Scaricalo e stampalo

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Scaricalo e stampalo
Elena Battista
Una vita meravigliosa
Mi chiamo Angela, ho quarantatre anni e la mia non è una
vita infelice. Io lo penso davvero,
anche se so che non sembra così.
Alla maggior parte della gente
sembro infelice, e questa è la
cosa più preziosa che ho, quella
che mi aiuta a fare del bene agli
altri.
Vivo in una città tranquilla,
ho il mare vicino e il tempo è
quasi sempre bello, qui. Certo, i
miei sogni di ragazzina li ho sepolti quasi tutti. Volevo una casa
con il giardino (anche piccolo),
un gatto (rosso, ma andava bene
anche bianco e nero come Silvestro, o di qualsiasi altro colore)
e naturalmente un marito innamorato e gentile,
sempre allegro e che mi portasse tanti fiori. E
due bambini. Preferibilmente gemelli, ma anche
spaiati andava bene lo stesso. Il marito l’ho avuto,
ma dopo qualche anno di matrimonio e qualche
rosa a San Valentino si è stufato. Di me, di sé, di
noi, vai a capire. Ci ho sofferto, ma non sono tipo
da fare scenate, prendo quello che viene. La casa
era la sua, quindi mi sono trasferita, e con quello
che guadagno e i soldi spesi nei mobili, altro che
giardino. Ho preso in affitto un bilocale, prima o
poi mi cercherò un appartamento da comprare.
Ma rimando. Non riesco a fare progetti a lungo
termine. Il gatto però adesso ce l’ho. A mio marito
non piacevano gli animali, quindi una delle cose
buone del divorzio è Rain. Si chiama così perché
mi è piovuta addosso una mattina che andavo a lavorare. Ero in ritardo e facendo manovra ho urtato
un alberello del parcheggio, lei ci stava appollaiata
sopra e mi è caduta sul cofano della macchina. È
rimasta lì imbambolata a guardarmi, senza scap-
pare, immobile. Allora sono scesa
e l’ho portata a casa e in banca ho
chiesto un giorno di ferie. È grigia,
ma come ho detto non importa. È
difficile che quello che ti succede
assomigli sputato a quello che speravi per te stessa.
Bambini no, non ne ho avuti.
Mio marito non ne voleva. All’inizio soffrivo, diventavo seria
quando incontravamo una carrozzina e ogni volta che una mia
amica restava incinta non sapevo
se essere felice per lei o disperata
per me. Lui si infastidiva, diceva
che i figli sono una responsabilità,
Elena Battista
che solo gli scriteriati li mettono
al mondo. E che noi due stavamo
bene così. Poi abbiamo iniziato a non stare più
tanto bene, e mi sono detta che era proprio meglio
non averli fatti, che altrimenti poverini avrebbero sofferto così tanto. Adesso che vivo sola con
Rain, so che ho fatto bene. Sono libera ed è come
se avessi trent’anni. A volte sento le mie amiche
contente delle letterine di Natale e penso che Rain,
le letterine non le scrive, ma ai figli ci penso poco.
Penso poco anche a mio marito, anche se molti mi
dicono che sono stata troppo impulsiva, e che forse potevo tenermelo, pure se gli sentivo addosso
il profumo dolciastro delle bielorusse. Per un po’
credo ci abbia provato con una collega, in comune, ma poi gli piacevano giovani e bionde, e di giovani e bionde che volessero andare con un uomo
di quarantacinque anni con pochi capelli non ce
ne sono molte, mi sa. A me piaceva, anche se aveva
quattro peli sulla fronte, mi ha sempre fatto ridere,
e l’amore con lui era una cosa tenera che mi faceva
sentire amata. Ma lui diceva che con me ormai non
c’era più niente da dire, da quel punto di vista lì.
«H
o scritto questo racconto riflettendo sul pensiero comune che vuole una donna sola e senza figli
più infelice, per definizione, di una che si è costruita una famiglia. Volevo raccontare la profonda
infelicità della famiglia, gli accomodamenti dolorosi, quasi sempre sulle spalle delle donne. E
insieme la possibilità di una felicità che non contempli marito e famiglia, una felicità personale e non sociale.
Quante donne sopportano un marito che le rende infelici per il solo fatto che qualunque altra soluzione significherebbe dichiarare fallimento, oppure perché la solitudine le terrorizza? La protagonista di questo racconto
non è un’eroina, è una donna normale che si è trovata a condurre una vita che non ha scelto, ma che per lei è
la migliore. In questo senso la frase chiave del racconto è questa: “È difficile che quello che ti succede assomigli
sputato a quello che speravi per te stessa”».
Elena Battista
Per un po’ ho sopportato, ho pensato che gli sarebbe passata. Poi una mattina ho deciso che quel
profumo da supermercato sulle sue camicie no,
non volevo sentirlo più. Gli ho chiesto di smettere.
Lui mi ha detto che se volevo, quella era la porta.
E io sono uscita.
Amiche ne ho tante. Dicono che sono una persona generosa, e forse è vero. Mi piace la gente, mi
piace farla stare bene. Adesso che sono sola poi,
ho ancora più tempo, e ho un mio modo speciale
di far star bene le amiche. Sono quasi tutte sposate. Alcune sono colleghe di ufficio, anche se la
maggior parte di quelle che lavoravano con me, da
quando si sono sposate hanno chiesto il part-time
e in ufficio le vedo poco, sempre di corsa. Però
le vado a trovare spesso. Mi piace sentire le loro
storie, giocare con i loro bambini. Giovanni, il
figlio di Morena, è un amore. Biondo e ricciolino
come un angioletto. Però pare che non ci senta
benissimo, i dottori dicono che si può curare ma
che per parlare avrà difficoltà. Suo padre lavora in
fabbrica, è specializzato e guadagna anche bene,
ma gioca ai videopoker e Morena non può chiedere il part-time, se no il mutuo chi lo paga? Agnese,
la grande di Grazia, si è messa con un compagno
di scuola albanese. Grazia fa la superiore e la moderna, ma io lo so che le rode. Io le dico di non
prendersela, che a quattordici anni si è solo dei
ragazzini e che per Agnese è una cosetta senza importanza. Ma lei non ha il coraggio di dirlo a suo
marito, che è funzionario e a certe cose ci tiene.
Lavora fino a tardi, ha sempre tanto da fare. A
volte torna a casa con un profumo che mi ricorda
quello che aveva addosso mio marito, ma Grazia
sembra non notarlo.
Vado spesso a trovarle, e faccio loro del bene.
Mi piace guardarle vivere, annuso le loro vite e
cerco le crepe. Le crepe ci sono sempre, basta
saperle vedere. Io vado da loro e le aiuto a stare
meglio. Ci vado di pomeriggio, gioco con i bambini mentre loro stirano e vanno a fare la spesa, poi
resto a cena e loro sono contente, sanno che per
una sera non starò a casa da sola a guardare la televisione. I loro mariti mi guardano con tenerezza
e dispiacere. Qualcuno ogni tanto lo dice: «Una
donna carina e gentile come te, ma cosa fai così
da sola, un uomo puoi ancora trovarlo. E magari
se fai presto riesci a farlo anche tu, un bambino».
Io abbasso gli occhi, annuisco, a volte sospiro. Mi
credono infelice, e io sto bene attenta ad andarli a
trovare con i capelli un po’ sporchi, con le gonne
più vecchie e le scarpe con il tacco basso. Non
sciatta, ma triste. Le mie amiche mi guardano e
vedono quello che sarebbero se non chinassero il
capo, se non facessero finta di credere ai ritardi
per una pratica urgente da chiudere. Si guardano nello specchio di quello che potrebbe essere
il loro futuro e quello che vedono le spaventa
talmente che la loro vita, di riflesso, sembra perfetta. I loro figli affettuosi e belli, i mariti dei simpatici mascalzoni, ma un uomo se non è un po’
vivace, annoia.
Dopo cena vado via presto, perché si godano
quel tempo soddisfatto che ho creato per loro.
Sorrido appena, dico a tutti che sono una splendida famiglia, che sono fortunati. Che i loro bambini sono un amore e che sono proprio una bella
coppia. Che è ora di andare, che Rain a casa deve
mangiare. Esco con le spalle leggermente curve, lascio che mi guardino allontanarmi da sola, se piove
è ancora meglio. Mi allontano per bene, prima di
raddrizzare le spalle e farmi la coda, non li sopporto i capelli sporchi. Di solito vado a casa, do da
mangiare a Rain, mi faccio una doccia ed esco. Da
quando vivo sola non devo più giustificarmi con
nessuno, e a ballare il tango ci vado quasi tutte le
sere. Mio marito diceva che era una cosa ridicola
ma io mi diverto, e sono la più giovane. Adesso ho
un corteggiatore di cinquant’anni, un bell’uomo.
Per lui sono una ragazzina, e quando si spoglia lo
vedo che trema di gioia. Ieri mi ha mandato a casa
un’orchidea bianca. Lo so che è sposato, ma non
mi interessa. Adesso l’oggetto del desiderio sono
io, ho un profumo migliore delle bielorusse di mio
marito e la sera mi addormento con Rain che fa le
fusa e nessuno che russa di fianco a me.
Poi la mattina mi sveglio e indosso di nuovo la
mia maschera triste per rendere felici quelli che incontro. Sono sola e ho fallito la mia vita di coppia,
ho quarantatre anni e non sono riuscita ad avere
figli. La vostra è davvero una vita meravigliosa.
Elena Battista