imposti da leggi e accordi internazionali. In questa «responsabilità» si colgono, dunque, inedite sfumature della missione dei militari, quasi Il cardinale Ouellet al pellegrinaggio dei vescovi di nuova nomina La logica del sacrificio «Per rendere concretamente testimonianza a Cristo» non bastano «discorsi» o «le sole virtù: ci vuole il sacrificio totale di noi stessi fino al martirio, correndo il rischio di non essere sempre capiti e accolti, anzi di essere criticati e perfino perseguitati come accade più che mai oggi». Ecco il profilo del pastore «apostolo della misericordia» delineato dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, nella messa celebrata domenica 18 settembre, nella basilica vaticana, a conclusione del pellegrinaggio romano dei vescovi eletti nel corso dell’ultimo anno. «Oggi portiamo anche nella nostra preghiera di lode la fede dei nostri popoli con tutti i membri delle comunità che siamo chiamati a servire» ha detto il porporato, esprimendo la certezza che, «dopo l’incontro con Papa Francesco, i legami di comunione fraterna e sacramentale sono cresciuti tra di noi e con il successore di Pietro». «Uno solo è Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti»: è a questa parola di Paolo a Timoteo che il cardinale Ouellet ha fatto riferimento per richiamare «tutto il mistero della fede e della nostra vocazione». Prosegue infatti l’apostolo: «Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo, maestro dei pagani nella fede e nella verità». Così «la nostra vocazione e missione» — ha Pietro Tavani, «Il buon pastore» (2012) spiegato il cardinale — è di essere «maestro della fede destinata a tutti gli uomini, maestro della preghiera e dell’unità della comunità». E «questa nostra testimonianza s’inserisce oggi nell’offerta sacrificale e pasquale di Gesù Cristo di cui parla san Paolo al suo discepolo Timo- teo: “Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti”». Proprio «sulla scia dell’Eucaristia del Figlio — ha affermato — offriamoci dunque con tutto il nostro essere e impegniamoci a tendere più decisamente alla santità di vita nell’esercizio delle funzioni del nostro servizio apostolico». Altrimenti, ha messo in guardia, «rischiamo di scivolare nella mondanità e nell’idolatria e quindi di meritare rimproveri al momento del rendiconto della nostra amministrazione». «La celebrazione del giubileo della misericordia — ha fatto notare il prefetto della Congregazione per i vescovi — costituisce una cornice singolare e provvidenziale che ci spinge a cercare appassionatamente non solo una santità personale credibile, ma soprattutto una santità pastorale, uno stile pastorale improntato all’esperienza della misericordia e al servizio della divina misericordia: apostoli della misericordia». Del resto, l’invito del Papa è sempre rivolto a «rendere pastorale la misericordia». «Cercheremo dunque — ha rilanciato il cardinale — di assumere e di assolvere tutti i compiti del ministero apostolico con tutte le fatiche, i dolori e le gioie, in spirito di misericordia, che genera speranza e pace nel cuore dei fedeli». Perché solo mantenendo «costante e fedele quella nota di compassione e di misericordia, la nostra testimonianza sarà più incisiva ed attrattiva per guidare il popolo di Dio verso il suo unico maestro». un “nuovo profilo” disegnato sul serio e significativo impegno di combinare l’accoglienza con la sorveglianza, la protezione dei cittadini con il soccorso agli stranieri. Custodire il Paese e chi nel Paese arriva. Custodire e difendere: non i confini ma le persone. Oltre alle operazioni di soccorso, pensiamo al compito di difesa dalle organizzazioni criminali che trovano sostentamento nelle reti internazionali, al ruolo nella tratta di esseri umani, fenomeno sconvolgente e più volte denunciato dal Santo Padre, o all’arresto degli scafisti. Ciò esige grande competenza e senso di collaborazione e chiede di sterminio. E siamo chiamati a ricordare, assieme al Pontefice, come «l’Europa, aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, abbia gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti» (Discorso al corpo diplomatico, 11 gennaio 2016). Ma l’opera di evangelizzazione non si esaurisce qui. Il Vangelo è il segreto che, da una parte, nutre la carità dei militari ma che pure ne sostiene la vita, soprattutto coloro che sono che la tecnologia, anche la più raffinata, sia sempre a servizio del salvataggio di vite umane. Ma un’altra responsabilità spetta alla politica internazionale: il senso di condivisione tra i vari Paesi. È ancora duplice la prospettiva: la cura degli uomini è tutt’uno con la cura della terra, della «casa comune», nella «consapevolezza che siamo una sola famiglia umana» e «non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettono di isolarci» (Laudato si’, 52). È proprio vero quanto nell’enciclica afferma Papa Francesco. Ma è altrettanto forte il suo grido levato verso il vecchio continente: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?» (Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno). E il grido si fa sogno: «Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo» (ibidem), confessa Francesco. Noi Chiesa, noi Chiese d’Europa, sentiamo che questo sogno ci è affidato, come una vera e propria vocazione. E se la Chiesa tutta non può non essere inquietata da questa emergenza umanitaria, ancor più la Chiesa che è tra i militari se ne deve sentire interpellata. L’accoglienza pastorale dei rifugiati porta alla luce un nuovo, vasto, e direi entusiasmante campo di evangelizzazione e carità per l’Apostolato militare internazionale, attento all’annuncio evangelico e alla promozione della cultura della pace. Come Chiesa, siamo anzitutto chiamati a identificare e fronteggiare con decisione, ogni qualvolta si presenti, la piaga scoperta di una mentalità discriminatoria e xenofobica che fa dei nostri mari nuovi campi coinvolti in operazioni difficili o costretti a constatarne il fallimento, qualora i tentativi di salvare vite umane si trasformino, a esempio, in recupero di cadaveri. Il Vangelo educa al senso della vita e della morte, a una vita interiore capace di crescere e testimoniare la speranza nel trascendente e nell’eterno. Il Vangelo è anche la via con la quale i nostri militari possono combattere le radici della guerra: rintracciarne le cause remote e lottare contro le ingiustizie, le violenze, la povertà, l’ignoranza, Apostolato militare a congresso È in corso a Vught, nei Paesi Bassi, il congresso dell’Apostolato militare internazionale. Pubblichiamo stralci dell’intervento dell’arcivescovo ordinario militare per l’Italia intitolato «I rifugiati alla luce della Laudato si’ e dell’anno della misericordia». la discriminazione; raggiungerne le radici antropologiche, costruendo modelli di convivenza, dialogo, pace, perdono; modelli che dimostrino come il rispetto e la riconciliazione non siano strade perdenti, neppure in senso socio-politico. E non è forse questa la prospettiva dell’enciclica Laudato si’ e l’invito dell’anno della misericordia? Ecco, dunque, la missione consegnata oggi ai militari cristiani e a tutto il mondo militare: trasformare quei confini, che altri vogliono serrare, in varchi di accoglienza nella nostra «casa comune», in porte sante, attraversando le quali i rifugiati possano «fare esperienza della divina misericordia anche grazie alle persone che li aiutano» (Angelus, 17 gennaio 2016). L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 21 settembre 2016 Messa a Santa Marta «Oggi, uomini e donne di tutte le religioni, ci recheremo ad Assisi non per fare uno spettacolo: semplicemente per pregare e pregare per la pace». Prima di partire per la città di san Francesco, il Papa ha voluto riaffermare il senso del pellegrinaggio, celebrando la messa martedì mattina, 20 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta. «Ho scritto una lettera a tutti i vescovi del mondo — ha affermato — perché nella La vergogna della guerra loro diocesi si facciano oggi raduni di preghiera, invitando i cattolici, i cristiani, i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di qualsiasi religione, a pregare per la pace». Così «oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il mondo a La carcassa di un veicolo che portava aiuti umanitari ad Aleppo (Alep news 24/Ap) pregare per la pace» ha detto il Pontefice, che non ha mancato di suggerire a tutti di dedicare «un po’ di tempo, a casa vostra», prendendo «la Bibbia o il rosario», per pregare «per la pace, perché il mondo è in guerra, il mondo soffre». Questa guerra, ha spiegato Francesco, «noi non la vediamo: si avvicina a noi qualche atto di terrorismo, ci spaventiamo» ed «è brutto, questo è molto brutto». Ma «questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono, cadono, e uccidono bambini, anziani, uomini, donne: tutto!». «Dio, Padre di tutti, di cristiani e di non cristiani — Padre di tutti — vuole la pace» ha affermato il Papa, aggiungendo: «Siamo noi, gli uomini, sotto la tentazione del maligno, che facciamo le guerre per guadagnare soldi, per prendere più territorio». Oggi, ha proseguito, «nel mondo si soffre tanto per la guerra e tante volte possiamo dire: “Grazie a Dio, a noi non tocca!”». Ed è bene che «ringraziamo — ha aggiunto — ma pensiamo anche agli altri», a tutti coloro che invece sono colpiti dalla guerra. Facendo riferimento alla prima lettura proposta dalla liturgia — tratta dal libro dei Proverbi (21, 1-6.10-13) — Francesco ne ha rilanciato in particolare l’espressione conclusiva: «Chi chiude l’orecchio al grido del povero, invocherà a sua volta e non otterrà risposta». E così, ha spiegato, «se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte». In questa prospettiva il Papa ha rilanciato il suo appello: «Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra». E ha messo anche in guardia dall’idea che si tratti di discorsi che non ci riguardano: «La guerra è lontana? No, è vicinissima!» ha affermato. «Perché la guerra — ha spiegato — tocca tutti, anche la guerra incomincia nel cuore: per questo dobbiamo pregare oggi per la pace», chiedendo «che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga ogni voglia di avidità, di cupidigia, di lotta». «Pace, pace!» è il grido che il Papa ha voluto ripetere. Con l’auspicio «che il nostro cuore sia un cuore di uomo o di donna di pace», pronto ad andare «oltre le divisioni delle religioni — tutti, tutti, tutti! — perché tutti siamo figli di Dio». E «Dio è Dio di pace, non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti». Il Pontefice ha invitato espressamente a pensare «oggi non solo alle bombe, ai morti, ai feriti, ma anche alla gente — bambini e anziani — alla quale non può arrivare l’aiuto umanitario per mangiare; non possono arrivare le medicine». E «sono affamati, ammalati perché le bombe impediscono» loro di avere il cibo e le cure necessarie. E «mentre noi oggi preghiamo, sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo». Oggi dunque, ha rilanciato Francesco, deve essere veramente una «giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace; una giornata per sentire il grido del povero». Questo grido «che ci apre il cuore alla misericordia, all’amore e ci salva dall’egoismo». In conclusione il Papa ha voluto ringraziare coloro che risponderanno al suo invito «per tutto quello che farete per questo giorno di preghiera e di penitenza per la pace». Primi incontri del Papa ad Assisi A pranzo con i rifugiati dal nostro inviato NICOLA GORI Nei giorni in cui a New York scoppiano ordigni che seminano terrore e le cronache parlano solamente di attentati e scontri armati, quando la parola pace sembra una chimera, qualcuno ad Assisi prova a ricostruire invece che a distruggere. Attraverso gesti di solidarietà e di amicizia, come il pranzo che martedì 20 settembre Papa Francesco ha condiviso con i partecipanti all’incontro internazionale «Sete di pace: religioni e culture in dialogo» promosso dalla comunità di Sant’Egidio, Per la terza volta L’elicottero con a bordo il Papa, partito dal Vaticano alle 10.30, è atterrato alle 11.30 nel campo sportivo Migaghelli di Santa Maria degli Angeli. Qui il Pontefice è stato accolto dall’arcivescovo Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi Nocera Umbra - Gualdo Tadino; dal presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini; dal prefetto di Perugia, Raffaele Cannizzaro; e dal sindaco di Assisi, Stefania Proietti. Accompagnano Francesco in questo viaggio, il terzo ad Assisi, gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura, gli aiutanti di Camera Mariotti e Zanetti, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Greg Burke, e il direttore dell’O sservatore Romano. In automobile il Papa ha poi raggiunto il sacro convento, dove è stato salutato dal custode Mauro Gambetti, dal patriarca ecumenico Bartolomeo, dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, dal patriarca siroortodosso di Antiochia, Efrem II, dal capo supremo della Tendai buddhist denomination, Koei Morikawa, dal vice del Grande imam di Al-Azhar, Abbas Shuman, dal rabbino Riccardo Di Segni, dal cardinale Attilio Nicora, legato pontificio per le basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi, e da Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio. dalla diocesi assisiate e dalle famiglie francescane. Gente che è scappata dai bombardamenti, dalla miseria, dalla violenza. Drammi che sembrano dimostrare che la pace è impossibile. Eppure, c’è chi nonostante tutto ci crede ancora. A cominciare proprio dal Pontefice e dai numerosi leader religiosi riuniti per l’incontro, giunto alla sua giornata conclusiva. La memoria torna a quel 27 ottobre di trent’anni fa, quando Giovanni Paolo II convocò per la prima volta la giornata mondiale di preghiera per la pace, alla quale parteciparono i rappresentanti di tutte le grandi religioni mondiali. In quel giorno erano più di un centinaio: cinquanta per le Chiese e le comunità cristiane e sessanta per le altre religioni. Trent’anni dopo, martedì 20 settembre, erano oltre cinquecento. L’appuntamento voluto da Papa Wojtyła segnò l’inizio dello spirito di Assisi, diffusosi ovunque dalle grandi metropoli di ogni latitudine fino ai più piccoli villaggi del pianeta. E oggi i capi religiosi sono tornati nella cittadella di san Francesco per dire al mondo che la pace è possibile, che insieme si può. Qui ad Assisi si sono fatti nuovamente voce di chi non ha voce, ricordando al mondo che la religione può costruire ponti per favorire il dialogo e la fraternità universale. Le aree calde del mondo, dal Medio oriente, all’Africa, all’Asia, sono state idealmente presenti al momento conviviale con il Papa nel refettorio del sacro convento. C’erano ventisette rifugiati, vittime delle guerre e della miseria, in cerca di un futuro migliore. Dodici sono ospiti della comunità di Sant’Egidio a Roma, giunti attraverso corridoi umanitari in collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese; dieci sono assistiti dal Centro di accoglienza per profughi (Cara) di Castelnuovo di Porto; cinque dalla Caritas di Assisi. Tra loro, Rasha e la figlia Janin di sette anni, di origini palestinesi, in Italia da febbraio. In fuga da un campo profughi alla periferia di Damasco, in Siria, hanno raggiunto il Libano. Ci sono anche cinque cattolici di rito orientale di origini siriane: Fadi e Ruba, con il figlio undicenne Murkus, scappati da Hasake. E poi Osep, Kevork e Tamar, di rito armeno, che testimoniano la tragedia della città di Aleppo. Paulina ed Evelyn vengono invece dalla Nigeria, dove Boko Haram ha seminato il terrore. Fuggiva dalla guerra anche l’eritrea Enes. Cercava migliori condizioni di vita il ventitreenne Alou, sopravvissuto al drammatico viaggio in mare sui barconi in partenza dalla Libia per la Sicilia. Tra gli ospiti del Cara — provenienti da Siria, Eritrea, Nuova Guinea, Nigeria, Pakistan e Afghanistan — la famiglia Zanboua, di Yarmuk, il campo profughi a sud di Damasco assediato e conquistato dai miliziani del cosiddetto Stato islamico. Papà Muhanad, trentadue anni, ha ancora negli occhi le scene di terrore. Da un altro conflitto è fuggita Nura, venticinquenne eritrea costretta a lasciare gli studi e ad arruolarsi nell’esercito. Storie simili, ma con un unico filo conduttore: scappare dalla violenza, dalla morte, dall’odio. C’è poi l’avventura di Ibraim, un ragazzo della Nuova Guinea, musulmano, che ha rischiato la morte per fame in Libia per andare alla ricerca del padre che lo aveva abbandonato da piccolo. All’inizio del pranzo, il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha rivolto alcune parole di benve- nuto al Papa, accanto al quale siedeva l’anziano sacerdote albanese Ernest Simoni Troshani, che ha trascorso ventotto anni in prigione e che lo stesso Francesco aveva abbracciato il 21 settembre 2014, durante il viaggio a Tirana, dopo aver ascoltato la storia della sua persecuzione. Impagliazzo ha anche ricordato il venticinquesimo anniversario dell’elezione di Bartolomeo al patriarcato, sottolineandone il ruolo spirituale all’interno dell’ortodossia d’oriente e occidente. La giornata assisiate del Pontefice era iniziata verso le 11.30 con l’arrivo, un po’ in ritardo sul programma, a Santa Maria degli Angeli. Raggiunto a bordo di un’utilitaria blu il sacro convento, Francesco è stato salutato dalle maggiori autorità religiose convenute ad Assisi, mentre le campane della città suonavano a festa. Il Papa si è poi recato nel chiostro di Sisto IV dov’erano ad attenderlo oltre duecento persone, tra i quali i rappresentanti delle Chiese e delle religioni mondiali e i vescovi dell’Umbria. Il Papa ha salutato personalmente ciascuno dei rappresentanti presenti, scambiando abbracci e strette di mano. Dopo il pranzo, il Pontefice ha incontrato individualmente il patriarca ecumenico, l’arcivescovo di Canterbury, il patriarca siro ortodosso di Antiochia e l’imam e il rabbino. Una risposta possibile #Peaceispossible: la pace è possibile: l’hashtag lanciato dai frati di Assisi nel giorno dell’arrivo di Papa Francesco rimbalza sui socialnetwork di tutto il mondo facendo riecheggiare il tema dell’incontro promosso dalla comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la diocesi assisiate e la famiglia francescana, «Sete di pace: religioni e culture in dialogo». I lavori sono proseguiti anche martedì mattina, 20 settembre, con gli ultimi dei ventinove panel previsti dal programma, svoltisi in vari luoghi simbolo della cittadella francescana. Tra gli argomenti affrontati: i rifugiati, l’ecumenismo della carità, la misericordia, la preghiera per la pace, le religioni e la salvaguardia del creato, l’umanizzazione del carcere, il futuro dell’Europa, lo spirito di Assisi di fronte ai conflitti. Leader religiosi, personalità del mondo istituzionale, culturale e dei media si sono confrontati portando ciascuno le proprie esperienze, aspettative e speranze così come era accaduto nel pomeriggio precedente, lunedì 19, quando nei panel si era parlato di migranti e integrazione, terrorismo, religioni e poveri, cibo e acqua, e poi di Aleppo, di convi- venza tra cristiani e musulmani, di religioni asiatiche, della crisi irachena. E mentre il rabbino capo di Tel Aviv, Israel Mair Lau, incontrava i giovani per una testimonianza sulla Shoah, venivano celebrati i venticinque anni del servizio del patriarca Bartolomeo ai cristiani e al mondo. Dopo aver presieduto in mattinata a Perugia una preghiera ecumenica nella cattedrale insieme con il cardinale arcivescovo Bassetti, il patriarca aveva poi ricevuto la laurea honoris causa all’Università per stranieri del capoluogo umbro. E grande è stata la sorpresa dei presenti quando nel pomeriggio si è presentato inatteso al Sacro Convento di Assisi, dov’era in corso una cerimonia in suo onore animata dal primate della Chiesa anglicana Welby, dal cardinale Kasper, dal fondatore della comunità di Sant’Egidio, Riccardi, e dal rabbino Rosen. Nel suo intervento il successore dell’apostolo Andrea ha sottolineato che «una festa per un pastore spirituale e vescovo è anche l’affermazione che il vescovo stesso è figlio di Dio e figlio della Chiesa. Dopotutto — ha aggiunto — uno solo è il Padre nostro». Nomina episcopale in Francia La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Francia. François Kalist arcivescovo di Clermont Nato il 30 ottobre 1958 a Bourges, dopo gli studi secondari è entrato in seminario nel 1979. È stato alunno del Pontificio seminario francese fino al 1985. Poi ha frequentato l’Institut Catholique di Parigi e il Séminaire des Carmes, concludendo gli studi con la licenza canonica in teologia biblica. Ha iniziato nel 1991 la tesi di dottorato in teologia presso l’Institut Catholique. Ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Bourges il 21 dicembre 1986, ha svolto il ministero prima come vicario parrocchiale, poi è stato inviato come insegnante e formatore al seminario maggiore di Orléans, di cui è diventato in seguito vicerettore. Ritornato nella sua diocesi nel 1999 è diventato parroco; nel 2001 responsabile diocesano per la formazione; nel 2002 vicario episcopale per la formazione permanente degli adulti e nel 2004 delegato diocesano aggiunto per l’ecumenismo. Il 25 marzo 2009 è stato nominato alla sede residenziale di Limoges, nel Massiccio centrale, e il successivo 17 maggio ha ricevuto l’ordinazione episcopale. All’interno della Conferenza dei vescovi francesi è membro del consiglio per l’unità dei cristiani e per le relazioni con l’ebraismo. Inoltre, a livello ecumenico è copresidente del consiglio misto cattolico-luterano-riformato di Francia e membro del Consiglio delle Chiese cristiane di Francia.