L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 216 (47.351)
Città del Vaticano
mercoledì 21 settembre 2016
.
Da Santa Marta prima di partire per Assisi il Papa invita le donne e gli uomini di buona volontà in tutto il mondo alla preghiera e alla penitenza
Il giorno della pace
Nel Sacro convento il pranzo con un gruppo di rifugiati poi nel pomeriggio la celebrazione ecumenica e l’incontro con i leader religiosi
Il Papa è ad Assisi per la giornata di preghiera per la
pace con i leader religiosi di tutto il pianeta, a trent’anni
dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II
nella città di san Francesco il 27 ottobre 1986. Nella mattina di martedì 20 settembre il Pontefice è arrivato in
elicottero a Santa Maria degli Angeli e si è poi recato al
sacro convento, dove si è unito ai numerosi rappresentanti di Chiese, confessioni e religioni giunti da ogni
parte del mondo per dar vita all’appuntamento «Sete di
pace. Religioni e culture in dialogo», apertosi domenica
18. Dopo averli salutati individualmente il Papa ha pranzato con loro e con un gruppo di rifugiati provenienti
da Paesi che vivono la tragica esperienza della guerra.
E proprio al dramma di queste «terre dove giorno e
notte le bombe cadono» e «uccidono bambini, anziani,
uomini, donne» Francesco aveva fatto riferimento nella
messa celebrata a Santa Marta all’inizio della mattinata,
prima di lasciare il Vaticano alla volta dell’Umbria.
«Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di
questi fratelli e sorelle nostri che soffrono» ha esortato,
ricordando che la guerra, anche se materialmente distan-
te dalle nostre latitudini, è comunque «vicinissima» perché «tocca tutti» e «incomincia nel cuore».
Per questo, ha incalzato, «dobbiamo pregare oggi per
la pace»: non «per fare uno spettacolo» — ha precisato
— ma per vivere una «giornata di preghiera, di penitenza, di pianto», una giornata «per sentire il grido del povero». Dio infatti, ha ricordato, «è Dio di pace, non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno,
è il diavolo, che vuole uccidere tutti». Ecco perché «oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il
mondo a pregare per la pace» ha rimarcato il Pontefice,
suggerendo a tutti di dedicare «un po’ di tempo» alla
preghiera e alla riflessione.
E la preghiera è al centro dell’incontro che apre il pomeriggio del Papa ad Assisi. Francesco si unisce agli altri esponenti di Chiese e confessioni cristiane per una
celebrazione ecumenica nella basilica inferiore, mentre
ciascun gruppo religioso prega in luoghi differenti. Al
termine la cerimonia comune nella piazza inferiore di
San Francesco, con la firma di un appello per la pace.
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Raid colpisce un convoglio umanitario uccidendo venti operatori della Croce rossa
Finita la tregua in Siria
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DAMASCO, 20. La tregua in Siria è
ormai solo un ricordo. I combattimenti tra governativi e ribelli sono
ripresi ieri pomeriggio, poco dopo
la scadenza ufficiale dell’accordo
tra Mosca e Washington per la cessazione delle ostilità. Durante i raid
è stato colpito anche un convoglio
composto da 18 camion carichi di
aiuti umanitari destinati a circa ottantamila civili nella regione di
Aleppo. Trentasei le vittime, tra le
quali venti operatori umanitari, tutti volontari della Croce rossa. Le
Nazioni Unite hanno annunciato la
sospensione dei convogli umanitari.
«Siamo sotto shock — ha detto la
portavoce della Croce rossa Ingy
Sedky — per la brutalità contro una
missione umanitaria».
Per il momento, il palazzo di vetro non si pronuncia sulle responsabilità dell’azione. Il responsabile
per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, si è detto «disgustato e inorridito dal vergognoso attacco», rivelando che nel
raid sono stati colpiti anche un deposito della Mezzaluna rossa e una
struttura sanitaria. «Non ci possono
essere giustificazioni né scuse, nessuna ragione per attaccare operatori
umanitari coraggiosi e altruisti che
cercavano di raggiungere i loro concittadini che hanno un disperato bisogno di assistenza» ha denunciato
O’Brien. «Sia chiaro, se si scoprirà
che questo attacco orrendo è stato
deliberato, sarà considerato un crimine di guerra».
In un comunicato, il dipartimento di Stato americano ha assicurato
che sia i russi che i siriani erano a
conoscenza della destinazione del
convoglio. Una fonte vicina all’amministrazione ha detto che l’attacco
è stato un «bombardamento» delle
forze russe e ci sono «seri dubbi
sulla volontà di Mosca» di fare la
sua parte affinché sia rispettata la
cessazione delle ostilità. «Abbiamo
prove evidenti, non solo nostre ma
anche dell’Onu e della Croce rossa,
che si sia trattato di un attacco aereo», ha spiegato la fonte citata
dalle maggiori agenzie internazionali, aggiungendo poi: «Non sappiamo al momento se si sia trattato
di un raid russo o siriano, ma in
qualunque caso i russi sono responsabili di questo tipo di attacchi».
Un’altra fonte dell’amministrazione
di Washington ha sottolineato co-
Rifugiati e responsabilità
Non i confini
ma le persone
SANTO MARCIANÒ
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me l’attacco di ieri abbia dato «un
duro colpo ai nostri sforzi di portare la pace in Siria; sta ai russi dimostrare la serietà delle loro intenzioni».
Oggi dovrebbe tenersi a margine
dell’assemblea generale dell’O nu
un nuovo incontro tra i responsabili
militari delle due parti. Non è
escluso che il ministro degli esteri
russo, Serghiei Lavrov, e il segretario di stato americano, John Kerry,
decidano di incontrarsi per fare il
punto della situazione e calmare le
acque con un nuovo accordo per la
tregua. «La cessazione delle ostilità
su cui è stato trovato l’accordo tra
Stati Uniti e Russia è assolutamente essenziale, e sta a Washington e
Mosca garantire che sia applicato»
ha detto l’alto rappresentante europeo per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini,
parlando con i giornalisti a New
York. «L’aspetto umanitario nei negoziati politici è lo spazio dove
l’Unione europea può giocare il
ruolo più importante nel facilitare
un futuro per il paese — ha aggiunto Mogherini — ma per fare ciò abbiamo assolutamente bisogno prima
di tutto che Stati Uniti e Russia garantiscano il rispetto del cessate il
fuoco».
Dunque, la tregua è ormai finita
e le speranze di pace sembrano lontane. A confermarlo è la cronaca
delle ultime ore: almeno quaranta
persone, in gran parte civili, sono
morte nel corso di diversi raid nella
regione di Aleppo. Un corrispondente della France Presse, che si
trova ad Aleppo, ha confermato la
ripresa dei combattimenti in molte
parti della città, soprattutto nei
quartieri sud-occidentali. Raid aerei
hanno colpito la zona settentrionale
e occidentale della città, mentre le
forze governative, sostenute dai
combattenti libanesi sciiti di Hezbollah, si sono scontrate con gruppi
di ribelli. Molte fonti parlano anche di operazioni di terra dei governativi.
Secondo una nota di Damasco,
sarebbero stati «i ribelli a sabotare
l’intesa» mentre l’opposizione siriana accusa il Governo di Assad «di
aver violato più volte la tregua per
poterne annunciare la fine». Secondo l’esercito siriano, che assicura di
aver sempre rispettato la tregua, i
ribelli avrebbero violato almeno trecento volte l’accordo di pace. Altrettante, secondo l’opposizione, i
raid portati a termine dai governativi supportati dai russi. Ieri il presidente Assad è intervenuto criticando duramente gli Stati Uniti. Il leader siriano ha dichiarato che il raid
nel quale, sabato scorso, aerei della
coalizione a guida statunitense hanno ucciso soldati di Damasco sarebbe stato compiuto «per aiutare i
jihadisti» del cosiddetto Stato islamico (Is).
E intanto, secondo il quotidiano
panarabo «Al Quds Al Arabi», l’Is
ha nominato il successore di Al Adnani, portavoce dell’organizzazione
ucciso nei pressi di Aleppo lo scorso 30 agosto. Il nuovo leader è il
saudita di origini siriane Al Jabra,
alias Abu Mohammed Al Shimali,
ricercato dalle autorità saudite e anche dall’antiterrorismo statunitense,
che sulla sua testa ha posto una taglia di cinque milioni di dollari.
L’uomo, «con grande esperienza
militare — scrive il giornale — è stato rinchiuso per anni in un carcere
saudita», ma dopo il suo rilascio si
è unito alle forze di Al Baghdadi in
Siria «assumendo la responsabilità
di controllo delle frontiere del territorio e dell’ingresso dei foreign fighters».
Violento incendio a Lesbo
Distrutto il campo profughi
ATENE, 20. Migliaia di migranti e rifugiati sono in fuga dal campo di
Moria, sull’isola di Lesbo, in Grecia,
a causa di un violento incendio
scoppiato nella notte. I media locali
riportano le immagini di fiamme altissime, alimentate dal vento, che
stanno distruggendo le tende del
campo profughi.
Secondo la polizia, si tratterebbe
di un incendio doloso. Nel complesso, si contano almeno quattromila richiedenti asilo in fuga dal campo. I
volontari nel campo hanno riferito
che non ci sono feriti, ma le tende e
i prefabbricati sono stati completamente distrutti o notevolmente danneggiati. Stando a quanto riporta il
«Guardian», la polizia avrebbe sta-
bilito — ma ancora si tratta soltanto
di una ipotesi — che le fiamme sarebbero state appiccate da un gruppo di immigrati in segno di protesta
per le condizioni di vita nel campo,
nel quale vivono 5400 migranti, no-
nostante abbia una capacità di 3500
persone.
La cronaca delle ultime ore, intanto, mostra che l’ondata di sbarchi
sulle coste italiane non accenna a
fermarsi. Sono arrivati ieri a Portopalo, in Sicilia, 47 migranti bloccati
successivamente dal gruppo interforze della procura di Siracusa. Tra gli
stranieri, afghani, iracheni e iraniani,
ci sono 34 uomini, cinque donne e
otto minori che sono stati accompagnati a bordo di una motovedetta
della Guardia di finanza al porto
commerciale di Augusta.
Il summit dell’Onu sui migranti
Alla radice
del problema
Il dolore della Conferenza episcopale
PIETRO PAROLIN
Assassinati due sacerdoti in Messico
CITTÀ DEL MESSICO, 20. Due sacerdoti sono stati sequestrati da uomini armati in una chiesa e poi ritrovati uccisi poco distante sul ciglio di una strada. È accaduto ieri a Poza Rica de Hidalgo, nello stato di Veracruz. Alejo Nabor Jiménez Juárez e José Alfredo Juárez de la Cruz sono stati rapiti nella chiesa di Nostra
Signora di Fátima assieme a un laico che collaborava
con i sacerdoti come autista. Sono subito scattate le
ricerche da parte di polizia ed esercito che, poche ore
dopo, sulla strada fra Papantla e Poza Rica, hanno individuato i corpi senza vita dei sacerdoti, con accanto,
legato ma illeso, l’autista. Gli investigatori avrebbero
già fermato almeno uno dei responsabili dell’assassinio. La zona è considerata a forte presenza di crimine
organizzato e non è da escludere che il duplice omicidio debba inserirsi nel generale clima di violenza e illegalità che, in Messico, ha già avuto tra le vittime
membri del clero. Condoglianze, vicinanza e preghiera
ai familiari dei due sacerdoti e alla diocesi di Papantla
sono state espresse dalla Conferenza episcopale messicana con un comunicato a firma del cardinale presidente, Francisco Robles Ortega, e del vescovo segretario generale, Alfonso Gerardo Miranda Guardiola.
«Esprimiamo il nostro dolore e la nostra indignazione
davanti a tale violenza» e «imploriamo al Signore la
conversione degli aggressori», scrivono i presuli, chiedendo alle autorità «il chiarimento dei fatti e l’applicazione della legge contro i responsabili».
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NOSTRE
INFORMAZIONI
Provvista di Chiesa
Una giovane tra i resti
del campo profughi di Moria (Reuters)
Il Santo Padre ha nominato
Arcivescovo Metropolita di
Clermont (Francia) Sua Eccellenza Monsignor François
Kalist, finora Vescovo di Limoges.
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mercoledì 21 settembre 2016
La conferenza sui migranti nel quartier generale
dell’Onu a New York (Ansa)
L’intervento del segretario di Stato al summit dell’Onu sui migranti
Alla radice
del problema
Adottata dalle Nazioni Unite la Dichiarazione che apre la strada a un patto globale sull’immigrazione
Punto di partenza
NEW YORK, 20. «Un accordo internazionale sull’immigrazione farà sì
che un maggior numero di bambini
avrà la possibilità di andare a scuola,
i diritti di rifugiati e migranti verranno protetti, più persone potranno
trovare lavoro all’estero». Con queste parole il segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha salutato l’adozione, ieri, della cosiddetta Dichiarazione di New York, un
insieme di principi e impegni teorici
su come affrontare l'emergenza globale dell'immigrazione.
Il testo è stato approvato dai rappresentanti di 193 paesi durante il
summit sui migranti che si è tenuto
a margine dei lavori dell'assemblea
generale delle Nazioni Unite a New
York. «Questo vertice — ha aggiunto
Ban Ki-moon, aprendo i lavori —
rappresenta un punto di svolta nei
nostri sforzi collettivi per far fronte
alle sfide poste dai movimenti di
massa. Rifugiati e migranti non devono essere considerati un ostacolo,
ma un’opportunità, hanno un grande potenziale, se solo riuscissimo a
farlo venir fuori».
La Dichiarazione non ha tuttavia
mancato di suscitare critiche e perplessità. Come hanno fatto notare
numerose ong, il testo è troppo minimalista e astratto, non vincolante,
e l'unica decisione concreta è il rinvio di un accordo al 2018. E soprattutto, è scomparso un punto chiave:
l’impegno dei Paesi più ricchi ad accogliere il dieci per cento dei migranti e rifugiati.
«Nonostante alcuni spunti incoraggianti, la Dichiarazione di New
York è troppo vaga, non ha l’urgenza necessaria a migliorare davvero le
vite di rifugiati e migranti ed è lontana da ogni reale volontà di affrontare questa gravissima crisi globale»
ha dichiarato l'organizzazione Medici senza frontiere. «La realtà è che
gli stessi paesi che partecipano al
summit sono già oggi responsabili
della violazione dei principi espressi
nel documento conclusivo. Sappiano
quei leader — sostiene l’organizzazione — che la sofferenza e il dolore
che milioni di persone in fuga vivono ogni giorno non possono essere
né cancellati né leniti da parole retoriche o semplici discorsi di circostanza. Occorrono misure concrete e visionarie, impegni audaci e forse impopolari, volontà concreta di cambiamento».
Più smussato il giudizio dell’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia,
secondo cui la Dichiarazione «rappresenta un primo passo per far
fronte a una migrazione umana senza precedenti che il mondo si trova
ad affrontare». Il documento «delinea una risposta più completa e sostenibile agli spostamenti forzati, e
un sistema di governance per le migrazioni internazionali».
Nonostante il carattere globale
dell'emergenza, al summit di ieri si è
discusso soprattutto di Europa e
dell’incapacità di Bruxelles di trovare una strategia comune. Lo ha sottolineato anche in un’intervista il segretario di Stato americano, John
Kerry, secondo cui «per l’Europa è
arrivato il momento di muoversi.
Un’Europa unita è oggi più importante che mai». Nel suo intervento
al palazzo di vetro, il presidente del
Consiglio europeo, Donald Tusk, ha
detto che «nel rafforzamento dei
confini esterni dell’Unione e nell’aumentare l’assistenza finanziaria a co-
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loro che si trovano in uno stato di
bisogno, gli stati membri sono uniti,
cosa confermata dall’incontro di Bratislava tre giorni fa». Parole critiche
sono giunte invece dal presidente
del Consiglio italiano, Matteo Renzi. «Se l’Europa continua così noi
dovremo organizzarci in modo autonomo sull’immigrazione; è un problema dell’Europa ma l’Italia può
fare da sola, è in grado» ha detto il
titolare di Palazzo Chigi, per il quale «occorre gestire in modo diverso
la questione africana». Prioritari,
«da parte nostra sono i rapporti con
l’Africa».
Da segnalare, tra gli altri interventi, anche quello del primo ministro
australiano, il conservatore Malcolm
Turnbull, il quale ha sottolineato la
necessità di controlli più rigidi e di
un approccio inflessibile. «Affrontare l’immigrazione irregolare contando su confini sicuri, è stato essenziale per creare nei cittadini la fiducia
che il governo può gestire l’immigrazione senza rischi» ha detto il premier Turnbull.
Diverso l’atteggiamento del presidente messicano, Enrique Peña Nieto. «Il Messico continuerà a lavorare
affinché i migranti siano riconosciuti
come agenti di cambiamento e di
sviluppo, affinché vengano rispettati
i loro diritti umani e per far terminare le dichiarazioni di odio e discriminazione» ha detto.
Un appello concreto ai leader riuniti a New York è stato espresso
dall’Organizzazione mondiale della
sanità (Oms), che ha chiesto più impegno sul fronte dei vaccini ai minori migranti. «Una ricerca dell’O ms
sulla necessità della vaccinazione
delle persone in emergenze umanitarie critiche, ha individuato numerosi
rischi dalle malattie prevenibili con
il vaccino e spesso aggravate dalla
mancanza di cibo, acqua potabile e
servizi igienici adeguati» si legge in
una nota dell’organizzazione. È di
«vitale importanza» per l’organizzazione estendere il programma di vaccinazioni anche per le nazioni ospitanti, «indipendentemente dalla loro
situazione legale».
E oggi, intanto, c’è attesa per un
secondo vertice, questa volta organizzato dall’amministrazione statunitense, che avrà al suo centro sempre
la questione dell’immigrazione. Il
presidente Barack Obama chiederà a
vari paesi di «prendere impegni concreti per espandere la rete di sicurezza umanitaria e creare opportunità
durevoli per i rifugiati di più lungo
termine».
Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana l’intervento pronunciato, il
19 settembre al summit delle Nazioni
Unite sui migranti, dal segretario di
Stato, cardinale Pietro Parolin, durante la tavola rotonda numero 1 sul
tema: «Affrontare alla radice le cause
dei grandi movimenti di rifugiati e
migranti».
Signor Presidente,
Nelle fasi preparatorie di questo
vertice sono stati dedicati grandi
sforzi e attenzione alla ricerca di soluzioni durature e di modi più efficaci per condividere la responsabilità dinanzi a grandi movimenti di rifugiati e di migranti.
La sfida più grande che ci si pone, però, è di identificare e agire
sulle cause fondamentali che costringono milioni di persone ad abbandonare la propria casa, il lavoro,
la famiglia e il proprio paese, rischiando la propria vita e quella dei
loro cari, alla ricerca di sicurezza, di
pace e di una vita migliore in terre
straniere.
[Nella sua relazione In Safety and
Dignity: Addressing Large Movements
of Refugees and Migrants, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha
affermato che tra le cause dei movimenti dei rifugiati vi sono «conflitto, violenza, persecuzione, repressione politica e altre gravi violazioni dei diritti umani»].
La causa principale dell’attuale
crisi dei rifugiati e dei migranti è
un prodotto dell’uomo: vale a dire
guerra e conflitto. Poiché sono scelte umane a generare conflitti e
guerre, è perfettamente in nostro
potere ed è nostra responsabilità affrontare questa causa fondamentale
che spinge milioni di individui a di-
ventare rifugiati, migranti forzati e
sfollati interni. Pertanto, la Santa
Sede chiede un impegno comune
da parte dei singoli governi e della
comunità internazionale per porre
fine a ogni conflitto, odio e violenza, e per perseguire la pace e la riconciliazione. La Santa Sede continua a essere fermamente convinta
che, come ha spesso affermato Papa
Francesco, la via per risolvere le
questioni aperte deve essere quella
della diplomazia e del dialogo (cfr.
Papa Francesco, Discorso ai membri
dell’eccellentissimo Corpo Diplomatico
accreditato presso la Santa Sede, Città del Vaticano, 13 gennaio 2014).
Inoltre, negli ultimi anni la persecuzione religiosa è diventata sempre più causa di dislocamento. Sebbene anche altri gruppi siano fortemente presi di mira, numerose relazioni confermano che i cristiani sono di gran lunga il gruppo confessionale più perseguitato, parlando
di «pulizia etnico-religiosa», che
Papa Francesco definisce «una forma di genocidio». Alcuni perseguitati, perfino nei paesi di asilo, devono subire aggressioni negli stessi
ambienti di rifugiati. Non dobbiamo abbandonarli.
Il documento preparatorio di
questa tavola rotonda giustamente
evidenzia che la disponibilità e
l’utilizzo delle armi di bassa tecnologia ha portato all’allargamento
dei conflitti, specialmente in paesi e
società dove lo stato di diritto è fragile e la povertà è diffusa.
Signor Presidente,
La Santa Sede ha più volte invitato a limitare rigidamente e a controllare la produzione e la vendita
di armi, laddove la possibilità che
vengano usate illegalmente e che fi-
Merkel si assume la responsabilità della sconfitta elettorale
Paura ad Amatrice e Accumoli
Il voto a Berlino
e la politica di accoglienza
La terra
trema ancora nel reatino
BERLINO, 20. Il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, si è assunta ieri la
responsabilità politica della nuova
sconfitta del partito cristiano-democratico (Cdu) alle elezioni regionali di domenica a Berlino, in
cui l’avanzata dei populisti anti-migranti dell’Adf ha sbriciolato la
grande coalizione formata con i socialdemocratici. Merkel ha però difeso la propria linea politica sui
profughi, sostenendo che «serve
solo spiegarla meglio», senza cedere alle pressioni dell’ala destra del
suo partito che vorrebbe una chiusura basata su valori culturali antiislamici. Nell’ultimo test elettorale
prima della tornata di tre regionali
Londra
non scioglie
le riserve
LONDRA, 20. Downing Street
non ha ancora sciolto la riserva
sui tempi dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, premessa necessaria per l’avvio delle procedure di uscita del
Regno Unito dall’Unione europea. Lo scrive la stampa britannica, citando fonti dello staff del
premier, Theresa May. Finora, il
primo ministro si è limitata a dire che l’articolo 50 non verrà invocato prima della fine del 2016.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
prevista in primavera e delle politiche del settembre dell’anno prossimo, la Cdu ha raccolto a Berlino
solo il 17,6 per cento, con un crollo
di 5,7 punti rispetto alle precedenti
consultazioni: si tratta del peggior
risultato elettorale del dopoguerra.
In questo quadro, Merkel, rinunciando a partecipare al vertice
dell’Onu sui migranti a New York,
ha sottolineato che la sconfitta della Cdu a Berlino ha una «componente regionale e motivi locali».
Ma non solo: «Ovviamente mi assumo la parte di responsabilità che
mi spetta come cancelliere e presidente del partito», ha detto. «La
grande coalizione non ha più una
maggioranza e ciò è molto amaro»,
ha precisato. Il cancelliere ha ammesso errori nella gestione della
crisi umanitaria dei migranti, che
l’anno scorso portò all’apertura
straordinaria delle frontiere e all’ingresso in Germania di 1,1 milioni di
profughi. «Se potessi, tornerei indietro di molti, molti anni per evitare quello che avvenne: a lungo
non abbiamo avuto la situazione
sotto controllo», ha aggiunto Merkel che però ha definito «assolutamente corretta» la propria politica
attuale. «Voglio sforzarmi di spiegarla con più energia», ha annunciato il cancelliere.
Pur senza sbilanciarsi sulla possibilità di una quarta candidatura
alla cancelleria, Merkel è venuta incontro alla Csu, l’ala destra bavarese della Cdu, affermando che «un
ingresso in parte incontrollato di
profughi in Germania come nel
2015 non deve ripetersi».
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ROMA, 20. La terra è tornata a
tremare la notte scorsa nel reatino.
Una forte scossa di magnitudo 4.1
è stata registrata all’1,34 con epicentro a pochi chilometri da Accumoli e da Amatrice, le stesse zona colpite dal terribile terremoto
del 24 agosto scorso. Il sisma è
stato avvertito anche nella provincia di Ascoli Piceno. Una scossa
di assestamento, di magnitudo 2.1,
è stata registrata alcuni minuti dopo. Alle 5,30 la terra ha invece tremato vicino Perugia. Non sono
stati segnalati danni di rilievo.
Ad Amatrice, intanto, grazie
all’intervento della Protezione civile regionale del Friuli Venezia
Giulia, sono arrivati i primi moduli abitativi per gli agricoltori e
gli allevatori della zona, che, in
questo modo, potranno continuare la loro attività rimanendo sul
territorio. I moduli sono 70 (valore complessivo di 350.000 euro),
ciascuno di 16 metri quadri dotati
di bagno e servizi, che permetteranno all’economia di non estinguersi e di rianimarsi. Già nei
prossimi giorni, non appena verranno definite le localizzazioni, la
protezione civile farà arrivare altri
prefabbricati: un’operazione complessa a causa di una viabilità ancora segnata dalle conseguenze
del terremoto.
Allestimento ad Amatrice di tensostrutture
a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma (Ansa)
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niscano in mano ad attori non statali è reale e presente. La proliferazione di qualsiasi tipo di arma aggrava situazioni di conflitto e genera immensi costi umani e materiali,
provocando grandi movimenti di rifugiati e di migranti e minando
profondamente lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura.
Affrontare le cause alla radice del
dislocamento di popoli esige forza
e volontà politica. Come ha detto
Papa Francesco, significherebbe «rimettere in discussione abitudini e
prassi consolidate, a partire dalle
problematiche connesse al commercio degli armamenti, al problema
dell’approvvigionamento di materie
prime e di energia, agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino alla grave
piaga della corruzione».
Infine, la Santa Sede sente il dovere di portare urgentemente l’attenzione sulla piaga di quei migranti che fuggono da situazioni di povertà estrema e degrado ambientale.
Sebbene questi non vengano riconosciuti come rifugiati dalle convenzioni internazionali e quindi
non godano di una particolare tutela giuridica, soffrono però molto e
sono più vulnerabili al traffico di
esseri umani e a diverse forme di
schiavitù umana.
Per questa ragione, nei nostri
sforzi per affrontare in modo efficace i motivi alla radice dei grandi
movimenti di rifugiati e di altri migranti forzati dovremmo cercare anche di eliminare le cause strutturali
della povertà e della fame, raggiungere risultati più sostanziali nel proteggere l’ambiente, assicurare un lavoro dignitoso e produttivo per tutti, fornire accesso a una formazione
di qualità e dare un’adeguata protezione alla famiglia, elemento essenziale nello sviluppo umano e sociale (cfr. Papa Francesco, Discorso ai
membri del Consiglio dei capi esecutivi
per il coordinamento delle Nazioni
Unite, Città del Vaticano, 9 maggio
2014).
Grazie, Signor Presidente.
Il cardinale Parolin
alla cerimonia
della firma
degli accordi di pace
in Colombia
La Nunziatura apostolica in Colombia
e la Conferenza episcopale colombiana
hanno diffuso questo comunicato:
Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Papa Francesco, con
altri rappresentanti di Stati ed Organismi internazionali, assisterà alla
cerimonia della firma degli accordi
dell’Avana fra il Governo della Colombia e le Farc, il prossimo 26 settembre, nella città di Cartagena de
Indias (Colombia).
Il Cardinale Segretario di Stato
ha accettato l’invito del Governo a
presiedere la liturgia che precederà
la cerimonia, per pregare per la
concordia e la riconciliazione del
popolo di questa nobile Nazione,
dalle profonde radici cattoliche e
tanto apprezzata dalla comunità internazionale, che sta cercando di
costruire una società di pace. Nel
massimo rispetto dell’autonomia
delle istituzioni, il Cardinale Parolin chiederà a Dio di illuminare il
popolo colombiano affinché, operando in coscienza e nella massima
libertà, con responsabilità e ben documentato, partecipi alle decisioni
che interessano il bene comune del
Paese, tanto caro al Papa Francesco.
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Agenti di polizia a Linden, nel New Jersey,
dove è stato arrestato
il terrorista afghano ricercato (Afp)
Obama incontra il premier cinese
Test missilistico
di Pyongyang
WASHINGTON, 20. A quindici anni
dall’attacco alle Torri gemelle e
dall’inizio della guerra in Afghanistan, per i newyorchesi la paura arriva ancora una volta dal paese asiatico, dove aveva trovato il proprio covo Osama bin Laden. È Ahmad
Khan Rahami, 28 anni, l’uomo sospettato di aver gettato nel panico la
Grande Mela facendo esplodere due
giorni fa una bomba a Manhattan e
causando il ferimento di 29 persone.
In base alle ricostruzioni della
stampa, Khan Rahami avrebbe anche lasciato un sacco con cinque tubi-bomba nella stazione di Elizabeth, nel New Jersey.
L’uomo è adesso in carcere. Era
«armato e pericoloso» ha fatto sapere la polizia, diffondendo una sua
foto e un numero di telefono al quale potesse rivolgersi chi lo avesse visto. Avvisati dal proprietario di un
bar, gli agenti lo hanno intercettato
a Linden mentre dormiva nell’ingresso di un caseggiato.
«Uno dei nostri agenti — ha detto
il sindaco di Linde, Derek Armstead
— si è avvicinato a lui e lo ha svegliato. Appena compreso che si trattava del sospettato ricercato, quest’ultimo ha sparato contro di lui.
Arrestato il sospetto ricercato per le bombe a Manhattan e nel New Jersey
Ancora tensione a New York
Grazie a Dio, l’agente aveva il giubbotto antiproiettile, che gli ha salvato la vita».
Prima dell'arresto di Khan Rahami, la paura si era legittimamente
diffusa tra gli americani. «Non sarei
sorpreso ce ci fosse un legame straniero» con le bombe, ha detto il governatore di New York Andrew Cuomo. «Non cederemo alla paura», ha
l'apertura dell’Assemblea generale
dell’O nu.
«Abbiamo tutte le ragioni per credere che si sia trattato di un atto di
terrorismo», ha spiegato il sindaco
della città, Bill De Blasio, che in un
primo momento aveva invece escluso
che l’attacco fosse legato a cellule
terroristiche.
sottolineato con forza il presidente
statunitense, Barack Obama, che ha
escluso un collegamento tra l’attacco
nel Minnesota, dove nove persone
erano state accoltellate in un centro
commerciale, e quelli della East
Coast. È certo, però, che il terrore
ha scelto di riaffacciarsi a New York,
e proprio nelle ore che precedevano
PYONGYANG, 20. Nuova provocazione della Corea del Nord nei
confronti della comunità internazionale. Incurante della condanna
e della minaccia di nuove sanzioni
— in questi giorni all’esame del
Consiglio di sicurezza dell’Onu —
per i test missilistici e nucleari condotti negli ultimi mesi, il regime
comunista di Pyongyang ha annunciato oggi di aver espletato,
con successo, un nuovo test missilistico sotterraneo provando un nuovo potente motore per vettori per il
lancio di satelliti. Lo ha riferito
l’agenzia di stampa ufficiale Kcna,
secondo cui il leader nordcoreano,
Kim Jong Un, era presente al test
avvenuto al sito di Sohae, dove ha
chiesto a scienziati e ingegneri
nordcoreani di prepararsi al più
presto al lancio di un satellite.
Secondo quanto riferito, il motore testato darà al Paese «la capacità
sufficiente per condurre il lancio di
vari tipi di satellite, tra cui quelli di
osservazione della terra». Alcuni
esperti ritengono che il regime comunista di Pyongyang potrebbe effettuare il lancio di un satellite il
prossimo 10 ottobre anniversario
Due tecnici italiani rapiti nella città di Ghat
Decine di morti
Miliziani dell’Is
circondati in Libia
Sanguinose violenze
a Kinshasa
TRIPOLI, 20. I miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) sono circondati in un’area di appena 400 metri
quadrati nel centro di Sirte, ultima
loro roccaforte in Libia. Lo ha detto
Mohamed Al Ghasri, ufficiale delle
forze di Misurata. alleate del Governo di accordo nazionale di Tripoli,
del premier designato Fayez Al Sarraj, impegnate nell’operazione militare per liberare la città libica.
«I nostri progressi a Sirte continuano. Ci stiamo dirigendo verso il
distretto costiero di Jizah per eliminare gli ultimi terroristi, dopo sarà il
turno del distretto 600. I militanti
dell’Is sono confinati in un’area inferiore a un chilometro quadrato: la
loro ultima ora sta per scoccare», ha
detto Al Gharsi. Il portavoce
dell’operazione militare ha sottoli-
Giordania
al voto
per le politiche
AMMAN, 20. Urne aperte oggi in
Giordania — tra eccezionali misure di sicurezza — per le elezioni
parlamentari, che vedono dopo
nove anni di assenza il ritorno
sulla scena politica dei Fratelli
musulmani. Per la prima volta dal
1993, oltre 4 milioni di cittadini
sono chiamati al voto con il sistema proporzionale, secondo il quale tutti i candidati devono correre
in lista e non individualmente.
Il vecchio sistema elettorale —
ricordano gli analisti — aveva causato il boicottaggio del Fronte di
azione islamica (Fai), braccio politico dei Fratelli musulmani, nel
2010 e nel 2013. Il Fai presenta 70
candidati nella coalizione dominata da Alleanza nazionale per la
riforma, che comprende 120 aspiranti alla elezione, compresi, affiliati alle tribù. In totale, i giordani sono chiamati a scegliere tra
1257 candidati, tra cui 257 donne,
in lizza per i 130 seggi del parlamento di Amman.
Si teme una bassa affluenza alle urne, non solo per la sfiducia
della popolazione a causa della
crisi economica, ma anche per gli
effetti della nuova legge elettorale. Vigilano sul voto anche 110 osservatori dell’Unione europea. Le
preoccupazioni maggiori sono per
possibili azioni del cosiddetto
Stato islamico, che potrebbe usare il voto per compiere attacchi.
neato che le operazioni sono condotte solo dalle forze libiche con il sostegno dell’aviazione statunitense,
che ha già condotto 155 raid aerei.
Nel frattempo, un «piccolo gruppo fuorilegge» e non i terroristi di
Al Qaeda si celerebbe dietro il rapimento, non ancora rivendicato, di
due italiani e un canadese, sequestrati ieri nella città di Ghat, nella
Libia sudoccidentale, al confine con
l’Algeria. È quanto ha dichiarato al
portale di notizie libico Al Wasat il
capo dell’ufficio stampa del consiglio municipale di Ghat.
I due tecnici italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, che lavoravano all’aeroporto di Ghat come dipendenti della Con.I.Cos di Mondovì, e l’ingegnere canadese sono stati
rapiti ieri da ignoti mentre si trovavano sulla via che collega la zona di
Tahala e Ghat. Il portavoce ha aggiunto che il sindaco di Ghat, Komani Saleh, ha convocato una riunione d’emergenza con tutti gli apparati di sicurezza e militari locali
per studiare il caso, che è il primo
del genere che coinvolge cittadini
stranieri nella regione di Ghat.
«Il consiglio municipale sta portando avanti i suoi sforzi per ritrovare i lavoratori spariti e farli tornare
incolumi», ha detto ancora il portavoce condannando «con forza»
quanto accaduto.
KINSHASA, 20. Riesplode la violenza nella Repubblica Democratica
del Congo dove almeno 17 persone
— oltre 50 secondo fonti dell’opposizione — per lo più civili, sono
morte ieri durante scontri nella capitale Kinshasa, avvenuti prima di
una manifestazione dell’opposizione, che chiedeva le dimissioni del
presidente Joseph Kabila. Lo rende
noto il ministro dell’Interno congolese, Evariste Boshab. Le autorità
hanno successivamente deciso di
annullare la manifestazione.
Governo e opposizione si sono
rinfacciati la responsabilità delle
violenze, come nel gennaio del
2015, quando si registrarono decine
di vittime dopo giorni di proteste
di piazza da parte dell’opposizione
contro una proposta di riforma
elettorale che avrebbe permesso al
presidente Kabila di rimanere in
carica oltre la scadenza del suo
mandato presidenziale.
In particolare, la coalizione
dell’opposizione ha denunciato la
morte di oltre 50 manifestanti vittime «di colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia e dalla guardia repubblicana» e ha sottolineato una
«deriva totalitaria del regime» rivolgendo un appello «a tutta la
popolazione a scendere in piazza
oggi per continuare la protesta».
E, intanto, la sede dell’Unione
per la democrazia e il progresso so-
Otto agenti
afghani
uccisi per errore
in un raid
Disordini nelle strade di Kinshasa (Ap)
ciale (Udps), primo partito d’opposizione all’Assemblea nazionale
congolese, è stata data oggi alle
fiamme nella capitale. Il fuoco bruciava all’interno dei locali mentre
un cordone di polizia filtrava i sostenitori accorsi intorno all’edificio
situato nel centro-ovest di Kinshasa. Un giornalista dell’agenzia
France presse ha visto due corpi
carbonizzati, altre due persone bru-
ciate vive e un uomo gravemente
ferito alla testa disteso sulla strada.
All’interno dell’edificio, bidoni
di liquido infiammabile testimoniavano il carattere criminale dell’incendio. La situazione resta confusa.
Sul posto è presente il capo
dell’ufficio congiunto delle Nazioni
Unite per i diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo,
José Maria Aranaz.
In Cisgiordania e a Gerusalemme est
Nuovi attacchi palestinesi
Palestinesi fermati a un posto di blocco vicino Hebron (Epa)
della fondazione del Partito dei lavoratori della Corea del Nord.
Nel frattempo, il direttore
dell’Agenzia internazionale per
l’energia atomica (Aiea), Yukiya
Amano, ha sottolineato che il recente test nucleare della Corea del
Nord costituisce una «chiara violazione» delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu. Il diplomatico giapponese, aprendo ieri a
Vienna il board dell’Aiea ha rivolto
un appello al regime di Pyongyang
perché consenta il ritorno degli
ispettori dell’agenzia dell’Onu, che
mancano dal 2009. «Tali test e i
lanci di missili — ha aggiunto Amano — costituiscono una seria minaccia per l’Asia nord-orientale e
non solo».
E, intanto, Cina e Stati Uniti aumenteranno la cooperazione nel
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e attraverso altri canali
sulla Corea del Nord. Lo ha comunicato la Casa Bianca, dopo un incontro a margine dell’Assemblea
generale dell’Onu a New York, tra
il primo ministro cinese, Li Keqiang, e il presidente degli Stati
Uniti, Barack Obama.
«Entrambi i leader hanno condannato il test nucleare nordcoreano del 9 settembre scorso e hanno
deciso di rafforzare la coordinazione per la denuclearizzazione della
penisola coreana, incluso il rafforzamento della cooperazione nel
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nei canali di applicazione della legge», spiega un comunicato emesso dalla Casa Bianca.
La Cina ha espresso «forte opposizione» al test nucleare del regime comunista di Pyongyang, il
quinto in assoluto — secondo gli
esperti la potenza sprigionata è stata pari «a 10 kilotoni, quella di Hiroshima a 15» — ma si dice contraria a sanzioni unilaterali nei confronti della Corea del Nord.
TEL AVIV, 20. Sette attacchi palestinesi in quattro giorni. Israele fronteggia una nuova ondata di violenza
a Gerusalemme e in Cisgiordania e
teme una escalation per le prossime
festività ebraiche di inizio ottobre.
Per la prima volta da molti mesi le
autorità di sicurezza hanno segnalato
una ripresa degli assalti, tanto che il
premier Benjamin Netanyahu ha incontrato ieri sera i vertici dell’esercito
e dei servizi per affrontare la situazione. «La soglia del rischio si è elevata» ha spiegato il leader del Likud.
Gli ultimi due attacchi sono avvenuti
ieri. Il primo ha avuto luogo a Gerusalemme, nei pressi della Porta di
Damasco. Due agenti di pattuglia
sono stati accoltellati da un palestinese, poi ferito dalla reazione delle
forze di sicurezza e portato in ospedale. Uno dei due agenti, una donna
di 38 anni, è stata ricoverata in gravi
condizioni per serie ferite al collo ed
è in coma.
Il secondo attentato si è svolto a
Hebron, in Cisgiordania, nei pressi
della Tomba dei patriarchi. Due palestinesi — secondo la polizia — hanno tentato di accoltellare alcuni soldati e sono stati colpiti dal fuoco di
reazione. Uno dei due attentatori è
morto sul colpo, l’altro è deceduto in
ospedale per le ferite: il ministero
della sanità palestinese — citato
dall’agenzia Maan — li ha identificati
in Muhammad Jameel Al Rajby (21
anni) e Ameer Jamal Al Rajby (17
anni) entrambi residenti a Hebron.
Le autorità israeliane hanno quindi
deciso di inviare un altro battaglione
di fanteria di rinforzo nella zona di
Hebron, considerata per ora la più
calda. È stato poi disposto anche un
rafforzamento della sicurezza attorno
alla Spianata delle moschee.
KABUL, 20. Otto agenti della polizia nazionale afghana (Anp) sono
morti la notte scorsa in due successivi raid realizzati dall’aviazione
statunitense contro il loro checkpoint a Tirinkot, capoluogo della
provincia centrale di Uruzgan. Lo
scrive oggi l’agenzia Pajhwok.
Il comandante della locale polizia, Haji Rahimullah, ha precisato
che il check-point colpito è quello
che si trova nell’area di Saki lungo
la statale fra le province di Uruzgan e Kandahar. «Un poliziotto è
morto nel corso di un primo raid —
ha spiegato l’alto ufficiale condannando l’attacco sbagliato — mentre
altri sette hanno perso la vita in un
secondo intervento aereo». I talebani avevano issato bandiera bianca in aree vicine a quella colpita,
ha concluso, e le loro posizioni
non sono state bombardate.
A Kabul il portavoce dell’esercito statunitense, generale Charles
Cleveland, ha sostenuto che l’operazione aerea è stata decisa dopo
che un gruppo di insorti ha attaccato le forze di sicurezza afghane a
Tirinkot. «Non sappiamo chi erano
quelli che sparavano contro le forze
afghane né chi siano le vittime —
ha sottolineato il generale Cleveland — ma le forze afghane e statunitensi si riservano il diritto di risposte per autodifesa».
Sull’incidente,
scrive
ancora
l’agenzia di stampa Pajhwok, sono
intervenuti anche i talebani secondo cui «un numero imprecisato di
agenti di polizia sono stati uccisi in
raid statunitensi a Tirinkot». Le
autorità di Kabul hanno reso noto
che verrà aperta un’inchiesta sull’incidente. Nel settembre dell’anno
scorso, 11 poliziotti afghani specializzati nella lotta antidroga furono
uccisi per errore in un altro raid
statunitense.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 21 settembre 2016
Angelo Sarti, cere policrome raffiguranti
Benedetto XIII (XVIII secolo)
Il secondo volume del «Corpus Coelestinianum»
Alla ricerca di un luogo
isolato e disagiato
deltà si riscontra nei resoconti dei
miracoli: annotarono, infatti, in modo scrupoloso se i testimoni erano
stati spettatori diretti dei fatti narraa poco è in libreria il
ti oppure se li avessero appresi per
secondo volume del
sentito dire, fino a precisare — all’inCorpus Coelestinianum,
terno di una stessa guarigione —
con gli atti del procesquali azioni avessero visto con i loro
so informativo in partiocchi e quali, invece, gli fossero stabus svoltosi nel 1306-1307 e tramante solo riferite. Chiarirono pure che
dati da un codice unico conservato
Pietro Grasso, napoletano, notaio
a Sulmona (Il processo di canonizzadel re di Sicilia, depose a modo
zione di Celestino V 2, a cura di A.
suo, vale a dire «non seguendo l’orMarini, Corpus Coelestinianum 1/2,
dine degli articoli».
Firenze, Sismel - Edizioni del GalDelle testimonianze superstiti, 82
luzzo, 2016, pagine 359). Gli studiosi devono a uomini e 35 a donne.
Pochi testimoni, in ragione dell’età,
si perciò — dopo che nel primo vofurono in grado di dire
qualcosa di preciso sui
primi passi dell’esperienza monastico-eremitica di frate Pietro e sul
suo
stile
di
vita
nell’eremo.
Risulta
nondimeno preziosa la
testimonianza di Rainaldo di Gentile, il
quale asserì di averlo
incontrato, pressappoco
sessantacinque
anni
prima, fuori di Sulmona, quando aveva circa
quindici anni d’età e
Pietro circa ventiquattro (ma i conti non tornano, perché nel 1241
di anni Pietro avrebbe
dovuti averne trentadue, anche se Rainaldo
dichiarò che tale gli
sembrava essere allora
l’età di frate Pietro: (ut
sibi videbatur), vestito
dell’abito monastico in
cerca
dell’ubicazione
dell’eremo nel quale
aveva fatto penitenza
frate Flaviano di FossaAffresco raffigurante il «santo eremita» (XIV secolo)
nova; Rainaldo, allora,
gli mostrò la grotta dove quell’eremita aveva
lume (cfr. «L’Osservatore Romano» rone (art. 1), sulla sua attività mona- dimorato. Si tratta di un racconto asdel 7 novembre 2015) era stato pub- stica, vale a dire sull’opera di fonda- sai vivo, di cui il notaio stende un
blicato il preziosissimo Compendium tore e organizzatore di monasteri resoconto fedele; come dubitare, indella Inquisitio in partibus, che con- (art. 2), sui suoi miracoli in vita e fatti, delle parole che il testimone disente in qualche modo di integrare post mortem (art. 3), infine sulla sua chiarò di aver rivolto a Pietro, il quale lacune del codice sulmonese — fama pubblica (art. 4). La linea scel- le si era assentato dalla grotta alla ripossono ora avere facile accesso alle ta da Clemente V appariva così chia- cerca di un luogo più isolato e disafonti relative al processo imbastito ra sin dall’inizio: poiché la figura di giato: «Aspetta che cada la neve e
per accertare la santità di Pietro del «frate Pietro» chiamava inevitabil- allora vedrai se questo luogo è
Morrone, il quale per il breve tem- mente in causa la persona di Boni- aspro»!
Mutila risulta invece la preziosispo di pochi mesi aveva detenuto il facio VIII, la sua canonizzazione in
potere delle chiavi affidate da Cristo quanto Papa avrebbe gettato una sima testimonianza di frate Bartoloa Pietro e ai suoi successori con il pesante ipoteca sul pontificato del meo da Trasacco, che dal 1266 circa
nome di Celestino V.
era entrato nell’O rdine
Il codice di Sulmona, acefalo e
monastico fondato da
mutilo (risultano deperditi 32 fogli,
frate Pietro ed era staLa griglia delle domande
più quelli finali la cui entità è imto suo compagno in
possibile precisare), riporta le depodiversi luoghi. Forturivolte ai testimoni
sizioni rese da 117 testimoni su un
natamente, il suo testo
V
rivela
l’intento
di
Clemente
totale di 324 nel corso dell’inchiesta,
si conserva nel Comaffidata da Clemente V all’agostiniapendium e il confronto
di concentrare l’iter di canonizzazione
no Giacomo da Viterbo, arcivescovo
mostra come, nelle
sulla
figura
del
monaco
di Napoli, e a Federico Raimundi
parti comuni, quest’ulde Lecio, vescovo di Valva e Sulmotimo segua fedelmente
E non su quella del Papa
na. I giudici iniziarono le loro audiil codice di Sulmona. I
zioni a Napoli, il 13 maggio 1306,
miracoli,
oggetto
per proseguire poi l’indagine a Cadell’articolo terzo, copua (25 maggio), a Castel di Sangro suo successore. Bertrand de Got stituiscono la spina dorsale dei rac(27 maggio), a Sulmona (29 maggio venne quindi incontro, per un verso, conti: non poteva d’altronde essere
- 3 giugno), a Santo Spirito di Valva alle richieste del re di Francia Filip- altrimenti, visto che la santità rivela(4 giugno), ancora a Sulmona (6 po IV, accogliendone — dopo un re- va il suo coronamento nella virtus
giugno) e portarsi infine a Ferentino golare processo — l’istanza di cano- signorum.
in una data impossibile da preci- nizzazione, per l’altro resistette inveMolto ancora si potrebbe dire sul
sare.
ce alle sue pressioni, ascrivendo nel nuovo volume del Corpus CoelestiA dispetto della sicurezza con la
catalogo dei santi Pietro del Morro- nianum. Queste schematiche note
quale il quarantenne Niccolò Vertibastino per ora a darci un’idea della
cello, canonico della Chiesa di Na- ne, non Celestino V.
I notai assolsero al loro compito sua ricchezza e delle inedite piste di
poli e professore di diritto civile, affermava che la fama pubblica di fra- con notevole precisione: nel riferire ricerca che — mettendo a disposiziote Pietro corresse nelle provincie di l’età dei testimoni tennero conto in ne di molti una fonte finora non faAbruzzo, Campagna, Terra di maniera accurata delle diverse sfu- cilmente raggiungibile in un testo
Lavoro e nelle altre provincie del mature percepibili dalle loro asser- notevolmente migliorato, con l’ausiRegno di Sicilia, nonostante vari te- zioni, per cui affiancarono spesso lio di indici e note critiche — esso
stimoni attestassero la grande noto- un «circa» al numero degli anni da consentirà di aprire. Un grazie sinrietà di cui egli godeva nell’area di essi indicato o vi aggiunsero un «e cero, perciò, va ad Alfonso Marini,
Capua, e malgrado il costruttore più» oppure un «e oltre», rivelando che tra gli studiosi di cose celesti(fabricator) di Sulmona Nicolò di in tal modo un’adesione fedele niane è indubbiamente uno dei più
Berardo asserisse di aver visto che il all’oralità di ciascuno. La stessa fe- costanti e competenti.
di FELICE ACCRO CCA
D
re di Sicilia e suo figlio, il re d’Ungheria, insieme a molti altri nobili si
erano recati a visitarlo, di fatto la
fama sanctitatis dell’eremita prima
della sua elezione papale sembra restringersi a un’area piuttosto limitata, cioè alle località dell’Abruzzo
che facevano corona al massiccio
della Maiella.
La griglia delle domande rivolte
ai testimoni rivela l’intento, perseguito da Clemente V, di concentrare
il processo di canonizzazione su
Pietro del Morrone monaco, non su
Papa Celestino V e sulla sua abdicazione: si chiese loro, infatti, di riferire sulla vita di frate Pietro del Mor-
Montagano in Molise tra san Pietro Celestino e Benedetto
XIII
I due Papi
dell’antica Fagifulae
di CLAUDIO MATARESE
una storia di singolare bellezza quella
racchiusa nelle ultime
pagine della Descrizione dello stato antico
ed attuale del contado di Molise
con un saggio storico sulla costituzione del regno stampata a Napoli
nel 1781. L’autore, Giuseppe
Maria Galanti, economista e
riformatore napoletano illuminista decisamente laico, allievo
dell’abate Antonio Genovesi,
trascorse le estati del 1779-1780
viaggiando per il Molise per la
preparazione di quest’opera.
L’ultimo paragrafo è dedicato
alla religione.
«Io non scrivo questo articolo
— precisa Galanti — che per render giustizia alla memoria di un
uomo grande e che per la bizzarria delle cose umane è sconosciuto. Montagano è una bella
terra sei miglia lontana da Campobasso. Quando io vi giunsi
trovai il paese tutto coperto di
alberi e di frutti, e di un genere
il più squisito. Io ne restai sorpreso e fui istruito che di beneficio così singolare per questo
paese, è stato opera (di) un suo
arciprete chiamato Damiano Petrone». In nota Galanti specifica: nacque in Montagano il dì 5
luglio 1659, «vi fu arciprete a 25
settembre 1690 e vi è morto a 17
agosto 1710».
Egli «non dava altra penitenza a peccatori che di piantare
un numero determinato di certi
arbori ne fondi loro proprii, e
quando non ne aveano, negli altrui, e le piantagioni erano in
proporzione del numero e qualità dei peccati. Si era obbligato
talvolta a portarsi in regioni lontane a farne l’acquisto. Quando
i peccatori si scusavano di essere
poveri e di non avere strumenti
né modo il nostro parroco era
colui che di suo denaro gli uni e
È
L’attuale abbazia benedettina di Faifoli
l’altro somministrava (…) Io fui dio di legno con porte avanti,
curioso di sapere, se il nostro dove sta dipinta santa Lucia e
Petrone era stato uomo di dot- santa Caterina e nel muro vi sotrina. Egli (...) felicemente non no dipinti crocifisso, san Gioconsultava che il suo buon sen- vanni battista e Pietro Celestino.
E detta statua sta posta sopra
so naturale».
Nel 1785 sempre a Napoli in un gradino di legno dipinto che
una Raccolta di varj aneddoti fi- serve per li candelieri. Lo stipite
losofici e morali, di diversi celebri dello altare è di fabbrica e tiene
autori troviamo un saggio di cin- il suo altaretto portatile di marquanta pagine intitolato Il par- mo. Si ascende a questo altare
roco di Montagano, o la prosperità per due gradini di pietra, oltre a
promossa dalla Religione. Prova due altri gradini che stanno in
che la figura di don Damiano mezzo della chiesa, e sopra detaveva colpito l’immaginazione to altare vi è il capocielo di ledell’ambiente culturale napoleta- gno dipinto. Non tiene peso di
messe e si mantiene dall’abbate
no contemporaneo del Galanti.
Napoli del resto era la capita- pro tempore».
le del regno; anni più tardi, nelSono note le iniziative del
lo stesso milieu culturale, colpirà cardinale Orsini tese a stimolare
l’immaginazione di Benedetto lo sviluppo dell’economia agraria, con l’istituzione di un monCroce.
Nella patria di Damiano Pe- te frumentario che ebbe succestrone il genius loci doveva essere so nella diocesi di Benevento.
molto ben disposto: non lonta- Fu uno dei primi esperimenti di
no da Montagano, sulla strada a credito agrario nel Mezzogiorno
tornanti che scende alla valle del d’Italia. Il nostro arciprete si
Biferno, sorgeva l’abbazia bene- trovò dunque tra due Papi, a didettina di Santa
Maria di Faifoli,
eretta nei pressi
Vincenzo Maria Orsini
dell’antico
centro
sannitico poi munisale al soglio di Pietro nel 1723
cipio romano di FaMa anche da Pontefice conserva
gifulae (da faggio,
citato da Tito Livio
l’arcivescovado di Benevento
e Plinio il Vecchio);
e lo visita più volte
è l’abbazia dove
san Pietro Celestino entrò in giovane
età nel 1230 circa, studiò, prese stanza di quattro secoli, tutti e
l’abito di san Benedetto e di cui due amanti della natura. San
più tardi, negli anni 1276-1279, Pietro Celestino, un Pontefice
fu abate. Pietro era nato proba- che era stato eremita e aveva
bilmente a Sant’Angelo Limosa- amato la natura fino a immerno, dall’altra parte del Biferno. gersi in essa, a cui era stato dato
Il monastero di Faifoli fu ab- il dono di sentire dentro la vita
bandonato alla fine del secolo che sboccia il mistero perenne
tredicesimo, ma quelle antiche della creazione, e Papa Orsini,
pietre che Celestino aveva ama- anch’egli attento al lavoro della
to, che erano state testimoni terra.
dell’origine della spiritualità ceA Faifoli poi vi furono terrelestiniana, continuarono a custo- moti, nuovi restauri e rivoluziodirla e irradiarla, continuarono a ni. Ma il genius loci dev’essere
pregare.
ancora ben disposto. Oggi la
La chiesa continuò a esistere, chiesa abbaziale di Santa Maria
fino a che, proprio negli anni di di Faifoli non conserva più la
don Damiano Petrone, fu re- statua antica, la Madonna col
staurata dal cardinale Vincenzo bambino che regge il globo simMaria Orsini, arcivescovo di Be- bolo dell’universo, ma una stanevento e futuro Papa Benedet- tua
della
Madonna
detta
to XIII. Il 5 luglio 1705 Orsini ri- dell’Incoronata, la Madonna
consacrò la chiesa abbadiale e il della transumanza, e una scultusuo altare maggiore, e la definì
ra lignea che rappresenta la Ver«la più insigne delle 12 insigni
gine assisa non su un classico
badie mitrate della sua arcidiotrono ma su un tronco, tra i racesi». E dedicò il restauro alla
mi di un albero.
memoria di Celestino, come riNel 1705 l’abate commendatacorda una lapide posta all’interno della chiesa. Nel restauro di rio Finy commissionò la pala
questo luogo alle origini della che attualmente è posta sull’alspiritualità celestiniana il nostro tare maggiore: la Madonna col
arciprete dovette avere un ruolo bambino, san Pietro Celestino,
primario: nell’inventario della san Benedetto, san Domenico,
chiesa abbadiale del 1701 don al cui ordine apparteneva il carDamiano Petrone era procurato- dinale Orsini, e san Filippo Nere dell’allora abate commendata- ri, suo patrono. Alla morte di
Finy il monastero fu affidato
rio Francesco Antonio Finy.
Nel testo, stilato nella prima- all’ordine dei Celestini, che lo
vera 1701, si legge la sua descri- tenne fino a che non fu soppreszione del complesso abbaziale: so nel regno di Napoli all’inizio
dalle lapidi dell’antica Fagifulae dell’Ottocento. Orsini diviene
nel pavimento della chiesa, Papa nel 1723, e anche da Ponteall’inventario dell’unico altare. fice conserva l’arcivescovado di
«A capo della chiesa dirimpetto Benevento, all’epoca parte intealla porta vedesi eretto un altare grante dello Stato della Chiesa.
sotto il titolo di santa Maria Ed è proprio da Benevento che
consistente in una statua di rilie- è proposta ora la causa di beativo a tutto busto miracolosissi- ficazione. Come dicevamo, un
ma, col suo bambino, che tiene arciprete tra due Papi, uno già
una palla in mano e sta colloca- dichiarato santo e l’altro sulla
ta dentro una cascia o sia arma- strada per diventarlo.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 21 settembre 2016
pagina 5
L’evangelista Marco (VI secolo)
Si tratta di quindici miniature a colori
ispirate alla «passio Christi»
Rappresentano trascrizioni figurate
del Nuovo Testamento
di FABRIZIO BISCONTI
ai primi giorni di luglio, come abbiamo
avuto modo di annunciare (sull’O sservatore
Romano del 3 luglio
2016), è possibile ammirare, nel museo diocesano di Rossano Calabro
(Cosenza) il celebre Codice purpureo, ora recuperato da un accurato
restauro eseguito presso l’Istituto
centrale del restauro di Roma, che
ha permesso di confermare la manifattura bizantina, forse antiochena,
la cronologia, da fissare agli anni
centrali del VI secolo, le dinamiche
relative all’arrivo del prezioso documento nella cittadina calabra al seguito di un gruppo di monaci grecoorientali o di un alto gerarca bizantino.
Le 188 pagine colorate in porpora,
attraverso un prodotto vegetale, conservano, oltre a una porzione dei
vangeli scritti in onciale aurea e argentea, alcune articolate miniature,
che esprimono una raffinata narrazione figurativa ispirata a quell’ellenismo perenne individuato dal grande storico dell’arte Ernst Kitzinger
che, per primo, comprese come il repertorio iconografico di invenzione e
fortuna ellenistica prosegue, con apparizioni intermittenti, secondo il
percorso di un fiume carsico, attraverso tutti i secoli della tarda antichità, per sfociare nel grande estuario bizantino.
Se procediamo alla lettura testuale
delle immagini dipinte, sfogliando il
prezioso manoscritto bizantino, pari
per celebrità alla Genesi di Vienna e
al Vangelo sinopense di Parigi,
emergono vere e proprie trascrizioni
figurate del Nuovo Testamento. Si
tratta di 15 miniature ispirate, per lo
più, alla passio Christi, ma il vero capolavoro è rappresentato dal ritratto
di Marco, che dobbiamo riferire —
grazie ai recenti restauri — al momento bizantino e non al medioevo,
come è stato ipotizzato nel passato
prossimo.
L’evangelista è seduto come un
ispirato filosofo su un solenne trono
a intreccio vimineo e si china a scri-
D
Sul restauro del Codice purpureo conservato a Rossano Calabro
Marco
e la musa ispiratrice
vere il suo vangelo su un lungo rotolo svolto, assistito da una severa matrona dal manto azzurro, secondo le
sembianze di una musa ispiratrice,
forse la Sophia (la Sapienza).
Patrimonio
Unesco
D all’ottobre del 2015 il codice
è stato riconosciuto come
patrimonio dell’umanità ed è
stato inserito dall’Unesco tra i
nuovi documenti del Registro
della memoria mondiale
grazie alla tenacia di
monsignor Santo Marcianò,
dal 2006 al 2013 arcivescovo di
Rossano-Cariati. Il Registro
contiene oltre trecento
documenti, su supporti di
ogni tipo, dalla pergamena
alla celluloide.
La scena è incastonata in un singolare e sintetico organismo architettonico sostenuto da due esili colonne scure provviste di capitelli corin-
N
rispettivamente secondo Marco 23- il fine dell’enfatica ostentazione di
26 e Giovanni 13, 8, ma il codice ac- un alto gerarca bizantino, non si
coglie anche un trionfale ingresso di esclude che esso sia stato, poi, donaGesù a Gerusalemme, la parabola to a una comunità monastica, secondelle vergini stolte e delle vergini do un gesto gratificante ed espiatosagge, la comunione con il pane e rio, con un auspicio salvifico ed
con il vino, Gesù nell’orto del Get- evergetico.
semani, la guarigione del cieco nato, la parabola del
buon samaritano, il
confronto di Gesù
con Barabba.
Il
frontespizio
accoglie una completa miniatura che
propone una sorta
di corona in cui sono incastonati i
busti-ritratto
dei
quattro evangelisti
nimbati, con i codici dei loro testi e
con la mano levata
nel gesto della parola.
Il manoscritto,
che, secondo alcuni studiosi, doveva
essere utile per la
liturgia bizantina,
mostra tutti i preziosi caratteri di un
oggetto
di
apparato, che vuole
assurgere a status
symbol del committente.
Se, comunque, il
ricchissimo evangeliario può essere
Ingresso di Cristo a Gerusalemme (VI secolo)
stato ordinato con
Seminario del Centro italiano opere femminili salesiane
di SILVIA GUIDI
on più Cenerentola relegata in un angolo, in perenne attesa di un principe-mecenate che spesso
tarda ad arrivare, ma una
figlia di pari grado, amata e valorizzata
come tutti gli altri componenti della
famiglia. Fuor di metafora, la formazione professionale può e deve cambiare, diventando una realtà educativa di
pari dignità, riconosciuta come risorsa
preziosa e irrinunciabile per costruire
la società di domani.
Di questo si è parlato dal 7 al 9 settembre scorso a Firenze, durante la
zi, sui quali si posa un leggero architrave sormontato dai due apici di altrettanti cibori speculari, ai lati di
una larga, variopinta e preziosa nicchia conchigliata. È sintomatico che
la singolare struttura echeggi quel
fastigium argenteum e quelle camerae
fulgentes, che il Liber Pontificalis romano riferisce alle fabbriche costantiniane del Laterano e del Vaticano,
guardando fatti e monumenti proprio dall’osservatorio cronologico del
VI secolo, proiettando qualche cono
d’ombra sulla collocazione cronologica di alcune imprese pontificie, disinvoltamente attribuite a Papa Silvestro.
Ma torniamo alle vignette del codice rossanense, per fermarci al “fregio continuo” che rappresenta il colloquio del Cristo con i sacerdoti del
tempio, come viene riferito dal secondo capitolo di Giovanni. Il tempio è rappresentato schematicamente
sulla sinistra, per mezzo di un colonnato entro cui si collocano i protagonisti della cacciata dei mercanti
dal cortile.
Più suggestiva appare la miniatura, che raffigura il Cristo che assurge
a protagonista di una tragica e articolata resurrezione di Lazzaro. Gesù,
in tunica purpurea, pallio aureo e
nimbo dorato alza la mano destra
nel gesto della parola per ordinare
all’amico defunto: «Lazzaro, alzati e
cammina».
Il Cristo è accompagnato dal serrato manipolo dei discepoli, mentre
le sorelle Marta e Maria si inginocchiano per chiedere la grazia. Altri
giovani pregano il Maestro, affinché
compia il miracolo, mentre, all’estrema destra, da un sepolcro rupestre, e
non da un mausoleo, come riscontriamo nell’iconografia occidentale,
esce Lazzaro, ancora fasciato e accompagnato da un giovane, che si
copre il naso con la veste per non
avvertire il cattivo odore della decomposizione. La scena si propone
come un cortometraggio e unisce, in
una sola soluzione figurativa, i due
momenti della narrazione evangelica,
relativi rispettivamente all’accorata
richiesta del miracolo e alla realizzazione del prodigio, secondo una dinamica figurativa tipica, appunto,
del “fregio continuo”.
Ispirata al cerimoniale imperiale
risulta la pagina istoriata con il processo di Cristo davanti a Pilato. Nella porzione superiore si distende la
dettagliata narrazione dell’esordio
del processo, con Pilato seduto in
trono, al centro della rappresentazione, tra due cortigiani che sorreggono
altrettanti ritratti. Da sinistra sopraggiunge il Cristo, che incede verso
Caifa e Anna, mentre, a destra, un
impassibile gruppo di uomini astanti
completano il registro. In basso, si
sviluppa il crescendo narrativo, secondo cui Giuda si pente del tradimento: per questo egli restituisce i
trenta denari, rifiutati dai sacerdoti,
e poi si impicca.
Un foglio accoglie le scene dell’ultima cena e della lavanda dei piedi,
Imparare facendo
edizione del Seminario Europa,
l’iniziativa ideata dal Centro Italiano
Opere Femminili Salesiane – Formazione professionale in collaborazione
con l’associazione di categoria Forma
in cui, facendo tesoro dell’esperienza
di altri Paesi europei, esperti, educatori
e politici si sono interrogati su un tema chiave per il futuro delle giovani
generazioni.
XXVIII
Robert Doisneau, «L’informazione scolastica» (1956)
Con l’avvio in Italia, a settembre,
della sperimentazione ministeriale relativa al cosiddetto sistema duale che,
accanto al tradizionale percorso scolastico scuola superiore/università, prevede la messa a regime in tutto il paese
del sistema della formazione professionale, si è a una svolta nell’offrire ai
giovani la possibilità di imparare, fino
ai livelli più alti, lavorando.
Intitolata «La sperimentazione duale
in Italia. Un passo per un sistema
strutturato di formazione professionale
nelle politiche attive del lavoro», l’edizione 2016 del Seminario di formazione Europea ha contribuito a una corretta formazione e occupazione giovanile aprendo il dibattito ai contributi,
alle testimonianze, ai metodi, ai sistemi
e all’esperienza degli ospiti provenienti, quest’anno, da Spagna, Gran Bretagna e Polonia.
«Da qualche tempo nel nostro Paese» spiega Lauretta Valente, presidente
del Centro, «avvertiamo che l’attenzione e la considerazione nei confronti
della formazione professionale sono
cresciute: si è compreso che si tratta di
uno strumento necessario a favorire
l’occupazione giovanile con la sperimentazione di prossimo avvio, che in
due anni coinvolgerà circa sessantamila
giovani, il ministero del Lavoro ha
scelto di puntare sulla filiera che insegna un mestiere non solo in classe ma
anche attraverso il lavoro sul campo e
di incrementare i contratti di apprendistato».
Una nuova premessa per definire, in
forma organica e uniforme su tutto il
territorio nazionale, un vero e proprio
sistema formativo da offrire ai giovani
in alternativa al tradizionale iter scolastico/universitario, superando l’impostazione frammentaria, volontaristica e
incompiuta finora lasciata all’iniziativa
delle singole regioni, diverse delle quali, al presente, non hanno neppure
avviato il percorso formativo-professionale.
Il tema è rilevante soprattutto se si
considera che la formazione professionale, verso la quale si orientano sempre più ragazzi, non necessariamente
per ripiego, è efficace proprio per la
particolare forma di apprendimento
pratico di un mestiere, parte in aula e
parte all’interno delle imprese.
Partita nell’anno 2003/2004 con alcune migliaia di giovani, oggi l’istruzione e formazione professionale su
base regionale è arrivata ad accogliere,
tra triennio e quarto anno, ben 329.387
allievi (dati Isfol anno formativo 20142015). Una tendenza significativa e in
continua crescita, cui si aggiunge un
successo occupazionale a breve termine
pari al cinquanta per cento, che al
nord raggiunge anche il sessanta per
cento, e una dispersione scolastica tra
le più basse. E questo nonostante il
fatto che, come già detto, non in tutte
le regioni italiane è possibile intraprendere questo percorso di apprendimento.
Anche quest’anno, lo “spot pubblicitario” più efficace per far conoscere
questa realtà educativa è stato offerto
dalle storie degli allievi. Da Yari, felice
di aver frequentato un corso biennale
in termodinamica, che lo ha fatto appassionare di nuovo allo studio dopo
un periodo di grave crisi personale
(adesso è di nuovo iscritto al liceo e
deciso ad andare all’università), a
Giordano, 22 anni, grato di aver imparato un metodo che non lo fa sentire
sprovveduto nel mondo del lavoro. «Al
Ciofs siamo entrati tutti in un modo e
ne siamo usciti tutti in un altro. In
azienda riuscivo a fare quello che mi
Frequentare i corsi garantisce
un successo occupazionale a breve termine
pari al cinquanta per cento
Con punte del sessanta nel nord Italia
chiedevano perché l’avevo già sperimentato, mi era stato spiegato, avevo
provato, sapevo come fare». Commovente e bellissima la storia di Alessandro (nome di fantasia) un ragazzo ipovedente che ha frequentato il corso post-diploma di giardiniere d’arte in collaborazione con la reggia di Venaria in
Piemonte. «Lo abbiamo aiutato stampandogli in corpo 20 i materiali da
leggere — spiega Silvia, un’operatrice
—. Il primo stage lo ha fatto in un vivaio e la proprietaria ci ha detto che,
se non l’avesse saputo, non avrebbe
mai sospettato il suo problema visivo.
Per i datori di lavoro è come se non
avesse una disabilità, tanto è capace».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 21 settembre 2016
Conferenza dei catechisti in Indonesia
Fede
e social network
MUMBAI, 20. La famiglia in India si
trova oggi ad affrontare nuove sfide
poste dalla modernità che non sempre è sinonimo di progresso. Così, il
tessuto familiare indiano è oggi lacerato dalla secolarizzazione, che pone
l’aspetto della spiritualità ai margini
della vita quotidiana, mentre l’alcolismo sta diventando una piaga per
l’intera nazione. Proprio per questo,
la Chiesa in India «è impegnata a
rafforzare la vita della famiglia, nonostante le numerose sfide che essa
affronta».
Lo spiega padre Milton Gonsalves, segretario esecutivo della commissione per la famiglia della Conferenza episcopale dei vescovi di rito
latino (Conference of Catholic Bishops of India, Ccbi). Dal 2014 il
sacerdote effettua viaggi in tutte le
regioni del Paese e svolge corsi prematrimoniali
e
di
formazione
sull’apostolato nelle famiglie. Data
la sua esperienza, è un osservatore
particolarmente affidabile riguardo
ai problemi familiari e alle possibili
soluzioni.
Secondo padre Gonsalves, dunque, nelle famiglie esiste un «problema comune: il fatto di confinare
l’aspetto della spiritualità. Quando
una famiglia — dichiara ad AsiaNews — non sperimenta nella propria
vita il potere della grazia e della
preghiera, la vita stessa della famiglia si deteriora in modo graduale
ma costante e si trova caratterizzata
da numerosi pericoli e sfide».
Individuato il problema, il sacerdote sottolinea che la Chiesa «pone
Preoccupazione
nelle Filippine
per la crescente
ondata di violenze
MANILA, 20. Tutti gli attacchi alla vita umana, dall’aborto agli atti di terrorismo e di giustizia
sommaria, sono peccati «che gridano al cielo per la giustizia divina». Lo affermano i vescovi filippini che in un messaggio esprimono la loro preoccupazione per
l’escalation di violenze che si registra nelle Filippine. Nelle ultime dieci settimane 3500 persone
sono state uccise nel Paese, 1400
delle quali erano sospetti trafficanti di droga.
L’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, monsignor Socrates B.
Villegas, presidente della Conferenza episcopale, ha ricordato che
«la dignità umana va sempre protetta e la nobiltà di ogni persona
umana continua a brillare nonostante le cicatrici del crimine e
del peccato». Già a fine agosto,
l’arcivescovo aveva lanciato un
appello per la fine della catena di
omicidi extragiudiziali della quale
sono rimasti vittime come detto
molti presunti trafficanti di droga. I vescovi hanno chiesto alle
famiglie delle vittime di non cercare vendetta e di perseguire invece la giustizia.
Trigesimo
Nel trigesimo del ritorno a Dio Padre
Misericordioso di
S.E.R. Monsignor
GIROLAMO GRILLO
Vescovo Emerito
di Civitavecchia-Tarquinia
e Canonico Liberiano
giovedì 22 settembre alle ore 18.00,
nella Basilica Papale di Santa Maria
Maggiore, si celebrerà una santa Messa
di suffragio, presieduta dall’Em.mo
Cardinale Santos Abril y Castelló, Arciprete della Basilica Liberiana.
Roma, 20 settembre 2016
In India l’episcopato è impegnato nella lotta contro secolarizzazione e alcolismo
La famiglia
al centro della pastorale
l’accento sul fatto che i genitori debbano ispirare i bambini, attraverso
l’esempio, con i buoni valori cristiani e morali». Per il segretario esecutivo della commissione episcopale,
quindi, «ogni famiglia ha bisogno di
continuare a pregare e a rafforzare
la sua spiritualità. Anche avere una
buona relazione nella coppia è essenziale per affrontare le sfide che
emergono nel matrimonio».
Un altro problema dilagante delle
famiglie indiane, come accennato, è
l’alcolismo, che, osserva il sacerdote,
«provoca conflitto nel rapporto tra i
coniugi e di conseguenza colpisce
anche i bambini e gli altri membri
della famiglia». Nei suoi viaggi, padre Gonsalves ha notato che «in generale in India il tessuto della vita
familiare è sconvolto. Per questo la
Chiesa cattolica in India con i ve-
scovi, i sacerdoti e i religiosi sta facendo sforzi comuni per dare una
guida pastorale alle famiglie, in modo che esse possano vivere davvero
il mistero di Cristo e la fede in maniera concreta».
Il segretario esecutivo riferisce,
inoltre, che una delle priorità della
commissione per la famiglia è quella
di «creare una struttura pastorale
sull’apostolato nelle famiglie in ogni
parrocchia indiana». La commissione sta lavorando per diffondere in
maniera capillare il messaggio di
Giovanni
Paolo
II
contenuto
nell’esortazione apostolica Familiaris
consortio sui compiti della famiglia
cristiana nel mondo di oggi, e
laetitia,
l’esortazione
dell’Amoris
postsinodale di Papa Francesco. «A
questo proposito, abbiamo redatto
un manuale per i corsi prematrimo-
MAKASSAR, 20. Il tema del
rapporto tra famiglie cattoliche e nuove tecnologie deve
essere discusso in maniera urgente fra i genitori, i vescovi e
i catechisti: è una delle conclusioni emerse dalla conferenza «La fede in famiglia: le
fondamenta della società indonesiana in continuo cambiamento», organizzata a Makassar, capoluogo della provincia di Celebes Meridionale, in collaborazione con la
Commissione catechistica della Conferenza episcopale indonesiana. Padre Fransiskus
Adisusanto, direttore del Dipartimento per l’informazione, ha spiegato ad AsiaNews
che è importante trovare nuovi modi per utilizzare le scoperte tecnologiche per il bene
della società, inserendoli nella
moderna catechesi.
Proprio per favorire la comprensione del nuovo ambiente
sociale da parte della Chiesa,
i vescovi hanno deciso di affidare ad alcuni giovani sacerdoti lo studio delle moderne
tecnologie, affinché possano
aiutare nello sviluppo di una
nuova pastorale.
Qual è il rapporto tra fede
e moderne tecnologie? E come trasmettere di padre in figlio la religione in un ambiente dove i social network
hanno sempre più spazio nella vita dei ragazzi? Queste alcune delle domande alle quali
centodieci catechisti provenienti da trentasette diocesi
indonesiane hanno cercato di
dare una risposta. Molti di essi hanno messo in guardia dal
rischio che i nuovi strumenti
«possano allontanare le persone le une dalle altre, perché
ognuno è troppo occupato
con il proprio gadget e non si
cura di parlare più con il
prossimo».
niali, rivolto sia alle coppie che agli
educatori. Inoltre — ha concluso padre Gonsalves — la mia esperienza
mi suggerisce che non basta solo
preparare i coniugi prima delle nozze, ma bisogna sviluppare un programma periodico di arricchimento.
Questo consoliderà davvero il tessuto familiare in India».
La necessità di focalizzare l’attenzione sui problemi quotidiani delle
famiglie indiane ha portato la
Conference of Catholic Bishops of
India a decidere di discuterne durante il prossimo incontro biennale,
che si terrà a Bhopal, nello Stato del
Madhya Pradesh, dal 31 gennaio al 7
febbraio 2017. La Ccbi collabora
anche con altri movimenti cristiani
impegnati in ambito familiare, come
il Couples For Christ (Cfc) che
comprende circa trentamila famiglie.
Incontro su «Amoris laetitia» in Bangladesh
Primo compito della scuola cattolica in Thailandia
Con la gioia
della misericordia
Educazione
alla bellezza e alla pace
DACCA, 20. «Solo l’amore rende viva la famiglia e gioiosa la vita familiare». Sono le parole con cui il vescovo di Rajshahi, Gervas Rozario,
ha introdotto nei giorni scorsi l’incontro di pastorale familiare che la
diocesi bengalese ha promosso alla
luce di Amoris laetitia. L’esortazione
apostolica di Papa Francesco ha fatto infatti da sfondo alla “tre giorni”
di lavori, che ha visto riuniti oltre
duecento fedeli in rappresentanza
della ventina di parrocchie della
diocesi.
Ogni parrocchia — riferisce
l’agenzia AsiaNews — ha presentato
un rapporto sulla situazione dei cattolici e sui problemi riscontrati nelle
famiglie: mancanza di dialogo fra
coniugi, alcolismo, droghe. «Abbiamo compreso i problemi — ha detto
il vescovo — e i partecipanti hanno
imparato come possono affrontarli
grazie all’amore. Dio non è rimasto
soddisfatto solo nel creare l’uomo e
la donna, ma vuole che l’uomo e la
donna si amino. Essi possono rendere piena di gioia la vita della loro
famiglia con l’amore ma anche con
il sacrificio».
L’incontro è stato l’occasione per
passare in rassegna le principali
preoccupazioni della vivace comunità cattolica locale — a Rajshahi, cittadina al confine con l’India di oltre
800.000 abitanti, i fedeli sono circa
60.000 — per interrogarsi sul sacramento del matrimonio e dare risposte alla crisi della famiglia.
Il vescovo ha ricordato a tutti
l’esigente verità sul matrimonio:
«Così che non sono più due, ma
una carne sola. Quello dunque che
Dio ha congiunto, l’uomo non lo
separi». Ma ha anche ricordato che,
sull’esempio di Cristo, la famiglia
cristiana si nutre di misericordia.
«La famiglia — ha sottolineato padre Dilif Costa, uno dei sacerdoti
intervenuti all’incontro — è il luogo
fondamentale dove le persone imparano ad amare. Cristo con la sua vita ci ha insegnato a essere misericordiosi, e noi possiamo portare felicità
in famiglia se seguiamo i suoi insegnamenti».
Un altro sacerdote, padre Gomes,
ha individuato, grazie alla sua esperienza, le maggiori sfide che coinvolgono le famiglie: «La mancanza
di fiducia tra marito e moglie, la carenza di valori religiosi e sociali, il
fatto che i giovani convivano (al di
fuori del matrimonio) in maniera
sempre più frequente, l’apatia nelle
attività religiose, il consumo di alcol
e la dipendenza dalle droghe».
E ha dato alcuni piccoli concreti
suggerimenti per superare tali ostacoli: rinnovare la relazione tra i coniugi, condividere in famiglia la
preghiera della sera, mangiare insieme, frequentare la messa della domenica.
BANGKOK, 20. «La cooperazione fra
la scuola e la famiglia è fondamentale»: per questo «le scuole cattoliche non devono solo comunicare
una conoscenza, ma educare anche
al bello e alla convivenza pacifica».
È quanto è stato sottolineato al termine di un seminario che si è svolto
nei giorni scorsi a Pattaya, importante centro situato a sud-est di
Bangkok, sul tema: «Educare oggi e
domani: una passione che si rinnova». La condizione della famiglia
odierna, ha detto monsignor Silvio
Siripong Charatsri, vescovo di
Chanthaburi e presidente della
Commissione cattolica per la famiglia, «è un tema della più grande
importanza e ha molte conseguenze.
La cura pastorale della famiglia e
l’educazione cattolica sono infatti
due ambiti inseparabili, visto che la
famiglia è la prima scuola che educa
i bambini». All’appuntamento, riferisce l’agenzia AsiaNews, hanno
partecipato oltre cinquecento tra insegnanti, educatori ed esperti provenienti da tutte le diocesi della Thailandia. Al centro della riflessione la
necessità di rinnovare con il messaggio cristiano il sistema educativo
thailandese, ritenuto, secondo recenti valutazioni, uno dei più insufficienti del pianeta. Infatti, la Thailandia pur essendo il Paese che
spende di più al mondo nell’educazione (il 4 per cento del pil, il 20
per cento del budget del bilancio
governativo) è anche paradossalmente agli ultimi posti della graduatoria per qualità dell’educazione. Da un lato, infatti, i ragazzi sono sempre meno concentrati sullo
studio, distratti dalla tecnologia e
da mille informazioni che vengono
dimenticate subito. Dall’altro, le
scuole organizzano troppe attività
che non hanno a che fare se non in
modo indiretto con l’apprendimento. Tanto che da un recente sondag-
gio è risultato che su otto materie
valutate, solo in lingua thailandese i
ragazzi superano la sufficienza. In
tutte le altre materie sono ben al di
sotto dello standard internazionale.
In questo senso, durante il convegno è stato sottolineato che per risolvere i problemi che affliggono la
società thailandese è necessario concentrarsi sulla formazione della gioventù cattolica. L’identità del cattolico, è stato affermato, deve essere
centrata su Gesù Cristo, l’unico che
può fare scoprire all’uomo la misericordia di Dio. Mettendo in pratica
questo principio, le istituzioni cattoliche devono educare i ragazzi secondo gli ideali del Vangelo. Ideale
che deve anche innervare il nuovo
Piano di educazione nazionale che
sarà in vigore dal 2017 al 2031. Un
sistema educativo con costi altissimi
ma scarsi risultati, a cui la Chiesa è
comunque chiamata a fornire il suo
originale contributo nella formazione di giovani intelligenti e virtuosi.
Per ottenere tutto ciò, afferma monsignor Charatsri, «la cooperazione
fra la scuola e la famiglia è significativa e necessaria. Sfortunatamente
l’istituzione della famiglia thai sta
cambiando in modo drammatico,
sia nella struttura che nelle relazioni. Le famiglie numerose del passato hanno lasciato il posto a piccoli
gruppi di tre persone o, peggio, con
un solo genitore. È una sciagura
che il 50 per cento delle unioni
termini con un divorzio e che il
ruolo educativo dei giovani finisca
solo sulle spalle del personale scolastico».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche padre Francis Xavier Deja Arphonrat, segretario generale della
Commissione cattolica per l’educazione, per il quale «le scuole cattoliche devono avere come primo scopo
l’evangelizzazione».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 21 settembre 2016
pagina 7
Rifugiati e responsabilità nell’anno della misericordia
WASHINGTON, 20. Non solo
profughi siriani e ondate migratorie centroamericane. Esiste
una realtà altrettanto drammatica e forse ancor più incredibilmente quasi ignorata dai grandi
mezzi d’informazione e dunque
sovente anche dalla politica internazionale. È la condizione
dei profughi del Sudest asiatico,
in particolare la popolazione
rohingya (ma anche pakistani e
montagnard), vittime di sistematiche violazioni dei diritti umani
e dell’ignobile tratta delle persone. Su questa enorme emergenza umanitaria, proprio mentre è
in corso a New York l’assemblea
generale delle Nazioni Unite dedicata proprio al tema dei rifugiati, accende i riflettori l’episcopato cattolico statunitense.
Sul sito in rete dei vescovi
americani viene infatti pubblicato in queste ore un report realizzato dal Migration and Refugee
Services in cui, appunto, si sollecitano i responsabili della comunità internazionale a ricercare
quanto prima soluzioni umanitarie durevoli per i profughi di
questa macroregione. Il rapporto, viene reso noto, è stato realizzato al termine di una visita
sul campo che una delegazione
dell’ufficio migrazioni e rifugiati
dell’episcopato ha compiuto recentemente nei Paesi interessati:
non solo in Myanmar ma anche
in Thailandia, Malaysia, Indonesia e Australia. La delegazione, viene spiegato, ha avuto modo di incontrare bambini non
accompagnati, rifugiati, vittime
della tratta di esseri umani, governi locali, organizzazioni non
governative, leader di comunità
per meglio comprendere la situazione e contribuire così a tro-
Non i confini
ma le persone
di SANTO MARCIANÒ
Richieste dai vescovi statunitensi
Soluzioni urgenti
per i rohingya
vare una soluzione alla crisi
umanitaria.
In particolare, come accennato, i presuli statunitensi richiamano l’attenzione sulla condizione dei rohingya, una delle
minoranze più perseguitate nel
mondo, relegati in ghetti o in
campi profughi in Bangladesh e
sulla zona di confine tra Thailandia e Myanmar. Gravi episodi di persecuzione religiosa — i
rohingya sono di fede musulmana — vengono continuamente registrati in Myanmar, dove nello
Stato del Rakhine circa 120.000
individui vivono ammassati in
più di ottanta campi profughi.
Per loro però si spera che la si-
tuazione possa presto cambiare
in meglio. Dopo un lungo periodo di regime militare, adesso
il Myanmar ha un Governo democraticamente eletto dal quale
anche i presuli statunitensi si
aspettano provvedimenti concreti in favore dei rohingya. «Mi
unisco con i miei fratelli vescovi
birmani nella preghiera per la
pace, la continuazione delle riforme, la ricostruzione del Paese
e per l’assistenza, la protezione,
la ricerca di soluzioni definitive
per tutti gli sfollati», ha detto
Eusebio L. Elizondo, vescovo
ausiliare di Seattle e responsabile della Commissione episcopale
sulle migrazioni.
Appello del presidente di Caritas italiana
Trovate il coraggio di cambiare
ASSISI, 20. «Ritrovare il coraggio e la volontà di cambiare la realtà, non farci inseguire da essa perché ne resteremo schiacciati ma riuscire a prendere in mano il
volante per gestire questo flusso. Si discute, si discute e
intanto i morti aumentano. Le soluzioni non si trovano,
la gente scappa». È l’appello che da Assisi, dove si trova per la giornata di preghiera per la pace, il cardinale
Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, lancia ai leader mondiali riuniti a New York per il vertice Onu su migranti e rifugiati.
«Chiamo il Mediterraneo una tomba liquida perché
ormai sono 25.000 e più le persone accertate che sono
morte nel tentativo di attraversarlo a cui vanno aggiunte tutte quelle di cui non sappiamo. E continuano ad
aumentare. Nel mar Egeo sono morti più di mille bam-
bini in un anno. La nostra emozione — sostiene il porporato — deve diventare commozione e la commozione
tradursi in azione. Se ci si ferma all’emozione, la storia
non va avanti».
All’Europa che costruisce i muri, il presidente di Caritas italiana dice: «Ci sarebbe da dire che forse non abbiamo studiato la storia. Tentiamo di costruire una storia nuova, non ricordando quella passata. Nessun muro
ha mai retto. Noi pensiamo di inventare qualcosa di
nuovo ma stiamo riproponendo il vecchio che è stato
fallimentare fino ad ora. Insomma, siamo già sconfitti.
Alzare dei muri è alzare bandiera bianca davanti a una
realtà più grande di noi. Qualche volta ho detto che
Ue, Unione europea, si può anche leggere “unione degli egoismi” e tanti egoismi insieme non fanno unione».
Lo scarto dei rifugiati non è solo il rifiuto che può esserci alle
frontiere ma inizia da una cultura che divide il mondo in ricchi
e poveri, potenti e deboli, facendo sempre ricadere sui deboli le
conseguenze di ogni ingiustizia
e discriminazione, anche quella
contro il creato. «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono
la miseria aggravata dal degrado
ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle
convenzioni internazionali e
portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa […]. La mancanza di reazione di fronte a questi
drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di
quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda
ogni società civile»
(Laudato si’, 25). Nella
denuncia
di
Papa
Francesco, la parola
«responsabilità» risuona in tutta la sua chiarezza.
C’è una responsabilità disattesa, verso
l’uomo e il mondo,
verso la giustizia e la
pace, che ha permesso
e continua a permettere l’emergenza dei rifugiati. C’è però anche chi, come l’Italia,
si è assunta una tale
responsabilità di soccorso e di accoglienza:
al 31 dicembre 2015,
un totale di 103.792
stranieri risultava ospitato in diverse strutture. È una responsabilità accolta soprattutto da militari
e forze dell’ordine italiani: Marina, Aeronautica, Guardia di Finanza,
Polizia,
Carabinieri.
Coordinati dalla Guardia costiera e in collaborazione con altri,
costoro riescono a compiere un
lavoro che le stesse istituzioni
spesso non sono capaci di organizzare e, d’altra parte, considerano la propria missione di difesa della vita come prioritaria anche rispetto a limiti imposti da
leggi e accordi internazionali. In
questa «responsabilità» si colgono, dunque, inedite sfumature
della missione dei militari, quasi
Il cardinale Ouellet al pellegrinaggio dei vescovi di nuova nomina
La logica del sacrificio
«Per rendere concretamente testimonianza a
Cristo» non bastano «discorsi» o «le sole virtù:
ci vuole il sacrificio totale di noi stessi fino al
martirio, correndo il rischio di non essere sempre capiti e accolti, anzi di essere criticati e perfino perseguitati come accade più che mai oggi». Ecco il profilo del pastore «apostolo della
misericordia» delineato dal cardinale Marc
Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, nella messa celebrata domenica 18 settembre, nella basilica vaticana, a conclusione del
pellegrinaggio romano dei vescovi eletti nel corso dell’ultimo anno.
«Oggi portiamo anche nella nostra preghiera
di lode la fede dei nostri popoli con tutti i
membri delle comunità che siamo chiamati a
servire» ha detto il porporato, esprimendo la
certezza che, «dopo l’incontro con Papa Francesco, i legami di comunione fraterna e sacramentale sono cresciuti tra di noi e con il successore
di Pietro».
«Uno solo è Dio e uno solo è il mediatore fra
Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha
dato se stesso in riscatto per tutti»: è a questa
parola di Paolo a Timoteo che il cardinale
Ouellet ha fatto riferimento per richiamare
«tutto il mistero della fede e della nostra vocazione». Prosegue infatti l’apostolo: «Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e
di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo, maestro dei pagani nella fede e nella verità».
Così «la nostra vocazione e missione» — ha
Pietro Tavani, «Il buon pastore» (2012)
spiegato il cardinale — è di essere «maestro della fede destinata a tutti gli uomini, maestro della preghiera e dell’unità della comunità». E
«questa nostra testimonianza s’inserisce oggi
nell’offerta sacrificale e pasquale di Gesù Cristo
di cui parla san Paolo al suo discepolo Timo-
teo: “Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto
per tutti”».
Proprio «sulla scia dell’Eucaristia del Figlio —
ha affermato — offriamoci dunque con tutto il
nostro essere e impegniamoci a tendere più decisamente alla santità di vita nell’esercizio delle
funzioni del nostro servizio apostolico». Altrimenti, ha messo in guardia, «rischiamo di scivolare nella mondanità e nell’idolatria e quindi di
meritare rimproveri al momento del rendiconto
della nostra amministrazione».
«La celebrazione del giubileo della misericordia — ha fatto notare il prefetto della Congregazione per i vescovi — costituisce una cornice singolare e provvidenziale che ci spinge a cercare
appassionatamente non solo una santità personale credibile, ma soprattutto una santità pastorale, uno stile pastorale improntato all’esperienza della misericordia e al servizio della divina
misericordia: apostoli della misericordia». Del
resto, l’invito del Papa è sempre rivolto a «rendere pastorale la misericordia».
«Cercheremo dunque — ha rilanciato il cardinale — di assumere e di assolvere tutti i compiti
del ministero apostolico con tutte le fatiche, i
dolori e le gioie, in spirito di misericordia, che
genera speranza e pace nel cuore dei fedeli».
Perché solo mantenendo «costante e fedele
quella nota di compassione e di misericordia, la
nostra testimonianza sarà più incisiva ed attrattiva per guidare il popolo di Dio verso il suo
unico maestro».
un “nuovo profilo” disegnato
sul serio e significativo impegno
di combinare l’accoglienza con
la sorveglianza, la protezione dei
cittadini con il soccorso agli
stranieri.
Custodire il Paese e chi nel
Paese arriva. Custodire e difendere: non i confini ma le persone. Oltre alle operazioni di soccorso, pensiamo al compito di
difesa dalle organizzazioni criminali che trovano sostentamento nelle reti internazionali, al
ruolo nella tratta di esseri umani, fenomeno sconvolgente e più
volte denunciato dal Santo Padre, o all’arresto degli scafisti.
Ciò esige grande competenza e
senso di collaborazione e chiede
di sterminio. E siamo chiamati a
ricordare, assieme al Pontefice,
come «l’Europa, aiutata dal suo
grande patrimonio culturale e
religioso, abbia gli strumenti per
difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti
dei propri cittadini e quello di
garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti» (Discorso
al corpo diplomatico, 11 gennaio
2016).
Ma l’opera di evangelizzazione non si esaurisce qui. Il Vangelo è il segreto che, da una
parte, nutre la carità dei militari
ma che pure ne sostiene la vita,
soprattutto coloro che sono
che la tecnologia, anche la più
raffinata, sia sempre a servizio
del salvataggio di vite umane.
Ma un’altra responsabilità spetta
alla politica internazionale: il
senso di condivisione tra i vari
Paesi.
È ancora duplice la prospettiva: la cura degli uomini è
tutt’uno con la cura della terra,
della «casa comune», nella
«consapevolezza che siamo una
sola famiglia umana» e «non ci
sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettono
di isolarci» (Laudato si’, 52). È
proprio vero quanto nell’enciclica afferma Papa Francesco. Ma
è altrettanto forte il suo grido
levato verso il vecchio continente: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei
diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è
successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi
uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per
la dignità dei loro fratelli?» (Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno). E il grido si
fa sogno: «Sogno un’Europa
che si prende cura del bambino,
che soccorre come un fratello il
povero e chi arriva in cerca di
accoglienza perché non ha più
nulla e chiede riparo» (ibidem),
confessa Francesco.
Noi Chiesa, noi Chiese d’Europa, sentiamo che questo sogno
ci è affidato, come una vera e
propria vocazione. E se la Chiesa tutta non può non essere inquietata da questa emergenza
umanitaria, ancor più la Chiesa
che è tra i militari se ne deve
sentire interpellata. L’accoglienza pastorale dei rifugiati porta
alla luce un nuovo, vasto, e direi
entusiasmante campo di evangelizzazione e carità per l’Apostolato militare internazionale, attento all’annuncio evangelico e
alla promozione della cultura
della pace. Come Chiesa, siamo
anzitutto chiamati a identificare
e fronteggiare con decisione,
ogni qualvolta si presenti, la
piaga scoperta di una mentalità
discriminatoria e xenofobica che
fa dei nostri mari nuovi campi
coinvolti in operazioni difficili o
costretti a constatarne il fallimento, qualora i tentativi di salvare vite umane si trasformino, a
esempio, in recupero di cadaveri. Il Vangelo educa al senso
della vita e della morte, a una
vita interiore capace di crescere
e testimoniare la speranza nel
trascendente e nell’eterno. Il
Vangelo è anche la via con la
quale i nostri militari possono
combattere le radici della guerra: rintracciarne le cause remote
e lottare contro le ingiustizie, le
violenze, la povertà, l’ignoranza,
Apostolato militare
a congresso
È in corso a Vught, nei Paesi Bassi,
il congresso dell’Apostolato militare
internazionale. Pubblichiamo
stralci dell’intervento dell’arcivescovo
ordinario militare per l’Italia
intitolato «I rifugiati alla luce
della Laudato si’ e dell’anno
della misericordia».
la discriminazione; raggiungerne
le radici antropologiche, costruendo modelli di convivenza,
dialogo, pace, perdono; modelli
che dimostrino come il rispetto
e la riconciliazione non siano
strade perdenti, neppure in senso socio-politico. E non è forse
questa la prospettiva dell’enciclica Laudato si’ e l’invito dell’anno della misericordia?
Ecco, dunque, la missione
consegnata oggi ai militari cristiani e a tutto il mondo militare: trasformare quei confini, che
altri vogliono serrare, in varchi
di accoglienza nella nostra «casa
comune», in porte sante, attraversando le quali i rifugiati possano «fare esperienza della divina misericordia anche grazie alle
persone che li aiutano» (Angelus,
17 gennaio 2016).
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 21 settembre 2016
Messa a Santa Marta
«Oggi, uomini e donne di tutte le religioni, ci recheremo ad Assisi non per
fare uno spettacolo: semplicemente per
pregare e pregare per la pace». Prima di
partire per la città di san Francesco, il
Papa ha voluto riaffermare il senso del
pellegrinaggio, celebrando la messa
martedì mattina, 20 settembre, nella
cappella della Casa Santa Marta. «Ho
scritto una lettera a tutti i vescovi del
mondo — ha affermato — perché nella
La vergogna della guerra
loro diocesi si facciano oggi raduni di
preghiera, invitando i cattolici, i cristiani, i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di qualsiasi religione, a pregare per la pace».
Così «oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il mondo a
La carcassa di un veicolo che portava aiuti umanitari ad Aleppo (Alep news 24/Ap)
pregare per la pace» ha detto il Pontefice, che non ha mancato di suggerire a
tutti di dedicare «un po’ di tempo, a
casa vostra», prendendo «la Bibbia o il
rosario», per pregare «per la pace, perché il mondo è in guerra, il mondo soffre». Questa guerra, ha spiegato Francesco, «noi non la vediamo: si avvicina a
noi qualche atto di terrorismo, ci spaventiamo» ed «è brutto, questo è molto
brutto». Ma «questo non ha niente a
che fare con quello che succede in quei
Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono, cadono,
e uccidono bambini, anziani, uomini,
donne: tutto!».
«Dio, Padre di tutti, di cristiani e di
non cristiani — Padre di tutti — vuole la
pace» ha affermato il Papa, aggiungendo: «Siamo noi, gli uomini, sotto la
tentazione del maligno, che facciamo le
guerre per guadagnare soldi, per prendere più territorio». Oggi, ha proseguito, «nel mondo si soffre tanto per la
guerra e tante volte possiamo dire:
“Grazie a Dio, a noi non tocca!”». Ed è
bene che «ringraziamo — ha aggiunto —
ma pensiamo anche agli altri», a tutti
coloro che invece sono colpiti dalla
guerra.
Facendo riferimento alla prima lettura
proposta dalla liturgia — tratta dal libro
dei Proverbi (21, 1-6.10-13) — Francesco
ne ha rilanciato in particolare l’espressione conclusiva: «Chi chiude l’orecchio
al grido del povero, invocherà a sua
volta e non otterrà risposta». E così, ha
spiegato, «se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre
sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi
che quando toccherà a noi non otterremo risposte».
In questa prospettiva il Papa ha rilanciato il suo appello: «Non possiamo
chiudere l’orecchio al grido di dolore di
questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra». E ha messo anche in
guardia dall’idea che si tratti di discorsi
che non ci riguardano: «La guerra è
lontana? No, è vicinissima!» ha affermato. «Perché la guerra — ha spiegato —
tocca tutti, anche la guerra incomincia
nel cuore: per questo dobbiamo pregare
oggi per la pace», chiedendo «che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga
ogni voglia di avidità, di cupidigia, di
lotta».
«Pace, pace!» è il grido che il Papa
ha voluto ripetere. Con l’auspicio «che
il nostro cuore sia un cuore di uomo o
di donna di pace», pronto ad andare
«oltre le divisioni delle religioni — tutti,
tutti, tutti! — perché tutti siamo figli di
Dio». E «Dio è Dio di pace, non esiste
un dio di guerra: quello che fa la guerra
è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti».
Il Pontefice ha invitato espressamente
a pensare «oggi non solo alle bombe, ai
morti, ai feriti, ma anche alla gente —
bambini e anziani — alla quale non può
arrivare l’aiuto umanitario per mangiare;
non possono arrivare le medicine». E
«sono affamati, ammalati perché le
bombe impediscono» loro di avere il cibo e le cure necessarie. E «mentre noi
oggi preghiamo, sarebbe bello che
ognuno di noi senta vergogna che gli
umani, i nostri fratelli, siano capaci di
fare questo».
Oggi dunque, ha rilanciato Francesco, deve essere veramente una «giornata di preghiera, di penitenza, di pianto
per la pace; una giornata per sentire il
grido del povero». Questo grido «che ci
apre il cuore alla misericordia, all’amore
e ci salva dall’egoismo». In conclusione
il Papa ha voluto ringraziare coloro che
risponderanno al suo invito «per tutto
quello che farete per questo giorno di
preghiera e di penitenza per la pace».
Primi incontri del Papa ad Assisi
A pranzo con i rifugiati
dal nostro inviato NICOLA GORI
Nei giorni in cui a New York scoppiano
ordigni che seminano terrore e le cronache
parlano solamente di attentati e scontri armati, quando la parola pace sembra una
chimera, qualcuno ad Assisi prova a
ricostruire invece che a distruggere. Attraverso gesti di solidarietà e di amicizia, come il pranzo che martedì 20 settembre Papa Francesco ha condiviso con i partecipanti all’incontro internazionale «Sete di
pace: religioni e culture in dialogo»
promosso dalla comunità di Sant’Egidio,
Per la terza volta
L’elicottero con a bordo il Papa,
partito dal Vaticano alle 10.30, è
atterrato alle 11.30 nel campo
sportivo Migaghelli di Santa
Maria degli Angeli. Qui il
Pontefice è stato accolto
dall’arcivescovo Domenico
Sorrentino, vescovo di Assisi Nocera Umbra - Gualdo Tadino;
dal presidente della regione
Umbria, Catiuscia Marini; dal
prefetto di Perugia, Raffaele
Cannizzaro; e dal sindaco di
Assisi, Stefania Proietti.
Accompagnano Francesco in
questo viaggio, il terzo ad Assisi,
gli arcivescovi Angelo Becciu,
sostituto della Segreteria di Stato,
e Georg Gänswein, prefetto della
Casa Pontificia, monsignor
Leonardo Sapienza, reggente
della Prefettura, gli aiutanti di
Camera Mariotti e Zanetti, il
direttore della Sala stampa della
Santa Sede, Greg Burke, e il
direttore dell’O sservatore
Romano. In automobile il Papa
ha poi raggiunto il sacro
convento, dove è stato salutato
dal custode Mauro Gambetti, dal
patriarca ecumenico Bartolomeo,
dall’arcivescovo di Canterbury,
Justin Welby, dal patriarca siroortodosso di Antiochia, Efrem II,
dal capo supremo della Tendai
buddhist denomination, Koei
Morikawa, dal vice del Grande
imam di Al-Azhar, Abbas
Shuman, dal rabbino Riccardo Di
Segni, dal cardinale Attilio
Nicora, legato pontificio per le
basiliche di San Francesco e di
Santa Maria degli Angeli in
Assisi, e da Andrea Riccardi,
fondatore della comunità di
Sant’Egidio.
dalla diocesi assisiate e dalle famiglie francescane.
Gente che è scappata dai bombardamenti, dalla miseria, dalla violenza. Drammi che sembrano dimostrare che la pace è
impossibile. Eppure, c’è chi nonostante
tutto ci crede ancora. A cominciare proprio dal Pontefice e dai numerosi leader
religiosi riuniti per l’incontro, giunto alla
sua giornata conclusiva.
La memoria torna a quel 27 ottobre di
trent’anni fa, quando Giovanni Paolo II
convocò per la prima volta la giornata
mondiale di preghiera per la pace, alla
quale parteciparono i rappresentanti di
tutte le grandi religioni mondiali. In quel
giorno erano più di un centinaio: cinquanta per le Chiese e le comunità cristiane e
sessanta per le altre religioni. Trent’anni
dopo, martedì 20 settembre, erano oltre
cinquecento.
L’appuntamento
voluto
da
Papa
Wojtyła segnò l’inizio dello spirito di Assisi, diffusosi ovunque dalle grandi metropoli di ogni latitudine fino ai più piccoli
villaggi del pianeta. E oggi i capi religiosi
sono tornati nella cittadella di san Francesco per dire al mondo che la pace è possibile, che insieme si può. Qui ad Assisi si
sono fatti nuovamente voce di chi non ha
voce, ricordando al mondo che la religione può costruire ponti per favorire il dialogo e la fraternità universale.
Le aree calde del mondo, dal Medio
oriente, all’Africa, all’Asia, sono state
idealmente presenti al momento conviviale
con il Papa nel refettorio del sacro convento. C’erano ventisette rifugiati, vittime
delle guerre e della miseria, in cerca di un
futuro migliore. Dodici sono ospiti della
comunità di Sant’Egidio a Roma, giunti
attraverso corridoi umanitari in collaborazione con la Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese; dieci sono assistiti dal Centro di accoglienza per profughi (Cara) di Castelnuovo di Porto; cinque dalla Caritas di
Assisi. Tra loro, Rasha e la figlia Janin di
sette anni, di origini palestinesi, in Italia
da febbraio. In fuga da un campo profughi alla periferia di Damasco, in Siria,
hanno raggiunto il Libano. Ci sono anche
cinque cattolici di rito orientale di origini
siriane: Fadi e Ruba, con il figlio undicenne Murkus, scappati da Hasake. E poi
Osep, Kevork e Tamar, di rito armeno,
che testimoniano la tragedia della città di
Aleppo. Paulina ed Evelyn vengono invece dalla Nigeria, dove Boko Haram ha seminato il terrore. Fuggiva dalla guerra anche l’eritrea Enes. Cercava migliori condizioni di vita il ventitreenne Alou, sopravvissuto al drammatico viaggio in mare sui
barconi in partenza dalla Libia per la
Sicilia.
Tra gli ospiti del Cara — provenienti da
Siria, Eritrea, Nuova Guinea, Nigeria, Pakistan e Afghanistan — la famiglia Zanboua, di Yarmuk, il campo profughi a sud di
Damasco assediato e conquistato dai miliziani del cosiddetto Stato islamico. Papà
Muhanad, trentadue anni, ha ancora negli
occhi le scene di terrore. Da un altro conflitto è fuggita Nura, venticinquenne eritrea costretta a lasciare gli studi e ad arruolarsi nell’esercito. Storie simili, ma con
un unico filo conduttore: scappare dalla
violenza, dalla morte, dall’odio. C’è poi
l’avventura di Ibraim, un ragazzo della
Nuova Guinea, musulmano, che ha rischiato la morte per fame in Libia per andare alla ricerca del padre che lo aveva abbandonato da piccolo.
All’inizio del pranzo, il presidente della
comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha rivolto alcune parole di benve-
nuto al Papa, accanto
al quale siedeva l’anziano sacerdote albanese Ernest Simoni Troshani, che ha trascorso
ventotto anni in prigione e che lo stesso
Francesco aveva abbracciato il 21 settembre 2014, durante il
viaggio a Tirana, dopo
aver ascoltato la storia
della sua persecuzione.
Impagliazzo ha anche
ricordato il venticinquesimo anniversario
dell’elezione di Bartolomeo al patriarcato,
sottolineandone il ruolo spirituale all’interno
dell’ortodossia d’oriente e occidente.
La giornata assisiate del Pontefice era
iniziata verso le 11.30 con l’arrivo, un po’
in ritardo sul programma, a Santa Maria
degli Angeli. Raggiunto a bordo di un’utilitaria blu il sacro convento, Francesco è
stato salutato dalle maggiori autorità religiose convenute ad Assisi, mentre le campane della città suonavano a festa.
Il Papa si è poi recato nel chiostro di
Sisto IV dov’erano ad attenderlo oltre duecento persone, tra i quali i rappresentanti
delle Chiese e delle religioni mondiali e i
vescovi dell’Umbria. Il Papa ha salutato
personalmente ciascuno dei rappresentanti
presenti, scambiando abbracci e strette di
mano. Dopo il pranzo, il Pontefice ha incontrato individualmente il patriarca ecumenico, l’arcivescovo di Canterbury, il patriarca siro ortodosso di Antiochia e
l’imam e il rabbino.
Una risposta possibile
#Peaceispossible: la pace è possibile: l’hashtag lanciato dai frati
di Assisi nel giorno dell’arrivo di Papa Francesco rimbalza sui socialnetwork di tutto il mondo facendo riecheggiare il tema
dell’incontro promosso dalla comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la diocesi assisiate e la famiglia francescana, «Sete
di pace: religioni e culture in dialogo».
I lavori sono proseguiti anche martedì mattina, 20 settembre,
con gli ultimi dei ventinove panel previsti dal programma, svoltisi in vari luoghi simbolo della cittadella francescana. Tra gli argomenti affrontati: i rifugiati, l’ecumenismo della carità, la misericordia, la preghiera per la pace, le religioni e la salvaguardia
del creato, l’umanizzazione del carcere, il futuro dell’Europa, lo
spirito di Assisi di fronte ai conflitti. Leader religiosi, personalità
del mondo istituzionale, culturale e dei media si sono confrontati
portando ciascuno le proprie esperienze, aspettative e speranze
così come era accaduto nel pomeriggio precedente, lunedì 19,
quando nei panel si era parlato di migranti e integrazione, terrorismo, religioni e poveri, cibo e acqua, e poi di Aleppo, di convi-
venza tra cristiani e musulmani, di religioni asiatiche, della crisi
irachena.
E mentre il rabbino capo di Tel Aviv, Israel Mair Lau, incontrava i giovani per una testimonianza sulla Shoah, venivano celebrati i venticinque anni del servizio del patriarca Bartolomeo ai
cristiani e al mondo. Dopo aver presieduto in mattinata a Perugia una preghiera ecumenica nella cattedrale insieme con il cardinale arcivescovo Bassetti, il patriarca aveva poi ricevuto la laurea
honoris causa all’Università per stranieri del capoluogo umbro. E
grande è stata la sorpresa dei presenti quando nel pomeriggio si
è presentato inatteso al Sacro Convento di Assisi, dov’era in corso una cerimonia in suo onore animata dal primate della Chiesa
anglicana Welby, dal cardinale Kasper, dal fondatore della comunità di Sant’Egidio, Riccardi, e dal rabbino Rosen. Nel suo intervento il successore dell’apostolo Andrea ha sottolineato che «una
festa per un pastore spirituale e vescovo è anche l’affermazione
che il vescovo stesso è figlio di Dio e figlio della Chiesa. Dopotutto — ha aggiunto — uno solo è il Padre nostro».
Nomina episcopale
in Francia
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in
Francia.
François Kalist
arcivescovo di Clermont
Nato il 30 ottobre 1958 a Bourges, dopo
gli studi secondari è entrato in seminario nel
1979. È stato alunno del Pontificio seminario
francese fino al 1985. Poi ha frequentato l’Institut Catholique di Parigi e il Séminaire des
Carmes, concludendo gli studi con la licenza
canonica in teologia biblica. Ha iniziato nel
1991 la tesi di dottorato in teologia presso
l’Institut Catholique. Ordinato sacerdote per
l’arcidiocesi di Bourges il 21 dicembre 1986,
ha svolto il ministero prima come vicario
parrocchiale, poi è stato inviato come insegnante e formatore al seminario maggiore di
Orléans, di cui è diventato in seguito vicerettore. Ritornato nella sua diocesi nel 1999 è
diventato parroco; nel 2001 responsabile diocesano per la formazione; nel 2002 vicario
episcopale per la formazione permanente degli adulti e nel 2004 delegato diocesano aggiunto per l’ecumenismo. Il 25 marzo 2009 è
stato nominato alla sede residenziale di Limoges, nel Massiccio centrale, e il successivo
17 maggio ha ricevuto l’ordinazione episcopale. All’interno della Conferenza dei vescovi
francesi è membro del consiglio per l’unità
dei cristiani e per le relazioni con l’ebraismo.
Inoltre, a livello ecumenico è copresidente
del consiglio misto cattolico-luterano-riformato di Francia e membro del Consiglio delle Chiese cristiane di Francia.