analisi di alcune ipotesi di adeguamento del metodo normalizzato

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analisi di alcune ipotesi di adeguamento del metodo normalizzato
Rapporto al Comitato di Vigilanza
sull’Uso delle Risorse Idriche
Giovanni Fraquelli – Francesco Giunta – Luigi Prosperetti
ANALISI DI ALCUNE IPOTESI DI ADEGUAMENTO
DEL METODO NORMALIZZATO
PER LA TARIFFA IDRICA
INDICE
CAPITOLO PRIMO
MOTIVAZIONI DELLO STUDIO E SUA STRUTTURA
1.1. MOTIVAZIONI
DELLO STUDIO
PAG.
6
1.2. BREVE STORIA DELLO STUDIO
PAG.
6
1.3. STRUTTURA DELLO STUDIO
PAG.
7
2.1. IL TRATTAMENTO CONTABILE DELLE IMMOBILIZZAZIONI
PAG.
11
2.1.1.
2.1.2.
2.1.3.
2.1.4.
Introduzione
Le immobilizzazioni materiali
Le immobilizzazioni immateriali
L’ammortamento delle immobilizzazioni di proprietà
2.1.4.1. Le finalità dell’ammortamento
2.1.4.2. Gli elementi del piano di ammortamento
2.1.4.3. Ulteriori precisazioni sulla costruzione del piano di ammortamento
2.1.4.4 I costi di rinnovo (rinvio)
2.1.4.5
La rilevazione e rappresentazione contabile dell’ammortamento
2.1.5. Le svalutazioni eccezionali per perdite durevoli di valore e i ripristini di valore
2.1.6. Le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria
(riparazione, ampliamento e miglioramento)
2.1.7. I contributi in conto capitale commisurati al costo di immobilizzazioni materiali
2.1.8. «Proprietà industriale», «proprietà di concessione» e «beni non di proprietà»
utilizzati in concessione: l'impatto economico delle condizioni di devoluzione
2.1.9. Il trattamento contabile dei costi relativi ai «beni non di proprietà»
utilizzati in concessione
2.1.10. Il trattamento contabile dei costi di devoluzione della
«proprietà di concessione»
2.1.10.1.
I beni gratuitamente devolvibili con vita
utile superiore alla durata della concessione
2.1.10.2.
I beni gratuitamente devolvibili con vita
utile inferiore alla durata della concessione
2.1.11. La rappresentazione in bilancio dei beni gratuitamente devolvibili
pag. 11
pag. 12
pag. 13
pag. 15
pag. 16
pag. 18
pag. 21
pag. 23
pag. 24
pag. 25
2.2. IL TRATTAMENTO DEI COSTI CONGIUNTI
PAG.
2.2.1.
2.2.2.
pag. 56
pag. 57
CAPITOLO SECONDO
PRINCIPALI PROBLEMI METODOLOGICI
Causalità e centri di costo
Dai centri di costo alle “attività”. L’Activity Based Costing
pag. 30
pag. 32
pag. 35
pag. 38
pag. 40
pag. 40
pag. 45
pag. 54
56
2.3. IL RUOLO DELLE VARIABILI STRUTTURALI E TECNOLOGICHE
PAG.
2.3.1.
2.3.2.
2.3.3.
pag. 59
pag. 61
pag. 63
Le variabili strutturali
Le variabili gestionali
Le variabili tecnologiche
2
59
CAPITOLO III
ANALISI DESCRITTIVA DEI QUESTIONARI PERVENUTI
3.1. PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI QUESTIONARI PERVENUTI
PAG. 65
3.1.1.
3.1.2.
3.1.3.
3.1.4.
pag. 65
pag. 65
pag. 66
pag. 68
Oggetto e obiettivi dell’analisi
Dimensione del campione, assetto proprietario e forma giuridica
Diversificazione e integrazione
Aspetti dimensionali delle imprese esaminate
3.2. IL TRATTAMENTO DELLE IMMOBILIZZAZIONI
PAG. 71
3.2.1.
3.2.2.
pag. 71
pag. 72
pag. 74
pag. 78
3.2.3.
3.2.4.
Oggetto e obiettivi dell’indagine strutturale
Le politiche di ammortamento adottato
3.2.2.1. L’ammortamento dei beni in proprietà
3.2.2.2. L’ammortamento dei beni in concessione
Il trattamento contabile delle spese di manutenzione, ripristino,
rinnovo e simili
3.2.3.1. Le migliorie su beni di terzi
3.2.3.2. I costi di allacciamento
3.2.3.3. Gli accantonamenti al fondo manutenzione e ripristino
beni gratuitamente devolvibili
3.2.3.4. Le manutenzioni ordinarie e straordinarie
Conclusioni
pag. 80
pag. 81
pag. 81
pag. 83
pag. 87
pag. 93
3.3. IL TRATTAMENTO DEI COSTI CONGIUNTI
PAG. 94
3.3.1. I quesiti del questionario
3.3.2. Le risposte ai questionari
pag. 94
pag. 94
3.4. IL COSTO DEL SERVIZIO IDRICO
PAG. 97
3.4.1.
3.4.2.
3.4.3
pag. 97
pag. 98
pag. 99
La struttura dei costi operativi
Il costo del lavoro per addetto
Costi medi e dimensione
CAPITOLO IV
STIME DELLA FUNZIONE DI COSTO DA IMPIEGARE
NEL METODO NORMALIZZATO
4.1 PROBLEMI METODOLOGICI NELLA STIMA
DELLE FUNZIONI DI COSTO
PAG. 106
4.1.1
4.1.2
4.1.3
pag. 106
pag. 109
pag. 113
Le proposte dell’analisi economica relative al servizio acque potabili
Le proposte dell’analisi economica relative al servizio trattamento reflui
Il metodo normalizzato per la definizione delle tariffe di riferimento
4.2 ANALISI ECONOMETRICA DELLA FUNZIONE DI
COSTO RELATIVA AL SERVIZIO ACQUE POTABILI (COAP)
PAG. 116
4.2.1
pag. 116
L’algoritmo attualmente in vigore
3
4.2.2
4.2.1.1 Verifica econometrica del modello COAP
Analisi esplorativa di altri modelli
4.2 ANALISI ECONOMETRICA DELLA FUNZIONE DI COSTO
RELATIVA AL SERVIZIO FOGNATURE (COFO)
4.3.1
4.3.2
Verifica econometrica dell’algoritmo
COFO attualmente in vigore
Analisi esplorativa di altri modelli
4.4.2
PAG. 126
pag. 126
pag. 128
4.4 ANALISI ECONOMETRICA DELLA FUNZIONE DI COSTO
RELATIVA AL SERVIZIO TRATTAMENTO REFLUI (COTR)
4.4.1
pag. 117
pag. 121
Valutazione empirica dell’algoritmo COTR
attualmente in vigore
Analisi esplorativa di altri modelli
PAG. 131
pag. 131
pag. 132
CONCLUSIONI
PAG.
138
TARIFFE E DOMANDA DI ACQUA PER USI CIVILI:
UN’ANALISI DELL’EVIDENZA EMPIRICA INTERNAZIONALE
PAG.
142
Premessa
1. L’utilizzo delle risorse idriche
2. La struttura tariffaria per il servizio di fornitura
3. L’elasticità della domanda
4. Le determinanti del consumo per usi civili della risorsa idrica
5. Conclusioni
pag. 143
pag. 143
pag. 147
pag. 154
pag. 256
pag. 164
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
PAG. 166
APPENDICE
4
CAPITOLO PRIMO
MOTIVAZIONI DELLO STUDIO
E SUA STRUTTURA
1.1 MOTIVAZIONI DELLO STUDIO
Il presente studio contiene i risultati dell’incarico affidato ai proff.
Francesco Giunta, Giovanni Fraquelli e Luigi Prosperetti con D.M. 29 dicembre
1998, n.5556, su proposta del comitato di Vigilanza sull’uso delle risorse idriche,
nell’esercizio della propria facoltà di proporre eventuali modifiche al metodo
normalizzato, come disposto dall’art. 11 del D.M. 1 agosto 1996.
Tale incarico prevedeva in particolare la realizzazione delle seguenti fasi:
1. preparazione di un nuovo questionario per la rilevazione dei dati gestionali e
di costo degli attuali gestori dei servizi idrici, opportunamente specificato per
consentire la rilevazione degli ammortamenti e l’attribuzione dei costi
congiunti, da somministrarsi a cura del Comitato, ad un campione
rappresentativo di enti che gestiscono il servizio idrico;
2. analisi metodologica delle problematiche inerenti
ammortamenti, nel quadro dell’applicazione del metodo;
la
stima
degli
3. elaborazione di una metodologia standardizzata per l’applicazione dei costi
congiunti;
4. nuova stima, sulla base dei dati risultanti dal questionario di cui al punto 1,
nonché delle metodologie elaborate di cui ai punti 2 e 3, del modello dei costi;
5. coordinamento metodologico delle simulazioni sugli effetti derivanti dalla
applicazione del metodo di cui al Decreto 1 agosto 1996 in un campione di
ambiti determinato dal Comitato, nonché di eventuali modificazioni del
metodo risultanti dalla fase 4;
6. sulla base dei risultati dei punti precedenti, elaborazione di una relazione
finale contenente le eventuali variazioni o integrazioni al metodo
normalizzato.
Secondo l’incarico sopra citato, il prof. Francesco Giunta avrebbe svolto le
attività di cui ai numeri 2 e 3 dell’elenco precedente; il prof. Giovanni Fraquelli
quelle di cui ai numeri 4 e 5; il prof. Luigi Prosperetti quelle di cui ai numeri 1 e
6.
1.2 BREVE STORIA DELLO STUDIO
L’incarico prevedeva originariamente una durata annuale per la
realizzazione dello studio.
Come comunicato al Comitato con lettera 21.12.99, tuttavia, difficoltà e
ritardi emersi nella precisazione di problemi tecnici di rilievo inerenti alla
preparazione del questionario, ed alla selezione del campione, non attribuibili ai
6
soggetti incaricati dello studio, rendevano opportuna una proroga di termini per il
suo completamento, che venivano fissati al 27.11.00 con D.M. 15.5.00, n.5107.
La realizzazione dello studio è comunque avvenuta tra molteplici
difficoltà, in larga parte attribuibili alla scarsa collaborazione delle aziende cui
erano stati inviati i questionari.
Trenta di queste erano state invitate dal Comitato, insieme alle tre
Associazioni di settore, a partecipare ad una riunione di presentazione del
questionario in data 17.11.99. Da questa emergeva un sostanziale consenso sul
questionario; alle imprese intervenute veniva quindi richiesto di far pervenire
eventuali proposte di integrazione allo stesso entro il 30.11.99.
Il gruppo di lavoro provvedeva quindi a rivedere, sulla base delle
osservazioni ricevute, il questionario inviato alle aziende indicate dal Comitato
nei primi giorni del dicembre 1999. Nel mese successivo, pervenivano soltanto
due risposte. In data 11.2.00 veniva quindi trasmessa dal Comitato al gruppo di
lavoro una nota Anfida – Federgasacqua nella quale venivano avanzate critiche
infondate sul questionario che apparivano in larga misura strumentali; e volte
oggettivamente ad ostacolare la realizzazione dello studio affidato al gruppo di
lavoro dal Comitato e dal Ministero.
Quelle critiche venivano puntualmente ribattute con nostra lettera 1.2.00,
nella quale chiedevamo al Comitato una energica azione di sollecito alle
associazioni e alle aziende per l’invio, nei tempi più brevi, delle risposte ai
questionari.
L’azione di sollecito del Comitato esplicava effetti positivi, ancorché
parziali: soltanto 25 delle 31 aziende interpellate hanno infatti provveduto a
rispondere al questionario.
1.3 STRUTTURA DELLO STUDIO
Sul piano metodologico, lo studio qui presentato prendeva le mosse da
alcune constatazioni fondamentali.
In primo luogo, appariva necessario aggiornare i dati sulla base dei quali
erano stati stimati i parametri del metodo normalizzato. Come noto, questi erano
stati raccolti in riferimento agli anni 1992 – ’94. Il tempo da allora trascorso era
stato peraltro gravido di sviluppi, tali da modificare in maniera significativa il
livello e la struttura dei costi delle aziende del settore idrico:
– l’approvazione della legge 36/94, che segnava certamente l’apertura di una
fase di aggregazione ed integrazione degli operatori;
7
–
la graduale trasformazione di enti e gestioni dirette in altre forme giuridiche,
come consorzi, aziende municipalizzate, società per azioni;
– l’evoluzione tecnologica, sia nel settore che in quelli ad essi contigui (in
primis quello del gas di erogazione), che consentiva notevoli riduzioni di
organico.
In secondo luogo, pareva opportuno riesaminare a fondo due aspetti
contabili in grado di esercitare un forte influsso nella valutazione dei costi: gli
ammortamenti e l’allocazione dei costi congiunti.
Come ben noto, gli ammortamenti entrano in modo additivo nella formula
individuata dal metodo normalizzato, e sono quindi trasferiti “a piè di lista” sui
costi totali delle aziende. Il problema del trattamento di questa posta contabile in
presenza di un insieme - a volte difficilmente districabile – di immobilizzazioni di
proprietà delle imprese idriche, e di beni ad esse soltanto in uso, è in grado di
portare a sensibili differenze di trattamento e classificazione, con evidenti effetti
nella quantificazione di questa rilevante voce di costo da parte di imprese diverse.
Il problema dell’allocazione dei costi congiunti è anch’esso molto
complesso, ed i suoi riflessi sul piano empirico particolarmente rilevanti in
aziende così frequentemente multiutility come quelle operanti nel settore. Va
subito detto che esso non è suscettibile di una soluzione univoca, almeno fino a
quando il settore non sarà caratterizzato da aziende medio - grandi, ben dotate di
sistemi contabili sufficientemente evoluti. Tuttavia, un approfondimento di questo
aspetto appare necessario, sia pure sul semplice piano metodologico, per acquisire
un’idea di massima del grado di approssimazione che possono avere le
informazioni sui costi raccolte.
Alla luce di dati più recenti, ed avendo chiarito alcune questioni contabili
di grande rilevanza, era poi opportuno estendere l’analisi in altre direzioni per
studiare l’impatto (maggiore o minore) di un ampio insieme di variabili strutturali,
tecniche e gestionali mediante opportuni adattamenti del questionario,
provvedendo infine a stimare nuovamente le funzioni statistiche indicate nel
metodo normalizzato, nonché a studiare eventuali modificazioni.
La struttura dello studio riflette questi orientamenti assai da vicino. Così,
nel secondo capitolo esso considera tre gruppi di problemi metodologici: il
trattamento contabile delle immobilizzazioni, quello dei costi congiunti, il ruolo
delle variabili strutturali, gestionali e tecnologiche.
Nel terzo capitolo si provvede all’analisi statistica dei questionari
pervenuti, vedendoli sia sotto il profilo descrittivo sia – quando rilevante analizzando le correlazioni dei costi medi di produzione del servizio idrico (e,
occorrendo, delle sue singole fasi) con diversi gruppi di variabili. Alle analisi di
8
questo capitolo viene premessa una sintetica valutazione sulle principali
caratteristiche dei questionari pervenuti: come si vedrà, essi sono non di rado
imprecisi o incompleti, e ciò deve indurre a valutare con cautela ogni correlato
empirico che da essi si possa trarre. Dopo tale premessa, vengono esaminate le
risposte ottenute, ed avanzate alcune prime ipotesi sulle determinanti dei costi.
Il quarto capitolo è dedicato alla stima di modelli alternativi di funzioni di
costo, dopo una rassegna metodologica sulle caratteristiche di tali strumenti
interpretativi.
Nelle conclusioni ci si basa infine sui precedenti capitoli per riflettere – nei
limiti dell’evidenza empirica raccolta – su alcune linee orientative per una
possibile modificazione dell’approccio alla determinazione delle tariffe prevista
dal metodo normalizzato.
Nell’appendice del lavoro presentiamo infine una sintesi, basata su varie
fonti internazionali, degli studi disponibili sul prezzo dei servizi idrici.
9
CAPITOLO SECONDO
PRINCIPALI PROBLEMI
METODOLOGICI
2.1 . IL TRATTAMENTO CONTABILE DELLE IMMOBILIZZAZIONI
2.1.1.INTRODUZIONE
La presente sezione di questo II capitolo ha lo scopo di indicare i corretti
principi contabili relativi alla rilevazione, valutazione e rappresentazione in
bilancio delle immobilizzazioni materiali e immateriali.
Più in particolare, si intendono richiamare le linee guida che secondo la
normativa civile, la prassi contabile e la dottrina dovrebbero essere seguite per:
a) attuare le politiche di ammortamento;
b) rilevare e rappresentare le spese di manutenzione, ripristino, rinnovo e simili.
Tale obiettivo è perseguito guardando a due tipologie di immobilizzazioni:
a) beni in proprietà;
b) beni in concessione.
Si definiscono, dapprima, i corretti principi contabili relativi alla
rilevazione, valutazione e rappresentazione delle immobilizzazioni, materiali e
immateriali, di proprietà. In particolare, si concentra l'attenzione sui seguenti
aspetti:
 la determinazione del valore originario;
 l'ammortamento delle immobilizzazioni;
 le svalutazioni eccezionali per perdite durevoli di valore e i ripristini di
valore;
 il trattamento contabile delle spese di manutenzione ordinaria e
straordinaria;
 i contributi in conto impianti.
Delineato il quadro generale, si definiscono le peculiarità relative ai beni in
concessione e i principi contabili conseguentemente applicabili.
Per i beni in proprietà, i corretti principi contabili sono definiti alla luce
delle indicazioni contenute nei documenti emanati dal Consiglio nazionale dei
Dottori Commercialisti e Consiglio Nazionale dei Ragionieri e, ove mancanti,
dall' International Accounting Standards Committee.
Per i beni in concessione, invece, i principi contabili nazionali e
internazionali non affrontano il problema in modo sistematico. Si impone, quindi,
uno sforzo di approfondimento che, muovendo dall'osservazione della realtà e dai
contributi della migliore teoria, sia volto a definire norme di generale accettazione che
servano di guida alla pratica.
11
2.1.2. LE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI
Le immobilizzazioni materiali sono beni di uso durevole costituenti
l'organizzazione permanente dell'impresa. Perché un'attività materiale possa
presentare il carattere di immobilizzazione, devono essere verificati i seguenti
requisiti:
 deve essere posseduta dall'impresa per essere utilizzata nella produzione o
fornitura di beni e servizi, per affittarla a terzi, per scopi amministrativi o
per la costruzione e manutenzione di altre immobilizzazioni;
 deve essere stata acquistata o prodotta con l'intenzione di essere utilizzata
su basi continuative e, pertanto, si attende che sia utilizzata per più di un
esercizio;
 non deve essere destinata alla vendita o oggetto di trasformazione per
l'ottenimento di prodotti destinati alla vendita nella normale attività
dell'impresa.
L’acquisizione delle immobilizzazioni materiali può avvenire secondo una
delle seguenti modalità:
a)
b)
c)
d)
acquisto in senso stretto;
costruzione interna o «in economia»;
acquisizione a titolo gratuito;
permuta.
Tranne casi particolari, il valore originario da iscrivere in bilancio è
rappresentato dal costo di acquisizione.
Nel caso di acquisto da terze economie, il valore originario è rappresentato
dal costo di acquisto, dagli oneri accessori d'acquisto e da tutti gli eventuali altri
oneri che l'impresa deve sostenere affinché l'immobilizzazione possa essere
utilizzata.
Nel caso di produzione, il valore originario comprende tutti quei costi
relativi alle costruzioni che l'impresa deve sostenere perché l'immobilizzazione
possa essere utilizzata. A norma dell'art. 2426, comma 1, n. 1, il costo di
produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può
comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al
prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene
può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi
al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi.
Le immobilizzazioni materiali ricevute a titolo gratuito devono essere
iscritte in base al presumibile valore di mercato delle immobilizzazioni ricevute,
al netto degli eventuali costi di adattamento sostenuti o da sostenere per inserire
12
utilmente il bene nel processo produttivo dell’impresa. Il valore così determinato,
è contabilizzato come provento straordinario (1).
Con la permuta si cede la proprietà di un bene in cambio della proprietà di
un altro bene. L’operazione può avere una duplice finalità (2):
a) la permuta non rappresenta, nell’aspetto sostanziale una compravendita,
ma costituisce un mezzo per procurare la disponibilità di un bene simile,
senza l’obiettivo del conseguimento di un ricavo;
b) la permuta è sostanzialmente riconducibile ad una operazione di
acquisto/vendita.
Nell’ipotesi sub a), il valore originario dell’immobilizzazione acquisita deve
essere tenuto pari al valore netto contabile dell’immobilizzazione ceduta.
Nell’ipotesi sub b), la permuta è sostanzialmente riconducibile ad una
operazione di vendita e di acquisto: la differenza tra il valore del cespite dato in
permuta e il valore del cespite ricevuto in permuta, dà luogo ad un conguaglio in
denaro. In questo caso:
 il valore di mercato del bene ricevuto in permuta rappresenta il valore da
iscrivere per il bene ricevuto;
 il valore di mercato del bene dato in permuta rappresenta il valore con
cui si determina l’utile o la perdita sul bene dato in permuta.
2.1.3.LE IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI
Le immobilizzazioni immateriali sono costituite da costi che non
esauriscono la loro utilità in un solo periodo, ma manifestano i benefici economici
lungo un arco temporale di più esercizi. Esse, tuttavia, sono caratterizzate dalla
mancanza di tangibilità: per questo motivo sono definite immateriali o
intangibili.
Nella categoria delle immobilizzazioni immateriali si comprendono:
a) gli oneri pluriennali;
b) i beni e diritti immateriali;
c) l’avviamento.
Gli oneri pluriennali hanno caratteristiche di indeterminatezza più marcate
rispetto ai beni immateriali veri e propri. Questi hanno una propria individualità e
sono, di norma, rappresentati da diritti giuridicamente tutelati; possono essere
(1) CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI,
Le immobilizzazioni materiali, Documento 16 della Commissione per la Statuizione dei Principi
Contabili, Milano, Giuffrè, marzo 1996, par. D.II.d).
(2) CNDC, Principio contabile n. 16, par. D.II.c); INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS
COMMITTEE, IAS n. 16, Property, Plant and Equipment, 1993, par. 22-23.
13
valutati e qualificati in modo autonomo e indipendente dal complesso dei beni
dell'impresa.
Le immobilizzazioni immateriali sono iscritte nell'attivo dello Stato
patrimoniale soltanto se si riferiscono a costi che:
 sono effettivamente sostenuti e non esauriscono la propria utilità
nell’esercizio di sostenimento;
 manifestano una capacità di produrre benefici economici futuri;
 possono essere distintamente identificati e quantificati in modo
attendibile.
Accertata l'utilità pluriennale di tali costi:
per i beni immateriali soggetti a tutela giuridica e per l'avviamento,
l'iscrizione nell'attivo dello Stato patrimoniale costituisce un obbligo;
per i costi pluriennali, caratterizzati da un alto grado di aleatorietà e di
indeterminatezza, il principio di prudenza suggerisce che l'iscrizione nell'attivo
dello Stato patrimoniale costituisca una facoltà e non un obbligo (3).
Tra gli oneri pluriennali, particolare rilievo presentano i costi per migliorie
o manutenzioni straordinarie su beni di terzi. Nonostante tali costi siano diretti
ad accrescere l'utilità ritraibile dai beni materiali ad utilizzo pluriennale cui sono
correlati, essi riguardano beni che non sono di proprietà dell'impresa, ma che la
stessa utilizza in seguita a contratti di locazione, d'uso o di concessione. Tali costi
possono essere capitalizzati ed iscritti nella voce «B.I.7) altre immobilizzazioni
immateriali» se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni
stessi, ossia se non possono avere una loro autonoma funzionalità; altrimenti sono
iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali nella specifica categoria di
appartenenza (4).
Tra i beni e diritti immateriali, occorre fermare l'attenzione sulle
concessioni. Sono atti della Pubblica Amministrazione che conferiscono, a
soggetti privati:
 il diritto di utilizzare in esclusiva beni pubblici, ad esempio,
occupazione di suoli demaniali, corsi d’acqua, acquedotti, reti idriche,
canalizzazioni, impianti di depurazione, etc.;
 il diritto di gestire in condizioni regolamentate servizi pubblici, ad
esempio, di telecomunicazione, di trasporto di linea, autostrade, etc.
L'ente pubblico concedente ha a disposizione le seguenti alternative:
a) far pagare al gestore una somma una tantum, all'inizio del rapporto di
concessione;
(3) CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI
RAGIONIERI, Documento 24 della Commissione per la statuizione dei principi contabili, Le
immobilizzazioni immateriali, 1999, pag. 11.
(4) Sul trattamento contabile di tali costi, si vedano i successivi par. 6 e 9.
14
b) chiedere al soggetto gestore un canone d'uso annuale per il diritto di utilizzo
dei beni pubblici o per l'eventuale valorizzazione della concessione del
servizio;
c) far pagare al gestore, oltre ai canoni annui, una somma iniziale una tantum;
d) non far pagare alcun corrispettivo per la concessione.
Nel caso sub a), il costo viene capitalizzato ed iscritto nell'attivo dello stato
patrimoniale, tra le immobilizzazioni materiali, alla voce «B.I.4) Concessioni, licenze,
marchi e diritti simili». Tale valore è sistematicamente ammortizzato mediante quote
determinate in base alla durata della concessione stessa.
Nel caso sub b), l'ammontare del costo annuo è rilevato nel conto economico
dell'esercizio e classificato sotto la voce «B.8) per godimento di beni di terzi».
Nel caso sub c), solo l'importo pagato una tantum deve essere iscritto nella voce
B.I.4 ed ammortizzato in relazione alla durata della concessione.
Sempre nella voce B.I.4 possono essere iscritti gli altri costi interni e diretti
sostenuti per l'ottenimento della concessione, tenuti distinti dai costi di progettazione
e dagli altri costi che devono normalmente sostenersi per la gestione della
concessione stessa.
Sebbene le concessioni non siano normalmente trasferibili, può accadere di
acquisire a titolo oneroso una concessione da altri. In tal caso, il costo è iscrivibile
nella voce B.I.4 ed è ammortizzato in relazione alla durata residua della concessione.
La convenzione di concessione può stabilire l'obbligo di restituire in perfette
condizioni di funzionamento le opere e gli impianti non di proprietà, utilizzati in
concessione. I costi per gli interventi di miglioramento e di manutenzione
straordinaria realizzata su tali beni sono capitalizzati tra le immobilizzazioni
immateriali e rappresentano una particolare categoria di «attività gratuitamente
devolvibili» (5).
2.1.4.L'AMMORTAMENTO DELLE IMMOBILIZZAZIONI DI PROPRIETÀ
L'ammortamento è la «via» principale e ricorrente attraverso la quale le
immobilizzazioni tecniche incidono sul reddito di esercizio.
Di seguito, si concentra l'attenzione sui seguenti aspetti del processo di
ammortamento:
a) la finalità dell'ammortamento;
b) gli elementi del piano di ammortamento;
c) la rilevazione e rappresentazione contabile dell'ammortamento.
(5) Si veda ancora il par. 9.
15
2.1.4.1. Le finalità dell'ammortamento
Le principali finalità che, nel corso del tempo, sono state attribuite alla
procedura di ammortamento possono sintetizzarsi nelle seguenti:
a) l'ammortamento calcolato in funzione di prescelte politiche di bilancio;
b) l'ammortamento come processo di valutazione delle immobilizzazioni
tecniche;
c) l'ammortamento effettuato allo scopo di costituire i fondi necessari per
procedere al rinnovo dell'immobilizzazione;
d) l'ammortamento come processo di razionale e sistematica imputazione
dell'utilità dei cespiti durante la loro vita utile.
a) L'ammortamento calcolato in funzione di prescelte politiche di bilancio.
Secondo tale impostazione, l'ammortamento dovrebbe calcolarsi in base a
prescelte politiche di bilancio, al fine di permettere il calcolo di un reddito
consumabile e stabile nel tempo, espressione dell’andamento medio dei risultati
dell’attività d’impresa, entro un certo periodo di tempo. Oggi questa concezione
non può più essere accolta. Essa, infatti, contrasta con la finalità attribuita al
bilancio dalla legge e dai principi contabili di fornire una rappresentazione
veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e del reddito
prodotto nell'esercizio. Inoltre, essa non permette di soddisfare il fondamentale
principio di neutralità del bilancio, il quale richiede che tutti i vari interessi
convergenti su tale documento vengano trattati in modo uniforme, senza
privilegiare qualcuno rispetto ad altri.
b) L'ammortamento come processo di valutazione delle immobilizzazioni
tecniche. Secondo tale impostazione, l'ammortamento dovrebbe calcolarsi in
modo tale che i valori di bilancio delle immobilizzazioni, al netto dei relativi fondi
di ammortamento, riflettano l'effettivo valore di mercato alla fine dell'esercizio. Si
tratta di una concezione dell'ammortamento che cerca di assicurare, mediante un
unico procedimento, la soluzione di due problemi distinti:
 la ripartizione del costo pluriennale dell'immobilizzazione tra i diversi
esercizi della sua stimata vita utile;
 una valutazione di congruità dei valori di bilancio delle
immobilizzazioni, avuto riguardo ai termini di riferimento di mercato.
Più in particolare, mediante tale procedimento, si cerca di far dipendere la
soluzione del primo problema dal secondo, facendo corrispondere la quota di
ammortamento alla stimata perdita di valore di mercato delle immobilizzazioni.
Ciò potrebbe comportare una soluzione poco soddisfacente per il primo
problema. Si consideri, ad esempio, l'ipotesi in cui il valore di mercato di
un'immobilizzazione rimanga costante da un anno all'altro o addirittura aumenti,
nonostante il trascorrere del tempo e il consumo. La concezione in esame
16
suggerirebbe di non ridurre, tramite l'ammortamento, il costo storico
dell'immobilizzazione; addirittura si dovrebbe aumentarlo. Per evitare tali
problematiche è corretto svincolare la determinazione delle quote di
ammortamento da attribuire all'esercizio dal tentativo di fornire una realistica
valutazione del bene secondo parametri di mercato ed affidare questo compito alla
rivalutazione, quando sia ammessa.
c) L'ammortamento effettuato allo scopo di costituire i fondi necessari per
procedere al rinnovo dell'immobilizzazione. L'ammortamento è un
accantonamento di utili lordi che, senza dubbio, contribuisce
all'autofinanziamento aziendale. Infatti, qualora i ricavi siano sufficienti a coprire
tutti i costi «monetari», più l'ammortamento, l'impresa si «autofinanzia»
trattenendo ricchezza che potrebbe essere altrimenti erogata quale remunerazione
del capitale proprio.
Tuttavia, attribuire alla procedura di ammortamento l'obiettivo della
reintegrazione finanziaria del valore dell'immobilizzazione significa considerare
l'ammortamento non più come uno strumento di attendibile determinazione del
reddito prodotto, ma come un meccanismo per influenzare la dinamica dei flussi
finanziari. Ma, inevitabilmente, il calcolo di quote di ammortamento che servono
all'accumulo di risorse finanziarie per il rinnovo influenzano la determinazione del
reddito per limitare il prelievo fiscale e la distribuzione di utili ai soci. In sostanza
si tratterebbe di qualcosa di molto simile ad una politica di bilancio.
Inoltre, la disponibilità di risorse finanziarie per il rinnovo non dipende solo
dalla misura delle quote di ammortamento, ma prevalentemente dai molteplici
movimenti di entrata ed uscita di denaro che caratterizzano la dinamica finanziaria
della gestione. Non è quindi assolutamente scontato che un impresa riesca ad
avere la disponibilità di risorse finanziarie in misura corrispondente agli
accantonamenti per gli ammortamenti operati. E se anche così fosse, a causa della
dinamica dei prezzi e dell'evoluzione della tecnologia, difficilmente quelle risorse
finanziarie sarebbero sufficienti per garantire la sostituzione del vecchio impianto
con uno nuovo.
d) L'ammortamento come processo di razionale e sistematica imputazione
dell'utilità dei cespiti durante la loro vita utile. In un sistema contabile a valori
storici, l'ammortamento è il procedimento tecnico-contabile di ripartizione del
costo storico di un'immobilizzazione tra gli esercizi della sua stimata vita utile.
Esso non costituisce un procedimento di valutazione dei cespiti né un
procedimento per creare fondi per la sostituzione dell'immobilizzazione.
L'ammortamento deve essere razionale e sistematico e la quota imputata a ciascun
esercizio deve riferirsi alla residua possibilità di utilizzazione
dell'immobilizzazione. La sistematicità è definita nel piano di ammortamento, che
17
deve essere predeterminato e funzionale alla residua possibilità di utilizzazione
dell'immobilizzazione.
È questa la concezione di ammortamento accolta dai Principi contabili
nazionali e internazionali (6) ed imposta dalle disposizioni di legge. La norma
civilistica, infatti, all'art. 2426, comma 1, n. 2, c.c., stabilisce che il costo delle
immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo
deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la
loro residua possibilità di utilizzazione.
2.1.4.2. Gli elementi del piano di ammortamento
Come detto, la sistematicità del processo di ammortamento è definita nel
piano di ammortamento. La redazione del piano richiede di individuare tre
fondamentali elementi.
a) il valore da ammortizzare;
b) il periodo di ammortamento (residua possibilità di utilizzazione);
c) il metodo di ripartizione del valore da ammortizzare.
a) Il valore da ammortizzare. Il valore da ammortizzare coincide, di regola,
con il costo sostenuto per l'acquisto dell’immobilizzazione, aumentato degli oneri
accessori. Il costo di acquisto, così determinato, deve essere diminuito del
presumibile valore di realizzo al termine del periodo di vita utile.
Il valore residuo dell'immobilizzazione al termine del periodo di vita utile
deve essere aggiornato periodicamente dopo essere stato stimato al momento della
preparazione del piano di ammortamento in base ai prezzi realizzabili sul mercato
attraverso la cessione di immobilizzazioni simili sia per le loro caratteristiche
tecniche sia per il processo di utilizzazione cui sono state sottoposte. Tale valore
va considerato al netto delle spese di rimozione.
All’inizio del processo di ammortamento, tuttavia, la determinazione del
valore di realizzo è spesso inattendibile, oppure è stimata di importo esiguo. In
questi casi, si preferisce, per prudenza, ipotizzare che tale valore sia pari a zero e
ripartire sulla prevista vita utile l’intero costo di acquisizione e gli oneri accessori.
b) Il periodo di ammortamento (residua possibilità di utilizzazione). Per
determinare il periodo di ammortamento, i riferimenti sono sostanzialmente due:
 la vita fisica del bene;
 la vita utile economica del bene.
Nel determinare la residua possibilità di utilizzazione, la vita fisica ha, nella
generalità dei casi, scarsa importanza. Il riferimento obbligato è, piuttosto, la vita
(6) CNDC, Principio contabile n. 16, par. D.XI); IASC, IAS n. 16, par. 43.
18
utile. Essa esprime il periodo durante il quale il bene offrirà effettivamente un
contributo positivo alla produzione dell'azienda, perché potrà essere utilizzato con
convenienza economica.
La vita utile, solitamente ben più breve della vita fisica, non è facile da
quantificare. La sua stima presuppone, infatti, previsioni sul manifestarsi di
fenomeni genericamente definibili di «obsolescenza».
L’obsolescenza dipende da diverse circostanze, esterne di ambiente e interne
di azienda, le quali concorrono a rendere non più utile, per lo svolgimento
economico dei processi produttivi, il bene oggetto di ammortamento. Il progresso
tecnologico è una delle circostanze che assume maggior rilievo. Esso contribuisce
a rendere «superati» taluni prodotti, i processi produttivi e i macchinari per essi
impiegati, riducendone inevitabilmente il contributo utile alla produzione
economica dell’impresa. La stima deve tenere conto anche dei seguenti fattori:
 deterioramento fisico legato al trascorrere del tempo;
 intensità e condizioni di utilizzo del bene;
 esperienza relativa alla durata economica dei cespiti dell'impresa e del




settore industriale in cui questa opera;
correlazione con altri cespiti;
piani aziendali di sostituzione;
politiche di manutenzione e riparazione;
fattori economici, legali o ambientali che impongono limiti di utilizzo.
Poiché la residua possibilità di utilizzazione dei cespiti è la risultante di vari
fattori, l'ammortamento è un costo ricorrente che va registrato nella sua interezza
anche se l'impresa ha subìto una perdita o se il cespite non è stato sfruttato nei
volumi previsti.
c) Il metodo di ammortamento. Il metodo di ripartizione è il «modo» in cui
il valore da ammortizzare è distribuito sul periodo di ammortamento prefissato. Si
tratta, in sostanza, di definire la quota del costo pluriennale da imputare ad ogni
anno del periodo di riferimento.
I metodi possibili per operare la ripartizione sono di due tipi:
 metodi regolari o matematici;
 metodi irregolari o ragionati.
I metodi regolari si fondano su una predeterminazione, nel momento di
inizio della procedura, degli importi delle quote di ammortamento da far gravare
sugli esercizi interessati. Espressione di questi metodi sono:
 il criterio delle «quote costanti»;
 il criterio delle «quote crescenti»;
 il criterio delle «quote decrescenti».
I metodi irregolari rinunciano a predeterminare, nel momento di inizio della
procedura, l'entità delle quote di ammortamento. Queste sono quantificate, anno
per anno, alla luce di condizioni particolari. Tipica espressione di questi metodi è
19
il criterio della proporzionalità al reddito. La quota di ammortamento, cioè, viene,
di volta in volta, determinata in relazione al flusso dei costi e dei ricavi aziendali,
cercando di accentuarne la consistenza negli esercizi a più alto reddito e di ridurla
negli esercizi «di magra».
Secondo il Codice civile e i Principi contabili, l’ammortamento deve essere
operato in relazione alla residua possibilità di utilizzazione dell’immobilizzazione
sulla base di un piano sistematico e razionale, indipendente dai risultati conseguiti
nell’esercizio.
Occorre, quindi, predeterminare le ipotesi in base alle quali stabilire una
correlazione tra i ricavi realizzati e i costi di utilizzo del fattore produttivo
durevole.
La «sistematica» imputazione del valore dei cespiti durante la loro stimata
vita utile non richiede necessariamente l'applicazione del metodo a quote costanti.
Tuttavia, il metodo preferibile per il calcolo dell’ammortamento rimane proprio il
metodo «a quote costanti».
L'ammortamento a quote costanti è ottenuto dividendo il valore da
ammortizzare per il numero degli anni di vita utile. Esso si basa sull’ipotesi
semplificatrice che l’utilità del bene oggetto di ammortamento si ripartisce nella
stessa misura su ogni anno di vita utile del bene stesso. È il metodo più diffuso, di
facile applicazione ed agevola l’interpretazione dei bilanci, semplificando i
confronti nel tempo e nello spazio.
I metodi a quote decrescenti si basano sull'ipotesi che l'impresa tragga dalle
immobilizzazioni una maggiore utilità nei primi anni della loro vita, sia perché la
loro efficienza tecnica tende a diminuire con il passare del tempo, sia perché i
costi di manutenzione tendono ad aumentare per il processo di invecchiamento dei
cespiti stessi. Tali metodi permettono di ammortizzare circa i due terzi del valore
originario di un'immobilizzazione nella prima metà della sua vita utile e
comunque rispettano l'ammortamento totale lungo la durata di vita utile del
cespite. Vi sono due possibili procedimenti per applicare la metodologia a quote
decrescenti:
i) procedimento logaritmico;
ii) procedimento aritmetico.
i) Con il procedimento logaritmico, la quota di ammortamento del periodo
è determinata applicando al valore contabile netto del cespite all'inizio del periodo
la percentuale ottenuta dalla seguente formula:
P = 1− n
dove:
P = tasso di ammortamento;
n = numero di anni di vita utile;
20
B
V
B = ricavo residuo d'eliminazione;
V = valore originario.
Poiché tale percentuale è applicata sul valore contabile netto all'inizio di
ogni periodo e non sul valore originario da ammortizzare, si originano quote di
ammortamento decrescenti.
Tale metodo va applicato per la durata della vita utile; con esso, il valore
non si azzera al termine dell'ultimo anno di vita utile e, pertanto, il valore netto
contabile al termine del penultimo anno di vita utile costituisce l'ammortamento
dell'ultimo anno.
ii) Con il procedimento aritmetico (o «americano»), il tasso di
ammortamento da applicare al valore originario in ciascun esercizio è pari al
rapporto tra il numero di anni residui di vita utile (con riferimento all'inizio
dell'esercizio in considerazione) e la somma dei numeri che rappresentano gli anni
dell'intera vita utile stimata del cespite.
È accettabile usare il metodo a quote costanti per alcune classi di cespiti ed
il metodo a quote decrescenti per altre classi di cespiti.
Infine, per alcune categorie di immobilizzazioni, potrebbe essere opportuno
calcolare l'ammortamento con il metodo «a quote variabili in base ai volumi di
produzione». Questo metodo consiste nell'attribuire a ciascun esercizio la quota di
ammortamento di competenza determinata come rapporto tra le quantità prodotte
nell'esercizio e le quantità di produzione totali previste durante l'intera vita utile
dell'immobilizzazione.
2.1.4.3.Ulteriori precisazioni sulla costruzione del piano di ammortamento
I Principi contabili forniscono alcune precisazioni sui seguenti punti:
i)
il momento di inizio dell'ammortamento;
ii)
l'identificazione dei cespiti oggetto di ammortamento;
iii)
il trattamento dei fabbricati civili;
iv)
il trattamento dei cespiti completamente ammortizzati, ma ancora
funzionanti;
v)
il trattamento dei cespiti temporaneamente non utilizzati;
vi)
il trattamento delle migliorie apportate ai beni immobili di terzi presi
in affitto;
vii)
il cambiamento del piano di ammortamento.
i) Il momento di inizio dell'ammortamento. L'ammortamento ha inizio nel
momento in cui il bene è disponibile e pronto per l'uso. La regola di utilizzare la
metà dell'aliquota normale d'ammortamento per i cespiti acquistati nell'anno è
21
accettabile se la quota d'ammortamento ottenuta non si discosta significativamente
dalla quota calcolata a partire dal momento in cui il cespite è disponibile e pronto
per l'uso.
ii) L'identificazione dei cespiti oggetto di ammortamento. L'ammortamento
riguarda le immobilizzazioni la cui utilizzazione è limitata nel tempo. Pertanto
tutte le immobilizzazioni vanno assoggettate ad ammortamento, tranne quelle la
cui vita economica è temporalmente illimitata, come ad esempio i terreni. Vanno
esclusi dalla procedura di ammortamento anche i fabbricati civili, nei casi in cui si
eserciti la facoltà sotto specificata. Nel caso in cui il valore dei fabbricati incorpori
anche quello dei terreni sui quali essi insistono, ai fini dell'ammortamento il
valore dei terreni va scorporato sulla base di stime. In quei casi, invece, in cui il
terreno ha un valore in quanto vi insiste un fabbricato, se lo stesso viene meno, il
costo di bonifica può azzerare quello del terreno, con la conseguenza che
anch'esso va ammortizzato.
iii) Il trattamento dei fabbricati civili. I fabbricati civili aventi carattere
accessorio rispetto a quelli strumentali e indirettamente strumentali all'impresa
sono assimilati ai fabbricati industriali e conseguentemente devono essere
ammortizzati. I fabbricati civili rappresentanti un'altra forma di investimento
possono non essere ammortizzati; tuttavia, se ammortizzati il piano di
ammortamento deve rispondere alle medesime caratteristiche delle altre
immobilizzazioni.
iv) Il trattamento dei cespiti completamente ammortizzati, ma ancora
funzionanti. I cespiti completamente ammortizzati, ma ancora funzionanti, devono
essere esposti in nota integrativa con evidenziazione del costo originario e degli
ammortamenti accumulati.
v) Il trattamento dei cespiti non utilizzati. L'ammortamento va calcolato
anche sui cespiti temporaneamente non utilizzati. L'ammortamento va sospeso,
invece, per i cespiti che non verranno utilizzati per lungo tempo, obsoleti o da
alienare.
vi) Il trattamento delle migliorie apportate ai beni immobili di terzi presi in
affitto. Le migliorie apportate ai beni immobili di terzi, presi in affitto
dall'impresa, vanno ammortizzate nel periodo più breve tra quello in cui le
migliorie stesse possono essere utilizzate e quello di durata residua dell'affitto. Se
esistono situazioni obiettive che fanno ritenere che il contratto sarà rinnovato,
anche il periodo di rinnovo deve essere considerato nel determinare la durata
dell'ammortamento, sempre che la maggior durata dell'affitto sia inferiore al
periodo di previsto utilizzo delle migliorie (7).
vii) Il cambiamento del piano di ammortamento. Il piano di ammortamento
non è immutabile. Periodicamente occorre rivedere le condizioni interne di
(7) Sul trattamento contabile di tali spese, si veda il successivo par. 6.
22
azienda ed esterne di ambiente che avevano determinato le ipotesi poste alla base
del piano. Se le condizioni sono cambiate occorre rivedere il piano, apportando
cambiamenti:
 nella stima della residua possibilità di utilizzazione (vita utile);
 nel metodo di ripartizione.
Se viene modificata la stima della residua possibilità di utilizzazione, il
valore contabile netto dell'immobilizzazione (valore originario meno fondo
ammortamento) al momento di tale cambiamento va ripartito sulla nuova vita utile
residua del cespite.
Il cambiamento degli elementi del piano rappresenta un cambiamento nelle
stime e non un cambiamento nelle politiche contabili né un errore relativo ad
esercizi precedenti. In quanto tale, la modifica del piano di ammortamento deve
essere rappresentata in modo prospettico, e non retrospettivo, nel bilancio di
esercizio. Occorre, quindi, imputare gli effetti al periodo corrente e a quelli
successivi (8).
Le modifiche, infine, devono essere motivate nella nota integrativa ai sensi
dell'art. 2426, comma 1, n. 2, c.c.
2.1.4.4. I costi di rinnovo (rinvio)
La sostituzione di una immobilizzazione materiale può comportare costi di
importo superiore a quelli originariamente sostenuti per l'acquisizione. In questo
caso, il calcolo delle quote di ammortamento sul valore di costo storico non
consente di mantenere l’integrità del capitale se si è costretti a dover rinnovare
l’impianto sostenendo un costo di sostituzione più alto. Potrebbe essere, quindi,
necessario ampliare l’ammortamento economico: calcolare, cioè, le quote non sul
costo di acquisizione, ma sul costo di rinnovo, che è maggiore del costo di
sostituzione.
L'ammortamento, tuttavia, come detto, è la ripartizione del costo di un
immobilizzazione tra gli esercizi della sua vita utile e non un procedimento per
creare fondi per la sostituzione dei cespiti. Pertanto, per risolvere il problema, si
possono continuare a calcolare le quote di ammortamento sul costo storico e
«mettere da parte» le risorse necessarie per il rinnovo mediante:
 accantonamenti di utili lordi, ad uno specifico fondo di rinnovamento;
 accantonamenti di utili netti, costituendo apposite riserve denominate
«riserve rinnovamento impianti».
(8) Sulla rappresentazione retrospettiva e prospettica di cambiamenti nelle politiche contabili e
correzione di errori determinanti relativi ad esercizi precedenti, si veda: INTERNATIONAL
ACCOUNTING STANDARDS COMMITTEE, IAS n. 8, Net Profit or Loss for the Period, Fundamental Errors
and Changes in Accounting Policies, 1993.
23
La costituzione di riserve di utili netti è la soluzione suggerita dai
principi contabili nazionali (9). Diversa, invece, è la situazione di fondi
rinnovamento stanziati da imprese che, allo scadere di concessioni, devono
devolvere gli impianti gratuitamente e in condizioni di normale funzionamento.
In questo caso, occorre operare gli accantonamenti necessari per la costituzione
di un fondo che consenta di ripristinare gli impianti alla scadenza (10).
2.1.4.5. La rilevazione e rappresentazione contabile dell'ammortamento
Contabilmente, l’ammortamento può essere rilevato:
 con il metodo diretto o «in conto»;
 con il metodo indiretto o «fuori conto».
Con il procedimento diretto o in conto, il valore del bene viene
gradualmente ridotto mediante la registrazione della quota di ammortamento nella
sezione Avere dello stesso conto che accoglie il valore originario del fattore
produttivo a fecondità ripetuta.
Con il procedimento indiretto o fuori conto, il valore del bene viene
gradualmente ridotto mediante la rilevazione della quota di ammortamento nella
sezione Avere di un altro conto, il Fondo ammortamento, che ha lo scopo di
rettificare indirettamente il valore del cespite.
La correzione indiretta, mediante l’impiego del Fondo Ammortamento, ha
un maggior valore informativo poiché permette di conoscere, in ogni momento, il
valore originario del bene e, quindi, il suo grado di ammortamento.
L'impiego del fondo ammortamento non è esplicitamente contemplato dal
Codice civile; esso si limita a disporre quanto segue:
a) le immobilizzazioni, materiali o immateriali, devono comparire nello
Stato patrimoniale a «valori netti», ossia al netto delle poste rettificative quali, ad
esempio, il Fondo ammortamento;
b) la Nota integrativa deve evidenziare il costo originario e le successive
rettifiche di valore (ammortamenti, svalutazioni e rivalutazioni).
Le «strade» attraverso le quali tali disposizioni possono essere rispettate
sono le seguenti:
i) il valore originario del bene oggetto di ammortamento, ed il relativo
fondo, vengono annotati in una «colonna interna» dello Stato patrimoniale. In
«colonna esterna» figura solo l’importo «netto» (11).
(9) CNDC, Principio contabile n.16, par. D.X).
(10) Si veda il successivo par. 10.
(11) È questa la soluzione imposta dall’art. 2435-bis, nei bilanci redatti in forma abbreviata.
24
ii) nello Stato patrimoniale si espone solo il valore netto
dell’immobilizzazione materiale o immateriale; nella Nota integrativa viene
indicato il costo originario ed i successivi ammortamenti:
In entrambi i casi è opportuno che l’ammortamento sia effettuato «fuori
conto», per facilitare la ricostruzione delle informazioni di dettaglio, nello Stato
patrimoniale o nella Nota integrativa.
2.1.5.
LE SVALUTAZIONI ECCEZIONALI PER PERDITE DUREVOLI DI VALORE E I RIPRISTINI
DI VALORE
Il Codice civile, all’art. 2426, n. 3, prevede che «l’immobilizzazione che,
alla data di chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a
quello determinato secondo i numeri 1) e 2), deve essere iscritta a tale minor
valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti
meno i motivi della rettifica effettuata».
I principi contabili nazionali e internazionali costituiscono un importante
strumento interpretativo della disposizione civilistica (12).
Essi precisano, in particolare, i seguenti punti:
a) il valore di riferimento da confrontare con il valore netto contabile
dell'immobilizzazione, al fine di operare un'eventuale svalutazione;
b) i fenomeni che possono comportare l'obbligo di svalutazione;
c) le modalità di determinazione del valore recuperabile tramite l'uso;
d) il ripristino di una precedente svalutazione.
a) Il valore di riferimento per operare la svalutazione: il valore
recuperabile mediante l'uso. I principi contabili nazionali e internazionali
concordano nell'indicare il valore recuperabile tramite l'uso come il termine da
confrontare con il valore netto contabile delle immobilizzazioni al fine di operare
una eventuale svalutazione.
In sostanza, le immobilizzazioni devono essere iscritte al costo, rettificato
del relativo ammortamento, finché vi è evidenza che tale valore netto contabile
potrà essere recuperato mediante l’uso. Pertanto, il valore netto contabile di ogni
elemento patrimoniale deve essere periodicamente rivisto allo scopo di stabilire se
il valore realizzabile è diminuito al di sotto del valore iscritto in contabilità.
I due termini del confronto sono, dunque, i seguenti:
 il valore iscritto in contabilità è il valore residuo da ammortizzare ed è
uguale alla differenza tra il costo storico e il fondo ammortamento. Si
tratta di un valore storico;
(12) CNDC, Principio contabile n. 16, par. D.XIII); INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS
COMMITTEE, IAS n. 36, Impairment of Assets, 1998.
25
 il valore realizzabile, invece, è il valore utilmente recuperabile
mediante l’uso. Il valore che potrà trovare reintegro attraverso il
processo di ammortamento, rispettando le condizioni di equilibrio della
gestione «a valere nel tempo». Si tratta di un valore prospettico.
Se il valore realizzabile è diminuito al di sotto del valore iscritto in
contabilità, e se tale diminuzione è considerata durevole, il valore iscritto in
contabilità deve essere svalutato. È questo un comportamento che si rende
necessario per rispettare i principi della logica di funzionamento e della prudenza.
Infatti, il valore di ogni elemento del capitale di funzionamento deve essere
commisurato al contributo utile che esso può fornire, insieme agli altri, per
continuare a svolgere, in modo economico, il processo di produzione aziendale. Il
valore netto contabile è espressione di tale contributo utile. Esso indica che si
attende da quel bene, nei restanti anni della sua utilizzazione, un flusso di ricavi
che, al netto di tutti gli altri costi di produzione, è in grado di coprire il valore
residuo da ammortizzare.
Se i futuri flussi di ricavi derivanti dall’uso del bene durante la sua vita utile
residua non consentono di coprire tutti i costi, incluso l’ammortamento, è
necessario ridurre il valore netto contabile fino ad adeguarlo al minore valore
recuperabile.
Così intesa, la svalutazione è un procedimento contabile che riguarda tutte
le immobilizzazioni. Essa, quindi, si rende necessaria anche per rilevare perdite
durature di valore di immobilizzazioni materiali non soggette ad ammortamento. È,
ad esempio, il caso dei terreni, per i quali non si procede ad ammortamento se non
subiscono logorio fisico o economico che ne limita la possibilità di utilizzazione
nel tempo.
La procedura, dunque, è applicabile per:
 svalutazioni eccezionali di immobilizzazioni ammortizzabili;
 svalutazioni di immobilizzazioni non soggette ad ammortamento.
b) I fenomeni che possono comportare l'obbligo di svalutazione. Al
momento della redazione del bilancio, è necessario valutare se sussistono i
presupposti che potrebbero giustificare la svalutazione di un'attività. In questo
caso, è necessario procedere alla determinazione del valore recuperabile mediante
l'uso.
Secondo i Principi contabili nazionali, la necessità di operare una
svalutazione del valore delle immobilizzazioni può derivare da errori di
progettazione o di costruzione, da cambiamenti tecnologici, da cambiamenti nei
prodotti, etc. Possono, cioè, determinarsi particolari situazioni in cui l'utilità o
funzionalità delle immobilizzazioni materiali risulti menomata per l'impresa in
base alla destinazione delle medesime (uso a alienazione), per cui è ragionevole
prevedere che:
26
 per le immobilizzazioni materiali in uso, i flussi di ricavi dell'impresa
non saranno sufficienti durante la vita utile residua dei cespiti a coprire
tutti i costi e le spese, incluso il relativo ammortamento;
 per le immobilizzazioni destinate ad essere alienate, il valore netto
contabile non potrà essere realizzato tramite la vendita.
recuperabile tramite l'uso (e non un valore arbitrariamente inferiore).
I Principi contabili internazionali forniscono un elenco più analitico di
indicazioni che costituiscono In base al principio generale di prudenza, le perdite
connesse ai predetti eventi debbono essere rilevate in bilancio nel momento in cui
si possono ragionevolmente prevedere. Le situazioni problematiche vengono di
solito messe in evidenza da vari sintomi quali: eccesso di capacità produttiva;
mancato sfruttamento degli impianti; perdite ricorrenti; etc. Dette situazioni vanno
vagliate attentamente. La decisione della svalutazione deve essere oculata e
documentata. La svalutazione va effettuata quando esistono obiettive condizioni
di irrecuperabilità del valore del cespite.
Il fatto che un'impresa sia stata per pochi esercizi in perdita non significa
necessariamente che il valore dei cespiti non possa essere recuperato, né d'altra
parte la svalutazione deve essere effettuata con lo scopo di aumentare
artificiosamente i risultati degli esercizi futuri. In ogni caso, la svalutazione deve
risultare da uno studio documentato, basato su elementi oggettivi (perizie di
esperti, piani futuri di impiego delle immobilizzazioni materiali). Uno studio di
tale natura va effettuato anche in una situazione di persistenza delle perdite, a
supporto del fatto che non si rende necessario apportare la svalutazione in quanto
si prevede che trattasi di una situazione transitoria, ovvero si rende opportuno
posporre la decisione della svalutazione in quanto le condizioni del momento non
sono tali da poter far concludere che ci si trova di fronte ad una diminuzione
duratura di valore.
Allorché dallo studio emerga che la svalutazione deve essere effettuata, il
valore residuo in bilancio, dopo la svalutazione, dei cespiti che verranno
mantenuti come parte dell'organizzazione permanente dell'impresa, sarà il valore
presupposto per la determinazione del valore recuperabile del bene. A questo fine,
distinguono tra informazioni di natura esterna all'impresa e informazioni di natura
interna.
Le informazioni di natura esterna all'impresa sono le seguenti:
 nel corso del periodo amministrativo il valore di mercato del bene ha
subìto una riduzione superiore a quella giustificata dal trascorrere del
tempo e dall'uso;
 l'ambiente tecnologico, commerciale, economico o legale in cui
l'impresa opera è stato interessato, o lo sarà nel prossimo futuro, da
cambiamenti di segno sfavorevole;
 nel corso del periodo amministrativo i tassi di interesse del mercato sono
significativamente aumentati ed è probabile che questi incrementi si
27
riflettano sfavorevolmente sul tasso di attualizzazione utilizzato per
determinare il valore del bene (quando la determinazione del valore
recuperabile prevede l'impiego di procedimenti di attualizzazione);
 il valore contabile netto delle attività dell'azienda è superiore alla
capitalizzazione di mercato della stessa.
Informazioni di natura interna all'impresa sono le seguenti:
 il bene è stato interessato da fenomeni rilevanti di obsolescenza o
deterioramento fisico;
 si sono verificati, o sono previsti per l'immediato futuro, importanti
cambiamenti nelle modalità di impiego del bene con ripercussioni
sfavorevoli sull'impresa;
 i report aziendali evidenziano prestazioni economiche del bene inferiori
a quelle previste.
c) Le modalità di determinazione del valore recuperabile mediante l'uso. I
Principi contabili nazionali indicano il valore recuperabile tramite l'uso delle
immobilizzazioni materiali come il valore che, sulla base degli elementi
disponibili, si può ragionevolmente prevedere potrà essere recuperato tramite
flussi di ricavi dell'impresa sufficienti a coprire tutti i costi e le spese, incluso
l'ammortamento.
Se le immobilizzazioni sono destinate all'alienazione, va considerato il
valore netto di realizzo, cioè il valore che potrà essere realizzato dall'alienazione,
al netto di tutti i costi per smantellamento.
I Principi contabili internazionali affrontano il problema della
determinazione del valore recuperabile in modo più articolato. La principale
differenza riguarda l'uso del procedimento di attualizzazione dei flussi di cassa ai
fini della determinazione del valore recuperabile tramite l'uso (13).
Quando il valore contabile netto di una immobilizzazione, cioè il suo valore
originario in bilancio al netto degli ammortamenti e di eventuali svalutazioni, è
superiore al valore recuperabile del bene stesso, è necessario rilevare nel conto
economico una svalutazione, rettificando il valore contabile del bene e rendendolo
equivalente al valore recuperabile.
La procedura non ha nulla a che vedere con l'ammortamento e non modifica
la procedura di ammortamento prevista per il bene medesimo nell'apposito piano.
Infatti, l'ammortamento del bene per i futuri esercizi si determina ripartendo sul
residuo periodo di vita utile il valore contabile netto rettificato (svalutato),
eventualmente al netto del suo valore di realizzo finale.
d) Il ripristino di una precedente svalutazione. Se, nei successivi esercizi,
vengono meno, in tutto o in parte, i motivi che avevano determinato l'obbligo della
(13) IASC, IAS n. 36, par. 26 ess
28
precedente svalutazione, è necessario correggere la rettifica precedentemente
effettuata. Tuttavia, non si tratta di compiere una rivalutazione. Piuttosto, si tratta
di ripristinare, in tutto o in parte, il valore originario prima della svalutazione.
Secondo i Principi contabili internazionali, i segnali che potrebbero
giustificare la rettifica della svalutazione di un'attività e il ripristino, anche
parziale, del suo valore originario originano da informazioni di natura esterna
all'impresa e da informazioni di natura interna e sono opposti a quelli che
determinano l'obbligo di svalutazione.
Informazioni di natura esterna all'impresa sono le seguenti:
 nel corso del periodo amministrativo il valore di mercato del bene ha
subìto un sensibile incremento;
 l'ambiente tecnologico, commerciale, economico o legale in cui
l'impresa opera è stato interessato, o lo sarà nel prossimo futuro, da
cambiamenti di segno favorevole;
 nel corso del periodo amministrativo i tassi di interesse del mercato sono
significativamente diminuiti ed è probabile che queste variazioni si
riflettano favorevolmente sul tasso di attualizzazione utilizzato per
determinare il valore del bene (quando la determinazione del valore
recuperabile prevede l'impiego di procedimenti di attualizzazione);
Informazioni di natura interna all'impresa sono le seguenti:
 il bene è stato interessato da fenomeni rilevanti di obsolescenza o
deterioramento fisico;
 si sono verificati, o sono previsti per l'immediato futuro, importanti
cambiamenti nelle modalità di impiego del bene con ripercussioni
favorevoli sull'impresa;
 i report aziendali evidenziano prestazioni economiche del bene superiori
a quelle previste.
Il valore contabile incrementato a seguito del ripristino di valore non deve
superare il valore contabile (al netto degli ammortamenti) che si sarebbe ottenuto
se la svalutazione non fosse stata effettuata. Tale ripristino costituisce un
componente positivo di reddito. L'ammortamento del bene per i futuri esercizi si
determina ripartendo sul residuo periodo di vita utile il valore contabile netto
rettificato (rivalutato), eventualmente al netto del suo valore di realizzo finale.
Il ripristino di valore non può trovare applicazione per alcune tipologie di
immobilizzazioni immateriali, quali l’avviamento ed i costi pluriennali. Per queste
immobilizzazioni, infatti, non può verificarsi il presupposto della variazione degli
elementi che avevano determinato la precedente svalutazione.
29
2.1.6. LE SPESE DI MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA (RIPARAZIONE,
AMPLIAMENTO E MIGLIORAMENTO)
Gli impianti e molti altri fattori produttivi materiali ad utilizzo durevole, a
qualunque titolo detenuti dall’impresa, sono sottoposti, durante il loro
funzionamento, ad interventi di vario genere.
Alcuni interventi sono diretti a migliorare l’efficienza dei beni; altri servono
per ripristinarla o, comunque, mantenerla invariata.
Le spese sostenute per tali interventi possono, dunque, suddividersi a
seconda:
a) della loro natura economica;
b) della proprietà dei beni su cui sono sostenute.
Guardando alla natura economica, si distinguono:
 spese conservative (o ordinarie);
 spese migliorative (o straordinarie).
Le spese conservative riguardano le manutenzioni e le riparazioni. Le
manutenzioni sono operate per mantenere in condizioni di normale
funzionamento i fattori produttivi a fecondità ripetuta, onde garantire la
produttività e la sicurezza originarie e la vita utile prevista. Le riparazioni servono
per ripristinare la funzionalità originaria dei beni, ponendo riparo a guasti e
rotture. Esse sono generalmente individuate come spese ordinarie.
Le spese migliorative, invece, sono rivolte all’ammodernamento,
all’ampliamento e al miglioramento degli elementi strutturali di
un’immobilizzazione, in modo da aumentarne la capacità, la produttività, la
sicurezza o la vita utile. Esse sono generalmente individuate come spese
straordinarie.
Per semplicità, si potrebbero definire:
 le spese conservative, spese di manutenzione;
 le spese migliorative, spese di ampliamento o miglioramento.
Le spese conservative (o ordinarie) sono rilevate in conti economici di
reddito come costi di esercizio.
Le spese migliorative (o straordinarie) sono rilevate in conti economici
accesi a costi pluriennali. Possono essere capitalizzate se si traducono in un
aumento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza o di
vita utile; una volta capitalizzate, concorrono alla formazione del risultato
economico per quote di ammortamento.
Guardando alla proprietà dei beni su cui sono sostenute si distinguono:
 spese su beni di proprietà;
 spese su beni di terzi.
30
Le spese su beni di proprietà, sono contabilizzate in modo diverso a seconda
della loro natura economica; a seconda, cioè, che siano:
a) conservative (o ordinarie);
b) migliorative (o straordinarie).
Le spese conservative (o ordinarie) su beni di proprietà sono volte a mantenere
o ripristinare le ordinarie condizioni di funzionamento dei beni e sono dunque
contabilizzate come normali costi di esercizio sostenuti per l’acquisizione di
servizi. Le migliorie su beni di proprietà aumentano la funzionalità e l’utilità
economica dei beni sui quali sono sostenute; pertanto, possono essere
capitalizzate e portate direttamente ad incremento del valore del bene cui si
riferiscono.
Anche le spese su beni di terzi sono contabilizzate in modo diverso a
seconda che abbiano natura:
a) conservativa (o ordinaria);
b) migliorativa (o straordinaria).
Le spese conservative (o ordinarie) su beni di terzi sono spese sostenute, ad
esempio, su beni in affitto o in concessione d'uso. Mantenendo o ripristinando le
ordinarie condizioni di funzionamento dei beni, sono contabilizzate come normali
costi di esercizio sostenuti per l’acquisizione di servizi.
Le migliorie su beni di terzi, aumentano la funzionalità e l’utilità economica
dei beni sui quali sono sostenute e pertanto possono essere capitalizzate e
sottoposte ad ammortamento. Le migliorie su beni di terzi, una volta capitalizzate,
sono esposte nell’Attivo dello Stato patrimoniale, tra le immobilizzazioni
immateriali, nella voce «B.I.7) altre», se esse non sono separabili dai beni stessi,
ossia se non possono avere una loro autonoma funzionalità; altrimenti sono
iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali nella specifica categoria di
appartenenza.
Sono ammortizzate:
 in base alla durata residua della concessione o del contratto relativo al
bene cui si riferiscono;
 in base al periodo di utilità, se inferiore.
Se gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria non sono affidati
a terzi, ma sono realizzati all'interno dell'impresa, il problema che si pone è il
medesimo di quello esistente per le costruzioni interne. Per la rilevazione contabile,
è ancora necessario distinguere tra:
 spese conservative;
 spese di miglioramento.
Le spese conservative sono contabilizzate come costi di esercizio all’atto del
sostenimento. Esse «rimangono» tra i costi del Conto economico classificati per
natura e non sono, quindi, immediatamente «visibili».
31
Le spese di miglioramento, invece, devono essere identificate e sospese
dalla formazione del reddito. A tal fine, occorre distinguere se sono state:
 sostenute su beni propri;
 sostenute su beni di terzi.
Le migliorie realizzate «in economia» su beni propri sono capitalizzate e
portate ad incremento del valore delle immobilizzazioni materiali cui si
riferiscono. Le migliorie realizzate «in economia» su beni di terzi sono
capitalizzate e classificate, tra le immobilizzazioni immateriali, alla voce «B.I.7)
altre».
Per impianti quali le navi o gli aeromobili, gli interventi di manutenzione
avvengono in genere seguendo un programma ciclico pluriennale e sono operati
in uno degli esercizi successivi.
In questo caso, le spese di manutenzione pur avendo manifestazione
finanziaria futura sono, in parte, di competenza economica dell’esercizio. Occorre,
dunque, accantonare parte della somma necessaria per effettuare l’intervento. Si
tratta, cioè, di operare un accantonamento di utili lordi e costituire uno specifico
fondo spese future, da utilizzare per operare l’intervento programmato.
Tale fondo non è destinato a coprire costi per apportare migliorie o
ammodernamenti che si concretizzino in un incremento significativo e tangibile di
capacità, di produttività o di sicurezza. Gli accantonamenti al «Fondo
manutenzione ciclica» servono, invece, per ripartire nei diversi esercizi, secondo
competenza, il costo dell’intervento di manutenzione avente finalità conservative.
Questo, infatti, pur operato dopo un certo numero di anni, è giustificato dall’usura
del bene verificatasi negli esercizi precedenti a quello in cui la manutenzione
viene eseguita (14).
2.1.7. I
CONTRIBUTI IN CONTO CAPITALE
IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI
COMMISURATI
AL
COSTO
DI
I contributi in conto capitale sono somme erogate dallo Stato e da altri enti
pubblici per la costruzione, riattivazione ed ampliamento di immobilizzazioni
materiali, generalmente commisurate al costo delle medesime.
Un primo problema da risolvere riguarda il momento in cui i contributi
possono essere iscritti in contabilità.
Secondo i principi contabili nazionali, i contributi possono rilevarsi
contabilmente nel momento in cui sono incassati o, comunque, nel momento in cui
(14) CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI,
Documento 19 della Commissione per la statuizione dei principi contabili, I fondi per rischi ed oneri. Il
trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. I debiti, 1996, par. C.V.b)
32
è venuto meno ogni eventuale vincolo alla loro riscossione e l’impresa abbia
ricevuto comunicazione scritta della delibera formale di erogazione.
I contributi in conto capitale possono poi essere trattati contabilmente
seguendo due impostazioni alternative:
 una impostazione reddituale;
 una impostazione patrimoniale.
Secondo l’impostazione reddituale, il contributo è considerato un ricavo
pluriennale. Esso viene gradualmente distribuito, direttamente o indirettamente,
nel Conto economico dei diversi esercizi in cui i cespiti trovano utilizzazione
economica.
Secondo l’impostazione patrimoniale, il contributo è considerato una sorta
di «capitale», ricevuto da terzi anziché dagli azionisti. Esso viene direttamente
iscritto in una posta del patrimonio netto.
Le argomentazioni pro e contro le due impostazioni sono numerose.
L’impostazione reddituale trova fondamento nei seguenti principi:
 i contributi si riferiscono e sono commisurati al costo dei cespiti e
rappresentano una riduzione del costo degli investimenti; in quanto tali,
devono partecipare, direttamente o indirettamente, alla formazione del
reddito dell’esercizio nel rispetto del principio di competenza
economica;
 i contributi sono concessi per attuare investimenti in zone di difficoltà
operative. Tali difficoltà si concretizzano per un lungo periodo di tempo
in un aggravio di costi e i contributi servono per compensare questi
aggravi;
 i contributi in conto capitale non sono un contributo degli azionisti. Il
beneficio del contributo deriverà agli azionisti dall’attività operativa
dell’impresa mediante addebito di minori costi al Conto economico.
I sostenitori dell’impostazione patrimoniale argomentano che:
 poiché non è previsto il rimborso, i contributi rappresentano integrazioni
del capitale di rischio: una specie di capitale sociale «improprio»;
 i contributi servono a compensare i soci del danno che gli aggravi di
costo potrebbero comportare sul loro capitale;
 non è corretto rilevare i contributi pubblici nel Conto economico, dato
che essi non sono guadagnati ma rappresentano un incentivo fornito da
un ente pubblico senza che siano sostenuti i relativi costi.
Seguendo il metodo reddituale, l’iscrizione graduale dei contributi tra i
componenti di reddito richiede di:
 individuare un criterio di ripartizione;
 definire un criterio di contabilizzazione.
33
Il criterio di ripartizione deve essere ispirato al principio di competenza
economica. Il contributo deve essere riconosciuto come ricavo nel Conto
economico dei diversi esercizi, su base sistematica e razionale, ed essere così
contrapposto ai costi a cui è economicamente correlato. Questo significa, ripartire
il contributo nei diversi esercizi in cui l’immobilizzazione trova utilizzazione
economica, in proporzione alle quote di ammortamento.
Per quanto riguarda il criterio di contabilizzazione, esistono due strade
percorribili:
a) rettifica del costo pluriennale;
b) iscrizione di un ricavo pluriennale.
Con il metodo sub a), i contributi sono iscritti nell’attivo e portati a diretta
riduzione del costo dei cespiti cui si riferiscono. Pertanto, nel Conto economico
sono imputate quote di ammortamento calcolate sul costo del cespite al netto del
contributo.
Con il metodo sub b), i contributi sono iscritti nel passivo, nella voce
risconti passivi, e annualmente trasferiti, per quote, nel Conto economico. In
questo modo:
 sono imputate a Conto economico quote di ammortamento calcolate sul
costo dell’impianto al lordo del contributo;
 il contributo è assimilato ad un ricavo differito, da accreditare a Conto
economico in base alla durata della vita utile del cespite cui si riferisce.
I Principi contabili nazionali ammettono sia l’impostazione patrimoniale che
quella reddituale. Nell’ambito dell’impostazione reddituale, il criterio di
contabilizzazione dei risconti passivi è considerato quello che consente una più
chiara rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato
economico. Esso, pertanto, è da ritenersi preferito e trova giustificazione nel fatto
che il contributo è assimilato ad un ricavo differito, che va accreditato a Conto
economico sulla durata della vita utile del cespite cui si riferisce (15).
I Principi contabili internazionali respingono l’impostazione patrimoniale e
accettano soltanto l’impostazione reddituale, con rettifica del costo pluriennale o
iscrizione del ricavo differito (16).
L’apertura dei Principi contabili nazionali verso l’impostazione patrimoniale
sembra giustificata esclusivamente dalla necessità di non compromettere la
possibilità di usufruire di taluni vantaggi di natura fiscale. Infatti, all’epoca in cui
è stato redatto il documento n. 16, l'art. 55, comma 3, lett. b) del TUIR permetteva
di «rateizzare» la tassazione di parte del contributo se questa era accantonata in
una riserva in sospensione d’imposta. Oggi, questa condizione è stata eliminata.
(15) CNDC, Principio contabile n. 16, par. F.II.a).
(16) INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS COMMITTEE, IAS n. 20, Accounting for
Government Grants and Disclosures of Goverment Assistance, 1994, par. 12 e ss.
34
Pertanto, non esistono più i motivi fiscali che possono spingere all’adozione del
metodo patrimoniale.
Nel settore del servizio idrico, i contributi di allacciamento e prese per
utenze d'acqua sono contabilizzati guardando al trattamento contabile dei costi
cui essi sono commisurati.
Se i costi relativi alle opere e agli interventi cui si riferiscono i contributi
sono iscritti al conto economico, i contributi relativi sono da considerare come
componenti positivi di reddito.
Se, invece, i costi relativi alle opere e agli interventi cui si riferiscono i
contributi sono considerati ad utilità pluriennale e capitalizzati, i contributi relativi
vanno considerati come ricavi pluriennali. Essi, pertanto, devono essere
gradualmente distribuiti nel Conto economico dei diversi esercizi in cui i costi
trovano utilizzazione economica.
2.1.8. «PROPRIETÀ INDUSTRIALE», «PROPRIETÀ DI CONCESSIONE» E «BENI NON DI
PROPRIETÀ» UTILIZZATI IN CONCESSIONE:
CONDIZIONI DI DEVOLUZIONE
L'IMPATTO
ECONOMICO DELLE
I beni devolvibili costituiscono una rilevante componente del patrimonio
delle imprese che operano in regime di «concessione». Tali imprese, infatti,
dispongono di un insieme di beni, le cosiddette «proprietà di concessione», la cui
titolarità deve, alla scadenza della concessione, essere trasferita agli enti
concedenti in condizioni di normale funzionamento. Inoltre, nel caso in cui il
contratto di concessione lo preveda, la devoluzione può essere a titolo gratuito. I
beni devolvibili assumono, allora, la denominazione di «beni gratuitamente
devolvibili»17.
I beni che, viceversa, al termine della concessione, restano di proprietà
dell’impresa concessionaria o vengono ceduti all'ente concedente dietro
corrispettivo costituiscono la tradizionale «proprietà industriale».
Con lo strumento della concessione, gli enti locali possono attribuire
all'impresa concessionaria del servizio idrico il diritto di utilizzare nella gestione
del servizio opere fisse, impianti di depurazione, acquedotti, reti di raccolta delle
acque reflue e altri beni demaniali indisponibili. Pertanto, accanto alla «proprietà
industriale» e alla «proprietà di concessione» l'impresa concessionaria può
disporre di un insieme di altri «beni non di proprietà», oggetto del diritto di
concessione, che sono affidati dall'ente concedente e sono funzionali alla gestione
della concessione stessa.
(17) DEI B., PASSARELLI M., I principi contabili per il bilancio delle aziende del servizio idrico
integrato, Milano, F.Angeli, 2000, p.39.
35
L'individuazione del contributo economico dei beni che rientrano nella
«proprietà industriale» non presenta peculiarità di rilievo e segue le regole
generali stabilite dalla legge e dai principi contabili.
Al contrario, la definizione delle corrette modalità di partecipazione alla
formazione del reddito e del connesso capitale di funzionamento delle
immobilizzazioni che costituiscono la «proprietà di concessione» ha, da sempre,
incontrato grosse difficoltà, in teoria e in pratica. Problemi analoghi si presentano
per i «beni non di proprietà» utilizzati nella concessione.
Per esaminare l'impatto economico delle condizioni di devoluzione, occorre
distinguere tra:
a) beni «non di proprietà» utilizzati in concessione;
b) beni «di proprietà» devolvibili.
a) I «beni non di proprietà» utilizzati in concessione. A fronte del diritto di
utilizzare in esclusiva beni pubblici, oggetto della convenzione di concessione,
l'ente pubblico concedente ha a disposizione le seguenti alternative:
 far pagare al gestore una somma una tantum, all'inizio del rapporto di
concessione;
 chiedere al soggetto gestore un canone d'uso annuale per il diritto di utilizzo
dei beni pubblici o per l'eventuale valorizzazione della concessione del
servizio;
 far pagare al gestore, oltre ai canoni annui, una somma iniziale una tantum;
 non far pagare alcun corrispettivo per la concessione.
Inoltre, la convenzione di concessione stabilisce in genere l'obbligo di restituire
in perfette condizioni di funzionamento le opere e gli impianti non di proprietà,
utilizzati in concessione.
Dalle condizioni di devoluzione di tali beni indisponibili derivano, dunque, i
seguenti costi:
i) costi di acquisizione della concessione, sostenuti all'inizio o durante il
rapporto di concessione;
ii) costi per interventi di manutenzione conservativa, operati per:
 mantenere in condizioni di normale funzionamento i «beni non di
proprietà», onde garantire la produttività e la sicurezza originarie e la
vita utile prevista;
 ripristinare la funzionalità originaria dei «beni non di proprietà»,
ponendo riparo a guasti e rotture, durante il periodo di concessione;
iii) costi per interventi di ampliamento e miglioramento, volti ad
ammodernare, ampliare e migliorare gli elementi strutturali dei «beni non di
proprietà», in modo da aumentarne la capacità, la produttività, la sicurezza o la
vita utile.
b) I «beni di proprietà» devolvibili. Le condizioni che regolano la
devoluzione delle «proprietà di concessione» presentano un rilievo decisivo nel
36
determinarne l’impatto economico. In particolare, in presenza di
beni
gratuitamente devolvibili si manifestano problematiche contabili complesse e di
controversa soluzione.
L’obbligo di devolvere i beni gratuitamente all'ente concedente determina
il periodo di tempo entro cui l’impresa deve ripartire il costo originariamente
sostenuto per l’acquisto o la produzione. Infatti, l’utilità economica dei beni da
cedere senza corrispettivo diventa nulla allo scadere della concessione. In questo
momento, a prescindere dalle caratteristiche tecniche dei beni e dal loro
deperimento fisico, l’impresa non può più utilizzarli. Pertanto, la vita utile delle
immobilizzazioni devolvibili trova un limite nella durata della concessione: entro
questa scadenza l’immobilizzazione deve essere ammortizzata per intero.
Mediante tali accantonamenti l'impresa concessionaria è in grado di recuperare,
entro il termine della concessione e qualora i ricavi dei diversi esercizi lo
consentano, il capitale investito nella «proprietà di concessione» che andrebbe
altrimenti perduto a causa della devoluzione gratuita. In pratica, senza questo
ordine di ammortamenti, l'impresa subirebbe, al momento della devoluzione
gratuita, una perdita corrispondente al costo originario della proprietà di
concessione e non sarebbe in grado di rimborsare il capitale ai soci in caso di
cessazione dell'attività o di acquisire un altro bene che le permetta di proseguire
l'attività stessa.
L’obbligo di devolvere i beni in condizioni di normale funzionamento
comporta ulteriori conseguenze.
Se le immobilizzazioni hanno vita utile superiore alla durata della
concessione, l’impresa concessionaria deve realizzare, durante la concessione o al
termine della medesima, i lavori di riparazione e manutenzione necessari per
restituire i beni in buono stato di funzionamento.
Se le immobilizzazioni hanno vita utile inferiore alla durata della
concessione, queste devono essere rinnovate, una o più volte, durante la
concessione, appena terminano di offrire servizi utili al processo produttivo.
All'atto della devoluzione, inoltre, potrebbero rendersi ugualmente necessari
interventi di manutenzione e ripristino per restituire in buono stato di
funzionamento quei beni che sono stati rinnovati per l'ultima volta e la cui vita
utile residua termina dopo la scadenza della concessione.
Dalle condizioni di devoluzione della «proprietà di concessione» derivano,
dunque, i seguenti costi:
i) costi di acquisto o di produzione delle immobilizzazioni, sostenuti
all'inizio o durante il rapporto di concessione;
ii) costi per interventi di manutenzione conservativa, operati per:
 mantenere in condizioni di normale funzionamento i cespiti di proprietà,
onde garantire la produttività e la sicurezza originarie e la vita utile
prevista;
37
 ripristinare la funzionalità originaria dei beni di proprietà gratuitamente
devolvibili, ponendo riparo a guasti e rotture, durante il periodo di
concessione oppure in occasione della consegna dei beni o della
restituzione di aree detenute in concessione;
iii) costi per interventi di ampliamento e miglioramento, volti ad
ammodernare, ampliare e migliorare gli elementi strutturali di
un’immobilizzazione di proprietà in concessione, in modo da aumentarne la
capacità, la produttività, la sicurezza o la vita utile.
2.1.9. IL TRATTAMENTO CONTABILE DEI COSTI RELATIVI AI «BENI NON DI
PROPRIETÀ» UTILIZZATI IN CONCESSIONE
L'individuazione del corretto trattamento contabile dei costi relativi ai «beni
non di proprietà» utilizzati in concessione può avvenire alla luce dei normali principi
contabili applicabili alle immobilizzazioni immateriali e materiali.
I beni pubblici «non di proprietà» attribuiti dall'ente concedente ed utilizzati
nell'esercizio della concessione non possono essere distintamente riconosciuti come
attività dello stato patrimoniale, tra le immobilizzazioni materiali. Infatti, pur essendo
in grado di produrre benefici economici futuri per l'impresa, tali beni sono
indisponibili e, pertanto, di fatto, non sono sotto il controllo dell'impresa (18).
Di conseguenza, quando per il loro diritto di utilizzazione è pagato un canone
pluriennale, essi figurano in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, alla voce
«B.I.4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili».
Quando la concessione comporta, oltre al pagamento di un eventuale canone
annuo, anche il versamento di una somma iniziale una tantum, solo quest'ultima deve
essere iscritta nella voce B.I.4) dello stato patrimoniale. Tale importo deve essere
ammortizzato in relazione alla durata della concessione stessa (19).
Nel caso in cui i canoni periodici non siano correlati a tutta la durata della
concessione, ma siano previsti per un periodo più breve, i canoni possono essere
capitalizzati ed ammortizzati su tutta la durata della concessione.
Sempre nella voce B.I.4) possono essere iscritti gli altri costi interni e diretti
sostenuti per l'ottenimento della concessione, tenuti distinti dai costi di progettazione
e dagli altri costi che devono normalmente sostenersi per la gestione della
concessione stessa.
(18) Sugli elementi che valgono a riconoscere un'attività dello stato patrimoniale, si veda:
INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS COMMITTEE, Framework for the Preparation and
Presentation of Financial Statement, 1989, par. 49 ss.; FINANCIAL ACCOUNTING STANDARDS
BOARD, SFAC n. 6, Elements of Financial Statements, 1985, par. 25 ss.
(19) CNDC-CNR, Principio contabile n. 24, p. 33.
38
Sebbene le concessioni non siano normalmente trasferibili, può accadere di
acquisire a titolo oneroso una concessione da altri. In tal caso, il costo è iscrivibile
nella voce B.I.4 ed è ammortizzato in relazione alla durata residua della concessione
(20).
Quando la convenzione di concessione stabilisce l'obbligo di restituire in
perfette condizioni di funzionamento le opere e gli impianti non di proprietà (reti,
depuratori e altri beni demaniali indisponibili) utilizzati in concessione, il trattamento
contabile dei costi degli interventi attuati deve avvenire guardando alla loro natura
economica.
Le spese per interventi di manutenzione di natura ricorrente che, realizzate
per finalità conservative o di ripristino, servono per mantenere i cespiti in buono
stato di funzionamento, costituiscono costi dell'esercizio in cui sono state
sostenute (21).
I costi rivolti all'ampliamento, ammodernamento o miglioramento degli
elementi strutturali di un'immobilizzazione, incluse le modifiche e le
ristrutturazioni effettuate in modo da aumentarne la rispondenza agli scopi
originari, sono capitalizzabili se essi si traducono in un aumento significativo e
misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza o di vita utile (22). Poiché
tali costi sono sostenuti su «beni di proprietà di terzi», utilizzati in virtù della
concessione, essi sono iscritti nella voce delle immobilizzazioni immateriali
«B.I.7) altre», se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai
beni su cui sono state sostenute, ossia non possono avere una loro autonoma
funzionalità.. Altrimenti, sono iscritti tra le immobilizzazioni materiali nella
specifica categoria di appartenenza (23).
Una volta capitalizzati, infine, tali costi dovrebbero essere ammortizzati:
 nel periodo di durata residua della concessione;
 nel periodo di utilità futura delle spese sostenute, se inferiore.
(20) CNDC-CNR, Principio contabile n. 24, p. 33.
(21) CNDC-CNR, Principio contabile n. 16, par. D.X).
(22) CNDC-CNR, Principio contabile n. 16, par. D.III).
(23) CNDC-CNR, Principio contabile n. 24, p. 39.
39
2.1.10. IL TRATTAMENTO CONTABILE DEI COSTI DI DEVOLUZIONE DELLA
«PROPRIETÀ DI CONCESSIONE»
I vigenti principi contabili non affrontano in modo sistematico il problema
del trattamento contabile dei costi di devoluzione dei beni di proprietà
gratuitamente devolvibili. Essi prevedono soltanto la possibilità, per le imprese
che allo scadere della concessione devono restituire gratuitamente e in perfette
condizioni di funzionamento beni all'ente concedente, di costituire:
 un fondo di rinnovamento dei beni devolvibili;
 un fondo di manutenzione e ripristino dei beni devolvibili.
Basandosi su elementi oggettivi e valida documentazione, tali imprese
devono addebitare al conto economico gli accantonamenti necessari per assicurare
la costituzione di un fondo che consenta di ripristinare gli impianti allo stato in cui
devono essere restituiti (24).
In generale, per un corretto addebito al Conto economico del complesso dei
costi relativi ai beni gratuitamente devolvibili, si dovrebbe ripartire lungo gli
esercizi della concessione:
 il costo storico di acquisizione del cespite e gli altri costi incrementativi
e recuperarne così il valore da restituire gratuitamente all’ente concedente;
 tutti gli altri costi necessari per adempiere agli obblighi dettati dall’atto
di concessione e restituire i cespiti in condizioni di normale funzionamento.
La concreta rilevazione e ripartizione dei costi di devoluzione richiede,
tuttavia, di esaminare con attenzione le caratteristiche dei beni. Ciò porta a
distinguere due diverse ipotesi:
a) la vita utile dei beni è superiore alla durata della concessione;
b) la vita utile dei beni è inferiore alla durata della concessione.
2.1.10.1 I beni gratuitamente devolvibili con vita utile superiore alla durata della
concessione
Si tratta di terreni, fabbricati, opere fisse non facilmente asportabili senza
compromettere la continuazione dell'attività, la cui durata è tendenzialmente
illimitata oppure termina posteriormente alla scadenza della concessione.
Tali beni non devono essere rinnovati nel periodo di durata della
concessione. Dunque, la durata della concessione è il riferimento più idoneo ad
esprimere la residua capacità di utilizzazione economica dei cespiti.
Essi, tuttavia, devono anche essere restituiti, alla scadenza, in condizioni di
normale funzionamento. A questo fine può essere necessario sostenere ulteriori
(24) CNDC-CNR, Principio contabile n. 16, p. 42; CNDC-CNR, Principio contabile n. 19, p. 20.
40
costi di manutenzione o ripristino per poter devolvere il bene in buono stato di
efficienza.
Per rispettare entrambe le condizioni, è necessario operare due ordini di
accantonamenti:
a) un ammortamento «finanziario»;
b) un accantonamento ad un fondo manutenzione e ripristino beni
gratuitamente devolvibili.
a) L’ammortamento «finanziario» è operato per fronteggiare la perdita
derivante dalla devoluzione gratuita del bene all'ente concedente. Esso consiste in
un procedimento tecnico-contabile con cui si ripartisce il costo storico del bene,
al netto di eventuali contributi erogati dal concedente, su tutti gli esercizi di vita
utile del cespite.
L’obbligo di devoluzione gratuita alla scadenza della concessione
semplifica notevolmente la procedura di ammortamento. Infatti:
i) il valore da ammortizzare è costituito dal costo storico del bene,
essendo nullo il valore di realizzo al termine del periodo di utilizzo;
ii) il periodo di ammortamento corrisponde alla durata della concessione.
Infatti, per i beni che hanno una durata superiore alla scadenza della concessione,
siamo di fronte ad una particolare situazione di durata «economica» inferiore a
quella «fisica». La durata della concessione, cioè, definisce la vita utile economica
del bene che è il periodo di tempo nel quale il bene sarà suscettibile di fornire
utilità economica all'azienda;
iii) il criterio da utilizzare per ripartire il valore da ammortizzare deve
assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei beni devolvibili
sugli esercizi di durata della concessione. Considerata la particolare natura del
fenomeno, tra i metodi «sistematici» appare preferibile quello «a quote costanti».
Il cosiddetto ammortamento «finanziario» costituisce, nel caso di beni
gratuitamente devolvibili con durata superiore a quella della concessione, il vero e
proprio ammortamento della proprietà di concessione. Di fatto, l'ammortamento
«finanziario» sostituisce l'ammortamento «tecnico». Il suo scopo è far ritornare
all'impresa, in un periodo di tempo pari alla durata della concessione, i capitali
che sono stati investiti negli impianti gratuitamente devolvibili così da operare i
reinvestimenti necessari a svolgere altre attività produttive o rimborsare il capitale
ai soci.
Devono, quindi, essere sottoposti a questo ordine di ammortamenti anche
quei fattori produttivi che non subiscono normalmente deperimento fisico e la cui
vita economica è temporalmente illimitata.
In questa prospettiva, l'ammortamento della proprietà di concessione che
non subisce logorio fisico o economico risulta perfettamente coerente con le
attuali disposizioni civilistiche e non rappresenta una deroga alle ordinarie
disposizioni di legge. Il Codice civile, infatti, all'art. 2426, impone di
41
ammortizzare sistematicamente «il costo delle immobilizzazioni, materiali e
immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo». Tale espressione non va
intesa nel senso, ristretto, di beni aventi durata limitata, bensì nel senso, più
ampio, di beni di cui l'impresa può disporre per un periodo di tempo limitato.
Pertanto, anche i terreni e le altre opere fisse che, con adeguata manutenzione,
possono durare indefinitamente devono essere ammortizzati perché, per utilizzare
le parole del legislatore, la loro utilizzazione è limitata nel tempo, e il limite
temporale è rappresentato, ovviamente, dalla scadenza della concessione.
Il «Fondo ammortamento finanziario» è una posta correttiva. Infatti,
rispettando i termini della convenzione, il bene deve essere devoluto
gratuitamente alla scadenza all'ente concedente. Esso, pertanto, accoglie, la
ricchezza lorda necessaria per fronteggiare un onere che si è già abbattuto (o si
considera già abbattuto) sul capitale dell’impresa. In quanto posta correttiva, il
«Fondo ammortamento finanziario» viene rappresentato a diretta rettifica del valore
dei beni gratuitamente devolvibili, iscritti in apposita voce fra le immobilizzazioni
materiali o immateriali.
b) L’accantonamento al fondo manutenzione e ripristino beni
gratuitamente devolvibili. Il primo ordine di ammortamenti, necessario per
ripartire il costo originario del bene devolvibile sugli esercizi di durata della
concessione, non è sufficiente per assicurare una equa ripartizione di tutti i costi di
devoluzione.
Le convenzioni, infatti, prevedono che i beni debbano essere devoluti in
condizioni di normale efficienza. Pertanto, al termine della concessione, o durante
la medesima, l'impresa deve realizzare tutti gli interventi di manutenzione,
riparazione, ammodernamento e rinnovo necessari per restituire i cespiti in
condizioni di ordinario funzionamento e rispettare le altre condizioni previste
dalla convenzione.
Può accadere che la programmazione degli interventi di manutenzione e
riparazione consenta di distribuire equamente i relativi costi sui diversi esercizi di
durata della concessione. In questo caso, essi possono direttamente imputarsi nel
Conto economico di ciascun esercizio, man mano che si manifestano.
Altre volte, tale equa distribuzione non si verifica perché gli interventi di
manutenzione e ripristino determinano costi di ammontare altamente variabile,
risultando concentrati in uno o alcuni esercizi. Il caso tipico è quello degli
interventi di manutenzione realizzati prevalentemente in prossimità della scadenza
della concessione e della devoluzione gratuita dei beni. In tali circostanze, gli
interventi realizzati sugli impianti comportano il sostenimento di costi, spesso
ingenti, che non possono essere imputati interamente all’esercizio in cui sono
finanziariamente sostenuti; al contrario, essi devono essere ripartiti su tutti gli
esercizi di competenza.
42
Solitamente la ripartizione di tali costi su più esercizi avviene
anticipatamente, accantonando ad un fondo del passivo le quote di utili lordi
destinate a fronteggiare i costi di manutenzione e ripristino di futura
manifestazione.
Le quote di accantonamento possono essere determinate, in ciascun
esercizio, in proporzione dell'effettivo deperimento tecnico del bene. Per
semplicità, si può operare una ripartizione per quote costanti.
Lo stesso Principio contabile n. 19, pur rinviando ad un successivo
documento la completa analisi del problema dei beni gratuitamente devolvibili,
richiede alle imprese che allo scadere di concessioni devono restituire i beni al
concedente gratuitamente ed in perfette condizioni di funzionamento di addebitare
al conto economico gli accantonamenti necessari per assicurare la costituzione di
un fondo che consenta di ripristinare gli impianti allo stato in cui devono essere
restituiti. Tale fondo è individuato tra i fondi per oneri ed è denominato fondo
manutenzione e ripristino dei beni gratuitamente devolvibili (25).
Al riguardo, occorre notare che non necessariamente la ripartizione su più
esercizi dei costi sostenuti sui beni gratuitamente devolvibili per realizzare gli
interventi previsti dalla convenzione deve avvenire in via anticipata, mediante
accantonamenti ad un fondo del passivo. In alternativa, è possibile ripartire i costi
in parola anche in via posticipata rispetto al momento della loro manifestazione
finanziaria, tramite il normale procedimento di capitalizzazione e successivo
ammortamento.
La scelta della modalità tecnica di ripartizione dei costi (prima o dopo il loro
sostenimento finanziario) è questione di non poco rilevo, considerato che le due
soluzioni producono una diversa distribuzione degli effetti reddituali e finanziari
tra i periodi di esercizio della concessione, con conseguenti possibili risvolti sulle
tariffe praticate.
Il problema potrebbe risolversi guardando alla diversa natura degli
interventi realizzati, distinguendo tra:
 interventi di manutenzione e riparazione aventi finalità conservative o di
ripristino;
 interventi per migliorie, ristrutturazioni e ammodernamenti volti ad
apportare un incremento significativo e misurabile di capacità, di produttività, di
sicurezza o di vita utile.
Sulla base di tale distinzione, il trattamento contabile dei costi relativi agli
interventi di manutenzione e ripristino potrebbe avvenire in modo conforme a
quello suggerito dai normali principi contabili applicabili alle immobilizzazioni
che costituiscono la tradizionale «proprietà industriale».
(25) CNDC, Principio contabile n. 19, p. 20.
43
Seguendo tali principi, gli accantonamenti al fondo manutenzione e
ripristino dovrebbero avere la finalità di ripartire, in via anticipata, nei diversi
esercizi, secondo competenza economica, il costo degli interventi di manutenzione
aventi finalità conservative o di ripristino. Tali interventi, infatti, pur operati dopo
un certo numero di anni, sono giustificati dall’usura del bene verificatasi negli
esercizi precedenti a quello in cui la manutenzione viene eseguita e trovano il loro
fondamento nel rispetto del vincolo giuridico della convenzione. In questo senso, il
fondo manutenzione e ripristino assume la natura di riserva di provvisione poiché
«fronteggia il futuro manifestarsi di un onere il quale (…) ha origine e radici nel
tronco di gestione che si conclude con il bilancio in cui quella riserva viene iscritta».
Al contrario, per i costi relativi a migliorie, ristrutturazioni e
ammodernamenti realizzati sui cespiti esistenti che si concretizzano in un
incremento significativo e misurabile della loro capacità, produttività, sicurezza o
vita utile, appare più coerente con le indicazioni dei principi contabili operare una
ripartizione in via posticipata rispetto al momento della loro manifestazione
finanziaria, tramite il procedimento di capitalizzazione e successivo
ammortamento «finanziario» nel residuo periodo di durata della concessione (26).
A ben vedere, quando notevoli miglioramenti ed ampliamenti sono
realizzati poco tempo prima dello scadere della convenzione, la ripartizione in via
posticipata potrebbe penalizzare eccessivamente gli ultimi esercizi della
concessione. Infatti, se i costi degli ultimi interventi, una volta capitalizzati,
dovessero ammortizzarsi entro questo breve tempo, le quote di ammortamento a
carico degli ultimi esercizi potrebbero risultare eccessivamente gravose rispetto a
quelle dei precedenti esercizi. Tuttavia, quando le concessioni sono prossime alla
scadenza e si prevede che non saranno rinnovate, le società di solito non effettuano
grandi lavori di ampliamento (…) i cui costi non possano essere ammortizzati senza
eccessivo peso per l'esercizio, nel tempo che manca allo spirare delle concessioni.
Più frequentemente, esse si limitano a realizzare gli interventi di manutenzione e
ripristino, aventi finalità conservative, necessari per rispettare i termini della
convenzione e restituire i cespiti in normali condizioni di funzionamento. Pertanto,
il problema, di fatto, non si pone (27).
Il «Fondo manutenzione e ripristino beni gratuitamente devolvibili» è una
riserva di provvisione. Esso è volto a fronteggiare un onere di futura
manifestazione finanziaria, ma che si stima in corso di formazione già
nell’esercizio in cui si opera l’accantonamento. In quanto riserva di provvisione, il
«Fondo manutenzione e ripristino beni gratuitamente devolvibili» viene
(26) CNDC, Principio contabile n. 16, p. 25.
(27) Non può, tuttavia, escludersi che la questione talora si presenti, specie quando questo tipo di
interventi rientra tra gli impegni previsti dalla convenzione. In questo caso, può applicarsi il
trattamento contabile del costo dei nuovi investimenti da realizzare in base alla convenzione nel
periodo di esercizio della concessione, illustrato nel successivo paragrafo 3.1.1.
44
rappresentato nella voce «B.3) Fondi per rischi ed oneri» del passivo dello Stato
patrimoniale, sussistendo i requisiti richiesti dall’art. 2424-bis, comma 3.
Si tratta, infatti, di una passività destinata a far fronte a costi o perdite di
natura determinata. La «causale» dell’onere, ossia il fenomeno che ne originerà o
potrà originarne in futuro il sostenimento, è ben individuato dalla convenzione
stipulata con l’ente concedente.
La sua esistenza può essere certa o probabile: certa, se l’impresa
sicuramente provvederà ad interventi di manutenzione o ripristino durante il
periodo di concessione per rispettare le condizioni previste dalla convenzione;
probabile, se subordinata ad una richiesta dell’ente concedente di lavori di
manutenzione in prossimità della scadenza della concessione. In questo senso, il
fondo in questione può assumere natura di fondo spese future (esistenza certa
dell’onere) o fondo rischi (esistenza probabile dell’onere).
Infine, l’ammontare e/o la data di sopravvenienza dell’onere risultano in
genere indeterminati.
Seguendo tale procedura, la devoluzione gratuita del bene alla scadenza
della concessione non comporterà alcun onere a carico degli ultimi esercizi,
perché il bene ceduto risulterà in buono stato e completamente ammortizzato.
L'impresa, inoltre, avrà precostituito le risorse necessarie per operare eventuali
reimpieghi produttivi oppure per rimborsare il capitale ai soci (28).
2.1.10.2. I beni gratuitamente devolvibili con vita utile inferiore alla durata della
concessione
Si tratta di impianti, macchinari, attrezzature, opere leggere la cui vita utile
economica termina prima della scadenza della concessione.
Tali beni devono essere rinnovati, una o più volte, durante la concessione.
Essi, inoltre, devono essere ceduti alla scadenza in buono stato di funzionamento.
Per assicurare una equa ripartizione, secondo competenza economica, dei
costi derivanti dal rispetto delle condizioni di devoluzione e disporre così, allo
scadere della concessione, del capitale necessario per operare il reinvestimento
produttivo o il rimborso agli azionisti, occorre effettuare contemporaneamente un
doppio ordine di accantonamenti:
 uno in dipendenza dell'usura tecnico-economica dei cespiti;
(28) Per i beni gratuitamente devolvibili con vita utile superiore alla durata della concessione, è
questa la procedura condivisa, tra gli altri, da: F. DEZZANI, P. PISONI, L. PUDDU, Il bilancio, Milano,
Giuffrè, 1996, p. 175 ss.; G. FRATTINI, Contabilità e bilancio. Principi economici, disciplina
giuridica e normativa fiscale, Milano, Egea, 2000, p. 260 ss.; E. SANTESSO, U. SÒSTERO, I principi
contabili per il bilancio di esercizio, Milano, Il Sole-24Ore, 2000, p. 295-296.
45
 un altro in dipendenza del loro esaurimento «giuridico», conseguente al
particolare regime contrattuale cui essi sono sottoposti.
Il primo ordine di accantonamenti, generalmente denominato «ammortamento
tecnico», serve per reintegrare i capitali inizialmente investiti ed operare così i
reinvestimenti necessari a continuare lo svolgimento dell'attività e mantenere i
beni nelle condizioni in cui devono essere restituiti. Il secondo ordine di
accantonamenti, generalmente denominato «ammortamento finanziario», è
necessario per fronteggiare la futura perdita di devoluzione conseguente alla cessione
del bene senza corrispettivo.
La pratica attuazione di questo doppio ordine di accantonamenti, tuttavia,
può avvenire secondo tre diverse prospettive:
a) si opera un ammortamento «finanziario» per ripartire il costo storico
sugli esercizi di durata della concessione ed un accantonamento ad un fondo di
rinnovamento per fronteggiare il futuro costo di sostituzione;
b) si opera un ammortamento «tecnico» per fronteggiare la sostituzione
del bene ed un ammortamento «finanziario» per ripartire il costo storico sugli
esercizi di durata della concessione;
c) si opera un ammortamento «tecnico» per ripartire il costo storico del
bene sugli esercizi di vita utile e un ammortamento «finanziario» per ripartire il
suo valore netto contabile alla data di scadenza della concessione sugli esercizi di
durata della medesima.
a) La ripartizione del costo storico mediante ammortamento «finanziario»
e la copertura del costo di sostituzione mediante accantonamento ad un fondo di
rinnovamento. Secondo un primo modo di procedere, quando la durata del bene è
inferiore alla durata della concessione, si operano due ordini di accantonamenti:
 un ammortamento «finanziario»;
 un accantonamento ad un fondo di rinnovamento.
Il cosiddetto ammortamento «finanziario» è sempre operato mediante
ripartizione del costo storico dei beni devolvibili sugli esercizi di durata
della concessione. La sua finalità è quella di fronteggiare, al termine della
concessione, la perdita conseguente alla devoluzione gratuita dei beni e
consentire di far ritornare all'impresa i capitali che vi sono stati investiti.
L’accantonamento al fondo di rinnovamento è operato per fronteggiare il
costo di sostituzione, al termine della vita utile economica del cespite,
durante l'esercizio della concessione.
Da considerare, infine, che anche gli ultimi impianti rinnovati che sono
utilizzati in prossimità della scadenza della concessione possono richiedere
interventi di manutenzione e ripristino, di natura conservativa, per essere
restituiti all'ente concedente in condizioni di normale efficienza. È allora
necessario accantonare ulteriori quote di utili lordi ad un «Fondo
manutenzione e ripristino beni gratuitamente devolvibili» destinati a
46
fronteggiare il previsto onere futuro. Anche quando il rinnovo ha per
oggetto una parte soltanto di un'immobilizzazione materiale, i costi
sostenuti possono trovare copertura nel fondo manutenzione e ripristino, e
non nel fondo di rinnovamento, se hanno lo scopo di conservare l'integrità
originaria del bene senza accrescerne la produttività o la vita utile.
Il «Fondo ammortamento finanziario» è ancora una posta correttiva.
Accoglie un onere che si considera già gravato sul capitale dell’impresa e viene
rappresentato a diretta rettifica del valore dell’immobilizzazione.
Il «Fondo sostituzione beni gratuitamente devolvibili» è una riserva di
provvisione destinata a far fronte a costi o perdite di natura determinata, esistenza
certa e ammontare e/o data di sopravvenienza indeterminati. Come tale, esso è
rappresentato nella voce B.3) del passivo patrimoniale.
b) La ripartizione del costo storico mediante ammortamento «finanziario»
e «tecnico» e la copertura dei maggiori costi di sostituzione mediante
accantonamento ad un fondo di rinnovamento. In base ad un secondo modo di
procedere, si operano due ordini di accantonamenti:
 un ammortamento «finanziario»;
 un ammortamento «tecnico».
Il cosiddetto ammortamento «finanziario» è sempre operato mediante
ripartizione del costo dei beni devolvibili sugli esercizi di durata della
concessione. Il fondo di «ammortamento finanziario», così costituito, può
essere visto come:

un fondo di ammortamento del costo storico dell'impianto, avente
natura rettificativa del valore di attivo il quale si «deprezza» man mano
che si avvicina lo scadere della concessione;
un fondo di rinnovamento, avente natura di riserva di provvisione, se

le quote di accantonamento sono calcolate sulla base dei futuri costi di
rinnovo;
un fondo spese, avente natura ancora di riserva di provvisione, se le

quote di accantonamento sono calcolate sulla base del costo storico.
Quando con l'«ammortamento finanziario» si ripartisce il costo storico del
bene devolvibile nel periodo di durata della concessione, la procedura di
accantonamento origina un fondo al quale deve attribuirsi natura di riserva
di provvisione. La sua finalità, infatti, è quella di fronteggiare, al termine
della concessione, la perdita corrispondente al costo originario degli
impianti reversibili al momento della loro devoluzione gratuita e
consentire di far ritornare all'impresa i capitali che vi sono stati investiti.
Come nell'ammortamento «finanziario», diversamente dall'ammortamento
«tecnico», è assente ogni legame con la durata tecnica o economica degli
investimenti; assume esclusivo rilievo la durata della concessione, periodo
entro il quale occorre consentire all'impresa di recuperare un valore
47
corrispondente al capitale che andrebbe altrimenti perduto con la
devoluzione gratuita. Occorre, pertanto, attribuire a tali accantonamenti
«finanziari» il significato di veri e propri accantonamenti di utili lordi volti
a fronteggiare un onere futuro di origine contrattuale (la convenzione)
certo nell'an e nel quando (la scadenza della convenzione) e il cui importo
è stimabile con sufficiente ragionevolezza. Considerata la natura di
provvisione di tale fondo, denominato eventualmente «Fondo perdita di
devoluzione beni gratuitamente devolvibili», esso può iscriversi nella voce
B.3) del passivo dello stato patrimoniale.
L’ammortamento «tecnico» è operato per la necessità di applicare nei conti
economici dell'esercizio, quote di ammortamento che consentano il
rinnovo ed il mantenimento in efficienza, fino alla scadenza, degli
impianti.
In alcuni casi, questo secondo ordine di accantonamenti viene inteso come
la semplice ripartizione del costo storico del bene sugli esercizi della sua
durata utile. Ciò accade quando la copertura dei costi di rinnovo è
demandata all'«ammortamento finanziario».
Più frequentemente, si ritiene che l'«ammortamento tecnico» debba
riguardare non soltanto la ripartizione dei costi sostenuti per l'acquisizione
dei beni gratuitamente devolvibili, ma anche i costi da sostenere per i
successivi inevitabili rinnovamenti della proprietà di concessione.
Pertanto, implicando la ripartizione non solo di oneri già sostenuti, ma
anche di costi presunti futuri, diverrebbe qualcosa di più di un mero
calcolo di quote d'ammortamento. Si tratterebbe, nella sostanza, di un
accantonamento di utili lordi volto alla costituzione di un fondo di
rinnovamento da considerare come vera e propria riserva di provvisione.
Anche il Principio contabile n. 16, pur rinviando ad un successivo
documento la completa analisi del problema dei beni gratuitamente
devolvibili, ammette – contrariamente a quanto previsto per i beni di
proprietà industriale – che il conto economico delle imprese che operano
in regime di concessione possa accogliere accantonamenti per fondi di
rinnovamento necessari per ripristinare gli impianti allo stato in cui devono
essere restituiti (29).
Al riguardo, occorre sottolineare che i rinnovamenti sono generalmente
intesi in due principali significati:
 sostituzioni di parti di impianti e macchinari, destinate a ricostituirne o
ad accrescerne la capacità di rendimento;
(29) «Tali stanziamenti vanno effettuati sulla base di elementi oggettivi e valida documentazione e
vanno iscritti tra i Fondi per rischi e oneri - Altri». CNDC-CNR, Principio contabile n. 16, par.
D.X).
48
 acquisizione di nuovi impianti che succedono ai vecchi, sostituendoli
nella destinazione produttiva.
Quando il rinnovo ha per oggetto una parte soltanto di una
immobilizzazione materiale e i costi sostenuti hanno lo scopo di mantenere
l'integrità originaria del cespite essi costituiscono spese di manutenzione
aventi natura conservativa. Se le spese sostenute per il rinnovo di parti
hanno natura incrementativa, possono essere capitalizzate quando si
traducono in un aumento significativo e misurabile di capacità o di
produttività o di sicurezza o di vita utile. In questo caso, il fondo di
rinnovamento viene a svolgere, di fatto, la funzione del fondo
manutenzione e ripristino.
Quando, invece, il rinnovo comporta una sostituzione ed ha per oggetto
una immobilizzazione materiale che costituisce un'autonoma unità tecnicocontabile, il fondo di rinnovamento consente di accantonare i nuovi
capitali che dovranno coprire il fabbisogno richiesto dai nuovi impianti in
confronto ai vecchi.
In questa seconda circostanza, l'accantonamento al fondo di rinnovamento
può:
 sostituire l'ammortamento, fronteggiando l'intero costo di sostituzione
degli impianti da rinnovare;
 integrare l'ammortamento, assicurando copertura soltanto ai presunti
maggiori costi di rinnovo.
Se si segue la prima impostazione, si rileva e si rappresenta in bilancio
un'unica quota di accantonamento. Se si segue la seconda impostazione, si
rileva e rappresenta separatamente in bilancio l'ammortamento e
l'accantonamento al fondo di rinnovamento.
Tra le due impostazioni, appare preferibile la seconda. Infatti, non si deve
confondere l'ammortamento in senso proprio con gli accantonamenti ai
fondi di rinnovamento.
L'ammortamento è il procedimento tecnico-contabile di razionale e
sistematica ripartizione del costo storico di una immobilizzazione sugli
esercizi della sua stimata vita utile. Non costituisce un procedimento per
creare fondi per la sostituzione dell'immobilizzazione. L'ammortamento si
riferisce sempre ai valori contabilmente assegnati alle immobilizzazioni,
siano essi maggiori o minori dei previsti costi di rinnovo.
L'accantonamento ai fondi di rinnovamento riguarda, invece, i presumibili
costi di rinnovo quando si prevede che detti costi siano notevolmente
maggiori dei valori in corso di ammortamento, già attribuiti alle
immobilizzazioni soggette a rinnovo.
È, quindi, diversa la natura dei fondi: il fondo ammortamento accoglie
tipicamente, in correlazione a costi di esercizio stimati, storni di costi
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sostenuti numerariamente in passato ed in passato differiti a futuri esercizi;
il fondo di rinnovamento, invece, accoglie, sempre in correlazione a costi
stimati d'esercizio, presunzioni di spese numerarie future. Il fondo
ammortamento è una posta rettificativa; il fondo di rinnovamento è una
riserva di provvisione.
Appare, dunque, preferibile iscrivere separatamente in bilancio la quota di
ammortamento «tecnico» nella voce B.10.b) e la quota di accantonamento
al fondo di rinnovamento nella voce B.13). Questo consente anche di
tenere separati i relativi fondi e rappresentare con maggiore chiarezza la
situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell'esercizio.
La quota di ammortamento «tecnico» alimenta un fondo di ammortamento
«tecnico» che, in quanto posta correttiva, è rappresentato a diretta rettifica
del valore iscritto nell'attivo. La quota di accantonamento per i maggiori
costi di rinnovo alimenta un fondo di rinnovamento che, in quanto riserva
di provvisione, è rappresentato nella voce «B.3) Fondi per rischi ed oneri»
del passivo dello Stato patrimoniale.
In conclusione, la soluzione esposta comporta, di fatto, la necessità di operare
un triplice ordine di accantonamenti:
 un ammortamento «tecnico»;
 un accantonamento ad un fondo di rinnovamento;
 un accantonamento ad un fondo perdita di devoluzione.
L'ammortamento «tecnico» serve per ripartire il costo pluriennale, sostenuto
per l'acquisto e poi per il rinnovo degli impianti, nel periodo della loro vita utile
economico-tecnica.
L'accantonamento al fondo di rinnovamento, serve a fronteggiare i
presumibili maggiori costi da sostenere per il rinnovo delle immobilizzazioni
devolvibili nel periodo di durata della concessione.
L'accantonamento al fondo perdita di devoluzione, consente di trattenere
ulteriori quote di utili lordi destinate a fronteggiare la futura perdita di
devoluzione corrispondente al valore di costo degli impianti reversibili al
momento della loro cessione senza corrispettivo.
c) La ripartizione del costo storico mediante ammortamento «tecnico» e la
copertura del costo di devoluzione mediante accantonamento ad un fondo spese.
La due soluzioni a) e b), sopra esposte, possono comportare numerosi problemi
pratici di applicazione. Entrambe, infatti, presuppongono di conoscere, sin
dall'inizio dell'attività, le epoche dei futuri rinnovi e i relativi costi. Sono queste
congetture che rischiano di risultare scarsamente attendibili, specie quando i
rinnovi: i) avvengono in epoche diverse, a seconda della tipologia degli impianti;
ii) avvengono per gradi, riguardando parti diverse della stessa immobilizzazione;
50
iii) si confondono con gli interventi di ampliamento e miglioramento degli
impianti esistenti; iv) comportano ampliamenti rilevanti della struttura operativa.
Per superare tali, è stata proposta una soluzione semplificata del
procedimento di ripartizione dei costi degli impianti gratuitamente devolvibili con
vita utile inferiore alla durata della concessione.
Essa parte dalla considerazione che, per tali beni, la durata della concessione
è ininfluente ai fini del processo di obsolescenza tecnica ed economica. Pertanto,
se i beni vengono sostituiti prima della devoluzione, e quindi sono utilizzati per
l’intera durata utile economica, si può trascurare inizialmente il vincolo di
cessione gratuita commisurando l’ammortamento alla residua possibilità di
utilizzazione e ripartendo, quindi, il costo storico sugli esercizi di durata utile
economica del bene.
Così facendo, però, in prossimità della scadenza della concessione, emerge
il problema, prima trascurato, del trattamento contabile degli oneri derivanti dal
vincolo di cessione dei beni senza corrispettivo. In questo momento, infatti,
saranno in funzionamento una serie di beni da devolvere gratuitamente che sono
stati rinnovati per l’ultima volta.
Per questi «ultimi impianti» rinnovati si pone il problema di ripartire il costo
di acquisto e recuperarne così il valore da restituire gratuitamente all’ente
concedente. In caso contrario, l'impresa concessionaria registrerebbe una perdita
di devoluzione che potrebbe impedire il rimborso del capitale o la continuazione
dell'attività; perdita che misurerebbe l'errore compiuto inizialmente nell'aver
trascurato il vincolo di cessione senza corrispettivo.
Il costo di acquisizione degli «ultimi impianti» rinnovati non può essere
ripartito sugli ultimi esercizi della convenzione, dalla data dell'ultimo rinnovo alla
data di scadenza della concessione. Così facendo, infatti, le quote di
ammortamento a carico di tali esercizi risulterebbero eccessivamente gravose
rispetto a quelle degli esercizi precedenti e ciò comporterebbe un notevole
squilibrio nella ripartizione dei costi di devoluzione nell'intero arco della
concessione. Inoltre, prima della scadenza della concessione, l'ente concedente
potrebbe richiedere interventi di manutenzione e ripristino per riottenere i beni in
normali condizioni di funzionamento, con conseguente ulteriore aggravio di costi
per gli ultimi esercizi. Tutto ciò potrebbe comportare il rischio che i ricavi degli
ultimi periodi non siano in grado di assicurare l'equilibrio economico e di
garantire, quindi, le disponibilità necessarie per procedere al rinnovo degli
impianti o alla restituzione del capitale ai soci.
Per operare la ripartizione, occorre dunque considerare che i costi derivanti
dalla devoluzione gratuita dei beni sono di competenza di tutto il periodo di
durata della concessione e non devono «penalizzare» in misura maggiore gli
ultimi esercizi. Tali costi, infatti, derivano da un preciso vincolo giuridico che
l'impresa conosce già al momento della sottoscrizione della concessione.
51
La soluzione da seguire, pertanto, è quella di continuare ad ammortizzare i
beni da devolvere ripartendo il costo storico sulla loro durata utile economica. In
questo modo, però, il costo di acquisto risulterà ripartito solo in parte ed essi non
saranno completamente ammortizzati. Il valore contabile netto alla data di
scadenza della concessione rappresenta la perdita di devoluzione che l'impresa
dovrebbe sopportare se ignorasse il vincolo della devoluzione gratuita. L'importo
della perdita di devoluzione, così determinato, deve essere ripartito, secondo
competenza, lungo tutti gli esercizi di durata della concessione, mediante specifici
accantonamenti ad un fondo spese future.
Dunque, anche questa seconda procedura di partecipazione alla
formazione del reddito dei beni gratuitamente devolvibili con vita utile inferiore
alla durata della concessione prevede un doppio ordine di accantonamenti:
 un ammortamento «tecnico»;
 un accantonamento ad un fondo perdita di devoluzione.
L'ammortamento «tecnico» è destinato a ripartire il costo pluriennale,
sostenuto per l'acquisto e poi per il rinnovo degli impianti, nel periodo della loro
vita utile economico-tecnica. Le modalità di determinazione di tale ordine di
ammortamenti non differiscono da quelle normalmente seguite per le
immobilizzazioni tecniche non soggette a devoluzione gratuita. Il «Fondo
ammortamento tecnico» è, dunque, una posta correttiva e viene rappresentato a
diretta rettifica del valore dell’immobilizzazione.
L'accantonamento al fondo perdita di devoluzione, serve a trattenere
ulteriori quote di utili lordi destinate a fronteggiare la futura perdita di
devoluzione corrispondente al presunto valore capitale residuo degli impianti
reversibili al momento della loro cessione senza corrispettivo. La sua finalità,
dunque, è ancora analoga a quella del cosiddetto ammortamento «finanziario».
Come nell'ammortamento «finanziario», diversamente dall'ammortamento
«tecnico», è assente ogni legame con la durata tecnica o economica degli
investimenti, mentre assume esclusivo rilievo la durata della concessione, periodo
entro il quale occorre consentire all'impresa di recuperare un valore
corrispondente al capitale che andrebbe altrimenti perduto con la devoluzione
gratuita. Gli accantonamenti operati a questo titolo, tuttavia, non hanno la natura
di un secondo ordine di ammortamenti. È diverso, infatti, il valore da
«ammortizzare»: nell'ammortamento «tecnico» è l'intero capitale investito
soggetto a logorio tecnico-economico; nell'ammortamento «finanziario» è il
capitale residuo da ammortizzare alla scadenza della concessione, calcolato come
differenza tra il valore lordo degli investimenti devolvibili e il fondo di
ammortamento «tecnico». Occorre, pertanto, attribuire anche a tali
accantonamenti «finanziari» il significato di veri e propri accantonamenti di utili
lordi volti a fronteggiare un onere futuro di origine contrattuale (la convenzione)
certo nell'an e nel quando (la scadenza della convenzione) e il cui importo è
stimabile con sufficiente ragionevolezza. Il «Fondo perdita di devoluzione beni
gratuitamente devolvibili» è, dunque, una riserva di provvisione destinata a far
52
fronte a costi o perdite di natura determinata, esistenza certa, data di sopravvenienza
determinata e ammontare indeterminato. Come tale, esso può iscriversi nella voce
B.3) del passivo dello stato patrimoniale. La Tavola 3 riporta un esempio di tale
procedimento.
Anche in questo caso, infine, se si ritiene che l’ente concedente possa
richiedere l’esecuzione di lavori per mantenere o ripristinare le condizioni di
normale funzionamento dei beni al termine del periodo di concessione, è
necessario precostituire le opportune risorse operando ulteriori accantonamenti ad
un «Fondo manutenzione e ripristino beni gratuitamente devolvibili». Tali
accantonamenti dovrebbero consentire di ripartire, in via anticipata, il costo
presunto degli interventi di manutenzione aventi finalità conservative. Per i costi
di migliorie, ristrutturazioni e ammodernamenti dei beni che comportano un
incremento significativo e misurabile di capacità, produttività, sicurezza o vita
utile, si dovrebbe invece operare una ripartizione in via posticipata, mediante
capitalizzazione e successivo ammortamento per il residuo periodo di vita utile.
Anche la pratica applicazione di questa impostazione semplificata può
presentare notevoli difficoltà. Infatti, i beni possono essere rinnovati più volte
durante la concessione; i costi di sostituzione possono essere diversi e, specie
quelli degli «ultimi impianti», difficilmente stimabili al momento in cui occorre
iniziare l’accantonamento al fondo spese; la durata utile dei beni, inoltre, può
cambiare nel corso della concessione in dipendenza di fattori numerosi e
difficilmente prevedibili. Tutto ciò può rendere impossibile una stima attendibile
della «perdita» corrispondente al valore residuo degli impianti reversibili al
momento della loro cessione gratuita all'ente concedente. Le difficoltà sono tanto
più marcate quanto maggiore è la durata della concessione.
In questi casi, rappresenta una ragionevole approssimazione ripartire, in
quote costanti, per il periodo di durata della concessione, l'intero costo dei «primi
impianti» originariamente acquistati, al netto dei soli contributi eventualmente
ricevuti. Così facendo, si assume implicitamente che allo scadere della
concessione non risulti recuperato alcun valore tramite l'ammortamento «tecnico».
Si tratta di un'ipotesi semplificatrice che, tuttavia, potrebbe approssimare
ragionevolmente l'onere derivante dalla devoluzione gratuita. Il valore del capitale
residuo alla scadenza della concessione, infatti, dovrebbe essere: da un lato,
minore del costo dei «primi impianti», dovendosi cedere un bene non nuovo ma in
normali condizioni di funzionamento e, quindi, parzialmente ammortizzato;
dall'altro, maggiore del costo dei «primi impianti», a causa della naturale tendenza
ad ampliare e migliorare la struttura tecnica di produzione.
Ripartendo l'intero costo degli impianti, gli effetti reddituali dei due
procedimenti di ammortamento dei beni gratuitamente devolvibili con vita utile
inferiore alla durata della concessione risultano sostanzialmente equivalenti
nell'intero arco della concessione. Tuttavia, se gli investimenti sono soggetti a
scadenze di rinnovo diverse, con ogni probabilità al termine della concessione una
53
parte del capitale in essi investito risulterà parzialmente recuperata attraverso gli
ammortamenti «tecnici». Di conseguenza, il fondo costituito per far fronte alla
perdita di devoluzione gratuita risulterà sovrabbondante, ponendo così un
problema di destinazione dell'eccedenza.
2.1.11. LA RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO DEI BENI GRATUITAMENTE DEVOLVIBILI
L'art. 2424 del Codice civile non prevede nella classe «B.II)
Immobilizzazioni materiali» alcuna voce destinata ad accogliere i beni
gratuitamente devolvibili.
La necessità di assicurare autonoma evidenza, direttamente nel corpo della
situazione patrimoniale, ai costi di acquisizione ed incrementativi del valore
originario di tali beni ha condotto, in teoria e nella prassi di numerose imprese, ad
invocare il disposto dell'art. 2423-ter, comma 3, per aggiungere una nuova voce
«B.II.4) beni gratuitamente devolvibili».
Al riguardo, occorre sottolineare che l’obbligo di aggiungere voci atipiche
negli schemi legali, previsto dal legislatore al fine di assicurare compiuta
rappresentazione a fenomeni eterogenei, non classificabili in alcuna delle voci
tipiche, deve essere inteso in termini restrittivi e deve essere rispettoso della
natura normalizzata degli schemi di bilancio.
Sebbene l’ambito di applicazione della norma sia ampio e si riferisca, in
linea di diritto, a tutte le voci del bilancio, a prescindere dal contrassegno di
identificazione, l’aggiunta di voci si giustifica solo in casi di stretta necessità,
qualora risultino inefficaci i tentativi di utilizzare gli altri margini di elasticità
previsti dall'art. 2423-ter.
La modifica degli schemi di bilancio mediante aggiunta di voci, di
qualunque ordine richiede, pertanto, che si verifichino simultaneamente le
seguenti condizioni:
•
si presenti un fenomeno il cui contenuto, per natura o funzione, sia
eterogeneo rispetto a quelli accolti nelle poste legalmente tipiche;
• il fenomeno eterogeneo sia comunque tipico rispetto alle normali ipotesi
di funzionamento di un’impresa o di una particolare categoria di
imprese;
• il fenomeno sia classificabile, per natura o per destinazione, in un
raggruppamento in cui non siano contemplate poste residuali;
• sia stato esperito un tentativo di soluzione del problema in via
interpretativa, che consenta di concludere circa la impossibilità di
procedere ad una idonea collocazione in una delle poste legalmente
tipiche;
54
•
il fenomeno non sia adeguatamente rappresentabile neanche mediante
«adattamento» di una voce tipica, se ne ricorrono i presupposti di legge;
• il fenomeno sia significativo nell’economia dell’impresa o di importo
rilevante.
Per i beni gratuitamente devolvibili non sembrano ricorrere tutti i
presupposti necessari per aggiungere una nuova voce negli schemi.
Più adeguate appaiono, invece, le seguenti soluzioni alternative:
 iscrizione nella voce residuale «B.II.4) altri beni», con eventuale
suddivisione della medesima (30);
 iscrizione nelle voci tipiche, con eventuale suddivisione delle medesime
e conseguente inserimento di una sottovoce di dettaglio appositamente
denominata (31); contestualmente, si potrebbe suddividere la voce del Conto
economico «10.b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali», distinguendo
le quote di ammortamento «finanziario» da quelle per ammortamento «tecnico».
L’iscrizione nella voce residuale rischia di disattendere il criterio di
classificazione sotteso allo schema legale di Stato patrimoniale. Gli impianti e i
macchinari, infatti, vanno classificati nella voce B.III.2) dell’attivo e non nella
voce residuale.
La soluzione in assoluto preferibile, dunque, sembra quella di iscrivere i
beni in oggetto nelle poste tipiche degli schemi. L’opportunità di ricorrere alla
suddivisione deve valutarsi in concreto, caso per caso, guardando alla realtà della
specifica impresa. Infatti, quando beni «devolvibili» risultano classificabili in più
voci delle immobilizzazioni materiali, la loro separata evidenza mediante
suddivisione potrebbe risolversi in un eccessivo «gonfiamento» del modello e in
una minore immediatezza dell’informazione. In questo caso, le necessarie notizie
di dettaglio sulla presenza di beni la cui proprietà deve essere devoluta
gratuitamente ad una determinata scadenza, sui conseguenti effetti sulla
composizione dell’attivo e del passivo, possono utilmente fornirsi nella Nota
integrativa che assolve così la sua funzione di documento esplicativo ed
integrativo dei prospetti contabili, garantendone l'efficacia informativa.
Inopportuna appare, infine, la suddivisione della voce del passivo «B.3) altri
fondi», al fine di assicurare separata evidenza alle passività destinate alla
copertura dei diversi oneri futuri, di esistenza certa o probabile, da sostenere per
rispettare le condizioni di devoluzione. Per tali informazioni, infatti, il legislatore
ha previsto una precisa topica legale. In presenza di una specifica rilevanza
dell'informazione, le disposizioni di legge, nell'art. 2427, n. 7, individuano
espressamente nella Nota integrativa il luogo tipico in cui fornire la composizione
della voce altri fondi.
(30) CNDC, Principio contabile n. 16, p. 22-23.
(31) La rappresentazione delle «opere devolvibili» mediante suddivisione della voce «Impianti e
macchinario» è imposta, per le imprese elettriche, dagli schemi di bilancio definiti dal D. M. 11
luglio 1996.
55
2.2
IL TRATTAMENTO DEI COSTI CONGIUNTI
2.2.1
CAUSALITÀ E CENTRI DI COSTO
Volendo conoscere i costi relativi a differenti fasi di lavoro o a singole
attività (ad es. Servizio idrico e gas), occorre sezionare il processo produttivo e
individuare unità produttive elementari caratterizzate da autonomia operativa e tali
da poter attribuire loro specifici costi. I valori rilevati secondo natura (seguendo i
criteri della contabilità generale) vengono pertanto successivamente attribuiti alle
unità elementari. In sostanza, tale obiettivo può essere conseguito individuando
differenti centri di costo.
Questi ultimi sono riferiti a un reparto o a una sezione dell’impresa
subordinati alla responsabilità di un capo. Essi sono presenti in tutte le aree
aziendali ivi compresi gli acquisti, produzione, vendite, amministrazione,
personale e servizi generali. Spesso, quando il reparto o l’ufficio sono molto ampi
e/o le lavorazioni risultano complesse, l’attività può essere suddivisa in più centri
di costo coordinati da uno o più responsabili. L’utilità del centro di costo diviene
evidente nel caso di più prodotti e attività e si riconnette all’esigenza di attribuire i
costi indiretti in base a corretti criteri di causalità.
Il criterio della “causalità” presuppone l’attribuzione di un costo comune in
base alla “responsabilità” del prodotto, processo, servizio, nel generare
l’assorbimento della risorsa comune.
Definiti i centri di costo, e supposto ad esempio che in uno stabilimento si
producano beni che utilizzano in misura differenziata i macchinari presenti, si
potrebbe caricare il costo di questi ultimi e altri costi indiretti in funzione delle ore
macchina totali necessarie per ogni prodotto. In molte circostanze, il criterio si
rivela però semplicistico e induce a informazioni distorte. Infatti, presuppone una
proporzionalità costante tra il fattore preso come metro di misura e il complesso
dei costi indiretti che si intendono imputare. Nella fattispecie, i dati saranno validi
se le macchine presentano costi omogenei e identica produttività. Nel caso
contrario, le ore macchina costituiscono un metro disomogeneo di misura che
conduce a informazioni di costo fuorvianti.
In realtà si riscontrano impostazioni differenziate a seconda della natura
dell’impresa e delle esigenze informative. “L’obiettivo di costo” può essere
rappresentato da più prodotti, una linea di prodotti, un servizio, una particolare
area di business.
I criteri e gli obiettivi di costo più comunemente utilizzati vengono di
seguito precisati:
a) base unica aziendale
I costi comuni vengono ripartiti con riferimento a un’unica base di
imputazione (ore macchina, ore di manodopera diretta, superficie);
56
b) basi multiple relative alle funzioni
Le basi di imputazione sono riferite alle aree funzionali aziendali. Ad
esempio le spese di produzione vengono imputate in base alle ore macchina e le
spese amministrative in base al fatturato;
c) basi multiple riferite alle unità organizzative
Vengono individuati i costi relativi alle varie aree di responsabilità e quindi
vengono imputati ai vari "oggetti di costo". Ad esempio vengono indicati i costi di
fabbricazione, di magazzinaggio, di manutenzione, di vendita e di
amministrazione e per ogni area si individuano le misure per la ripartizione;
d) basi multiple connesse al "valore" delle attività
Il criterio chiama in causa le varie fasi di lavoro e tende a dare priorità
(secondo la logica della "catena del valore" descritta da Porter) a quelle che danno
un maggior contributo in termini di "valore aggiunto" al prodotto finale;
e) capacità contributiva del margine
Qualora si adotti la logica del direct costing e si reputi comunque necessario
determinare una configurazione di costo pieno di prodotto, in alcune circostanze i
costi indiretti vengono imputati tenendo conto dei prezzi imposti dal mercato.
Viene quindi effettuata una ripartizione in base alla dimensione di costo che il
singolo prodotto o servizio può sopportare cioè in base alla "capacità contributiva"
al sostegno dei costi fissi comuni aziendali.
Per agevolare il processo di imputazione, spesso diviene necessario
individuare più centri produttivi, attribuendo a ognuno di essi il costo diretto del
lavoro, delle macchine e attrezzature specifiche. Su ogni centro di costo vengono
altresì localizzati e ripartiti i costi indiretti residui (manutenzione, riscaldamento,
ecc.). Il singolo prodotto troverà dunque una imputazione di costo in funzione
dell’utilizzo diretto delle differenti unità di lavorazione e in tal senso si riduce
l’approssimazione delle imputazioni indirette. Il criterio guida è dunque quello di
trasformare la maggior parte delle voci di spesa in costi diretti di centro, attuando
una successiva imputazione al prodotto o alla commessa con un criterio oggettivo
e coerente con il servizio reso dal comparto di produzione.
Nella fattispecie delle aziende multiservizio, può essere utile costruire
sistemi contabili autonomi relativi ai singoli servizi. In ogni caso, per le
dimensioni minori, sussiste il problema dell'attribuzione dei costi relativi
alle strutture fisse e alle spese generali e amministrative.
2.2.2
DAI CENTRI DI COSTO ALLE “ATTIVITÀ”.
L’ACTIVITY BASED COSTING
Nell’impresa moderna i costi indiretti e comuni sono sempre più rilevanti.
Inoltre, occorre tener conto che “l’organizzazione a rete” dell’impresa tende a
rendere più frequente il decentramento produttivo verso lavorazioni esterne, con
57
un fortissimo interscambio tra fasi interne all’impresa e fasi esterne. I prodotti
sono sempre più sofisticati e ricchi di “qualità”. Quest’ultimo attributo vale in
modo particolare per l’attività di servizio.
In tale contesto, l’individuazione di centri di costo diviene più difficile e gli
indicatori tradizionali basati sull’impiego delle risorse e sulla capacità di
assorbimento risultano sempre meno validi.
Si tende pertanto a sostituire i centri di costo con le “attività”. Quest’ultima
impostazione è rivolta ad esaminare in dettaglio il processo di formazione dei
costi, con particolare riferimento alle spese industriali, amministrative e
commerciali. L’attribuzione non avviene quindi ai centri di costo, bensì ad una
“attività” di produzione, di supporto, ausiliaria. Successivamente, viene effettuato
il ribaltamento sul prodotto o sul servizio.
Un sistema di contabilità dei costi secondo l’ABC presuppone
l’aggregazione delle singole operazioni in macro attività, caratterizzate da
omogeneità (ad esempio il set-up dei vari prodotti su una linea di montaggio) tale
per cui il loro utilizzo dipende causalmente dagli stessi fattori.
È frequente l’aggregazione dei costi secondo le seguenti attività:
− attività di produzione (ammortamenti, lavoro diretto, forza motrice);
−
attività di supporto alla produzione (approvvigionamento dei materiali,
gestione delle scorte, sistemi di controllo della qualità);
−
attività di commercializzazione (ammortamenti e costi del personale
adibito a tale funzione);
−
attività di direzione e amministrazione (ammortamento delle opere
civili, costo del lavoro).
Nel processo di attribuzione del costo delle “attività” al prodotto o servizio
occorre selezionare i cost driver. Si tratta di grandezze elementari che individuano
una relazione di causalità tra i fattori produttivi e le varie attività. Ad esempio, nel
caso dell’attività di commercializzazione, un cost driver potrebbe essere
rappresentato dal tempo necessario per esaminare la bozza di contratto e verificare
il rispetto dei termini contrattuali.
La scelta del cost driver di riferimento deve essere coerente con l’effettivo
utilizzo delle risorse, con la possibilità di ottenere una misura agevole e con
l’opportunità di successivi miglioramenti del processo.
È pertanto evidente che l’impiego di un solo “driver” può essere fortemente
forviante. In generale, viene adottato un insieme di driver che interpreti
correttamente tutte le fasi di una particolare attività.
58
2.3 IL RUOLO DELLE VARIABILI STRUTTURALI E TECNOLOGICHE
Le variabili esogene che possono influenzare in modo sistematico il livello
e la dinamica dei costi di un’azienda idrica sono molteplici. Un questionario che
non ponga problemi troppo complessi di compilazione, deve peraltro ridurle ad un
sottoinsieme relativamente poco numeroso, concentrandosi su quelle che ci si
attende abbiano una correlazione più diretta con i costi.
L’impiego di questo criterio ha portato a modificare in misura significativa
il questionario originariamente impiegato per la raccolta dei dati sui quali si basò
la determinazione del metodo normalizzato attuata nel 1996. Queste differenze
sono dettagliatamente illustrate e discusse nei paragrafi che seguono.
2.3.1. LE VARIABILI STRUTTURALI
Nel questionario 1995 le variabili strutturali rilevate erano le seguenti:
– il tipo di azienda, distinguendo per forme giuridiche diverse;
– integrato, e lasciando libertà alle aziende di indicare altri servizi;
– il numero dei comuni gestiti, individuando separatamente le modalità di
gestione (concessione o gestione per conto). Per la rete fognaria venivano
richiesti i comuni interessati e l’area coperta dal servizio;
per quanto riguarda in particolare la distribuzione venivano rilevati:
•
il numero di utenti, distinti in due classi di diametro del contatore e a
bocca tassata. Le utenze erano inoltre suddivise in: domestiche, pubbliche,
industriali e commerciali;
•
gli elementi principali del bilancio idrico (acqua prodotta, acquistata da
terzi, immessa ed erogata);
•
la lunghezza delle canalizzazioni di distribuzione;
•
l’area di competenza;
•
la popolazione dell’area, distinguendo tra quella servita normalmente e
quella servita nel periodo di punta.
-
per la rete fognaria venivano rilevati:
•
il numero dei comuni interessati;
•
l’area di copertura del servizio;
• la popolazione servita (ancora identificando quella nel periodo di punta);
• il numero di utenze classificabili come civili, commerciali - industriali ed
edifici pubblici;
59
• la lunghezza totale della rete, e la sua distinzione in grandi collettori, fogne
bianche, nere e miste;
• i volumi non domestici immessi;
-
per gli impianti di depurazione venivano richiesti ampi dettagli degli aspetti
tecnologici che verranno analizzati nel prossimo paragrafo.
Nel nuovo questionario l’impianto delle variabili strutturali e’ stato
focalizzato, ed il loro numero ridotto a quelle che ci sono apparse maggiormente
correlabili con i costi operativi.
Si è pertanto resa esplicita la lista dei servizi prestati da ciascuna azienda,
per l’evidente importanza rivestita – nell’analisi dei costi del settore idrico- dalla
numerosità e dalla tipologia dei servizi forniti: come è evidente, da un lato
l’esistenza di una pluralità di servizi può generare economie di varietà ( da cui
discendono i vantaggi, spesso evidenziati , di una multiutility); dall’altro una
maggiore opacità dei costi attribuibili al servizio idrico, stanti i problemi di
allocazione dei costi cui ci si riferirà in maggio dettaglio nel paragrafo ad essi
dedicati.
Il numero dei comuni serviti è stato individuato separatamente per le tre
fasi del servizio idrico, chiedendo di indicare il numero di questi interconnessi
idraulicamente: a parità di numero di comuni gestiti, infatti, è da attendersi che
l’interconnessione abbassi i costi operativi.
Per quanto riguarda la distribuzione si sono distinte le utenze commerciali
da quelle industriali, e si è omesso di distinguerle per diametro del contatore,
variabile che ci pareva avere un impatto solo assai mediato sui costi operativi.
E’ stata introdotta una domanda esplicita sulle perdite di rete, e si è
rilevato il volume dell’acqua contabilizzata e non contabilizzata.
E’ stata definita con maggior precisione la definizione di estensione della
rete da adottare, chiarendo che i suoi punti terminali sono da identificarsi con i
punti di derivazione della fornitura d’utenza.
Le rimanenti domande relative alla distribuzione sono state mantenute,
introducendo alcuni chiarimenti atti a migliorare la qualità dei dati.
Le domande relative alla rete fognaria sono state lasciate invariate. Non
sono state introdotte domande relative alla struttura degli impianti di depurazione,
la cui analisi tecnologica - come discusso nel paragrafo 2.3.3. – è stata invece
significativamente modificata.
60
2.3.2 LE VARIABILI GESTIONALI
La rilevazione delle variabili gestionali nel questionario 1995 , alquanto
imprecisa per quanto riguarda i costi, si limitava in una prima fase a richiedere
una sintesi del costo operativo annuo, secondo le seguenti categorie:
a) Energia elettrica
b) Materiali, consumi e merci
c) Servizi forniti da terzi
d) Varie
e) Personale
f) Complessivo
Il medesimo schema veniva utilizzato per la distribuzione, la rete
fognaria e la depurazione.
L’imprecisione di tale schema appare evidente, soprattutto per quanto
riguarda la voce “Varie”, la cui esistenza potrebbe indurre ad includervi gli
ammortamenti, e ciò con grave errore, essendo questi – come noto – considerati in
modo separato dai costi operativi all’interno del metodo normalizzato. In
alternativa essa avrebbe potuto “attrarre” poste straordinarie, falsando la natura
operativa dei costi da rilevare. Alla fine del questionario compariva poi una tavola
che richiedeva informazioni contabili dettagliate, basata sulle voci seguenti:
-
Acqua acquistata da terzi
-
Altre spese
-
Spese per lavori, manutenzioni, riparazioni
-
Energia elettrica
-
Altre spese per prestazioni di servizi
-
Spese personale
-
Spese generali
di cui si chiedeva l’attribuzione per le seguenti attività:
-
Amministrazione
-
Laboratori di controllo
-
Approvvigionamento acqua potabile
-
Distribuzione acqua potabile
-
Rete fognaria
-
Trattamento e smaltimento reflui
61
L’utilità di tali dati, nel quadro della definizione di un metodo tariffario
normalizzato appare assai dubbia. Inoltre ci paiono assai poche le aziende in grado
di disporre di un sistema contabile così complesso come quello che sarebbe
richiesto per rispondere a domande così dettagliate.
Per questo, nel nuovo questionario tali domande sono state eliminate in
toto.
L’unica altra variabile gestionale richiesta nel questionario in esame era il
numero delle letture “registrate” e quello delle fatture emesse. Sulla prima
variabile occorre peraltro rilevare come la formulazione adottata non rendesse
chiaro se tali letture fossero effettuate presso l’utenza, oppure “ registrate” con
metodi di imputazione: la differenza tra questi due metodi sul piano dei costi e
della qualità del rapporto con la clientela appare peraltro evidente.
Nella riformulazione del questionario si è provveduto anzitutto a
specificare che i costi operativi annuali venivano rilevati prima degli
ammortamenti; si è poi eliminata la voce “Varie”, in considerazione delle poste
spurie che essa avrebbe potuto potenzialmente attrarre. Come nel questionario
1995, la medesima struttura di rilevazione aggregata dei costi operativi è stata
mantenuta per il servizio fognature e per quello depurazione.
Come più diffusamente discusso in altri paragrafi di questo capitolo, si è
poi provveduto ad analizzare in modo approfondito il problema del calcolo degli
ammortamenti, e si è cercato di acquisire informazioni utili a comprendere quali
procedure di allocazione dei costi congiunti fosse adottata dai rispondenti ai
questionario.
E’ stata poi dedicata un’attenzione maggiore che nel passato alla qualità di
distribuzione del servizio:
-
specificando che per letture si debbano intendere quelle effettuate presso gli
utenti;
-
chiedendo dati riguardanti i tempi medi di allacciamento e il numero medio
annuo per utente di ore di non disponibilità.
E’ stata introdotta una domanda, in precedenza assente, sul numero di
dipendenti: ciò consente di valutare il costo medio annuo (come vedremo una
variabili rilevante nell’interpretazione delle differenze nei costi operativi).
La struttura dei costi operativi dell’approvvigionamento è stata
approfondita, separando i costi di sollevamento, quelli di potabilizzazione, e quelli
di acquisto di acqua da terzi.
62
2.3.3. LE VARIABILI TECNOLOGICHE
Per quanto riguarda il servizio di distribuzione il questionario 1995
conteneva domande dettagliate, per ciascun impianto di approvvigionamento e per
ciascun impianto di risollevamento. Per ciascuno venivano poste domande
tecniche (tra cui le principali erano: distanza di adduzione, metri di sollevamento,
tipologia di trattamento), oltre ad altre domande di tipo tecnico – economico
(assorbimenti di energia elettrica, costi per personale, reagenti, materiali,
assicurazioni), troppo dettagliate ai fini dell’analisi e suscettibili di generare dati
imprecisi.
Nel nuovo questionario si è pertanto provveduto ad eliminare questo
secondo gruppo di domande, semplificando notevolmente il quadro delle
informazioni richieste.
Per la rete fognaria si è proceduto ad eliminare la richiesta di informazioni,
per ciascuna stazione di pompaggio, relative alla sua localizzazione, all’altezza di
sollevamento e alla potenza elettrica installata, concentrando dunque l’attenzione
sulle sole variabili di struttura e di costo discusse negli altri paragrafi.
Anche la sessione depurazione del questionario è stata semplificata:
– per i carichi trattati, individuando separatamente solo quelli industriali;
– per la linea acqua, ci si è concentrati sulle tipologie di trattamento
secondario e terziario;
– per la linea fanghi e gli effluenti si sono mantenute le domande del
questionario 1995.
63
64