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Politica energetica nazionale
mercoledì 16 marzo 2016
di G.P.
Newtilities: il mondo è cambiato. Dove vanno le imprese?
Il convegno per l'Uomo dell'Anno della Staffetta con Valotti (A2A-Utilitalia), Tittoni (ERG), Alippi (EP
Produzione) e Artizzu (EPS). Starace: combattere la sindrome della mega centrale, la sfida cruciale è tra
l'elettricità e tutte le altre fonti
I cambiamenti che hanno segnato l'energia negli ultimi anni sono
strutturali e ancora lontani dall'aver raggiunto un punto di equilibrio:
calo della domanda, crescita delle rinnovabili, rapido sviluppo
tecnologico, crisi dei modelli tradizionali di produzione, consumo e
pricing disegnano un mondo in cui nessuna impresa energetica può
indugiare nelle vecchie certezze ed tutti sono chiamati a reinventare il
proprio mestiere. E dove nel contempo si fa sempre più forte
l'esigenza di una vera politica energetica. È quanto è emerso il 10
marzo a Roma, presso l'auditorium del Gse, dal dibattito tra esponenti di spicco del mondo delle utility
coordinati da GB Zorzoli, in occasione della premiazione di Francesco Starace come Uomo dell'Anno
della Staffetta. Di seguito un resoconto del dibattito e del discorso tenuto dall'a.d. di Enel alla
consegna. La registrazione video completa del convegno è visibile sul canale youtube della Staffetta
Quotidiana (video convegno).
Valotti (A2A): il mercato farà il lavoro sporco di consolidare
“Nessuno di noi si può aspettare di sopravvivere con il vecchio modello di business”, ha detto
Giovanni Valotti, presidente di A2A e Utilitalia e quindi voce del mondo delle grandi utility (ex) locali e
dell'elettrico convenzionale. Ma, ha aggiunto, servono tre cose: primo, “politiche energetiche con
visibilità a 30 anni. Non un Piano energetico ma una politica, con una dimensione europea. E
purtroppo tutti i governi hanno reso l'Italia debole in Ue”. Secondo, “stabilità regolatoria. Aziende
normali fanno fatica a causa di un quadro di regole troppo complesso”. In terzo luogo, ha proseguito
Valotti, servono “operatori efficienti, non sussidiati ma capaci di stare sul mercato”. In proposito ha
citato le rinnovabili – “nella fase 2 senza incentivi gli operatori ce la faranno?” – ma anche il calo dei
consumi, che “è strutturale, dovremo gestirlo. Inoltre siamo noi stessi a procurarlo investendo in
efficienza”.
Senza dimenticare la generazione convenzionale: “A2A ha problemi col termoelettrico”. È un
settore, ha rimarcato, “di cui il sistema non può fare a meno” ma l'inevitabile riassetto del comparto
“deve creare efficienza, passando per chiusura di impianti, consolidamento e capacity market. Che
è sempre lì ma non arriva mai. Se non arriverà porterà squilibri, servono segnali a termine”.
Il presidente ha poi evidenziato il ruolo che nel nuovo contesto possono giocare le imprese di
servizi locali: in un mondo sempre più urbanizzato le utility hanno un “patrimonio di investimenti e
relazioni col territorio. Siamo impegnati nell'ammodernamento delle reti e nelle nuove fonti, a
cominciare dallo sviluppo di nuovi combustibili da rifiuti. Mentre gli accumuli saranno la frontiera”. Un
contesto, ha avvertito infine, “in cui la ricerca è fondamentale. Dei nostri 550 associati alcuni sono
avanti, altri meno. In ciò il processo di aggregazione aiuterà: certi sembrano non aver proprio
sentito lo starter. Per questi vendo un futuro nero, il mercato farà il lavoro sporco di consolidare”.
Alippi (EP): la mutazione del termoelettrico è già in atto
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“Siamo termoelettrici puri, le sfide di cui parliamo ci colpiscono in pieno”, ha esordito Luca Alippi,
a.d. di EP Produzione, controllata della ceca EPH che lo scorso anno ha acquisito il parco termico di
E.On Italia.
Anche secondo il manager il cambiamento è strutturale: “i consumi sono il 7% sotto la punta
registrata nel 2007, quando si è invertita la crescita ininterrotta che proseguiva dal 1945. È difficile
che la ripresa dell'economia possa riassorbire da sola l'overcapacity”. A ciò vanno aggiunti l'efficienza
e lo sviluppo delle rinnovabili. In un simile contesto, ha notato Alippi, “gli impianti termoelettrici stanno
integrando il loro ruolo tradizionale di ‘backbone' del sistema, che in parte rimane, con un ruolo di
‘back-up', altrettanto fondamentale”.
Ma se l'eccesso di capacità non si recupera da sé, ha aggiunto, “serve un processo di
consolidamento del settore che sia efficiente, non sussidiato. Che lascia in piedi gli impianti
necessari e trovi un'altra soluzione per quelli meno efficienti. Prima di fare la selezione delle centrali
però – ha rimarcato Alippi – occorre il consolidamento, altrimenti il primo che fa una mossa favorisce
solo gli altri”.
In una situazione del genere, ha concluso, “il capacity market è un'evoluzione necessaria. Non
deve essere un sussidio ma un meccanismo che rispecchia un'evoluzione che in parte già c'è stata,
come dimostra il ruolo di backup del termoelettrico tra dicembre e gennaio 2016” mentre l'offerta
idroelettrica era ridotta. Sul CM, ha aggiunto “la situazione è un po' bloccata dopo un momento di
interesse al tempo dello studio Confindustria-Poyry”. Temi urgenti sono anche una riforma del
dispacciamento, con una migliore valorizzazione dei servizi offerti dalle fonti convenzionali e
partecipazione delle rinnovabili, e la promozione del vettore elettrico.
Tittoni (Erg): per l'accumulo non serve aspettare le batterie
Percorso peculiare nell'energia nazionale è senza dubbio quello di Erg: “in pochissimo tempo,
appena 3-4 anni, abbiamo cambiato completamente pelle: da operatore oil siamo arrivati oggi a
produrre il 90% dell'Ebitda nell'elettricità”, ha rimarcato Pietro Tittoni, a.d. di Erg Power Generation,
attiva nelle rinnovabili con eolico e grande idro, oltre che nel termico. Secondo il manager le maggiori
criticità del sistema italiano sono ancora infrastrutturali (“investiamo in rinnovabili ma le infrastrutture
sono in gran parte quelle del 2004”) ma anche di regole. “L'accumulo – ha osservato – oggi è
costoso, i costi non stanno nei business plan per mancanza di strumenti regolatori. Chi investe trova
ristoro solo nel mercato del dispacciamento”. Erg, ha notato ad esempio, ha capacità eolica e
idroelettrica, e “la prima potrebbe fornire energia per alimentare il pompaggio. Ma questo non è
possibile senza acquistare l'energia necessaria sul mercato, il che ha tutt'altro costo. Invece – ha
notato Tittoni – si potrebbero ricercare soluzioni per sfruttare l'enorme potenziale di accumulo
restando all'interno dell'attuale perimetro di regole. E senza aspettare le batterie. Erg – ha concluso –
vuole creare sinergie tra fonti ma non può. Bisognerebbe studiare delle soluzioni, “magliando” la rete
con perimetri più ristretti si può trovare il modo di aggregare domanda e offerta”, ha aggiunto.
Rammaricandosi infine che il tentativo di elaborare un nuovo modello organico di mercato esplorato
lo scorso anno con lo studio Confindustria-Poyry sia rimasto finora senza seguito.
Artizzu (Eps): un futuro di domanda ferma e tecnologia al galoppo
Proprio nello sviluppo di dispositivi di accumulo – in questo caso basati su celle di combustibile in
ciclo chiuso integrate da un software gestionale – e sistemi di produzione isolati opera la Electro
Power Systems. E anche per Giuseppe Artizzu, executive director Global Energy Strategy di Eps, le
trasformazioni del settore sono venute per restare: “pensare che il cambiamento possa venire da un
rimbalzo dei consumi è pia illusione: prepariamoci a un contesto di domanda ferma e innovazione
tecnologica veloce”. Un quadro in cui, prosegue, “le risposte possono essere due: una ri-regolazione
(ossia riscrivere le regole), oppure affidarsi al darwinismo del mercato”. E secondo il manager è
questa soluzione da preferire: in un mondo che evolve in fretta “non si può pensare che la
regolazione abbia una lettura dei trend tecnologici adeguata quanto a rapporto tra costi e efficacia. Il
mercato ci sembra lo strumento più adatto per gestire l'innovazione, che dev'essere vista come
un'opportunità, non come una minaccia”.
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Da questo principio, secondo Artizzu si possono trarre conclusioni su temi di attualità. Ad
esempio sul mercato della capacità: “di fronte a fonti che danno energia ma non capacità la questione
è sacrosanta. Come farlo in concreto, però, è decisivo”. La visibilità per investire in capacità e
flessibilità, nota Artizzu, può venire anche da contratti di lungo periodo. “La neutralità tecnologica
bisogna assicurarla, non solo parlarne”, aggiunge, e i casi di Usa e UK mostrano che all'offerta di
regolazione di frequenza e riserva operativa possono concorrere tutte le fonti, dalle rinnovabili agli
accumuli, dai motori diesel alla domanda. Conta molto il modo in cui cambiano le regole, conclude, e
non solo “per chi è già sul mercato ma anche per chi vuole entrarci”.
Il dibattito con la platea: governance cercasi
Tra gli interventi dalla platea, Sergio Garribba, ex d.g. Energia del Mise e consigliere del
ministero degli Esteri, ha messo l'accento sull'importanza dell'attività di misura: “oggi viene proposto
un sistema non adeguato a un contesto in cui tutti i soggetti, produttori, reti, consumatori, parlano tra
loro”. L'ex presidente dell'Autorità per l'energia Alessandro Ortis ha invece attirato l'attenzione sul
nodo della governance, a cominciare dalla frammentazione delle competenze in Italia (“servirebbe un
unico ministero dello Sviluppo sostenibile”) e in Ue (“avere un commissario e un vicepresidente per
l'Energia impedisce una gestione integrata”). Più in generale, ha aggiunto, sembra ancora mancare
chiarezza sulla scelta di fondo tra concorrenza e vecchi assetti, inclusi i conflitti di interesse dello
Stato-azionista. Uno spunto, quello sulla direzione politica di fondo, su cui è tornato Valotti: “senza
una visione di fondo nessun contatore e nessun capacity market funzioneranno mai. Nel settore molti
predicano il mercato ma praticano le protezioni. Le imprese non andranno mai in quella direzione di
loro volontà. Se da noi la concorrenza non si è pienamente dispiegata è perché abbiamo una
regolazione ancora giovane, autorità poco indipendenti, influenzate dai regolati o peggio appese al
filo di bilanciamenti politici. In altri paesi quel cordone ombelicale con la politica non c'è o più maturo”.
Starace: il “cervello rettile” e la sindrome della megacentrale
Dall'intervento dell'a.d. Enel al ritiro del Premio
“L'energia diventa sempre più importante nella società ma anche più dipendente dall'evoluzione
della società stessa. Senza la nostra base clienti, intendendo l'intero tessuto sociale, non
esisteremmo. Ma al tempo stesso senza le nostre macchine non avremmo nulla da darle. E se i
clienti sapessero usarle da soli, non sopravvivremmo.
“Intorno a questi due elementi (società e macchine) stanno succedendo cose strane. Uno
tsunami tecnologico si sta abbattendo sul nostro mondo con stranissime ripercussioni. In un noto
saggio, What Technology Wants, Kevin Kelly sostiene che la tecnologia sia dotata di una dinamica e
di una direzione proprie, che chiedono di essere capite e interpretate. Di sicuro i nostri clienti sono
tecnologicamente più avanti di noi e la tecnologia ci mette a disposizione cose che nessuno avrebbe
sognato solo 10 anni fa.
“Per il nostro settore ciò ha due conseguenze: da un lato che ci sarà sempre bisogno di energia
elettrica, dall'altro che la nostra attività sarà sempre più volatile e in balia dei cambiamenti. In un
simile contesto prevedere è arrogante, frenare è futile.
“Dobbiamo avere invece un sistema in grado di adattarsi velocemente, evitando due ‘peccati' che
negli ultimi anni ci stanno uccidendo: costruire centrali senza una visibilità di lungo termine, senza ad
esempio accordi PPA; e costruire impianti grandi, che richiedono più di tre anni e rischiano di arrivare
in un mondo diverso da quello in cui erano partiti.
“Questa sindrome è radicata, come il cosiddetto cervello rettile. (Nel settore) abbiamo tutti questo
‘baco' e dobbiamo combatterlo, estirparlo dalle nostre strutture aziendali, passare a fare tanti impianti
più piccoli. Magari faremo meno inaugurazioni ma avremo un'azienda che potrà ‘girarsi' a destra e a
sinistra, tornare indietro se necessario senza grandi danni. Posso dire che in Enel oggi non c'è
nessun progetto che finisca tra più di 2 o 3 anni. Quello che c'era lo abbiamo venduto o cancellato.
All'inizio abbiamo incontrato alcune incomprensioni nelle altre utility, che ora però stanno facendo lo
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stesso.
“Nella generazione il grosso degli investimenti va nei piccoli impianti a rinnovabili che offrono una
visibilità del flusso di cassa. Il secondo grande fronte è poi la digitalizzazione delle reti in bassa e
media tensione, per la gestione di questi flussi di energia. Qui vedrete noi e altri fare grandi
investimenti. Investiremo 2,5 miliardi in quattro anni negli smart meter, apparecchi che faranno
soprattutto misura ma che permetteranno ad altri di usarli anche per ulteriori applicazioni.
“Pochi ambienti sono poco innovativi come quello delle utility. Noi per definizione ‘non sbagliamo
mai' e chi non sbaglia mai non può innovare. Abbiamo dovuto smontare interi filoni di ricerche inutili e
guardare cosa succede fuori per poter cominciare a innovare.
“Di solito si innova per competere, ma con chi? Sì, noi competiamo con le altre aziende ma in
realtà stiamo competendo prima di tutto con le fonti diverse da quella elettrica. Il nostro obiettivo è
diffondere l'uso dell'elettricità. La vera sconfitta sarebbe non portarla nel campo della mobilità, il
successo è riuscirci. Poi chi di noi avrà la fetta maggiore del mercato è questione di secondo ordine.
Ci interessa trovare un sistema che funzioni e una volta trovato lo mettiamo in circolo senza volerne
l'uso esclusivo. Più gente lo usa e meglio è. Anche su questo abbiamo avuto discussioni con gli altri
elettrici.
“Ma se vogliamo dare energia elettrica a 1,4 miliardi di persone che oggi non ce l'hanno,
dobbiamo innovare. Se esiste un sistema (di produzione/consumo) compatibile con i Paesi in via di
sviluppo cosa succede se lo portiamo qui da noi? La risposta mi pare molto interessante”.
Fiamm: “la batteria può essere il nuovo trasformatore”
Carlo Parmeggiani ritira il premio per Stefano Dolcetta
Ritirando il premio Aiee “Edgardo Curcio” per l'Energia Sostenibile a nome dell'a.d. Stefano
Dolcetta, il direttore Ricerca e Sviluppo Batterie di Fiamm, Carlo Parmeggiani si è detto convinto
che, per l'ampiezza e la profondità delle sue applicazioni, la batteria possa avere in futuro lo stesso
impatto di innovazione per il settore energetico del trasformatore 50-70 anni fa. Delineando la
strategia dell'azienda, Parmeggiani ha poi spiegato che l'obiettivo Fiamm è puntare prima sui mercati
della mobilità – non però automobile bensì bus, mezzi per la pulizia stradale e miniere – e del
backup, con dispositivi che non temono i climi caldi e quindi pronti a giocare un ruolo in continenti
come l'Africa. Nell'energy storage invece la società lavora per essere “pronta a raccogliere le sfide
quando si supererà la fase pre-industriale”. Va ricordato però, ha aggiunto, che “se l'accumulo
elettrochimico costa troppo è anche perché mancano ancora i volumi giusti e sviluppi completi. Inoltre
bisogna analizzare nel dettaglio costi fissi e variabili”.
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