Erano altri tempi.

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Erano altri tempi.
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“
LE STORIE DEL COMMISSARIO PINO “
ERANO ALTRI TEMPI”
nona storia
Carabinieri si nasce? Poliziotti si diventa!!
Per oltre sei anni ho vissuto da accasermato nella Scuola Guardie di Pubblica Sicurezza di Nettuno,
senza sapere che cosa significasse essere poliziotto, perché lì si faceva per lo più sport e tanta teoria.
Ma nessuna pratica che poi ci sarebbe servita. Vi sono rimasto fino ai primi mesi del 1971. Fu in
quel periodo che conobbi Maria, una bella e brava ragazza. Dopo aver chiesto e ottenuto il
trasferimento a Roma, decisi di sposarmi in contrasto alle norme fasciste, che in quel momento
vigevano, che impedivano agli appartenenti alle forze di Polizia di unirsi in matrimonio, se non
dopo aver compiuto 28 anni. Limite, che per gli Ufficiali era più basso, cioè 24 anni. A parte la
discriminazione, non si comprendeva perché per loro 24 e per noi 28. Raggiungevano la maturità
sessuale prima di noi? Cioè quel coso che avevano in mezzo alle gambe funzionava prima del
nostro?
Il quel periodo vi furono parecchi matrimoni tra gli appartenenti alle Forze di Polizia, celebrati in
chiesa secondo il rito canonico che non obbligava il sacerdote a comunicare per la trascrizione il
matrimonio all’Anagrafe Comunale, se non al compimento del 28° anno.
Quelli furono giorni davvero terribili, non potendo informare dell’avvenuto matrimonio il mio
Ufficio, pena il licenziamento dalla Polizia.
Vivevo la mia unione con mia moglie da clandestino (ecco perché ho molta comprensione per loro).
Avevo preso in affitto un mini appartamento nella zona di Centocelle. Il canone d’affitto era di 30
mila lire al mese, quando percepivo uno stipendio di 70 mila lire. Per un anno, fino alla nascita di
mia figlia Patrizia, fui costretto a lasciare mia moglie da sola a casa la notte, dovendo dormire in
caserma, essendo io per l’amministrazione uno scapolo. Anche se tutti i miei superiori sapevano che
convivevo con una donna. Per lo Stato era meglio avere un poliziotto che viveva more uxorio, che
uno regolarmente sposato.
Dopo aver girovagato per alcuni Uffici di Polizia della Capitale, approdai nel 1973, subito dopo la
nascita di Eleonora, la mia seconda figlia, al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Torpignattara,
all’estrema periferia di Roma. Dopo alcuni servizi al corpo di guardia, il Dirigente decise di
impiegarmi sull’autoradio di zona, denominata convenzionalmente “Auto Torpignattara“ .
Al primo turno di servizio fui affiancato come gregario all’Appuntato, Damiano Petrolo, di 59 anni,
prossimo al pensionamento. Costui, prima di uscire di servizio, era prodigo di consigli e di
ammaestramenti circa i comportamenti che dovevo usare contro i malavitosi. Era un vero poliziotto
e non si sottrasse mai ai suoi doveri.
L’Appuntato Petrolo, ormai scomparso da diversi anni, era considerato dai pregiudicati di
Torpignattara una maledizione, in quanto quando c’era lui in quella zona non si verificavano furti,
rapine o reati di vario genere. E di quelli che venivano commessi lui scopriva gli autori, o perché li
arrestava in flagranza, oppure grazie alle sue tecniche investigative o alle confidenze che
puntualmente riceveva.
Conosceva la zona di Torpignattara come le sue tasche. Non c’erano vie, numeri civici di abitazioni,
che Lui non sapesse. Conosceva anche i soprannomi di tutti i ladri di zona e di quelle limitrofe.
Difficilmente il malavitoso si avventurava in Torpignattara quando sapeva che a perlustrare la zona
c’era Petrolo, soprannominato “il Calabrese”. Era il primo a sapere quando venivano spiccati i
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mandati di cattura, gli ordini di carcerazione. Spesso anticipava gli uomini della Squadra Mobile
della Questura nella cattura dei ricercati.
Si fermava frequentemente a parlare con i commercianti per sapere se avevano avuto richieste di
tangenti o subito atti di prepotenza. Tutte le volte che intercettavamo pregiudicati o persone sospette
a bordo di autovetture, se privi di patente di guida gli notificavamo l’articolo 80 C.d.s e
procedevamo al sequestro dell’autovettura. Se invece erano confidenti, nei loro confronti avevamo
un occhio di riguardo, sempre che ci avessero fornito qualche utile soffiata.
Quello sì che era un Poliziotto di Quartiere, altro che questi ragazzini con la faccia sin troppo pulita
e il berrettino calcato sulla testa a mò di scolaretto. Damiano, peraltro, aveva inventato il
collaboratore di giustizia.
Con Damiano il “Calabrese”, dopo avere odiato “i Guardia i Custura” prima che mi arruolassi,
finalmente cominciai ad apprezzare il lavoro del Poliziotto.
Una mattina. transitando per via di Torpignattara, Damiano, mentre mi stava raccontando le sue
avventure, d’u tratto si fermò e mi disse: “Peppe ti debbo dire che sto per andare in pensione. Ed è
giusto così perché non sono più il poliziotto rampante di una volta. E poi i tempi sono cambiati.
Vedi, per esempio,quello li?”.
Gli chiesi: ”Quale, Appuntato?”
E Lui: “Quello appoggiato al palo”.ù
“Be!!”.
“Quello si chiama Innocentini e deve fare due anni di galera. C’e’ un ordine di carcerazione contro
di Lui. Stiamo per smontare e non mi va di perdere tempo al Commissariato, perché appena smonto
devo andare a prendere la nave per andare a caccia in Sardegna”.
Non gli lasciai finire la frase. Aperta la porta dell’autoradio, incominciai a correre in direzione del
ricercato. Innocentini cercò di sottrarsi alla cattura. Ma invano. Dopo tanto correre, ci fermammo
sfiniti a pochi metri di distanza uno dall’altro. Gli lanciai le manette sotto la minaccia della pistola
intimandogli di legarsi al palo della segnaletica stradale. Quello è stato il mio primo dei 1300
arrestati effettuati nella mia lunga carriera.
Quella notte non riuscii a dormire. Ero emozionato. Pensavo e ripensavo all’arresto che avevo
eseguito. Negli sprazzi del dormiveglia, sognavo conflitti a fuoco con rapinatori, inseguimenti per le
strade di Torpignattara, salti di staccionate per acciuffare i ladri. E’ stata una nottataccia!
La mattina mi presentai in ufficio prima dell’orario previsto. Non vedevo l’ora di iniziare il servizio
sull’autoradio per andare a caccia di malviventi.
Quel giorno al posto di Petrolo, in licenza, si presentò come autista Giovanni Formisano, un collega
mio coetaneo con qualche anno di servizio in meno, ma molto conosciuto tra i malavitosi per la sua
intuizione nel riconoscerli.
Qualche giorno prima Giovanni aveva avuto una soffiata da un sorvegliato speciale che noi
controllavamo nella sua abitazione nelle ore notturne. Costui gli aveva riferito che nella zona si
aggirava con fare spavaldo e altezzoso un pregiudicato sotto il falso nome di “Zinfollino”. In
Torpignattara era anche conosciuto come mister mezzo miliardo. Tanti erano i soldi che aveva
investito in immobili nella zona di Ardea.
Più volte era stato fermato e controllato dalle forze di Polizia sempre, però, con esito negativo.
Una settimana dopo, transitando con l’autoradio per via Filerete, lo fermammo. Mentre lo stavamo
accompagnando al Commissariato per accertamenti, costui ci supplicò di lascialo andare. Per
convincerci, dai calzini dei piedi estrasse circa 40 milioni in banconote da 100.000 (attenzione,
eravamo nel 1973. Con quei soldi ci potevamo comprare due appartamenti).
Non ci curammo delle sue suppliche. Arrivati al Commissariato, dopo aver esperito i dovuti
accertamenti, venimmo a conoscenza della sua vera identità. Risultò essere pregiudicato per reati
contro il patrimonio e la persona, colpito da innumerevoli ordini di carcerazioni e mandati di
cattura, evaso dal carcere di Andria. Sul suo conto pesava anche un’accusa di tentativo di rapimento
di un bambino.
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Al nostro Comandante di Compagnia, Capitano Angelo Lago, sopraggiunto, il Zinfollino esclamò:
“Ah Capità, ancora ce so ‘e guardie stronze in Polizia”.
Gli rispose il Capitano: “Non si preoccupi. Alle mie guardie ci penso”.
Per quella operazione di servizio il nostro Comando ci premiò con 5 mila lire. Meno di 40 milioni,
ma la soddisfazione di aver fatto il proprio dovere, valeva molto di più.
Giuseppe Pino
[email protected]
www.sindacatosupu.it