ZAINET APRILE:Layout 1
Transcript
ZAINET APRILE:Layout 1
ISSN 2035-701X Lo okSm all’int art erno N° 3 - APRILE 2012 G TALENT’S CORNER I O V A N I R E P O R T E R “Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 3 Anno 2012”- € 0,70 Il riciclo è chic Simona Negrini ci spiega come dalla plastica si ottengano gioielli fashion A pagina 18 FENOMENI Tutto su Noemi A tu per tu con la voce graffiante della musica italiana A pagina 24 CINEMA Genova dieci anni dopo Diaz: un film per raccontare la verità A pagina 28 INCHIESTA Italia nera Da Roma a Milano, perché l’estremismo è più di una moda A pagina 4 L’Italia che resiste 2 Aprile 2012 A cura di Greta Pieropan, 18 anni Antispot I RISCHI DELLA FINANZA n°3 aprile Direttore responsabile Renato Truce Vice direttore Lidia Gattini Segreteria di redazione Sonia Fiore In redazione Maria Elena Buslacchi Chiara Falcone Simona Neri Redazione di Torino corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To) tel. 011.7072647 - fax 011.7707005 e-mail: [email protected] Redazione di Genova Via Cairoli, 11 - 16124 Genova tel. 010.8936284 - 010.8937769 - 010.261466 e-mail: [email protected] Redazione di Roma via Nazionale, 5 - 00184 Roma tel. 06.47881106 - fax 06.47823175 e-mail: [email protected] Facile, in tempi di crisi, prendersela con le banche. Facile definirle causa della crisi e parlare di complotto dei “colletti bianchi” (dopotutto, la teoria del complotto piace un po’ a tutti e vende bene). Per correre ai ripari, quindi, le banche trattano come degli oggetti fragilissimi i loro clienti, propinandoci negli spot scalatori di bandiere, amanti dei “bei vecchi tempi quando si stava bene, ecc…” (altra teoria che vende benissimo). Le banche sono sempre le solite, dunque, ma sono tutte uguali? No. C’è una banca che maltratta ostentatamente i propri clienti, che sono la loro “migliore pubblicità”… Da uno di quei grandi cartelloni girevoli che vediamo nelle nostre città spunta un giovane, appeso al poster arancione, che si sistema dopo essere passato, con evidente fastidio, tra le spazzole che stendono le pubblicità. Al suo sguardo evidentemente poco felice, un passante risponde tutto allegro (e sui suoi piedi, perfettamente conforme alla legge di gravità!): “ehi, come va?”. Una persona normale avrebbe certamente risposto con parole che qui non possiamo riprodurre, ma il cliente “Conto arancio” ovviamente è felicissimo e risponde che va tutto “bene, bene!”, perché non paga le spese, nemmeno in filiale. Tra le numerose persone che accorrono davanti a questo spettacolo, un uomo dal balcone di casa grida che in filiale ci sono dei costi, e il malcapitato, per rispondere, deve gridare, perché il cartellone continua il suo giro! Nonostante il suo eloquente “aaaahhh!”, che non esprime certo il piacere di farsi spazzolare la faccia così violentemente, il ragazzo fischietta e continua il suo giro sul cartellone. Ovviamente uno degli spettatori entra nella filiale… pazzo! E se ti chiedono di fare la pubblicità per il conto? Forse non sa che quella che ha appena visto è la migliore delle ipotesi. In un’altra versione dello spot il malcapitato è appeso alla fiancata di un autobus. Ad altezza smog, e pericolosamente vicino alle auto, non smette di fare pubblicità, neanche a due ciclisti impegnati in una gara! Quando si dice operazioni bancarie “ad alto rischio”! Bocciati!!! Un ristorante da Nove settimane e mezzo. Il manifesto pubblicitario di questo esercizio commerciale di Sassari, segnalato dall’associazione Noi donne 2005, gioca sull’ambiguità dei termini e ci “regala” una perla di rara volgarità. Una donna in un’inequivocabile posizione si prepara a “gustare” un pesce appeso come se fosse tutt’altro. L’”originalità” dell’immagine dovrebbe giustificarsi con lo slogan che l’accompagna: “Cambiano le regole della ristorazione”. Ok, allora, se il piatto non dovesse piacerci, potremmo prenderli a pesci in faccia? Hanno collaborato Dal laboratorio Attualità: Simona Neri (supervisione giornalistica) Davide Ghio, Francesco Maiorana, Lenore, Martina Pi, Claudia R., Giovanni F., Giulia T., Laura Santi Amantini Dal laboratorio Giovani Critici: Maria Elena Buslacchi (supervisione giornalistica) Chiara Colasanti, Mattia Marzi, Matteo Franzese, Lorenzo Coltellacci, Elena Prati, Federica D'Angelantonio, Lady Iron, Virginia Lupi, Chiara Cacciotti, Eleonora Zocca, Vittoria de Benedetti, Giulia Iani, Ilaria Maccari, Valeria Firriolo Dal laboratorio Costume e Società: Chiara Falcone (supervisione giornalistica) Greta Pieropan, Francesco Giasi, Davide Ingento, Stefania Montoro, Giulia Noceti, Tommaso Mori, Samuele Piras, Raffaele Manieri, Evelina Podennikh, Riccardo Risdonne, Fabrizio Ammannito, Alessandro Bai, Paolo Nataloni Impaginazione Gianni La Rocca Web designer e illustrazioni Giorgia Nobile (Idem s.c.g.) Fotografie e fotoservizi Luca Prestini, Erica Bernardello, Jessica Spada, Circolo di Sophia, Massimiliano T., Fotolia I giovani reporter utilizzano NikonD3100 Sito web: www.zai.net - Francesco Tota Editore Mandragola Editrice società cooperativa di giornalisti via Nota, 7 - 10122 Torino Stampa San Biagio Stampa S.p.A. via al Santuario N.S. della Guardia, 43P43Q 16162 Genova Presi per la gola e per il sedere Il noto quotidiano sensazionalista tedesco Das Bild ha finalmente rinunciato alle donne nude in copertina, consuetudine che durava da quasi trent’anni. Dal 1984, infatti, ha pubblicato sulla prima pagina le foto di oltre 5mila ragazze con il seno scoperto. La decisione è arrivata il giorno della festa della donna. Lo scorso febbraio, invece, il settimanale L’Espresso ha voluto rispolverare la sua vecchia abitudine di fare sexy copertine. L’inchiesta pubblicizzata dal fondoschiena che vedete in foto si riferiva al ricorso frenetico ad analisi e test clinici. Al sedere? Hanno collaborato a questo numero RICCARDO RISDONNE Riccardo è uno studente dell’ITIS dell’Aquila, Specializzazione Liceo Scientifico Tecnologico. Gli piace navigare su internet e scoprire nuove cose. Ama la tecnologia: videogiochi, smartphone e computer. Gli altri gli dicono sempre che è un tipo piuttosto romantico. Odia le sigarette umide, non sopporta la gente che mente, e vuole troppo bene agli amici, che forse, a volte, neanche se lo meritano. ELEONORA ZOCCA VITTORIA DE BENEDETTI Eleonora ha 17 anni e frequenta il liceo scientifico. Dopo il diploma spera di poter studiare in Inghilterra o magari negli Stati Uniti. È piena di interessi, ma le sue vere passioni sono la lettura e la scrittura. Segue la politica perché pensa che sia diritto, ma soprattutto dovere di ciascun cittadino conoscere le norme che regolano la vita sociale. Le piace immaginarsi nei dibattiti televisivi in qualità di giornalista, seguendo le orme di Travaglio o della De Gregorio. Vittoria è una studentessa romana al terzo anno del liceo classico. Nel suo tempo libero le piace guardare film, soprattutto quelli in bianco e nero o i grandi classici americani. I suoi registi preferiti sono Billy Wilder e Sidney Pollack; il suo mito è Jack Nicholson. Adora leggere romanzi che hanno ispirato alcuni grandiosi film, ma il suo scrittore preferito è Zafon. Da grande vorrebbe diventare un notaio o entrare nel mondo del cinema. Questa testata fruisce dei contributi statali diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250. Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Samuele ha 19 anni e frequenta l’Istituto Tecnico “Sarrocchi” di Siena. Da quando è piccolo ha una predilezione per i computer, tanto che gli piacerebbe continuare sulla strada dell’informatica nel mondo del lavoro o magari all’università. Ma i computer non sono la sua unica passione. Dal primo anno di superiori si dedica alla politica ed è entrato nel collettivo della scuola. È molto interessato al periodo della Resistenza. Zai.net Lab, il più grande laboratorio giornalistico d’Italia, è realizzato anche grazie al contributo di Concessionaria Pubblicitaria Publirama S.p.A. Foro Buonaparte, 69 - 20121 Milano Zai.net Lab Anno XI / n. 3 - aprile 2012 Autorizzazione del Tribunale di Roma n° 486 del 05/08/2002 Abbonamento sostenitore: 25 euro Abbonamento studenti: 7 euro (10 numeri) Servizio Abbonamenti MANDRAGOLA Editrice s.c.g. versamento su c/c postale n° 73480790 via Nazionale, 5 - 00184 Roma SAMUELE PIRAS In collaborazione con 3 Aprile 2012 Attualità Last minute INFOWEB www.libera.it Eccellenza italiana Libera dal 1995 lavora per sollecitare la società civile nella lotta alle mafie. Nel 2008 è stata inserita dall'Eurispestraleeccellenzeitaliane. Una giornata particolare tempo di lettura: 7 minuti Eventi. Oltre centomila da tutta Italia contro le mafie Per non perdere il filo Genova, città Libera Il capoluogo ligure ha ospitato la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, indetta dall’associazione di don Ciotti. Una straordinaria manifestazione che ha coinvolto anche molti giovani Davide Ghio, 20 anni “L a mafia è una montagna di merda”: queste le testuali ed incisive parole di Don Luigi Ciotti, che citando Peppino Impastato ha infiammato la folla di oltre centomila persone che si sono riversate a Genova il 17 marzo. È infatti nel capoluogo ligure che Libera, la rete di associazioni contro la mafia nata 17 anni fa, ha deciso di celebrare la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, proclamando la città “Porta d’Europa”. Genova e l’intera Liguria, nonostante non siano tradizionalmente pensate come terre del pizzo e dei clan, sono sempre più spesso al centro delle indagini della procura antimafia per attività di riciclaggio, di spaccio e di infiltrazioni mafiose: più di una maxi-confisca di cocaina nel porto di Genova e lo scioglimento dei Comuni di Bordighera e Ventimiglia nel giro di soli due anni ne sono la prova tangibile. In più, ricorda Don Ciotti, da un rapporto di Legambiente emergono delle infiltrazioni mafiose nel business del cemento, una vera piaga in Liguria. Libera ha per l’occasione pubblicato un dossier, con tutti i dettagli dell’attuale situazione nella regione, che è stato distribuito negli innumerevoli incontri (conferenze, proiezioni di documentari, concerti) che si sono susseguiti in città a partire dal 26 gennaio, data dell’inaugurazione di un negozio di prodotti equosolidali, “In sciä stradda”, e di una casa popolare in un palazzo confiscato ad un mafioso nel centro storico. Tutti gli incontri hanno avuto un unico denominatore comune: il dovere di manifestare il proprio dissenso e la partecipazione contro l’indifferenza generale. Ed il 17 marzo, a Genova, c’erano proprio tutti: i ragazzi di Libera del presidio “Francesca Morvillo”, scout venuti da ogni dove, in calzoncini corti nonostante la brezza del marzo genovese: fungevano da servizio d’ordine ed hanno retto, per tutta la durata del corteo, una monumentale bandiera della pace; sacerdoti e ragazzi dell’Azione Cattolica; figurava persino uno striscione dei “Gesuiti per Libera”; gruppi di Libera dal Trentino alla Sicilia, studenti del Meridione arrivati in giornata con colorati e variegati striscioni. Associazioni studentesche, Legambiente, comitati in ricordo delle vittime, i sindacati. Moltissimi i volti noti che hanno sfilato, tra cui il magistrato Gian Carlo Caselli, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il “prete del marciapiede” Don Andrea Gallo (la sua comunità di San Benedetto al Porto ha dato un grande contributo alla manifestazione), il sindaco uscente di Genova Marta Vincenzi, il presidente della Regione Claudio Burlando, i rappresentanti di molti comuni liguri e del Sud Italia. Ma protagonisti indiscussi della giornata sono stati gli oltre 500 familiari delle vittime delle mafie, che hanno sfilato compatti in testa; fra di loro Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Vincenzo Agostino, padre del poliziotto ucciso nel 1989: da quel giorno non ha più tagliato barba e capelli e non lo farà finché non si farà chiarezza sull’omicidio di suo figlio. C’era anche Giovanni Tizian, giovanissimo giornalista che vive sotto scorta perché minacciato dalla mafia. La giornata è stata essenzialmente di ricordo e di commemorazione: si sono limitati i grandi discorsi per lasciar spazio alla lettura degli 824 nomi delle vittime di mafia negli ultimi 150 anni, accompagnata da brani musicali e applausi della folla attenta: particolari “ovazioni” per i nomi di Peppino Impastato, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (dei quali ricorre il ventesimo anniversario della morte). E per Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso nel ’48 che, essendo morto prima del 1961, non può essere dichiarato vittima antimafia: questa è l’anomalia legislativa che, fra le altre cose, ha denunciato Don Ciotti sul palco, ricordando le singole vittime e citando molti casi, “sentiti sulla propria pelle”. Il sacerdote veneto ha invitato a non sottovalutare le mafie, “non forti, fortissime”, e quindi ad essere più forti come singoli individui: senza tale appoggio, l’azione della magistratura è inutile. Non è mancata anche una critica alla Chiesa: le “facce da angelo” dei mafiosi sono anche lì. L’eterogenea folla è poi tornata alle proprie case, con la gioia di aver scalfito l’indifferenza generale, almeno per un giorno. Sarzana. Pino Masciari incontra gli studenti C’è chi dice no Francesco Maiorana, 20 anni Pino Masciari è un imprenditore calabrese con una storia da raccontare, che sembra lontana, ma ci riguarda tutti molto da vicino. Anche se non è un oratore di professione, riesce a trasmettere con forti emozioni la sua delicatissima vicenda, sottolineando che questo Leviatano, la Mafia, è ormai diffuso anche nel nord del Paese. Pino Masciari si definisce una persona comune, semplice, ma questo non è vero. Fin da giovane aveva voluto seguire le orme del padre, anche lui imprenditore, specializzandosi successivamente nel settore edile. Negli anni ha dimostrato il suo valore raggiungendo livelli sempre più elevati nella sua attività d’impresa, aprendo cantieri anche all’estero. Ma il valore più grande l’ha dimostrato quando si è rifiutato di pagare il pizzo alla ‘ndrangheta o di entrare in affari con essa, dicendo no ad angherie, as- sunzioni pilotate, forniture imposte da qualche capo-cosca o da qualche amministratore. Fedele al senso civico e ancora fiducioso nei confronti dello Stato, ha visto svanire il sogno di una vita, la tranquillità e la felicità della sua famiglia, finendo in un programma speciale di protezione, insieme a sua moglie e ai due bambini. Ma nonostante tutto ha voluto ribadire che l’importanza e la stessa esistenza delle istituzioni dipendono da noi, comuni cittadini. Ed è proprio quando viene meno la fiducia in esse, che non dobbiamo restare inermi o indifferenti. Il messaggio che ci lascia Pino è che sta a noi scegliere il futuro che vogliamo. C’è un filo conduttore che lega il numero di Zai.net che state per leggere e comincia proprio dall’articolo qui accanto, che racconta la straordinaria partecipazione dei ragazzi alla Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime della mafia organizzata da Libera. Proseguendo verso l’inchiesta portante del giornale, troviamo l’analisi di uno dei fenomeni che stanno emergendo in alcune città italiane: quello dei movimenti neofascisti. I nostri reporter, coordinati da Chiara Falcone, si sono mossi alla ricerca delle ragioni di gravi episodi di violenza, ma hanno cercato soprattutto di indagare il perché questi gruppi esercitino tanto fascino tra gli adolescenti, scoprendo che una parte importante la gioca il mix tra suggestioni dei miti di uomini sanguinari del Novecento e il malcontento sociale di oggi dovuto alla crisi. La risposta? Qualche suggerimento saggio lo trovate nella nostra intervista a Moni Ovadia: l’intolleranza nasce dall’ignoranza (quanti non conoscono la Costituzione!) e la risposta è nella cultura della diversità; quindi nel garantire la libertà di espressione a tutti. E, allora, non poteva mancare un viaggio nel passato e nella memoria. Ci hanno pensato i ragazzi di Siena, coordinati da Simona Neri, e quelli dell’Aquila attraverso le testimonianze dei partigiani o dei nonni che hanno narrato la loro infanzia vissuta durante la dittatura fascista con tanti episodi di vita quotidiana. Del resto, lo ha fatto anche Simone Cristicchi, nel suo ultimo, commovente libro Mio nonno è morto in guerra, che raccoglie tante storie di uomini e donne con i ricordi della loro giovinezza segnata dalla seconda guerra mondiale. Ci piace ricordare che ne Il sentiero dei nidi di ragno il partigiano Kim pensa: «Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi». Di infinite «questioni private» - aggiungiamo noi - che insieme danno forma a un desiderio collettivo: lasciarsi alle spalle un mondo vecchio e cominciarne uno nuovo, migliore. Eccolo, il nostro filo conduttore. 4 Aprile 2012 Attualità Inchiesta INFOWEB teatrodellido.it Roma neofascista È l’allarme lanciato dal Presidente dell’Anpi Roma Francesco Porcaro, che denuncia la diffusione di gruppi estremisti. Estremamente pericolosi tempo di lettura: 16 minuti Focus. I fascismi del Terzo Millennio Tutto il nero dell’Italia Poco tempo fa un’indagine del think tank britannico Demos ha rilevato che in Europa un quarto dei sostenitori dei nuovi movimenti di destra appoggia il ricorso alla violenza. E il nostro Paese si allinea: con l’aiuto di due esperti ricostruiamo l’evoluzione di questi gruppi Lenore, 20 anni P iazza Dalmazia è un piccolo spazio verde della periferia nord di Firenze. Un supermercato, un bar, qualche negozietto e, ogni mattina, le bancarelle del mercato. Una mattina di dicembre un uomo si incammina in mezzo alla folla, armato di una pistola, e spara a Mor Diop e Samb Modou, due ambulanti, uccidendoli. Una strage a sfondo razziale, ad opera di un militante di estrema destra, uno dei numerosi episodi di violenza verificatisi in Italia negli ultimi anni. Per comprendere meglio il fenomeno dei movimenti neofascisti e il fascino che riescono ad esercitare sui più giovani, abbiamo parlato con Guido Caldiron, giornalista che all’estrema destra ha dedicato un’ampia bibliografia, e Carlo Bonini, giornalista e autore di A.C.A.B. (da cui il film di Stefano Sollima). Prima di tutto è opportuno tentare di tracciare una mappa di questi movimenti che si presentano con volti molto diversi sul panorama italiano. Ci spiega Bonini: «Con la fine del ‘900 la tradizione italiana si è divisa tra una componente che si autodefinisce “fascisti del terzo millennio” e la cosiddetta “fascisteria immaginaria”, che potremmo identificare con l’orizzonte culturale di CasaPound e che, storicamente, guarda al fascismo della prima ora. Poi c’è una forma di neofascismo minoritario, spesso in aperto conflitto con la tradizione più moderna, che in Italia si concentra intorno a Forza Nuova: una forma clericale, con venature neonaziste e accenti xenofobi marcatissimi. Si presentano sul mercato politico con un’offerta più radicale e perciò si sono sempre confermati inservibili alla destra “istituzionale”. La leadership politica di Forza Nuova è più in là con gli anni, cresciuta nell’Italia degli anni ‘70, nelle formazioni della destra extraparlamentare». Da un punto di vista geografico, tre sono gli epicentri in cui si sono sviluppati gli estremismi di destra secondo Caldiron: «Prima di tutto il Nordest, dove per la prima volta si sono organizzati a livello di rete i In un momento di crisi, in cui c’è una forte paura di perdere status sociale, diritti e benefit, è normale cercare un capro espiatorio: forze politiche come quelle che abbiamo fin qui descritto offrono questo capro espiatorio e mietono successi. È più facile prendersela col vicino immigrato che con la riorganizzazione del capitalismo globale gruppi dei cosiddetti naziskin, un fenomeno che risale ormai agli anni ‘90, ma che dura ancora oggi. Poi c’è la Lombardia, dove è accaduto qualcosa di simile: qui, la presenza in molte amministrazioni locali di forze politiche come la Lega ha facilitato anche negli ambienti giovanili un grosso scambio tra queste formazioni e realtà politico-amministrative. Infine Roma, che costituisce vicenda a sé: qui queste caratteristiche si sono sposate con una tradizione di squadrismo neofascista, che era attiva anche negli anni ‘70 e ‘80 e che ha passato il testimone alle nuove generazioni, mettendo insieme vecchie figure legate alla strategia della tensione e i nuovi giovani, spesso espressione della marginalità delle periferie». C’è quindi una coesistenza di vecchio e nuovo, di antichi miti che vengono reinterpretati alla luce delle nuove esigenze della società contemporanea e magari anche distorti. «Esattamente – conferma Bonini – Il pantheon cultu- rale cui loro fanno riferimento è molto confuso: al richiamo insistito ai natali storici si sovrappongono suggestioni novecentesche che poco o nulla hanno a che fare con la tradizione della destra. Ad esempio, spesso ravvisiamo riferimenti alle esperienze della lotta di liberazione in Sud America della seconda metà del ‘900, o alla questione palestinese». Precisa Caldiron: «Oltre il riuso delle vecchie mitologie - penso al fascista greco Codreanu, a Degrelle, che fu uno dei capi delle SS belghe - i movimenti neofascisti arrivano a reinterpretare anche miti della sinistra: pensiamo alla rilettura neofascista di Che Guevara, considerato eroe del popolo e combattente nazionale». Conferma Bonini: «Pensate che in un’intervista Iannone (fondatore di CasaPound, ndr) mi confessò di avere sul comodino, accanto a Marinetti, la biografia di Che Guevara. Più in generale, possiamo dire che il militante di destra porta in sé la storia del fascismo nella sua stagione iniziale, che nasce come costola del socialismo, tiene la parte che ritiene presentabile e liquida tutto il resto. Insomma, un curioso mix tra suggestioni novecentesche, spesso solo orecchiate e sapientemente ripulite, ed istanze sociali tipiche del nostro tempo». A proposito di CasaPound, il nome stesso già suggerisce un riferimento ben preciso a un personaggio del ‘900, Ezra Pound: «L’importante poeta americano è una figura che oggi trova una nuova cittadinanza nel movimento di Iannone: Ezra Pound si schierò contro l’usura e si espresse in modo abbastanza netto contro l’idea del potere del denaro nella società del ‘900, con delle connotazioni antisemite, e pagò le sue posizioni filofasciste con una lunga carcerazione. La sua vita è dunque emblematica per questi movimenti: c’è spesso l’idea di recuperare dei miti perdenti, di persone che hanno pagato le proprie posizioni politiche nel passato, trasformandoli in degli eroi, come una sorta di romanticismo nei simboli culturali», commenta Caldiron. Tutta questa opera di restaurazione ha conseguito il suo scopo: gran parte dei movimenti è composta da giovanissimi, ragazzi fra i 15 e i 20 anni. Ma cosa porta oggi un adolescente ad avvicinarsi ad un’ideologia di più di sessanta anni fa? A far riferimento a fatti che lui non ha mai vissuto? «Prima di tutto proprio l’ignoranza delle vicende storiche del ‘900 può aiutare a riconoscersi in un’ideologia razzista e di morte - afferma Caldiron - Poi c’è un elemento psicologico: vivendo in un regime democratico, il passato fascista e nazista ha assunto, nell’immaginario pubblico, la caratteristica di un tabù, di male assoluto, perciò è possibile che gli adolescenti giochino con questo elemento. È un modo di segnalare la loro diversità e il loro antagonismo rispetto alla società e alle famiglie: vogliono rappresentare l’eccesso massimo, utilizzando il male assoluto della storia». Se poi analizziamo un caso specifico, ci accorgiamo che è la capillarità sul territorio l’arma vincente. Ci spiega Bonini: «CasaPound nasce come 5 Aprile 2012 INFOWEB www.casapounditalia.org 22.800 Giovani estremisti crescono “The new face of digital populism”: questo il titolo della ricerca condotta da Demos su undicimila simpatizzanti di movimenti di estrema destra su Facebook. È emerso che la maggior parte degli intervistati fa parte di quei gruppi per valori condivisi, come l’identità e la paura dell’immigrato. luogo di aggregazione sul territorio intorno ad alcune battaglie: per gli spazi pubblici, per la casa, per il verde urbano, contro le banche e contro i tassi praticati da queste. Parole d’ordine che arrivano molto semplici e dirette agli interlocutori. Progressivamente, attorno a questa esperienza, nascono una radio, una libreria, una serie di pub. In qualche modo CasaPound trova il suo successo nel fatto di esserci, facendo sul territorio quello che ha fatto prima il Msi e poi la destra sociale di An. Adotta tutti gli elementi tipici della cultura giovanile, esaltati attorno a tre o quattro parole d’ordine che spesso si incrociano con bisogni sociali: insomma, crea una sorta di holding nel mercato dell’intrattenimento giovanile». CasaPound punta però a conquistare un elettorato sempre maggiore: a Roma ha deciso di presentarsi alle prossime elezioni amministrative. Riuscirà a cavalcare l’onda della crisi, facendo leva sul malcontento sociale? Bonini ipotizza: «La crisi ha certamente un peso importante. Il problema è che la battaglia per la casa, ad esempio, la fa CasaPound, ma anche Action e sotto tutt’altre bandiere. Il punto è capire come mai buona parte del risentimento e della frustrazione vengano assorbiti da CasaPound invece che da quella parte movimentista della sinistra. Io credo che sia dovuto ad un mutamento profondo e progressivo del senso comune del Paese: penso che l’Italia si sia da tempo cul- CasaPound ha occupato quello spazio che la destra aveva lasciato vuoto sul territorio e ha avuto un ruolo importante in termini di militanza I fan della pagina Fb di CasaPound Italia. Il gruppo è in continua crescita. turalmente spostata a destra». Più in generale, in un momento di forte paura, generata dall’incertezza del domani, di perdere status sociale, diritti e benefit, è normale cercare un capro espiatorio: «Forze politiche come quelle che abbiamo fin qui descritto offrono questo capro espiatorio e mietono successi - commenta Caldiron - Le persone che li votano in realtà non vedranno probabilmente mai risolti i loro problemi, ma verrà costantemente alimentata in loro l’idea che questi siano responsabilità di qualcuno. È più facile prendersela col vicino immigrato che con la riorganizzazione del capitalismo globale o con il sistema delle banche. Lo straniero che “ci ruba il lavoro” è un messaggio diretto, esplicito». E nel panorama istituzionale italiano ed europeo degli ultimi anni non mancano forze politiche vicine a questo messaggio. «Bisogna capire prima di tutto che c’è stata una trasformazione politica - spiega Caldiron - è caduta la distinzione tra il mondo conservatore e la destra estrema. Come indicano molte storie politiche, non solo quella italiana, gruppi populisti, estremisti e razzisti sono stati risucchiati all’interno delle dinamiche della politica nazionale fino a far parte di governi: questo ha banalizzato le loro posizioni, ha reso molto più praticabili e commestibili le pratiche antidemocratiche in seno alla democrazia e ha fatto sì che oggi il populismo di destra non sia più marginale nello spazio politico europeo, ma sia talvolta il cuore della battaglia politica. Ci sono Paesi, basti guardare la campagna per le presidenziali in Francia, dove tutto si gioca sulle politiche nei confronti degli immigrati o su come distribuire ciò che rimane del welfare: il tema dell’etnicità e dell’appartenenza nazionale è diventato centrale. Non solo, è prassi ormai comune che forze che presentano una critica radicale e si di- mostrano irriducibili alla democrazia, utilizzino proprio gli strumenti democratici per mietere consensi». Ma in realtà movimenti come CasaPound si differenziano dalla maggioranza politica italiana: se ne distaccano e trovano in sé una loro identità: «Il ventennio da cui stiamo uscendo ha avuto un ruolo importante: la maggioranza politica del Paese, non necessariamente elettorale, si è sensibilmente spostata a destra e CasaPound ha lavorato molto sul senso comune maggioritario, in chiave spesso nazionale, differenziandosi dalle fughe in avanti che nella maggioranza politica poteva rappresentare una forza come la Lega. Ha occupato quello spazio che la destra aveva lasciato vuoto sul territorio e, siccome si rivolge ad una fascia d’età di chi si affaccia per la prima volta alla politica, ha avuto un ruolo importante in termini di militanza e di attenzione», conclude Bonini. Roma. Escalation di violenza sul litorale Ostia: agguato alla cultura Giulia T. e Giovanni F., 19 anni Che si tratti di risse o di aggressioni, molte indagini sono ancora in corso, Roma sta diventando sempre più spesso teatro di violenza e di scontri fra movimenti di estrema destra e collettivi di sinistra. Ultima in ordine di tempo, la vera e propria guerriglia urbana a Casal Bertone, sulla Tiburtina, in cui sono rimaste coinvolte decine di persone. Alla periferia sud della città, poi, il disagio sembra crescere di giorno in giorno. Il 24 febbraio scorso, ad Ostia, c’è stata una rissa fra esponenti di CasaPound e del Comitato per il Teatro del Lido Occupato, studenti, militanti del collettivo l’Officina e di Rifondazione comunista. Bilancio: tre ragazzi all’ospedale e ventiquattro denunciati. Per completezza di informazione, precisiamo che il caso cui ci riferiamo è ancora oggetto di indagine e che le parti dichiarano una versione opposta. Ma provate a rileggere chi è rimasto coinvolto nello scontro: militanti politici, ma non solo; anche studenti e ragazzi del Comitato per il Teatro del Lido Occupato. Siamo andati lì aspettandoci un centro sociale politicizzato o un covo di comunisti falce alla mano e pugno alzato: ma ri- credersi è stato per noi un obbligo. Il Teatro Lido di Ostia - come il nome stesso deve suggerire - è un centro di cultura, recitazione, ma soprattutto di lavoro sul territorio, con l’obiettivo di risollevare i problemi di una periferia oppressa dal disagio, dalla crisi e dalla precarietà. Parliamo con Claudio, il portavoce dei ragazzi occupanti, che ci chiarisce gli obiettivi del Teatro e parla della recente aggressione del 24 febbraio di CasaPound ai loro danni. «Noi ci definiamo operatori culturali, termine che contiene sia aspetti civici che politici: per politica intendiamo vita, fare uno spettacolo come un attacchinaggio, intrattenimento, non un partito o un rappresentante istituzionale», spiega Claudio. Il comitato per il Teatro Lido Occupato non vuole porsi come alternativa a CasaPound perché non si definisce un movimento di sinistra: «Non siamo un centro sociale, realtà che rispettiamo molto, ma semplicemente non siamo questo - tiene a precisare Claudio - È molto importante capire che non viviamo nella contrapposizione a CasaPound, è una riduzione giornalistica che rischia di non far capire la complessità del nostro lavoro nel territorio. Questo non significa che per noi l’antifascismo non sia un aspetto del fare cultura, uno strumento: in una periferia come I manifesti del Comitato per il Teatro del Lido Occupato imbrattati da celtiche Ostia, vittima della crisi e della precarietà, il fascismo inteso non solo come movimento politico, ma come atteggiamento culturale, penetra con facilità all’interno dei settori sociali». Ed effettivamente negli ultimi anni CasaPound ha aumentato la sua agibilità ad Ostia e ha recentemente aperto un circolo\pub chiamato Idrovolante: viene da chiedersi se tutto questo sia collegato agli ultimi cinque anni di amministrazione di centrodestra. Spiega Claudio: «Il municipio ha un rapporto diretto con l’amministrazione comunale. Durante questi anni sono piovuti tanti finanziamenti sul- l’estrema destra romana e qui a Ostia, la vicinanza fra esponenti di CasaPound e alcuni politici locali ha secondo noi sancito la loro agibilità politica». E così nel giro di due anni si assiste a un’escalation di tensioni. Prosegue Claudio: «Oltre ai tentativi di effrazione e altre aggressioni che abbiamo subìto, ci sono arrivate segnalazioni anche da altri ragazzi del quartiere, che ci hanno raccontato episodi di intimidazione, celtiche e scritte sui muri, spintoni. Il modus operandi è: vengo lì, ti riconosco e ti dico: “ah, sei uno di quelli, ti dovrei picchiare, ma non lo faccio perché sono buono”. E la sera del 24 febbraio, invece, c’è stata l’aggressione vera e propria: i nostri compagni erano nel pulmino e sono stati accerchiati da un gruppo di ragazzi che hanno cominciato a battere con caschi e tubi sui vetri. Sono scesi e c’è stata l’aggressione». I ragazzi del Comitato, che sottolineano come non si sia trattato di scontro, ma di aggressione, concludono: «Noi non abbiamo problemi con gli esponenti di destra, il teatro è aperto a tutti, però pensiamo che le comunità vadano rispettate e di fronte a chi attacca la diversità chiudiamo le porte». 6 Aprile 2012 Attualità Inchiesta INFOWEB www.zai.net tempo di lettura: 10 minuti Roma. La testimonianza di un professore Se la violenza arriva a scuola Claudia R., 18 anni Via Campania, centro di Roma: la mattina del nove marzo al liceo scientifico “Righi” si scontrano ragazzi del Collettivo Senza Tregua e del movimento Controtempo. Bilancio: tre feriti. Un episodio inaccettabile in quanto ad essere aggrediti non sono stati soltanto – e sarebbe stato comunque grave – militanti, ma studenti come noi. Anche in questo caso la situazione non è chiarita e c’è un’indagine in corso, ma per molti l’aggressione è solo la punta dell’iceberg, la manifestazione di un problema più complesso. Abbiamo deciso di intervistare un professore del “Righi” che preferisce rimanere anonimo: quella mattina lui era davanti all’ingresso. «Quando spiego ai miei ragazzi i vari filosofi, cerco prima di tutto di mettere a fuoco il contesto culturale in cui sono vissuti. Dopo aver parlato di Locke e Kant, iniziatori di concetti fondamentali come libertà e tolleranza, ho apprezzato come molti dei miei ragazzi abbiano interiorizzato tutto ciò e di conseguenza non possano che condannare episodi del genere». C’è tuttavia una minoranza che sembra non fare tesoro di questi insegnamenti. Continua il docente: «Questi ragazzi fanno riferimento a un modello politico e di società del quale in realtà non conoscono nulla. Se io chiedo loro quali siano state le decisioni di carattere culturale del regime fascista, nessuno mi sa rispondere. E la cosa peggiore è che questo per loro non è un problema: gli basta essere legati agli slogan, alle frasi, ai nomi, sentirsi militanti di qualcosa». E proprio tra noi ragazzi, lontani e forse inconsapevoli di tanti avvenimenti, prolifera questo clima di tensione: «Io quella mattina c’ero e ho visto questi ragazzi - spiega il professore - erano spavaldi, violenti, ma quello che più mi ha colpito era la loro freddezza. Gelidi e aggressivi, sono spesso ragazzi problematici, che non studiano e non lavorano. Mi chiedo quale futuro stiano costruendo». Ma qual è il loro background socioculturale? «L’epicentro di questi episodi è la zona di Roma Nord, in quartieri come Parioli, Trieste, dove abitano famiglie agiate o comunque non povere. Alcuni sono figli di professionisti e non hanno paura di scontrarsi a viso scoperto, come se in qualche modo fossero protetti o perché sono pronti a tutto», avverte il professore. Il giorno dell’aggressione il gruppo sapeva che avrebbe trovato lì i ragazzi del Collettivo radunati per andare alla manifestazione sindacale della Fiom: «È del tutto evidente che siano stati avvertiti da qualcuno all’interno della scuola il giorno prima. Ora funziona così: in ogni istituto ci sono pochi esponenti di questi movimenti; per volantinare e fare proseliti, ciascuno si scambia la sua scuola, in modo da essere meno riconoscibile. In più, i volantini che gli aggressori stavano distribuendo erano vecchi, si riferivano ad una polemica precedente ed erano già stati diffusi in altre scuole», ci spiega il docente. Quel giorno, all’ora dell’entrata, molti insegnanti sono rimasti loro malgrado coinvolti nello scontro proprio mentre cercavano di salire a scuola: «Assistere agli scontri per me è stato come tornare ad alcune scene degli anni ‘70: un altissimo tasso di violenza gratuita, quasi sadismo, un istinto di morte e di distruzione che mette paura». Siamo dunque tornati agli Anni di piombo? Forse le generazioni degli anni ‘70 erano più ideologizzate, adesso i ragazzi si impossessano di una fraseologia di cui non conoscono i contenuti. Ma a quale scopo? Si chiede il prof: «Per far progredire la società italiana? Per costruire un’Europa solidale e democratica? Per realizzare finalmente la Carta Costituzionale del nostro Paese? No certamente. Il loro obiettivo è riprodurre modelli politici e culturali sconfitti dalla storia. E ciò che è sconfitto dagli eventi non torna più». L’aggressività, la violenza sembrano quindi l’unico mezzo per autoaffermarsi. Ci avverte il docente: «Questi nuclei non sono interessati al dialogo, hanno riferimenti culturali deviati e la violenza come mezzo per darsi potenza. Il contatto con l’altro non è su un piano, anche se di scontro, ma dialettico: chi la pensa diversamente è un nemico da colpire e da eliminare. Quello che mi spaventa è che, pur essendo una minoranza, sia in netta crescita sul terri- torio romano: a fare gioco sono i concetti di sicurezza, ordine, potenza, che spingono un ragazzo fragile emotivamente dritto fra le braccia di questi movimenti». E le istituzioni? «Fanno pochissimo - continua - né per controllare o reprimere, né per cercare un dialogo. Eppure non sembra esserci alcuna attenzione al fenomeno, anzi: in alcuni casi il ruolo delle istituzioni è stato palesemente o ambiguamente di sostegno. Fatto sta che oggi nella nostra città assistiamo ad un’attività di picchettamento continuo che prima non c’era da parte questi movimenti. Cosa è accaduto? Perché gli organismi competenti non intervengono, ciascuno secondo le proprie responsabilità? Ci sono troppi punti oscuri nel comportamento e nelle decisioni dei nostri diversi livelli istituzionali». Come combattere tutto questo? Conclude il professore: «Con la cultura: l’unica risposta che noi insegnanti siamo in grado di dare è l’invito a studiare per capire le dinamiche della storia e non ripetere gli stessi errori. Se questo invito non verrà raccolto, mi chiedo quale sarà la classe dirigente che ci aspetta». I risultati della nostra indagine Opinioni. Quando i disordini sconvolgono una città Intolleranza e xenofobia: Milano estrema Martina Pi, 20 anni Non sono mai stata per il bianco o il nero, ma per tutte le ottime sfumature di grigio che ci sono in mezzo. E non amo solo le sfumature cromatiche, ma anche quelle politiche e sociali. Sempre più spesso sembra non esserci più spazio per il dialogo, né per la libertà di pensiero: ciò che ciclicamente accade a Milano ne è la prova. A partire da quanto accaduto poco tempo fa al liceo Classico “Berchet”, dove un rappresentante degli studenti è stato aggredito per aver rifiutato e criticato un volantino degli studenti del movimento Forza Nuova. Un episodio simile si era verificato nel settembre scorso al “Manzoni”, in cui era stato aggredito uno studente di destra in uno scontro fra opposti colori. E da questi disordini non sembra esimersi nemmeno l’ambiente universitario: all’Università Cattolica del Sacro Cuore agli inizi di marzo sono stati appesi alcuni manifesti che pubblicizzavano la presentazio- ne del libro Il fez e la kippah di Andrea Giacobazzi, con le caricature degli ebrei degli anni Trenta. Nel 2008 gli studenti del Comitato Universitario Iniziative di Base avevano appeso nei chiostri dieci manifesti con croci celtiche. La libertà di espressione è sacrosanta e Voltaire dichiarò che si sarebbe battuto per la possibilità di esprimere qualunque idea dell’altro, pur non condividendola, ma a questo punto mi chiedo: gli estremismi di destra, sinistra, su, giù e centro sono da difendere o da placare? 7 Aprile 2012 Attualità Cultura INFOWEB www.moniovadia.net Liste antisemite Su un sito d'ispirazione neonazista una lista di professori definiti pericolosi e collaboratori dell’intelligence israeliana. Generazioni a confronto tempo di lettura: 9 minuti Democrazia. La lezione di Moni Ovadia Padri e figli: fine dell’alleanza? I giovani hanno bisogno di quegli anticorpi che solo la cultura può dare loro e di ricreare quel patto tra le generazioni che i padri hanno rotto Laura Santi Amantini, 19 anni I n Italia c’è un’ignoranza diffusa della Costituzione, persino dell’articolo 1. La materia dell’educazione civica, che doveva formare i giovani ai principi della Carta è sparita; ed è soprattutto sui giovani, privi dei necessari anticorpi per difendersi, che la demagogia populista e xenofoba ha facile presa, specie nei periodi di crisi. Se fai parte degli eletti che hanno i privilegi puoi essere attratto dalle ideologie di chi dice che gli stranieri ci portano via il lavoro. L’ex ministro Maroni recentemente ha ammesso che la Lega ha utilizzato espressioni razziste per racimolare voti. Lo dice oggi, dopo vent’anni di questa propaganda che ha giocato bene sulla paura di “quelli” che ci invadono. La paura è uno dei sentimenti più potenti, soprattutto per chi ha una scarsa formazione culturale. La vera cultura nasce dalle diversità. La difesa delle tradizioni localiste rischia di ridursi alla fine alla sagra della polenta e della salamella. Ora che la globalizzazione ha portato ai vertici della leadership economica India e Cina, che non appartengono, nell’immaginario delle destre xenofobe, alla razza dominante la presunta supremazia crolla di fronte all’evidenza. Il razzista teme il confronto, vuole essere migliore per definizione, senza dimostrarlo, altrimenti farebbe una figura meschina. Lo xenofobo non si lancia contro il presidente Obama, che è per metà africano, ma governa il Paese più potente del mondo. Preferisce attaccare i poveri, quelli più indifesi, come i rom, che non hanno uno Stato di riferimento e non vogliono omologarsi. Nella cultura occidentale l’uniformità è un valore, la diversità un disvalore. Ma l’essere umano ha una caratteristica straordinaria: è universale e nello stesso tempo ha delle specificità che sono proprio la bellezza dell’universale umano. Le culture conservatrici rea- Foto di Pino Settanni Razzisti di comodo zionarie non lo vogliono accettare, perché la diversità è fonte di critica al modello dominante, che vuole invece tenere sotto controllo tutto. L’antisemitismo continua ad essere cavalcato, ma in forma latente; oggi è molto sotto controllo perché gli ebrei sono entrati ormai nel salotto buono. Tutti, compresi i politici di destra, mettono lo zucchetto e fanno visita al lager di Auschwitz, per poi dire “Mi sento israeliano”. In realtà, confondono “ebreo” con “israeliano” e lo fanno in modo strumentale, anche perché Israele è amico degli Stati Uniti; se questo stato di fatto cambiasse per qualche ragione, l’antisemitismo risorgerebbe. Gli ebrei, intesi come minoranza emarginata e perseguitata, sono stati sempre una spina nel fianco nella cultura occidentale, con la loro visione del mondo che contrastava con la grande omologazione che le linee di potere del Cristianesimo a lungo hanno preteso. Sì, è vero, è stato istituito il Giorno della memoria, c’è tutta una letteratura dedicata alla Shoah, ma se si dovesse andare alla radice di quanto è successo c’è ancora molta ipocrisia. Sì ai giovani, no al giovanilismo Una società di adulti mascalzoni ha rotto il patto fra le generazioni. Ci sono uomini che hanno passato il tempo ad accumulare denaro, corrompendo e facendosi corrompere. Sono gli stessi che si imbalsamano per sembrare eternamente giovani, perché odiano i giovani e non vogliono che camminino con le loro gambe. Dovremmo ricordare il famoso episodio della “legatura di Isacco”, impropriamente noto come “sacrificio di Isacco”. L’episodio riporta l’alleanza tra padre e figlio, dove quest’ultimo accetta di rappresentare la condizione di figlio nella società tribale, legato al potere del padre. Il sacrificio è solo una grande rappresentazione teatrale per rompere questo schema: Isacco infatti non verrà sacrificato, i suoi legami saranno sciolti e l’umanità passerà dalla tribalità, in cui il padre è padrone del figlio, alla socialità, in cui il figlio è libero e appartiene al futuro, al quale il genitore deve prepararlo attraverso un’alleanza di trasmissione di saperi e di rispetto reciproco. Oggi questa alleanza è stata rotta in un altro modo; il padre vuole avere il potere del padre e l’energia del figlio: una perversione terrificante. I giovani sono dotati di straordinarie energie che si trasformeranno in esperienza progressivamente e, se assumeranno la consapevolezza piena del cammino, potranno svolgere un ruolo fondamentale. C’è vitale bisogno della loro azione e del loro talento, che è dovuto però non al fatto che siano essere umani diversi ai vecchi, ma al fatto che vivono una fase diversa del loro viaggio. Prima si hanno più energie, poi più consapevolezza e capacità di direzionarle. Per fare un esempio, Moni Ovadia il vagabondo Moni Ovadia, uno dei più noti uomini di cultura della scena italiana, è nato nel 1946 a Plovdiv, in Bulgaria, da una famiglia ebraico-sefardita, ma è cresciuto in Italia. Dopo gli studi universitari ha iniziato la sua carriera d’artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari Paesi. Si è poi avvicinato al teatro, conqui- stando il grande pubblico con lo spettacolo “Oylem Goylem”. Filo conduttore della sua attività artistica – si legge sul suo sito – è il “vagabondaggio culturale e reale” proprio del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante. Ovadia collabora con diverse testate giornalistiche ed è noto per il suo costante impegno a sostegno dei diritti e della pace. solo 5 scalatori hanno raggiunto gli 8000 metri e ci sono riusciti dopo i 40 anni. Le grandi rivoluzioni sono state fatte praticamente tutte dai giovani, con meno di 30 anni. Loro hanno la lucidità di vedere il nuovo che avanza. Insieme, collaborando dialetticamente con le generazioni che hanno esperienza si può costruire un grande mondo. Ma senza la grande truffa del “giovanilismo”; I giovani, come categoria sociologica, sono stati inventati dall’industria statunitense per sfruttarli economicamente, propinando loro un sacco di ciarpame. Questa magnifica riserva di energia, se investita su saperi, coscienza e consapevolezza, può portare a risultati straordinari; se investita nelle trappole del consumismo, rischia di creare dei giovane pirla. La forza del teatro Sono onorato di avere molto pubblico giovane ai miei spettacoli teatrali. I ragazzi, quelli che hanno voglia di sapere, di non essere sudditi ma cittadini, vogliono verità e riconoscono, invece, chi fa solo il mestierante per tirare a campare. Il teatro ha la responsabilità di non raggirare il pubblico e di offrire la sfida del confronto. Per avvicinare anche i più distratti, quelli che scelgono di vedere un attore solo se è stato al Grande Fratello, bisogna agire sul piano didattico educativo, inserendo, ad esempio, il teatro nel piano di studi. L’educazione è gran parte di ciò che conta nel destino dell’individuo. Madre Teresa e Hitler avevano lo stesso DNA, è stata solo l’educazione a renderli diversi. L’essere umano non è buono o cattivo per natura, ma è un progetto aperto, e questo è l’aspetto più straordinario e al contempo terribile. E magari qualcuno, venendo a teatro anche controvoglia, all’improvviso può scoprire che qualcosa nel suo cuore è diverso da quello che pensava e riesce a mettere in crisi le becere certezze televisive. Il teatro è un mezzo educativo poderoso, perché utilizza tutti i registri conoscitivi, non solo quello razionale, ma anche quello emotivo, viscerale, erotico. Non credo sia un caso che il più grande esponente della cultura occidentale di tutti i tempi sia stato un teatrante: Shakespeare. 8 Aprile 2012 Vivere a... Nairobi INFOWEB www.nation.co.ke nairobinow.wordpress.com Alle urne Le prossime presidenziali si terranno nel 2013. Negli scontri che seguirono quelle del 2007 rimasero uccise oltre mille persone. Una capitale in cerca d'identità tempo di lettura: 7 minuti Contrasti. L’Africa che non ti aspetti Il Kenya ha un’anima rock Là dove niente o quasi di tutto ciò che avete sempre immaginato sul continente africano corrisponde alla realtà. Viaggio nella Nairobi che cresce FIVE UP Francesco Giasi, stagista presso la Fao 1 La vicinanza dell’equatore regala un clima mite e temperato tutto l’anno 2 È facile interagire con persone provenienti da ogni parte del globo 3 Nairobi è sede di numerose organizzazioni internazionali, società e imprese occidentali 4 Un sistema ramificato di matatu e bus permette di evitare l’uso di costosi mezzi privati 5 Nairobi è il cuore pulsante della crescita economica e “istituzionale” del Paese FIVE DOWN Lo smog. Circolano migliaia di automobili “fumanti” 1 Criminalità. Bisogna prestare molta attenzione, soprattutto nelle ore notturne 2 Poche le aree verdi che fanno spazio a ecomostri in continua costruzione 3 I prezzi per condurre un “medio” stile di vita sono relativamente alti 4 Effetto villaggio. In termini di riservatezza e privacy si ha la sensazione di non essere in una megalopoli, ma in un piccolo villaggio di campagna 5 D imenticate la storia della gazzella che dovrà correre più del leone. Dimenticate le canzonette tradizionali per turisti attempati in cerca di un caldo sole “invernale”. Nairobi è tanto di più. È una megalopoli in espansione, un contenitore multicolore, dinamico e rumoroso che racchiude nel suo ventre una miriade di microcosmi profondamente in contrasto tra loro. Passeggiare per le vie della città è un incredibile esperimento sociale e antropologico. Nello stesso istante è possibile riconoscere l’ambulante che vende mango e avocado, il cooperante che fa jogging sui marciapiedi di terra rossa, la schiera di tassisti che contratta il prezzo della corsa, instancabili (e sfruttati) operai cinesi al lavoro nei numerosissimi cantieri, ricchi commercianti indiani su potentissimi suv occidentali, artigiani che lavorano il legno al bordo delle strade, colorati matatu (van privati adibiti al trasporto pubblico) con musica reggae a tutto volume, acacie profumate, soldati che passeggiano imbracciando incredibili fucili, lussuosi hotel, mendicanti nelle loro dimore di cartone, jeep bianche targate UN con potentissime antenne radio. Una lista asfissiante ma reale, per descrivere quale groviglio di rumori, sensazioni e contraddizioni animino le vie di questa folle città. Fondamentale punto di riferimento per la diplomazia e la cooperazione internazionale nell’intera Africa subsahariana, Nairobi è la capitale di un Paese dove c’è fame di riscatto sociale, dove la middle class cresce sensibilmente e assapora passo dopo passo, “pole pole” come si usa dire nella lingua locale, il kiswahili, le comodità di standard di vita fino a poco tempo fa considerate inaccessibili. Cresce la schiera di giovani laureati, cresce la quantità di lavoro e di consumi. Un circolo virtuoso in fieri visibile anche a livello governativo. Vision 2030 è il programma che guarda al futuro delle generazioni keniote: educazione, sanità, servizi e infrastrutture. Anche lo sky- line è in espansione. Nel giro di pochi mesi spuntano nuove arterie stradali, interi nuovi quartieri a discapito delle aree verdi e a favore dei tanti costruttori indiani e cinesi che qui hanno trovato voglia di “espansione territoriale” e un’assoluta mancanza di vincoli ambientali o paesaggistici. L’entropia colorata di questa città si accende di sfumature ancora più intense e drammatiche, allontanandosi dai quartieri centrali e addentrandosi nelle numerose e popolosissime baraccopoli che la circondano. Qui il livello di povertà, di accesso ai servizi essenziali e alle condizioni minime di salute ed igiene è ben al di sotto degli standard minimi fissati dalle organizzazioni internazionali. Una serie complessa di costruzioni non terminate, capanne e lamiere si intersecano tra loro dando vita a delle vere e proprie cittadelle, dove la vita ha un ritmo sì incessante, ma con un battito e un obiettivo giornaliero: la sopravvivenza. Non è facile adeguarsi a tali contrasti: da un lato una cornice inumana e dimenticata e dall’altro il cuore di una città che pulsa, da un lato la disperazione e la ricerca quotidiana dei beni di prima necessità e dall’altro l’ostentazione di una movida paragonabile a quella di una qualsiasi altra capitale occidentale. Paradossalmente non si può comprendere fino in fondo questa folle e contraddittoria realtà senza aver conosciuto anche la sua “anima rock”. Quando il sole tarda a tramontare, appena prima del brevissimo crepuscolo equatoriale, si scatena un network di meeting, incontri di lavoro e aperitivi Il cuore della città tra banche, uffici e ambasciate a base di “tusker baridi”, l’amatissima birra locale. Dismessi gli abiti da lavoro, Nairobi diventa vibrante e coinvolgente. Si può passare con facilità dal sushi bar alla serata jazz, dal club molto ricercato alla “balera” keniana, Arte di strada: mercatini all’ingresso della città dal ristorante etiope ai concerti organizzati dai numerosi istituti di cultura. Ma la nightlife nairobense è tanto attraente quanto pericolosa: la città si attesta sempre nelle prime posizioni nelle classifiche mondiali sulla criminalità. All’imbrunire è infatti assolutamente sconsigliato spostarsi a piedi o spesso anche solo con mezzi pubblici. Ciò di cui davvero si sente la mancanza e l’esigenza dopo qualche mese a Nairobi è una passeggiata notturna, una camera di compensazione dai mille colori e rumori mattutini, qualche passo col naso all’insù davanti a un cielo stellato. E se per caso dinanzi a tante stelle si cercherà l’Orsa Maggiore, bisognerà stare attenti. Qui dove tutto ha un sapore e un profumo diverso, anche lei, contraddittoria, apparirà sprezzante delle “nostre regole”, appena sopra l’orizzonte. 9 Aprile 2012 Vivere a... Chiavari INFOWEB www.comune.chiavari.ge.it, www.nonsolotigullio.com www.radiojeans.net On air Nel CAG Acquarone di Chiavari i ragazzi realizzano un programma per Radio Jeans: Ti voglio bene Charlie! Il volto giovane della riviera tempo di lettura: 7 minuti Proposte. Cosa chiedono i ragazzi Il fascino discreto dei portici I giovani chiavaresi analizzano pregi e difetti della loro cittadina. Ma le loro critiche sono costruttive. Se fossero nei panni del sindaco, ad esempio... Daniel Ingenito, 17 anni Stefania Montoro, 19 anni Giulia Noceti, 19 anni C hiavari è un incontro tra passato e presente. Nulla di eccezionale, forse, ma la parte più antica, quella più vicina alla nostra scuola, ha un suo fascino particolare, con i portici medievali neri d’ardesia e il castello, mal conservato, che domina la zona di Rupinaro. Qui i segni del passato si mescolano a quelli del presente: bar, pizzerie, ristorantini, alcuni anche etnici, e vecchi fainotti dove si serve la tipica farinata fatta di farina di ceci, acqua, sale ed olio. Non ci sono discoteche, è vero, ma bastano pochi chilometri e si possono raggiungere i locali presenti nelle altre località vicine. I carruggi, ovvero i vicoli del centro, fanno la fortuna di Chiavari con negozi di ogni genere, dalle gioiellerie ai panifici, e bar sempre pieni. Ma il vero punto di forza sono i portici, che permettono di passeggiare anche con il maltempo, salvandoci dalle cupe giornate di pioggia che, altrimenti, ci costringerebbero a restare in casa a “smanettare” al computer o a guardare la tv. In estate Chiavari offre spiagge attrezzate e complete di ogni confort. Per chi non vuole spendere per un lettino e un ombrellone, però, c’è il rovescio della medaglia: le spiagge libere scarseggiano. D’inverno, invece, apre la pista di pattinaggio sul ghiaccio, frequentata da bambini e da noi ragazzi. Dopo lo sport, la tappa obbligata è uno spuntino nella più modaiola “Carugiu dritu”, dove i forni offrono la fragrante focaccia e le antiche pasticcerie - una ha recentemente festeggiato il centocinquantesimo compleanno - ottime brioches. Poco distante si trova piazza Mazzini, meglio nota come “piazza dei cavoli”, così chiamata dai chiavaresi perché ogni giorno vi si tiene il mercato della frutta e della verdura, che proviene dalle colline intorno alla città ed è quindi a chilometri zero. Chiavari, infatti, è circondata da un ampio entro- Foto di Luca Prestini Centro storico: i portici terra collinare, ricco di testimonianze del passato e oggi attivo in vari settori produttivi. Molti ragazzi provengono da queste zone limitrofe, collegate piuttosto bene alla città grazie ai servizi pubblici. Chi viene in macchina, invece, ha difficoltà a trovare parcheggio perché gli spazi riservati a questo scopo, attualmente, sono pochi e a pagamento (piuttosto salato). Qualcuno viene in bicicletta, ma è una soluzione rischiosa: in centro non ci sono piste ciclabili ed è pericoloso transitare nelle strette e trafficate vie cittadine. Sotto l’aspetto culturale Chiavari offre molto, soprattutto alle persone di una certa età. Non mancano certo i musei, da quello della preistoria, che raccoglie i reperti della necropoli preromana, al Museo Diocesano, o ancora al Museo della Società Economica, la più illustre ed antica istituzione culturale della zona. E non vanno dimenticati l’auditorium di San Francesco, il teatro Cantero, dove si tiene una stagione lirica, e il Cinema Mignon. Ciò nonostante, per noi ragazzi l’offerta è un po’ esigua anche perché manca una sala da musica per i giovani, a parte il Centro Acquarone. Avremmo bisogno anche di altri luoghi di aggregazione, aperti al pomeriggio e alla sera, da frequentare dopo la scuola per fare qualcosa di alternativo al solito giro in caruggio o sul lungomare. Gli spazi per organizzare nuovi eventi ci sarebbero, a cominciare dai giardini di villa Rocca, un bellissimo parco del Seicento nel cuore della città, dove si potrebbero tenere concerti, rappresentazioni teatrali ed altre manifestazioni. Le strutture sportive sono in posizione periferica, non facili da raggiungere; si potrebbe ovviare utilizzando le aree ricavate dalla colmata sul mare, un posto che merita di essere valorizzato e rivalutato, insieme all’antico quartiere dei pescatori e alla Colonia Fara, trascurata ormai da anni, ma situata in uno degli angoli più belli e riparati del Golfo Tigullio. Chiavari dovrebbe aprirsi un po’ di più alle esigenze dei giovani, anche perché il numero di ragazzi che la frequentano, grazie ai molti istituti scolastici che ospita, è veramente notevole. Le prime mosse se ci trovassimo nei panni del sindaco? Innanzi tutto dotare la città di una buona rete di piste ciclabili, aumentare il servizio pubblico, anche con mezzi più piccoli ed ecologici, e creare un programma di appuntamenti per i giovani più fitto, che contempli eventi culturali e concerti. Ed infine, aggiungere un po’ di verde in più, che renderebbe più piacevole la vita in città. FIVE UP 1 2 La zona pedonale. Caruggi e portici proteggono da pioggia, vento e caldo Bar e ristoranti: un po’ cari ma numerosi ed accoglienti 3 Le spiagge attrezzate: tante e sempre ben tenute! 4 Si raggiunge facilmente con treni e corriere, sulla costa e dall’entroterra! 5 L’offerta formativa: dagli enti regionali accreditati alle scuole private. Ma soprattutto, le scuole pubbliche! FIVE DOWN Il traffico: non è allarmante, ma fastidioso e poco controllato. Ci vorrebbero delle piste ciclabili Mancano discoteche o locali notturni per giovani. Ci sono pochi eventi, concentrati soprattutto in estate. Foto di Erica Bernardello La città vista dalla collina delle Grazie 1 2 A differenza di quelle attrezzate, le spiagge libere sono pochissime 3 Le aree verdi sono davvero troppo poche 4 Non c’è ancora un’adeguata raccolta differenziata 5 10 Toscana Aprile 2012 Sotto i venti INFOWEB www.italia-liberazione.it/siena Date storiche Il 25 aprile si festeggia la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. La città di Siena fu liberata il 3 luglio del 1944. Siena: storie dalla Resistenza Quel giorno sul Monte Maggio A colloquio con il partigiano Vittorio Meoni, presidente dell’Istituto storico della Resistenza senese. Perchè è diventato partigiano? «In realtà ero già stato arrestato prima della caduta di Mussolini, perché avevo manifestato le mie idee contrarie al fascismo e al suo sistema corporativo. Poi, dopo l’8 Settembre e la costituzione della Repubblica sociale a Salò, mi arrestarono nuovamente, solo perché ero già stato in carcere. Feci due mesi di prigione, a disposizione della Banda di Carità, un reparto di servizi speciali fascista che arrestava e torturava gli antifascisti». Anche lei subì delle torture? «Si, se non facevi i nomi degli antifascisti che volevano trovare, ti picchiavano. A Firenze ero sempre sotto sorveglianza, perciò andai ad unirmi ad una formazione partigiana in provincia di Siena». Cosa accadde quel giorno sul Monte Maggio? «Avevamo catturato un ufficale tedesco ed uno fascista, proponendo di scambiarli con alcuni prigionieri incarcerati a Siena. I fascisti, invece di accettare, organizzarono un rastrellamento, vennero su a Monte Maggio e circondarono la casa dove ci eravamo rifugiati. Iniziò il combattimento, noi finimmo le munizioni e ci arrendemmo al nemico. Uno dei nostri morì nello scontro, un altro fu ferito e appena lo presero lo portarono al limite del bosco e lo uccisero, noi altri diciotto fummo portati giù verso la strada dove avevano preparato il plotone di esecuzione per fucilarci. Un attimo prima che iniziassero a sparare riuscii a scappare nel bosco. Io fui ferito ad un polmone, gli altri diciassette morirono. Arrivai ad una casa colonica, di lì fui trasportato all’ospedale di Siena. Sono stato lì un mesepiantonato dai fascisti. Poi mi trasferirono all’infermeria del carcere di Siena e poi a Firenze. Qui fui scarcerato, perché il tribunale militare aveva emanato un ordine di fucilazione, ma c’era qualche ufficiale che era d’accordo con il Comitato di liberazione nazionale e cambiò l’ordine di fucilazione in ordine di liberazione». Come era la quotidianità fra voi partigiani? «Ci si spostava continuamente, soprattutto di notte, perché altrimenti saremmo stati facilmente individuabili: poi, naturalmente, si facevano delle azioni militari. Per esempio, io ho partecipato all’attacco della caserma di Casole d’Elsa per prendere Il partigiano con mezza lira in tasca Ho avuto la fortuna di intervistare un vecchio partigiano di Radicondoli (SI), Alfredo Merlo. Racconta la sua storia come se l’avesse vissuta ieri, con orgoglio e in alcuni casi con commozione. Ricorda anche le persone, come i contadini, che hanno contribuito alla Liberazione dell’Italia, aiutando i partigiani affamati e male organizzati. Questo è il suo racconto. Sono nato a Radicondoli nel 1925. Nel novembre 1943 ho ricevuto la cartolina per presentarmi alle armi. La sconfitta dell’Italia era prossima: gli Alleati erano già sbarcati e c’era stato l’Armistizio. Decisi di non arruolarmi e di nascondermi in attesa della fine della guerra. Andai in una fattoria dove avevano un figlio che si doveva presentare anche lui. Ci costruirono un capanno isolato nel bosco. La paura era tanta, anche perché i fascisti facevano i rastrellamenti in cerca dei disertori, e quando non trovavano il figlio, per costrin- gerlo a presentarsi gli arrestavano il padre e a volte bruciavano la casa. Accadde anche al ragazzo che stava con me, che decise di presentarsi per far scarcerare il padre, con l’idea di scappare poi di nuovo. Io pensai di incontrarmi con il babbo per decidere sul da farsi. Il babbo mi parlò di un gruppo di giovani partigiani sulle montagne, arrivati da Massa Marittima perché sfuggiti a un grosso rastrellamento fascista. La decisione non era semplice, ma ero disposto a rischiare. Il problema era capire come raggiungerli. Dopo qualche giorno mio padre mi disse che aveva trovato la strada. Era difficile entrare nella brigata, come era difficile uscirne: i partigiani rischiavano grosso, c’era sempre chi voleva denunciarli. Ma il babbo conosceva il presidente del Comitato di Liberazione Nazionale e mi diede le istruzioni: raggiungere il paesino di Travale e andare a casa di un uomo, con cui sarei salito su per la montagna per unirmi ai quindici gio- le armi dei carabinieri. C’erano anche momenti di ricreazione in cui si stava insieme e si cantava, si leggeva la stampa clandestina». Riusciva a mantenere i contatti con la famiglia? «Ebbi solo un unico contatto con mio padre in quel periodo, perché era il solo della famiglia a sapere che io ero nelle formazioni partigiane, mentre a mia madre non fu detto nulla, sarebbe stata troppo in pensiero». Come era studiare in una scuola fascista? «Io ho frequentato il ginnasio e il liceo “Michelangelo”, che era ed è uno dei migliori licei di Firenze. C’erano degli insegnanti apertamente fascisti, anche se non molti, e altri che, pur non potendo parlare apertamente contro il fascismo, perché sarebbero stati arrestati, dal modo in cui spiegavano si capiva come la pensavano. La maturità l’ho conseguita nel giugno del 1940, proprio mentre l’Italia entrava in guerra; in seguito mi iscrissi alla facoltà di Scienze politiche, dove mi sono laureato nell’aprile del 1945. Il mio diploma di laurea porta la firma dell’allora rettore Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione italiana». Ci sono ancora dei giovani che, pur non avevendo avuto un indottrinamento fascista a scuola si dichia- rano “nostalgici” di un’ideologia che non hanno nemmeno conosciuto. Cosa si sente di dire loro? «Quando parlo con i ragazzi dico di osservare bene la realtà e soprattutto di documentarsi su cosa è stata la dittatura. Fortunatamente la vostra scuola è migliore di quella che io ho frequentato: voi potete parlare liberamente di quello che volete, mentre a noi era vietato. È proprio questa libertà di parola il punto di riflessione maggiore che dovete avere per misurare la differenza fondamentale tra il fascismo e la democrazia di oggi». Tommaso Mori, Liceo “Sarrocchi”, Siena Cittadini senesi e soldati francesi a Siena, in via Esterna Fontebranda vani. Mi diede anche una mezza lira strappata a metà, che avrei dovuto mostrargli come segnale se si fosse rifiutato di aprirmi. E dovetti dargliela, solo allora mi fece entrare. Mi diede un pezzo di pane con del formaggio e un sacchetto da portare alla brigata, che dopo scoprii essere farina dolce. Per un mese ho mangiato una fetta di polenta dolce la mattina, una a mezzogiorno e una la sera. Ora, se vedo il castagnaccio, mi sento male! Partimmo di notte e camminammo a lungo, fino a quando non trovammo una persona armata che ci chiese una parola d’ordine, poi camminammo ancora molto prima di arrivare dai partigiani. Mentre l’uomo che mi aveva accompagnato parlava di me con il capo della brigata, mi misi a sedere su una sedia. Un ragazzo mi fissava gli scarponi nuovi che il babbo mi aveva comprato. Pensavo se li volesse mangiare! Mi disse: “Beato te che hai le scarpe nuove, guarda io come sono ridotto!”, e alzando i piedi mi accorsi che non aveva la suola, camminava con la pianta del piede. L’impressione non fu bella, perché pensavo che l’organizzazione fosse più efficiente. I partigiani furono felici di sapere che ero della zona: nessuno di loro la conosceva e questo è un rischio se devi scappare. Poi, essendo del posto, potevo anche fare da staffetta con i contadini. Se non ci fossero stati loro a sfamarci, saremmo morti in quindici giorni! Il loro contributo non è stato abbastanza valorizzato perché grazie a loro si sopravvisse ed è anche grazie a loro, quindi, se esiste la Costituzione. Una volta riuscimmo nell’impresa di svuotare un silos pieno di grano in una sola notte. Quando i tedeschi, che avevano fame anche loro, scoprirono che c’era un silos da quelle parti con 4000 quintali di grano, si misero subito a cercarlo. Il CLN c’incaricò di portarlo via prima noi per metterlo al sicuro. Dovevamo farlo in una sola notte. Era impossibile. Allora pensammo di chie- dere ai contadini se potevano aiutarci. Accettarono tutti, mettendo a disposizione i carri per caricare il grano. Lo dividemmo con i contadini che si impegnarono anche a fare il pane per noi quando ne avessimo avuto bisogno. Vennero dai paesi anche con le biciclette e con i ciuchi, a piedi. Portammo via tutto. Se avesse visto quella notte! A chi non ci crede faccio vedere una copia del giornale “Repubblica fascista” che conservo ancora. Gli inglesi ci hanno aiutato tanto, lanciandoci armi come il micidiale Sten, che non si inceppava mai. Sapevamo da Radio Londra, con una parola d’ordine, quando stavano per lanciarle. È stata l’esperienza più bella di tutta la mia vita, lo rifarei senza pensarci un attimo. Volevamo contribuire a liberare l’Italia dai fascisti, a mettere le basi per costruire una società giusta. Mi piace ricordare che se esiste la Costituzione è anche per merito nostro. Samuele Piras, Istituto tecnico “Sarrocchi”, Siena 11 Abruzzo Sotto i venti INFOWEB www.regione.abruzzo.it www.radiojeans.net L’Aquila: ricordi d’infanzia e di guerra Pagina realizzata nell’ambito del progetto Young communication, con il sostegno del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale POR-FESR 2007-2013 “Attività VI.I.3” dell’Assessorato alle Politiche Culturali – Servizio Politiche Culturali. I giocattoli di legno Tutti in riga e sull’attenti Nonno Mario e Nonna Ornella Com’era vivere sotto il fascismo? Qual è il primo ricordo che vi viene in mente? Mario: «La colonia: durante il fascismo era un modo per “educare” i bambini. Ogni estate venivano riuniti tutti i piccoli balilla per andare in montagna». Ornella: «Io ricordo che mia sorella era una piccola balilla: le femminucce vestivano con la gonna nera e la camicetta bianca, i maschietti anche loro con la camicia bianca, i pantaloncini corti e il berretto con il fiocco. C’era la fame e per comprare la pasta ed il pane si usavano le tessere con i bollini, che venivano assegnati in base al numero dei figli in un nucleo familiare. Non c’erano soldi, per comprare dovevi avere la tessera». Che giochi facevate da bambini? Ornella: «Ne ricordiamo tantissimi! Salta la mula, sberle, palline, rubabandiera, cuzzulittu (gioco delle bi- glie), chi-chi (nascondino)». Mario: «Anche io ne ricordo vari, ma non avevo molto tempo: ho cominciato a lavorare da bambino». Ornella: «Dopo la scuola anche io aiutavo mia madre con il banchetto della frutta che aveva in piazza». Avete conosciuto dei partigiani? Mario: «Conoscevamo la sorella di uno dei partigiani martiri dell’Aquila, nove ragazzi fra i diciotto e i venti anni che furono catturati, costretti a scavarsi la fossa e fucilati. Stavano fuggendo verso San Giuliano e furono presi mentre si nascondevano nel paese in cui abitavamo. Tempo dopo si seppe che una signora, nostra vicina di casa, aveva fatto la spia». Ornella: «Erano momenti terribili: noi bambini dormivamo in camera con i nostri genitori, mi ricordo che una volta venne un tedesco col mitra in casa per controllare se ci fosse qualche partigiano nascosto». Avete mai assistito ad un bombar- lire” sotto la maglia. Mamma cucinò per loro e poi si portarono via gli animali che allevavamo: un bel maiale grande e un asino da soma. Se ci fossimo rifiutate, saremmo state uccise. Il venticinque aprile fu un giorno bellissimo: eravamo al bar, davanti alla fontana della piazza, dove c’era una piccola radio “Marelli”che trasmetteva le notizie a tutto volume. Tutti cominciammo a festeggiare felici! La libertà è bellissima, forse i ragazzi oggi non comprendono a fondo cosa significhi perderla: il mio consiglio è quello di studiare, senza la cultura non si va da nessuna parte. Nonno Silvio Com’era la tua giornata tipo quando eri bambino, durante il fascismo? «La giornata era occupata quasi interamente dalla scuola: le lezioni duravano otto, nove ore. Il sabato e la domenica si praticava molta ginnastica e ogni tanto le maestre ci portavano a fare delle “scampagnate” in qualche parco o montagna». Ricordi con cosa giocavi insieme agli amichetti? «Quando ero bambino i giochi che avevamo non erano così tecnologici come quelli di adesso, ce li facevamo da soli, lavorando il legno. Si trattava di oggetti semplici, con cui ci divertivamo anche se non erano videogiochi o cellulari». Qual è il primo ricordo che ti viene in mente quando pensi alla guerra? «Qualsiasi cosa mi venga in mente mi riempie di tristezza, non provo nient’altro. Ci si augura soltanto che la storia non si ripeta, che le persone imparino dai propri errori. La dittatura non ha portato nulla di buono: la libertà di pensiero è importantissima e nessuno deve mai più togliercela». Com’era vivere sotto il fascismo? «Vivere in continuo terrore. A parte i fedelissimi, le persone normali non potevano aspettarsi dal futuro nulla, fuorché la miseria. Eri obbligato a compiere azioni che non avevi scelto tu, perché imposte da altre persone, persino nell’abbigliamento o nelle attività sportive!». Hai perso qualche caro durante la guerra? «Rischiavo di perdere mio padre: fu fatto prigioniero e rimase per 6 anni in Sudafrica in un campo di concentramento. Lì era proprio come nei film: ma quella era la realtà». Riccardo Risdonne Evelina Podennikh 1940: una classe di giovani balilla damento? Mario: «Come no! C’erano le sirene che avvisavano quando arrivavano i bombardieri. Abitavamo nella zona vicino alla stazione, lì c’era anche la Zecca: i tedeschi la individuarono e la bombardarono e noi fummo costretti a scappare in un rifugio vicino. Ricordo che prima passavano i caccia con le mitragliatrici, poi i bombardieri che sganciavano le bombe». Avete rischiato la vita? Ornella: «Mentre bombardavano, solo chi è stato fortunato si è salvato. Mi è sempre rimasta impressa la storia di un signore che per raccogliere una bomba a mano perse le braccia e un occhio». Raffaele Manieri La piccola radio “Marelli” Zia Giovanna Vivere sotto il fascismo è stato terribile: tutto era controllato. Se dovevi andare a comprare il pane, lo zucchero, te ne toccava tanto a persona: o ti bastava o ti bastava, anche se avevi tanti figli e ti serviva più cibo. Noi eravamo in tanti: mia madre vendeva un po’ di grano, naturalmente di nascosto, per poterci comprare un paio di scarpe. Per risparmiare mangiavamo sempre pasta e fagioli: la carne solo ogni tanto, quando uccidevamo il maiale. A Natale, dato che era una festa, ci spettavano gli spaghetti con il tonno. Il sentimento che provo quando ripenso alla guerra è un’immensa tristezza. È un periodo della mia vita che non vorrei mai rivivere e che non auguro a nessuno: quando arrivarono i tedeschi, poi, fu ancora peggio. Non potevi fermarti a parlare per strada a lungo perché pensavano che fossi un partigiano. Se protestavi, loro uccidevano madre, padre, tutta la famiglia. Se poi, peggio ancora, veniva ucciso un tedesco, loro ammazzavano 10 italiani. Così è accaduto al marito della nostra vicina e alla sua famiglia: ricordo ancora quei corpi buttati a terra morenti e pieni di sangue. Spesso ci è capitato di salvare dei ragazzi nascondendoli sotto fasci di legna. Una volta entrarono i tedeschi in casa nostra: si fermarono a parlare con mia madre, io e mi sorella siamo corse su in camera nascondendo dei “fogli di Esercitazione di un gruppo di soldati abruzzesi Quei lunghissimi duecento metri Nonna Luciana Sono nata a Dovadola, in provincia di Forlì. Durante il fascismo ho vissuto in un collegio frequentato anche da una nipote di Mussolini: diventammo amiche e lui fece da padrino ad un mio cugino. Per molti il Duce era un ideale da seguire, nel nostro paese le famiglie stavano bene economicamente e apprezzavano alcune cose che Mussolini aveva fatto in Italia. Ma non gli perdonammo mai di allearsi con Hitler. Il primo ricordo che ho dei tempi della guerra è la mia casa. Abitavo nella via principale del paese e per questo motivo i tedeschi si impadronirono dell’edificio. Un giorno arrivarono parcheggiando un carro armato nel giardino e occuparono la villa. Non ci cacciarono, però fummo costretti a spostarci nel garage. Mi ricordo che un giorno eravamo in casa a cucinare quando esplose una granata: una scheggia colpì la gamba di mia sorella; la presi e corsi in ospedale. Erano solo 200 metri, ma a farli sotto i bombardamenti sembravano infiniti. Provenivo da una famiglia benestante: per fortuna avevamo dei terreni, quindi anche se ci mancavano olio, sale e qualche verdura non soffrivamo la fame. Quando avevamo un po’ di più portavamo sempre il cibo ai più bisognosi del paese. In collegio non ci era permesso giocare molto, però ricordo con piacere quando saltavamo con la corda o giocavamo a campana. Quando scoppiò la guerra ci divertivamo con le carte, per- ché uscire fuori casa era diventato pericoloso. Io all’epoca ero fidanzata con un ragazzo: quando i tedeschi si ritirarono anche lui dovette partire e andare in Germania. Al suo ritorno, dopo un anno, lo trovai molto cambiato, nervoso e strano: così ci lasciammo. Quando finalmente andarono via i tedeschi fu per noi una grande gioia: il 25 aprile fu per noi davvero una liberazione. Fabrizio Ammannito LookSmart Anche la moda ha cervello Gli ecogioielli: perché non essere fashion aiutando l’ambiente? WELCOME BACK FLOWER POWER! LookSmart 14 FLASHMODE : Eleonora Bentivoglio, Torino, lunedì ore 14.00 Foto di Irene Gittarelli Istantanee di stile Come un flash mob, ma dedicato alla moda: questo è il nuovo appuntamento organizzato da Looksmart. Veri e propri blitz a caccia di stile nelle strade o davanti alle scuole. Basta farsi trovare all’ora e al luogo indicato e... il flash è pronto! Preparatevi a Torino, Genova o Roma. SCOPRI DOVE SARÀ IL PROSSIMO FLASH MODE NELLA NOSTRA PAGINA FB. IL PROSSIMO VOLTO POTRESTI ESSERE TU! LookSmart 15 SOMMARIO 16 18 19 19 Con la primavera esplode la voglia di colore e di abitini leggeri per le prime uscite serali eleganti. Ecco allora, su ispirazione anni ‘70, accessori e capi di abbigliamento sgargianti con un tocco etnico che reinterpretano il periodo più cool della storia. Avete mai pensato a quante creazioni possano nascere dal riciclo? Certamente eco-gioielli raffinati e rispettosi dell’ambiente come quelli di Simona Negrini, la giovane designer del marchio AndromedA che si racconta nel nostro talent’s corner. Capelli perfetti? La questione è ostica: quando vedi la tua amica col capello perennemente fluente, lucido e perfettamente in piega la ammiri tanto… ma dietro quella fantastica chioma, ci sono un po’ di cure scelte con attenzione. Le scopre per noi Yoshi! E, infine, Crudelia in veste di inviata speciale per scoprire cosa c’è dietro uno dei marchi Made in Usa più amati dalle adolescenti di mezzo mondo. Gaia Ravazzi, 17 anni Cristina Altomare, 16 anni Giorgia Nobile Gianni La Rocca Yoshi, Irene Gittarelli Carlotta Varriale Federica Nardi Eleonora Bentivoglio Il garage Liuni in via Giulio Venticinque, 33 - Roma per l’ospitalità SÌ, VIAGGIARE È il simbolo della libertà, della pace, della trasgressione colorata e periodicamente ritorna. Parliamo della moda anni Settanta e delle sue interpretazioni contemporanee nelle fogge e, soprattutto, nel colore. Noi l’abbiamo cercata mescolando le camicie leggere e coloratissime con i gioielli etnici, abbinandoli ai soliti jeans e con un make-up arancione o verde acqua by Yoshi. La location ideale del nostro servizio? Un garage di Roma dove, complice la gentilezza del proprietario che ci ha messo a disposizione un’Alfa Romeo Duetto dell’epoca, abbiamo realizzato le foto che troverete all’interno. Perché gli anni più libertari e “giovani” della nostra storia, ben si coniugano con la voglia di partire on the road per destinazioni lontane e, sulla strada, imparare a conoscere se stessi oltre che il mondo. Su questa scia, per il “Talent’s corner”, abbiamo scelto di intervistare Simona Negrini, creatrice di gioielli ecosostenibili, ovvero realizzati con materiale riciclato: poveri, ma bellissimi! L’angolo dell’estetica si focalizza invece sui capelli, con i suggerimenti per essere sempre perfette: del resto, sono la cornice del volto e possono davvero fare la differenza. E, infine, per le strade di Torino, dove ancora la primavera sembra lontana, Irene Gittarelli ha realizzato per noi un fotoservizio che si basa sul contrasto fra il colore dei vestiti della ragazza e il rigore geometrico della città. Anche lei, sui binari della stazione sembra volerci dire che è arrivato il momento di partire… Buona lettura! Ciao, siamo Gaia e Cristina, frequentiamo il liceo classico “Dante Alighieri” a Roma. Amiche da una vita, ci siamo "inventate" questo nuovo lavoro coinvolgendo altre ragazze della nostra età. Facmultum e facrestum ci autodefiniamo: foto, testi, vestiti, location sono farina del nostro sacco. 16 LookSmart NEW SEVENTIES! Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare (Jack Kerouac, On The Road) DISEGNI GEOMETRICI, COLORI SGARGIANTI, ACCESSORI ETNICI. È LA MODA ISPIRATA AGLI ANNI SETTANTA CHE FA RIMA CON LA NOSTRA VOGLIA DI PRIMAVERA. QUI LA TROVATE DECLINATA IN VERSIONE DAVVERO CHIC U na passeggiata in centro fra i marchi più noti e un giro per mercatini vintage. Così assecondiamo la voglia di colore e di tessuti impalpabili che ricordano gli anni Settanta. Ideale scelta per un outfit davvero originale da sfoggiare a una festa. Negli anni più trasgressivi della storia del costume troviamo infatti appariscenti disegni geometrici multicolor, fiori enormi oppure piccoli piccoli, cerchi, linee intrecciate deformate e colore colore, tantissimo colore. Queste stampe si posavano su tutto: gonne, camicie, i miniabiti, vestiti, pantaloni, foulard. I gioielli invece erano prettamente bijoux caratterizzati da tre tendenze: i fiori nella prima parte del decennio (reminescenza del Flower power degli anni ‘60), le linee geometriche e dei riferimenti alla moda indiana. Collane lunghissime, bracciali, anelli e orecchini fatti in metallo a tanti fili impreziositi dalla presenza di perline, ciondolini o fiorellini di plastica o metallo. Che cosa mutuano le nostre modelle dallo stile Settanta? I colori innanzitutto e i gioielli etnici: indiani, di legno, con piume o perline: tono su tono o in contrasto con l’abito. Anche il make-up si fa complice: i pigmenti arancio o verde acqua sottolineano lo sguardo in modo inequivocabilmente Seventies! LookSmart 17 SOLE O LUNA? Due outfit, due personalità. Federica sceglie un abito verde salvia impreziosito da volants sulla scollatura che viene sottolineata anche dalle collane di legno e piume per una mise elegante in linea con il bob dei capelli. Carlotta opta invece per un effetto più solare. L’abito è a foulard dai colori etnici, del sole e della sabbia con stampe tribali, mischiate alla linea morbida. Entrambe sembrano dirci che non temono l’avventura e non hanno paura di sperimentare, nemmeno quando si tratta di aprire l’armadio! VOCABOLARIO FASHION FLOWER POWER La paternità dello slogan "Flower power" venne accreditata al poeta Allen Ginsberg che la coniò nel 1965. Uno dei principali luoghi di incontro del movimento fu una vecchia chiesa di Amsterdam, trasformata in un club musicale. L'ex luogo sacro fu ribattezzato "Paradiso" e divenne sinonimo di controcultura hippy, della musica rock e della musica psichedelica di quel tempo. Il Flower Power comincia in questa culla e unisce pacifismo, voglia di ritorno alla natura, rifiuto del modello sociale dominante. L'utopia è quella dell'amore individuale e universale. Il termine sta anche ad indicare la credenza secondo cui i fiori abbiano notevoli proprietà nascoste, in particolare stupefacenti, di natura allucinogena, che vanno scoperte. La natura era vista dagli hippy, definiti non a caso “figli dei fiori”, come un qualcosa di positivo perché permetteva di andare al di là delle normali percezioni umane. I figli dei fiori gettarono le basi del moderno ambientalismo, perseguendo un contatto e un rapporto naturale e autentico con il mondo circostante e con il proprio corpo, per abbattere le varie dicotomie corpo-mente, campagna-città, natura-progresso, scienza-spiritualità. Sul fronte della moda, improvvisamente gli abbigliamenti floreali diventano i più indossati per strada: fiori enormi oppure piccoli piccoli, cerchi, linee intrecciate deformate e colore colore, tantissimo colore! Stampe che invadono tutto: gonne, camicie, i miniabiti, vestiti, pantaloni, foulard. 18 TALENT’S CORNER L’ECOGIOIELLO CHE FA TENDENZA SIMONA NEGRINI È UNA GIOVANE DESIGNER CHE HA SCELTO IL RICICLO CREATIVO PER CREARE GIOELLI UNICI E BELLISSIMI: OGGETTI IN DISUSO VENGONO REINTERPRETATI IN FORME MORBIDE E SINUOSE CHE SI ISPIRANO ALLA NATURA. MOLTO ADATTI ALLA PRIMAVERA E ALLO STILE “SECONDO NATURA” C om'è nata l'idea di ridare vita alle cose per realizzarne ecogioielli? È dalla sperimentazione incessante che nasce l'idea di poter ridare nuova vita alla materia, ri-creando forme e tecniche anche del passato in chiave contemporanea. Tutto parte dalla natura, la mia vera e unica maestra d'arte. È bellezza infinita, è sensualità, rarità. Essa possiede l'assoluta perfezione. Le mie creazioni nascono per dare la possibilità a chi le indossa di costruire un corpo simbolico in grado di ini Sim gr e N a on Nome: Simona Negrini Marchio: AndromedA Eco-gioielli Città: Modena Passioni: Arte contemporanea Talento: Creatrice di ecogioielli Mi trovi: www.art-and-craft.it comunicare emozioni, sensazioni e pensieri. Quali materiali utilizzi per le tue creazioni e dove li trovi? Per la realizzazione delle mie creazioni utilizzo esclusivamente materiali di scarto, industriali, ma non solo; solitamente sono plastiche, gomme, come i tubi per annaffiare o imbottigliare il vino o alcuni distillati, tessuti provenienti da vecchi abiti, bottoni e fibbie vintage. La ricerca del materiale è difficile ma emozionante. Mi abbandono tra fondi di magazzini o Via dei Birrai. La particolarità della collezione è la presenza di coloratissimi tappi. Ad ogni tappo un colore, ad ogni colore una birra, ad ogni birra un'esperienza sensoriale unica. Non mancano però gomme, plastiche e bottoni vintage. Elencaci tre virtù della plastica. La plastica è: duttile, camaleontica, poliedrica… tre sono troppo poche, le virtù sono infinite! Virginia Lupi, 17 anni di fabbriche, vecchie cantine o solai… tra la polvere si nascondono grandi sogni. Perché una ragazza dovrebbe preferire gli ecogioielli? L'unicità dell'ecogioiello non fa altro che rafforzare, in chiave estetica, l'unicità del nostro Io. La ragazza che indossa un ecogioiello AndromedA (il marchio che ha creato Simona Negrini ndr) ama sfidarsi, è attratta dalle bizzarrie della creatività e non teme gli eccessi. È una ragazza che crede che un gioiello possa essere prezioso e raro anche se realizzato con materiali poveri. Parlaci della tua ultima collezione. La mia ultima collezione, Sensation 32, si ispira agli aromi e ai profumi del luppolo e del malto, più precisamente alle birre prodotte dal birrificio 32 LookSmart 19 YOSHI’S TIPS MISSIONE CAPELLI PERFETTI C hiome fluenti e lucide campeggiano su réclames pubblicitarie di ogni genere e molte di noi si chiedono come ottenere capelli in forma tanto smagliante. Per la lucentezza dei capelli sono rilevanti due fattori: eliminare i residui di ogni tipo quando si risciacquano e nutrirli allo stesso tempo, cosicché non si sfibrino formando le odiose doppie punte. Molti shampoo in commercio promettono di donare una capigliatura “leggera” e lucente, bisogna però fare attenzione alle diverse formule: shampoo che contengono siliconi e coloranti in un primo momento sembrano sortire effetti miracolosi, salvo poi rovinare le fibre dei capelli a lungo termine. Per andare sul sicuro meglio scegliere un prodotto biodegradabile, senza siliconi e pigmenti, e comunque usarlo sempre diluito con un po’ di acqua, applicandolo per due volte, con un rapido risciacquo in mezzo (come fanno i parrucchieri). Eliminare il balsamo per non appesantire la cute può rivelarsi controproducente, perchè si rischia di danneggiare irrimediabilmente le lunghezze e di doverle poi tagliare. Meglio usarne uno appropriato al tipo di capello ed assicurarsi di massaggiarlo esclusivamente sulle punte. Per finire uno spray protettivo leggero, da spruzzare solo sulle estremità. 2 3 1 4 5 • 1 Fekkai sheer shine mist 25 euro da Sephora • 2 Biopoint crema lucentezza istantanea 9 euro c.a. • 3 Garnier puliti e brillanti 4 euro c.a. • 4 Naturalweb Shampoo fuoco 7 euro su www.natural-web.com • 5 Garnier UltraDolce alla mandorla e fiore di loto 3 euro c.a. Spendere è molto più americano che pensare. (Andy Warhol) L a notizia che ha messo in subbuglio lo store di Milano del famoso marchio statunitense ha lasciato tutti molto perplessi. Che Abercrombie avesse un’immagine da rispettare lo sapevamo tutti, e basta mettere piede nello store per verificarlo, seguendo l’inconfondibile profumo e la scia di giovani commessi e commesse sorridenti e soprattutto fascinosi vestiti con i capi del marchio. E fin qui, tutto normale, l’immagine del brand si deve rispettare. Quando però leggiamo di punizioni come flessioni e squat, il sopracciglio si inarca. Verità? Bugia? Trovata pubblicitaria? Le voci che girano nel passaparola sono contrastanti e l’unica cosa da IL BLOG DI CRUDELIA ABERCROMBIE E LE CONTRADDIZIONI MADE IN USA fare è farsi raccontare i fatti da chi ci lavora. Impresa non facile, ma appena assicuro loro l’anonimato, accettano di buon grado. “Sinceramente, io lavoro nel negozio quando posso da un anno e non è mai successo nulla del genere. Non esiste nemmeno un ufficio del capo - è il commento tranquillo di una dipendente davanti ad un caffè - chi ha diffuso la notizia è un addetto alla sicurezza, che pare abbia proposto le flessioni come metodo utile per mantenere i ragazzi in forma; la notizia si è poi dilagata come se fosse una routine.” Quello che mi racconta è che Abercrombie propone posti di lavoro flessibili, a misura anche di studente. “L’unico tipo di ammonimento che noi dipendenti riceviamo in caso di mancati compiti è un segno meno sul registro. Quando si accumulano, è probabile che il nostro contratto non venga rinnovato, ma nulla di più”, conclude la ragazza, prima di salutarmi. Un altro ragazzo mi conferma che non ha mai sentito parlare di flessioni e squat, dicendo che chi avrebbe fatto trapelare la notizia non lavora nemmeno più al negozio. Se da una parte la storia delle flessioni è quindi leggenda, dall’altra mi vengono raccontate storie di regole troppo rigide, di note negative per un cellulare tirato fuori dalla tasca o di un chewingum in bocca. Particolare il riferimento al regolamento della temperatura, in base a quella degli store americani. “D’estate alcune ragazze si sentono male per il caldo, d’inverno si trema di freddo ma non è permesso vestirsi di più se non si supera una certa temperatura. Le infradito a dicembre sono improponibili. Veniamo sempre osservati, se non salutiamo due o tre persone veniamo rimproverati. Inoltre lamentarsi non serve a nulla, i managers sono ragazzi giovani come noi e mettono solo in atto le regole che arrivano dagli USA.” Questa la confessione di un dipendente, che lavora nel negozio da più di un anno. Se quindi la voce delle flessioni e degli squat è stata smentita e può finire nel dimenticatoio, scopriamo altre piccole “pec- che” e che le insoddisfazioni dei dipendenti non mancano: “Abercrombie garantisce ai giovani un lavoro flessibile e un’organizzazione a seconda delle esigenze e potrebbe essere un luogo di lavoro giovane e stimolante, ma l’applicazione di regole esagerate e rimproveri inutili lo rendono molto spesso stressante”. Alessandra Arpi, 20 anni LookSmart 20 BACKSTAGE SUL SET PER UN GIORNO DUE AMICHE E UNA CABRIO Pensando al mood anni Settanta' la nostra stylist ha organiz− zato uno shooting ambientato in un garage' su un’Alfa Duetto con due amiche−modelle e una polaroid d’annata' sbizzarrendosi con gli accessori. E' intanto' Yoshi realizzava un make− up speciale. “ “ BANGLES Il gioco infinito dei bracciali rigidi di metallo con i fiori, di plastica o plexiglass nei colori accesi. IL VESTITO STAMPATO Fiori, losanghe o motivi etnici. L’importante è che la foggia sia basic. VITAMINIC COLORS Giallo, arancione, fucsia: il colore vince negli outfit anni ‘70. DIVENTA ANCHE TU UNO DEI NOSTRI VOLTI! Iscriviti alla pagina fan Looksmart. Anche la moda ha cervello su Facebook o scrivi all’indirizzo e-mail [email protected] 22 Aprile 2012 Società Lavoro INFOWEB www.regioneliguria.it tempo di lettura: 8 minuti Occupazione. La Liguria riscopre gli antichi mestieri Se il futuro è nel passato Fabbro, falegname, orafo. Sono alcune tra le figure professionali che rischiano di scomparire. Eppure le opportunità di lavoro non sono ancora esaurite. Lo rivela un’indagine presentata dalla Regione Liguria, capofila di un progetto europeo di recupero degli antichi mestieri I l lavoro: oggi è la più seria preoccupazione dei giovani che si avviano al termine del loro percorso di studi. In un contesto economico stanco, che fatica a fornire risposte alle nuove generazioni di aspiranti lavoratori, la parola d’ordine per riavviare un sistema incancrenito è uscire da modelli produttivi esausti, incapaci di sopravvivere alla concorrenza globale. Creatività e innovazione sono le strategie che più comunemente le amministrazioni cercano di promuovere: oltre a queste strade, la Regione Liguria vuole tracciare anche un percorso di rivalorizzazione dei mestieri della tradizione, quei mestieri le cui potenzialità non sono esaurite, ma che rischiano di scomparire perché il contesto produttivo non li sostiene. È per questo motivo che la Regione ha deciso di stanziare due milioni di euro provenienti dal Fondo Sociale Europeo per una serie di iniziative dedicate alla formazione dei giovani proprio su quegli antichi mestieri. «Contiamo di far partire entro la fine di aprile un bando rivolto in particolare ai più giovani, per offrire loro opportunità di inserimento professionale, assicurando le competenze teoriche e pratiche necessarie, comprese quelle per favorire la creazione di micro-imprese artigiane e stimolare il ricambio generazionale», commenta Sergio Rossetti, Assessore alle risorse finanziarie, istruzione, formazione e università della Regione Liguria. L’importante iniziativa rientra nel progetto interregionale “Valorizzazione e recupero degli antichi mestieri”, di cui la Liguria è capofila e che coinvolge anche la provincia autonoma di Bolzano, Piemonte, Toscana, Lazio, Sardegna, Basilicata e Puglia. Obiettivo del progetto è quello di individuare azioni congiunte per il potenziamento e lo sviluppo dell’artigianato tradizionale, anche al fine di creare nuovi sbocchi occupazionali. In particolare, in Liguria il progetto è stato declinato con una ricerca preli- stre imprese artigiane hanno collaborato alle attività». Ma cosa significa esattamente “antico mestiere”? Mestiere è sì una professione ma, nell’accezione privilegiata dal progetto, è un mestiere “di qualità”, che ha una storia riconosciuta ed evidente, solidamente ancorata al territorio. Prevede l’esercizio di competenze tendenzialmente complesse: è caratterizzato infatti da una manualità raffinata, da un estro che si sviluppa solo con prolungati periodi di apprendimento e che si mette in pratica in un ciclo di produzione articolato. L’organizzazione elementare del lavoro, la limitata serialità della produzione non devono più essere percepiti come aspetti problematici, bensì come punti di forza di queste professioni, in via d’estinzione non perché inattuali: spesso gli antichi mestieri si perdono perché manca, a livello locale, un sostegno sociale che conferisca il giusto riconoscimento a chi vi opera. Altre volte sono le materie prime ad essersi esaurite, ma più frequentemente non esistono reali opportunità di apprendimento. In Liguria l’impresa artigiana, con le sue 46.961 attività nel 2010, rappresenta un terzo dell’impresa totale della regione: una percentuale significativamente più alta della media nazionale, che si ferma al 28%, mostrando come la richiesta di competenze specifiche nel settore tecnico-professiominare che individuasse quali tra le professioni tradizionali in via d’estinzione presentassero potenzialità di mercato non ancora sfruttate. Successivamente, grazie a tavoli tecnici con esponenti delle associazioni di categoria, si sono individuate le modalità per potenziare tali mestieri. Ci spiega Claudia Tomassetti, responsabile del Settore Formazione e Lavoro di Confartigianato Liguria: «Noi abbiamo avuto un ruolo attivo insieme alle altre associazioni per trovare azioni mirate di formazione: per noi l’impresa ha un carattere altamente formativo. Abbiamo messo a disposizione le nostre competenze e le no- nale si confermi forte. L’indagine “Valorizzazione e recupero degli antichi mestieri” condotta da Liguriaricerche ha individuato, fra le altre, dieci figure professionali: «L’ambito della nostra ricerca è molto specifico: tra i vari mestieri ci siamo focalizzati su quelli in via d’estinzione e che non fossero già legati al marchio regionale – spiega Michela Grana, coordinatrice della ricerca – Dopo aver interrogato gli stakeholders coinvolti, quindi associazioni di categoria, camere di commercio, settori regionali competenti, al fine di avere una panoramica sulle varie professioni, sono stati individuati dieci mestieri che potrebbero avere potenzialità di mercato. Trattandosi di pic- «Contiamo di far partire entro la fine di aprile un bando rivolto in particolare ai più giovani, per offrire loro opportunità di inserimento professionale, assicurando le competenze teoriche e pratiche necessarie» coli numeri, la nostra è stata una ricerca qualitativa: abbiamo quindi intervistato alcuni professionisti». I mestieri individuati sono il fabbro, il falegname, il liutaio, il maniscalco, il manutentore del territorio, il manutentore di biciclette, le figure della produzione alimentare di fascia alta, il mosaicista, l’orafo e il sarto. Dalle interviste risulta che la crisi, naturalmente, si fa sentire; molti inoltre hanno dichiarato di avere difficoltà di tipo burocratico. Alcuni settori sono interessati da un’occupazione di ritorno, che coinvolge quindi persone adulte; in altri casi, come quello del liutaio, si registra invece un grande interesse da parte dei giovani. E anche ai ragazzi guarda l’iniziativa regionale: il fondo stanziato sarà destinato alla formazione dei giovani e degli adulti che, imparando un mestiere della tradizione, potranno trovare anche uno sbocco professionale. 23 Aprile 2012 Società New media INFOWEB www.google.it/intl/it/policies Spanish tweet L’uso del social network dai 160 caratteri è molto in aumento in Spagna (+151%) e in Medio Oriente (+104%) Privacy e censure: minaccia alla rete tempo di lettura: 7 minuti Internet. Polemiche sulle nuove misure Twitto anch’io… No, tu no! La rete è democratica, la rete sfida la censura. Ma che succede se due giganti fra i social media come Twitter e Google si piegano ai governi e alle esigenze commerciali? Alessandro Bai, 20 anni Q uello di Internet è oggi un universo sempre più diffuso e popolare: ci consente di condividere in tempo reale momenti, emozioni e soprattutto pensieri. In poche parole, il web ha ampliato in maniera incredibile la libertà di espressione, estendendola a tal punto da renderla incontrollabile. O quasi. A tal proposito, come la prendereste se da un giorno all’altro vedeste oscurate le vostre parole? La domanda è lecita, dato che già milioni di utenti hanno dovuto affrontare la questione. Procediamo con ordine: a fine gennaio Twitter detta delle nuove linee guida che destano clamore. Infatti, il social media più popolare degli ultimi tempi annuncia l’introduzione di un particolare tipo di censura, più elegantemente chiamata “selezione geografica”. In poche parole, i tweet che possono risultare sgraditi ad un particolare governo vengono nascosti in quel Paese, rimanendo però visibili nel resto del pianeta. La risposta degli utenti è immediata e indignata, tanto da portare allo sciopero dei tweet il 28 gennaio scorso. È tutto? Macché. Neanche il tempo di digerire questa discutibile iniziativa che gli utenti del web ricevono un altro doloroso ceffone. È Google questa volta a rincarare la dose. Infatti, anche la piattaforma di pubblicazione Blogger, gestita dall’azienda di Mountain View, è stata sottoposta a censura geolocalizzata. Chi visiterà l’indirizzo blogspot.com verrà reindirizzato ad una versione che potrebbe variare nei contenuti a seconda del Paese di navigazione. I primi casi si sono verificati in India e in Australia. Dopo aver chiarito l’accaduto, focalizziamoci ora sul polverone di polemiche innalzato da questi provvedimenti. La domanda che sorge più spontaneamente è: perché? È presto detto. Non scopriamo certo oggi l’influenza dei cosiddetti social media sul pensiero della società, basti ricordare l’importanza di Twitter nella dif- fusione della Primavera Araba. Per questo esistono governi non esattamente liberali, dove un certo genere di informazione può dar fastidio. Dunque, con un occhio a queste parti del mondo, e con l’altro all’immagine di quelle che comunque rimangono sempre aziende, Google e Twitter hanno probabilmente voluto assecondare le pressioni di quei governi, al fine di evitare un possibile oscuramento totale. Al di là però delle motivazioni, più o meno opinabili, è stato soprattutto lo stile con cui queste misure sono entrate in atto a fare discutere. Infatti, dopo l’iniziale stupore generale, in molti hanno elogiato la trasparenza con cui Twitter ha annunciato i cambiamenti, ovvero rendendoli ben visibili sulla pagina principale. Lo stesso non si può dire per Google, che si è limitata a trattare la questione all’interno della sezione “Help” di Blogger. Ecco perché l’azienda ha dovuto fronteggiare i numerosissimi attacchi degli utenti, fino ad arrivare alla pubblicazione di una documentazione, che spiega la possibilità di aggirare la selezione geografica aggiungendo la stringa /ncr (No Country Ridirect) al termine dell’URL. Ma a quanto pare, a Mountain View è tempo di rivoluzioni. O forse non c’è la voglia di stare tranquilli. Dal primo marzo Google ha cambiato le norme riguardo alla privacy degli utenti. Come noto, l’azienda statuni- tense raggruppa sotto di sé circa una sessantina di servizi, tra i più celebri GMail, Google Maps e Youtube. Eb- bene, se in precedenza per ogni servizio esisteva una policy dedicata a trattarne la privacy, d’ora in poi i dati forniti dagli utenti che utilizzano un qualsiasi servizio di Google saranno elaborati in un unico database. Per Google è soltanto un modo più semplice per raccogliere i dati e fornire ricerche sempre più adatte ai navigatori. Per altri no. Microsoft, ad esempio, accusa l’azienda californiana di volere soltanto estrapolare quante più informazioni possibili dagli utenti. Google sottolinea per contro come queste modifiche mirino a costruire un servizio ancora più efficace per gli utenti. Eppure, anche in questo caso, viene resa nota la possibilità di aggirare questa raccolta informazioni, selezionando direttamente sulla dashboard quali informazioni condividere. Ma, in entrambi i casi analizzati, che senso ha poter eludere dei provvedimenti che dovrebbero essere migliorativi? A voi l’ardua sentenza. Curiosità. I followers di Gesù E il cardinale si mise a cinguettare Paolo Nataloni, 20 anni Twitter è ormai da qualche tempo parte integrante della nostra vita e, un po’ come per il suo amico-nemico Facebook, è diventato un mezzo per poter ottenere e condividere tutte le notizie, quando si vuole, dove si vuole, con estrema facilità. Con la sua diffusione, non potevano mancare un po’ di curiosità. I parlamentari, che pure in generale non sembrano prediligere il web, non disdegnano Twitter: risultano iscritti in 198 al gennaio 2012, un incremento di oltre l’85% in un anno. A “cinguettare” di più sono quelli dell’Idv (il 44,1% degli scritti al gruppo è presente sul social network); seguono Fli (36,7%), Udc (31,4%) e Pd (22,9%). Non mancano i cardinali. Anch’essi ammaliati dal fascino dell’uccellino blu, si sono affacciati in massa su questo mondo del futuro. Ci sono cardinali che twittano giornalmente anche più volte nell’arco della stessa giornata, altri che scrivono costantemente di ciò che fanno durante il giorno, altri ancora che cercano di ammodernare il loro metodo di diffusione della fede attraverso questo social network. Ma le curiosità non finiscono qui. Navigando nella rete siamo riusciti a trovare notizia del Vangelo in 140 caratteri, “anche su Twitter le parole di Gesù”. Non ci sorprenderebbe a questo punto se domani potessimo leggere su Twitter anche la diretta dell’Angelus del Papa! Il lavoro di ricerca più completo sui social network della nuova era lo ha svolto l’Ibm. La società americana, infatti, dopo un lavoro di machine le- arning attraverso il quale si sono studiati tutti i tweet dal 2006 ad oggi, è riuscita a catalogare tutti i post e a trarne numerose informazioni. Ve ne citiamo solo alcune particolarmente interessanti: ogni secondo la catena Starbucks viene citata in 10 tweet; Lady Gaga riesce a guadagnare più followers che Twitter stesso: ha infatti ben 18 milioni di “seguaci”; le persone sono più inclini a scrivere tweet negativi piuttosto che positivi. Stranezze sì, che però ci fanno capire come questi potenti mezzi stiano entrando nella vita di tutti i giorni in maniera sempre più preponderante. Pensate che l’intero archivio di Twitter è stato acquisito dalla Biblioteca del Congresso statunitense. Il prossimo passo potrebbe essere far seguire agli studenti le lezioni universitarie su Twitter... magari lo stanno già facendo! 24 Aprile 2012 Musica INFOWEB www.noemiofficial.it www.valerioscanu.com Fenomeni Padania Gli Afterhours tornano sulle scene il 17 aprile con un nuovo album che sta facendo molto parlare di sé: pronti? Italia’s got talent tempo di lettura: 10 minuti Intervista. Tutto su Noemi Le mie nuove consapevolezze Per lei scrivono i più illustri autori italiani di canzoni e la sua è una voce che rende prigionieri, dalla quale non si può fuggire: Noemi ha stregato anche noi Mattia Marzi, 17 anni S olare, energica, passionale. Sarà per quegli occhi verdi come il mare o forse per quei capelli rossi come il fuoco: nel giro di qualche anno Veronica Scopelliti, in arte Noemi, è riuscita a conquistare critica e pubblico: ora è davvero pronta per entrare nell’olimpo della musica italiana. Per te hanno scritto, tra gli altri, autori come Vasco Rossi, Gaetano Curreri e Pacifico; come ci si sente ad essere considerata una vera e propria musa ispiratrice dei più importanti autori della musica italiana? C’è qualcuno in particolare che vorresti fosse l’autore del tuo prossimo successo? «È un grande onore il fatto che mi vengano affidate bellissime canzoni di autori molto importanti: spero sempre di esserne all’altezza, anche se spesso avverto l’ansia da prestazione. Per ora, comunque, mi godo quello che ho: chi troppo vuole, nulla stringe!» Sei tornata a Sanremo quest’anno, due anni dopo la tua prima partecipazione. Quanto c’è di nuovo in te rispetto alla Noemi di qualche anno fa, quali sono le tue reali “nuove consapevolezze”? «Nella vita ci sono cose che ti accadono in maniera più esplicita e che riesci più facilmente a comprendere, altre che invece richiedono un po’ più di tempo per capire cosa possano insegnarti. Diciamo che io mi sento molto cresciuta: nell’ambiente discografico tutto si impara molto in fretta, o nuoti o affoghi. Spero di avere sempre la possibilità di imparare qualcosa di nuovo e di prendere ogni volta la decisione più giusta per me». Ti sei fatta conoscere dal grande pubblico attraverso la partecipazione alla seconda edizione di X-Factor. È un’esperienza che Credit Julian Hargreaves rifaresti? «Quella ad X-Factor è stata un’esperienza con i fiocchi, attraverso la quale mi sono divertita veramente tanto. Noi della seconda edizione eravamo molto uniti come gruppo, non sapevamo quello che ci sarebbe successo al termine del programma, eravamo un po’ all’oscuro di tutto. Ci sono dei momenti in cui mi piacerebbe tornarci ed avvertire, di nuovo, quel senso di “protezione”. Ho partecipato grazie a mia sorella, che mi iscrisse ai provini: il primo lo feci tanto per non farla rimanere male, ma poi mi convinsi anche io delle ottime possibilità che un programma come X-Factor offre a giovani talenti che vogliono far conoscere la loro musica. E ho deciso di provare!». Quanto è difficile scrollarsi di dosso l’etichetta di “cantante da talent-show” e quanto questa può influenzare in generale il successo di una carriera discografica? «Devo dire che, forse anche grazie al duetto con Fiorella Mannoia, sono riuscita da subito a non farmi etichettare. Credo comunque che sia ingiusto alimentare pregiudizi verso chi ha partecipato ad un talent-show: come negli anni ’60 esisteva il Cantagiro, oggi ci sono X-Factor ed Amici per fare successo. “Cantante da talent-show” è un’etichetta che serve più ai giornalisti per creare dei gruppi di identificazione, il che mi sembra anche limitati- vo. Quello che conta realmente nella carriera di un cantante sono le canzoni. Alla gente, in realtà, non interessa molto da dove provieni: se c’è una canzone che piace, la gente sarà ben felice di ascoltarla. Bisognerebbe essere meno provinciali, cosa che in Italia mi sembra (quasi) impossibile». Attraverso RossoNoemi abbiamo potuto conoscere le tue sorprendenti doti cantautorali. A cosa ti ispiri quando componi i tuoi testi? «Le mie canzoni nascono da semplici note buttate giù al pianoforte; i testi sono, ovviamente, la parte più importante. Ciò che influisce maggiormente nella loro stesura è ciò che mi succede nella vita, ma anche i miei stessi sentimenti». “Fortunatamente io non credo alla fortuna”: a chi devi il tuo grande successo? «In realtà la fortuna é sempre dietro l’angolo, ed è compito nostro farci trovare pronti a sfruttarla. Dietro ad ogni successo c’è un immenso lavoro: la fortuna è come un raggio di sole che colpisce quel grande lavoro e lo fa brillare un po’». Quali sono i tuoi prossimi progetti? Hai già iniziato a lavorare al nuovo disco? «Per ora no, penso solo al tour: dopo Roma e Milano, ora mi aspetta un lungo calendario di date in giro per l’Italia». Qualcosa di diverso Valerio Scanu è tornato: dopo il primo album Parto da qui e la vittoria al Festival di Sanremo nel 2010 con il brano Per tutte le volte che, l’artista sardo si ripresenta sulle scene con una nuova fatica, Così diverso. Gli abbiamo rivolto qualche domanda per capire meglio come vive questo momento. Partiamo dal significato del titolo: perché Così diverso? «Innanzitutto ho voluto trasmettere un senso di diversità, di evoluzione rispetto ai miei lavori precedenti; l’altro motivo è la mia collaborazio- ne alla stesura del testo della canzone omonima». Senti di dover dimostrare qualcosa con questo nuovo album? «Io non voglio dimostrare nulla! Voglio solo fare ciò che mi piace». Che cosa hai fatto dopo avere vinto Sanremo, nel febbraio 2010? «Ho iniziato un tour italiano, questa esperienza mi ha fatto conoscere nuove persone con le quali ora collaboro felicemente». Perché hai deciso di ritornare ad Amici assieme ad altri ex alunni “eccellenti”? «La prima partecipazione ad Amici mi ha fatto crescere sotto moltissimi punti di vista! Il programma è stato un’importantissima vetrina di lancio e gli sarò per sempre riconoscente perché mi ha fatto diventare ciò che sono». Sei diventato famoso a soli 18 anni. Come è cambiata la tua vita? «Mi sono trovato in una situazione particolare, che mi ha fatto maturare molto velocemente: se vuoi emergere nel mondo della musica devi saper crescere in fretta». Progetti futuri? Magari qualche collaborazione? «Per ora preferisco lavorare da solo, ma magari più avanti...». Matteo Franzese, 20 anni Credit Roberta Krasnig Ritorni. È appena uscito il nuovo album di Valerio Scanu 25 Aprile 2012 Musica Alternative INFOWEB www.emiskilla.it www.myspace.com/asteniaworld tempo di lettura: 8 minuti Controcorrente. Nuovo album per Emis Killa Il volto nuovo del rap L’erba cattiva è il titolo dell’ultimo disco del rapper milanese pubblicato da Carosello Records: testi autentici e belle sonorità. Emis ci spiega perché è il più criticato piano migliora: le prime cose che scrivevo io facevano schifo. D’altra parte, è anche vero che tutti quelli che davvero valgono hanno sempre un bel po’ di talento innato». A casa come presero la tua scelta? I genitori vorrebbero vedere un figlio studiare, sistemarsi: tu sei andato controcorrente. «All’inizio non è stato per niente facile: mia mamma non ci credeva molto, pensava che fosse solo un sogno e che non mi avrebbe portato da nessuna parte. Poi, però, quando ha iniziato a vedere i primi risultati, i primi concerti, i primi soldi, i complimenti, le collaborazioni, ha cominciato a convincersi e adesso che sono uscito con la Major è molto fiera di me. Mio padre invece, che ha sempre avuto uno spirito da artista come me, mi ha capito da subito». Sei uscito con la Major proprio adesso che il rap è nel suo momento di gloria: hai cavalcato l’onda, come si dice. Ma è stata poi così facile da cavalcare? «Niente è semplice, nella vita e soprattutto in questo ambiente. Però considera che ho 22 anni, scrivo da quando ne 16, quindi è già parecchio che sono nel campo e – passami il termine – il mazzo me lo son fatto pure io. Devo anche riconoscere che sono stato un po’ più avvantaggiato rispetto ad altri che sono stati lanciati in periodi in cui il rap era sconosciuto». Sei stato spesso definito, anche ironicamente dallo stesso Fi- Lorenzo Coltellacci, 19 anni I l rap italiano è entrato nella sua Golden Age, ascoltato ormai da tutti (ma guai a definirlo “commerciale”, Fibra docet). Ora che è alla sua massima diffusione, soprattutto grazie al lancio di nuove etichette come la Tempi Duri di Fabri Fibra, che ha già lanciato i promettentissimi Entics e Clementino e la Tanta Roba di Guè Pequeno, che ha assistito l’esordio in major di Fedez, finalmente riesco a parlare con uno dei rapper più in voga negli ultimi mesi. Sto parlando di Emis Killa, giovane milanese classe 1989, già campione di Freestyle italiano a soli 18 anni. Dopo anni di collaborazione con la Blocco Recordz, fra Street Album e dischi indipendenti, è finalmente uscito allo scoperto pubblicando con una Major. Erba Cattiva è il suo ultimo album prodotto da Carosello Records: già il titolo è tutto un programma. Quando hai cominciato ad ascoltare o scrivere rap? «Beh, mi ci sono avvicinato quando avevo circa 14 anni. Mi piaceva quel flow, quel ritmo e così pian piano ho provato a scrivere, anche se inizialmente ero più sul freestyle, non precisamente rap. Direi che i primi testi possono risalire a quando avevo 16 anni». Pensi che il rap sia qualcosa con cui si nasce o lo si può imparare? «L’esperienza aiuta moltissimo a migliorare. Uno scrive, butta giù un sacco di pezzi, prova e riprova e pian bra: “il più criticato”. Perché? «Prima pensavo che dipendesse dal fatto che il mio non è un rap canonico, ma l’originalità è un bene. Solo adesso ho capito che tutte quelle critiche erano perché ero giovane, bravo, determinato, nuovo e mi ero inserito bene. Mi capita anche adesso di ascoltare molti emergenti e la prima cosa che noto nei commenti dei loro video su Youtube sono le critiche: sono tutti invidiosi e quindi criticano». Anche il tuo stile è differente: sei un bel ragazzo, ti vesti “meglio” rispetto a certi tuoi colleghi e sei amato da migliaia di ragazze. Quanto conta quindi l’apparire, adesso, nel rap? «Ha la sua importanza, ma non mi sono costruito un personaggio a tavolino, sono fatto così e mi comporto così: è il mio atteggiamento e questo mi ha aiutato a emergere». Parliamo di L’Erba Cattiva. Un album forte e vero, con belle sonorità e beat. Cosa ti aspetti da questo disco? «I testi sono sinceri e non dico cose stupide. Si parla di emozioni, di situazioni che viviamo quotidianamente: voglio che il mio album venga ricordato per i suoi contenuti, per ciò che ho trasmesso, deve essere immortale e sempre attuale». Direi che ci sei riuscito, parecchie volte quand’ero giù non riuscivo a smettere di sentire Ognuno per sé o Parole di ghiaccio. Per il futuro, cosa hai in mente di fare? «Mi rinnovo da sempre e continuerò a farlo: per rimanere sulla scena devi essere pronto a cambiare, adeguarti ai tempi. Fare due volte la stessa cosa non è proprio nel mio stile». Esordi. Gli Astenia pubblicano il loro primo Ep L’ossimoro musicale Astenia: un nome che, in questo caso, non è una garanzia, anzi è l’esatto contrario. Il gruppo romano, nato nel 2005, non conosce la debolezza, vuole comunicare qualcosa di diverso, non ha niente a che fare con i sintomi dell’astenìa. Il loro EP d’esordio, Fa’ che tutto sia diverso, nato dal cambio di direzione artistica dopo l’incontro con i Velvet, non è solo qualcosa di nuovo, lo è del tutto. Negli anni precedenti, infatti, gli Astenia facevano tutta un’altra musi- ca: ora i suoni sono molto più british. E il titolo? È un augurio, per tutti, in un momento in cui ci troviamo senza punti di riferimento. Un giorno nuovo, il singolo che anticipa il loro EP in uscita l’11 aprile, è nato da una collaborazione fra tutti i membri della band, per fare qualcosa di totalmente inedito a partire da una insolita accordatura delle chitarre. È stato scritto di getto, un “parto naturale”, come lo definisce il chitarrista, Fabio Blanda. Anche il video del brano, girato dal regista emergente romano Fabio Gandolfi, ha uno stile innovativo, che risente delle stesse influenze. Gli Astenia hanno sfondato grazie ai contest, perciò continuano a parteciparvi, nonostante l’affollato e variegato panorama musicale romano sia più ostico da convincere rispetto a quello di altre città. Il più bel concerto che hanno aperto? Quello dei Velvet il 5 novembre scorso, perché è stato l’inizio e insieme il superamento di un lavoro. Perché condividere il palco con persone che stimi è qualcosa di grandioso e irripetibile. Elena Prati, 20 anni 26 Musica Aprile 2012 Emergenti INFOWEB www.lunatik.it www.paroleedintorni.it tempo di lettura: 6 minuti Novità. Primo disco per la figlia di Gigi Proietti Il mio canto libero Carlotta è una cantautrice romana con grinta da vendere, che non rinuncia a un cognome importante e si mette in gioco con tutta la sua determinazione Federica D’Angelantonio, 17 anni E nergica, coinvolgente, appassionata: questo ho pensato quando ho ascoltato la voce di Carlotta Proietti. A caldo, dopo l’uscita del primo disco che porta il suo nome come titolo, la cantante romana si dice contenta del suo lavoro e sta già preparando un adattamento teatrale. Il disco è frutto di una collaborazione con Giancarlo Bigazzi, da poco scomparso, di cui lei ha molta stima: «è difficile imparare tutto quello che ho imparato io con lui in un corso o in una scuola», dice Carlotta. Il suo disco è composto di 11 tracce tra cui due cover: Sympathy dei Rare Bird e Rose Rosse scritta da Bigazzi. Come ci racconta lei stessa, Rose Rosse non era fra le sue prime scelte, è una cover nata quasi per gioco, a cui però è riuscita a dare un’impronta più moderna e personale. Oltre ad essere cantante, Carlotta è anche autrice dei suoi pezzi, nei quali racconta di sé e del mondo che la T ALENTI circonda: «una cosa non va senza l’altra; anche se si trattasse di un disco completamente autobiografico, come tutti io sono influenzata da ciò che mi sta attorno». Come nel brano Scema, che parla della tipica sensazione dell’innamoramento, un’esperienza che prima o poi tutti viviamo. Figlia d’arte, non tanto per il cognome che porta, ma per la vita che ha fatto, sin da piccola è stata a contatto con l’arte, con la musica e col teatro. Il cognome c’è e mantenerlo è una sua scelta, Carlotta è consapevole delle conseguenze: «Sono anche io la prima che quando vedo un figlio d’arte in tv voglio vedere cosa è capace di fare: è un classico, per cui non posso biasimare nessuno». Carlotta definisce il suo avvicinamento al mondo della musica come qualcosa di istintivo, come una necessità interiore che poi si è trasformata in una vera e propria passione. Nell’epoca dei talent show si dice fiera di aver raggiunto i suoi obiettivi nel modo tradizionale: «Per i giovanissimi che ancora non hanno una perso- nalità artistica ben definita, il talent show è un’arma a doppio taglio: da una parte c’è la tv che dà una visibilità pazzesca, dall’altra spesso il successo si rivela illusorio perché si viene catapultati in un mondo del tutto nuovo quando non si è ancora pronti, e si finisce col perdersi». Prima di dedicarsi completamente alla musica, Carlotta ha vissuto un’esperienza teatrale che definisce importantissima: per lei che ci è cresciuta, il mondo del teatro rappresenta un luogo di formazione per chiunque abbia voglia di lavo- rare in campo artistico. «Il teatro mi ha dato tanto e mi dispiace vedere i giovani lontani da questo universo solo a causa di stereotipi e pregiudizi». Alla domanda: “che genere fai?”, sembra un po’ titubante nel rispondere: «Il genere è qualcosa che definisce chi ascolta: l’interprete canta, è questo il suo lavoro, il giudizio spetta al pubblico». Ed è proprio il giudizio che attende, essendo molto autocritica: vuole vedere cosa penserà il pubblico del suo lavoro, i commenti su iTunes. Vuole la prova di essere riuscita nel suo intento: comunicare qualcosa alle persone che la ascoltano. Che consiglio darebbe Carlotta a un giovane che si affaccia al mondo della musica, che come lei ha il sogno di cantare? Lei si mostra molto realista: «è facile stare lì a dire: “tieniti stretto il tuo sogno, non mollare”, in realtà è un mondaccio quello della musica, e spesso va a finire che i sogni restano nel cassetto. L’unica arma, oltre la bravura, è la determinazione; quando il canto brucia dentro come una fiamma e diventa qualcosa di cui non si può fare a meno si arriva a crederci davvero». Solo così ci si riesce, solo così Carlotta ce l’ha fatta. La Culla Desert Beyond In uscita il disco d’esordio dei VeneziA, un album pieno di boogie, punk, atmosfere voodoo, percussioni pesanti e visioni sulfuree, pubblicato dalla casa discografica siciliana 800A Records. Tra Sciacca e Palermo, la band racconta storie di alienazione urbana e della provincia più nascosta. Il nuovo EP di ED esce il 15 aprile. Non è un gioco di parole, ma il nome del gruppo indie pop che si ispira a sonorità anni ’60 e anni ’90. Reduce da concorsi, numerose tappe su e giù per lo Stivale e un lungo tour negli Usa, il gruppo fonda Vulvanophono, un collettivo che si occupa di autoproduzione. In vetrina Il vostro sarà Il futuro che ricordavo? I Karenina esordiscono - anche se non si può propriamente parlare di “esordio” vero e proprio: eventi particolari e fati mutevoli li han condotti dai Triste Colore Rosa verso questo nuovo inizio - con Il futuro che ricordavo. Il gruppo è alla ricerca di sfumature nuove, intense e particolari, che sapranno condurvi in una dimensione “altra”, quella di un futuro che non c’è mai stato, non c’è e probabilmente non ci sarà mai. Paolo Pischedda (dei Marta sui Tubi, per intenderci) è al timone artistico di questa produzione caleidoscopica, in un incrocio di indie, pop, rock e sfumature cantautorali. 27 Aprile 2012 Giro d’Italia INFOWEB www.teatroeliseo.it www.teatrostabilegenova.it Foto di Aldo Valente Teatro Kohlhaas Marco Baliani racconta una storia realmente accaduta nella Germania del Cinquecento. Al Duse di Genova dal 26 al 29 aprile. Classici di oggi e di domani tempo di lettura: 9 minuti Roma. All’Eliseo Così è (se vi pare) Va ora in scena la verità Torna in teatro il capolavoro di Luigi Pirandello per la regia di Michele Placido. A tu per tu con la protagonista, Giuliana Lojodice, alla vigilia del debutto romano Ilaria Cecchini, 21 anni A «Michele è giovane, è un regista cinematografico e ne ha voluto fare una specie di film in bianco e nero. Scena e costumi (di mia figlia Sabrina Chiocchio, che ha vinto il premio come miglior costumista al Teatro Olimpico di Vicenza, due anni fa) sono tutti in bianco, nero e grigio. La regia di Michele permea in profondità i lati oscuri di un testo che può sembrare a tratti obsoleto, per un linguaggio che conquista, perché risalire a Pirandello signi- fica risalire alle matrici del nostro linguaggio teatrale. Michele ha voluto attualizzarlo, nel senso che si pronunciano le parole di Pirandello, ma chi in siciliano, chi in bolognese. È un’esperienza curiosa, tradizione nell’innovazione. Non c’è un abbandono alla parola o alla situazione, c’è sempre un filo di isterismo e di nevrastenia che percorre tutti i personaggi. È una regia fatta per tenere sveglio lo spettatore, che si troverà spiazzato se è stato abi- tuato a vederne delle realizzazioni registiche molto classiche». Nel 1917 Gramsci scrisse, tra l’altro: “I tre atti di Pirandello sono un puro e semplice aggregato meccanico di parole che non creano né una verità, né una immagine”. Cosa ne pensa? «Il commento è da rapportarsi all’epoca. Pirandello non era molto amato, è stato uno scrittore scoperto a distanza, soprattutto dopo Freud. Certe cose sembrano cervellotiche, però la costruzione Genova. Al Duse Ciò che vide il maggiordomo Dal buco della serratura Valeria Firriolo, 17 anni Cos’avrà visto il maggiordomo? Alla domanda risponde in modo molto divertente la commedia di Joe Orton, prossimamente in scena a Genova, in una coproduzione Teatro Stabile e Teatro dell’Archivolto. Ciò che vide il maggiordomo è un’opera travolgente e di grande comicità. Riprende temi drammaturgici dell’Inghilterra del dopoguerra portando l’attenzione sugli intrecci che si creano tra potere e sesso, confermando in questo senso la sua attualità. Lo spettacolo si svolge interamente in uno studio psichiatrico dove si succedono una serie di situazioni im- barazzanti, tentativi di seduzione, scambi di identità, litigi e diagnosi affrettate. I personaggi sono decisamente folli, ma dotati di un’autoironia che permette di rendere credibile e piacevole questo gioco d’amore, di vita e di morte. Orton nella narrazione utilizza uno stile assai personale; si diverte a far saltare tutte le certezze e le logiche che un lettore riuscirebbe a intuire: questo meccanismo permette di avere un sentimento di suspence che rende il tutto ancora più interessante. Il mondo che ci viene presentato è ridicolo, ipocrita e violento, un mondo che Orton sceglie di guardare dal punto di vista privilegiato di un maggiordomo che scruta dal buco della serratura, da semplice e discreto osservatore, spiando le intemperanze dei vari personaggi: lo psi- chiatra responsabile della clinica e la moglie dai tratti nevrotici e ninfomani, il supervisore del ministero mandato a controllare l’operato del collega, una giovane segretaria in cerca di lavoro, un fattorino senza troppi scrupoli e un sergente di polizia che indaga sulla scomparsa dei frammenti di una statua di Churchill. Tutti i personaggi snoderanno i loro percorsi fino all’improbabile, assurda, ma geniale trovata finale che svelerà, non vi di- ciamo ancora come, una nuova concezione dei rapporti umani. Sul palco, tra gli altri, Ugo Dighero, Mariagrazia Pompei, Mariangeles Torres. Da mercoledì 11 a domenica 22 aprile al teatro Duse di Genova, per la regia di Giorgio Gallione. Foto di Bepi Caroli 14 anni la prima tournée diretta da Luchino Visconti, a 16 anni l’Accademia. Oggi, con quasi sessant’anni di carriera alle spalle, una delle più grandi e poliedriche attrici italiane si confronta con la più cerebrale delle opere di Pirandello, in scena al Teatro Eliseo dal 10 al 29 aprile. È passato quasi un secolo dalla prima rappresentazione del Così è (se vi pare). Qual è il segreto della sua “attualità”? «La spasmodica ricerca della verità, che per Pirandello rappresenta il fulcro dell’animo umano. C’è il problema eterno di riconoscersi in uno specchio piuttosto che negli altri. Non a caso c’è una scena di Carmelo Giammello (scenografo ndr) invasa da pezzi di specchio rotti, dove ognuno dovrebbe riflettere se stesso per pensare e confrontarsi. Nessuno di noi sa bene chi è se stesso e lo cerchiamo negli altri, incuriositi da come ci vedono, cercando di fare un’analisi (non a caso, dopo è venuto Freud). Il personaggio di Laudisi, che è l’“anima” di Pirandello, è emblematico di questa ricerca che compiamo tutti ancora oggi». Può parlarci del ruolo che interpreta? «La signora Frola è una donna che si presenta dicendo “Sono dolente e chiedo scusa per aver mancato alla mia visita fino ad oggi”. È una specie di maschera pietrificata nel dolore di aver perso qualunque cosa, anche gli affetti più cari, nel terremoto in Abruzzo, che improvvisamente però si slancia come una tigre nella difesa più strenua del genero. Questo induce il sospetto, mette in allarme e crea curiosità e scandalo. La ricerca di questo tipo di interpretazione dolorosa mi ha molto allontanato dall’immagine data da grandi attrici del passato. Abbiamo cercato di attualizzarla in un senso vitale differente, per cui non è più un personaggio passivo, dolente, remissivo, ma diventa una madre, la figura di una maschera materna che difende strenuamente la sua storia terribile». Michele Placido è il regista. Com’è stato lavorare insieme? dei testi è tale che sono sempre stati giudicati dei capolavori. C’è sempre questa famosa “corda pazza”, come in Ciampa nel Berretto a sonagli, che prima o poi ti conquista, c’è sempre qualcosa in Pirandello con cui fare i conti». Cosa custodirà in particolare di questo personaggio e di cosa non vede l’ora di liberarsi? «Mi piace tutto di questo personaggio, ma mi ci sono dovuta addentrare piano piano; mi sono trovata a gestirlo in un modo differente da tutte le attrici del passato, per mia scelta e su indicazione di Michele Placido. Quando esco dal teatro non vedo l’ora di liberarmi dal lutto perché ne ho subiti diversi, molto gravi, che hanno inciso nella mia vita personale. Il nero mi intristisce, mi circonda di un alone che non mi piace... Ringraziando Dio sono ancora una creatura vitale». Cosa porta con sé, sul palco, ad ogni replica? «Tanta paura e tanto rispetto per il pubblico e il desiderio infinito non di sentirmi dire “brava” (perché sono sessant’anni che lavoro!); però a questo punto è come offrire in pasto se stessi a un pubblico che ti deve comunque sia giudicare che amare, anche nei momenti sgradevoli del personaggio». 28 Cinema Aprile 2012 Giovani critici INFOWEB www.diazilfilm.it Bel Ami Nelle sale la trasposizione cinematografica del capolavoro di Maupassant. Il protagonista è Robert Pattinson. Luci e ombre di Stato tempo di lettura: 16 minuti Da non perdere. Esce il 13 aprile Diaz. Don’t clean up this blood Il sangue scorre sulla democrazia Dieci anni dopo i fatti di Genova, il film di Daniele Vicari racconta senza mezzi termini le violenze subite da 96 ragazzi nella scuola “Diaz” e nella caserma di Bolzaneto Chiara Cacciotti, 20 anni È il 21 luglio 2001: poco più di cinquant’anni dopo Hiroshima e Nagasaki, Auschwitz e Belzec, si consuma “la più grave sospensione dei diritti democratici dopo la seconda guerra mondiale”. E succede in un Paese democratico, nella civilissima Genova. I grandi della terra si riuniscono per discutere i problemi globali; da tutto il mondo vengono cittadini per protestare ed esporre il proprio punto di vista. La notte del 21 luglio, a manifestazioni finite, la polizia irrompe nella scuola “Diaz”, che ospita 96 persone: segue l’arresto e il trasferimento nella caserma di Bolzaneto, dove vengono compiute le violenze più terribili. A raccontare la verità, dopo dieci anni, Daniele Vicari e il suo film Diaz. Don’t clean up this blood. Gli storici dicono che si può parlare di storia vera e propria solo 50 anni dopo che è avvenuto un fatto. Che difficoltà si incontrano nel realizzare un film su una vicenda che è ancora fonte di accesi dibattiti e di processi non ancora conclusi? «Fortunatamente non sono uno storico, e il tempo presente è la tavolozza su cui costruisco le mie immagini. Quello che è successo a Genova è attualissimo, perché è da lì che il rapporto tra le istituzioni e i movimenti si è tramutato in conflitto profondo. Quando si realizza un film tratto da fatti realmente accaduti, è necessario assumersi delle responsabilità, perché si ha a che fare con persone in carne ed ossa». A proposito di responsabilità: il film ha avuto un travaglio molto complesso: nessun finanziatore, nessuna banca, neanche il Comitato di verità e giustizia ha voluto saperne... «Uno dei grandi problemi del cinema italiano è l’autocensura: ci sono temi di cui non si parla perché gli autori, sapendo che non verranno mai finanziati, decidono a monte di non presentarli. Quando con Domenico Procacci abbiamo deciso di fare il film, lui stesso non è riuscito a trovare interlocutori: stiamo parlando del più importante produttore cinematografico italiano! I finanziatori non hanno nemmeno voluto leggere la sceneggiatura». Hai dichiarato che i fatti della Diaz e di Bolzaneto, attraverso la lettura degli atti, mettono in discussione un luogo comune molto radicato, quello secondo cui certe cose possono accadere soltanto sotto regimi politici autoritari. Credi sia più preoccupante che accadano fatti simili in Paesi de- mocratici oppure che i cittadini usino questo luogo comune come scusa per non vedere realmente come stanno le cose? «Sono due facce della stessa medaglia. Da una parte, se il cittadino si occupa esclusivamente di come sale e scende il valore del proprio conto in banca, allora è disposto a sopportare anche la repressione. Al tempo stesso, la sospensione dei diritti civili in un Paese democratico è una cosa molto delicata, dovuta al fatto che le democrazie di cui noi ci vantiamo non sono compiute». Gli attori provengono da varie parti d’Europa: un modo per ricordare all’Europa stessa che non si tratta di una tragedia solo italiana? «Esattamente; i fatti di Genova non riguardano esclusivamente l’Italia: dentro la scuola “Diaz” su 96 arrestati c’erano solamente 14 italiani». Il film doveva necessariamente rappresentare delle scene violente. Quanto l’aderenza alla realtà era imprescindibile? «Se uno non guarda in faccia il tipo, il livello e le modalità della violenza che è stata fatta dentro la Diaz e a Bolzaneto, non capisce perché c’è stata la sospensione dei diritti civili». Hai dedicato il premio vinto a Berlino al cinema italiano: perché? «Perché era il premio del pubblico, e secondo me la più grande soddisfazione nella cinematografia è proprio quella di trovarne uno». Storia d’Italia. Sul grande schermo la strage di Piazza Fontana Io so, ma non ho le prove Vittoria de Benedetti, 15 anni Uno tsunami inaspettato e di inaudita violenza sconvolge la giovane democrazia italiana nel 1969. Il 12 dicembre alle 16:37, una bomba esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, provocando 17 vittime e 88 feriti. Di lì in poi niente sarà più come prima. Dopo aver diretto, tra gli altri, Pasolini, un delitto italiano e La meglio gioventù, Marco Tullio Giordana si cimenta nel suo undicesimo film, puntando i riflettori sul tragico evento che ha dato il via agli Anni di piombo. Ro- manzo di una strage ripercorre gli eventi di quei giorni terribili: subito dopo la strage, le indagini ipotizzano la matrice politica e la tesi più accreditata conduceva alla pista anarchica. A seguito di una retata vengono portati in questura su un cellulare della Polizia alcuni sospetti, tra cui un ferroviere di 42 anni di convinzioni anarchiche: Giuseppe Pinelli, detto Pino. Dopo tre giorni di interrogatorio, Pino precipita misteriosamente dal quarto piano della Questura di Milano. «Piazza Fontana e la morte di Pinelli sono stati il nostro undici settembre», dice in un’intervista Pierfrancesco Favino, che nel film interpreta lo stesso Pinelli. Per prepararsi a questo ruolo, l’attore ha incontrato la famiglia di Pino, a tutti gli effetti la diciottesima vittima di quella strage, di cui ancora oggi non si è fatta totale chiarezza. Come lo stesso regista ha dichiarato, Piazza Fontana è un nome che dice ormai poco alle nuove generazioni: con questo film si cerca di risvegliare una memoria troppo importante da ignorare. Perché, come disse Pasolini in un suo articolo sulla stagione stragista, “Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969 […] Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni che si sono messi a disposizione […] Io so. Ma non ho le prove”. 29 Aprile 2012 INFOWEB www.eaglepictures.com www.robadamattifilm.com Il primo uomo Da non perdere il prossimo film di Gianni Amelio: la vita di uno scrittore algerino che torna in patria. To Rome with love Torna il grandissimo Woody Allen con un’opera dedicata a Roma. Dopo Barcellona, Parigi e Londra, il regista americano sceglie di dedicare un film alla città eterna. Un cast nutrito: da Penelope Cruz a Alec Baldwin, da Ornella Muti a Roberto Benigni. Il film esce il 20 aprile e verrà presentato a Roma in anteprima mondiale. Nelle sale. Carlo Virzì porta il rock al cinema Siamo i più grandi di tutti Sul grande schermo la storia di una band di “bischeri” della provincia toscana, che dopo anni si ritrova a suonare su un palco, complice l’intervento di un vecchio fan Eleonora Zocca, 17 anni I più grandi di tutti: si intitola così l’ultima creazione da giovane regista di Carlo Virzì, un passato da rocker degli Snaporaz e autore di numerose colonne sonore dei film del fratello Paolo. Protagonisti della pellicola i Pluto, una band rock della provincia di Livorno, ormai sciolta. Inaspettatamente vengono contattati da Ludovico, giornalista musicale ma soprattutto fan sfegatato del gruppo, che vuole girare un documentario proprio su di loro. Ecco come risponde alle nostre domande il toscanissimo Carlo Virzì, che esordisce dicendo: «L’intervista a…? Ah, già, l’intervista con me, giusto!». Mi sa proprio che è rimasto ancora qualcosa dei Pluto nel regista… Perché hai deciso di trattare il tema del rock provinciale? E da dove deriva l’idea di questo film? «Mi andava di fare un altro film da regista e il presupposto da cui partire era qualcosa che conoscevo molto bene. Ho voluto usare la mia esperienza da musicista rock per raccontare qualcosa di vero». C’entra quindi la tua esperienza con gli Snaporaz? «Solitamente non racconto nulla di autobiografico, diciamo che mi sono ispirato a racconti del periodo in cui andavo in giro con il gruppo». Parliamo della città in cui si svolge il film: Rosignano Solvay come Manchester? In Italia queste piccole realtà industriali possono essere culla di fermenti rock? «Assolutamente sì, non a caso ho scelto una cittadina industriale. Le città come Manchester, Liverpool, Detroit sono delle valvole di sfogo. È qui che nasce l’espressione più sincera del rock autentico. E poi ci tenevo a rappresentare un tipo di Toscana che fosse diversa da quella che si vede negli spot pubblicitari». All’inizio l’idea del giornalista fan non viene presa bene dal gruppo: i protagonisti vogliono forse cancellare quel periodo della loro vita? «Ogni personaggio ha registrato quella fase della vita a modo suo: ad esempio Loris pensa che sia uno scherzo, perché l’idea che ci sia qualcuno che si ricordi dei Pluto gli appare assurda. Gli altri membri più che essere restii ad una possibile intervista, vogliono evitare di incontrarsi». L’esibizione finale dei Pluto può essere vista come la rivincita di un gruppo di ragazzi che, diventati adulti, hanno ormai abbandonato i loro sogni e le loro aspettative? «Certamente è una rivincita. Aggiungo anche che ho lasciato il finale volutamente aperto: il mio desiderio sarebbe quello di rivedere i Pluto incidere un nuovo disco». Quanto tempo ti ha portato via la parte musicale, ovvero la “discografia” dei Pluto? «Io e Dario Cappanera abbiamo curato con particolare accortezza l’aspetto musicale: l’intento era quello di ricreare uno stile semplice, un rock decifrabile da tutti e non solo dagli amanti del settore. La musica è ritmata e grintosa, mentre i testi si potrebbero considerare stupidi e allo stesso tempo quasi geniali. Questo fa sì che nello spettatore sorga la domanda: ma sono degli idioti o dei geni?». Cosa direbbe un critico musicale dei Pluto? «Che sono dei cafoni!». Che cosa rappresenta la musica, in particolare il rock per Carlo Virzì? «Secondo me la musica è un’attitudine, uno stile di vita. Spesso sento dire che il rock è morto, ma sinceramente penso che fino a quando ci sarà un ragazzo che, fregandosene della vicina di casa e della madre, alza il volume del suo amplificatore sino al massimo, il rock n’ roll rimarrà vivo». Progetti per il futuro? Film o rock? O magari tutti e due? «La risposta non seria è che ho fatto questo film per tornare a suonare, quella seria è che mi piacerebbe fare un altro film sulla musica, ma per il momento vediamo come va questo!». Docufilm. Il disagio mentale al cinema Una casa per riconquistare la vita Giulia Iani, 20 anni “I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi” scriveva Carlo Dossi nelle Note azzurre. E proprio di pazzia parla Roba da matti, il filmdocumentario di Enrico Pitzianti nelle sale italiane da aprile. Roba da matti racconta in ottanta minuti la storia di Casamatta, una residenza socio-assistenziale a Quartu Sant’Elena in Sardegna in cui vivono otto persone con disagio mentale. Con coraggio e dedizione e il sostegno costante degli operatori, si vive la normale quotidianità in una casa speciale, dove le persone con sofferenza mentale possono aspirare a ricostruirsi una vita. Ma la casa, dopo 17 anni di attività, rischia di chiudere: l’associazione che la gestisce non riesce più a far fronte alle spese, il contratto d’affitto è in scadenza e il proprietario non intende rinnovarlo. Oggi, Maria An- tonietta, Cenza, Patrizia, Stefano, Sergio, Silvana e Lorenzo cercano disperatamente un nuovo tetto. Il regista racconta la genesi di questo film parlando di una telefonata ricevuta una sera del luglio 2009 da Gisella Trincas, presidente dell’associazione Asarp Casamatta e sorella di una delle ospiti, che gli comunicava che la residenza doveva chiudere. Ad un amareggiato Enrico Pitzianti non sembrava giusto che un’esperienza così importante morisse senza una testimonianza di ciò che era stato fatto. «Nella nostra società si tende a nascondere una certa condizione, soprattutto quando si tratta del disagio mentale - afferma il regista - non era semplice consentire a una persona di entrare con la telecamera in una casa per sofferenti psichici e farla vivere con loro, per alcuni mesi, come io le avevo chiesto». Ma così è stato. Pitzianti entra in punta di piedi a Casamatta e nasce Roba da matti. A Casamatta tutto è scandito dalle necessità di chi ci vive. Qui l’esi- stenza è basata sul senso di umanità piuttosto che sulla psichiatria nuda e cruda e sulla necessità di somministrare farmaci. Roba da matti parla così profondamente al cuore da richiamarlo al suo dovere più grande: amore incondizionato ed incondizionatamente diffuso. Una casa “matta” soltanto nello sguardo opaco dei “normali” e nelle carte dei tribunali che ne stanno decretando l’uccisione con ostinazione gelida e inumana. 30 Aprile 2012 Libri Libero chi legge INFOWEB www.zai.net Da leggere, da dimenticare, da spizzicare I consigli del libraio Testimonianze. Tante storie per ricordare Loretta Cavallaro, Mind, Roma Memorie in bianco e nero Lady Iron, 19 anni «M io nonno muore ogni volta che un crimine resta impunito, ogni volta che un massacro di innocenti viene rimosso, ogni volta che un bambino viene mutilato da una mina che non sia di matita, ogni volta che il silenzio discende sulle masse che non sanno. Mio nonno muore ancora di più in questi tempi di finta pace». Con queste parole l’eclettico Simone Cristicchi presenta il suo ultimo libro, Mio nonno è morto in guerra, che raccoglie tante storie di uomini e donne e i ricordi della loro giovinezza, segnati dal secondo conflitto mondiale. Fotografie incisive, brevi ritratti che con la forza del racconto emozionano e commuovono, indignano e meravigliano. Perché, soprattutto se sei giovane, spesso «non sai nemmeno cosa sia la Resistenza e cosa abbia significato per il nostro Paese. Oggi viviamo in un mondo che cerca sempre di soffocare le voci, soprattutto degli anziani». Il libro di Cristicchi racconta del reduce che non vuole farsi chiamare così perché “è una parola che contiene “re” e “duce”, i due che hanno la responsabilità di tutto”; parla dei soldati che hanno attraversato il gelo della Russia, degli eroi che “non sono gli uomini della trincea e basta, ma anche chi ha trovato la forza di farsi congelare i piedi pur di tornare a casa”. Dai ritratti emerge dunque anche la storia che non si racconta o che passa sotto silenzio: e così fra una pagina e l’altra troviamo tedeschi “buoni”, o violenze di cui si sono resi protagonisti alcuni partigiani. «Un paio di anni fa ho conosciuto Li romani in Russia, (il testo di Elia Marcelli che Simone sta portando in giro nei teatri italiani; sul suo blog trovate le date di aprile) e ho capito l’importanza di raccontare queste storie, per evitare che le nuove generazioni non ne abbiano più cognizione. E così durante la tournée, di città in città, il pomeriggio me ne andavo a intervistare persone che avessero voglia di raccontare la loro storia. Man mano abbiamo raccolto centinaia di interviste: il mio scopo era creare un libro con tanti punti di vista diversi sullo stesso periodo: sei, sette anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Volevo dare una visione completa, anche se un libro è incompleto per definizione». E così nel testo trovano spazio le donne: staffette, madri di famiglia re- Il torto del soldato In uscita l’ultimo libro di Erri de Luca: una figlia che rinuncia alla femminilità e un padre nazista non pentito. OSCURI SEGRETI Hjorth & Rosenfeldt Un omicidio che sembra seguire un macabro rituale. Una piccola, agguerrita squadra di investigatori a caccia dell’assassino. Uno psicologo, specializzato in serial killer, che torna sui luoghi della sua infanzia e si rende ben presto conto che per scoprire il colpevole dovrà fare i conti con il suo passato. Scritto a quattro mani, ti riconcilia con i gialli scandinavi che, a parte i grandi autori, sono diventati un po’ tutti uguali. Originale e avvincente, con un linguaggio scorrevole che scandisce i pensieri. L’IGUANA NON VUOLE Giusi Marchetta Emma, ventotto anni, ha lasciato Napoli per lavorare in una classe a Torino. Non avrebbe voluto: le mancano la città e un amore di nome Gianni. Anziché insegnare latino si trova a seguire il caso di Andrea, un ragazzo autistico che reagisce con violenza alla cattiveria di alcuni professori. Con stupore si renderà conto che è proprio il suo ragazzino pieno di problemi a insegnarle che non bisogna più accettare i ricatti di questo Paese. Una storia coinvolgente in un’Italia che non si arrende. SE NON ORA, ADESSO sponsabili, ragazze sottoposte a terribili sevizie; la guerra l’hanno fatta anche loro. La fanno le masse, le persone comuni, ma si parla sempre dei pochi noti: «Ai tempi del fascismo c’era solo un organo di informazione. Oggi l’orrore lo vediamo in faccia su Youtube, ma non vorrei che poi ne diventassimo assuefatti: avere tante informazioni a disposizione è come non averne nessuna». Musica, libri, teatro: Simone è un artista a tutto tondo che si autodefinisce «un ricercautore, pronto a mettermi in discussione e a cambiare pelle. Magari non riempirò mai uno stadio ma sarò felice di aver fatto una vita molto intensa». Subito sul comodino Avere diciotto anni nel ’44 Una storia d’amore e di libertà, quella del romanzo struggente Dove finisce Roma di Paola Soriga nel quale la diciottenne Ida, staffetta partigiana nascosta dentro una grotta umida ad attendere l’arrivo degli alleati, ricorda e racconta. Che cosa si cela dietro la scelta di raccontare la storia di una ragazza di 18 anni che partecipa alla Resistenza? «Credo che sia un periodo importantissimo per la storia del nostro Paese, che ha dato origine alla Repubblica e alla nostra bella Costituzione. Un periodo da ricordare e ricordare ancora. Le persone, davanti all’urgenza della guerra, della fine della lunga e dolorosa dittatura fascista, si sono trovate a dover agire e scegliere da che parte stare, uomini e donne, e questa è una cosa che tutti noi dovremmo tener presente perché, anche se i tempi sono per fortuna cambiati e non sono altrettanto drammatici, la responsabilità di ognuno non deve venir meno», spiega la Soriga che, per scrivere il romanzo, si è documentata a lungo. «Ho letto libri, romanzi, memorie, interviste; ho visto film e ascoltato le persone raccontare. Questa è stata la base, il resto è arrivato grazie all’immaginazione, all’idea che avere sedici o diciassette anni oggi non sia tanto diverso da averli avuti allora». L’antifascismo è stato un grande momento di presa di coscienza da parte delle donne. Il sentimento della Resistenza può essere un punto da cui ripartire anche per noi ragazze di oggi? «Ne sono convinta. La Resistenza è stato un momento in cui le donne hanno dovuto prendere delle decisioni, agire, muoversi, come forse non avevano mai fatto. I valori in cui quelle donne hanno creduto sono per noi, per la nostra vita, ci hanno insegnato che la libertà è faticosa e va guadagnata, che libertà non vuol dire semplicemente fare quello che si vuole». Virginia Lupi, 17 anni Don Andrea Gallo I giovani non hanno bisogno di maestri ma di testimoni, nessuna predica, solo esempi. Don Gallo racconta episodi di vita vissuta e si appella alla voglia di reagire dei giovani e delle donne. Prima viene l’etica, poi la fede: anche in famiglia, nella strada, sul lavoro. Ogni giorno la forza “eversiva” del Vangelo è in un’idea di cittadinanza ricostruita a partire dall’incontro con gli altri, in pace, per un cammino veramente liberatorio a fianco dei più oppressi. Battagliero, coinvolgente. Ragazzi speciali IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO da riscoprire per la Liberazione Italo Calvino Il romanzo è ambientato durante la seconda guerra mondiale e narra le vicende di Pin, un bambino sbandato, passato, come per caso, dai giochi violenti dell’infanzia alla lotta partigiana. È un libro emozionante che si legge tutto d’un fiato. Lo sguardo sulla lotta partigiana attraverso gli occhi di un bambino costretto a crescere troppo in fretta, narrato senza retorica. Un capolavoro di leggerezza e intelligenza con un bellissimo finale. IL RAGAZZO CHE commovente AMAVA SHAKESPEARE Bob Smith Stratford è un paese degli Stati Uniti dove vive un bambino di nome Bob Smith. La sua famiglia deve affrontare la tragedia di una figlia con un grave handicap. Finché un giorno Bob entra nella biblioteca locale, scopre le opere di Shakespeare e i versi del poeta lo aiutano ad estraniarsi dalla sua dura realtà.“In verità non so perché sono così triste”: l’incipit de Il mercante di Venezia avvia Bob alla lettura dei testi dell’autore inglese. La cultura e il teatro come sollievo alla vecchiaia, alla malattia: di questo ci parla l’autore in un romanzo commovente, ma mai patetico. L'ULTIMA CANZONE piacevole Nicholas Sparks La protagonista della storia è Ronnie, una diciassettenne in crisi per il divorzio dei genitori e la separazione dal padre, che da New York si è trasferito in North Carolina. Dopo tre anni di lontananza, sua madre decide di mandarla a trascorrere l’estate con suo fratello nella cittadina dove il padre, ex pianista e insegnante di musica, vive un’esistenza in sintonia con la natura. 31 Aprile 2012 Giochi Tempo Libero Test INFOWEB www.zai.net A cura di Manu C. 21/3 - 20/4 Ariete Questo mese, nonostante sia il “vostro” mese vi sentirete particolarmente irascibili, un po’ alla Don’t stand so close to me dei Police... o no? Feeling con: Leone e Bilancia Stai lontano da: Gemelli e Capricorno Giorno fortunato: il 16 aprile Sono un italiano… un italiano vero? L’Anniversario della liberazione d’Italia – anche chiamato Festa della Liberazione – viene festeggiato il 25 aprile di ogni anno e rappresenta un giorno fondamentale per la storia della nostra Repubblica: la fine dell’occupazione nazifascista, avvenuta il 25 aprile 1945, al termine della seconda guerra mondiale. Ma in quest’epoca d’insidiosa quanto massiccia globalizzazione, qualcuno di voi ancora se lo ricorda cosa vuol dire essere Italiano o vi percepite al più come stranieri in patria? Zai.net, come ogni mese, dimostra di tenere moltissimo ai suoi lettori, che ancora una volta aiuterà, grazie al suo pregiatissimo test, a fare chiarezza nella propria testolina, rivelando loro quello che sono davvero! Il tuo piatto preferito? a Mc Donald’s e altre schifezze del genere: sì, mi faccio schifo da solo mentre lo dico ma è così... b Spaghetti, il panino dallo zozzone con salsiccia/crauti/melanzane/olive/peperoni/rucola. Poi pizza dall’egiziano e cornetti dal pakistano. c La mitica pasta con le sarde come la faceva zia Caterina, col finocchietto fresco! Lady Gaga o Toto Cutugno? a Ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma mai poker feis! Che poi, chi cavolo è ‘sto Toto Cutugno? b Toto Cutugno? Ma quanti anni c’ha l’autore dei test? Ottantaquattro? Toto è un simpatico scugnizzo, c ma io rimango fedele al buon vecchio Claudio Villa... ho pure messo Granada come suoneria del cellulare! La Mamma! Ah, di mamma ce n’è una sola... a e per fortuna! Se conosceste la mia – tutta presa dal lavoro, dallo Yoga, dal Reiki, dal Feng-Shui... comincereste a pensare, proprio come me! b Da buon italiano maschio, mando lei a comprare calzini e mutande per me, e ad ogni pasto la ringra- c a b c a zio facendola sgobbare ai fornelli per me e papà! “Mamma! Solo per te la mia canzone vola... mamma! Sarai con me tu non sarai più sola! Quanto ti voglio bene”(Che angoscia! nda) Alcune delle mie abitudini... Passare almeno dodici ore al giorno su Facebook, mangiare ai fast-food, ascoltare l’iPod... Bah, a parte che al fast-food preferisco la pizza, più o meno le stesse della risposta precedente... ma che volete? I ragazzi italiani del 2012 non sono mica soltanto pizza e mandolino! Mi piace fare le sceneggiate napoletane, vestirmi da pulcinella, mangiare spaghetti, fare la pizza, incavolarmi quando la mia squadra di calcio perde... e poi passare dodici ore al giorno su Facebook! Il vero significato del tricolore italiano: “Dopo la Restaurazione, il bianco e il rosso divennero i simboli della rivoluzione intesa come sovranità per il popolo e libertà per la nazione, mentre il verde era il colore della speranza, della fiducia in un’Italia migliore.” Pari-pari da Wikipedia, ho appena controllato col mio iPhone! Musicoroscopo Toro b Forse è così perché il blu l’avevano già preso i francesi? Sono un italiano medio: penso che questo paese sia il mondo intero ma a malapena so qualcosa del posto dove vivo! Beh, se non ricordo male... il c bianco è la mozzarella, il rosso la passata di pomodoro e il verde il basilico, no? Se non sbaglio hanno preso ispirazione dalla pizza margherita... Quindi la Festa della Liberazione sarebbe...? a “L’Anniversario della liberazione d’Italia – anche chiamato Festa della Liberazione – viene festeggiato il 25 aprile di ogni anno e rappresenta un giorno fondamentale per la storia della Repubblica Italiana” A parte che c’era scritto sotto il titolo del test, ma pure questo è un bel copia/incolla da Wikipedia o no? b È tipo la Festa della Repubblica o il Natale: l’importante è che non si vada a scuola e si dorma fino a tardi, yuhuuuuuuuuuuu! c Da vero italiano non ne avevo assolutamente idea prima di leggere questo test e la pensavo più o meno come i tipi della risposta precedente, ma grazie a Zai.net ora ne so di più! 21/4 - 21/5 Si avvicina il vostro periodo fortunato e pieno di energie, ma anche questo aprile vi vedrà protagonisti: sarete un Firework alla Katy Perry! Feeling con: Leone e Capricorno Stai lontano da: Toro e Ariete Giorno fortunato: il 9 aprile A cura di Cassandra Bilancia 23/9 - 22/10 Il vostro umore in questo periodo è alla Talking to the moon di Bruno Mars: nessuno vi capisce, volete star da soli... non esagerate, però! Feeling con: Leone e Capricorno Stai lontano da: Toro e Acquario Giorno fortunato: il 17 aprile Scorpione 23/10 - 22/11 Siete in un mood fantastico: Chiedimi di Jacopo Ratini vi si cuce addosso perfettamente e la voglia di cantare a squarciagola è proprio quella... Enjoy! Feeling con: Bilancia e Vergine Stai lontano da: Leone e Gemelli Giorno fortunato: il 30 aprile Gemelli 23/11 - 21/12 Parole d’ordine? Taking Chances, alla Celine Dion: non perdete neppure un’occasione per assaporare questo aprile fino in fondo! Feeling con: Cancro e Vergine Stai lontano da: Gemelli e Acquario Giorno fortunato: il 23 aprile Cancro 22/6 - 22/7 Vorreste trovare qualcuno con cui cantare Lucky di Jason Mraz, ma ancora non siete sicuri di aver incontrato la persona giusta: non demordete! Feeling con: Toro e Gemelli Stai lontano da: Cancro e Vergine Giorno fortunato: il 12 aprile Capricorno 22/12 - 20/1 Il mondo fa la guerra, noi tutti giù per terra! Questo aprile è un ritorno alle origini, proprio come in Su questa panchina di Ratini... divertitevi, ne avete bisogno! Feeling con: Cancro e Toro Stai lontano da: Leone e Ariete Giorno fortunato: il 21 aprile Leone 23/7 - 22/8 Hello, I love you sono le uniche parole che vi vengono in mente pensando a una determinata persona? Ahiahiahi... chi è che aveva chiuso con l’amore? Feeling con: Pesci e Cancro Stai lontano da: Toro e Acquario Giorno fortunato: il 24 aprile Acquario 21/1 - 18/2 Una canzone importante descrive il vostro stato d’animo di questo mese: You raise me up di Josh Groban: vi sentirete davvero “innalzati”! Feeling con: Bilancia e Scorpione Stai lontano da: Sagittario e Pesci Giorno fortunato: il 13 aprile 22/5 - 21/6 Qualcuno vi sta dedicando in cuor suo Don’t go breaking my heart, ma voi continuate a non voler vedere, presi da tutt’altro... si prevedono difficoltà! Feeling con: Pesci e Ariete Stai lontano da: Leone e Vergine Gorno fortunato: il 28 aprile Vergine 23/8 - 22/9 Hello di Lionel Richie è la colonna sonora dei vostri sogni negli ultimi giorni e vedrete che arriverà il momento giusto per dire quel “ciao”! Feeling con: Scorpione e Cancro Stai lontano da: Pesci e Gemelli Giorno fortunato: il 25 aprile Sagittario Pesci 19/2 - 20/3 E da qui di Nek è la colonna sonora di questo mese che vi vede protagonisti in modo originale e tutto nuovo. A quando “quell’attimo prima di un bacio”? Feeling con: Leone e Acquario Stai lontano da: Sagittario e Cancro Giorno fortunato: il 18 aprile Scopri il tuo profilo La foto del mese Da 7 a 12 punti Italiano medio: “L’italiano medio non segue ideologie, mode o tormentoni specifichi, ma si lascia trascinare da ciò che capita. Inoltre, contrariamente all’omologato, non lo fa per emulazione, ma proprio perché gli viene naturale. Ciò dà origine a una grande varietà comportamentale, ma si possono riscontrare alcune attività costanti: parlare esclusivamente di calcio, donne e automobili, entrare in competizione con il vicino di casa per le cose più insignificanti, andare in vacanza rigorosamente ad agosto”. Stavolta è Nonciclopedia che parla... vi riconoscete? Da 1 a 6 punti Tu vuo’ fa’ l’americano: “Ma si’ nato in Italy! Siente a mme, non ce sta’ niente a ffa” e infatti non facciamo niente, sarebbe tempo! Certo, nella nostra società cosmopolita e multiculturale, mantenere – o meglio: non dimenticare – il proprio retaggio nazionale è sempre più difficile, ma… Davvero preferite rimpinzarvi di tutte quelle porcherie dalla dubbia provenienza che vendono nei fast-food? Punteggio per ogni risposta A: 1 punto per ogni risposta B: 2 punti per ogni risposta C: 3 punti Foto di Jessica Spada Da 13 a 18 punti Spaghetti & mandolino: Voi estimatori di pizza e virtuosi del mandolino, siete così attenti ed informati a riguardo della “Italianità” che mi vien da pensare che voi siate nati in Romania, in Cina o in Pakistan, poiché difficilmente uno studente nostrano ne sa quanto voi! O forse siete dei fortunati che vivono tra le campagne del nostro Bel Paese dove ancora si macellano maiali per la gioia di tutti e la vendemmia è sempre una festa. Uno scorcio di Venezia Zai.net in pillole Il fascino pericoloso degli estremismi Crisi, disoccupazione, povertà: la condizione economica italiana non è delle migliori e in questo clima di incertezza e fragilità hanno campo libero i movimenti politici più estremi, che troppo spesso usano la violenza come modalità preferita di espressione, minando gli equilibri sociali. (Alle pagg. 4, 5 e 6) BE YOURSELF AND Memorie in bianco e nero Quest’anno abbiamo deciso di festeggiare il 25 aprile in maniera speciale: i ragazzi abruzzesi hanno chiesto ai loro nonni di raccontare la loro vita durante la guerra; a Siena, Tommaso e Samuele hanno intervistato due partigiani che hanno combattuto per un’Italia libera; infine, il libro di Cristicchi con le testimonianze di ex soldati, donne, partigiani. Per non dimenticare. (Alle pagg. 10, 11 e 30) La verità, vi prego, sulla Diaz Genova 2001, una delle pagine più controverse della recente storia d’Italia, diventa film. Diaz. Don’t clean up this blood è il titolo dell’ultima pellicola del regista Daniele Vicari, che racconta le violenze subite da 96 ragazzi in quei drammatici giorni alla scuola “Diaz” e alla caserma di Bolzaneto. (A pag. 28) I grattacieli di Nairobi Se pensate all’Africa come il continente dei villaggi con le capanne di paglia, non avete mai visitato Nairobi. La capitale del Kenya è un incredibile esperimento sociale e antropologico, dove convivono artigiani ai bordi delle strade, operai cinesi e ricchi commercianti indiani, diplomatici, soldati. (A pag. 8) RossoNoemi A colloquio con la cantante romana che con la sua energia ha conquistato tutti. Da X-Factor a Sanremo, Noemi si è dimostrata una grande interprete e un’originale cantautrice. La nuova promessa della musica italiana ci svela le sue nuove consapevolezze. (A pag. 24) Bello e impossibile Si veste bene e piace alle donne: non è un attore di Hollywood ma il giovane rapper Emis Killa, che ha grinta da vendere. Con il suo ultimo album Erba Cattiva, Emis vuole trasmettere qualcosa di immortale: naturalmente, controcorrente. (A pag. 25) LookSmart