INDAGINI MINERO-PETROGRAFICHE SU CERAMICHE GREZZE

Transcript

INDAGINI MINERO-PETROGRAFICHE SU CERAMICHE GREZZE
Marco Milanese* – Paola Mameli** – Daniele Cosseddu**
INDAGINI MINERO-PETROGRAFICHE SU CERAMICHE GREZZE.
DA CONTESTI DEL XVI SECOLO DEGLI SCAVI DI ALGHERO (SS)
1 INTRODUZIONE
È stata sottoposta ad analisi minero-petrografiche una campionatura mirata di ceramiche
grezze provenienti dallo scavo ubicato in piazza S. Croce, nel centro storico di Alghero (Sardegna Nord-Occidentale), con lo scopo di individuarne le aree di produzione.
I reperti sono stati rinvenuti in alcune fasi tardo-cinquecentesche relative ad attività di
scarico di macerie ed altri materiali, finalizzate a rialzare le quote di vita per il cantiere della
Chiesa di S. Croce.
Prima di procedere all’indagine archeometrica, gli oltre 1200 frammenti rinvenuti in fase di
scavo sono stati esaminati macroscopicamente e con l’ausilio di un microscopio stereoscopico,
al fine di riconoscere le diverse tipologie d’impasto e selezionare i campioni da sottoporre ad
analisi petrografica. Le caratteristiche sia della matrice che dello scheletro e l’aspetto delle superfici
hanno permesso di evidenziare manufatti tecnologicamente avanzati, prodotti da artigiani specializzati, di probabile provenienza subregionale (raramente locale), ma soprattutto alloctona.
2. ARCHEOMETRIA DELLA CERAMICA GREZZA MEDIEVALE DELLA SARDEGNA
Le pionieristiche ricerche archeometriche condotte dagli anni Sessanta da Tiziano Mannoni su ceramiche pre-protostoriche, romane, medievali e postmedievali degli scavi urbani
di Genova, di siti liguri e di un ampio areale mediterraneo, hanno dimostrato in modo convincente il ruolo fondamentale della caratterizzazione archeometrica delle ceramiche grezze
e contribuito a demolire il convincimento, radicato in molti archeologi, che la classe delle
ceramiche grezze possa identificarsi senza ulteriori approfondimenti con una produzione
“locale” e ritenersi pertanto di minore interesse rispetto a classi ceramiche tecnologicamente
più avanzate (MANNONI 1966; 1968).
Un utilizzo sistematico delle indagini minero-petrografiche applicate alle ceramiche grezze
rivenute nei castellari liguri della seconda età del Ferro e nell’oppidum preromano di Genova
ha aperto la strada all’opposta visione della mobilità locale, regionale ed extraregionale delle
ceramiche grezze, della loro presenza nei carichi commerciali marittimi e del loro conseguente
ruolo di indicatori di flussi mercantili e di cronologie utilizzabili nella ricerca storico-archeologica (MANNONI 1972; 1975; MILANESE, MANNONI 1986).
In un momento “fondante” di una strategia di ricerca archeologica territoriale fortemente
indirizzata dalle domande storiografiche, non è più pertanto possibile prescindere da una
progettazione archeometrica mirata alla caratterizzazione delle ceramiche grezze, nel duplice
aspetto della produzione e del consumo, con gli obiettivi di identificare le aree ed i centri
produttivi regionali e subregionali e le eventuali importazioni extraregionali, un approccio
oggi comunemente esteso anche alla c.d. “ceramica comune” di età romana (AA.VV. 1993;
OLCESE 1995; PAVOLINI 1995; MILANESE 1987, 1995a, 1995b, 2007b).
È questa la fase che sta vivendo oggi la giovane archeologia medievale della Sardegna, dove
la straordinaria apertura ai traffici mediterranei, determinata dalla posizione centrale di questa
* Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Storia
** Università degli Studi di Sassari, Istituto di Scienze Geologico-Mineralogiche
– 247 –
isola nel Mediterraneo, giustifica un’accentuata complessità nell’identificazione delle classi ceramiche presenti nei contesti archeologici postclassici. I forti legami politici ed economici che
la Sardegna ha avuto, in epoca medievale e postmedievale, con la Toscana (in particolare con
Pisa), con la Liguria, con la Spagna e con l’Italia meridionale spingono ad un atteggiamento di
massima prudenza nell’attribuzione dei reperti ceramici dagli scavi regionali, in quanto i fenomeni di imitazione e di spostamento delle maestranze (basti pensare ai ceramisti savonesi operanti
in Spagna nel XVI secolo, i cui prodotti circolavano in Sardegna, assieme ai loro prototipi di
produzione ligure) creano difficoltà nell’identificazione tipologica, in assenza di una caratterizzazione archeometrica che possa guidarne un più agevole riconoscimento macroscopico.
Così, per le ceramiche grezze circolanti in Sardegna in età medievale e postmedievale, è
stato recentemente intrapreso un lavoro congiunto tra archeologi (Insegnamento di Archeologia
Medievale dell’Università di Sassari) e geologi (Istituto di Scienze Geologico-Mineralogiche
dell’Università di Sassari), mirato alla caratterizzazione delle differenti produzioni circolanti nei
contesti medievali e postmedievali del nord-ovest della regione, alla tipizzazione di produzioni
locali, di centri o areali produttivi suggeriti dalle analisi minero-petrografiche o talvolta indicati
da marcatori toponomastici, etnoarcheologici, dai documenti scritti e dalle fonti orali.
Si è detto di una ricerca che ancora deve raggiungere una vera maturità, ma che tuttavia
dispone già di significativi campioni sui quali intendiamo testare le domande sulle produzioni
grezze: si tratta di scavi stratigrafici di un grande villaggio medievale abbandonato, Geridu, nei
pressi di Sassari (MILANESE 1996, 2000a, 2004, 2006a), di una città di fondazione medievale,
Alghero, caratterizzata da una fase genovese, rapidamente soppiantata da una colonizzazione
catalana (MILANESE 1999, 2000b), della città di Sassari (ROVINA 2000), dei castelli di Monteleone Rocca Doria e di Castelsardo, caposaldi della resistenza dei Doria in Sardegna tra XIV
e XV secolo (MILANESE 2005, 2006b) e di Bosa, castello dei Malaspina nel tardo XIII secolo,
rapidamente passato agli Arborea nel XIV secolo (MILANESE 2002; SODDU 2005) nonchè di
numerosi altri centri rurali minori, sparsi nel territorio (MILANESE 2007a).
I limiti del presente lavoro sono insiti in una ricerca archeometrica che sta ancora cercando
di valutare il significato dei primi risultati ottenuti, ma che consentono comunque di mettere a
fuoco le prime linee di ricerca. In queste pagine si relaziona un primo test analitico, consistente in
un gruppo di ceramiche grezze provenienti dagli scavi di Alghero, rinvenute negli scavi di Piazza
S. Croce, nel pieno del quartiere ebraico medievale della città, in un contesto di demolizione
di alcuni edifici tardo-medievali di quel quartiere, ubicati nell’area da identificarsi con quella
occupata nel tardo XIV e nel XV secolo dalla sinagoga, demolita dopo l’espulsione degli Ebrei
dai territori del regno d’Aragona, determinata dall’editto di Ferdinando il Cattolico del 1492.
(M.M.)
3. INQUADRAMENTO GEOLOGICO
Il territorio di Alghero è delimitato:
– a Nord e a Nord-Est dell’abitato da terreni mesozoici rappresentati da calcari e dolomie,
con età comprese tra il Trias medio e il Cretaceo superiore;
– verso Sud e Sud-Est da potenti successioni vulcaniche pre-elveziane costituite principalmente
da alternanze di flussi piroclastici con differente grado di saldatura, ed anche da quarzodioriti
oligoceniche in giacitura sub-vulcanica.
Il centro storico della città invece poggia su calcari e dolomie triassici e su depositi eolici.
In particolare, le formazioni mesozoiche e cenozoiche affiorano al di sotto di terreni quaternari
costituiti essenzialmente da arenarie eoliche ben cementate, che nella parte meridionale della
città devono ritenersi pre-tirreniane ed hanno costituito la “pietra” di più largo utilizzo per
– 248 –
la costruzione dei palazzi cittadini. Altri sedimenti quaternari, costituiti da travertini più o
meno sabbiosi, affiorano invece a nord dell’abitato.
Per quel che riguarda i depositi argillosi, questi si rinvengono sia insieme a terre rosse in
tasche carsiche all’interno dei terreni calcari mesozoici sia nei terreni quaternari nei dintorni della
città, in entrambi i casi in quantità tali da non giustificare importanti produzioni ceramiche.
In pratica, le uniche alluvioni ricche di lenti argillose e con ciottoli di quarzo, provenienti dallo
smantellamento delle alluvioni del basamento della Nurra, affiorano verso Guardia Grande e
Baratz, ad una quindicina di chilometri ad Ovest della città mentre gli altri depositi argillosi,
per lo più montmorillonitici, si trovano sui depositi vulcanici terziari ad un paio di chilometri
ad Est della città, per alterazione di piroclastiti cineritiche di flusso a debole saldatura.
(P.M.)
4. LO SCAVO DI PIAZZA SANTA CROCE AD ALGHERO
Scopo dello scavo archeologico, effettuato tra il 1997 e il 1998 (con un’appendice d’emergenza nel 2001), era chiarire le dinamiche di trasformazione dello spazio urbano in seguito al
forzato abbandono di Alghero da parte della comunità ebraica. In particolare si voleva verificare
l’ipotesi riguardante la presenza nell’area della sinagoga ebraica della città ed il suo possibile
nesso con la chiesa di Santa Croce, sorta – stando alla tradizione locale – sulle rovine della prima
e dedicata alla Santa Croce, secondo una prassi comune che in Sardegna trova confronti in
numerosi centri, fra i quali anche Cagliari (OLLA REPETTO 1994; MILANESE 1999, 2000b).
Le prime tracce di frequentazione documentate nell’area risalgono all’epoca precedente il
dominio catalano, quando Alghero rappresentava il capoluogo signorile dei Doria (MILANESE
2006 c): si tratta di lavori finalizzati alla sistemazione di un molo naturale per impiantare degli
ormeggi per le imbarcazioni.
Sull’obliterazione di questo assetto dell’area, sono state rinvenute le fondazioni del piano
terreno di un edificio trecentesco, dove, sulla scorta del ritrovamento di chiari indicatori, è
stata identificata un’attività febbrile.
È forse poco probabile che il piano superiore fosse destinato ad ospitare la sinagoga, che
secondo elementi raccolti nell’ultima campagna di scavo, sembra da ubicare leggermente ad ovest
rispetto all’area di scavo in esame. La cronologia dell’edificio scavato (seconda metà XIV-fine
XV sec.) concorda con le date di insediamento ed espulsione della comunità ebraica ad Alghero.
Non dovette intercorrere molto tempo tra l’espulsione della comunità ebraica e l’innalzamento
della chiesa: già dal 1505 un atto notarile cita il «vico Sanctae Crucis». Alla fine del XVI secolo, i
ruderi della casa ebraica furono smantellati e le murature rasate fino a 50 cm dalla fondazione per
poi essere ricoperte con numerosi scarichi di terreno, ricchissimi di materiale ceramico e monete
algheresi con contromarca che li datano con precisione alla metà del secolo (MILANESE 2000b).
È a partire dal piano di calpestio formatosi su questi strati che sono state tagliate le fondamenta per la facciata della chiesa rinvenuta in fase di scavo. La datazione di questa struttura è
quindi stratigraficamente successiva alla metà del XVI secolo, in linea con alcuni dati archivistici
che datano al 1593 i lavori di restauro nella iglesia nova de Santa Creu. È perciò ipotizzabile che
i lavori di restauro abbiano comportato anche un allungamento della fabbrica della chiesa.
Da questo momento fino alla demolizione, datata agli inizi del XX secolo, lo scavo della
chiesa si divide in due bacini stratigrafici, corrispondenti all’esterno e all’interno dell’edificio.
All’interno della chiesa sono documentate successive inumazioni e relativi rattoppi del pavimento, mentre lo scavo dell’esterno ha mostrato le varie fasi di vita del sagrato, caratterizzate
da successive fasi di preparazione per l’impianto di una copertura, fino all’erezione di una
struttura trapezoidale per sottolineare l’ingresso.
(D.C., M.M.)
– 249 –
5. CARATTERIZZAZIONE TIPOLOGICA DEI REPERTI
All’interno della stratificazione indagata durante lo scavo si è cercato di individuare un
contesto che dal punto di vista cronologico fosse il più possibile omogeneo, al fine di caratterizzare in maniera precisa la ceramica grezza ivi rinvenuta. A tale scopo sono state prese in
considerazione alcune fasi tardo-cinquecentesche relative ad azioni di butto di terreno sulle
murature, ormai rasate, degli edifici del quartiere ebraico, finalizzate a livellare il piano di
calpestio in vista dell’azione di restauro e allungamento della chiesa di S. Croce. In particolare
la scelta di indagare queste fasi si giustifica con la bassissima residualità riscontrata all’interno
degli strati, datati alla seconda metà del XVI secolo da maioliche ispano-moresche, di Montelupo Fiorentino e da monete algheresi con contromarca.
La prima fase del lavoro ha puntato al riconoscimento macroscopico dei vari corpi ceramici, in base alle caratteristiche della matrice e degli inclusi presenti. In questo modo è stato
possibile distinguere i sei impasti descritti di seguito.
I1: Corpo ceramico di colore marrone verso l’interno, da grigio a nero in superficie, duro,
poroso, con frattura regolare, caratterizzato dalla presenza di diffusi inclusi trasparenti, bianchi
e beige (opachi), generalmente arrotondati e di dimensioni non superiori al mm, e da mica
bianca (Fig. 1).
I2: Corpo ceramico duro, compatto, con frattura regolare, caratterizzato da superfici di colore
grigio o nero con abbondante mica bianca mentre all’interno si presenta di colore grigio o
marrone. Inoltre sono visibili inclusi bianchi opachi o beige, tondeggianti (Fig. 2).
I3: Corpo ceramico duro, poroso, di colore grigio uniforme, con frattura irregolare. Presenta
numerosi inclusi bianchi di forma irregolare (max 3 mm) angolosi, trasparenti e porosità
diffusa (Fig. 3).
I4: Corpo ceramico duro, compatto, con frattura regolare caratterizzato da una matrice “a
sandwich”, che si presenta all’esterno di colore grigio, con superfici ruvide nelle quali è evidente
mica puntiforme e all’interno di colore grigio chiaro o rosso, compatta e dura. Presenta inoltre
numerosi inclusi bianchi opachi, irregolari, allungati e/o angolosi, mica e vari altri elementi
di dimensioni inferiori a 1 mm (Fig. 4).
I5: Corpo ceramico friabile e poroso di color rosso aranciato, molto grezzo, con frattura irregolare che presenta numerosi inclusi bianchi opachi di varie granulometrie (fino a 1,5 mm),
oltre a piccoli clasti scuri, opachi. È caratteristico per la presenza abbondante di minerali
tabulari con riflessi metallici (Fig. 5).
I6: Corpo ceramico color cuoio, friabile e poroso, con frattura regolare che presenta numerosi
inclusi, tra i quali spiccano alcuni elementi beige opachi di dimensioni fino a 2 mm. Inoltre
al microscopio stereoscopico sono visibili inclusi di colore sia rosso che nero e quarzo, in
dimensioni sub-millimetriche (Fig. 6).
Una volta completato il riconoscimento dei vari impasti ceramici da un punto di vista
macroscopico, i frammenti significativi sono stati studiati dal punto di vista morfo-tipologico.
Questo ha permesso di rilevare alcune relazioni impasto-forma, fondamentali per caratterizzare
le produzioni grezze nella maniera il più esauriente possibile. In particolare l’analisi tipologica
ha permesso di riconoscere le seguenti forme:
1) US 2185 I1
Fr. di orlo con labbro schiacciato da forma aperta sconosciuta. Superfici ruvide e ricche di
mica puntiforme. Superficie interna di colore marrone, quella esterna, decorata a rotella su
bande parallele, presenta un certo annerimento da fuoco.
Datazione contesto: fine XVII.
– 250 –
2) US 2252 I1
Fr. di orlo verticale ispessito e labbro schiacciato. Superfici ruvide e ricche di mica in lamelle
di max 2 mm. La superficie interna appare di colore marrone, mentre quella esterna presenta
annerimento da fuoco fino al labbro.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
3) US 2297 I2
Fr. di spalla, orlo e labbro sagomato da olla (Fig. 7a). L’orlo forma con il corpo un angolo che
definisce una gola molto netta. Superfici lisciate, grigie, più scura quella esterna, con presenza
di mica puntiforme. Sono evidenti segni di tornitura.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
4) US 2297 I2
Fr. di coperchio leggermente concavo con presa a “pomello” (Fig. 7b). Superfici lisciate, nere
(a parte un’area che presenta superfici marroni-rossicce e interno nero), con evidente mica
puntiforme.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
5) US 2403 I2
Olla ricomposta per la parte superiore, dall’orlo fino all’altezza delle anse a orecchietta
(Fig. 7c). Diametro 19 cm. L’orlo è impostato su un corpo globulare e forma un angolo che
evidenzia una gola, segnalata da un incisione orizzontale tracciata a crudo. Le superfici sono
uniformemente grigie e lisciate.
Datazione contesto: metà XVI.
6) US 2062 I2
Fr. di orlo introflesso, labbro a punta e piccola presa decorata a zig zag. Superfici grigie, ruvida
quella interna, quella esterna lisciata.
Datazione contesto: XVIII-XIX.
7) US 2253 I3
Fr. di orlo e labbro sagomato da olla. Superfici grigie e lisciate, con evidenti segni di tornitura e mica
puntiforme. Sono presenti inclusi bianchi lattiginosi fino a 1,5 mm e altri grigi trasparenti.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
8) US 2424 I4
Fr. di orlo e labbro formante una piccola tesa da forma aperta (Fig. 7d). Superfici grigie, lisciate,
con mica puntiforme. Sono evidenti tracce di tornitura. La superficie esterna presenta una
decorazione radiale orizzontale ottenuta tramite due profondi solchi paralleli.
Datazione contesto: XVI.
9) US 2235 I4
Fr. di orlo estroflesso da piccola olla (Fig. 7e). Superfici entrambe di colore grigio, ruvide e
ricche di inclusi quarziferi e mica puntiforme. Sono presenti tracce di tornitura veloce.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
10) US 2297 I4
Fr. di orlo con labbro schiacciato da olla (Fig. 7f ). Superfici grigie, ruvide, con tracce di inclusi
quarziferi e mica puntiforme. Sono visibili segni di tornitura veloce.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
11) US 2426 I5
Fr. di orlo con labbro schiacciato da piccola olla (Fig. 7g). Superfici marroni, mentre il corpo
ceramico è color mattone. Sono visibili numerose lamine con riflesso metallico.
Datazione contesto: 2° metà XVI.
– 251 –
12) US 2201 I6
Fr. di orlo da olla (Fig. 7h). Superfici entrambe color bruno-grigio, con evidenti inclusi sia
bianchi opachi che, meno frequenti, di color rosso vivo. Sono chiaramente visibili segni di
tornitura veloce.
Datazione contesto: metà-fine XIX.
(D.C.)
6. ANALISI MINERO-PETROGRAFICHE
Le osservazioni condotte al microscopio polarizzatore, sulle sezioni sottili dei campioni
selezionati, hanno consentito di constatare l’appartenenza dei reperti a sei distinti gruppi petrografici, identificabili con gli impasti descritti in precedenza. Le caratteristiche di tali gruppi,
la cui rappresentatività è tutt’altro che omogenea, sono riportate di seguito.
I1: Pasta di fondo caratterizzata da una debole attività ottica. Il degrassante è costituito da
quarzo, plagioclasi zonati, microclino, augite e clasti di rocce andesitiche. Sono inoltre evidenti
elementi vetrosi come pomici e shards (Fig. 8).
I2: Pasta di fondo birifrangente. Lo scheletro è caratterizzato dalla presenza di quarzo, plagioclasi, ortoclasio pertitico, muscovite e biotite. Sono inoltre evidenti clasti costituiti da
aggregati policristallini derivati dallo smantellamento di un basamento cristallino granitico
e/o metamorfico e molti bioclasti di forma arrotondata (Fig. 9).
I3: Pasta di fondo isotropa. Lo scheletro è costituito da frammenti di rocce granitoidi e da microcristalli di quarzo, plagioclasi, microclino, ortoclasio, muscovite. È evidente l’aggiunta di un degrassante di granulometria omogenea, fine, probabilmente ottenuto per macinazione di sabbie.
I4: Pasta di fondo birifrangente. Lo scheletro è caratterizzato dalla presenza di quarzo, plagioclasio, ortoclasio, biotite e muscovite. Sono inoltre evidenti clasti costituiti da aggregati
policristallini derivati dallo smantellamento soprattutto di rocce metamorfiche.
I5: Pasta di fondo birifrangente. Lo scheletro è caratterizzato dalla presenza di abbondante
diopside (nella varietà diallagio), di plagioclasi, molti dei quali in avanzato stato di alterazione, di
epidoti e rari cristalli di olivina. Sono inoltre presenti frammenti di rocce gabbriche (Fig. 10).
I6: Pasta di fondo isotropa. Lo scheletro è costituito da frammenti di rocce marnose, da aggregati
policristallini derivati dallo smantellamento di rocce sia granitoidi che metamorfiche di basso
grado e da minerali provenienti dal disfacimento delle suddette rocce (quarzo, plagioclasi,
ortoclasio, muscovite). Sono inoltre presenti frammenti di microfossili.
Le associazioni minerali descritte hanno consentito così di individuare 3 impasti di provenienza autoctona e 3 di provenienza alloctona.
In particolare:
– tra le famiglie petrografiche autoctone, rappresentate dagli impasti denominati I1, I3 e I4,
la prima è l’unica sicuramente riferibile alla Sardegna Nord-Occidentale (Mejlogu) mentre le
altre due sono caratterizzate da argille che, seppur compatibili con la geologia di alcune aree
della Sardegna Settentrionale (rispettivamente Goceano-Monte Acuto-Baronie e Anglona),
non trovano riscontro nella geologia del territorio algherese.
– tra le famiglie petrografiche alloctone, rappresentate dagli impasti I2, I5 e I6, la prima e
l’ultima sono caratterizzate da argille che trovano riscontri nell’area valenzana (Spagna), mentre
la seconda è costituita da un’argilla proveniente dallo smantellamento di ofioliti obdotte, per
cui riconducibile ad aree di provenienza collocabili nell’Appennino Settentrionale.
(P.M.)
– 252 –
7. CONCLUSIONI
Sintetizzando gli elementi raccolti nel corso di questa breve analisi sulla provenienza di un
campione di ceramiche grezze circolanti ad Alghero nella prima Età Moderna, si può affermare
che la metodologia utilizzata, ormai standardizzata a livello nazionale, ha saputo fornire anche
nel panorama sardo (dove invece è ancora agli albori) risposte soddisfacenti.
Oltre alla conferma dell’ipotesi sulla provenienza sarda valida per parte del materiale esaminato, è degna di nota l’individuazione della presenza di ceramica grezza da fuoco di importazione
toscano-ligure (dell’area localizzata tra Livorno e La Spezia), caratterizzata da un impasto ricco
di elementi di natura ofiolitica (in particolare diallagio), incompatibili con i litotipi presenti in
Sardegna, ma sicuramente di origine appenninica settentrionale, nonostante al momento non
sia ancora chiara la localizzazione esatta della provenienza di questi manufatti.
Una provenienza alloctona è inoltre altamente probabile per alcune ceramiche in cui si
riscontrano l’associazione granitoidi-basamento metamorfico di basso grado e marne (segnalata nel Valenzano, in Spagna), mentre meno univoca è l’interpretazione della provenienza
degli impasti caratterizzati dalla presenza di bioclasti e dall’associazione granitoidi-basamento
metamorfico.
Di sicuro interesse è poi l’individuazione di un impasto ceramico caratterizzato da grande
abbondanza di shards vetrosi e pomici, associate a inclusi litici, provenienti dalle successioni
vulcaniche che caratterizzano la Sardegna Nord Occidentale.
Si può quindi affermare che i risultati ottenuti spingano a continuare in maniera sistematica l’applicazione di queste metodologie al maggior numero possibile di contesti archeologici
affidabili stratigraficamente.
In definitiva, due sono i risultati particolarmente significativi di questo studio:
– la presenza ad Alghero di vasellame grezzo foggiato utilizzando un’argilla che si caratterizza
per l’abbondante presenza di shard vetrosi e pomici. Tale argilla è stata rinvenuta anche in altri
contesti sia preistorici (MAMELI 2002) che medievali in tutta la Sardegna nord-occidentale e
indica la provenienza da aree caratterizzate dalla presenza di epiclastiti o piroclastiti;
– aver riscontrato ceramiche grezze di importazione dall’area nord-appenninica, caratterizzata
da rocce gabbriche (nella forma dell’olla e non in quella che potremmo definire “culturalmente
caratterizzante”, del testo), le cui argille di disfacimento sono state utilizzate per la foggiatura
di vasellame refrattario nel lungo periodo, dalla protostoria ad oggi (MILANESE 1987, 1992,
1995b, 2004b; PRUNO 2003) ed altre provenienti, con ogni probabilità, da contesti iberici.
(M.M., P.M., D.C.)
Ringraziamenti
Si ringrazia il Sig. Gianni Pulina per la realizzazione delle foto relative agli impasti ceramici.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., 1993, Archeometria della ceramica e problemi di metodo, Atti VIII Simposio Internazionale
della Ceramica, Bologna.
Ceramica romana = Ceramica romana e archeometria: lo stato degli studi a cura di G. Olcese, Quaderni
del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università di Siena, 37.
MAMELI P., 2002, Studio petrografico delle ceramiche provenienti da “Santu Pedru”, «Bullettino Archeologico Sardo», 5, pp. 185-191.
MANNONI T., 1966, Ricerche sulle ceramiche del Castellaro di Pieve S. Lorenzo, «Giornale Storico della
Lunigiana», 17, pp. 15-23 (anche in MANNONI 1994, pp. 79-87).
– 253 –
MANNONI T., 1968, Mineralogia e tecnologia della ceramica al servizio dell’archeologia, «Atti e Memorie
della Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie Modenesi», 10 vol., III, pp. 249-258
(anche in MANNONI 1994, pp. 20-29).
MANNONI T., 1972, La ceramica dell’età del Ferro nel Genovesato. Saggio di studio mineralogico, «Studi
Genuensi», 8 (1970/71), pp. 3-24 (anche in MANNONI 1994, pp. 88-114).
MANNONI T., 1975, Studio mineralogico di alcuni tipi ceramici provenienti dall’abitato preromano di Genova, in Archaeologica. Scritti in onore di A. Neppi Modona, collana? Firenze, pp. 373-386 (anche
in MANNONI 1994, pp. 119-132).
MANNONI T., 1994, Archeometria Geoarcheologia dei manufatti, Genova.
MILANESE M., MANNONI T., 1986, Gli Etruschi a Genova e il commercio mediterraneo, «Studi Etruschi»,
LII, pp. 117-146.
MILANESE M., 1987, Scavi nell’oppidum preromano di Genova, «Studia Archaeologica», 48, Roma.
MILANESE M., 1992, Indagini mineralogiche di ceramiche dal sito preromano di Poggio Castelluccio (Bruscoli,
Firenze), in La Flaminia minor e la viabilità transappenninica in epoca romana, Atti del Convegno
(Firenzuola, ottobre 1989), Bologna, pp. 91-94.
MILANESE M., 1995a, La ceramica romana a Genova: nuovi dati archeologici e archeometrici su produzione
e commercio, in Ceramica romana, pp. 189-196.
MILANESE M., 1995b, La ceramica romana a Siena: osservazioni archeometriche sui reperti degli scavi di
Piazza Duomo, in Ceramica romana, pp. 225-228.
MILANESE M., 1996 (a cura di), Il villaggio medievale di Geridu (Sorso, SS). Campagne di scavo 1995/1996:
relazione preliminare, «Archeologia Medievale», 23, Firenze, pp. 477-548.
MILANESE M., 1999 (a cura di), Alghero. Le trasformazioni di uno spazio urbano tra XIV e XX secolo. Il
progetto di ricerca e le campagne di scavo 1997/1998: relazione preliminare, «Archeologia Postmedievale», 3, Firenze, pp. 33-88.
MILANESE M. et al., 2000 a, Il villaggio medievale di Geridu. Ricerche 1997/1999, in Atti del II Congresso
di Archeologia Medievale (Brescia, 30 settembre-2 ottobre 2000), Firenze, pp. 254-264.
MILANESE M. et al., 2000b, Il kahal medievale di Alghero. Indagini archeologiche 1997/1999, in Atti del
II Congresso di Archeologia Medievale (Brescia, 30 settembre-2 ottobre 2000), Firenze, pp. 67-78.
MILANESE M., 2002, L’attività di ricerca in Sardegna e in Tunisia delle Cattedre di Metodologia della Ricerca
Archeologica e di Archeologia Medievale delle Università di Pisa e di Sassari, «L’Africa Romana», 14,
vol. III (Sassari, 7-10 dicembre 2000), Roma, pp. 2429-2474.
MILANESE M. (a cura di), 2004a, Il villaggio medievale di Geridu. Studi e ricerche 1996-2001, Quaderni
del Centro di Documentazione dei Villaggi Abbandonati della Sardegna, 1, Firenze.
MILANESE M., 2004b, Note sulle ceramiche medievali e postmedievali dal Catrio di Massa, in Il castello e
l’oliveto. Insediamento e trasformazioni del paesaggio dalle indagini archeologiche a Massa in Valdinievole, a cura di M. Milanese, M. Baldassarri, S. Giovanni Valdarno, pp. 333-355.
MILANESE M. (a cura di), 2005, Monteleone Roccadoria. Il Parco Grazia Deledda, la storia, il paesaggio,
Sassari.
MILANESE M. (a cura di), 2006a, Vita e morte dei villaggi rurali tra Medioevo ed Età Moderna. Dallo scavo della
villa de Geriti ad una pianificazione della tutela e della conoscenza dei villaggi abbandonati della Sardegna,
Quaderni del Centro di Documentazione dei Villaggi Abbandonati della Sardegna, 2, Firenze.
MILANESE M. (a cura di), 2006b, Castelsardo, Spalti Manganella. Campagna di scavo Agosto 2006: relazione preliminare, in w.ww.archeomedievale.uniss.it.
MILANESE M., 2006c, Archeologia del potere nella Sardegna medievale: la signoria dei Doria, in Atti del
IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (San Galgano, 26-30 settembre 2006), Firenze,
pp. 287-293.
MILANESE M., 2007a, I villaggi abbandonati dell’Anglona. Il punto di vista dell’archeologia, in Atti del
Convegno “Castelsardo. 900 anni di storia”, a cura di A. Mattone, A. Soddu, Roma, pp. 195-213.
MILANESE M., 2007b, Le classi ceramiche nell’archeologia medievale, tra archeometria e tecnologia, in Atti
della X Giornata di Archeometria della Ceramica (Roma, 5-7 aprile 2006).
– 254 –
OLLA REPETTO G., 1994, La presenza ebraica in Alghero, in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo, a cura
di A. Mattone, P. Sanna, Sassari, pp. 149-158.
OLCESE G., 1995, Ceramiche comuni e archeometria, in Ceramica romana, pp. 89-103.
PAVOLINI C., 1995, Il commercio della ceramica comune: anticipazioni da una ricerca in corso sul materiale
ostiense, in Ceramica romana, pp. 115-126.
PRUNO E., 2003, La diffusione dei testelli nell’alto Tirreno tra XI e XIV sec., in G. FIORILLO, P. PEDUTO
(a cura di), Atti del III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze, pp. 71-77.
ROVINA D., 2000, Le città: Sassari e il suo Duomo, in La sezione medievale del Museo “G.A. Sanna” di
Sassari, Piedimonte Matese, pp. 65-76.
SODDU A. (a cura di), 2005, I Malaspina e la Sardegna. Documenti e testi dei secoli XII-XIV, Testi e
Documenti, 8, Cagliari.
Fig. 1 – ????????????????????
Fig. 3 – ????????????????????
Fig. 2 – ????????????????????
Fig. 4 – ????????????????????
Fig. 5 – ????????????????????
Fig. 6 – ????????????????????
– 255 –
Fig. 7 – ????????????????????
– 256 –
Fig. 8 – ????????????????????
Fig. 9 – ????????????????????
Fig. 10 – ????????????????????
– 257 –