Racconto Breve 28 - SENI

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Racconto Breve 28 - SENI
Racconto Breve - SENI
Settembre 2009. Lampedusa. Morto a galla.
È un amore di lunga data il mio. Sbocciato quindici anni fa e mai appassito. Ogni anno da
quel giorno strappo una settimana dal calendario per incastonarla fra le rocce aride e
l'acqua incontaminata di questo piccolo neo del Mediterraneo. Credo che Ulisse al suo
ritorno a Itaca si sia sentito come me ora, qui, leggera, in pace, fluttuante.
Non nuoto bene, la posizione del morto a galla è quella che più mi rilassa, mi fa riprendere
fiato. Mi permette di isolarmi dai rumori del mondo e mi rimanda quelli del mare distorti
dall'acqua che entra e esce dalle orecchie. Le onde che scivolano sul mio corpo
mantengono la temperatura costante. Non ho freddo. E finalmente non devo far nulla. Mi
lascio andare. Spalanco le braccia e respiro. Le mie anche affondano un po'. I gabbiani mi
osservano, ma non si fanno domande. Io non sono una novità per loro. Il morto a galla per
Lampedusa non è più una metafora, un modo di dire. Accade davvero, sempre piú
spesso. E loro, i gabbiani, gridano al cielo. Ma non si fanno domande.
Chiudo gli occhi e cancello i gabbiani e i loro pensieri. Posso affrontare un dolore per
volta. Sto lottando accanto a mia madre contro un tumore che sembra non volerle lasciare
speranza. Da un anno un sodalizio ci vuole vincenti nell'amore. Comunque vada. È lei che
mi ha chiesto di regalarmi una settimana nel mio paradiso. Trattengo il respiro, così salirò
un po' più a galla. Non voglio pensare, non ora. Perdonatemi.
Apro gli occhi, inarco la schiena e il mio sguardo è catturato da due piccoli promontori che
mi fronteggiano audaci. Fluttuano anche loro, coperti da un vago sentore di stoffa lucida.
I miei seni.
Li vedo scendere e risalire le onde al ritmo del mio respiro. L'acqua li sommerge, un
istante, e sono di nuovo lì, le mie sentinelle. Mi piacciono i miei seni. Sfidano fieri e
compatti la forza di gravità, indifferenti davanti al tempo che passa.
Penso a Federico. Stasera faremo l'amore e lui li vedrà. Credo che li avrebbe preferiti più
grandi. Anzi ne sono certa. Ne apprezza tuttavia la forma, l'audacia. Spero sempre che lui
li guardi quando sono seduta, perché quando mi sdraio sotto il suo peso intermittente loro
si celano in attesa di riemergere turgidi e gonfi della mia passione.
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Amo Federico, ma non è l'uomo che vorrei. Amo forse quello che lui rappresenta. Abbiamo
perso un bimbo qualche mese fa. Forse perderò mia madre. Mi rimane lui. Ma lui non lo
sa, è rimasto indietro. In cerca di se stesso.
Maggio 2013. Fregene. Morto a galla.
E’ più difficile in una vasca da bagno, senza l’acqua del mare. Ci provo però. Mi tengo con
le mani sui bordi freddi. Con i piedi e con la testa tocco. Voglio riuscire a galleggiare, l’ho
riempita di proposito fino al limite. L’acqua è calda. Colma di schiuma. Quasi fino al
soffitto. L’ho fatto apposta. Voglio che nasconda tutto il mio corpo, tutto il mio essere.
Voglio sprofondare in una coltre bianca. Come quando mi trovai, in pieno inverno, davanti
al ghiacciaio Vatnajökull in Islanda. Bianco il cielo, bianca la terra, l’orizzonte era sparito.
Non avevo più riferimenti. Avrei dovuto avere paura. E invece mi sentii forte: suddita e
sovrana.
Ora invece ho paura. Domani subirò una mastectomia bilaterale.
I miei seni.
Verranno staccati entrambi dal mio cuore perché un esame istologico ha deciso che
potrebbero essere pericolosi per me. Le mie sentinelle potrebbero tradirmi.
Chiudo il naso con il pollice e l’indice e affondo dentro la mia neve artificiale. L’acqua vuole
portarmi su, ma resisto e spingo i piedi e la testa contro il bordo della vasca. Qui sotto non
mi troveranno. Hanno già tolto un quadrante dal mio seno, i linfonodi dall’ascella. Qui sotto
non potranno levarmi altro. Nessuno mi ha domandato come farò senza i miei seni…
Non riesco più a respirare. Sento una spinta sull’addome, il collo si gonfia. Provo a
resistere.
Ahhh Dio! Esco con il viso dall’acqua e boccheggio, Tossisco. Tossisco vita.
Ripenso a quando sono nata, a quando è venuto il tempo di abbandonare la placenta e di
far vedere a tutti che ero in grado di respirare da sola. Sola. Come ora. Mamma non c’è
più; ha vinto la sua battaglia col sorriso e ha lasciato un involucro che non funzionava a
dovere. Anche Federico non c’è più: ha capito che per volare ci vogliono le ali. E lui non le
ha.
E’ doloroso nascere, ma dura un istante e poi è vita. Vita! Mi lascio andare. Galleggio.
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Io sotto la schiuma, ma loro no. I miei seni ancora una volta si parano davanti a me come
due promontori, al di là dei quali intravedo un nuovo orizzonte.
Per un attimo mi piacerebbe che passassero sul soffitto dei gabbiani con una macchina
fotografica per immortalarli. Ma i gabbiani non sanno fotografare…
Giugno 2014. Roma. Viva a galla.
Sdraiata sul prato che circonda il Laghetto dell’EUR. Sono arrivata in anticipo e so che loro
arriveranno in ritardo. Mi fa sorridere la nostra diversità. Siamo sulla stessa barca; una
canoa a venti posti. Un equipaggio di sole donne operate al seno. Ai seni. C’è anche il
timoniere e il tamburino: ventidue donne che all’unisono vincono la resistenza dell’acqua e
dei pregiudizi, che ritmicamente si guardano negli occhi per scoprirsi unite, forti, vive. Più
donne che mai.
Sotto di me, l’erba umida del mattino e lo sciabordio del lago mi fanno galleggiare.
Spalanco le braccia e sfido i gabbiani a farsi domande. Sorrido al pensiero che potrebbero
inondarmi di umori vari. Senza rispetto per la mia gioia.
Per i miei seni.
Sono belli i miei seni. Due cicatrici osano ricordarmi che qualcuno ci ha messo le mani. I
capezzoli però rivendicano tutta la loro femminilità.
Sono i miei seni, perché sono io che li porto in giro per il mondo. Sono miei perché
parlano di me e si divertono a inquadrare un sorriso che cade perpendicolare proprio in
mezzo a loro. Sono miei perché essere donna non vuol dire scegliersi il seno. Perché se
così fosse sul comodino ne avremmo una vasta scelta: seni grandissimi per le serate più
scottanti, seni grandi per i vestiti scollati, seni piccoli per lo sport, seni medi per l’ufficio.
I mie seni non sarebbero nulla senza di me, la loro sentinella.
Sento le voci delle altre barcaiole arrivare alle spalle; è il momento di far vedere chi siamo.
Contraggo gli addominale per alzarmi, ma prima apro gli occhi. Davanti a me c’è un uomo
che si allena nel parco. Con la complicità della mia rilassatezza mi stava osservando.
Cauto e sorridente. I nostri sguardi si incrociano proprio all’altezza dei miei seni, che
evidentemente hanno giocato un ruolo determinante nel catturare la sua attenzione. Con
la loro nuova prosopopea, sanno di non avere rivali in fatto di uomini!
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Mi sento viva. Bella. L’uomo ha ripreso a correre. La barca coi dragoni mi aspetta. Il sole
splende fiero.
Che sorpresa la vita!
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