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leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 2 I edizione: ottobre 2012 © 2009 Calmann-Lévy © 2012 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati Titolo originale: Robe de marié Traduzione dal francese di Giacomo Cuva ISBN 978-88-6411-548-1 www.fazieditore.it labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 3 Pierre Lemaitre L’abito da sposo traduzione di Giacomo Cuva labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 5 A Pascaline, ovviamente, senza di lei nulla di tutto ciò… labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 7 SOPHIE labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 9 Seduta a terra, spalle al muro, gambe distese, ansimante. Léo le sta addosso, immobile, con la testa poggiata sulle sue cosce. Con una mano gli accarezza i capelli, con l’altra tenta di asciugarsi gli occhi, ma i suoi gesti sono disordinati. Piange. A volte i suoi singhiozzi diventano urla, inizia a gridare, le sale dal ventre. La sua testa dondola da una parte all’altra. Talvolta la sua pena è così intensa che sbatte la nuca contro la parete. Il dolore le dà un po’ di conforto, ma presto in lei tutto crolla di nuovo. Léo è molto giudizioso, non si muove. Abbassa gli occhi verso di lui, lo guarda, gli stringe la testa contro il grembo e piange. Nessuno può immaginare quanto sia infelice. 9 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 11 1 Quella mattina, come molte altre, si è svegliata in lacrime, con un groppo in gola, anche se non ha un motivo particolare per preoccuparsi. Nella sua vita le lacrime non hanno nulla di eccezionale: piange tutte le notti, da quando è pazza. Al mattino, se non sentisse le guance inondate, potrebbe persino pensare che le sue notti siano placide e il suo sonno profondo. Al risveglio, il viso bagnato di lacrime e la gola stretta sono delle semplici informazioni. Da quando? Dall’incidente di Vincent? Dalla sua morte? Dalla prima morte, molto tempo addietro? Si è sollevata su un gomito. Si asciuga le lacrime con il lenzuolo mentre cerca tastoni le sigarette e, visto che non le trova, realizza all’improvviso dov’è. Tutto le torna alla mente, quello che è successo il giorno prima, la serata… Si ricorda che deve andare via subito, lasciare quella casa. Alzarsi e andare via, ma resta lì, inchiodata al letto, incapace del minimo gesto. Esausta. Quando riesce a buttarsi giù dal letto e ad arrivare nel salone, la signora Gervais è seduta sul divano, tranquillamente china sulla tastiera del computer. 11 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 12 «Tutto bene? Riposata?». «Tutto bene. Riposata». «Ha una brutta cera». «La mattina, è sempre così». La signora Gervais salva il suo file e chiude il portatile con un colpo secco. «Léo dorme ancora», le dice mentre si dirige verso l’attaccapanni con passo deciso. «Non mi sono voluta affacciare, temevo di svegliarlo. Visto che oggi non c’è scuola è meglio che dorma, così la lascia un po’ tranquilla…». Niente scuola oggi. Sophie se lo ricorda vagamente. Per via di una riunione degli insegnanti. In piedi vicino alla porta, la signora Gervais ha già infilato il cappotto. «Devo proprio andare…». Sente che non avrà il coraggio di annunciarle la sua decisione. E comunque, a parte il coraggio, non ne avrà il tempo. La signora Gervais si è già chiusa la porta alle spalle. Stasera… Sophie sente il rumore dei suoi passi per le scale. Christine Gervais non prende mai l’ascensore. È calato il silenzio. Per la prima volta da quando lavora qui, si accende una sigaretta nel bel mezzo del salone. Inizia a camminare lentamente. Sembra la sopravvissuta a una catastrofe, tutto ciò che vede le pare senza senso. Bisogna andare via. Ora che è da sola sente di avere meno fretta, in piedi e con una sigaretta fra le dita. Ma sa che a causa di Léo deve prepararsi ad andare via. Arriva in cucina e mette il bollitore sul fuoco, giusto il tempo di riprendersi. 12 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 13 Léo. Sei anni. La prima volta che lo ha visto, lo ha subito trovato bello. È stato quattro mesi prima, in questo stesso salone di rue Molière. È entrato correndo, si è bloccato di colpo davanti a lei e l’ha fissata chinando un po’ il capo, segno in lui di una intensa riflessione. Sua madre ha detto semplicemente: «Léo, ecco Sophie, te ne avevo parlato». L’ha osservata per qualche istante. Dopodiché ha detto semplicemente: «Va bene», e si è avvicinato per darle un bacio. Léo è un bravo bambino, un po’ capriccioso, intelligente e tremendamente vivace. Sophie deve accompagnarlo a scuola la mattina, riprenderlo a mezzogiorno e poi la sera e restare con lui fino all’ora imprevedibile in cui la signora Gervais o suo marito riescono a tornare a casa. Quindi stacca fra le cinque del pomeriggio e le due di notte. La disponibilità di Sophie ha rappresentato un fattore decisivo per ottenere questo lavoro: non ha una vita privata, si è capito fin dal primo colloquio. La signora Gervais ha cercato di approfittare con moderazione di questa disponibilità, ma il quotidiano prevale sempre sui principi e sono bastati due mesi perché Sophie diventasse un ingranaggio indispensabile nella vita della famiglia. Perché lei è sempre lì, sempre pronta, sempre libera. Il padre di Léo, un quarantenne alto, asciutto e col volto solcato da rughe, è un dirigente al Ministero degli Esteri. Sua moglie, gran donna elegante dal sorriso incredibilmente seducente, tenta di conciliare le esigenze del suo lavoro di statistica in una società di revisione dei conti con quelle di madre di Léo e di moglie di un futuro sottosegretario. Hanno entrambi un otti- 13 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 14 mo stipendio. Sophie ha avuto l’accortezza di non approfittarne al momento di negoziare la sua paga. In realtà non ci ha nemmeno pensato, perché la cifra che le hanno proposto era adeguata alle sue necessità. La signora Gervais le ha aumentato il salario dalla fine del secondo mese. Léo, poi, non ha occhi che per lei. Sembra la sola a ottenere senza sforzo cose che alla madre richiederebbero delle ore. Non è, come poteva temere, un marmocchio viziato con esigenze tiranniche, ma un bambino tranquillo e capace di ascoltare. Ovviamente ha le sue preferenze, ma Sophie ha un posto di riguardo nella sua gerarchia. Il primo. Ogni sera, verso le sei, Christine Gervais chiama per avere notizie e annuncia il suo orario di rientro con un tono imbarazzato. Al telefono, si trattiene sempre per qualche minuto con suo figlio e poi con Sophie, con la quale si sforza di trovare delle parole che mostrino un qualche interessamento per lei. Questi tentativi hanno poco successo: Sophie resta sul vago, senza dire nulla di particolare, e così il resoconto della giornata occupa la maggior parte della conversazione. Léo va a letto ogni sera alle otto in punto. È importante. Sophie non ha figli, ma ha dei principi. Dopo avergli letto una storia, si piazza per il resto della serata davanti all’immenso schermo ultrapiatto, che riceve quasi tutti i canali satellitari del mondo, regalo mascherato che la signora Gervais le ha fatto al secondo mese di lavoro, poiché ha notato che la trovava davanti alla TV a qualsiasi ora rientrasse. Più di una volta, la signora Gervais si è stupita che una donna di trent’anni, visibilmente colta, si accontentasse di un lavoro così modesto e passasse tutte le sue serate davanti al pic- 14 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 15 colo schermo, per quanto grande fosse ormai divenuto. Quando si sono viste per la prima volta, Sophie le ha detto che aveva studiato comunicazione. Siccome la signora Gervais voleva saperne di più, ha parlato del suo diploma universitario, le ha spiegato che aveva lavorato per un’azienda inglese ma senza specificare con quale incarico, che era stata sposata ma che non lo era più. Christine Gervais si è accontentata di queste informazioni. Sophie le era stata raccomandata da una delle sue amiche d’infanzia, direttrice di un’agenzia di lavoro interinale che, per una ragione che resta misteriosa, ha trovato Sophie simpatica in occasione del loro unico colloquio. E poi c’era un’urgenza: la precedente babysitter di Léo si era appena licenziata senza dire una parola e senza preavviso. Il volto calmo e grave di Sophie ha ispirato fiducia. Durante le prime settimane, la signora Gervais ha sondato un po’ il terreno per sapere qualcosa di più sulla sua vita, ma ha rinunciato con delicatezza, intuendo dalle sue risposte che un “dramma terribile ma segreto” aveva forse sconvolto la sua vita, piccolo avanzo di romanticismo che si può trovare dappertutto, anche nell’alta borghesia. Come spesso accade, quando il bollitore si ferma Sophie è persa nei suoi pensieri. È uno stato che in lei può durare a lungo. Sono come delle assenze. Il suo cervello sembra fissarsi su un’idea, su un’immagine, il pensiero vi si avvolge attorno, molto lentamente, come un insetto, e lei perde la cognizione del tempo. Poi, per una sorta di effetto di gravità, ricade nel presente. E allora riprende la sua vita normale lì dove si era interrotta. È sempre così. 15 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 16 Questa volta, curiosamente, è il volto del dottor Brevet che le appare. Era molto tempo che non ci pensava più. Non è come se lo immaginava. Al telefono, aveva pensato a un uomo alto, autoritario, e invece era piccolino, sembrava l’aiutante di un notaio emozionato perché autorizzato a ricevere dei clienti di poco conto. Da un lato, una libreria con dei ninnoli. Sophie voleva rimanere seduta. Lo aveva detto entrando, non mi voglio stendere. Il dottor Brevet aveva fatto un cenno con le mani, un modo per dire che non c’era problema. «Qui non ci si stende», aveva aggiunto. Sophie aveva spiegato, come poteva. «Un quaderno», aveva decretato il dottore alla fine. Sophie doveva annotare tutto quello che faceva. Forse le sue dimenticanze «le prendeva troppo sul serio». Bisognava sforzarsi di vedere le cose obiettivamente, aveva detto il dottor Brevet. Così «potrà misurare con esattezza quello che dimentica, quello che smarrisce». Allora Sophie aveva cominciato ad annotare tutto. Lo aveva fatto per quanto?, tre settimane… fino alla seduta successiva. E durante questo periodo ne aveva smarrite di cose! Ne aveva dimenticati di appuntamenti, e due ore prima di tornare dal dottor Brevet si era anche resa conto di aver perso il suo quaderno. Impossibile ritrovarlo. Aveva rivoltato tutto. Era stato quel giorno che si era imbattuta nel regalo di compleanno di Vincent? Quello che non era riuscita a trovare al momento di fargli la sorpresa. È tutto un guazzabuglio, la sua vita è un tale guazzabuglio… Versa l’acqua nella tazza e finisce la sua sigaretta. Venerdì. Niente scuola. Di solito si occupa di Léo per 16 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 17 tutta la giornata soltanto il mercoledì, e qualche volta nel fine settimana. Lo porta qua e là, a seconda dei loro desideri e delle occasioni. Fino a oggi, si sono parecchio divertiti insieme, e spesso hanno litigato. Quando escono, va tutto bene. Almeno finché lei non comincia a sentire qualcosa di oscuro e poi fastidioso. Non ha voluto dargli importanza, ha provato a scacciarlo come si fa con un insetto molesto, ma è tornato con insistenza. Il suo atteggiamento nei confronti del bambino ne ha risentito. Niente di preoccupante, all’inizio. Solo qualcosa di sotterraneo, di silenzioso. Qualcosa di segreto che riguardava entrambi. Fino a che la verità non le è apparsa all’improvviso, il giorno prima, ai giardinetti Dantremont. Questi ultimi giorni di maggio a Parigi sono stati molto belli. Léo ha voluto un gelato. Sophie si è seduta su una panchina, non si sentiva bene. Dapprima ha attribuito questo malessere al fatto che erano ai giardinetti, luogo che detesta più di ogni altro perché passa il suo tempo a evitare le conversazioni delle madri di famiglia. È riuscita a scoraggiare gli incessanti tentativi delle frequentatrici abituali, che ora si guardano bene dall’abbordarla, ma ha ancora il suo bel da fare con quelle occasionali, le nuove venute, quelle di passaggio, senza contare le pensionate. I giardinetti proprio non le piacciono. Sfoglia distrattamente una rivista quando il bambino si piazza davanti a lei. La guarda senza un particolare motivo, mangiando il suo gelato. Lei ricambia lo sguardo. E capisce, in quell’esatto momento, che non potrà più nascondere a se stessa quella che è ormai 17 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 18 un’evidenza: ha inspiegabilmente iniziato a detestarlo. Continua a fissarla, e lei è sconvolta di vedere quanto ogni cosa di lui le risulti insopportabile, il suo viso da cherubino, le sue labbra ingorde, il suo sorriso imbecille, i suoi ridicoli vestiti. Ha detto: «Andiamo», come se dicesse: «Me ne vado». Nella sua testa la macchina si è rimessa in moto. Con i suoi buchi, le sue mancanze, i suoi vuoti, le sue sciocchezze… Mentre si dirige con passo affrettato verso casa (Léo si lamenta che cammina troppo veloce), delle immagini la assalgono in disordine: l’auto di Vincent schiantata contro un albero e le sirene che lampeggiano nel buio, il suo orologio in un portagioie, il corpo della signora Duguet che precipita per le scale, l’allarme della casa che ruggisce a notte fonda… Le immagini cominciano a sfilare in un senso e poi nell’altro, immagini nuove, vecchie. La macchina delle vertigini ha ripreso il suo moto perpetuo. Sophie non tiene il conto dei suoi anni di follia. Risale a così tanto tempo fa… Probabilmente a causa della sofferenza, ha l’impressione che il tempo abbia contato doppio. All’inizio una dolce pendenza, e con lo scorrere dei mesi l’impressione di essere su uno scivolo e di precipitare a tutta velocità. A quel tempo Sophie era sposata. Era prima… di tutto questo. Vincent era un uomo molto paziente. Ogni volta che Sophie ripensa a Vincent, le appare in una sorta di dissolvenza incrociata: il Vincent giovane, sorridente, eternamente calmo si confonde con quello degli ultimi mesi, dal volto esausto, dal colorito giallastro, dagli occhi vitrei. All’inizio del loro matrimonio (Sophie rivede perfettamente il loro appartamento; c’è da chiedersi come, in una stessa testa, possano convivere tan- 18 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 19 te risorse e tante mancanze), si trattava soltanto di distrazione. Il ritornello era: «Sophie è distratta», ma lei si consolava perché lo era sempre stata. Poi la distrazione era diventata stramberia. E in pochi mesi tutto era brutalmente andato in pezzi. Dimenticava appuntamenti, cose, persone, aveva cominciato a perdere oggetti, chiavi, documenti, a ritrovarli, settimane dopo, nei luoghi più improbabili. Nonostante la sua calma, Vincent a poco a poco si era innervosito. Era comprensibile. A forza di… dimenticare la pillola, perdere i regali di compleanno, le decorazioni natalizie… anche gli spiriti più temprati andrebbero su tutte le furie. Sophie allora iniziò ad appuntare tutto, con la scrupolosa attenzione di una drogata in astinenza. Perse i quaderni. Perse la sua auto, degli amici, fu arrestata per furto, i suoi disturbi intaccarono un po’ alla volta tutte le sfere della sua vita e cominciò, come un’alcolizzata, a dissimulare le sue mancanze, a imbrogliare, a fingere per fare in modo che né Vincent né qualcun altro si accorgesse di nulla. Un medico le propose di ricoverarsi. Rifiutò, finché la morte entrò nella sua follia. Mentre continua a camminare, Sophie apre la borsa, ci infila la mano, accende una sigaretta tremando, aspira profondamente. Chiude gli occhi. Nonostante il brusio che le riempie la testa e il malessere che la devasta, si accorge che Léo non le sta più accanto. Si volta e lo vede lontano, impettito in mezzo al marciapiede, a braccia conserte, con un’espressione impenetrabile, che si rifiuta ostinatamente di camminare. La vista di quel bambino imbronciato, piantato in mezzo al marciapiede, la riempie all’improvviso di una rabbia 19 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 20 spaventosa. Torna indietro, si ferma proprio davanti a lui e gli rifila un sonoro ceffone. È il suono di quello schiaffo a risvegliarla. Si vergogna, si volta per controllare se qualcuno l’ha vista. Non c’è nessuno, la strada è deserta, solo una moto passa lentamente alla loro altezza. Guarda il bambino che si stropiccia la guancia. Lui le restituisce lo sguardo, senza piangere, come se percepisse che tutto ciò non lo riguarda veramente. Lei dice: «Andiamo a casa», in tono definitivo. Tutto qui. Non si sono più parlati per tutta la sera. Entrambi avevano le loro ragioni. Si è confusamente chiesta se quello schiaffo non le avrebbe creato dei problemi con la signora Gervais, pur sapendo che per lei non faceva nessuna differenza. Adesso doveva andare via, tutto accadeva come se fosse già andata via. Quasi a farlo apposta, quella sera Christine Gervais è tornata a casa tardi. Sophie dormiva sul divano mentre sullo schermo una partita di basket andava avanti in un diluvio di urla e applausi. Il silenzio l’ha svegliata quando la signora Gervais ha spento il televisore. «È tardi…», si è scusata. Lei ha guardato il profilo con il cappotto che le si stagliava davanti. Ha farfugliato un fiacco «no». «Vuole dormire qui?». Quando torna tardi, la signora Gervais le propone sempre di restare, lei rifiuta e la signora Gervais le paga il taxi. In un attimo, Sophie ha rivisto il film di quel finale di giornata, la serata silenziosa, gli sguardi sfuggenti, Léo, serio, che ha ascoltato con pazienza la favola della buonanotte pensando visibilmente ad altro. E che ha 20 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 21 ricevuto l’ultimo bacio con una sofferenza così evidente che si è sorpresa a dire: «Non è niente, pulcino, non è niente. Scusami…». Léo ha annuito. In quel momento sembrava che la vita adulta avesse fatto improvvisamente irruzione nel suo universo e che anche lui ne fosse spossato. Si è addormentato subito. Questa volta, Sophie ha accettato di rimanere a dormire, talmente era abbattuta. Stringe fra le mani la tazza di tè ormai fredda, senza fare caso alle lacrime che cadono pesanti sul parquet. Per un attimo compare un’immagine, il corpo di un gatto inchiodato su una porta in legno. Un gatto nero e bianco. E ancora altre immagini. Solo di morti. Ci sono tanti morti nella storia di Sophie. È il momento. Uno sguardo al pendolo sulla parete della cucina: le nove e venti. Senza rendersene conto, ha acceso un’altra sigaretta. La spegne nervosamente. «Léo!». La sua voce la fa sussultare. Vi percepisce dell’angoscia, senza sapere da dove venga. «Léo?». Si precipita nella stanza del bambino. Sul letto le coperte sono rigonfie, disegnano una sorta di montagne russe. Respira, sollevata, e le spunta persino un vago sorriso. La scomparsa della paura la trascina, suo malgrado, verso una specie di tenerezza riconoscente. Si avvicina al letto dicendo: «Allora, dov’è questo bambino?». Si volta. «Forse qui…». Fa sbattere piano l’anta dell’armadio in pino conti- 21 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 22 nuando a sorvegliare il letto con la coda dell’occhio. «No, non è nell’armadio. Forse è nei cassetti…». Apre un cassetto, una volta, due volte, tre volte dicendo: «Non è in questo… Nemmeno in quest’altro… Eh no… Dove sarà mai?». Si avvicina alla porta e, a voce più alta: «Be’, allora, visto che non c’è, me ne vado…». Chiude rumorosamente la porta ma resta nella stanza, fissando il letto e la forma delle lenzuola. Aspetta un movimento. Ed è presa dall’inquietudine, da un vuoto allo stomaco. Quella forma è impossibile. Resta lì immobile, le lacrime salgono di nuovo ma non sono più le stesse, sono quelle di altri tempi, quelle che bagnano il corpo di un uomo insanguinato accasciato sul volante, quelle che accompagnano le sue mani sulla schiena dell’anziana donna mentre viene scaraventata per le scale. Si avvicina al letto con un’andatura meccanica e tira via le lenzuola di scatto. Léo c’è, ma non dorme. È nudo, raggomitolato, i polsi legati alle caviglie, la testa piegata fra le ginocchia. Di profilo, il suo viso è di un colore spaventoso. Il suo pigiama è servito a legarlo solidamente. Al collo, un laccio tanto stretto che ha tracciato un solco profondo nella carne. Si morde la mano, ma non riesce a trattenere il vomito. Si sporge in avanti, evita all’ultimo momento di aggrapparsi al corpo del bambino, ma non può fare a meno di appoggiarsi al letto. Il piccolo corpo cade subito su di lei, la testa di Léo va a sbattere contro le sue ginocchia. Lei la stringe così forte a sé che niente può impedire loro di cadere l’uno sull’altra. 22 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 23 Ed eccola lì, ora, seduta a terra, con la schiena al muro e, addosso a lei, il corpo di Léo, inerte, gelato… Le sue urla la sconvolgono come se provenissero da qualcun altro. Volge lo sguardo al bambino. Nonostante il velo di lacrime che le offusca la vista, intuisce la portata del disastro. Accarezza i suoi capelli con gesti automatici. Il suo viso, terreo e chiazzato, è girato verso di lei, ma i suoi occhi fissi sono aperti sul vuoto. 23 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 24 2 Quanto tempo? Non lo sa. Riapre gli occhi. La prima cosa che sente è l’odore della sua maglietta piena di vomito. È sempre seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete della stanza, guarda a terra, ostinatamente, e vorrebbe che nulla si muovesse, non la sua testa, né le sue mani, né i suoi pensieri. Restare lì, immobile, fondersi nel muro. Quando ci si ferma, tutto si deve fermare, no? Ma quell’odore le rivolta lo stomaco. Scuote la testa. Movimento minimo verso destra, dal lato della porta. Che ore sono? Movimento opposto, minimo, verso sinistra. Nel suo campo visivo, i piedi del letto. È come un puzzle: basta un solo pezzo per ricostruire mentalmente l’insieme. Senza muovere il capo, agita appena le dita, si annusa i capelli, risale come una nuotatrice verso la superficie, dove c’è l’orrore ad attenderla, ma si ferma subito, trafitta da una scarica elettrica: il telefono ha iniziato a gridare. Stavolta la sua testa non ha esitato, si è girata immediatamente verso la porta. È da lì che proviene lo squillo, dal telefono più vicino, quello del corridoio, sul tavolo di ciliegio. Abbassa gli occhi per un attimo e 24 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 25 l’immagine del corpo del bambino la colpisce: adagiato su un fianco, con la testa sulle ginocchia, in un’immobilità che lo fa somigliare a un quadro. Lì, per metà steso su di lei, c’è un bambino morto, e poi lo squillo di un telefono che non vuole smettere e Sophie, che ha in custodia quel bambino, che risponde normalmente al telefono, seduta con le spalle al muro, il capo che ciondola da una parte all’altra, a respirare il suo vomito. Le gira la testa, si sente di nuovo male, sta per svenire. Il suo cervello si sta sciogliendo, tende disperatamente la mano, come fosse una naufraga. È un’impressione dovuta al suo smarrimento, ma le sembra che lo squillo sia di un tono più alto. Adesso sente solo quello, le trapassa il cervello, la riempie e la paralizza. Con le mani davanti a sé e poi da un lato, alla cieca, cerca tastoni un appiglio, alla fine trova qualcosa di duro, a destra, al quale attaccarsi per non sprofondare del tutto. E quello squillo che non la smette, che non si vuole fermare… La sua mano ha afferrato l’angolo del tavolino dove è poggiata la lampada da notte di Léo. Stringe con tutte le sue forze, e quell’esercizio fisico fa per un attimo defluire il suo malessere. E lo squillo cessa. Il suo cervello conta, lentamente… quattro, cinque, sei… lo squillo è cessato. Passa un braccio sotto il corpo di Léo. Non pesa niente. Riesce a poggiare la sua testa per terra e, con uno sforzo smisurato, a mettersi in ginocchio. Adesso è tornato il silenzio, quasi palpabile. Respira a scatti, come una donna che partorisce. Un lungo filo di saliva le cola dalla bocca. Senza voltare la testa, guarda il vuoto: cerca una presenza. Pensa: c’è qualcuno qui, nell’appartamento, qualcuno che ha ucciso Léo e che ucciderà anche me. 25 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 26 In quell’istante, lo squillo del telefono rimbomba di nuovo. Una nuova scarica elettrica le attraversa il corpo. Cerca intorno a sé. Trovare qualcosa, velocemente… La lampada da notte. La prende, la tira con un colpo secco. Il filo elettrico cede e lei cammina per la stanza, lentamente, in direzione della suoneria, un passo dopo l’altro, tiene la lampada come una torcia, come un’arma, senza rendersi conto di quanto ridicola sia la situazione. Ma è impossibile sentire la minima presenza con quel telefono che ruggisce, che urla senza variazioni, con quello squillo che perfora lo spazio, meccanico, ossessivo. È sulla porta della camera quando brutalmente torna il silenzio. Avanza e d’improvviso, senza sapere perché, è sicura che non c’è nessuno nell’appartamento, che è sola. Senza nemmeno riflettere, senza esitare, si spinge in fondo al corridoio, verso le altre stanze, tenendo la lampada a mezz’asta, con il filo che si trascina a terra. Torna verso il salone, entra in cucina e poi esce, apre le porte, tutte le porte. Sola. Affonda nel divano e lascia finalmente la lampada da notte. Sulla sua T-shirt il vomito sembra fresco. Ha di nuovo la nausea. Con un unico movimento si toglie la maglietta e la butta a terra, si rialza subito e si dirige nella stanza del bambino. Ecco che ora, appoggiata allo stipite, guarda il piccolo corpo morto disteso su un fianco, tiene le braccia incrociate sul seno nudo e piange sottovoce… Bisogna chiamare. Non serve più a niente, ma bisogna chiamare. La polizia, l’ambulanza, i pompieri, chi si chiama in questi casi? La signora Gervais? La paura le morde lo stomaco. Vorrebbe muoversi ma non ce la fa. Dio mio, So- 26 labitodasposo.qxp 5-10-2012 13:09 Pagina 27 phie, in che casino sei finita? Come se non fosse già abbastanza… Dovresti andare via subito, adesso, prima che il telefono squilli di nuovo, prima che la madre, preoccupata, prenda un taxi e piombi qui con le sue urla, le sue lacrime, la polizia, le domande, gli interrogatori. Sophie non sa più che fare. Chiamare? Andare via? La sua scelta è fra due cattive soluzioni. Tutta la sua vita è così. Alla fine si riprende. In lei qualcosa si è mosso. Inizia subito a correre per la casa, da una stanza all’altra, piangendo, ma i suoi gesti sono disordinati, i suoi movimenti senza scopo, sente la propria voce gemere come quella di un bambino. Prova a ripetersi: «Concentrati, Sophie. Respira e sforzati di pensare. Ti devi vestire, lavare la faccia, devi prendere le tue cose. Velocemente. E andare via. Subito. Raduna le tue cose, fai la borsa, sbrigati». Ha corso talmente tanto fra le stanze che è un po’ disorientata. Quando passa davanti alla stanza di Léo non può fare a meno di fermarsi ancora una volta, e la prima cosa che vede non è il volto fisso e livido del bambino, è il suo collo e il laccio marrone la cui estremità serpeggia a terra. Lo riconosce. È quello delle sue scarpe da montagna. 27