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N° 3 - APRILE 2012
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TALENT’S CORNER
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R E P O R T E R
“Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 3 Anno 2012”- € 0,70
Il riciclo è chic
Simona Negrini ci
spiega come dalla
plastica si ottengano
gioielli fashion
A pagina 18
FENOMENI
Tutto su Noemi
A tu per tu con
la voce graffiante della
musica italiana
A pagina 24
CINEMA
Genova
dieci anni dopo
Diaz: un film per
raccontare la verità
A pagina 28
INCHIESTA
Italia nera
Da Roma a Milano,
perché l’estremismo
è più di una moda
A pagina 4
L’Italia che resiste
2
Aprile 2012
A cura di Greta Pieropan,
18 anni
Antispot
I RISCHI DELLA FINANZA
n°3
aprile
Direttore responsabile
Renato Truce
Vice direttore
Lidia Gattini
Segreteria di redazione Sonia Fiore
In redazione
Maria Elena Buslacchi
Chiara Falcone
Simona Neri
Redazione di Torino
corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To)
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Facile, in tempi di crisi, prendersela con le banche. Facile definirle causa della crisi e
parlare di complotto dei “colletti bianchi” (dopotutto, la teoria del complotto piace un
po’ a tutti e vende bene). Per correre ai ripari, quindi, le banche trattano come degli oggetti fragilissimi i loro clienti, propinandoci negli spot scalatori di bandiere, amanti dei
“bei vecchi tempi quando si stava bene, ecc…” (altra teoria che vende benissimo). Le
banche sono sempre le solite, dunque, ma sono tutte uguali? No. C’è una banca che maltratta ostentatamente i propri clienti, che sono la loro “migliore pubblicità”…
Da uno di quei grandi cartelloni girevoli che vediamo nelle nostre città spunta un giovane, appeso al poster arancione, che si sistema dopo essere passato, con evidente fastidio, tra le spazzole che stendono le pubblicità. Al suo sguardo evidentemente poco felice, un passante risponde tutto allegro (e sui suoi piedi, perfettamente conforme alla legge di gravità!): “ehi, come va?”. Una persona normale avrebbe certamente risposto con
parole che qui non possiamo riprodurre, ma il cliente “Conto arancio” ovviamente è felicissimo e risponde che va tutto “bene, bene!”, perché non paga le spese, nemmeno in filiale. Tra le numerose persone che accorrono davanti a questo spettacolo, un uomo dal balcone di casa grida che in filiale ci sono dei costi, e il malcapitato, per rispondere, deve gridare, perché il cartellone continua il suo giro! Nonostante il suo eloquente “aaaahhh!”, che non esprime certo il piacere di
farsi spazzolare la faccia così violentemente, il ragazzo fischietta e continua il suo giro sul cartellone. Ovviamente uno degli spettatori entra nella filiale… pazzo! E se ti chiedono di fare la pubblicità per il conto?
Forse non sa che quella che ha appena visto è la migliore delle ipotesi. In un’altra versione dello spot il malcapitato è appeso alla fiancata di un autobus.
Ad altezza smog, e pericolosamente vicino alle auto, non smette di fare pubblicità, neanche a due ciclisti impegnati in una gara! Quando si dice operazioni bancarie “ad alto rischio”!
Bocciati!!!
Un ristorante da Nove settimane e mezzo. Il
manifesto pubblicitario di questo esercizio commerciale di Sassari, segnalato dall’associazione
Noi donne 2005, gioca sull’ambiguità dei termini e ci “regala” una perla di rara volgarità.
Una donna in un’inequivocabile posizione si
prepara a “gustare” un pesce appeso come se
fosse tutt’altro. L’”originalità” dell’immagine
dovrebbe giustificarsi con lo slogan che l’accompagna: “Cambiano le regole della ristorazione”. Ok, allora, se il piatto non dovesse piacerci, potremmo prenderli a pesci in faccia?
Hanno collaborato
Dal laboratorio Attualità: Simona Neri
(supervisione giornalistica)
Davide Ghio, Francesco Maiorana,
Lenore, Martina Pi, Claudia R., Giovanni
F., Giulia T., Laura Santi Amantini
Dal laboratorio Giovani Critici:
Maria Elena Buslacchi
(supervisione giornalistica)
Chiara Colasanti, Mattia Marzi, Matteo
Franzese, Lorenzo Coltellacci, Elena
Prati, Federica D'Angelantonio, Lady Iron,
Virginia Lupi, Chiara Cacciotti, Eleonora
Zocca, Vittoria de Benedetti, Giulia Iani,
Ilaria Maccari, Valeria Firriolo
Dal laboratorio Costume e Società:
Chiara Falcone (supervisione
giornalistica)
Greta Pieropan, Francesco Giasi, Davide
Ingento, Stefania Montoro, Giulia Noceti,
Tommaso Mori, Samuele Piras, Raffaele
Manieri, Evelina Podennikh, Riccardo
Risdonne, Fabrizio Ammannito,
Alessandro Bai, Paolo Nataloni
Impaginazione Gianni La Rocca
Web designer e illustrazioni
Giorgia Nobile (Idem s.c.g.)
Fotografie e fotoservizi
Luca Prestini, Erica Bernardello,
Jessica Spada, Circolo di Sophia,
Massimiliano T., Fotolia
I giovani reporter
utilizzano NikonD3100
Sito web: www.zai.net - Francesco Tota
Editore Mandragola Editrice
società cooperativa di giornalisti
via Nota, 7 - 10122 Torino
Stampa San Biagio Stampa S.p.A.
via al Santuario N.S. della Guardia, 43P43Q
16162 Genova
Presi per la gola e per il sedere
Il noto quotidiano sensazionalista tedesco Das
Bild ha finalmente rinunciato alle donne nude
in copertina, consuetudine che durava da quasi trent’anni. Dal 1984, infatti, ha pubblicato
sulla prima pagina le foto di oltre 5mila ragazze con il seno scoperto. La decisione è arrivata
il giorno della festa della donna. Lo scorso febbraio, invece, il settimanale L’Espresso ha voluto rispolverare la sua vecchia abitudine di fare
sexy copertine. L’inchiesta pubblicizzata dal
fondoschiena che vedete in foto si riferiva al ricorso frenetico ad analisi e test clinici. Al sedere?
Hanno collaborato a questo numero
RICCARDO
RISDONNE
Riccardo è uno studente dell’ITIS
dell’Aquila, Specializzazione Liceo
Scientifico Tecnologico. Gli piace
navigare su internet e scoprire nuove
cose. Ama la tecnologia: videogiochi, smartphone e computer.
Gli altri gli dicono sempre che è un
tipo piuttosto romantico. Odia le sigarette umide, non sopporta la gente
che mente, e vuole troppo bene agli
amici, che forse, a volte, neanche se
lo meritano.
ELEONORA
ZOCCA
VITTORIA
DE BENEDETTI
Eleonora ha 17 anni e frequenta il liceo
scientifico. Dopo il diploma spera di
poter studiare in Inghilterra o magari negli Stati Uniti. È piena di interessi, ma le
sue vere passioni sono la lettura e la
scrittura. Segue la politica perché pensa
che sia diritto, ma soprattutto dovere di
ciascun cittadino conoscere le norme
che regolano la vita sociale. Le piace
immaginarsi nei dibattiti televisivi in
qualità di giornalista, seguendo le orme
di Travaglio o della De Gregorio.
Vittoria è una studentessa romana al
terzo anno del liceo classico. Nel suo
tempo libero le piace guardare film,
soprattutto quelli in bianco e nero o i
grandi classici americani. I suoi registi preferiti sono Billy Wilder e Sidney
Pollack; il suo mito è Jack Nicholson.
Adora leggere romanzi che hanno
ispirato alcuni grandiosi film, ma il
suo scrittore preferito è Zafon. Da
grande vorrebbe diventare un notaio o
entrare nel mondo del cinema.
Questa testata fruisce dei contributi statali
diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250.
Questo periodico è associato
all’Unione Stampa Periodica Italiana
Samuele ha 19 anni e frequenta l’Istituto Tecnico “Sarrocchi” di Siena.
Da quando è piccolo ha una predilezione per i computer, tanto che gli
piacerebbe continuare sulla strada
dell’informatica nel mondo del lavoro o magari all’università. Ma i
computer non sono la sua unica passione. Dal primo anno di superiori si
dedica alla politica ed è entrato nel
collettivo della scuola. È molto interessato al periodo della Resistenza.
Zai.net Lab, il più grande laboratorio giornalistico d’Italia, è realizzato anche grazie al contributo di
Concessionaria Pubblicitaria
Publirama S.p.A.
Foro Buonaparte, 69 - 20121 Milano
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Anno XI / n. 3 - aprile 2012
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n° 486 del 05/08/2002
Abbonamento sostenitore: 25 euro
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Servizio Abbonamenti
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SAMUELE
PIRAS
In collaborazione con
3
Aprile 2012
Attualità
Last minute
INFOWEB
www.libera.it
Eccellenza italiana
Libera dal 1995 lavora per
sollecitare la società civile
nella lotta alle mafie. Nel
2008 è stata inserita dall'Eurispestraleeccellenzeitaliane.
Una giornata
particolare
tempo di lettura: 7 minuti
Eventi. Oltre centomila da tutta Italia contro le mafie
Per non perdere
il filo
Genova, città Libera
Il capoluogo ligure ha ospitato la Giornata della memoria e dell’impegno
in ricordo delle vittime delle mafie, indetta dall’associazione di don Ciotti.
Una straordinaria manifestazione che ha coinvolto anche molti giovani
Davide Ghio,
20 anni
“L
a mafia è una montagna
di merda”: queste le testuali ed incisive
parole di Don Luigi Ciotti, che citando
Peppino Impastato ha infiammato la
folla di oltre centomila persone che si
sono riversate a Genova il 17 marzo. È
infatti nel capoluogo ligure che Libera, la rete di associazioni contro la
mafia nata 17 anni fa, ha deciso di celebrare la “Giornata della memoria e
dell’impegno in ricordo delle vittime
delle mafie”, proclamando la città
“Porta d’Europa”. Genova e l’intera
Liguria, nonostante non siano tradizionalmente pensate come terre del
pizzo e dei clan, sono sempre più
spesso al centro delle indagini della
procura antimafia per attività di riciclaggio, di spaccio e di infiltrazioni
mafiose: più di una maxi-confisca di
cocaina nel porto di Genova e lo scioglimento dei Comuni di Bordighera e
Ventimiglia nel giro di soli due anni ne
sono la prova tangibile. In più, ricorda
Don Ciotti, da un rapporto di Legambiente emergono delle infiltrazioni mafiose nel business del cemento, una
vera piaga in Liguria. Libera ha per
l’occasione pubblicato un dossier, con
tutti i dettagli dell’attuale situazione
nella regione, che è stato distribuito
negli innumerevoli incontri (conferenze, proiezioni di documentari, concerti) che si sono susseguiti in città a
partire dal 26 gennaio, data dell’inaugurazione di un negozio di prodotti
equosolidali, “In sciä stradda”, e di
una casa popolare in un palazzo confiscato ad un mafioso nel centro storico. Tutti gli incontri hanno avuto un
unico denominatore comune: il dovere di manifestare il proprio dissenso
e la partecipazione contro l’indifferenza generale.
Ed il 17 marzo, a Genova, c’erano
proprio tutti: i ragazzi di Libera del
presidio “Francesca Morvillo”, scout
venuti da ogni dove, in calzoncini corti
nonostante la brezza del marzo genovese: fungevano da servizio d’ordine
ed hanno retto, per tutta la durata del
corteo, una monumentale bandiera
della pace; sacerdoti e ragazzi dell’Azione Cattolica; figurava persino
uno striscione dei “Gesuiti per Libera”; gruppi di Libera dal Trentino
alla Sicilia, studenti del Meridione arrivati in giornata con colorati e variegati striscioni. Associazioni studentesche, Legambiente, comitati in ricordo
delle vittime, i sindacati. Moltissimi i
volti noti che hanno sfilato, tra cui il
magistrato Gian Carlo Caselli, il procuratore nazionale antimafia Piero
Grasso, il “prete del marciapiede” Don
Andrea Gallo (la sua comunità di San
Benedetto al Porto ha dato un grande
contributo alla manifestazione), il sindaco uscente di Genova Marta Vincenzi, il presidente della Regione
Claudio Burlando, i rappresentanti di
molti comuni liguri e del Sud Italia.
Ma protagonisti indiscussi della giornata sono stati gli oltre 500 familiari
delle vittime delle mafie, che hanno
sfilato compatti in testa; fra di loro
Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Vincenzo Agostino, padre del
poliziotto ucciso nel 1989: da quel
giorno non ha più tagliato barba e capelli e non lo farà finché non si farà
chiarezza sull’omicidio di suo figlio.
C’era anche Giovanni Tizian, giovanissimo giornalista che vive sotto scorta
perché minacciato dalla mafia. La giornata è stata essenzialmente di ricordo e
di commemorazione: si sono limitati i
grandi discorsi per lasciar spazio alla
lettura degli 824 nomi delle vittime di
mafia negli ultimi 150 anni, accompagnata da brani musicali e applausi della
folla attenta: particolari “ovazioni” per
i nomi di Peppino Impastato, Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino (dei quali ricorre il ventesimo anniversario della
morte). E per Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso nel ’48 che, essendo
morto prima del 1961, non può essere
dichiarato vittima antimafia: questa è
l’anomalia legislativa che, fra le altre
cose, ha denunciato Don Ciotti sul
palco, ricordando le singole vittime e
citando molti casi, “sentiti sulla propria pelle”. Il sacerdote veneto ha invitato a non sottovalutare le mafie, “non
forti, fortissime”, e quindi ad essere più
forti come singoli individui: senza tale
appoggio, l’azione della magistratura è
inutile. Non è mancata anche una critica
alla Chiesa: le “facce da angelo” dei
mafiosi sono anche lì. L’eterogenea
folla è poi tornata alle proprie case, con
la gioia di aver scalfito l’indifferenza
generale, almeno per un giorno.
Sarzana. Pino Masciari incontra gli studenti
C’è chi dice no
Francesco
Maiorana,
20 anni
Pino Masciari è un imprenditore calabrese con una storia da raccontare,
che sembra lontana, ma ci riguarda
tutti molto da vicino. Anche se non è
un oratore di professione, riesce a trasmettere con forti emozioni la sua delicatissima vicenda, sottolineando che
questo Leviatano, la Mafia, è ormai
diffuso anche nel nord del Paese. Pino
Masciari si definisce una persona comune, semplice, ma questo non è
vero. Fin da giovane aveva voluto
seguire le orme del padre, anche lui
imprenditore, specializzandosi successivamente nel settore edile. Negli
anni ha dimostrato il suo valore raggiungendo livelli sempre più elevati
nella sua attività d’impresa, aprendo
cantieri anche all’estero. Ma il valore più grande l’ha dimostrato
quando si è rifiutato di pagare il pizzo
alla ‘ndrangheta o di entrare in affari
con essa, dicendo no ad angherie, as-
sunzioni pilotate, forniture imposte
da qualche capo-cosca o da qualche
amministratore. Fedele al senso civico e ancora fiducioso nei confronti
dello Stato, ha visto svanire il sogno
di una vita, la tranquillità e la felicità
della sua famiglia, finendo in un programma speciale di protezione, insieme a sua moglie e ai due bambini.
Ma nonostante tutto ha voluto ribadire che l’importanza e la stessa esistenza delle istituzioni dipendono da
noi, comuni cittadini. Ed è proprio
quando viene meno la fiducia in esse,
che non dobbiamo restare inermi o
indifferenti. Il messaggio che ci lascia
Pino è che sta a noi scegliere il futuro
che vogliamo.
C’è un filo conduttore che
lega il numero di Zai.net che
state per leggere e comincia
proprio dall’articolo qui accanto, che racconta la straordinaria partecipazione dei ragazzi alla Giornata della
memoria e dell’impegno per le
vittime della mafia organizzata
da Libera.
Proseguendo verso l’inchiesta
portante del giornale, troviamo
l’analisi di uno dei fenomeni che
stanno emergendo in alcune
città italiane: quello dei movimenti neofascisti. I nostri reporter, coordinati da Chiara
Falcone, si sono mossi alla ricerca delle ragioni di gravi episodi di violenza, ma hanno cercato soprattutto di indagare il
perché questi gruppi esercitino
tanto fascino tra gli adolescenti,
scoprendo che una parte importante la gioca il mix tra suggestioni dei miti di uomini sanguinari del Novecento e il
malcontento sociale di oggi dovuto alla crisi. La risposta?
Qualche suggerimento saggio lo
trovate nella nostra intervista a
Moni Ovadia: l’intolleranza nasce dall’ignoranza (quanti non
conoscono la Costituzione!) e la
risposta è nella cultura della diversità; quindi nel garantire la
libertà di espressione a tutti.
E, allora, non poteva mancare
un viaggio nel passato e nella
memoria. Ci hanno pensato i
ragazzi di Siena, coordinati da
Simona Neri, e quelli dell’Aquila attraverso le testimonianze dei partigiani o dei nonni
che hanno narrato la loro infanzia vissuta durante la dittatura fascista con tanti episodi
di vita quotidiana.
Del resto, lo ha fatto anche Simone Cristicchi, nel suo ultimo,
commovente libro Mio nonno è
morto in guerra, che raccoglie
tante storie di uomini e donne
con i ricordi della loro giovinezza segnata dalla seconda
guerra mondiale.
Ci piace ricordare che ne Il sentiero dei nidi di ragno il partigiano Kim pensa: «Forse non
farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi». Di infinite «questioni private» - aggiungiamo noi - che
insieme danno forma a un desiderio collettivo: lasciarsi alle
spalle un mondo vecchio e cominciarne uno nuovo, migliore.
Eccolo, il nostro filo conduttore.
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Attualità
Inchiesta
INFOWEB
teatrodellido.it
Roma neofascista
È l’allarme lanciato dal
Presidente dell’Anpi
Roma Francesco Porcaro,
che denuncia la diffusione di gruppi estremisti.
Estremamente
pericolosi
tempo di lettura: 16 minuti
Focus. I fascismi del Terzo Millennio
Tutto il nero dell’Italia
Poco tempo fa un’indagine del think tank britannico Demos ha rilevato che in Europa un
quarto dei sostenitori dei nuovi movimenti di destra appoggia il ricorso alla violenza. E il
nostro Paese si allinea: con l’aiuto di due esperti ricostruiamo l’evoluzione di questi gruppi
Lenore,
20 anni
P
iazza Dalmazia è un piccolo
spazio verde della periferia nord di
Firenze. Un supermercato, un bar,
qualche negozietto e, ogni mattina, le
bancarelle del mercato. Una mattina di
dicembre un uomo si incammina in
mezzo alla folla, armato di una pistola, e spara a Mor Diop e Samb Modou, due ambulanti, uccidendoli.
Una strage a sfondo razziale, ad opera
di un militante di estrema destra, uno
dei numerosi episodi di violenza verificatisi in Italia negli ultimi anni.
Per comprendere meglio il fenomeno
dei movimenti neofascisti e il fascino
che riescono ad esercitare sui più giovani, abbiamo parlato con Guido Caldiron, giornalista che all’estrema destra ha dedicato un’ampia bibliografia,
e Carlo Bonini, giornalista e autore
di A.C.A.B. (da cui il film di Stefano
Sollima).
Prima di tutto è opportuno tentare di
tracciare una mappa di questi movimenti che si presentano con volti
molto diversi sul panorama italiano.
Ci spiega Bonini: «Con la fine del
‘900 la tradizione italiana si è divisa
tra una componente che si autodefinisce “fascisti del terzo millennio” e la
cosiddetta “fascisteria immaginaria”,
che potremmo identificare con l’orizzonte culturale di CasaPound e che,
storicamente, guarda al fascismo della
prima ora. Poi c’è una forma di neofascismo minoritario, spesso in aperto
conflitto con la tradizione più moderna, che in Italia si concentra intorno a Forza Nuova: una forma clericale, con venature neonaziste e
accenti xenofobi marcatissimi. Si presentano sul mercato politico con
un’offerta più radicale e perciò si sono
sempre confermati inservibili alla destra “istituzionale”. La leadership politica di Forza Nuova è più in là con
gli anni, cresciuta nell’Italia degli anni
‘70, nelle formazioni della destra extraparlamentare».
Da un punto di vista geografico, tre
sono gli epicentri in cui si sono sviluppati gli estremismi di destra secondo Caldiron: «Prima di tutto il
Nordest, dove per la prima volta si
sono organizzati a livello di rete i
In un momento di crisi,
in cui c’è una forte
paura di perdere status
sociale, diritti e benefit,
è normale cercare un
capro espiatorio: forze
politiche come quelle
che abbiamo fin qui
descritto offrono questo
capro espiatorio e
mietono successi. È più
facile prendersela col
vicino immigrato che
con la riorganizzazione
del capitalismo globale
gruppi dei cosiddetti naziskin, un fenomeno che risale ormai agli anni ‘90,
ma che dura ancora oggi. Poi c’è la
Lombardia, dove è accaduto qualcosa
di simile: qui, la presenza in molte
amministrazioni locali di forze politiche come la Lega ha facilitato anche
negli ambienti giovanili un grosso
scambio tra queste formazioni e realtà
politico-amministrative. Infine Roma,
che costituisce vicenda a sé: qui queste caratteristiche si sono sposate con
una tradizione di squadrismo neofascista, che era attiva anche negli anni
‘70 e ‘80 e che ha passato il testimone
alle nuove generazioni, mettendo insieme vecchie figure legate alla strategia della tensione e i nuovi giovani,
spesso espressione della marginalità
delle periferie».
C’è quindi una coesistenza di vecchio
e nuovo, di antichi miti che vengono
reinterpretati alla luce delle nuove esigenze della società contemporanea e
magari anche distorti. «Esattamente –
conferma Bonini – Il pantheon cultu-
rale cui loro fanno riferimento è molto
confuso: al richiamo insistito ai natali
storici si sovrappongono suggestioni
novecentesche che poco o nulla hanno
a che fare con la tradizione della destra. Ad esempio, spesso ravvisiamo
riferimenti alle esperienze della lotta
di liberazione in Sud America della
seconda metà del ‘900, o alla questione palestinese».
Precisa Caldiron: «Oltre il riuso delle
vecchie mitologie - penso al fascista
greco Codreanu, a Degrelle, che fu
uno dei capi delle SS belghe - i movimenti neofascisti arrivano a reinterpretare anche miti della sinistra: pensiamo alla rilettura neofascista di Che
Guevara, considerato eroe del popolo
e combattente nazionale». Conferma
Bonini: «Pensate che in un’intervista
Iannone (fondatore di CasaPound,
ndr) mi confessò di avere sul comodino, accanto a Marinetti, la biografia
di Che Guevara. Più in generale, possiamo dire che il militante di destra
porta in sé la storia del fascismo nella
sua stagione iniziale, che nasce come
costola del socialismo, tiene la parte
che ritiene presentabile e liquida tutto
il resto. Insomma, un curioso mix tra
suggestioni novecentesche, spesso
solo orecchiate e sapientemente ripulite, ed istanze sociali tipiche del nostro tempo».
A proposito di CasaPound, il nome
stesso già suggerisce un riferimento
ben preciso a un personaggio del ‘900,
Ezra Pound: «L’importante poeta
americano è una figura che oggi trova
una nuova cittadinanza nel movimento di Iannone: Ezra Pound si
schierò contro l’usura e si espresse in
modo abbastanza netto contro l’idea
del potere del denaro nella società del
‘900, con delle connotazioni antisemite, e pagò le sue posizioni filofasciste con una lunga carcerazione. La
sua vita è dunque emblematica per
questi movimenti: c’è spesso l’idea
di recuperare dei miti perdenti, di persone che hanno pagato le proprie posizioni politiche nel passato, trasformandoli in degli eroi, come una sorta
di romanticismo nei simboli culturali», commenta Caldiron.
Tutta questa opera di restaurazione ha
conseguito il suo scopo: gran parte
dei movimenti è composta da giovanissimi, ragazzi fra i 15 e i 20 anni.
Ma cosa porta oggi un adolescente ad
avvicinarsi ad un’ideologia di più di
sessanta anni fa? A far riferimento a
fatti che lui non ha mai vissuto?
«Prima di tutto proprio l’ignoranza
delle vicende storiche del ‘900 può
aiutare a riconoscersi in un’ideologia
razzista e di morte - afferma Caldiron
- Poi c’è un elemento psicologico: vivendo in un regime democratico, il
passato fascista e nazista ha assunto,
nell’immaginario pubblico, la caratteristica di un tabù, di male assoluto,
perciò è possibile che gli adolescenti
giochino con questo elemento. È un
modo di segnalare la loro diversità e il
loro antagonismo rispetto alla società
e alle famiglie: vogliono rappresentare
l’eccesso massimo, utilizzando il male
assoluto della storia».
Se poi analizziamo un caso specifico,
ci accorgiamo che è la capillarità sul
territorio l’arma vincente. Ci spiega
Bonini: «CasaPound nasce come
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Aprile 2012
INFOWEB
www.casapounditalia.org
22.800
Giovani estremisti crescono
“The new face of digital populism”: questo il titolo della
ricerca condotta da Demos su undicimila simpatizzanti di
movimenti di estrema destra su Facebook. È emerso che la
maggior parte degli intervistati fa parte di quei gruppi per
valori condivisi, come l’identità e la paura dell’immigrato.
luogo di aggregazione sul territorio
intorno ad alcune battaglie: per gli
spazi pubblici, per la casa, per il verde
urbano, contro le banche e contro i
tassi praticati da queste. Parole d’ordine che arrivano molto semplici e
dirette agli interlocutori. Progressivamente, attorno a questa esperienza,
nascono una radio, una libreria, una
serie di pub. In qualche modo CasaPound trova il suo successo nel fatto
di esserci, facendo sul territorio quello
che ha fatto prima il Msi e poi la destra sociale di An. Adotta tutti gli elementi tipici della cultura giovanile,
esaltati attorno a tre o quattro parole
d’ordine che spesso si incrociano con
bisogni sociali: insomma, crea una
sorta di holding nel mercato dell’intrattenimento giovanile».
CasaPound punta però a conquistare
un elettorato sempre maggiore: a
Roma ha deciso di presentarsi alle
prossime elezioni amministrative.
Riuscirà a cavalcare l’onda della crisi,
facendo leva sul malcontento sociale?
Bonini ipotizza: «La crisi ha certamente un peso importante. Il problema è che la battaglia per la casa, ad
esempio, la fa CasaPound, ma anche
Action e sotto tutt’altre bandiere. Il
punto è capire come mai buona parte
del risentimento e della frustrazione
vengano assorbiti da CasaPound invece che da quella parte movimentista
della sinistra. Io credo che sia dovuto
ad un mutamento profondo e progressivo del senso comune del Paese:
penso che l’Italia si sia da tempo cul-
CasaPound ha occupato
quello spazio che la
destra aveva lasciato
vuoto sul territorio
e ha avuto un ruolo
importante in termini
di militanza
I fan della pagina Fb
di CasaPound Italia. Il
gruppo è in continua
crescita.
turalmente spostata a destra».
Più in generale, in un momento di
forte paura, generata dall’incertezza
del domani, di perdere status sociale,
diritti e benefit, è normale cercare un
capro espiatorio: «Forze politiche
come quelle che abbiamo fin qui descritto offrono questo capro espiatorio
e mietono successi - commenta Caldiron - Le persone che li votano in realtà non vedranno probabilmente mai
risolti i loro problemi, ma verrà costantemente alimentata in loro l’idea
che questi siano responsabilità di
qualcuno. È più facile prendersela col
vicino immigrato che con la riorganizzazione del capitalismo globale o
con il sistema delle banche. Lo straniero che “ci ruba il lavoro” è un messaggio diretto, esplicito».
E nel panorama istituzionale italiano
ed europeo degli ultimi anni non mancano forze politiche vicine a questo
messaggio. «Bisogna capire prima di
tutto che c’è stata una trasformazione
politica - spiega Caldiron - è caduta la
distinzione tra il mondo conservatore
e la destra estrema. Come indicano
molte storie politiche, non solo quella
italiana, gruppi populisti, estremisti e
razzisti sono stati risucchiati all’interno delle dinamiche della politica
nazionale fino a far parte di governi:
questo ha banalizzato le loro posizioni, ha reso molto più praticabili e
commestibili le pratiche antidemocratiche in seno alla democrazia e ha
fatto sì che oggi il populismo di destra
non sia più marginale nello spazio politico europeo, ma sia talvolta il cuore
della battaglia politica. Ci sono Paesi,
basti guardare la campagna per le presidenziali in Francia, dove tutto si
gioca sulle politiche nei confronti degli immigrati o su come distribuire
ciò che rimane del welfare: il tema
dell’etnicità e dell’appartenenza nazionale è diventato centrale. Non solo,
è prassi ormai comune che forze che
presentano una critica radicale e si di-
mostrano irriducibili alla democrazia,
utilizzino proprio gli strumenti democratici per mietere consensi».
Ma in realtà movimenti come CasaPound si differenziano dalla maggioranza politica italiana: se ne distaccano e trovano in sé una loro identità:
«Il ventennio da cui stiamo uscendo
ha avuto un ruolo importante: la maggioranza politica del Paese, non necessariamente elettorale, si è sensibilmente spostata a destra e CasaPound
ha lavorato molto sul senso comune
maggioritario, in chiave spesso nazionale, differenziandosi dalle fughe
in avanti che nella maggioranza politica poteva rappresentare una forza
come la Lega. Ha occupato quello
spazio che la destra aveva lasciato
vuoto sul territorio e, siccome si rivolge ad una fascia d’età di chi si affaccia per la prima volta alla politica,
ha avuto un ruolo importante in termini di militanza e di attenzione»,
conclude Bonini.
Roma. Escalation di violenza sul litorale
Ostia: agguato alla cultura
Giulia T. e Giovanni F.,
19 anni
Che si tratti di risse o di aggressioni,
molte indagini sono ancora in corso,
Roma sta diventando sempre più
spesso teatro di violenza e di scontri
fra movimenti di estrema destra e
collettivi di sinistra. Ultima in ordine
di tempo, la vera e propria guerriglia
urbana a Casal Bertone, sulla Tiburtina, in cui sono rimaste coinvolte
decine di persone. Alla periferia sud
della città, poi, il disagio sembra crescere di giorno in giorno. Il 24 febbraio scorso, ad Ostia, c’è stata una
rissa fra esponenti di CasaPound e
del Comitato per il Teatro del Lido
Occupato, studenti, militanti del collettivo l’Officina e di Rifondazione
comunista. Bilancio: tre ragazzi all’ospedale e ventiquattro denunciati.
Per completezza di informazione,
precisiamo che il caso cui ci riferiamo è ancora oggetto di indagine e
che le parti dichiarano una versione
opposta. Ma provate a rileggere chi è
rimasto coinvolto nello scontro: militanti politici, ma non solo; anche
studenti e ragazzi del Comitato per il
Teatro del Lido Occupato. Siamo andati lì aspettandoci un centro sociale
politicizzato o un covo di comunisti
falce alla mano e pugno alzato: ma ri-
credersi è stato per noi un obbligo. Il
Teatro Lido di Ostia - come il nome
stesso deve suggerire - è un centro di
cultura, recitazione, ma soprattutto di
lavoro sul territorio, con l’obiettivo di
risollevare i problemi di una periferia
oppressa dal disagio, dalla crisi e
dalla precarietà. Parliamo con Claudio, il portavoce dei ragazzi occupanti, che ci chiarisce gli obiettivi del
Teatro e parla della recente aggressione del 24 febbraio di CasaPound ai
loro danni. «Noi ci definiamo operatori culturali, termine che contiene
sia aspetti civici che politici: per politica intendiamo vita, fare uno spettacolo come un attacchinaggio, intrattenimento, non un partito o un
rappresentante istituzionale», spiega
Claudio.
Il comitato per il Teatro Lido Occupato non vuole porsi come alternativa
a CasaPound perché non si definisce
un movimento di sinistra: «Non
siamo un centro sociale, realtà che
rispettiamo molto, ma semplicemente
non siamo questo - tiene a precisare
Claudio - È molto importante capire
che non viviamo nella contrapposizione a CasaPound, è una riduzione
giornalistica che rischia di non far
capire la complessità del nostro lavoro nel territorio. Questo non significa che per noi l’antifascismo non
sia un aspetto del fare cultura, uno
strumento: in una periferia come
I manifesti del Comitato per il Teatro del Lido Occupato imbrattati da celtiche
Ostia, vittima della crisi e della precarietà, il fascismo inteso non solo
come movimento politico, ma come
atteggiamento culturale, penetra con
facilità all’interno dei settori sociali».
Ed effettivamente negli ultimi anni
CasaPound ha aumentato la sua agibilità ad Ostia e ha recentemente
aperto un circolo\pub chiamato Idrovolante: viene da chiedersi se tutto
questo sia collegato agli ultimi cinque
anni di amministrazione di centrodestra. Spiega Claudio: «Il municipio ha
un rapporto diretto con l’amministrazione comunale. Durante questi anni
sono piovuti tanti finanziamenti sul-
l’estrema destra romana e qui a Ostia,
la vicinanza fra esponenti di CasaPound e alcuni politici locali ha secondo noi sancito la loro agibilità politica». E così nel giro di due anni si
assiste a un’escalation di tensioni.
Prosegue Claudio: «Oltre ai tentativi
di effrazione e altre aggressioni che
abbiamo subìto, ci sono arrivate segnalazioni anche da altri ragazzi del
quartiere, che ci hanno raccontato
episodi di intimidazione, celtiche e
scritte sui muri, spintoni. Il modus
operandi è: vengo lì, ti riconosco e ti
dico: “ah, sei uno di quelli, ti dovrei
picchiare, ma non lo faccio perché
sono buono”. E la sera del 24 febbraio, invece, c’è stata l’aggressione
vera e propria: i nostri compagni
erano nel pulmino e sono stati accerchiati da un gruppo di ragazzi che
hanno cominciato a battere con caschi
e tubi sui vetri. Sono scesi e c’è stata
l’aggressione». I ragazzi del Comitato, che sottolineano come non si sia
trattato di scontro, ma di aggressione,
concludono: «Noi non abbiamo problemi con gli esponenti di destra, il
teatro è aperto a tutti, però pensiamo
che le comunità vadano rispettate e di
fronte a chi attacca la diversità chiudiamo le porte».
6
Aprile 2012
Attualità
Inchiesta
INFOWEB
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Roma. La testimonianza di un professore
Se la violenza arriva a scuola
Claudia R.,
18 anni
Via Campania, centro di Roma: la
mattina del nove marzo al liceo scientifico “Righi” si scontrano ragazzi del
Collettivo Senza Tregua e del movimento Controtempo. Bilancio: tre feriti. Un episodio inaccettabile in
quanto ad essere aggrediti non sono
stati soltanto – e sarebbe stato comunque grave – militanti, ma studenti
come noi. Anche in questo caso la situazione non è chiarita e c’è un’indagine in corso, ma per molti l’aggressione è solo la punta dell’iceberg, la
manifestazione di un problema più
complesso. Abbiamo deciso di intervistare un professore del “Righi” che
preferisce rimanere anonimo: quella
mattina lui era davanti all’ingresso.
«Quando spiego ai miei ragazzi i vari
filosofi, cerco prima di tutto di mettere
a fuoco il contesto culturale in cui sono
vissuti. Dopo aver parlato di Locke e
Kant, iniziatori di concetti fondamentali come libertà e tolleranza, ho apprezzato come molti dei miei ragazzi
abbiano interiorizzato tutto ciò e di
conseguenza non possano che condannare episodi del genere».
C’è tuttavia una minoranza che sembra non fare tesoro di questi insegnamenti. Continua il docente: «Questi
ragazzi fanno riferimento a un modello politico e di società del quale in
realtà non conoscono nulla. Se io
chiedo loro quali siano state le decisioni di carattere culturale del regime
fascista, nessuno mi sa rispondere. E la
cosa peggiore è che questo per loro
non è un problema: gli basta essere legati agli slogan, alle frasi, ai nomi,
sentirsi militanti di qualcosa».
E proprio tra noi ragazzi, lontani e
forse inconsapevoli di tanti avvenimenti, prolifera questo clima di tensione: «Io quella mattina c’ero e ho visto questi ragazzi - spiega il professore
- erano spavaldi, violenti, ma quello
che più mi ha colpito era la loro freddezza. Gelidi e aggressivi, sono spesso
ragazzi problematici, che non studiano
e non lavorano. Mi chiedo quale futuro
stiano costruendo». Ma qual è il loro
background socioculturale? «L’epicentro di questi episodi è la zona di
Roma Nord, in quartieri come Parioli,
Trieste, dove abitano famiglie agiate o
comunque non povere. Alcuni sono
figli di professionisti e non hanno
paura di scontrarsi a viso scoperto,
come se in qualche modo fossero protetti o perché sono pronti a tutto», avverte il professore.
Il giorno dell’aggressione il gruppo sapeva che avrebbe trovato lì i ragazzi
del Collettivo radunati per andare alla
manifestazione sindacale della Fiom:
«È del tutto evidente che siano stati avvertiti da qualcuno all’interno della
scuola il giorno prima. Ora funziona
così: in ogni istituto ci sono pochi esponenti di questi movimenti; per volantinare e fare proseliti, ciascuno si scambia
la sua scuola, in modo da essere meno
riconoscibile. In più, i volantini che gli
aggressori stavano distribuendo erano
vecchi, si riferivano ad una polemica
precedente ed erano già stati diffusi in
altre scuole», ci spiega il docente.
Quel giorno, all’ora dell’entrata, molti
insegnanti sono rimasti loro malgrado
coinvolti nello scontro proprio mentre
cercavano di salire a scuola: «Assistere agli scontri per me è stato come
tornare ad alcune scene degli anni ‘70:
un altissimo tasso di violenza gratuita,
quasi sadismo, un istinto di morte e di
distruzione che mette paura». Siamo
dunque tornati agli Anni di piombo?
Forse le generazioni degli anni ‘70
erano più ideologizzate, adesso i ragazzi si impossessano di una fraseologia di cui non conoscono i contenuti.
Ma a quale scopo? Si chiede il prof:
«Per far progredire la società italiana?
Per costruire un’Europa solidale e democratica? Per realizzare finalmente la
Carta Costituzionale del nostro Paese?
No certamente. Il loro obiettivo è riprodurre modelli politici e culturali
sconfitti dalla storia. E ciò che è sconfitto dagli eventi non torna più». L’aggressività, la violenza sembrano quindi
l’unico mezzo per autoaffermarsi. Ci
avverte il docente: «Questi nuclei non
sono interessati al dialogo, hanno riferimenti culturali deviati e la violenza
come mezzo per darsi potenza. Il contatto con l’altro non è su un piano, anche se di scontro, ma dialettico: chi la
pensa diversamente è un nemico da
colpire e da eliminare. Quello che mi
spaventa è che, pur essendo una minoranza, sia in netta crescita sul terri-
torio romano: a fare gioco sono i concetti di sicurezza, ordine, potenza, che
spingono un ragazzo fragile emotivamente dritto fra le braccia di questi
movimenti». E le istituzioni?
«Fanno pochissimo - continua - né per
controllare o reprimere, né per cercare
un dialogo. Eppure non sembra esserci
alcuna attenzione al fenomeno, anzi: in
alcuni casi il ruolo delle istituzioni è
stato palesemente o ambiguamente di
sostegno. Fatto sta che oggi nella nostra città assistiamo ad un’attività di
picchettamento continuo che prima
non c’era da parte questi movimenti.
Cosa è accaduto? Perché gli organismi competenti non intervengono, ciascuno secondo le proprie responsabilità? Ci sono troppi punti oscuri nel
comportamento e nelle decisioni dei
nostri diversi livelli istituzionali».
Come combattere tutto questo? Conclude il professore: «Con la cultura:
l’unica risposta che noi insegnanti
siamo in grado di dare è l’invito a studiare per capire le dinamiche della storia e non ripetere gli stessi errori. Se
questo invito non verrà raccolto, mi
chiedo quale sarà la classe dirigente
che ci aspetta».
I risultati della nostra indagine
Opinioni. Quando i disordini sconvolgono una città
Intolleranza e xenofobia: Milano estrema
Martina Pi,
20 anni
Non sono mai stata per il bianco o il
nero, ma per tutte le ottime sfumature
di grigio che ci sono in mezzo. E non
amo solo le sfumature cromatiche,
ma anche quelle politiche e sociali.
Sempre più spesso sembra non esserci più spazio per il dialogo, né per la
libertà di pensiero: ciò che ciclicamente accade a Milano ne è la prova.
A partire da quanto accaduto poco
tempo fa al liceo Classico “Berchet”,
dove un rappresentante degli studenti
è stato aggredito per aver rifiutato e
criticato un volantino degli studenti
del movimento Forza Nuova. Un episodio simile si era verificato nel settembre scorso al “Manzoni”, in cui
era stato aggredito uno studente di destra in uno scontro fra opposti colori.
E da questi disordini non sembra
esimersi nemmeno l’ambiente universitario: all’Università Cattolica
del Sacro Cuore agli inizi di marzo
sono stati appesi alcuni manifesti
che pubblicizzavano la presentazio-
ne del libro Il fez e la kippah di Andrea Giacobazzi, con le caricature
degli ebrei degli anni Trenta. Nel
2008 gli studenti del Comitato Universitario Iniziative di Base avevano
appeso nei chiostri dieci manifesti
con croci celtiche.
La libertà di espressione è sacrosanta e Voltaire dichiarò che si sarebbe
battuto per la possibilità di esprimere qualunque idea dell’altro, pur non
condividendola, ma a questo punto
mi chiedo: gli estremismi di destra,
sinistra, su, giù e centro sono da difendere o da placare?
7
Aprile 2012
Attualità
Cultura
INFOWEB
www.moniovadia.net
Liste antisemite
Su un sito d'ispirazione
neonazista una lista di
professori definiti pericolosi e collaboratori dell’intelligence israeliana.
Generazioni
a confronto
tempo di lettura: 9 minuti
Democrazia. La lezione di Moni Ovadia
Padri e figli: fine dell’alleanza?
I giovani hanno bisogno di quegli anticorpi che solo la cultura può dare loro e di ricreare
quel patto tra le generazioni che i padri hanno rotto
Laura
Santi Amantini,
19 anni
I
n Italia c’è un’ignoranza diffusa
della Costituzione, persino dell’articolo 1. La materia dell’educazione civica, che doveva formare i giovani ai
principi della Carta è sparita; ed è soprattutto sui giovani, privi dei necessari
anticorpi per difendersi, che la demagogia populista e xenofoba ha facile
presa, specie nei periodi di crisi. Se fai
parte degli eletti che hanno i privilegi
puoi essere attratto dalle ideologie di
chi dice che gli stranieri ci portano via
il lavoro.
L’ex ministro Maroni recentemente ha
ammesso che la Lega ha utilizzato
espressioni razziste per racimolare voti.
Lo dice oggi, dopo vent’anni di questa
propaganda che ha giocato bene sulla
paura di “quelli” che ci invadono. La
paura è uno dei sentimenti più potenti,
soprattutto per chi ha una scarsa formazione culturale. La vera cultura nasce dalle diversità. La difesa delle tradizioni localiste rischia di ridursi alla
fine alla sagra della polenta e della salamella.
Ora che la globalizzazione ha portato ai
vertici della leadership economica India e Cina, che non appartengono, nell’immaginario delle destre xenofobe,
alla razza dominante la presunta supremazia crolla di fronte all’evidenza.
Il razzista teme il confronto, vuole essere migliore per definizione, senza dimostrarlo, altrimenti farebbe una figura meschina.
Lo xenofobo non si lancia contro il
presidente Obama, che è per metà africano, ma governa il Paese più potente
del mondo. Preferisce attaccare i poveri, quelli più indifesi, come i rom,
che non hanno uno Stato di riferimento
e non vogliono omologarsi. Nella cultura occidentale l’uniformità è un valore, la diversità un disvalore. Ma l’essere umano ha una caratteristica
straordinaria: è universale e nello
stesso tempo ha delle specificità che
sono proprio la bellezza dell’universale
umano. Le culture conservatrici rea-
Foto di Pino Settanni
Razzisti di comodo
zionarie non lo vogliono accettare, perché la diversità è fonte di critica al modello dominante, che vuole invece tenere sotto controllo tutto.
L’antisemitismo continua ad essere cavalcato, ma in forma latente; oggi è
molto sotto controllo perché gli ebrei
sono entrati ormai nel salotto buono.
Tutti, compresi i politici di destra, mettono lo zucchetto e fanno visita al lager
di Auschwitz, per poi dire “Mi sento
israeliano”. In realtà, confondono
“ebreo” con “israeliano” e lo fanno in
modo strumentale, anche perché
Israele è amico degli Stati Uniti; se
questo stato di fatto cambiasse per
qualche ragione, l’antisemitismo risorgerebbe. Gli ebrei, intesi come minoranza emarginata e perseguitata,
sono stati sempre una spina nel fianco
nella cultura occidentale, con la loro
visione del mondo che contrastava con
la grande omologazione che le linee di
potere del Cristianesimo a lungo hanno
preteso. Sì, è vero, è stato istituito il
Giorno della memoria, c’è tutta una
letteratura dedicata alla Shoah, ma se si
dovesse andare alla radice di quanto è
successo c’è ancora molta ipocrisia.
Sì ai giovani,
no al giovanilismo
Una società di adulti mascalzoni ha
rotto il patto fra le generazioni. Ci sono
uomini che hanno passato il tempo ad
accumulare denaro, corrompendo e facendosi corrompere. Sono gli stessi
che si imbalsamano per sembrare eternamente giovani, perché odiano i giovani e non vogliono che camminino
con le loro gambe.
Dovremmo ricordare il famoso episodio della “legatura di Isacco”, impropriamente noto come “sacrificio di
Isacco”.
L’episodio riporta l’alleanza tra padre
e figlio, dove quest’ultimo accetta di
rappresentare la condizione di figlio
nella società tribale, legato al potere del
padre. Il sacrificio è solo una grande
rappresentazione teatrale per rompere
questo schema: Isacco infatti non verrà
sacrificato, i suoi legami saranno sciolti
e l’umanità passerà dalla tribalità, in
cui il padre è padrone del figlio, alla socialità, in cui il figlio è libero e appartiene al futuro, al quale il genitore deve
prepararlo attraverso un’alleanza di trasmissione di saperi e di rispetto reciproco. Oggi questa alleanza è stata
rotta in un altro modo; il padre vuole
avere il potere del padre e l’energia
del figlio: una perversione terrificante.
I giovani sono dotati di straordinarie
energie che si trasformeranno in esperienza progressivamente e, se assumeranno la consapevolezza piena del
cammino, potranno svolgere un ruolo
fondamentale. C’è vitale bisogno della
loro azione e del loro talento, che è
dovuto però non al fatto che siano essere umani diversi ai vecchi, ma al
fatto che vivono una fase diversa del
loro viaggio. Prima si hanno più energie, poi più consapevolezza e capacità
di direzionarle. Per fare un esempio,
Moni Ovadia il vagabondo
Moni Ovadia, uno dei più noti
uomini di cultura della scena italiana, è nato nel 1946 a Plovdiv, in
Bulgaria, da una famiglia
ebraico-sefardita, ma è cresciuto
in Italia. Dopo gli studi universitari ha iniziato la sua carriera
d’artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari Paesi. Si è
poi avvicinato al teatro, conqui-
stando il grande pubblico con lo
spettacolo “Oylem Goylem”. Filo
conduttore della sua attività artistica – si legge sul suo sito – è il
“vagabondaggio culturale e reale”
proprio del popolo ebraico, di cui
egli si sente figlio e rappresentante.
Ovadia collabora con diverse testate giornalistiche ed è noto per il
suo costante impegno a sostegno
dei diritti e della pace.
solo 5 scalatori hanno raggiunto gli
8000 metri e ci sono riusciti dopo i 40
anni. Le grandi rivoluzioni sono state
fatte praticamente tutte dai giovani,
con meno di 30 anni. Loro hanno la lucidità di vedere il nuovo che avanza.
Insieme, collaborando dialetticamente
con le generazioni che hanno esperienza si può costruire un grande
mondo. Ma senza la grande truffa del
“giovanilismo”; I giovani, come categoria sociologica, sono stati inventati
dall’industria statunitense per sfruttarli
economicamente, propinando loro un
sacco di ciarpame. Questa magnifica
riserva di energia, se investita su saperi,
coscienza e consapevolezza, può portare a risultati straordinari; se investita
nelle trappole del consumismo, rischia
di creare dei giovane pirla.
La forza del teatro
Sono onorato di avere molto pubblico
giovane ai miei spettacoli teatrali. I ragazzi, quelli che hanno voglia di sapere, di non essere sudditi ma cittadini, vogliono verità e riconoscono,
invece, chi fa solo il mestierante per tirare a campare. Il teatro ha la responsabilità di non raggirare il pubblico e di
offrire la sfida del confronto. Per avvicinare anche i più distratti, quelli che
scelgono di vedere un attore solo se è
stato al Grande Fratello, bisogna agire
sul piano didattico educativo, inserendo, ad esempio, il teatro nel piano di
studi.
L’educazione è gran parte di ciò che
conta nel destino dell’individuo. Madre
Teresa e Hitler avevano lo stesso DNA,
è stata solo l’educazione a renderli diversi. L’essere umano non è buono o
cattivo per natura, ma è un progetto
aperto, e questo è l’aspetto più straordinario e al contempo terribile. E magari qualcuno, venendo a teatro anche
controvoglia, all’improvviso può scoprire che qualcosa nel suo cuore è diverso da quello che pensava e riesce a
mettere in crisi le becere certezze televisive. Il teatro è un mezzo educativo
poderoso, perché utilizza tutti i registri
conoscitivi, non solo quello razionale,
ma anche quello emotivo, viscerale,
erotico. Non credo sia un caso che il
più grande esponente della cultura occidentale di tutti i tempi sia stato un teatrante: Shakespeare.
8
Aprile 2012
Vivere a...
Nairobi
INFOWEB
www.nation.co.ke
nairobinow.wordpress.com
Alle urne
Le prossime presidenziali
si terranno nel 2013. Negli
scontri che seguirono
quelle del 2007 rimasero
uccise oltre mille persone.
Una capitale
in cerca d'identità
tempo di lettura: 7 minuti
Contrasti. L’Africa che non ti aspetti
Il Kenya ha un’anima rock
Là dove niente o quasi di tutto ciò che avete sempre immaginato sul
continente africano corrisponde alla realtà. Viaggio nella Nairobi che cresce
FIVE
UP
Francesco Giasi,
stagista presso la Fao
1
La vicinanza dell’equatore
regala un clima mite e temperato tutto l’anno
2
È facile interagire con persone provenienti da ogni
parte del globo
3
Nairobi è sede di numerose
organizzazioni internazionali, società e imprese occidentali
4
Un sistema ramificato di
matatu e bus permette di
evitare l’uso di costosi mezzi privati
5
Nairobi è il cuore pulsante
della crescita economica e
“istituzionale” del Paese
FIVE
DOWN
Lo smog. Circolano migliaia di automobili “fumanti”
1
Criminalità. Bisogna prestare molta attenzione, soprattutto nelle ore notturne
2
Poche le aree verdi che
fanno spazio a ecomostri
in continua costruzione
3
I prezzi per condurre un
“medio” stile di vita sono
relativamente alti
4
Effetto villaggio. In termini di riservatezza e privacy
si ha la sensazione di non
essere in una megalopoli,
ma in un piccolo villaggio
di campagna
5
D
imenticate la storia della gazzella che dovrà correre più del leone.
Dimenticate le canzonette tradizionali
per turisti attempati in cerca di un
caldo sole “invernale”. Nairobi è tanto
di più. È una megalopoli in espansione, un contenitore multicolore, dinamico e rumoroso che racchiude nel
suo ventre una miriade di microcosmi profondamente in contrasto tra
loro. Passeggiare per le vie della città
è un incredibile esperimento sociale e
antropologico. Nello stesso istante è
possibile riconoscere l’ambulante che
vende mango e avocado, il cooperante
che fa jogging sui marciapiedi di terra
rossa, la schiera di tassisti che contratta il prezzo della corsa, instancabili
(e sfruttati) operai cinesi al lavoro nei
numerosissimi cantieri, ricchi commercianti indiani su potentissimi suv
occidentali, artigiani che lavorano il
legno al bordo delle strade, colorati
matatu (van privati adibiti al trasporto
pubblico) con musica reggae a tutto
volume, acacie profumate, soldati che
passeggiano imbracciando incredibili
fucili, lussuosi hotel, mendicanti nelle
loro dimore di cartone, jeep bianche
targate UN con potentissime antenne
radio. Una lista asfissiante ma reale,
per descrivere quale groviglio di rumori, sensazioni e contraddizioni animino le vie di questa folle città. Fondamentale punto di riferimento per la
diplomazia e la cooperazione internazionale nell’intera Africa subsahariana, Nairobi è la capitale di un Paese
dove c’è fame di riscatto sociale, dove
la middle class cresce sensibilmente e
assapora passo dopo passo, “pole
pole” come si usa dire nella lingua locale, il kiswahili, le comodità di standard di vita fino a poco tempo fa considerate inaccessibili. Cresce la schiera
di giovani laureati, cresce la quantità
di lavoro e di consumi. Un circolo virtuoso in fieri visibile anche a livello
governativo. Vision 2030 è il programma che guarda al futuro delle generazioni keniote: educazione, sanità,
servizi e infrastrutture. Anche lo sky-
line è in espansione. Nel giro di pochi
mesi spuntano nuove arterie stradali,
interi nuovi quartieri a discapito delle
aree verdi e a favore dei tanti costruttori indiani e cinesi che qui hanno trovato voglia di “espansione territoriale”
e un’assoluta mancanza di vincoli ambientali o paesaggistici. L’entropia colorata di questa città si accende di sfumature ancora più intense e
drammatiche, allontanandosi dai quartieri centrali e addentrandosi nelle numerose e popolosissime baraccopoli
che la circondano. Qui il livello di povertà, di accesso ai servizi essenziali e
alle condizioni minime di salute ed
igiene è ben al di sotto degli standard
minimi fissati dalle organizzazioni internazionali. Una serie complessa di
costruzioni non terminate, capanne e
lamiere si intersecano tra loro dando
vita a delle vere e proprie cittadelle,
dove la vita ha un ritmo sì incessante,
ma con un battito e un obiettivo giornaliero: la sopravvivenza. Non è facile
adeguarsi a tali contrasti: da un lato
una cornice inumana e dimenticata e
dall’altro il cuore di una città che
pulsa, da un lato la disperazione e la ricerca quotidiana dei beni di prima necessità e dall’altro l’ostentazione di
una movida paragonabile a quella di
una qualsiasi altra capitale occidentale. Paradossalmente non si può comprendere fino in fondo questa folle e
contraddittoria realtà senza aver conosciuto anche la sua “anima rock”.
Quando il sole tarda a tramontare, appena prima del brevissimo crepuscolo
equatoriale, si scatena un network di
meeting, incontri di lavoro e aperitivi
Il cuore della città tra banche, uffici e ambasciate
a base di “tusker baridi”, l’amatissima
birra locale. Dismessi gli abiti da lavoro, Nairobi diventa vibrante e coinvolgente. Si può passare con facilità
dal sushi bar alla serata jazz, dal club
molto ricercato alla “balera” keniana,
Arte di strada: mercatini all’ingresso della città
dal ristorante etiope ai concerti organizzati dai numerosi istituti di cultura.
Ma la nightlife nairobense è tanto attraente quanto pericolosa: la città si
attesta sempre nelle prime posizioni
nelle classifiche mondiali sulla criminalità. All’imbrunire è infatti assolutamente sconsigliato spostarsi a piedi
o spesso anche solo con mezzi pubblici.
Ciò di cui davvero si sente la mancanza e l’esigenza dopo qualche mese
a Nairobi è una passeggiata notturna,
una camera di compensazione dai
mille colori e rumori mattutini, qualche passo col naso all’insù davanti a
un cielo stellato. E se per caso dinanzi
a tante stelle si cercherà l’Orsa Maggiore, bisognerà stare attenti. Qui dove
tutto ha un sapore e un profumo diverso, anche lei, contraddittoria, apparirà sprezzante delle “nostre regole”,
appena sopra l’orizzonte.
9
Aprile 2012
Vivere a...
Chiavari
INFOWEB
www.comune.chiavari.ge.it, www.nonsolotigullio.com
www.radiojeans.net
On air
Nel CAG Acquarone di
Chiavari i ragazzi realizzano un programma
per Radio Jeans: Ti voglio bene Charlie!
Il volto giovane
della riviera
tempo di lettura: 7 minuti
Proposte. Cosa chiedono i ragazzi
Il fascino discreto dei portici
I giovani chiavaresi analizzano pregi e difetti della loro cittadina. Ma le loro
critiche sono costruttive. Se fossero nei panni del sindaco, ad esempio...
Daniel Ingenito, 17 anni
Stefania Montoro, 19 anni
Giulia Noceti, 19 anni
C
hiavari è un incontro tra passato e presente. Nulla di eccezionale,
forse, ma la parte più antica, quella
più vicina alla nostra scuola, ha un
suo fascino particolare, con i portici
medievali neri d’ardesia e il castello,
mal conservato, che domina la zona di
Rupinaro. Qui i segni del passato si
mescolano a quelli del presente: bar,
pizzerie, ristorantini, alcuni anche etnici, e vecchi fainotti dove si serve la
tipica farinata fatta di farina di ceci,
acqua, sale ed olio.
Non ci sono discoteche, è vero, ma
bastano pochi chilometri e si possono
raggiungere i locali presenti nelle altre località vicine.
I carruggi, ovvero i vicoli del centro,
fanno la fortuna di Chiavari con negozi di ogni genere, dalle gioiellerie ai
panifici, e bar sempre pieni. Ma il vero
punto di forza sono i portici, che permettono di passeggiare anche con il
maltempo, salvandoci dalle cupe giornate di pioggia che, altrimenti, ci costringerebbero a restare in casa a “smanettare” al computer o a guardare la tv.
In estate Chiavari offre spiagge attrezzate e complete di ogni confort. Per chi
non vuole spendere per un lettino e un
ombrellone, però, c’è il rovescio della
medaglia: le spiagge libere scarseggiano. D’inverno, invece, apre la pista
di pattinaggio sul ghiaccio, frequentata
da bambini e da noi ragazzi.
Dopo lo sport, la tappa obbligata è
uno spuntino nella più modaiola “Carugiu dritu”, dove i forni offrono la
fragrante focaccia e le antiche pasticcerie - una ha recentemente festeggiato il centocinquantesimo compleanno - ottime brioches.
Poco distante si trova piazza Mazzini,
meglio nota come “piazza dei cavoli”,
così chiamata dai chiavaresi perché
ogni giorno vi si tiene il mercato della
frutta e della verdura, che proviene
dalle colline intorno alla città ed è
quindi a chilometri zero. Chiavari, infatti, è circondata da un ampio entro-
Foto di Luca Prestini
Centro storico: i portici
terra collinare, ricco di testimonianze
del passato e oggi attivo in vari settori
produttivi.
Molti ragazzi provengono da queste
zone limitrofe, collegate piuttosto
bene alla città grazie ai servizi pubblici. Chi viene in macchina, invece,
ha difficoltà a trovare parcheggio perché gli spazi riservati a questo scopo,
attualmente, sono pochi e a pagamento (piuttosto salato). Qualcuno
viene in bicicletta, ma è una soluzione
rischiosa: in centro non ci sono piste
ciclabili ed è pericoloso transitare
nelle strette e trafficate vie cittadine.
Sotto l’aspetto culturale Chiavari offre molto, soprattutto alle persone di
una certa età. Non mancano certo i
musei, da quello della preistoria, che
raccoglie i reperti della necropoli preromana, al Museo Diocesano, o ancora al Museo della Società Economica, la più illustre ed antica
istituzione culturale della zona. E non
vanno dimenticati l’auditorium di San
Francesco, il teatro Cantero, dove si
tiene una stagione lirica, e il Cinema
Mignon.
Ciò nonostante, per noi ragazzi l’offerta è un po’ esigua anche perché
manca una sala da musica per i giovani, a parte il Centro Acquarone.
Avremmo bisogno anche di altri luoghi di aggregazione, aperti al pomeriggio e alla sera, da frequentare dopo
la scuola per fare qualcosa di alternativo al solito giro in caruggio o sul
lungomare. Gli spazi per organizzare
nuovi eventi ci sarebbero, a cominciare dai giardini di villa Rocca, un
bellissimo parco del Seicento nel
cuore della città, dove si potrebbero
tenere concerti, rappresentazioni teatrali ed altre manifestazioni.
Le strutture sportive sono in posizione
periferica, non facili da raggiungere;
si potrebbe ovviare utilizzando le aree
ricavate dalla colmata sul mare, un
posto che merita di essere valorizzato
e rivalutato, insieme all’antico quartiere dei pescatori e alla Colonia Fara,
trascurata ormai da anni, ma situata in
uno degli angoli più belli e riparati
del Golfo Tigullio. Chiavari dovrebbe
aprirsi un po’ di più alle esigenze dei
giovani, anche perché il numero di ragazzi che la frequentano, grazie ai
molti istituti scolastici che ospita, è
veramente notevole.
Le prime mosse se ci trovassimo nei
panni del sindaco? Innanzi tutto dotare la città di una buona rete di piste
ciclabili, aumentare il servizio pubblico, anche con mezzi più piccoli ed
ecologici, e creare un programma di
appuntamenti per i giovani più fitto,
che contempli eventi culturali e concerti. Ed infine, aggiungere un po’ di
verde in più, che renderebbe più piacevole la vita in città.
FIVE
UP
1
2
La zona pedonale. Caruggi e portici proteggono da pioggia, vento e
caldo
Bar e ristoranti: un po’
cari ma numerosi ed accoglienti
3
Le spiagge attrezzate:
tante e sempre ben tenute!
4
Si raggiunge facilmente
con treni e corriere, sulla
costa e dall’entroterra!
5
L’offerta formativa: dagli
enti regionali accreditati
alle scuole private. Ma
soprattutto, le scuole
pubbliche!
FIVE
DOWN
Il traffico: non è allarmante, ma fastidioso e
poco controllato.
Ci vorrebbero delle
piste ciclabili
Mancano discoteche o
locali notturni per giovani. Ci sono pochi
eventi, concentrati soprattutto in estate.
Foto di Erica Bernardello
La città vista dalla collina delle Grazie
1
2
A differenza di quelle
attrezzate, le spiagge
libere sono pochissime
3
Le aree verdi sono
davvero troppo poche
4
Non c’è ancora
un’adeguata raccolta
differenziata
5
10
Toscana
Aprile 2012
Sotto i venti
INFOWEB
www.italia-liberazione.it/siena
Date storiche
Il 25 aprile si festeggia
la Liberazione dell’Italia
dal nazifascismo.
La città di Siena fu liberata il 3 luglio del 1944.
Siena: storie
dalla Resistenza
Quel giorno sul Monte Maggio
A colloquio con il partigiano Vittorio
Meoni, presidente dell’Istituto storico
della Resistenza senese.
Perchè è diventato partigiano?
«In realtà ero già stato arrestato prima
della caduta di Mussolini, perché
avevo manifestato le mie idee contrarie al fascismo e al suo sistema corporativo. Poi, dopo l’8 Settembre e la
costituzione della Repubblica sociale a
Salò, mi arrestarono nuovamente, solo
perché ero già stato in carcere. Feci
due mesi di prigione, a disposizione
della Banda di Carità, un reparto di
servizi speciali fascista che arrestava e
torturava gli antifascisti».
Anche lei subì delle torture?
«Si, se non facevi i nomi degli antifascisti che volevano trovare, ti picchiavano. A Firenze ero sempre sotto
sorveglianza, perciò andai ad unirmi
ad una formazione partigiana in provincia di Siena».
Cosa accadde quel giorno sul Monte
Maggio?
«Avevamo catturato un ufficale tedesco ed uno fascista, proponendo di
scambiarli con alcuni prigionieri incarcerati a Siena. I fascisti, invece di
accettare, organizzarono un rastrellamento, vennero su a Monte Maggio e
circondarono la casa dove ci eravamo
rifugiati. Iniziò il combattimento, noi
finimmo le munizioni e ci arrendemmo al nemico. Uno dei nostri morì
nello scontro, un altro fu ferito e appena lo presero lo portarono al limite
del bosco e lo uccisero, noi altri diciotto fummo portati giù verso la
strada dove avevano preparato il plotone di esecuzione per fucilarci. Un attimo prima che iniziassero a sparare
riuscii a scappare nel bosco. Io fui ferito ad un polmone, gli altri diciassette morirono. Arrivai ad una casa
colonica, di lì fui trasportato all’ospedale di Siena. Sono stato lì un mesepiantonato dai fascisti. Poi mi trasferirono all’infermeria del carcere di Siena
e poi a Firenze. Qui fui scarcerato,
perché il tribunale militare aveva emanato un ordine di fucilazione, ma c’era
qualche ufficiale che era d’accordo
con il Comitato di liberazione nazionale e cambiò l’ordine di fucilazione in
ordine di liberazione».
Come era la quotidianità fra voi
partigiani?
«Ci si spostava continuamente, soprattutto di notte, perché altrimenti
saremmo stati facilmente individuabili: poi, naturalmente, si facevano
delle azioni militari. Per esempio, io
ho partecipato all’attacco della caserma di Casole d’Elsa per prendere
Il partigiano con
mezza lira in tasca
Ho avuto la fortuna di intervistare un
vecchio partigiano di Radicondoli
(SI), Alfredo Merlo. Racconta la sua
storia come se l’avesse vissuta ieri,
con orgoglio e in alcuni casi con commozione. Ricorda anche le persone,
come i contadini, che hanno contribuito alla Liberazione dell’Italia, aiutando i partigiani affamati e male organizzati. Questo è il suo racconto.
Sono nato a Radicondoli nel 1925.
Nel novembre 1943 ho ricevuto la cartolina per presentarmi alle armi. La
sconfitta dell’Italia era prossima: gli
Alleati erano già sbarcati e c’era stato
l’Armistizio. Decisi di non arruolarmi
e di nascondermi in attesa della fine
della guerra.
Andai in una fattoria dove avevano un
figlio che si doveva presentare anche
lui. Ci costruirono un capanno isolato
nel bosco. La paura era tanta, anche
perché i fascisti facevano i rastrellamenti in cerca dei disertori, e quando
non trovavano il figlio, per costrin-
gerlo a presentarsi gli arrestavano il
padre e a volte bruciavano la casa.
Accadde anche al ragazzo che stava
con me, che decise di presentarsi per
far scarcerare il padre, con l’idea di
scappare poi di nuovo. Io pensai di
incontrarmi con il babbo per decidere
sul da farsi. Il babbo mi parlò di un
gruppo di giovani partigiani sulle
montagne, arrivati da Massa Marittima perché sfuggiti a un grosso rastrellamento fascista. La decisione non
era semplice, ma ero disposto a rischiare. Il problema era capire come
raggiungerli. Dopo qualche giorno
mio padre mi disse che aveva trovato
la strada. Era difficile entrare nella brigata, come era difficile uscirne: i partigiani rischiavano grosso, c’era sempre chi voleva denunciarli. Ma il
babbo conosceva il presidente del Comitato di Liberazione Nazionale e mi
diede le istruzioni: raggiungere il paesino di Travale e andare a casa di un
uomo, con cui sarei salito su per la
montagna per unirmi ai quindici gio-
le armi dei carabinieri. C’erano anche
momenti di ricreazione in cui si stava
insieme e si cantava, si leggeva la
stampa clandestina».
Riusciva a mantenere i contatti con
la famiglia?
«Ebbi solo un unico contatto con mio
padre in quel periodo, perché era il
solo della famiglia a sapere che io
ero nelle formazioni partigiane, mentre a mia madre non fu detto nulla, sarebbe stata troppo in pensiero».
Come era studiare in una scuola fascista?
«Io ho frequentato il ginnasio e il liceo
“Michelangelo”, che era ed è uno dei
migliori licei di Firenze. C’erano degli
insegnanti apertamente fascisti, anche
se non molti, e altri che, pur non potendo parlare apertamente contro il fascismo, perché sarebbero stati arrestati,
dal modo in cui spiegavano si capiva
come la pensavano. La maturità l’ho
conseguita nel giugno del 1940, proprio mentre l’Italia entrava in guerra; in
seguito mi iscrissi alla facoltà di
Scienze politiche, dove mi sono laureato nell’aprile del 1945. Il mio diploma di laurea porta la firma dell’allora rettore Piero Calamandrei, uno dei
padri della Costituzione italiana».
Ci sono ancora dei giovani che, pur
non avevendo avuto un indottrinamento fascista a scuola si dichia-
rano “nostalgici” di un’ideologia
che non hanno nemmeno conosciuto. Cosa si sente di dire loro?
«Quando parlo con i ragazzi dico di
osservare bene la realtà e soprattutto di
documentarsi su cosa è stata la dittatura. Fortunatamente la vostra scuola
è migliore di quella che io ho frequentato: voi potete parlare liberamente di quello che volete, mentre a
noi era vietato. È proprio questa libertà di parola il punto di riflessione
maggiore che dovete avere per misurare la differenza fondamentale tra il
fascismo e la democrazia di oggi».
Tommaso Mori,
Liceo “Sarrocchi”, Siena
Cittadini senesi e soldati francesi a Siena, in via Esterna Fontebranda
vani. Mi diede anche una mezza lira
strappata a metà, che avrei dovuto mostrargli come segnale se si fosse rifiutato di aprirmi. E dovetti dargliela,
solo allora mi fece entrare. Mi diede
un pezzo di pane con del formaggio e
un sacchetto da portare alla brigata,
che dopo scoprii essere farina dolce.
Per un mese ho mangiato una fetta di
polenta dolce la mattina, una a mezzogiorno e una la sera. Ora, se vedo il
castagnaccio, mi sento male! Partimmo di notte e camminammo a
lungo, fino a quando non trovammo
una persona armata che ci chiese una
parola d’ordine, poi camminammo ancora molto prima di arrivare dai partigiani. Mentre l’uomo che mi aveva
accompagnato parlava di me con il
capo della brigata, mi misi a sedere su
una sedia. Un ragazzo mi fissava gli
scarponi nuovi che il babbo mi aveva
comprato. Pensavo se li volesse mangiare! Mi disse: “Beato te che hai le
scarpe nuove, guarda io come sono ridotto!”, e alzando i piedi mi accorsi
che non aveva la suola, camminava
con la pianta del piede.
L’impressione non fu bella, perché
pensavo che l’organizzazione fosse
più efficiente.
I partigiani furono felici di sapere che
ero della zona: nessuno di loro la conosceva e questo è un rischio se devi
scappare. Poi, essendo del posto, potevo anche fare da staffetta con i contadini. Se non ci fossero stati loro a
sfamarci, saremmo morti in quindici
giorni! Il loro contributo non è stato
abbastanza valorizzato perché grazie a
loro si sopravvisse ed è anche grazie a
loro, quindi, se esiste la Costituzione.
Una volta riuscimmo nell’impresa di
svuotare un silos pieno di grano in una
sola notte. Quando i tedeschi, che avevano fame anche loro, scoprirono che
c’era un silos da quelle parti con 4000
quintali di grano, si misero subito a
cercarlo. Il CLN c’incaricò di portarlo
via prima noi per metterlo al sicuro.
Dovevamo farlo in una sola notte. Era
impossibile. Allora pensammo di chie-
dere ai contadini se potevano aiutarci.
Accettarono tutti, mettendo a disposizione i carri per caricare il grano. Lo
dividemmo con i contadini che si impegnarono anche a fare il pane per noi
quando ne avessimo avuto bisogno.
Vennero dai paesi anche con le biciclette e con i ciuchi, a piedi. Portammo
via tutto. Se avesse visto quella notte!
A chi non ci crede faccio vedere una
copia del giornale “Repubblica fascista” che conservo ancora.
Gli inglesi ci hanno aiutato tanto, lanciandoci armi come il micidiale Sten,
che non si inceppava mai. Sapevamo
da Radio Londra, con una parola d’ordine, quando stavano per lanciarle.
È stata l’esperienza più bella di tutta la
mia vita, lo rifarei senza pensarci un
attimo. Volevamo contribuire a liberare l’Italia dai fascisti, a mettere le
basi per costruire una società giusta.
Mi piace ricordare che se esiste la Costituzione è anche per merito nostro.
Samuele Piras, Istituto
tecnico “Sarrocchi”, Siena
11
Abruzzo
Sotto i venti
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www.regione.abruzzo.it
www.radiojeans.net
L’Aquila: ricordi
d’infanzia e di guerra
Pagina realizzata nell’ambito del
progetto Young communication,
con il sostegno del Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale POR-FESR
2007-2013 “Attività VI.I.3” dell’Assessorato alle Politiche Culturali –
Servizio Politiche Culturali.
I giocattoli
di legno
Tutti in riga e sull’attenti
Nonno Mario e Nonna Ornella
Com’era vivere sotto il fascismo?
Qual è il primo ricordo che vi viene
in mente?
Mario: «La colonia: durante il fascismo era un modo per “educare” i
bambini. Ogni estate venivano riuniti tutti i piccoli balilla per andare in
montagna».
Ornella: «Io ricordo che mia sorella
era una piccola balilla: le femminucce
vestivano con la gonna nera e la camicetta bianca, i maschietti anche loro
con la camicia bianca, i pantaloncini
corti e il berretto con il fiocco. C’era la
fame e per comprare la pasta ed il pane
si usavano le tessere con i bollini, che
venivano assegnati in base al numero
dei figli in un nucleo familiare. Non
c’erano soldi, per comprare dovevi
avere la tessera».
Che giochi facevate da bambini?
Ornella: «Ne ricordiamo tantissimi!
Salta la mula, sberle, palline, rubabandiera, cuzzulittu (gioco delle bi-
glie), chi-chi (nascondino)».
Mario: «Anche io ne ricordo vari, ma
non avevo molto tempo: ho cominciato a lavorare da bambino».
Ornella: «Dopo la scuola anche io aiutavo mia madre con il banchetto della
frutta che aveva in piazza».
Avete conosciuto dei partigiani?
Mario: «Conoscevamo la sorella di
uno dei partigiani martiri dell’Aquila,
nove ragazzi fra i diciotto e i venti
anni che furono catturati, costretti a
scavarsi la fossa e fucilati. Stavano
fuggendo verso San Giuliano e furono
presi mentre si nascondevano nel
paese in cui abitavamo. Tempo dopo si
seppe che una signora, nostra vicina di
casa, aveva fatto la spia».
Ornella: «Erano momenti terribili: noi
bambini dormivamo in camera con i
nostri genitori, mi ricordo che una
volta venne un tedesco col mitra in
casa per controllare se ci fosse qualche
partigiano nascosto».
Avete mai assistito ad un bombar-
lire” sotto la maglia. Mamma cucinò
per loro e poi si portarono via gli animali che allevavamo: un bel maiale
grande e un asino da soma. Se ci fossimo rifiutate, saremmo state uccise.
Il venticinque aprile fu un giorno bellissimo: eravamo al bar, davanti alla
fontana della piazza, dove c’era una
piccola radio “Marelli”che trasmetteva
le notizie a tutto volume. Tutti cominciammo a festeggiare felici!
La libertà è bellissima, forse i ragazzi
oggi non comprendono a fondo cosa significhi perderla: il mio consiglio è
quello di studiare, senza la cultura non
si va da nessuna parte.
Nonno Silvio
Com’era la tua giornata tipo quando
eri bambino, durante il fascismo?
«La giornata era occupata quasi interamente dalla scuola: le lezioni duravano otto, nove ore. Il sabato e la domenica si praticava molta ginnastica e
ogni tanto le maestre ci portavano a
fare delle “scampagnate” in qualche
parco o montagna».
Ricordi con cosa giocavi insieme agli
amichetti?
«Quando ero bambino i giochi che
avevamo non erano così tecnologici
come quelli di adesso, ce li facevamo
da soli, lavorando il legno. Si trattava
di oggetti semplici, con cui ci divertivamo anche se non erano videogiochi
o cellulari».
Qual è il primo ricordo che ti viene
in mente quando pensi alla guerra?
«Qualsiasi cosa mi venga in mente mi
riempie di tristezza, non provo nient’altro. Ci si augura soltanto che la storia non si ripeta, che le persone imparino dai propri errori. La dittatura non
ha portato nulla di buono: la libertà di
pensiero è importantissima e nessuno
deve mai più togliercela».
Com’era vivere sotto il fascismo?
«Vivere in continuo terrore. A parte i
fedelissimi, le persone normali non potevano aspettarsi dal futuro nulla, fuorché la miseria. Eri obbligato a compiere azioni che non avevi scelto tu,
perché imposte da altre persone, persino nell’abbigliamento o nelle attività
sportive!».
Hai perso qualche caro durante la
guerra?
«Rischiavo di perdere mio padre: fu
fatto prigioniero e rimase per 6 anni in
Sudafrica in un campo di concentramento. Lì era proprio come nei film:
ma quella era la realtà».
Riccardo Risdonne
Evelina Podennikh
1940: una classe di giovani balilla
damento?
Mario: «Come no! C’erano le sirene
che avvisavano quando arrivavano i
bombardieri. Abitavamo nella zona vicino alla stazione, lì c’era anche la
Zecca: i tedeschi la individuarono e la
bombardarono e noi fummo costretti a
scappare in un rifugio vicino. Ricordo
che prima passavano i caccia con le
mitragliatrici, poi i bombardieri che
sganciavano le bombe».
Avete rischiato la vita?
Ornella: «Mentre bombardavano, solo
chi è stato fortunato si è salvato. Mi è
sempre rimasta impressa la storia di un
signore che per raccogliere una bomba
a mano perse le braccia e un occhio».
Raffaele Manieri
La piccola radio “Marelli”
Zia Giovanna
Vivere sotto il fascismo è stato terribile:
tutto era controllato. Se dovevi andare
a comprare il pane, lo zucchero, te ne
toccava tanto a persona: o ti bastava o
ti bastava, anche se avevi tanti figli e ti
serviva più cibo. Noi eravamo in tanti:
mia madre vendeva un po’ di grano, naturalmente di nascosto, per poterci
comprare un paio di scarpe. Per risparmiare mangiavamo sempre pasta e fagioli: la carne solo ogni tanto, quando
uccidevamo il maiale. A Natale, dato
che era una festa, ci spettavano gli spaghetti con il tonno.
Il sentimento che provo quando ripenso
alla guerra è un’immensa tristezza. È un
periodo della mia vita che non vorrei
mai rivivere e che non auguro a nessuno: quando arrivarono i tedeschi, poi,
fu ancora peggio. Non potevi fermarti
a parlare per strada a lungo perché pensavano che fossi un partigiano. Se protestavi, loro uccidevano madre, padre,
tutta la famiglia. Se poi, peggio ancora,
veniva ucciso un tedesco, loro ammazzavano 10 italiani. Così è accaduto al
marito della nostra vicina e alla sua famiglia: ricordo ancora quei corpi buttati
a terra morenti e pieni di sangue.
Spesso ci è capitato di salvare dei ragazzi nascondendoli sotto fasci di legna. Una volta entrarono i tedeschi in
casa nostra: si fermarono a parlare con
mia madre, io e mi sorella siamo corse
su in camera nascondendo dei “fogli di
Esercitazione di un gruppo di soldati abruzzesi
Quei lunghissimi duecento metri
Nonna Luciana
Sono nata a Dovadola, in provincia di
Forlì. Durante il fascismo ho vissuto in
un collegio frequentato anche da una nipote di Mussolini: diventammo amiche e lui fece da padrino ad un mio cugino. Per molti il Duce era un ideale da
seguire, nel nostro paese le famiglie
stavano bene economicamente e apprezzavano alcune cose che Mussolini
aveva fatto in Italia. Ma non gli perdonammo mai di allearsi con Hitler.
Il primo ricordo che ho dei tempi della
guerra è la mia casa. Abitavo nella via
principale del paese e per questo motivo
i tedeschi si impadronirono dell’edificio. Un giorno arrivarono parcheggiando un carro armato nel giardino e
occuparono la villa. Non ci cacciarono,
però fummo costretti a spostarci nel
garage.
Mi ricordo che un giorno eravamo in
casa a cucinare quando esplose una granata: una scheggia colpì la gamba di
mia sorella; la presi e corsi in ospedale.
Erano solo 200 metri, ma a farli sotto i
bombardamenti sembravano infiniti.
Provenivo da una famiglia benestante:
per fortuna avevamo dei terreni, quindi
anche se ci mancavano olio, sale e qualche verdura non soffrivamo la fame.
Quando avevamo un po’ di più portavamo sempre il cibo ai più bisognosi
del paese.
In collegio non ci era permesso giocare molto, però ricordo con piacere
quando saltavamo con la corda o giocavamo a campana. Quando scoppiò la
guerra ci divertivamo con le carte, per-
ché uscire fuori casa era diventato pericoloso.
Io all’epoca ero fidanzata con un ragazzo: quando i tedeschi si ritirarono
anche lui dovette partire e andare in
Germania. Al suo ritorno, dopo un
anno, lo trovai molto cambiato, nervoso e strano: così ci lasciammo.
Quando finalmente andarono via i tedeschi fu per noi una grande gioia: il 25
aprile fu per noi davvero una liberazione.
Fabrizio Ammannito
LookSmart
Anche la moda ha cervello
Gli ecogioielli: perché non essere fashion aiutando l’ambiente?
WELCOME
BACK
FLOWER
POWER!
LookSmart
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Eleonora Bentivoglio,
Torino, lunedì ore 14.00
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Istantanee di stile
Come un flash mob, ma dedicato alla
moda: questo è il nuovo appuntamento
organizzato da Looksmart. Veri e propri blitz a caccia di stile nelle strade o
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SOMMARIO
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Con la primavera esplode la voglia di colore e di abitini leggeri per le
prime uscite serali eleganti. Ecco allora, su ispirazione anni ‘70, accessori
e capi di abbigliamento sgargianti con un tocco etnico che reinterpretano
il periodo più cool della storia.
Avete mai pensato a quante creazioni possano nascere dal riciclo? Certamente eco-gioielli raffinati e rispettosi dell’ambiente come quelli di Simona
Negrini, la giovane designer del marchio AndromedA che si racconta nel
nostro talent’s corner.
Capelli perfetti? La questione è ostica: quando vedi la tua amica col capello perennemente fluente, lucido e perfettamente in piega la ammiri
tanto… ma dietro quella fantastica chioma, ci sono un po’ di cure scelte
con attenzione. Le scopre per noi Yoshi!
E, infine, Crudelia in veste di inviata speciale per scoprire cosa c’è dietro
uno dei marchi Made in Usa più amati dalle adolescenti di mezzo mondo.
Gaia Ravazzi, 17 anni
Cristina Altomare, 16 anni
Giorgia Nobile
Gianni La Rocca
Yoshi, Irene Gittarelli
Carlotta Varriale
Federica Nardi
Eleonora Bentivoglio
Il garage Liuni
in via Giulio Venticinque, 33 - Roma
per l’ospitalità
SÌ, VIAGGIARE
È
il simbolo della libertà, della pace, della trasgressione colorata e periodicamente ritorna. Parliamo della moda anni Settanta e delle sue interpretazioni contemporanee nelle fogge e, soprattutto, nel colore.
Noi l’abbiamo cercata mescolando le camicie leggere e coloratissime
con i gioielli etnici, abbinandoli ai soliti jeans e con un make-up arancione o verde acqua by Yoshi.
La location ideale del nostro servizio? Un garage di Roma dove, complice la
gentilezza del proprietario che ci ha messo a disposizione un’Alfa Romeo
Duetto dell’epoca, abbiamo realizzato le foto che troverete all’interno.
Perché gli anni più libertari e “giovani” della nostra storia, ben si coniugano
con la voglia di partire on the road per destinazioni lontane e, sulla strada, imparare a conoscere se stessi oltre che il mondo.
Su questa scia, per il “Talent’s corner”, abbiamo scelto di intervistare Simona
Negrini, creatrice di gioielli ecosostenibili, ovvero realizzati con materiale riciclato: poveri, ma bellissimi!
L’angolo dell’estetica si focalizza invece sui capelli, con i suggerimenti per essere sempre perfette: del resto, sono la cornice del volto e possono davvero
fare la differenza.
E, infine, per le strade di Torino, dove ancora la primavera sembra lontana, Irene
Gittarelli ha realizzato per noi un fotoservizio che si basa sul contrasto fra il colore dei vestiti della ragazza e il rigore geometrico della città. Anche lei, sui binari della stazione sembra volerci dire che è arrivato il momento di partire…
Buona lettura!
Ciao, siamo Gaia e Cristina, frequentiamo il liceo classico “Dante Alighieri” a Roma.
Amiche da una vita, ci siamo "inventate" questo nuovo lavoro coinvolgendo altre
ragazze della nostra età. Facmultum e facrestum ci autodefiniamo: foto, testi,
vestiti, location sono farina del nostro sacco.
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LookSmart
NEW SEVENTIES!
Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare
(Jack Kerouac, On The Road)
DISEGNI GEOMETRICI,
COLORI SGARGIANTI,
ACCESSORI ETNICI. È LA
MODA ISPIRATA AGLI
ANNI SETTANTA CHE FA
RIMA CON LA NOSTRA
VOGLIA DI PRIMAVERA. QUI
LA TROVATE DECLINATA IN
VERSIONE DAVVERO CHIC
U
na passeggiata in centro fra i
marchi più noti e un giro per
mercatini vintage. Così assecondiamo la voglia di colore
e di tessuti impalpabili che ricordano gli anni Settanta. Ideale
scelta per un outfit davvero originale
da sfoggiare a una festa.
Negli anni più trasgressivi della storia del costume troviamo infatti appariscenti disegni geometrici
multicolor, fiori enormi oppure
piccoli piccoli, cerchi, linee intrecciate deformate e colore colore,
tantissimo
colore.
Queste
stampe si posavano su tutto: gonne,
camicie, i miniabiti, vestiti, pantaloni, foulard.
I gioielli invece erano prettamente
bijoux caratterizzati da tre tendenze: i fiori nella prima parte del
decennio (reminescenza del Flower
power degli anni ‘60), le linee
geometriche e dei riferimenti alla
moda indiana. Collane lunghissime,
bracciali, anelli e orecchini fatti in
metallo a tanti fili impreziositi dalla
presenza di perline, ciondolini o
fiorellini di plastica o metallo.
Che cosa mutuano le nostre modelle dallo stile Settanta? I colori
innanzitutto e i gioielli etnici: indiani, di legno, con piume o perline: tono su tono o in contrasto
con l’abito. Anche il make-up si fa
complice: i pigmenti arancio o
verde acqua sottolineano lo
sguardo in modo inequivocabilmente Seventies!
LookSmart
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SOLE O LUNA?
Due outfit, due personalità. Federica sceglie un abito verde
salvia impreziosito da volants sulla scollatura che viene sottolineata anche dalle collane di legno e piume per una mise
elegante in linea con il bob dei capelli.
Carlotta opta invece per un effetto più solare. L’abito è a
foulard dai colori etnici, del sole e della sabbia con stampe
tribali, mischiate alla linea morbida.
Entrambe sembrano dirci che non temono l’avventura e non
hanno paura di sperimentare, nemmeno quando si tratta di
aprire l’armadio!
VOCABOLARIO FASHION
FLOWER POWER
La paternità dello slogan "Flower power" venne accreditata al poeta
Allen Ginsberg che la coniò nel 1965. Uno dei principali luoghi di
incontro del movimento fu una vecchia chiesa di Amsterdam, trasformata in un club musicale. L'ex luogo sacro fu ribattezzato "Paradiso" e divenne sinonimo di controcultura hippy, della musica rock
e della musica psichedelica di quel tempo. Il Flower Power comincia
in questa culla e unisce pacifismo, voglia di ritorno alla natura, rifiuto
del modello sociale dominante. L'utopia è quella dell'amore individuale e universale. Il termine sta anche ad indicare la credenza secondo cui i fiori abbiano notevoli proprietà nascoste, in particolare
stupefacenti, di natura allucinogena, che vanno scoperte. La natura
era vista dagli hippy, definiti non a caso “figli dei fiori”, come un
qualcosa di positivo perché permetteva di andare al di là delle normali percezioni umane. I figli dei fiori gettarono le basi del moderno
ambientalismo, perseguendo un contatto e un rapporto naturale e
autentico con il mondo circostante e con il proprio corpo, per abbattere le varie dicotomie corpo-mente, campagna-città, natura-progresso, scienza-spiritualità. Sul fronte della moda, improvvisamente
gli abbigliamenti floreali diventano i più indossati per strada: fiori
enormi oppure piccoli piccoli, cerchi, linee intrecciate deformate e
colore colore, tantissimo colore! Stampe che invadono tutto: gonne,
camicie, i miniabiti, vestiti, pantaloni, foulard.
18
TALENT’S
CORNER
L’ECOGIOIELLO CHE
FA TENDENZA
SIMONA NEGRINI È UNA GIOVANE
DESIGNER CHE HA SCELTO IL RICICLO
CREATIVO PER CREARE GIOELLI UNICI
E BELLISSIMI: OGGETTI IN DISUSO
VENGONO REINTERPRETATI IN FORME
MORBIDE E SINUOSE CHE SI ISPIRANO
ALLA NATURA. MOLTO ADATTI ALLA
PRIMAVERA E ALLO STILE “SECONDO
NATURA”
C
om'è nata l'idea di ridare vita alle cose
per realizzarne ecogioielli?
È dalla sperimentazione incessante che nasce l'idea di poter
ridare nuova vita alla materia,
ri-creando forme e tecniche
anche del passato in chiave
contemporanea.
Tutto parte dalla natura, la mia
vera e unica maestra d'arte. È
bellezza infinita, è sensualità,
rarità. Essa possiede l'assoluta
perfezione. Le mie creazioni
nascono per dare la possibilità
a chi le indossa di costruire un
corpo simbolico in grado di
ini
Sim
gr
e
N
a
on
Nome: Simona Negrini
Marchio: AndromedA Eco-gioielli
Città: Modena
Passioni: Arte contemporanea
Talento: Creatrice di ecogioielli
Mi trovi: www.art-and-craft.it
comunicare emozioni, sensazioni e pensieri.
Quali materiali utilizzi
per le tue creazioni e
dove li trovi?
Per la realizzazione delle mie
creazioni utilizzo esclusivamente materiali di scarto, industriali, ma non solo;
solitamente sono plastiche,
gomme, come i tubi per annaffiare o imbottigliare il vino
o alcuni distillati, tessuti provenienti da vecchi abiti, bottoni e fibbie vintage. La
ricerca del materiale è difficile
ma emozionante. Mi abbandono tra fondi di magazzini o
Via dei Birrai. La particolarità
della collezione è la presenza
di coloratissimi tappi. Ad ogni
tappo un colore, ad ogni colore una birra, ad ogni birra
un'esperienza sensoriale unica.
Non mancano però gomme,
plastiche e bottoni vintage.
Elencaci tre virtù della
plastica.
La plastica è: duttile, camaleontica, poliedrica… tre sono troppo
poche, le virtù sono infinite!
Virginia Lupi, 17 anni
di fabbriche, vecchie cantine o
solai… tra la polvere si nascondono grandi sogni.
Perché una ragazza dovrebbe preferire gli ecogioielli?
L'unicità dell'ecogioiello non fa
altro che rafforzare, in chiave
estetica, l'unicità del nostro Io.
La ragazza che indossa un ecogioiello AndromedA (il marchio
che ha creato Simona Negrini
ndr) ama sfidarsi, è attratta
dalle bizzarrie della creatività
e non teme gli eccessi. È una
ragazza che crede che un gioiello possa essere prezioso e
raro anche se realizzato con
materiali poveri.
Parlaci della tua ultima
collezione.
La mia ultima collezione, Sensation 32, si ispira agli aromi e
ai profumi del luppolo e del
malto, più precisamente alle
birre prodotte dal birrificio 32
LookSmart
19
YOSHI’S TIPS
MISSIONE CAPELLI PERFETTI
C
hiome fluenti e lucide campeggiano su réclames pubblicitarie di ogni genere e molte di noi si chiedono
come ottenere capelli in forma tanto smagliante.
Per la lucentezza dei capelli sono rilevanti due fattori:
eliminare i residui di ogni tipo quando si risciacquano
e nutrirli allo stesso tempo, cosicché non si sfibrino
formando le odiose doppie punte.
Molti shampoo in commercio promettono di donare
una capigliatura “leggera” e lucente, bisogna però
fare attenzione alle diverse formule: shampoo che
contengono siliconi e coloranti in un primo momento sembrano sortire effetti miracolosi, salvo
poi rovinare le fibre dei capelli a lungo termine.
Per andare sul sicuro meglio scegliere un prodotto biodegradabile, senza siliconi e pigmenti, e comunque usarlo sempre diluito con
un po’ di acqua, applicandolo per due volte,
con un rapido risciacquo in mezzo (come
fanno i parrucchieri).
Eliminare il balsamo per non appesantire la
cute può rivelarsi controproducente, perchè si
rischia di danneggiare irrimediabilmente le lunghezze e di doverle poi tagliare. Meglio
usarne uno appropriato al tipo di capello ed assicurarsi di massaggiarlo esclusivamente sulle
punte. Per finire uno spray protettivo leggero, da
spruzzare solo sulle estremità.
2
3
1
4
5
• 1 Fekkai sheer shine mist 25 euro da Sephora
• 2 Biopoint crema lucentezza istantanea
9 euro c.a.
• 3 Garnier puliti e brillanti 4 euro c.a.
• 4 Naturalweb Shampoo fuoco 7 euro su
www.natural-web.com
• 5 Garnier UltraDolce alla mandorla e fiore di
loto 3 euro c.a.
Spendere è molto
più americano
che pensare.
(Andy Warhol)
L
a notizia che ha messo in
subbuglio lo store di Milano del famoso marchio
statunitense ha lasciato
tutti molto perplessi. Che
Abercrombie avesse un’immagine da rispettare lo sapevamo tutti, e basta mettere
piede nello store per verificarlo, seguendo l’inconfondibile profumo e la scia di
giovani commessi e commesse
sorridenti e soprattutto fascinosi vestiti con i capi del marchio. E fin qui, tutto normale,
l’immagine del brand si deve
rispettare. Quando però leggiamo di punizioni come flessioni e squat, il sopracciglio si
inarca. Verità? Bugia? Trovata
pubblicitaria? Le voci che girano nel passaparola sono
contrastanti e l’unica cosa da
IL BLOG DI CRUDELIA
ABERCROMBIE E LE CONTRADDIZIONI MADE IN USA
fare è farsi raccontare i fatti da
chi ci lavora. Impresa non facile, ma appena assicuro loro
l’anonimato, accettano di
buon grado. “Sinceramente, io
lavoro nel negozio quando
posso da un anno e non è mai
successo nulla del genere.
Non esiste nemmeno un ufficio
del capo - è il commento tranquillo di una dipendente davanti ad un caffè - chi ha
diffuso la notizia è un addetto
alla sicurezza, che pare abbia
proposto le flessioni come metodo utile per mantenere i ragazzi in forma; la notizia si è
poi dilagata come se fosse
una routine.” Quello che mi
racconta è che Abercrombie
propone posti di lavoro flessibili, a misura anche di studente. “L’unico tipo di
ammonimento che noi dipendenti riceviamo in caso di
mancati compiti è un segno
meno sul registro. Quando si
accumulano, è probabile che
il nostro contratto non venga
rinnovato, ma nulla di più”,
conclude la ragazza, prima di
salutarmi. Un altro ragazzo mi
conferma che non ha mai sentito parlare di flessioni e squat,
dicendo che chi avrebbe fatto
trapelare la notizia non lavora
nemmeno più al negozio. Se
da una parte la storia delle
flessioni è quindi leggenda,
dall’altra mi vengono raccontate storie di regole troppo rigide, di note negative per un
cellulare tirato fuori dalla tasca
o di un chewingum in bocca.
Particolare il riferimento al regolamento della temperatura,
in base a quella degli store
americani. “D’estate alcune ragazze si sentono male per il
caldo, d’inverno si trema di
freddo ma non è permesso vestirsi di più se non si supera
una certa temperatura. Le infradito a dicembre sono improponibili. Veniamo sempre
osservati, se non salutiamo
due o tre persone veniamo rimproverati. Inoltre lamentarsi
non serve a nulla, i managers
sono ragazzi giovani come
noi e mettono solo in atto le regole che arrivano dagli USA.”
Questa la confessione di un dipendente, che lavora nel negozio da più di un anno. Se
quindi la voce delle flessioni e
degli squat è stata smentita e
può finire nel dimenticatoio,
scopriamo altre piccole “pec-
che” e che le insoddisfazioni
dei dipendenti non mancano:
“Abercrombie garantisce ai
giovani un lavoro flessibile e
un’organizzazione a seconda
delle esigenze e potrebbe essere un luogo di lavoro giovane
e stimolante, ma l’applicazione
di regole esagerate e rimproveri inutili lo rendono molto
spesso stressante”.
Alessandra Arpi, 20 anni
LookSmart
20
BACKSTAGE
SUL SET PER UN GIORNO
DUE AMICHE E
UNA CABRIO
Pensando al
mood anni
Settanta' la nostra
stylist ha organiz−
zato uno shooting
ambientato in un
garage' su un’Alfa
Duetto con due
amiche−modelle e una
polaroid d’annata'
sbizzarrendosi con
gli accessori.
E' intanto' Yoshi
realizzava un make−
up speciale.
“
“
BANGLES
Il gioco infinito dei bracciali rigidi di metallo con
i fiori, di plastica o plexiglass nei colori accesi.
IL VESTITO
STAMPATO
Fiori, losanghe o motivi
etnici. L’importante è che
la foggia sia basic.
VITAMINIC COLORS
Giallo, arancione, fucsia: il colore
vince negli outfit anni ‘70.
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22
Aprile 2012
Società
Lavoro
INFOWEB
www.regioneliguria.it
tempo di lettura: 8 minuti
Occupazione. La Liguria riscopre gli antichi mestieri
Se il futuro è nel passato
Fabbro, falegname, orafo. Sono alcune tra le figure professionali che rischiano di scomparire.
Eppure le opportunità di lavoro non sono ancora esaurite. Lo rivela un’indagine presentata
dalla Regione Liguria, capofila di un progetto europeo di recupero degli antichi mestieri
I
l lavoro: oggi è la più seria preoccupazione dei giovani che si avviano al termine del loro percorso di
studi. In un contesto economico
stanco, che fatica a fornire risposte
alle nuove generazioni di aspiranti lavoratori, la parola d’ordine per riavviare un sistema incancrenito è uscire
da modelli produttivi esausti, incapaci di sopravvivere alla concorrenza
globale. Creatività e innovazione
sono le strategie che più comunemente le amministrazioni cercano di
promuovere: oltre a queste strade, la
Regione Liguria vuole tracciare anche
un percorso di rivalorizzazione dei
mestieri della tradizione, quei mestieri le cui potenzialità non sono
esaurite, ma che rischiano di scomparire perché il contesto produttivo
non li sostiene.
È per questo motivo che la Regione
ha deciso di stanziare due milioni di
euro provenienti dal Fondo Sociale
Europeo per una serie di iniziative
dedicate alla formazione dei giovani
proprio su quegli antichi mestieri.
«Contiamo di far partire entro la fine
di aprile un bando rivolto in particolare ai più giovani, per offrire loro
opportunità di inserimento professionale, assicurando le competenze teoriche e pratiche necessarie, comprese
quelle per favorire la creazione di micro-imprese artigiane e stimolare il
ricambio generazionale», commenta
Sergio Rossetti, Assessore alle risorse
finanziarie, istruzione, formazione e
università della Regione Liguria.
L’importante iniziativa rientra nel
progetto interregionale “Valorizzazione e recupero degli antichi mestieri”, di cui la Liguria è capofila e
che coinvolge anche la provincia autonoma di Bolzano, Piemonte, Toscana, Lazio, Sardegna, Basilicata e
Puglia. Obiettivo del progetto è
quello di individuare azioni congiunte
per il potenziamento e lo sviluppo
dell’artigianato tradizionale, anche al
fine di creare nuovi sbocchi occupazionali.
In particolare, in Liguria il progetto è
stato declinato con una ricerca preli-
stre imprese artigiane hanno collaborato alle attività».
Ma cosa significa esattamente “antico mestiere”?
Mestiere è sì una professione ma, nell’accezione privilegiata dal progetto,
è un mestiere “di qualità”, che ha una
storia riconosciuta ed evidente, solidamente ancorata al territorio. Prevede l’esercizio di competenze tendenzialmente
complesse:
è
caratterizzato infatti da una manualità
raffinata, da un estro che si sviluppa
solo con prolungati periodi di apprendimento e che si mette in pratica
in un ciclo di produzione articolato.
L’organizzazione elementare del lavoro, la limitata serialità della produzione non devono più essere percepiti
come aspetti problematici, bensì
come punti di forza di queste professioni, in via d’estinzione non perché
inattuali: spesso gli antichi mestieri si
perdono perché manca, a livello locale, un sostegno sociale che conferisca il giusto riconoscimento a chi vi
opera. Altre volte sono le materie
prime ad essersi esaurite, ma più frequentemente non esistono reali opportunità di apprendimento.
In Liguria l’impresa artigiana, con le
sue 46.961 attività nel 2010, rappresenta un terzo dell’impresa totale della
regione: una percentuale significativamente più alta della media nazionale, che si ferma al 28%, mostrando
come la richiesta di competenze specifiche nel settore tecnico-professiominare che individuasse quali tra le
professioni tradizionali in via d’estinzione presentassero potenzialità di
mercato non ancora sfruttate. Successivamente, grazie a tavoli tecnici
con esponenti delle associazioni di
categoria, si sono individuate le modalità per potenziare tali mestieri. Ci
spiega Claudia Tomassetti, responsabile del Settore Formazione e Lavoro
di Confartigianato Liguria: «Noi abbiamo avuto un ruolo attivo insieme
alle altre associazioni per trovare
azioni mirate di formazione: per noi
l’impresa ha un carattere altamente
formativo. Abbiamo messo a disposizione le nostre competenze e le no-
nale si confermi forte.
L’indagine “Valorizzazione e recupero degli antichi mestieri” condotta
da Liguriaricerche ha individuato, fra
le altre, dieci figure professionali:
«L’ambito della nostra ricerca è molto
specifico: tra i vari mestieri ci siamo
focalizzati su quelli in via d’estinzione e che non fossero già legati al
marchio regionale – spiega Michela
Grana, coordinatrice della ricerca –
Dopo aver interrogato gli stakeholders coinvolti, quindi associazioni di
categoria, camere di commercio, settori regionali competenti, al fine di
avere una panoramica sulle varie professioni, sono stati individuati dieci
mestieri che potrebbero avere potenzialità di mercato. Trattandosi di pic-
«Contiamo di far partire
entro la fine di aprile un
bando rivolto in particolare
ai più giovani, per offrire
loro opportunità di
inserimento professionale,
assicurando le competenze
teoriche e pratiche
necessarie»
coli numeri, la nostra è stata una ricerca qualitativa: abbiamo quindi intervistato alcuni professionisti».
I mestieri individuati sono il fabbro,
il falegname, il liutaio, il maniscalco,
il manutentore del territorio, il manutentore di biciclette, le figure della
produzione alimentare di fascia alta,
il mosaicista, l’orafo e il sarto. Dalle
interviste risulta che la crisi, naturalmente, si fa sentire; molti inoltre
hanno dichiarato di avere difficoltà di
tipo burocratico. Alcuni settori sono
interessati da un’occupazione di ritorno, che coinvolge quindi persone
adulte; in altri casi, come quello del
liutaio, si registra invece un grande
interesse da parte dei giovani.
E anche ai ragazzi guarda l’iniziativa
regionale: il fondo stanziato sarà destinato alla formazione dei giovani e
degli adulti che, imparando un mestiere della tradizione, potranno trovare anche uno sbocco professionale.
23
Aprile 2012
Società
New media
INFOWEB
www.google.it/intl/it/policies
Spanish tweet
L’uso del social network dai 160 caratteri
è molto in aumento in
Spagna (+151%) e in
Medio Oriente (+104%)
Privacy e censure:
minaccia alla rete
tempo di lettura: 7 minuti
Internet. Polemiche sulle nuove misure
Twitto anch’io… No, tu no!
La rete è democratica, la rete sfida la censura. Ma che succede se due giganti fra i social
media come Twitter e Google si piegano ai governi e alle esigenze commerciali?
Alessandro Bai,
20 anni
Q
uello di Internet è oggi un
universo sempre più diffuso e popolare: ci consente di condividere in
tempo reale momenti, emozioni e soprattutto pensieri. In poche parole, il
web ha ampliato in maniera incredibile la libertà di espressione, estendendola a tal punto da renderla incontrollabile. O quasi.
A tal proposito, come la prendereste
se da un giorno all’altro vedeste oscurate le vostre parole? La domanda è
lecita, dato che già milioni di utenti
hanno dovuto affrontare la questione.
Procediamo con ordine: a fine gennaio Twitter detta delle nuove linee
guida che destano clamore. Infatti,
il social media più popolare degli ultimi tempi annuncia l’introduzione
di un particolare tipo di censura, più
elegantemente chiamata “selezione
geografica”. In poche parole, i tweet
che possono risultare sgraditi ad un
particolare governo vengono nascosti in quel Paese, rimanendo però visibili nel resto del pianeta. La risposta degli utenti è immediata e
indignata, tanto da portare allo sciopero dei tweet il 28 gennaio scorso. È
tutto? Macché. Neanche il tempo di
digerire questa discutibile iniziativa
che gli utenti del web ricevono un altro doloroso ceffone. È Google questa volta a rincarare la dose. Infatti,
anche la piattaforma di pubblicazione
Blogger, gestita dall’azienda di
Mountain View, è stata sottoposta a
censura geolocalizzata. Chi visiterà
l’indirizzo blogspot.com verrà reindirizzato ad una versione che potrebbe variare nei contenuti a seconda del Paese di navigazione. I
primi casi si sono verificati in India
e in Australia.
Dopo aver chiarito l’accaduto, focalizziamoci ora sul polverone di polemiche innalzato da questi provvedimenti. La domanda che sorge più
spontaneamente è: perché? È presto
detto. Non scopriamo certo oggi l’influenza dei cosiddetti social media
sul pensiero della società, basti ricordare l’importanza di Twitter nella dif-
fusione della Primavera Araba. Per
questo esistono governi non esattamente liberali, dove un certo genere
di informazione può dar fastidio.
Dunque, con un occhio a queste parti
del mondo, e con l’altro all’immagine di quelle che comunque rimangono sempre aziende, Google e Twitter hanno probabilmente voluto
assecondare le pressioni di quei governi, al fine di evitare un possibile
oscuramento totale.
Al di là però delle motivazioni, più o
meno opinabili, è stato soprattutto lo
stile con cui queste misure sono entrate in atto a fare discutere. Infatti,
dopo l’iniziale stupore generale, in
molti hanno elogiato la trasparenza
con cui Twitter ha annunciato i cambiamenti, ovvero rendendoli ben visibili sulla pagina principale. Lo
stesso non si può dire per Google,
che si è limitata a trattare la questione
all’interno della sezione “Help” di
Blogger. Ecco perché l’azienda ha
dovuto fronteggiare i numerosissimi
attacchi degli utenti, fino ad arrivare
alla pubblicazione di una documentazione, che spiega la possibilità di
aggirare la selezione geografica aggiungendo la stringa /ncr (No Country Ridirect) al termine dell’URL.
Ma a quanto pare, a Mountain View
è tempo di rivoluzioni. O forse non
c’è la voglia di stare tranquilli.
Dal primo marzo Google ha cambiato
le norme riguardo alla privacy degli
utenti. Come noto, l’azienda statuni-
tense raggruppa sotto di sé circa una
sessantina di servizi, tra i più celebri
GMail, Google Maps e Youtube. Eb-
bene, se in precedenza per ogni servizio esisteva una policy dedicata a
trattarne la privacy, d’ora in poi i dati
forniti dagli utenti che utilizzano un
qualsiasi servizio di Google saranno
elaborati in un unico database. Per
Google è soltanto un modo più semplice per raccogliere i dati e fornire ricerche sempre più adatte ai navigatori. Per altri no. Microsoft, ad
esempio, accusa l’azienda californiana di volere soltanto estrapolare
quante più informazioni possibili dagli utenti.
Google sottolinea per contro come
queste modifiche mirino a costruire
un servizio ancora più efficace per gli
utenti. Eppure, anche in questo caso,
viene resa nota la possibilità di aggirare questa raccolta informazioni, selezionando direttamente sulla dashboard quali informazioni condividere.
Ma, in entrambi i casi analizzati, che
senso ha poter eludere dei provvedimenti che dovrebbero essere migliorativi?
A voi l’ardua sentenza.
Curiosità. I followers di Gesù
E il cardinale si mise a cinguettare
Paolo Nataloni,
20 anni
Twitter è ormai da qualche tempo
parte integrante della nostra vita e,
un po’ come per il suo amico-nemico
Facebook, è diventato un mezzo per
poter ottenere e condividere tutte le
notizie, quando si vuole, dove si
vuole, con estrema facilità. Con la
sua diffusione, non potevano mancare un po’ di curiosità. I parlamentari, che pure in generale non sembrano prediligere il web, non
disdegnano Twitter: risultano iscritti
in 198 al gennaio 2012, un incremento di oltre l’85% in un anno. A
“cinguettare” di più sono quelli dell’Idv (il 44,1% degli scritti al gruppo
è presente sul social network); seguono Fli (36,7%), Udc (31,4%) e
Pd (22,9%). Non mancano i cardinali. Anch’essi ammaliati dal fascino
dell’uccellino blu, si sono affacciati in
massa su questo mondo del futuro. Ci
sono cardinali che twittano giornalmente anche più volte nell’arco della
stessa giornata, altri che scrivono costantemente di ciò che fanno durante
il giorno, altri ancora che cercano di
ammodernare il loro metodo di diffusione della fede attraverso questo social network. Ma le curiosità non finiscono qui. Navigando nella rete
siamo riusciti a trovare notizia del
Vangelo in 140 caratteri, “anche su
Twitter le parole di Gesù”. Non ci sorprenderebbe a questo punto se domani potessimo leggere su Twitter anche la diretta dell’Angelus del Papa!
Il lavoro di ricerca più completo sui
social network della nuova era lo ha
svolto l’Ibm. La società americana,
infatti, dopo un lavoro di machine le-
arning attraverso il quale si sono studiati tutti i tweet dal 2006 ad oggi, è
riuscita a catalogare tutti i post e a
trarne numerose informazioni.
Ve ne citiamo solo alcune particolarmente interessanti: ogni secondo la
catena Starbucks viene citata in 10
tweet; Lady Gaga riesce a guadagnare
più followers che Twitter stesso: ha
infatti ben 18 milioni di “seguaci”; le
persone sono più inclini a scrivere
tweet negativi piuttosto che positivi.
Stranezze sì, che però ci fanno capire come questi potenti mezzi stiano
entrando nella vita di tutti i giorni in
maniera sempre più preponderante.
Pensate che l’intero archivio di Twitter è stato acquisito dalla Biblioteca
del Congresso statunitense. Il prossimo passo potrebbe essere far seguire agli studenti le lezioni universitarie su Twitter... magari lo stanno
già facendo!
24
Aprile 2012
Musica
INFOWEB
www.noemiofficial.it
www.valerioscanu.com
Fenomeni
Padania
Gli Afterhours tornano
sulle scene il 17 aprile
con un nuovo album
che sta facendo molto
parlare di sé: pronti?
Italia’s got
talent
tempo di lettura: 10 minuti
Intervista. Tutto su Noemi
Le mie nuove consapevolezze
Per lei scrivono i più illustri autori italiani di canzoni e la sua è una voce che rende prigionieri,
dalla quale non si può fuggire: Noemi ha stregato anche noi
Mattia Marzi,
17 anni
S
olare, energica, passionale. Sarà per
quegli occhi verdi come il mare o forse per
quei capelli rossi come il fuoco: nel giro di
qualche anno Veronica Scopelliti, in arte
Noemi, è riuscita a conquistare critica e
pubblico: ora è davvero pronta per entrare
nell’olimpo della musica italiana.
Per te hanno scritto, tra gli altri, autori
come Vasco Rossi, Gaetano Curreri e
Pacifico; come ci si sente ad essere
considerata una vera e propria
musa ispiratrice dei più importanti autori della musica italiana?
C’è qualcuno in particolare che
vorresti fosse l’autore del tuo
prossimo successo?
«È un grande onore il fatto che mi
vengano affidate bellissime canzoni di autori molto importanti: spero sempre di esserne all’altezza,
anche se spesso avverto l’ansia da
prestazione. Per ora, comunque,
mi godo quello che ho: chi troppo
vuole, nulla stringe!»
Sei tornata a Sanremo quest’anno, due anni dopo la tua
prima partecipazione. Quanto c’è
di nuovo in te rispetto alla Noemi di
qualche anno fa, quali sono le tue reali “nuove consapevolezze”?
«Nella vita ci sono cose che ti accadono in
maniera più esplicita e che riesci
più facilmente a comprendere,
altre che invece richiedono un
po’ più di tempo per capire
cosa possano insegnarti. Diciamo che io mi sento molto
cresciuta: nell’ambiente discografico tutto si impara
molto in fretta, o nuoti o
affoghi. Spero di
avere sempre la
possibilità di imparare qualcosa
di nuovo e di
prendere ogni
volta la decisione più giusta per me».
Ti sei fatta
conoscere
dal grande pubblico attraverso
la partecipazione
alla seconda
edizione di
X-Factor. È
un’esperienza che
Credit Julian Hargreaves
rifaresti?
«Quella ad X-Factor è stata un’esperienza con i fiocchi, attraverso la quale mi sono divertita veramente tanto.
Noi della seconda edizione eravamo
molto uniti come gruppo, non sapevamo quello che ci sarebbe successo
al termine del programma, eravamo
un po’ all’oscuro di tutto. Ci sono dei
momenti in cui mi piacerebbe tornarci ed avvertire, di nuovo, quel senso
di “protezione”. Ho partecipato grazie a mia sorella, che mi iscrisse ai
provini: il primo lo feci tanto per non
farla rimanere male, ma poi mi convinsi anche io delle ottime possibilità
che un programma come X-Factor
offre a giovani talenti che vogliono
far conoscere la loro musica. E ho deciso di provare!».
Quanto è difficile scrollarsi di dosso l’etichetta di “cantante da talent-show” e quanto questa può influenzare in generale il successo di
una carriera discografica?
«Devo dire che, forse anche grazie al
duetto con Fiorella Mannoia, sono riuscita da subito a non farmi etichettare.
Credo comunque che sia ingiusto alimentare pregiudizi verso chi ha partecipato ad un talent-show: come negli
anni ’60 esisteva il Cantagiro, oggi ci
sono X-Factor ed Amici per fare successo. “Cantante da talent-show” è
un’etichetta che serve più ai giornalisti per creare dei gruppi di identificazione, il che mi sembra anche limitati-
vo. Quello che conta realmente nella
carriera di un cantante sono le canzoni. Alla gente, in realtà, non interessa
molto da dove provieni: se c’è una
canzone che piace, la gente sarà ben
felice di ascoltarla. Bisognerebbe essere meno provinciali, cosa che in Italia mi sembra (quasi) impossibile».
Attraverso RossoNoemi abbiamo
potuto conoscere le tue sorprendenti doti cantautorali. A cosa ti
ispiri quando componi i tuoi testi?
«Le mie canzoni nascono da semplici note buttate giù al pianoforte; i testi sono, ovviamente, la parte più importante. Ciò che influisce maggiormente nella loro stesura è ciò che mi
succede nella vita, ma anche i miei
stessi sentimenti».
“Fortunatamente io non credo alla
fortuna”: a chi devi il tuo grande
successo?
«In realtà la fortuna é sempre dietro
l’angolo, ed è compito nostro farci
trovare pronti a sfruttarla. Dietro ad
ogni successo c’è un immenso lavoro: la fortuna è come un raggio di sole che colpisce quel grande lavoro e
lo fa brillare un po’».
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Hai già iniziato a lavorare al
nuovo disco?
«Per ora no, penso solo al tour: dopo
Roma e Milano, ora mi aspetta un
lungo calendario di date in giro per
l’Italia».
Qualcosa di diverso
Valerio Scanu è tornato: dopo il primo album Parto da qui e la vittoria
al Festival di Sanremo nel 2010 con
il brano Per tutte le volte che, l’artista sardo si ripresenta sulle scene
con una nuova fatica, Così diverso.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda per capire meglio come vive questo momento.
Partiamo dal significato del titolo:
perché Così diverso?
«Innanzitutto ho voluto trasmettere
un senso di diversità, di evoluzione
rispetto ai miei lavori precedenti;
l’altro motivo è la mia collaborazio-
ne alla stesura del testo della canzone omonima».
Senti di dover dimostrare qualcosa con questo nuovo album?
«Io non voglio dimostrare nulla! Voglio solo fare ciò che mi piace».
Che cosa hai fatto dopo avere vinto Sanremo, nel febbraio 2010?
«Ho iniziato un tour italiano, questa
esperienza mi ha fatto conoscere
nuove persone con le quali ora collaboro felicemente».
Perché hai deciso di ritornare ad
Amici assieme ad altri ex alunni
“eccellenti”?
«La prima partecipazione ad Amici
mi ha fatto crescere sotto moltissimi
punti di vista! Il programma è stato
un’importantissima vetrina di lancio
e gli sarò per sempre riconoscente
perché mi ha fatto diventare ciò che
sono».
Sei diventato famoso a soli 18 anni. Come è cambiata la tua vita?
«Mi sono trovato in una situazione
particolare, che mi ha fatto maturare
molto velocemente: se vuoi emergere nel mondo della musica devi saper crescere in fretta».
Progetti futuri? Magari qualche
collaborazione?
«Per ora preferisco lavorare da solo, ma magari
più avanti...».
Matteo Franzese,
20 anni
Credit Roberta Krasnig
Ritorni. È appena uscito il nuovo album di Valerio Scanu
25
Aprile 2012
Musica
Alternative
INFOWEB
www.emiskilla.it
www.myspace.com/asteniaworld
tempo di lettura: 8 minuti
Controcorrente. Nuovo album per Emis Killa
Il volto nuovo del rap
L’erba cattiva è il titolo dell’ultimo disco del rapper milanese pubblicato da Carosello Records:
testi autentici e belle sonorità. Emis ci spiega perché è il più criticato
piano migliora: le prime cose che
scrivevo io facevano schifo.
D’altra parte, è anche vero che
tutti quelli che davvero valgono
hanno sempre un bel po’ di talento innato».
A casa come presero la tua
scelta? I genitori vorrebbero
vedere un figlio studiare, sistemarsi: tu sei andato controcorrente.
«All’inizio non è stato per niente
facile: mia mamma non ci credeva molto, pensava che fosse
solo un sogno e che non mi
avrebbe portato da nessuna parte.
Poi, però, quando ha iniziato a
vedere i primi risultati, i primi
concerti, i primi soldi, i complimenti, le collaborazioni, ha cominciato a convincersi e adesso
che sono uscito con la Major è
molto fiera di me. Mio padre invece, che ha sempre avuto uno
spirito da artista come me, mi ha
capito da subito».
Sei uscito con la Major proprio
adesso che il rap è nel suo momento di gloria: hai cavalcato
l’onda, come si dice. Ma è stata
poi così facile da cavalcare?
«Niente è semplice, nella vita e
soprattutto in questo ambiente.
Però considera che ho 22 anni,
scrivo da quando ne 16, quindi è
già parecchio che sono nel
campo e – passami il termine – il
mazzo me lo son fatto pure io.
Devo anche riconoscere che sono
stato un po’ più avvantaggiato rispetto ad altri che sono stati lanciati in periodi in cui il rap era
sconosciuto».
Sei stato spesso definito, anche
ironicamente dallo stesso Fi-
Lorenzo
Coltellacci,
19 anni
I
l rap italiano è entrato nella sua
Golden Age, ascoltato ormai da tutti
(ma guai a definirlo “commerciale”,
Fibra docet). Ora che è alla sua massima diffusione, soprattutto grazie al
lancio di nuove etichette come la
Tempi Duri di Fabri Fibra, che ha già
lanciato i promettentissimi Entics e
Clementino e la Tanta Roba di Guè
Pequeno, che ha assistito l’esordio in
major di Fedez, finalmente riesco a
parlare con uno dei rapper più in voga
negli ultimi mesi.
Sto parlando di Emis Killa, giovane
milanese classe 1989, già campione
di Freestyle italiano a soli 18 anni.
Dopo anni di collaborazione con la
Blocco Recordz, fra Street Album e
dischi indipendenti, è finalmente
uscito allo scoperto pubblicando con
una Major. Erba Cattiva è il suo ultimo album prodotto da Carosello Records: già il titolo è tutto un programma.
Quando hai cominciato ad ascoltare o scrivere rap?
«Beh, mi ci sono avvicinato quando
avevo circa 14 anni. Mi piaceva quel
flow, quel ritmo e così pian piano ho
provato a scrivere, anche se inizialmente ero più sul freestyle, non precisamente rap. Direi che i primi testi possono risalire a quando avevo 16 anni».
Pensi che il rap sia qualcosa con
cui si nasce o lo si può imparare?
«L’esperienza aiuta moltissimo a migliorare. Uno scrive, butta giù un
sacco di pezzi, prova e riprova e pian
bra: “il più criticato”. Perché?
«Prima pensavo che dipendesse dal
fatto che il mio non è un rap canonico, ma l’originalità è un bene. Solo
adesso ho capito che tutte quelle critiche erano perché ero giovane,
bravo, determinato, nuovo e mi ero
inserito bene. Mi capita anche adesso
di ascoltare molti emergenti e la
prima cosa che noto nei commenti
dei loro video su Youtube sono le critiche: sono tutti invidiosi e quindi criticano».
Anche il tuo stile è differente: sei un
bel ragazzo, ti vesti “meglio” rispetto a certi tuoi colleghi e sei
amato da migliaia di ragazze.
Quanto conta quindi l’apparire,
adesso, nel rap?
«Ha la sua importanza, ma non mi
sono costruito un personaggio a tavolino, sono fatto così e mi comporto
così: è il mio atteggiamento e questo
mi ha aiutato a emergere».
Parliamo di L’Erba Cattiva. Un album forte e vero, con belle sonorità
e beat. Cosa ti aspetti da questo disco?
«I testi sono sinceri e non dico cose
stupide. Si parla di emozioni, di situazioni che viviamo quotidianamente: voglio che il mio album venga
ricordato per i suoi contenuti, per ciò
che ho trasmesso, deve essere immortale e sempre attuale».
Direi che ci sei riuscito, parecchie
volte quand’ero giù non riuscivo a
smettere di sentire Ognuno per sé o
Parole di ghiaccio. Per il futuro,
cosa hai in mente di fare?
«Mi rinnovo da sempre e continuerò
a farlo: per rimanere sulla scena devi
essere pronto a cambiare, adeguarti ai
tempi. Fare due volte la stessa cosa
non è proprio nel mio stile».
Esordi. Gli Astenia pubblicano il loro primo Ep
L’ossimoro musicale
Astenia: un nome che, in questo caso,
non è una garanzia, anzi è l’esatto
contrario. Il gruppo romano, nato nel
2005, non conosce la debolezza, vuole comunicare qualcosa di diverso,
non ha niente a che fare con i sintomi
dell’astenìa. Il loro EP d’esordio, Fa’
che tutto sia diverso, nato dal cambio
di direzione artistica dopo l’incontro
con i Velvet, non è solo qualcosa di
nuovo, lo è del tutto.
Negli anni precedenti, infatti, gli
Astenia facevano tutta un’altra musi-
ca: ora i suoni sono molto più british.
E il titolo? È un augurio, per tutti, in
un momento in cui ci troviamo senza
punti di riferimento.
Un giorno nuovo, il singolo che anticipa il loro EP in uscita l’11 aprile, è nato da una collaborazione fra tutti i
membri della band, per fare qualcosa
di totalmente inedito a partire da una
insolita accordatura delle chitarre. È
stato scritto di getto, un “parto naturale”, come lo definisce il chitarrista, Fabio Blanda. Anche il video del brano,
girato dal regista emergente romano
Fabio Gandolfi, ha uno stile innovativo, che risente delle stesse influenze.
Gli Astenia hanno sfondato grazie ai
contest, perciò continuano a parteciparvi, nonostante l’affollato e variegato panorama musicale romano sia
più ostico da convincere rispetto a
quello di altre città.
Il più bel concerto che hanno aperto?
Quello dei Velvet il 5 novembre scorso, perché è stato l’inizio e insieme il
superamento di un lavoro. Perché
condividere il palco con persone che
stimi è qualcosa di grandioso e irripetibile.
Elena Prati, 20 anni
26
Musica
Aprile 2012
Emergenti
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www.paroleedintorni.it
tempo di lettura: 6 minuti
Novità. Primo disco per la figlia di Gigi Proietti
Il mio canto libero
Carlotta è una cantautrice romana con grinta da vendere, che non rinuncia a un cognome
importante e si mette in gioco con tutta la sua determinazione
Federica
D’Angelantonio,
17 anni
E
nergica, coinvolgente, appassionata: questo ho pensato quando ho ascoltato la voce di Carlotta
Proietti. A caldo, dopo l’uscita del
primo disco che porta il suo nome
come titolo, la cantante romana si
dice contenta del suo lavoro e sta
già preparando un adattamento teatrale. Il disco è frutto di una collaborazione con Giancarlo Bigazzi,
da poco scomparso, di cui lei ha
molta stima: «è difficile imparare
tutto quello che ho imparato io con
lui in un corso o in una scuola», dice Carlotta.
Il suo disco è composto di 11 tracce
tra cui due cover: Sympathy dei Rare Bird e Rose Rosse scritta da Bigazzi. Come ci racconta lei stessa,
Rose Rosse non era fra le sue prime
scelte, è una cover nata quasi per
gioco, a cui però è riuscita a dare
un’impronta più moderna e personale.
Oltre ad essere cantante, Carlotta è
anche autrice dei suoi pezzi, nei quali racconta di sé e del mondo che la
T
ALENTI
circonda: «una cosa non va senza l’altra; anche se
si trattasse di un disco completamente autobiografico, come tutti io sono influenzata da
ciò che mi sta attorno».
Come nel brano Scema, che parla
della tipica sensazione dell’innamoramento, un’esperienza che
prima o poi tutti viviamo.
Figlia d’arte, non tanto per il
cognome che porta, ma per la
vita che ha fatto, sin da piccola è
stata a contatto con l’arte, con la
musica e col teatro. Il cognome c’è e
mantenerlo è una sua scelta, Carlotta è
consapevole delle conseguenze: «Sono
anche io la prima che quando vedo un
figlio d’arte in tv voglio vedere cosa è capace di fare: è un classico,
per cui non posso biasimare
nessuno».
Carlotta definisce il suo avvicinamento al mondo della
musica come qualcosa di
istintivo, come una necessità interiore che poi
si è trasformata in una
vera e propria passione.
Nell’epoca dei talent
show si dice fiera di
aver raggiunto i suoi
obiettivi nel modo tradizionale: «Per i giovanissimi che ancora
non hanno una perso-
nalità artistica ben definita, il talent show è un’arma a doppio
taglio: da una parte c’è la tv
che dà una visibilità
pazzesca, dall’altra spesso il
successo si
rivela illusorio perché si
viene catapultati in un mondo
del tutto nuovo
quando non si è ancora
pronti, e si finisce col
perdersi».
Prima di dedicarsi
completamente alla
musica, Carlotta ha
vissuto un’esperienza teatrale che
definisce importantissima: per lei
che ci è cresciuta, il
mondo del teatro
rappresenta un luogo di formazione
per chiunque abbia voglia
di
lavo-
rare in campo artistico. «Il teatro mi
ha dato tanto e mi dispiace vedere i
giovani lontani da questo universo
solo a causa di stereotipi e pregiudizi».
Alla domanda: “che genere fai?”,
sembra un po’ titubante nel rispondere: «Il genere è qualcosa che definisce chi ascolta: l’interprete canta,
è questo il suo lavoro, il giudizio
spetta al pubblico».
Ed è proprio il giudizio che attende,
essendo molto autocritica: vuole vedere cosa penserà il pubblico del suo
lavoro, i commenti su iTunes. Vuole
la prova di essere riuscita nel suo intento: comunicare qualcosa alle persone che la ascoltano.
Che consiglio darebbe Carlotta a un
giovane che si affaccia al mondo
della musica, che come lei ha il sogno di cantare? Lei si mostra molto
realista: «è facile stare lì a dire: “tieniti stretto il tuo sogno, non mollare”, in realtà è un mondaccio quello
della musica, e spesso va a finire
che i sogni restano nel cassetto.
L’unica arma, oltre la bravura, è la
determinazione; quando il canto
brucia dentro come una fiamma e
diventa qualcosa di cui non si può
fare a meno si arriva a crederci davvero». Solo così ci si riesce, solo così Carlotta ce l’ha fatta.
La Culla
Desert Beyond
In uscita il disco d’esordio dei VeneziA, un album
pieno di boogie, punk, atmosfere voodoo, percussioni
pesanti e visioni sulfuree, pubblicato dalla casa discografica siciliana 800A Records. Tra Sciacca e Palermo, la
band racconta storie di alienazione urbana e della provincia più nascosta.
Il nuovo EP di ED esce il 15 aprile. Non è un gioco
di parole, ma il nome del gruppo indie pop che si ispira
a sonorità anni ’60 e anni ’90. Reduce da concorsi, numerose tappe su e giù per lo Stivale e un lungo tour
negli Usa, il gruppo fonda Vulvanophono, un collettivo
che si occupa di autoproduzione.
In vetrina
Il vostro sarà Il futuro
che ricordavo?
I Karenina esordiscono - anche
se non si può propriamente parlare di “esordio” vero e proprio:
eventi particolari e fati mutevoli li
han condotti dai Triste Colore Rosa
verso questo nuovo inizio - con Il
futuro che ricordavo. Il gruppo è
alla ricerca di sfumature nuove, intense e particolari, che sapranno
condurvi in una dimensione “altra”,
quella di un futuro che non c’è mai
stato, non c’è e probabilmente non
ci sarà mai. Paolo Pischedda (dei
Marta sui Tubi, per intenderci) è al
timone artistico di questa produzione caleidoscopica, in un incrocio
di indie, pop, rock e sfumature cantautorali.
27
Aprile 2012
Giro d’Italia
INFOWEB
www.teatroeliseo.it
www.teatrostabilegenova.it
Foto di Aldo Valente
Teatro
Kohlhaas
Marco Baliani racconta
una storia realmente accaduta nella Germania del
Cinquecento. Al Duse di
Genova dal 26 al 29 aprile.
Classici di oggi
e di domani
tempo di lettura: 9 minuti
Roma. All’Eliseo Così è (se vi pare)
Va ora in scena la verità
Torna in teatro il capolavoro di Luigi Pirandello per la regia di Michele Placido. A tu per tu
con la protagonista, Giuliana Lojodice, alla vigilia del debutto romano
Ilaria Cecchini,
21 anni
A
«Michele è giovane, è un regista cinematografico e ne ha voluto fare una
specie di film in bianco e nero. Scena
e costumi (di mia figlia Sabrina Chiocchio, che ha vinto il premio come miglior costumista al Teatro Olimpico di
Vicenza, due anni fa) sono tutti in
bianco, nero e grigio. La regia di Michele permea in profondità i lati oscuri
di un testo che può sembrare a tratti obsoleto, per un linguaggio che conquista, perché risalire a Pirandello signi-
fica risalire alle matrici del nostro linguaggio teatrale. Michele ha voluto attualizzarlo, nel senso che si pronunciano le parole di Pirandello, ma chi in
siciliano, chi in bolognese. È un’esperienza curiosa, tradizione nell’innovazione. Non c’è un abbandono alla parola o alla situazione, c’è sempre un
filo di isterismo e di nevrastenia che
percorre tutti i personaggi. È una regia
fatta per tenere sveglio lo spettatore,
che si troverà spiazzato se è stato abi-
tuato a vederne delle realizzazioni registiche molto classiche».
Nel 1917 Gramsci scrisse, tra l’altro:
“I tre atti di Pirandello sono un puro
e semplice aggregato meccanico di
parole che non creano né una verità,
né una immagine”. Cosa ne pensa?
«Il commento è da rapportarsi all’epoca.
Pirandello non era molto amato, è stato
uno scrittore scoperto a distanza, soprattutto dopo Freud. Certe cose sembrano cervellotiche, però la costruzione
Genova. Al Duse Ciò che vide il maggiordomo
Dal buco della serratura
Valeria Firriolo,
17 anni
Cos’avrà visto il maggiordomo? Alla
domanda risponde in modo molto divertente la commedia di Joe Orton,
prossimamente in scena a Genova, in
una coproduzione Teatro Stabile e
Teatro dell’Archivolto. Ciò che vide il
maggiordomo è un’opera travolgente e
di grande comicità. Riprende temi
drammaturgici dell’Inghilterra del dopoguerra portando l’attenzione sugli intrecci che si creano tra potere e sesso,
confermando in questo senso la sua attualità. Lo spettacolo si svolge interamente in uno studio psichiatrico dove
si succedono una serie di situazioni im-
barazzanti, tentativi di seduzione, scambi di identità, litigi e diagnosi affrettate. I personaggi sono decisamente folli, ma dotati di un’autoironia che permette di rendere credibile e piacevole
questo gioco d’amore, di vita e di
morte. Orton nella narrazione utilizza
uno stile assai personale; si diverte a far
saltare tutte le certezze e le logiche che
un lettore riuscirebbe a intuire: questo
meccanismo permette di avere un sentimento di suspence che rende il tutto
ancora più interessante. Il mondo che
ci viene presentato è ridicolo, ipocrita
e violento, un mondo che Orton sceglie
di guardare dal punto di vista privilegiato di un maggiordomo che scruta dal
buco della serratura, da semplice e discreto osservatore, spiando le intemperanze dei vari personaggi: lo psi-
chiatra responsabile della clinica e la
moglie dai tratti nevrotici e ninfomani, il supervisore del ministero mandato
a controllare l’operato del collega,
una giovane segretaria in cerca di lavoro, un fattorino senza troppi scrupoli
e un sergente di polizia che indaga sulla scomparsa
dei frammenti
di una statua
di Churchill.
Tutti i personaggi snoderanno i loro
percorsi fino
all’improbabile, assurda, ma
geniale trovata
finale che svelerà, non vi di-
ciamo ancora come, una nuova concezione dei rapporti umani. Sul palco,
tra gli altri, Ugo Dighero, Mariagrazia
Pompei, Mariangeles Torres. Da mercoledì 11 a domenica 22 aprile al teatro Duse di Genova, per la regia di Giorgio Gallione.
Foto di Bepi Caroli
14 anni la prima tournée diretta da Luchino Visconti, a 16 anni
l’Accademia. Oggi, con quasi sessant’anni di carriera alle spalle, una delle
più grandi e poliedriche attrici italiane
si confronta con la più cerebrale delle
opere di Pirandello, in scena al Teatro
Eliseo dal 10 al 29 aprile.
È passato quasi un secolo dalla prima
rappresentazione del Così è (se vi
pare). Qual è il segreto della sua “attualità”?
«La spasmodica ricerca della verità,
che per Pirandello rappresenta il fulcro
dell’animo umano. C’è il problema
eterno di riconoscersi in uno specchio
piuttosto che negli altri. Non a caso
c’è una scena di Carmelo Giammello
(scenografo ndr) invasa da pezzi di
specchio rotti, dove ognuno dovrebbe
riflettere se stesso per pensare e confrontarsi. Nessuno di noi sa bene chi è
se stesso e lo cerchiamo negli altri, incuriositi da come ci vedono, cercando
di fare un’analisi (non a caso, dopo è
venuto Freud). Il personaggio di Laudisi, che è l’“anima” di Pirandello, è
emblematico di questa ricerca che
compiamo tutti ancora oggi».
Può parlarci del ruolo che interpreta?
«La signora Frola è una donna che si
presenta dicendo “Sono dolente e
chiedo scusa per aver mancato alla
mia visita fino ad oggi”. È una specie
di maschera pietrificata nel dolore di
aver perso qualunque cosa, anche gli
affetti più cari, nel terremoto in
Abruzzo, che improvvisamente però
si slancia come una tigre nella difesa
più strenua del genero. Questo induce
il sospetto, mette in allarme e crea curiosità e scandalo. La ricerca di questo
tipo di interpretazione dolorosa mi ha
molto allontanato dall’immagine data
da grandi attrici del passato. Abbiamo
cercato di attualizzarla in un senso vitale differente, per cui non è più un
personaggio passivo, dolente, remissivo, ma diventa una madre, la figura di
una maschera materna che difende
strenuamente la sua storia terribile».
Michele Placido è il regista. Com’è
stato lavorare insieme?
dei testi è tale che sono sempre stati giudicati dei capolavori. C’è sempre questa
famosa “corda pazza”, come in Ciampa
nel Berretto a sonagli, che prima o poi
ti conquista, c’è sempre qualcosa in Pirandello con cui fare i conti».
Cosa custodirà in particolare di questo personaggio e di cosa non vede
l’ora di liberarsi?
«Mi piace tutto di questo personaggio,
ma mi ci sono dovuta addentrare piano
piano; mi sono trovata a gestirlo in un
modo differente da tutte le attrici del
passato, per mia scelta e su indicazione
di Michele Placido. Quando esco dal
teatro non vedo l’ora di liberarmi dal
lutto perché ne ho subiti diversi, molto
gravi, che hanno inciso nella mia vita
personale. Il nero mi intristisce, mi circonda di un alone che non mi piace...
Ringraziando Dio sono ancora una
creatura vitale».
Cosa porta con sé, sul palco, ad ogni
replica?
«Tanta paura e tanto rispetto per il pubblico e il desiderio infinito non di sentirmi dire “brava” (perché sono sessant’anni che lavoro!); però a questo
punto è come offrire in pasto se stessi
a un pubblico che ti deve comunque sia
giudicare che amare, anche nei momenti sgradevoli del personaggio».
28
Cinema
Aprile 2012
Giovani critici
INFOWEB
www.diazilfilm.it
Bel Ami
Nelle sale la trasposizione cinematografica
del capolavoro di Maupassant. Il protagonista è Robert Pattinson.
Luci e ombre
di Stato
tempo di lettura: 16 minuti
Da non perdere. Esce il 13 aprile Diaz. Don’t clean up this blood
Il sangue scorre sulla democrazia
Dieci anni dopo i fatti di Genova, il film di Daniele Vicari racconta senza mezzi termini le
violenze subite da 96 ragazzi nella scuola “Diaz” e nella caserma di Bolzaneto
Chiara Cacciotti,
20 anni
È
il 21 luglio 2001: poco più di
cinquant’anni dopo Hiroshima e Nagasaki, Auschwitz e Belzec, si consuma “la più grave sospensione dei diritti democratici dopo la seconda
guerra mondiale”. E succede in un
Paese democratico, nella civilissima
Genova. I grandi della terra si riuniscono per discutere i problemi globali;
da tutto il mondo vengono cittadini per
protestare ed esporre il proprio punto di
vista. La notte del 21 luglio, a manifestazioni finite, la polizia irrompe nella
scuola “Diaz”, che ospita 96 persone:
segue l’arresto e il trasferimento nella
caserma di Bolzaneto, dove vengono
compiute le violenze più terribili. A
raccontare la verità, dopo dieci anni,
Daniele Vicari e il suo film Diaz. Don’t clean up this blood.
Gli storici dicono che si può parlare
di storia vera e propria solo 50 anni
dopo che è avvenuto un fatto. Che
difficoltà si incontrano nel realizzare un film su una vicenda che è ancora fonte di accesi dibattiti e di processi non ancora conclusi?
«Fortunatamente non sono uno storico,
e il tempo presente è la tavolozza su cui
costruisco le mie immagini. Quello che
è successo a Genova è attualissimo,
perché è da lì che il rapporto tra le istituzioni e i movimenti si è tramutato in
conflitto profondo. Quando si realizza
un film tratto da fatti realmente accaduti, è necessario assumersi delle responsabilità, perché si ha a che fare
con persone in carne ed ossa».
A proposito di responsabilità: il film
ha avuto un travaglio molto complesso: nessun finanziatore, nessuna
banca, neanche il Comitato di verità
e giustizia ha voluto saperne...
«Uno dei grandi problemi del cinema
italiano è l’autocensura: ci sono temi
di cui non si parla perché gli autori,
sapendo che non verranno mai finanziati, decidono a monte di non presentarli. Quando con Domenico Procacci abbiamo deciso di fare il film,
lui stesso non è riuscito a trovare interlocutori: stiamo parlando del più
importante produttore cinematografico italiano! I finanziatori non hanno
nemmeno voluto leggere la sceneggiatura».
Hai dichiarato che i fatti della Diaz
e di Bolzaneto, attraverso la lettura
degli atti, mettono in discussione un
luogo comune molto radicato, quello
secondo cui certe cose possono accadere soltanto sotto regimi politici autoritari. Credi sia più preoccupante
che accadano fatti simili in Paesi de-
mocratici oppure che i cittadini
usino questo luogo comune come
scusa per non vedere realmente
come stanno le cose?
«Sono due facce della stessa medaglia.
Da una parte, se il cittadino si occupa
esclusivamente di come sale e scende
il valore del proprio conto in banca, allora è disposto a sopportare anche la repressione. Al tempo stesso, la sospensione dei diritti civili in un Paese
democratico è una cosa molto delicata,
dovuta al fatto che le democrazie di cui
noi ci vantiamo non sono compiute».
Gli attori provengono da varie parti
d’Europa: un modo per ricordare
all’Europa stessa che non si tratta di
una tragedia solo italiana?
«Esattamente; i fatti di Genova non riguardano esclusivamente l’Italia: dentro la scuola “Diaz” su 96 arrestati
c’erano solamente 14 italiani».
Il film doveva necessariamente rappresentare delle scene violente.
Quanto l’aderenza alla realtà era
imprescindibile?
«Se uno non guarda in faccia il tipo, il
livello e le modalità della violenza che
è stata fatta dentro la Diaz e a Bolzaneto, non capisce perché c’è stata la sospensione dei diritti civili».
Hai dedicato il premio vinto a Berlino al cinema italiano: perché?
«Perché era il premio del pubblico, e
secondo me la più grande soddisfazione nella cinematografia è proprio
quella di trovarne uno».
Storia d’Italia. Sul grande schermo la strage di Piazza Fontana
Io so, ma non ho le prove
Vittoria de
Benedetti, 15 anni
Uno tsunami inaspettato e di inaudita
violenza sconvolge la giovane democrazia italiana nel 1969.
Il 12 dicembre alle 16:37, una bomba
esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano,
provocando 17 vittime e 88 feriti. Di lì
in poi niente sarà più come prima.
Dopo aver diretto, tra gli altri, Pasolini, un delitto italiano e La meglio
gioventù, Marco Tullio Giordana si cimenta nel suo undicesimo film, puntando i riflettori sul tragico evento che
ha dato il via agli Anni di piombo. Ro-
manzo di una strage ripercorre gli
eventi di quei giorni terribili: subito
dopo la strage, le indagini ipotizzano
la matrice politica e la tesi più accreditata conduceva alla pista anarchica.
A seguito di una retata vengono portati
in questura su un cellulare della Polizia alcuni sospetti, tra cui un ferroviere di 42 anni di convinzioni anarchiche: Giuseppe Pinelli, detto Pino.
Dopo tre giorni di interrogatorio, Pino
precipita misteriosamente dal quarto
piano della Questura di Milano.
«Piazza Fontana e la morte di Pinelli
sono stati il nostro undici settembre»,
dice in un’intervista Pierfrancesco Favino, che nel film interpreta lo stesso
Pinelli. Per prepararsi a questo ruolo,
l’attore ha incontrato la famiglia di
Pino, a tutti gli effetti la diciottesima
vittima di quella strage, di cui ancora
oggi non si è fatta totale chiarezza.
Come lo stesso regista ha dichiarato,
Piazza Fontana è un nome che dice ormai poco alle nuove generazioni: con
questo film si cerca di risvegliare una
memoria troppo importante da ignorare. Perché, come disse Pasolini in
un suo articolo sulla stagione stragista,
“Io so i nomi dei responsabili della
strage di Milano del 12 dicembre 1969
[…] Io so i nomi delle persone serie e
importanti che stanno dietro ai tragici
ragazzi che hanno scelto le suicide
atrocità fasciste e ai malfattori comuni
che si sono messi a disposizione […]
Io so. Ma non ho le prove”.
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Aprile 2012
INFOWEB
www.eaglepictures.com
www.robadamattifilm.com
Il primo uomo
Da non perdere il
prossimo film di Gianni
Amelio: la vita di uno
scrittore algerino che
torna in patria.
To Rome with love
Torna il grandissimo Woody Allen con un’opera dedicata
a Roma. Dopo Barcellona, Parigi e Londra, il regista americano sceglie di dedicare un film alla città eterna. Un cast nutrito: da Penelope Cruz a Alec Baldwin, da Ornella Muti a
Roberto Benigni. Il film esce il 20 aprile e verrà presentato a
Roma in anteprima mondiale.
Nelle sale. Carlo Virzì porta il rock al cinema
Siamo i più grandi di tutti
Sul grande schermo la storia di una band di “bischeri” della provincia toscana, che dopo anni
si ritrova a suonare su un palco, complice l’intervento di un vecchio fan
Eleonora Zocca,
17 anni
I
più grandi di tutti: si intitola così
l’ultima creazione da giovane regista
di Carlo Virzì, un passato da rocker
degli Snaporaz e autore di numerose
colonne sonore dei film del fratello
Paolo. Protagonisti della pellicola i
Pluto, una band rock della provincia
di Livorno, ormai sciolta. Inaspettatamente vengono contattati da Ludovico, giornalista musicale ma soprattutto fan sfegatato del gruppo, che
vuole girare un documentario proprio su di loro.
Ecco come risponde alle nostre domande il toscanissimo Carlo Virzì, che
esordisce dicendo: «L’intervista a…?
Ah, già, l’intervista con me, giusto!».
Mi sa proprio che è rimasto ancora
qualcosa dei Pluto nel regista…
Perché hai deciso di trattare il
tema del rock provinciale? E da
dove deriva l’idea di questo film?
«Mi andava di fare un altro film da
regista e il presupposto da cui partire
era qualcosa che conoscevo molto
bene. Ho voluto usare la mia esperienza da musicista rock per raccontare qualcosa di vero».
C’entra quindi la tua esperienza
con gli Snaporaz?
«Solitamente non racconto nulla di
autobiografico, diciamo che mi sono
ispirato a racconti del periodo in cui
andavo in giro con il gruppo».
Parliamo della città in cui si svolge
il film: Rosignano Solvay come
Manchester? In Italia queste piccole realtà industriali possono essere culla di fermenti rock?
«Assolutamente sì, non a caso ho
scelto una cittadina industriale. Le
città come Manchester, Liverpool,
Detroit sono delle valvole di sfogo. È
qui che nasce l’espressione più sincera del rock autentico. E poi ci tenevo a rappresentare un tipo di Toscana che fosse diversa da quella che
si vede negli spot pubblicitari».
All’inizio l’idea del giornalista fan
non viene presa bene dal gruppo: i
protagonisti vogliono forse cancellare quel periodo della loro vita?
«Ogni personaggio ha registrato
quella fase della vita a modo suo: ad
esempio Loris pensa che sia uno
scherzo, perché l’idea che ci sia qualcuno che si ricordi dei Pluto gli appare assurda. Gli altri membri più che
essere restii ad una possibile intervista, vogliono evitare di incontrarsi».
L’esibizione finale dei Pluto può essere vista come la rivincita di un
gruppo di ragazzi che, diventati
adulti, hanno ormai abbandonato i
loro sogni e le loro aspettative?
«Certamente è una rivincita. Aggiungo anche che ho lasciato il finale
volutamente aperto: il mio desiderio
sarebbe quello di rivedere i Pluto incidere un nuovo disco».
Quanto tempo ti ha portato via la
parte musicale, ovvero la “discografia” dei Pluto?
«Io e Dario Cappanera abbiamo curato con particolare accortezza
l’aspetto musicale: l’intento era
quello di ricreare uno stile semplice,
un rock decifrabile da tutti e non
solo dagli amanti del settore. La musica è ritmata e grintosa, mentre i
testi si potrebbero considerare stupidi e allo stesso tempo quasi geniali. Questo fa sì che nello spettatore sorga la domanda: ma sono
degli idioti o dei geni?».
Cosa direbbe un critico musicale
dei Pluto?
«Che sono dei cafoni!».
Che cosa rappresenta la musica, in
particolare il rock per Carlo Virzì?
«Secondo me la musica è un’attitudine, uno stile di vita. Spesso sento
dire che il rock è morto, ma sinceramente penso che fino a quando ci
sarà un ragazzo che, fregandosene
della vicina di casa e della madre,
alza il volume del suo amplificatore
sino al massimo, il rock n’ roll rimarrà vivo».
Progetti per il futuro? Film o rock?
O magari tutti e due?
«La risposta non seria è che ho fatto
questo film per tornare a suonare,
quella seria è che mi piacerebbe fare
un altro film sulla musica, ma per il
momento vediamo come va questo!».
Docufilm. Il disagio mentale al cinema
Una casa per riconquistare la vita
Giulia Iani,
20 anni
“I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi” scriveva Carlo Dossi nelle Note azzurre. E proprio di
pazzia parla Roba da matti, il filmdocumentario di Enrico Pitzianti
nelle sale italiane da aprile.
Roba da matti racconta in ottanta
minuti la storia di Casamatta, una residenza socio-assistenziale a Quartu
Sant’Elena in Sardegna in cui vivono otto persone con disagio mentale.
Con coraggio e dedizione e il sostegno costante degli operatori, si vive
la normale quotidianità in una casa
speciale, dove le persone con sofferenza mentale possono aspirare a ricostruirsi una vita.
Ma la casa, dopo 17 anni di attività,
rischia di chiudere: l’associazione
che la gestisce non riesce più a far
fronte alle spese, il contratto d’affitto è in scadenza e il proprietario non
intende rinnovarlo. Oggi, Maria An-
tonietta, Cenza, Patrizia, Stefano,
Sergio, Silvana e Lorenzo cercano
disperatamente un nuovo tetto.
Il regista racconta la genesi di questo
film parlando di una telefonata ricevuta una sera del luglio 2009 da Gisella Trincas, presidente dell’associazione Asarp Casamatta e sorella
di una delle ospiti, che gli comunicava che la residenza doveva chiudere. Ad un amareggiato Enrico Pitzianti non sembrava giusto che
un’esperienza così importante morisse senza una testimonianza di ciò
che era stato fatto.
«Nella nostra società si tende a nascondere una certa condizione, soprattutto quando si tratta del disagio
mentale - afferma il regista - non era
semplice consentire a una persona di
entrare con la telecamera in una casa
per sofferenti psichici e farla vivere
con loro, per alcuni mesi, come io le
avevo chiesto». Ma così è stato. Pitzianti entra in punta di piedi a Casamatta e nasce Roba da matti. A Casamatta tutto è scandito dalle
necessità di chi ci vive. Qui l’esi-
stenza è basata sul senso di umanità
piuttosto che sulla psichiatria nuda e
cruda e sulla necessità di somministrare farmaci.
Roba da matti parla così profondamente al cuore da richiamarlo al
suo dovere più grande: amore incondizionato ed incondizionatamente diffuso.
Una casa “matta” soltanto nello
sguardo opaco dei “normali” e nelle
carte dei tribunali che ne stanno decretando l’uccisione con ostinazione
gelida e inumana.
30
Aprile 2012
Libri
Libero chi legge
INFOWEB
www.zai.net
Da leggere, da dimenticare,
da spizzicare
I consigli del libraio
Testimonianze. Tante storie per ricordare
Loretta Cavallaro, Mind, Roma
Memorie in bianco e nero
Lady Iron,
19 anni
«M
io nonno muore
ogni volta che un crimine resta impunito, ogni volta che un massacro di
innocenti viene rimosso, ogni volta
che un bambino viene mutilato da
una mina che non sia di matita, ogni
volta che il silenzio discende sulle
masse che non sanno. Mio nonno
muore ancora di più in questi tempi
di finta pace». Con queste parole
l’eclettico Simone Cristicchi presenta
il suo ultimo libro, Mio nonno è morto in guerra, che raccoglie tante storie di uomini e donne e i ricordi della
loro giovinezza, segnati dal secondo
conflitto mondiale.
Fotografie incisive, brevi ritratti che
con la forza del racconto emozionano
e commuovono, indignano e meravigliano. Perché, soprattutto se sei giovane, spesso «non sai nemmeno cosa
sia la Resistenza e cosa abbia significato per il nostro Paese. Oggi viviamo in un mondo che cerca sempre di
soffocare le voci, soprattutto degli
anziani». Il libro di Cristicchi racconta del reduce che non vuole farsi chiamare così perché “è una parola che
contiene “re” e “duce”, i due che hanno la responsabilità di tutto”; parla
dei soldati che hanno attraversato il gelo della Russia,
degli eroi che “non sono gli
uomini della trincea e basta,
ma anche chi ha trovato la
forza di farsi congelare i piedi pur di tornare a casa”.
Dai ritratti emerge dunque
anche la storia che non si
racconta o che passa sotto silenzio: e così fra una pagina
e l’altra troviamo tedeschi
“buoni”, o violenze di cui si
sono resi protagonisti alcuni
partigiani. «Un paio di anni
fa ho conosciuto Li romani
in Russia, (il testo di Elia
Marcelli che Simone sta portando in giro nei teatri italiani; sul suo blog trovate le date di aprile) e ho capito l’importanza di raccontare queste storie, per evitare che
le nuove generazioni non ne abbiano
più cognizione. E così durante la
tournée, di città in città, il pomeriggio
me ne andavo a intervistare persone
che avessero voglia di raccontare la
loro storia. Man mano abbiamo raccolto centinaia di interviste: il mio
scopo era creare un libro con tanti
punti di vista diversi sullo stesso periodo: sei, sette anni a cavallo della
seconda guerra mondiale. Volevo dare una visione completa, anche se un
libro è incompleto per definizione».
E così nel testo trovano spazio le donne: staffette, madri di famiglia re-
Il torto del soldato
In uscita l’ultimo libro
di Erri de Luca: una figlia che rinuncia alla
femminilità e un padre
nazista non pentito.
OSCURI SEGRETI
Hjorth & Rosenfeldt
Un omicidio che sembra seguire un macabro rituale. Una piccola, agguerrita squadra di investigatori a caccia dell’assassino.
Uno psicologo, specializzato in serial killer, che torna sui luoghi della sua infanzia e si rende ben presto conto che per scoprire il colpevole dovrà fare i conti con il suo passato. Scritto
a quattro mani, ti riconcilia con i gialli scandinavi che, a parte
i grandi autori, sono diventati un po’ tutti uguali. Originale e avvincente, con un linguaggio scorrevole che scandisce i pensieri.
L’IGUANA NON VUOLE
Giusi Marchetta
Emma, ventotto anni, ha lasciato Napoli per lavorare in una
classe a Torino. Non avrebbe voluto: le mancano la città e un
amore di nome Gianni. Anziché insegnare latino si trova a seguire il caso di Andrea, un ragazzo autistico che reagisce con
violenza alla cattiveria di alcuni professori. Con stupore si
renderà conto che è proprio il suo ragazzino pieno di problemi
a insegnarle che non bisogna più accettare i ricatti di questo
Paese. Una storia coinvolgente in un’Italia che non si arrende.
SE NON ORA, ADESSO
sponsabili, ragazze sottoposte a terribili sevizie; la guerra l’hanno fatta
anche loro. La fanno le masse, le persone comuni, ma si parla sempre dei
pochi noti: «Ai tempi del fascismo
c’era solo un organo di informazione.
Oggi l’orrore lo vediamo in faccia su
Youtube, ma non vorrei che poi ne diventassimo assuefatti: avere tante informazioni a disposizione è come
non averne nessuna».
Musica, libri, teatro: Simone è un artista a tutto tondo che si autodefinisce
«un ricercautore, pronto a mettermi
in discussione e a cambiare pelle.
Magari non riempirò mai uno stadio
ma sarò felice di aver fatto una vita
molto intensa».
Subito sul comodino
Avere diciotto anni nel ’44
Una storia d’amore e di libertà, quella del romanzo struggente Dove finisce Roma
di Paola Soriga nel quale la diciottenne Ida, staffetta partigiana nascosta dentro una
grotta umida ad attendere l’arrivo degli alleati, ricorda e racconta.
Che cosa si cela dietro la scelta di raccontare la storia di una ragazza di 18 anni
che partecipa alla Resistenza?
«Credo che sia un periodo importantissimo per la storia del nostro Paese, che ha
dato origine alla Repubblica e alla nostra bella Costituzione. Un periodo da ricordare e ricordare ancora. Le persone, davanti all’urgenza della guerra, della fine
della lunga e dolorosa dittatura fascista, si sono trovate a dover agire e scegliere
da che parte stare, uomini e donne, e questa è una cosa che tutti noi dovremmo
tener presente perché, anche se i tempi sono per fortuna cambiati e non sono altrettanto drammatici, la responsabilità di ognuno non deve venir meno», spiega la Soriga che, per scrivere il romanzo, si è documentata a lungo. «Ho letto libri, romanzi, memorie, interviste; ho visto film e ascoltato
le persone raccontare. Questa è stata la base, il resto è arrivato grazie all’immaginazione, all’idea che avere sedici o diciassette anni oggi non sia tanto diverso da averli avuti allora».
L’antifascismo è stato un grande momento di presa di coscienza da parte delle donne. Il sentimento della
Resistenza può essere un punto da cui ripartire anche per noi ragazze di oggi?
«Ne sono convinta. La Resistenza è stato un momento in cui le donne hanno dovuto prendere delle decisioni,
agire, muoversi, come forse non avevano mai fatto. I valori in cui quelle donne hanno creduto sono per noi, per
la nostra vita, ci hanno insegnato che la libertà è faticosa e va guadagnata, che libertà non vuol dire semplicemente fare quello che si vuole».
Virginia Lupi, 17 anni
Don Andrea Gallo
I giovani non hanno bisogno di maestri ma di testimoni, nessuna predica, solo esempi. Don Gallo racconta episodi di vita
vissuta e si appella alla voglia di reagire dei giovani e delle
donne. Prima viene l’etica, poi la fede: anche in famiglia, nella
strada, sul lavoro. Ogni giorno la forza “eversiva” del Vangelo
è in un’idea di cittadinanza ricostruita a partire dall’incontro con
gli altri, in pace, per un cammino veramente liberatorio a
fianco dei più oppressi. Battagliero, coinvolgente.
Ragazzi speciali
IL SENTIERO
DEI NIDI DI RAGNO
da riscoprire
per la Liberazione
Italo Calvino
Il romanzo è ambientato durante la seconda guerra mondiale e
narra le vicende di Pin, un bambino sbandato, passato, come per
caso, dai giochi violenti dell’infanzia alla lotta partigiana. È un
libro emozionante che si legge tutto d’un fiato. Lo sguardo sulla lotta partigiana attraverso gli occhi di un bambino costretto
a crescere troppo in fretta, narrato senza retorica. Un capolavoro
di leggerezza e intelligenza con un bellissimo finale.
IL RAGAZZO CHE
commovente
AMAVA SHAKESPEARE
Bob Smith
Stratford è un paese degli Stati Uniti dove vive un bambino di
nome Bob Smith. La sua famiglia deve affrontare la tragedia di
una figlia con un grave handicap. Finché un giorno Bob entra
nella biblioteca locale, scopre le opere di Shakespeare e i versi
del poeta lo aiutano ad estraniarsi dalla sua dura realtà.“In verità non so perché sono così triste”: l’incipit de Il mercante di
Venezia avvia Bob alla lettura dei testi dell’autore inglese. La
cultura e il teatro come sollievo alla vecchiaia, alla malattia: di
questo ci parla l’autore in un romanzo commovente, ma mai patetico.
L'ULTIMA CANZONE
piacevole
Nicholas Sparks
La protagonista della storia è Ronnie, una diciassettenne in crisi per il divorzio dei genitori e la separazione dal padre, che da
New York si è trasferito in North Carolina. Dopo tre anni di lontananza, sua madre decide di mandarla a trascorrere l’estate con
suo fratello nella cittadina dove il padre, ex pianista e insegnante
di musica, vive un’esistenza in sintonia con la natura.
31
Aprile 2012
Giochi
Tempo Libero
Test
INFOWEB
www.zai.net
A cura di Manu C.
21/3 - 20/4
Ariete
Questo mese, nonostante sia il
“vostro” mese vi sentirete particolarmente irascibili, un po’ alla Don’t stand
so close to me dei Police... o no?
Feeling con: Leone e Bilancia
Stai lontano da: Gemelli e Capricorno
Giorno fortunato: il 16 aprile
Sono un italiano… un italiano vero?
L’Anniversario della liberazione d’Italia – anche chiamato Festa della Liberazione – viene festeggiato il 25 aprile di ogni anno e rappresenta un giorno fondamentale per la storia della nostra Repubblica: la fine dell’occupazione nazifascista, avvenuta il 25 aprile 1945, al termine della seconda guerra mondiale. Ma in quest’epoca d’insidiosa quanto massiccia globalizzazione, qualcuno
di voi ancora se lo ricorda cosa vuol dire essere Italiano o vi percepite al più come stranieri in patria? Zai.net, come ogni mese,
dimostra di tenere moltissimo ai suoi lettori, che ancora una volta aiuterà, grazie al suo pregiatissimo test, a fare chiarezza nella propria testolina, rivelando loro quello che sono davvero!
Il tuo piatto preferito?
a Mc Donald’s e altre schifezze del
genere: sì, mi faccio schifo da
solo mentre lo dico ma è così...
b Spaghetti, il panino dallo zozzone con salsiccia/crauti/melanzane/olive/peperoni/rucola. Poi
pizza dall’egiziano e cornetti dal
pakistano.
c La mitica pasta con le sarde come
la faceva zia Caterina, col finocchietto fresco!
Lady Gaga o Toto Cutugno?
a Ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma mai
poker feis! Che poi, chi cavolo è
‘sto Toto Cutugno?
b Toto Cutugno? Ma quanti anni
c’ha l’autore dei test? Ottantaquattro?
Toto è un simpatico scugnizzo,
c
ma io rimango fedele al buon
vecchio Claudio Villa... ho pure
messo Granada come suoneria
del cellulare!
La Mamma!
Ah, di mamma ce n’è una sola...
a
e per fortuna! Se conosceste la
mia – tutta presa dal lavoro, dallo
Yoga, dal Reiki, dal Feng-Shui...
comincereste a pensare, proprio
come me!
b Da buon italiano maschio, mando
lei a comprare calzini e mutande
per me, e ad ogni pasto la ringra-
c
a
b
c
a
zio facendola sgobbare ai fornelli
per me e papà!
“Mamma! Solo per te la mia canzone vola... mamma! Sarai con
me tu non sarai più sola! Quanto
ti voglio bene”(Che angoscia!
nda)
Alcune delle mie abitudini...
Passare almeno dodici ore al
giorno su Facebook, mangiare ai
fast-food, ascoltare l’iPod...
Bah, a parte che al fast-food preferisco la pizza, più o meno le
stesse della risposta precedente...
ma che volete? I ragazzi italiani
del 2012 non sono mica soltanto
pizza e mandolino!
Mi piace fare le sceneggiate napoletane, vestirmi da pulcinella,
mangiare spaghetti, fare la pizza,
incavolarmi quando la mia squadra di calcio perde... e poi passare
dodici ore al giorno su Facebook!
Il vero significato
del tricolore italiano:
“Dopo la Restaurazione, il bianco
e il rosso divennero i simboli della
rivoluzione intesa come sovranità
per il popolo e libertà per la nazione, mentre il verde era il colore
della speranza, della fiducia in
un’Italia migliore.” Pari-pari da
Wikipedia, ho appena controllato
col mio iPhone!
Musicoroscopo
Toro
b Forse è così perché il blu l’avevano già preso i francesi? Sono un
italiano medio: penso che questo
paese sia il mondo intero ma a
malapena so qualcosa del posto
dove vivo!
Beh, se non ricordo male... il
c
bianco è la mozzarella, il rosso la
passata di pomodoro e il verde il
basilico, no? Se non sbaglio
hanno preso ispirazione dalla
pizza margherita...
Quindi la Festa della Liberazione
sarebbe...?
a “L’Anniversario della liberazione
d’Italia – anche chiamato Festa
della Liberazione – viene festeggiato il 25 aprile di ogni anno e
rappresenta un giorno fondamentale per la storia della Repubblica
Italiana” A parte che c’era scritto
sotto il titolo del test, ma pure
questo è un bel copia/incolla da
Wikipedia o no?
b È tipo la Festa della Repubblica o
il Natale: l’importante è che non
si vada a scuola e si dorma fino a
tardi, yuhuuuuuuuuuuu!
c Da vero italiano non ne avevo assolutamente idea prima di leggere
questo test e la pensavo più o
meno come i tipi della risposta
precedente, ma grazie a Zai.net
ora ne so di più!
21/4 - 21/5
Si avvicina il vostro periodo fortunato e pieno di energie, ma anche questo aprile vi vedrà protagonisti: sarete un
Firework alla Katy Perry!
Feeling con: Leone e Capricorno
Stai lontano da: Toro e Ariete
Giorno fortunato: il 9 aprile
A cura di Cassandra
Bilancia
23/9 - 22/10
Il vostro umore in questo periodo
è alla Talking to the moon di Bruno
Mars: nessuno vi capisce, volete star da
soli... non esagerate, però!
Feeling con: Leone e Capricorno
Stai lontano da: Toro e Acquario
Giorno fortunato: il 17 aprile
Scorpione 23/10 - 22/11
Siete in un mood fantastico:
Chiedimi di Jacopo Ratini vi si cuce addosso perfettamente e la voglia di cantare
a squarciagola è proprio quella... Enjoy!
Feeling con: Bilancia e Vergine
Stai lontano da: Leone e Gemelli
Giorno fortunato: il 30 aprile
Gemelli
23/11 - 21/12
Parole d’ordine? Taking Chances,
alla Celine Dion: non perdete neppure
un’occasione per assaporare questo aprile fino in fondo!
Feeling con: Cancro e Vergine
Stai lontano da: Gemelli e Acquario
Giorno fortunato: il 23 aprile
Cancro
22/6 - 22/7
Vorreste trovare qualcuno con cui
cantare Lucky di Jason Mraz, ma ancora non siete sicuri di aver incontrato la
persona giusta: non demordete!
Feeling con: Toro e Gemelli
Stai lontano da: Cancro e Vergine
Giorno fortunato: il 12 aprile
Capricorno 22/12 - 20/1
Il mondo fa la guerra, noi tutti giù
per terra! Questo aprile è un ritorno alle
origini, proprio come in Su questa panchina
di Ratini... divertitevi, ne avete bisogno!
Feeling con: Cancro e Toro
Stai lontano da: Leone e Ariete
Giorno fortunato: il 21 aprile
Leone
23/7 - 22/8
Hello, I love you sono le uniche
parole che vi vengono in mente pensando a una determinata persona? Ahiahiahi... chi è che aveva chiuso con l’amore?
Feeling con: Pesci e Cancro
Stai lontano da: Toro e Acquario
Giorno fortunato: il 24 aprile
Acquario 21/1 - 18/2
Una canzone importante descrive il vostro stato d’animo di questo mese:
You raise me up di Josh Groban: vi sentirete davvero “innalzati”!
Feeling con: Bilancia e Scorpione
Stai lontano da: Sagittario e Pesci
Giorno fortunato: il 13 aprile
22/5 - 21/6
Qualcuno vi sta dedicando in
cuor suo Don’t go breaking my heart, ma
voi continuate a non voler vedere, presi da tutt’altro... si prevedono difficoltà!
Feeling con: Pesci e Ariete
Stai lontano da: Leone e Vergine
Gorno fortunato: il 28 aprile
Vergine
23/8 - 22/9
Hello di Lionel Richie è la colonna sonora dei vostri sogni negli ultimi giorni e vedrete che arriverà il momento giusto per dire quel “ciao”!
Feeling con: Scorpione e Cancro
Stai lontano da: Pesci e Gemelli
Giorno fortunato: il 25 aprile
Sagittario
Pesci
19/2 - 20/3
E da qui di Nek è la colonna sonora di questo mese che vi vede protagonisti in modo originale e tutto nuovo. A
quando “quell’attimo prima di un bacio”?
Feeling con: Leone e Acquario
Stai lontano da: Sagittario e Cancro
Giorno fortunato: il 18 aprile
Scopri il tuo profilo
La foto del mese
Da 7 a 12 punti
Italiano medio: “L’italiano medio non segue ideologie, mode
o tormentoni specifichi, ma si lascia trascinare da ciò che capita. Inoltre,
contrariamente all’omologato, non lo fa per emulazione, ma proprio perché gli viene naturale. Ciò dà origine a una grande varietà comportamentale, ma si possono riscontrare alcune attività costanti: parlare
esclusivamente di calcio, donne e automobili, entrare in competizione con
il vicino di casa per le cose più insignificanti, andare in vacanza rigorosamente ad agosto”. Stavolta è Nonciclopedia che parla... vi riconoscete?
Da 1 a 6 punti
Tu vuo’ fa’ l’americano: “Ma si’ nato in Italy! Siente a
mme, non ce sta’ niente a ffa” e infatti non facciamo niente, sarebbe tempo!
Certo, nella nostra società cosmopolita e multiculturale, mantenere – o
meglio: non dimenticare – il proprio retaggio nazionale è sempre più difficile, ma… Davvero preferite rimpinzarvi di tutte quelle porcherie dalla
dubbia provenienza che vendono nei fast-food?
Punteggio
per ogni risposta A: 1 punto
per ogni risposta B: 2 punti
per ogni risposta C: 3 punti
Foto di Jessica Spada
Da 13 a 18 punti
Spaghetti & mandolino: Voi estimatori di pizza e virtuosi del mandolino, siete così attenti ed informati a riguardo della “Italianità” che mi vien da pensare che voi siate nati in Romania, in Cina o
in Pakistan, poiché difficilmente uno studente nostrano ne sa quanto voi!
O forse siete dei fortunati che vivono tra le campagne del nostro Bel Paese
dove ancora si macellano maiali per la gioia di tutti e la vendemmia è
sempre una festa.
Uno scorcio di Venezia
Zai.net in pillole
Il fascino
pericoloso degli
estremismi
Crisi, disoccupazione, povertà: la condizione economica
italiana non è delle migliori e in
questo clima di incertezza e
fragilità hanno campo libero i
movimenti politici più estremi,
che troppo spesso usano la violenza come modalità preferita
di espressione, minando gli
equilibri sociali.
(Alle pagg. 4, 5 e 6)
BE
YOURSELF
AND
Memorie
in bianco e nero
Quest’anno abbiamo deciso di festeggiare il 25 aprile in
maniera speciale: i ragazzi
abruzzesi hanno chiesto ai loro
nonni di raccontare la loro vita
durante la guerra; a Siena,
Tommaso e Samuele hanno intervistato due partigiani che
hanno combattuto per un’Italia libera; infine, il libro di Cristicchi con le testimonianze di
ex soldati, donne, partigiani.
Per non dimenticare.
(Alle pagg. 10, 11 e 30)
La verità, vi
prego, sulla Diaz
Genova 2001, una delle pagine più controverse della recente storia d’Italia, diventa
film. Diaz. Don’t clean up this
blood è il titolo dell’ultima pellicola del regista Daniele Vicari,
che racconta le violenze subite
da 96 ragazzi in quei drammatici giorni alla scuola “Diaz” e
alla caserma di Bolzaneto.
(A pag. 28)
I grattacieli
di Nairobi
Se pensate all’Africa come
il continente dei villaggi con le
capanne di paglia, non avete
mai visitato Nairobi. La capitale del Kenya è un incredibile
esperimento sociale e antropologico, dove convivono artigiani ai bordi delle strade, operai cinesi e ricchi commercianti
indiani, diplomatici, soldati.
(A pag. 8)
RossoNoemi
A colloquio con la cantante
romana che con la sua energia
ha conquistato tutti. Da X-Factor a Sanremo, Noemi si è dimostrata una grande interprete
e un’originale cantautrice. La
nuova promessa della musica
italiana ci svela le sue nuove
consapevolezze.
(A pag. 24)
Bello e
impossibile
Si veste bene e piace alle
donne: non è un attore di Hollywood ma il giovane rapper
Emis Killa, che ha grinta da
vendere. Con il suo ultimo album Erba Cattiva, Emis vuole
trasmettere qualcosa di immortale: naturalmente, controcorrente.
(A pag. 25)
LookSmart