02_1_capitolo i - Padis
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PARTE SECONDA I. Il Palazzo di S. Luigi dei Francesi: una fabbrica del primo settecento romano Ciò che caratterizza le architetture di Roma barocca è la continua interazione che lega il linguaggio architettonico dei singoli manufatti agli spazi urbani in cui essi s’inseriscono, dove viceversa il sistema superiore di spazi introduce e amplifica la percezione degli stessi edifici. E’ partendo da quest’ottica tracciata dal Norberg-Schulz1 che si possono esporre le vicende costruttive del palazzo di S. Luigi dei Francesi, dove – come accade in altri episodi coevi più illustri2 oppure nei casi in cui gli edifici sono integrati in uno schema di percorsi definito mediante strade diritte e regolari – la fabbrica progettata nel primo Settecento da Carlo Bizzaccheri, è anch’essa un elemento architettonico inserito entro un disegno urbano più ampio rimasto in gran parte irrealizzato (fig. 22). Urbano VIII nel 1636 prefigurando un riassetto generale di questa parte del rione S. Eustachio3, ordinò il tracciamento di un nuovo collegamento viario che, intersecando via della Scrofa, avrebbe dovuto unire piazza Navona con la piazza antistante alla chiesa di S. Maria Maddalena da poco ampliata. Il papa Barberini riuscì a vederne realizzata una minima parte e il progetto urbano fu ripresentato durante il pontificato di Alessandro VII quando fu paventata anche la costruzione di altri due rettifili che, sviluppandosi ortogonalmente al primo, avrebbero raggiunto rispettivamente le piazze di S. Andrea della Valle e di S. Agostino. In seguito fu Clemente IX a perseguire nuovamente la trasformazione di questo vasto spazio urbano, ma dovette anch’egli procrastinare rinunciando definitivamente allo sbocco in piazza Navona. Il nuovo collegamento viario fu portato a compimento all’inizio del XVIII secolo esclusivamente nel tratto compreso tra la scomparsa piazzetta Lombarda e via della Scrofa. Questo breve tronco stradale, denominato strada di Pinàco e corrispondente all’odierna via S. Giovanna d’Arco 4 , fu compiuto nel 1710 in concomitanza all’avvio del cantiere per la costruzione del palazzo di S. Luigi dei Francesi. La vasta documentazione raccolta presso gli Archives des Pieux Etablissements de la France 5 e presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico 6 , ha permesso di ricostruire con 1 Cfr. C. NORBERG-SCHULZ, Architettura Barocca, Milano 1971, pp. 28-29. Cfr. A. ROCA DE AMICIS, Palazzo Gambirasi e Piazza della Pace: storia edilizia di un connubio difficile, in “Palladio”, n. 25, 2000, pp. 19-38. 3 L’area in cui è situato il palazzo di S. Luigi dei Francesi si trova all’interno dell’VIII rione della città che anticamente apparteneva alla IX regione augustea, mentre la suddivisione rionale del territorio urbano fu attuata dal VII secolo, derivando da una ripartizione bizantina in distretti difensivi simili a quella di Ravenna che ben presto acquisirono anche una valenza civica, con riferimento a monumenti o punti topografici della città. I moderni rioni non coincidevano né con le sette regioni ecclesiastiche né con le quattordici regiones augustee e sia i confini, sia il loro numero complessivo, rimasero fluttuanti nei secoli: quattordici rioni nel secolo XII, tredici nel secolo XIV e nuovamente quattordici nel secolo XVI, per volere di Sisto V Peretti che vi aggiunse il rione Borgo; cfr. R. KRAUTHEIMER, Roma. Profilo di una città, 312-1308, Roma 1981, pp. 196-197. 4 L’iniziale toponimo strada di Pinàco è presente in un’iscrizione che si trova nell’ospedale dei pellegrini francesi e sulla pianta del Nolli al n. 813, in seguito assume il nome di via di S. Luigi e, infine, con la canonizzazione di Giovanna d’Arco è ridenominata definitivamente via S. Giovanna d’Arco; cfr. P. ROMANO, Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, Roma s.d., vol. I, p. 230. 5 L’archivio è collocato all’interno del palazzo di S. Luigi dei Francesi in via S. Giovanna d’Arco, la cui consultazione è stata resa possibile grazie alla preziosa disponibilità del Sig. François-Charles Uginet, Amministratore dei Pii Stabilimenti francesi a Roma e Loreto, unitamente alla collaborazione e cortesia della Sig.ra Anne Justo; cfr. APPENDICE VII. 6 L’Archivio è situato in via S. Nicola da Tolentino, per la cui consultazione e per la collaborazione nelle ricerche, mi preme ringraziare il Sig. F. M. Pillat; cfr. APPENDICE VII. 2 120 buona approssimazione la sequenza temporale dei diversi avvenimenti che compongono questo singolare episodio di storia urbana: a partire dall’attestamento nel rione della comunità nazionale francese e tedesca, proseguendo con i diversi chirografi papali emessi per il tracciamento del rettifilo, sino alle complesse vicende che hanno concorso all’apertura dell’unico tratto realizzato dove s’inserisce la fabbrica del Bizzaccheri. L’opera, commissionata dalla Congregazione di S. Luigi dei Francesi, occupa l’intero fronte settentrionale dell’isolato appartenente ai Pii Stabilimenti della Francia a Roma e Loreto, da largo Giuseppe Toniolo (già tratto di via della Scrofa) sino a corso del Rinascimento, nel punto esatto in cui si trovava la piazzetta Lombarda che – come tutta l’area circostante – era anche denominata dei Matriciani. La facciata principale dell’edificio appare dimensionalmente contrapposta a quella severa del Collegio Germanico-Ungarico7 e fu realizzata secondo il progetto redatto nel 1709, dove l’architetto si attenne scrupolosamente alle indicazioni presenti in un terzo decreto pontificio che, confermando i due precedenti ordinati da Urbano VIII e Alessandro VII, fu emesso da Clemente IX nel 1667 e fu definitivamente autorizzato da Clemente XI, unitamente ai Maestri delle Strade, nel 1710. Le volontà dei papi, del resto, erano spesso disattese e annullate dai mutevoli rapporti di convivenza che intercorrevano tra i diversi detentori del potere sociale ed economico, i quali ambivano tutti al controllo del maggior numero di aree edificabili da cui ottenere prestigio e rendite. E il barocco rappresenta il linguaggio che meglio s’inserisce nei dissapori nati tra i diversi proprietari, quali congregazioni religiose che rappresentavano nazioni straniere – come Francia e Germania – l’ordine gesuitico e famiglie nobili come i marchesi Bongiovanni. Finalità di questa ricerca, dunque, sarà utilizzare nel modo più esaustivo la vasta documentazione reperita presso i due archivi, avvalendosi anche di quella non propriamente architettonica e spesso conflittuale, con cui comprendere un episodio di storia urbana che si è articolato nel corso del XVII secolo e che ha concorso in maniera determinante alla realizzazione del palazzo di S. Luigi dei Francesi. L’opera, tra l’altro, è stata finora descritta sommariamente sia dalle fonti coeve sia dalla storiografia contemporanea8, mentre già Tafuri ne ha da diverso tempo sollecitato uno studio più approfondito9. 7 La fabbrica dei Gesuiti, già parzialmente edificata nel corso della prima metà del secolo XVII su progetto di Paolo Maruscelli, fu completata nella seconda metà del secolo XVIII da Pietro Camporese il Vecchio e Pasquale Belli. Quest’ultimo architetto è maggiormente noto per essere il progettista della ricostruzione della basilica di S. Paolo fuori le mura a seguito dell’incendio che la distrusse completamente nel 1823. 8 A tal riguardo si veda il brevissimo accenno redatto dal Pascoli (cfr. L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1730-36, ed. 1933) dal Milizia (cfr. F. MILIZIA, Memorie degli architetti antichi e moderni, Parma 1785, tomo II, p. 222) e dal Portoghesi; cfr. P. PORTOGHESI, Roma Barocca, Bari 1995 (ed. aggiornata), p. 424. 9 Cfr. M. TAFURI, Carlo Francesco Bizzaccheri, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. X, Roma 1968, p. 737. 121 La renovatio urbis attraverso le comunità nazionali Un momento peculiare per la storia dell’architettura di Roma fu la renovatio urbis che i papi umanisti – combinando il realismo politico a profonde motivazioni culturali e religiose – operarono con il programma di ricostruzione edilizia e urbanistica della città avviato da Niccolò V dopo la parentesi avignonese. Da allora il somptuoso et excessivo fabricare, divenne lo strumento principale per accompagnare il progressivo consolidarsi della loro sovranità, sgomberando il terreno dagli ostacoli frapposti a riaffermare l’universalità della Chiesa, e fornendo allo stesso tempo un supporto fondamentale a un’ipotesi di governo assolutista. La renovatio urbis, infatti, fu attuata adottando per edilizia e viabilità specifici provvedimenti, regolando i principi dell’esproprio in modo da garantire il controllo pontificio sui suoli edificabili in vista degli appuntamenti giubilari. E’ quanto avviene ad esempio nel rione S. Eustachio dove, in occasione dell’anno santo del 1475 e come prima conseguenza alla decisione di utilizzare il Vaticano quale residenza ufficiale dei pontefici, fu condotta una vasta opera di trasformazione urbana. Sisto IV – avvalendosi della bolla pontificia Et si de cunctarum civitatum – attuò il rinnovamento dei maggiori tracciati viari, mentre le principali comunità nazionali, attraverso oculate strategie politiche, concorsero significativamente allo sfruttamento delle aree su cui poter edificare. Il pontefice già nel 1471, anno della sua elezione, con il trasferimento nel palazzo capitolino dei bronzi provenienti dalla piazza lateranense, “avvicinava” il baricentro politicoamministrativo della città dalla basilica di S. Giovanni al Campidoglio10; in realtà la donazione era finalizzata ad accattivarsi le simpatie comunali e a garantire un prolungato periodo di stabilità politica. Il susseguirsi di differenti politiche papali e il conseguente mutare dei rapporti di forza legati al favore di una sola delle potenze straniere, furono fondamentali per l’attestamento delle comunità nazionali in prossimità di piazza Navona, dove il moderno sviluppo dell’area agonale – seppur durante già il Medioevo vi fossero state costruite diverse abitazioni – aveva avuto inizio con la decisione sistina di trasferirvi il mercato capitolino. Ciò era stato possibile mediante il sodalizio tra Sisto IV e la Francia, avvalendosi in particolare del cardinale francese Guillaume d’Estouteville che, essendo magistrato delle strade, aveva imposto un allineamento uniforme e rigorosi vincoli formali sia agli edifici esistenti sulla piazza sia a quelli di nuova costruzione11. Lo stesso sodalizio politico, inoltre, fu decisivo per consentire l’insediamento ufficiale della comunità francofona – denominata Congregazione di S. Luigi dei Francesi – tra l’antico stadio di Domiziano e il Pantheon, mediante una sistematica acquisizione dei beni immobiliari appartenenti fin dal IX secolo all’abbazia di Farfa. In realtà, una prima disponibilità alla permuta degli immobili era stata chiesta durante il regno di Pio II, dovendo perciò ascrivere al 1460 l’anno di fondazione della chiesa nazionale di S. Luigi dei Francesi. Una politica più vicina alla Spagna, invece, aveva già consentito nel 1450 la fondazione della chiesa di S. Giacomo e il suo rinnovamento per il Giubileo del 1500, quando era stato condotto anche il totale rifacimento della medievale S. Maria dell’Anima possibile mediante la sintonia tra la Germania e Alessandro VI. La chiesa – situata come la spagnola e la francese in prossimità della piazza – fu ricostruita dal 1499 sullo schema delle 10 I quattro bronzi sono: la Lupa, il Cavaspina, la testa e la mano, che quattro mesi dopo l’elezione di Sisto IV della Rovere (1471-1484) sono solennemente restituiti alla città andando a costituire il primo nucleo dei musei Capitolini. A questa donazione ne seguiranno altre quali: la testa marmorea dell’imperatore Costanzo, donata nel 1486 da Innocenzo VIII Cibo (1484-1492), i tre grandi bassorilievi con Marco Aurelio nel 1515 e le colossali statue dei fiumi provenienti da Montecavallo nel 1517; cfr. C. D’ONOFRIO, Roma, storia e immagini di una città dal III secolo all’età barocca, Roma 1985, pp. 154-169. 11 Cfr. C. L. FROMMEL, S. RAY, M. TAFURI, Raffello architetto, Milano 1984. 122 hallenkirchen tedesche, anche se i lavori si protrassero notevolmente per permettere l’ultimazione della tribuna e della facciata di Giuliano da Sangallo. Con il nuovo secolo si assistette alla trasformazione di gran parte del patrimonio edilizio esistente nel rione S. Eustachio che, essendo attraversato dai tracciati viari che conducevano alla basilica petriana quali la via Papalis e il collegamento proveniente dalla porta del Popolo, andò sviluppadosi rapidamente attraverso il riposizionamento dei maggiori palazzi da dove amministrare il potere politico-economico. In particolare l’accesso principale alla città era formato da un sistema di percorsi conformato nel corso di diversi pontificati: Sisto IV aveva regolarizzato l’antica via Recta e la strada dell’Orso sino a piazza del Clementino (l’odierna piazza Nicosia), Alessandro VI aperto la via Alessandrina, e Leone X aveva tracciato la via Leonina per assicurare ai pellegrini che giungevano da nord un collegamento diretto con il Vaticano. Il rinnovamento dei tracciati viari e dei maggiori edifici, inoltre, riguardò anche altri punti del rione: il papa Borgia aveva risanato la zona della Dogana di Terra e il palazzo della Sapienza, aprendo l’attuale via del Teatro Valle e regolarizzando piazza S. Eustachio, mentre Paolo III nel 1535 aveva tracciato la strada che da piazza dell’Apollinare giungeva in piazza Navona12, l’anno seguente aperto piazza di Monte Giordano (l’odierna piazza dell’Orologio) e via di Panico; ancora in seguito rettificato via dell’Anima. E’ probabile, infine, che anche via dei Baullari in asse con il palazzo Farnese presupponesse sin dall’inizio uno sbocco diretto in piazza Navona, la cui centralità era stata confermata anche da Giulio II attraverso le manifestazioni carnevalesche e il corteo che, partendo dal Campidoglio, vi terminava trionfalmente. Di conseguenza la vocazione rappresentativa dell’antico stadio, favorita dall’attestamento lungo il suo perimetro delle comunità nazionali delle tre maggiori nazioni europee, si affermò sempre più determinando l’avvio di numerose operazioni edilizie ex novo in tutta l’area, tra cui: lo sviluppo dell’Università della Sapienza13, la costruzione della chiesa di S. Maria della Pace, della Zecca pontificia e i nuovi interventi presso la Dogana di Terra. Questa meticolosa opera di sviluppo urbano, influenzò i maggiori personaggi legati alla corte pontificia a costruire nell’area le proprie residenze: ad esempio Sinulfo di Castell’Ottieri, uomo di fiducia di Sisto IV14, decise di fabbricare in prossimità dell’attuale palazzo Madama inglobando una fabbrica preesistente e la medievale torre dei Crescenzi, mentre il cardinale d’Estouteville – già mecenate della ricostruzione del chiostro e della chiesa di S. Agostino – volle nel 1465 la propria residenza prospettante sulla piazza dell’Apollinare, e allo stesso modo anche il cardinal nipote Girolamo Riario fece erigere la propria nelle vicinanze15. L’espansione urbanistica proseguì ancor più per tutto il Cinquecento, conseguentemente al costante incremento demografico della popolazione e favorita da una buona e prolungata congiuntura economica: si svilupparono maggiormente due tipologie architettoniche principali, quali il palazzo aristocratico e l’unità abitativa seriale per le classi meno agiate, ottenuta dall’accostamento di diverse cellule unifamiliari con cui si andarono a colmare le aree ancora libere. Palazzo Altemps, ad esempio, fu ottenuto accrescendo il palazzo Riario-Sforza, a sua volta frutto 12 Il tracciamento della strada di collegamento tra le due piazze si lega alle vicende costruttive di palazzo Bagattini, opera perduta di Antonio da Sangallo il Giovane, già collocato nella zona esterna Nord di piazza Navona e demolito negli anni Trenta del Novecento per consentire il tracciamento di corso del Rinascimento; cfr. E. BENTIVOGLIO, Due palazzi del Cinquecento romano distrutti: palazzo Giustini a piazza Colonna di Giacomo della Porta e palazzo Bagattini a piazza Navona di Antonio da Sangallo il Giovane, in “Quaderni PAU”, n. 1, 1992, pp. 41-50. 13 Il palazzo dell’Università “La Sapienza”, oggi adibito a sede dell’Archivio di Stato di Roma, è sottoposto a un primo intervento di risanamento operato nel 1498 da Andrea da Firenze, mentre è ricostruito nel Cinquecento da Giacomo Della Porta e ampliato nel Seicento da Francesco Borromini con l’inserimento della chiesa di S. Ivo alla Sapienza. 14 Si precisa che Sinulfo di Castell’Ottieri era anche Protonotario apostolico e vescovo di Chiusi. 15 Cfr. J. CONNORS, Alleanze e inimicizie. L’urbanistica di Roma barocca, Roma-Bari 2005, pp. 89-91. 123 del precedente inglobamento quattrocentesco di case più modeste. Lo stesso avvenne in palazzo Patrizi, uniformato secondo le indicazioni progettuali apportate da Carlo Maderno16 e nei palazzi Madama e Giustiniani, che pur alterati dai restauri otto-novecenteschi, sono anzitutto il risultato di trasformazioni edilizie precedenti che si concentrano principalemente tra il primo Rinascimento e l’epoca barocca17. All’interno di quest’importante espansione edilizia s’inseriscono i progetti urbanistici perseguiti da Leone X rimasti in gran parte irrealizzati: il pontefice dopo aver completato il collegamento diretto tra la principale porta d’accesso alla città e S. Pietro, tracciando in continuità con i suoi predecessori la via Leonina 18, immaginava la creazione di uno scenografico fondale innalzando in piazza Saponara – solo in seguito denominata di S. Luigi dei Francesi – un tempio rotondo e la nuova chiesa nazionale di Francia; un grandioso palazzo mediceo da realizzarsi secondo i disegni redatti da Giuliano e Antonio da Sangallo il Giovane, infine, avrebbe completato il programma urbanistico affacciandosi con uno dei fronti su piazza Navona, completando in questo modo l’urbs medicea simbolo della pacificazione tra gli Stati europei19. Nella seconda metà del secolo, inoltre, l’accrescimento edilizio fu notevolmente favorito dal decreto De Aedificiis emanato da Gregorio XIII che, stabilendo il diritto d’acquisizione forzata degli immobili adiacenti e riconoscendo ai vicini un diritto di prelazione, si protrasse sino al pontificato di Alessandro VII. Nel corso del Seicento, però, accanto alle suddette tipologie rinascimentali fu avviato quel processo di crescita verticale della città che sarebbe divenuto nel corso del secolo successivo sempre più sviluppato, giungendo nell’Ottocento a essere addirittura normato da appositi decreti che proponevano ingenti sgravi fiscali a chi volesse sopraelevare la propria abitazione. La crescita verso l’alto fu improntata su un processo di fusione edilizia ottenuto mediante la sistematica unificazione e sopraelevazione delle case a schiera monocellulari: queste ultime, sviluppate nella maggioranza dei casi su due livelli incluso il pian terreno – con un orto e in qualche caso un pozzo situati nella parte retrostante – furono trasformate attraverso il loro accorpamento in casamenti plurifamiliari suddivisi in appartamenti standardizzati, e regolarmente affittati dagli enti religiosi e confraternite che ne avevano finanziata la realizzazione. Nel XVII secolo, inoltre, piazza Navona divenne uno dei più frequentati spazi pubblici non solo del rione S. Eustachio ma di tutta la città; già pavimentata e dotata d’acqua da Gregorio XIII con le fontane progettate da Giacomo Della Porta, divenne ben presto il luogo favorito per lo svolgimento di processioni e feste sontuose tra cui il carnevale, oltre ad ospitare il mercato trasferitovi da Sisto IV da oltre un secolo. Occorre rilevare che anche nelle altre piazze situate nelle vicinanze, si svolgevano importanti mercati: in piazza Saponara, che unitamente alla costruzione della chiesa nazionale francese fu denominata piazza di S. Luigi dei Francesi, si svolgeva il mercato dei saponi 20 , nella piazzetta Lombarda quello dei salumi 21 e in piazza Madama (già denominata in precedenza Lombarda) quello delle piante22. 16 La fabbrica, in seguito, sarà interessata dalle trasformazioni settecentesche apportate dall’architetto Sebastiano Cipriani e da quelle ottocentesche conferitegli da Luigi Moneti. 17 Per quanto concerne palazzo Giustiniani occorre menzionare gli interventi cinquecenteschi eseguiti da Giovanni Fontana e quelli seicenteschi opera di Francesco Borromini, mentre per il palazzo Madama i principali interventi sono riconducibili a quelli che nel XVII secolo vi realizza Paolo Maruscelli. 18 La via Leonina (corrispondente alle odierne vie di Ripetta e della Scrofa) proveniente da piazza del Popolo, intersecando la via Recta, raggiungeva la piazza di Ponte e di qui proseguiva sino alla basilica petriana mediante il ponte S. Angelo e la via Alessandrina. 19 Cfr. FROMMEL-RAY-TAFURI 1984, op. cit. pp. 27-35. 20 Piazza Saponara è ricordata spesso nei documenti del XVI secolo e conserva questa denominazione sino al trasferimento che nel corso del Seicento obbligò i “saponari” a vendere i loro prodotti nelle vicinanze di via dei Pastini; il Martinelli (cfr. F. MARTINELLI, Roma di nuovo esattamente ricercata nel suo sito, Roma 1725 p. 120), asserisce invece che piazza di S. Luigi dei Francesi assunse questo nome già nel 1509. 124 Queste ultime due piazze erano collegate da due vicoli paralleli delle Cinque Lune 23 e dei Matriciani24; ed è dai mercanti di suini che qui svolgevano la loro attività commerciale che deriva il suffisso Matriciani: nei documenti il termine è utilizzato non solo come denominazione di un luogo ma anche per identificare una specifica categoria di commercianti e artigiani, affittuaria delle case o delle stanze appartenenti principalmente alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi, che sorgevano prevalentemente nell’area in cui sarà realizzato l’omonimo palazzo. In particolare i Matriciani risiedevano nelle unità abitative seriali poste attorno all’omonima corte interna, cui si accedeva tramite uno stretto vicolo coperto dalla piazzetta Lombarda (figg. 1314); e pur essendo i diretti fornitori dei principali generi alimentari destinati alla comunità francese25, oltre che parte integrante della struttura sociale del rione, i Matriciani rappresentavano una categoria d’inquilini molto povera, dalla solvibilità incostante che usurava l’immobile a loro affittato e che spesso fuggiva inseguita dai debitori. Di conseguenza una larga parte della politica immobiliare gestita da enti religiosi e confraternite – come si approfondirà per quanto concerne la Congregazione di S. Luigi dei Francesi e la comunità gesuitica – fu condotta per evitare il generarsi di ricorrenti situazioni di morosità e degrado degli stessi casamenti, ricostruendo le abitazioni e rivolgendosi ad affittuari di ceto sociale più elevato da cui ricavare una maggiore rendita. La stessa occupazione di strade e piazze da parte di commercianti e venditori, largamente diffusa nel Seicento, fu aspramente contrastata soprattutto nel corso del pontificato di Alessandro VII, quando si cercò di riorganizzare i mercati attraverso una ricollocazione in sedi più consone. “Il crudel Lamento che fanno quelli che hanno sfrattato da piazza Navona…”26, è un brano estratto da un testo dell’epoca e permette di comprendere come questa comunità di mercanti fosse un elemento ben radicato nell’area in cui sorgerà il palazzo di S. Luigi dei Francesi27. Le preesistenze dell’epoca imperiale e medievale La fabbrica progettata da Carlo Bizzaccheri sorge in un’area che da sempre ricopre un’enorme rilevanza storica e archeologica, nella quale ogni epoca ha lasciato tracce e testimonianze direttamente leggibili attraverso l’analisi stratigrafica del sottosuolo. 21 La piazzetta Lombarda è denominata dal Bernardini dei Matriciani (cfr. B. BERNARDINI, Descrizione del nuovo ripartimento de’ Rioni di Roma fatto per ordine di Papa Benedetto XIV, Roma 1744, pp. 130-143) ed è stata inglobata negli anni trenta del XX secolo da parte del tracciato di corso del Rinascimento, dove una delle dimensioni della piazza corrisponde alla sezione stradale della nuova arteria. 22 Il mercato delle piante si svolgeva ogni mercoledì mattina; cfr. MARTINELLI, op. cit., p.179. 23 Il vicolo, già denominato via dei Macelli, come riportato dall’Adinolfi (cfr. P. ADINOLFI, Roma nell’età di mezzo, Rione VIII S. Eustachio, Roma 1881, p. 159), è talvolta chiamato nei documenti anch’esso vicolo dei Matriciani sino ad assumere secondo il Rufini (cfr. A. RUFINI, Dizionario etimologico-storico delle strade, piazze, borghi e vicoli della città di Roma, Roma 1847, pp. 176-177), la denominazione di vicolo delle Cinque Lune dall’insegna di un’osteria decorata con la figura del pianeta e di cinque fasi lunari. Il vicolo fu infine annesso negli anni trenta del XX secolo aa un tratto dell’attuale corso del Rinascimento. 24 Il vicolo dei Matriciani, indicato sulla pianta di Roma del Nolli con il n. 810, è stato annesso negli anni trenta del XX secolo a un tratto di corso del Rinascimento. 25 Il macellaio Stefano Di Paolo matriciano è pagato per la carne del suo macello venduta alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 49, mandati di pagamento, fasc. I anno 1627, c. 23, 11 settembre 1627; cfr. APPENDICE VII. 26 Il brano del testo risalente al 1651 è stato ripubblicato dal Cancellieri; cfr. F. CANCELLIERI, Il mercato, il lago dell’Acqua Vergine e il Palazzo Panfiliano nel circo Agonale dello volgarmente Piazza Navona, Roma 1811. 27 Un altro brano è: “…Piangono i Matriciani, con il cortile loro, Che con i lor salumi Facevano tesoro, Con Scope, e con Carote, Et altre cose note”; cfr. U. GNOLI, Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna, Roma 1939, p. 159. 125 Il palazzo si trova nel punto esatto in cui anticamente s’innalzava l’ala occidentale delle terme Neroniane, facente parte a sua volta di un complesso architettonico che per dimensioni e importanza era il secondo della città imperiale; recentemente dallo studio dei paramenti murari ritrovati in uno dei cortili della vicina piazza Rondanini, è stato possibile evidenziare la presenza di ampi tratti di muratura risalenti all’epoca imperiale romana. Le terme, innalzate fra il 62 e il 64 d. C. nell’area a nord-ovest del Pantheon e a poca distanza da quelle d’Agrippa28, furono interamente ricostruite da Alessandro Severo e da allora ufficialmente denominate Alessandrine29; in seguito modificarono completamente il loro aspetto attraverso un radicale intervento di restauro, passando dal tipo riferibile al ginnasio greco – quali erano nell’impianto neroniano – a quello ormai codificato della terma imperiale romana. Si estendevano su una superficie complessiva di circa ventiduemilaottocento metri quadrati, incastonate tra lo stadio di Domiziano e la piazza porticata anteposta al Pantheon, secondo una struttura che è stata oggetto di studio da parte del Canina, del Lanciani e della Fiore Cavaliere: aperte sul lato settentrionale, presentavano gli ambienti principali disposti in asse e fiancheggiati simmetricamente da vani di minore importanza, mentre due grandi aree porticate erano collocate rispettivamente sul lato occidentale e orientale. E’ possibile individuare il portico nord-occidentale – corrispondente all’area in cui oggi sorge il cortile del palazzo di S. Luigi – avvalendosi della ricostruzione assonometrica del complesso eseguita dal De Angelis d’Ossat (fig. 1), mentre i resti dell’esedra voltata visibile sul lato settentrionale del portico, furono ritrovati all’inizio del Settecento durante l’apertura del tratto mancante della strada di Pinàco30. A tal riguardo il Valesio nel suo diario annota che nel corso del tracciamento “si sono ritrovati alcuni pezzi di travertino smisurati, delle vestigie delle terme di Severo, che sin là giungevano” 31 ; le stesse emergenze archeologiche, inoltre, sono visibili in un’incisione del Mercati eseguita nel 1627 e in una planimetria postuma conservata presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico 32 (figg. 2-3). Analisi stratigrafiche e indagini archeologiche eseguite di recente sia nelle fondazioni del palazzo di S. Luigi sia in quelle del vicino palazzo Madama, hanno permesso di evidenziare estese tracce murarie appartenenti al complesso architettonico imperiale (fig. 4); lo stesso è avvenuto nel corso di alcuni scavi condotti in piazza di S. Luigi dei Francesi nel 1934, portando alla luce un frammento d’architrave e due colonne di granito poi ricomposte sul fianco destro della chiesa di S. Eustachio33. Del resto la vastità delle terme Alessandrine – come la maggior parte degli edifici antichi – fu una fonte inesauribile di materiali da costruzione sino a tutto il Settecento; ad esempio due colonne 28 Le terme d’Agrippa, costruite nel 25 a. C. nel Campo Marzio a sud del Pantheon, sono le prime grandi terme imperiali lasciate dopo la morte del loro fondatore in libero uso al popolo che si estendevano su un’area di 100-120 metri per 80-100 metri in asse con il Pantheon e bruciarono nell’80 d. C., quando furono restaurate dagli Imperatori Tito e Domiziano fino al loro completo rifacimento nell’epoca adrianea. Ulteriormente restaurate da Massenzio e forse da Costante e Costanzo, furono definitivamente distrutte nel corso del VII secolo; cfr. R. A. STACCIOLI, N. NEUERBURG, Riscoperta di Roma antica, Roma 1999, pp. 76-77. 29 Si precisa che Alessandro Savero si occupò del restauro di diversi edifici che sorgevano nella zona fra cui lo stadio di Domiziano. 30 Cfr. STACCIOLI-NEUERBERG, op. cit., p. 77. 31 Cfr. F. VALESIO, Diario di Roma: 1700-1742, Roma 1742 (ed. a cura di G. SCANO E G. GRIGLIA, Milano 1977), vol. IV, p. 347. 32 Questa e altre planimetrie sono state già pubblicate nell’articolo dedicato alla fabbrica del Collegio GermanicoUngarico da Bösel e Garms (cfr. R. BÖSEL, J. GARMS, Die Plansammlung des Collegium Germanicum-Hungaricum, I: Der Gebauderkomplex von S. Apollinare in Roma, in “Römische Historische Mitteilungen”, n. 23, 1981, p. 368), in particolare quella a cui si fa riferimento è la n. 54 che risale al 1667. 33 ASC, Archivio Rip. X, Busta 135, foglio 4, Rinvenimento colonne in Piazza di S. Luigi dei Francesi, 1934-35; cfr. APPENDICE VII. 126 di granito orientale provenienti dalle stesse vestigia, furono utilizzate nel 1666 per risarcire il pronao del Pantheon consentendo a Bernini di liberare il tempio dalle case che vi erano addossate; lo stesso Borromini si recò a ossevarne gli scavi davanti alla chiesa di S. Luigi dei Francesi, mentre un’altra colonna “…chè avanzava fuor del piano del Cortile…”, fu tagliata in loco nel 1713 durante i lavori di costruzione del palazzo di S. Luigi dei Francesi supervisionati dallo stesso Bizzaccheri34. Nel corso del XX secolo, infine, durante il restauro eseguito nelle cantine del palazzo, riaffiorarono i resti dell’angolo nord-occidentale del complesso termale; in particolare di una parte degli ambienti dov’era situata una delle due palestre simmetriche cui appartiene, con molta probabilità, un’altra colonna ancora in situ munita di capitello corinzio35. Nonostante il notevole e generalizzato decremento demografico, nel medioevo questa parte della città rimase abitata, favorita dall’essere in prossimità del Tevere che garantiva anzitutto l’approvvigionamento idrico e costituiva una delle principali fonti di sostentamento economico36; l’economia alto medievale, altrimenti, era caratterizzata dai mansionarii addetti all’amministrazione delle proprietà ecclesiastiche che crescevano in maniera proporzionale al lento processo di cristianizzazione, oppure in relazione all’accumularsi dei beni immobiliari che erano localizzati principalmente nei luoghi in cui furono fondate le prime chiese cristiane 37 . Bonifacio IV fu il promotore della cristianizzazione del rione S. Eustachio e contribuì notevolmente a sviluppare il processo di trasformazione dei santuari pagani a iniziare dalla consacrazione del Pantheon, che nel 609 fu il primo edificio della zona a essere dedicato alla Vergine. L’essere stato denominato S. Maria Rotonda contribuì a debellare le superstizioni che nel VI secolo avevano influenzato i fondatori delle prime chiese cristiane, distogliendoli dalla radicata credenza che gli spiriti maligni infestassero le rovine dei templi 38 ; tuttavia ancora il pontefice Gregorio Magno si era fatto raffigurare nell’atto di scacciare i demoni dal tempio dedicato in precedenza a tutti gli dèi39. In molti altri casi, le chiese proto-cristiane furono fondate all’interno di edifici che nella città imperiale avevano avuto destinazioni d’uso completamente differenti, non risentendo delle superstizioni determinatisi per il Pantheon. E’ il caso di S. Eustachio che nell’VIII secolo sorse proprio tra i resti delle terme Alessandrine40 e comprendeva anche un ospizio per l’accoglienza dei flussi di pellegrini provenienti dalla porta Flaminia, poichè Roma con la conquista musulmana di Gerusalemme del 640, era rimasto l’unico centro sacro del cristianesimo a custodire le tombe e le reliquie dei suoi martiri, e di conseguenza divenne meta di un pellegrinaggio religioso cui prestarono assistenza numerose diaconie41. 34 APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. II anno 1714, c. 1363, [giorno mese mancante] 1614; cfr. APPENDICE VII. 35 Frammenti di colonne, sculture, capitelli e mosaici, appartenenti alla fase più tarda dell’edificio sono visibili all’interno del centro culturale di S. Luigi dei Francesi; cfr. F. COARELLI, Roma, Roma 2003, pp. 355-356. 36 Il fiume permetteva la navigazione e di conseguenza lo sviluppo degli scambi commerciali sia con il mare sia con l’entroterra e lo sfruttamento delle sue acque, inoltre, sviluppava numerose attività artigianali quali la macinatura e la filatura della lana: semplici artigiani, barcaioli e mercanti sul finire del X secolo erano organizzati in scholae, ossia uniti in corporazioni che trattano prezzi e salari con gli imprenditori locali. 37 Cfr. KRAUTHEIMER, op. cit., p. 196. 38 Simili superstizioni del resto avevano determinato l’abbattimento di gran parte degli obelischi esistenti a Roma. 39 Cfr. KRAUTHEIMER, op. cit., p. 95. 40 Seppur la tradizione indichi la diaconia già esistente nel IV secolo con il titulus di oratorio sorto nel luogo del martirio di Eustachio, avvenuto il 20 gennaio 120 sui resti della sua casa dove in seguito sorse una cappella a lui dedicata che precede la costruzione della chiesa stessa; cfr. G. CARPANETO, I quartieri e i rioni di Roma, Rione VIIIS. Eustachio, Roma 1989, p. 586. 41 Le diaconie romane, nominate nei documenti posteriori al 684, nascono come luoghi adibiti alla conservazione e alla distribuzione delle derrate alimentari, integrandosi all’amministrazione assistenziale centrale e provviste dei bagni, essendo ormai inutilizzabili quelli nelle terme romane. In seguito sono ben documentate nell’VIII secolo, quando divengono strutture adibite all’assistenza per pellegrini, dei poveri, degli ammalati e degli anziani, epoca in cui il loro 127 Come accaduto per la fondazione di S. Eustachio, anche quella di S. Maria de Cellis42 sorse nel VI secolo in uno degli ambienti voltati facenti parte dello stesso complesso termale, e assunse anch’essa un simile carattere assistenziale per poveri, ammalati e anziani. Come nella gran parte delle diaconie, tra le stesse vestigia assieme ad alcune abitazioni, si trovavano anche tre oratori dedicati a S. Benedetto, S. Andrea de Fordivoliis43 e S. Salvatore in Thermis44 (cfr. la pianta dello Hülsen, fig. 5). I monaci longobardi che inizialmente gestivano la comunità religiosa fondarono anche un monastero che, essendo regolato da leggi autonome, raggiunse un’importanza tale da permettere una notevole crescita delle proprietà urbane. Queste ultime nel IX secolo furono ereditate dalla potente abbazia Benedettina di Farfa45, che beneficiò di un prolungato periodo di floridezza economica sino al XII secolo, essendosi schierata nel 774 con Carlo Magno e usufruendo della stessa autonomia legislativa. Tra le imponenti rovine delle terme Alessandrine era compresa anche un’area adibita alla coltivazione – situata in prossimità dei resti dell’esedra monumentale – che nel Quattrocento fu interessata dall’edificazione, assumendo gradualmente l’aspetto di una corte interna che cominciò a essere denominata dei Matriciani. Nell’alto medioevo, altrimenti, gli agglomerati d’abitazioni esistenti nel rione erano concentrati in prossimità della chiesa di S. Eustachio, nei dintorni del Pantheon – dove un primo sviluppo edilizio era avvenuto a seguito alla riattivazione dell’acquedotto Vergine – e attorno al Monte Giordano che, trovandosi a una quota più elevata, era protetto dalle frequenti inondazioni del fiume; piazza Navona, invece, restò in gran parte inedificata sino agli interventi di Sisto IV descritti in precedenza. Solo dopo l’anno 1000 si assistette a una più intensa espansione edilizia, relazionabile all’insediarsi vicino al fiume di pellai e conciatori; le abitazioni di questi artigiani erano concentrate in particolare in un agglomerato sviluppato in prossimità del tratto occidentale della via Recta, compreso in un gruppo di strade indicate col nome di Scorticlaria o Scorteclaria 46. In seguito la denominazione divenne sempre più rara47 sino a ricomparire in un documento del 1525 dove si asserisce che la Congregazione di S. Luigi dei Francesi, oltre ad aver avuto in permuta dall’abbazia finanziamento era assicurato dai redditi dei possedimenti terrieri messi a disposizione dalla Chiesa o da ricchi donatori. La loro attività s’inquadrava nella concezione cristiana della carità come dovere verso Dio e verso il prossimo, tuttavia, le diaconie erano dotate sempre di un oratorio pur non essendo luoghi di culto; erano istituzioni volte a fini utilitari e profani oltre che ecclesiastici, non erano gestite da comunità monastiche ma dirette dal pater diaconiae che era un funzionario laico dell’amministrazione pontificia; cfr. KRAUTHEIMER, op. cit., pp. 100-106. 42 Il suffisso della chiesa deriva dall’essere appartenuta tra il IX e il XIV secolo al monastero di Farfa e dall’aver avuto alla sua dipendenza l’edificio principale denominato Cella Farfae; cfr. ROBERTO, op. cit., p. 9. 43 Sia l’oratorio di S. Andrea sia la stessa chiesa di S. Maria de Cellis, nel medioevo erano denominati anche con il suffisso de Fordivoliis, derivante dal cognome dei nobili romani proprietari di alcune case poste accanto alla tribuna della chiesa e prospettanti assieme all’oratorio di S. Benedetto su piazza Lombarda (in seguito denominata piazza Madama); cfr. GNOLI 1939, op. cit. p. 159. Il suffisso Fordivoliis subì numerose corruzioni (quali Fortis Boliae) e se ne hanno notizie ancora sul finire del Quattrocento, quando i discendenti della stessa famiglia si trasferirono nelle vicinanze della chiesa di S. Lorenzo in Lucina; cfr. C. HÜLSEN, Le chiese di Roma nel Medioevo, Roma 1927, p. 183. 44 La chiesa di S. Salvatore in Thermis fu fondata nel VI secolo dallo stesso pontefice Gregorio Magno; cfr. ROBERTO, op. cit., p. 5. 45 L’abbazia era stata ricostruita nel VII secolo dal monaco Benedettino Tommaso di Maurienne proveniente dalla Francia. 46 Il suffisso deriva dal latino scortum – pelle staccata dal corpo dell’animale – e la contrada è ricordata per la prima volta con questa denominazione in un documento risalente al 998, la stessa che in seguito fu attribuita anche gli edifici di culto che sorgevano nei resti delle terme quali la chiesa di S. Maria de Cellis e l’oratorio di S. Benedetto: “ecclesiam sanctae Mariae et sancti benedicti inter civitatem romanam in loco qui dicitur scorticlaro cum scriptis (criptis) et earum pertinentiis”; cfr. Bollettino di Storia Patria dell’Umbria, 1910, p. 725. Lo stesso riscontro può verificarsi in un documento postumo risalente al 1177: “Ecclesia S. Salvatoris (de Inversis) cum ortis iuxta se positis in Scorticlaria” e riferendosi con un altro suffisso all’oratorio di S. Salvatore in Thermis e alla contrada in cui sorgeva. Lo Gnoli, correggendo Hülsen (cfr. HÜLSEN, op. cit., p. 442), sostiene trattarsi della chiesa del Salvatore posta in via dei Coronari; cfr. GNOLI 1939, op. cit., p. 123. 47 L’area di studio dal secolo XIV assunse anche l’appellativo di Regio Ponti set Scortichiariorum. 128 di Farfa l’ospedale di S. Giacomo dei Lombardi48, in contrada Scorteclaria possedeva tre case: “…avanti la strada; dietro il campo o piazza di Agone [Piazza Navona]; dall’altro verso la piazza dei Lombardi [Piazza Madama], v’è la casa di Mariano di Altopasso; dal quarto lato la casa di Gaspare dei Garzoni da Iesi…”49. Con contrada Scorteclaria s’indicavano anche gli edifici di culto che sorgevano tra i resti delle terme quali la chiesa di S. Maria de Cellis e i tre oratori di S. Benedetto, S. Andrea e S. Salvatore, ottenuti dalla comunità francese nella seconda metà del Quattrocento sempre dai Benedettini farfensi. La comunità monastica, divenuta a seguito del concordato di Worms patrocinio pontificio, vide sottrarsi all’inizio del XV secolo l’autonomia di nomina del proprio priore assieme alla permuta del vasto patrimonio immobiliare acquisito nei secoli, subendo un progressivo declino politicoeconomico che portò alla cessione di S. Maria de Cellis, degli oratori e dell’ospedale di S. Giacomo dei Lombardi50. E nel corso del Cinquecento parte degli edifici medievali permutati con la comunità francese, furono trasformati su progetto degli architetti Jean de Chenevières, Giovanni Antonio Dosio, Domenico Fontana e Giacomo Della Porta nell’attuale complesso architettonico di S. Luigi dei Francesi. L’attestamento e lo sviluppo nell’area della comunità francofona e gesuitica Lo statuto ufficiale che attesta l’origine dei Pii Stabilimenti della Francia a Roma e Loreto, fu emanato nel 148051 e con esso fu ufficialmente istituita la confraternita che raggruppava i membri laici e non, appartenenti alla popolazione francofona stabilitasi a Roma52. Tuttavia fu con la seguente bolla di Sisto IV che la neonata congregazione fu intitolata alla concezione della S. Vergine Maria, a S. Dionigi e a S. Luigi; oltre alle indulgenze, l’Ad hoc Supernae, concedeva agli appartenenti la redazione dei regolamenti necessari all’ordinamento della comunità religiosa, e la costruzione di una chiesa nazionale. Com’è stato già rilevato dall’Uginet, una prima disponibilità alla permuta dei beni immobiliari appartenenti all’abbazia Benedettina di Farfa, fu richiesta durante il pontificato di Pio II dovendo ascrivere al 1460 l’anno di fondazione della chiesa di S. Luigi53. L’approvazione ufficiale di un insediamento francese in questa zona della città, ebbe il suo avvio in concomitanza con il Giubileo del 1475, anche se il cambio di locazione dei curialisti francofoni residenti a Roma – dalla loro cappella e ospizio in Arenula alla chiesa di S. Maria de Cellis54 – avvenne il 2 aprile 1478, quando Sisto IV emanò una seconda bolla ufficiale: solo con la Creditam 48 L’ospedale, così denominato dall’origine longobarda dell’abbazia di Farfa, assunse questo suffisso anche dai numerosi muratori lombardi che, tra la fine del XV secolo e il principio del XVI, si stabilirono cominciando l’edificazione dell’area; inizialmente anche piazza Madama fu chiamata Lombarda e in seguito la stessa denominazione fu assunta anche dalla vicina piazzetta Lombarda (denominata anche dei Matriciani), segnata con il n. 811 sulla Pianta di Roma del Nolli e distrutta nel Novecento con l’apertura di Corso del Rinascimento; cfr. HÜLSEN, op. cit., p. 183. 49 APEF, inventario delle case. 50 Cfr. ROBERTO, op. cit., p. 1. 51 Un secondo statuto risale al 3 agosto del 1500 e un terzo al 1525. In questi atti ufficiali si rileva la presenza dei curialisti di lingua francese, rappresentati da un numero massimo di due cappellani provenienti dalla stessa provincia; cfr. ROBERTO, op. cit., p. 3. 52 Cfr. C. PIETRANGELI, Guide rionali di Roma, Rione VIII S. Eustachio, Roma 1984, parte III, p. 60. La Congregazione di S. Luigi dei Francesi fu istituita secondo criteri risalenti alle assemblee conciliari della curia; cfr. ROBERTO, op. cit., p. 2. 53 Com’è stato rilevato accuratamente da François-Charles Uginet, Amministratore dei Pii Stabilimenti della Francia a Roma e Loreto e dal Roberto (cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 1-2) riferendosi ad un documento datato 31 ottobre 1563, nel quale si ricorda il centenario della costruzione della chiesa nazionale dei francesi, che permette di anticipare di diversi decenni la data in cui fu posta la prima pietra che tradizionalmente è indicata nel settembre 1518. 54 Il quale si esplica attraverso un atto del notaio pubblico Nicolas Durand. 129 nobis, infatti, la Congregazione di S. Luigi dei Francesi ottenne la permuta di tutti i beni immobiliari che i monaci farfensi possedevano nell’area dal IX secolo55 – comprensiva degli oratori di S. Benedetto, di S. Andrea de Furdivolijs e di S. Salvatore in Thermis – assieme al controllo dell’adiacente ospedale di S. Giacomo dei Lombardi. Il vasto patrimonio cui entrò in possesso la comunità francese, fu immediatamente sottoposto a una capillare opera di ricognizione a cominciare dalle strutture edilizie più vetuste, come ad esempio l’ospedale dedicato ai pellegrini che fu completamente riedificato 56 . Rinnovare velocemente il cospicuo patrimonio appartenuto all’Abbazia di Farfa, unitamente ad una politica di risanamento economico e di razionalizzazione amministrativa, era una primaria necessità con cui la confraternita poteva assicurarsi la futura sussistenza mediante l’appigionamento delle abitazioni. Era inoltre necessario raccogliere il denaro necessario alla costruzione della nuova chiesa nazionale, quale icona non solo dell’importanza raggiunta dalla Francia, ma anche per assolvere le crescenti necessità liturgiche della comunità: occorre rilevare, infatti, come quest’aspirazione pur essendo motivata principalmente dalla vetustà della medievale S. Maria de Cellis, rimase sempre e comunque legata alle politiche pontificie che non sempre furono favorevoli alla Congregazione di S. Luigi. Alessandro VI, ad esempio, sviluppando soprattutto legami politici col mondo spagnolo e tedesco, costrinse i francesi a rimandare i loro progetti architettonici; di conseguenza la chiesa, sul finire del Quattrocento, fu interessata solamente da un primo intervento di consolidamento e – come si evince da un atto del 1508 – con l’occasione del restauro fu dedicata a S. Luigi57. Tra l’altro la crisi economica che contraddistinse in quegli anni tutti i settori produttivi, obbligò la congregazione ad attendere ancora per concretare le prime riflessioni progettuali; infine, secondo la volontà dei sovrani d’oltralpe, le già scarse disponibilità finanziarie furono interamente destinate all’edificazione della chiesa di Trinità dei Monti. In questa difficile congiuntura finanziaria, Leone X volle lo stesso concedere alla comunità, l’acquisizione dell’area sui cui poter edificare la nuova chiesa nazionale emanando, il 28 febbraio 1516, un decreto che ben rappresentava la sua politica filo-francese. E Giovanni de’ Medici al fine di avviare velocemente il cantiere, avrebbe concesso un’indulgenza a tutte le persone di lingua francese che avessero donato denaro alla nuova fabbrica, affidando il progetto a Jean de Chenevières che avanzò la proposta di abbattere l’edificio medievale e ricostruire una nuova chiesa orientata su piazza Madama. La posa della prima pietra, tuttavia, non arrestò le enormi difficoltà incontrate nel reperire i fondi necessari, che furono osteggiate sia dal veto all’indulgenza pontificia posto da Francesco I di Francia sia dall’improvvisa morte di Giuliano de’ Medici. Quest’ennesima fase di stallo dei progetti previsti, fu aggravata anche dalle devastazioni apportate dal sacco di Roma, obbligando Clemente VII a ridimensionare notevolmente il cantiere, cui fece seguito la decisione di riadattare e ampliare le preesistenti strutture imperiali e medievali: in questo modo si rinunciò definitivamente alla ricostruzione ex novo prevista da de Chenevières e 55 L’Abbazia di Farfa era una delle comunità monastiche più potenti dell’Italia centrale, costituita da benedettini provenienti dalla Savoye capeggiati da Tommaso di Maurienne, le cui origini risalgono alla metà del VI secolo; tra i possedimenti della comunità deve essere annoverato anche il porto di Civitavecchia. 56 Il Venuti Cortonese (cfr. R. VENUTI CORTONESE, Accurata e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma, Roma 1766, tomo I, p. 256), afferma che l’ospedale di S. Luigi è già attivo attorno al 1480, senza specificare il luogo in cui sorgeva la nuova struttura. 57 Il 28 luglio dello stesso anno, le suppliche che i cardinali di nazionalità francese inoltrarono a papa Giulio II Della Rovere (1503-1513), determinarono l’emanazione di una bolla simbolo di una maggiore assonanza politica alla comunità, con la quale si concesse la facoltà di demolire l’oratorio di S. Benedetto, ma con l’obbligo di dedicare un altare al culto del Santo all’interno della chiesa esistente ridenominata di S. Luigi; ASC, Fondo Notarile, sez. LXVI (Mandati), vol. 1° (notaio Giovanni Camillotti), c. 186 v. (25-3-1508). Il documento è citato anche dal Roberto; cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 9-27. 130 Sangallo, che protendevano entrambi a una nuova chiesa ribaltata nell’orientamento ed estesa tra le piazze Madama e S. Luigi dei Francesi; nel 1527, infine, lo stesso Jean de Chenevières perse la vita durante le devastazioni del sacco, mentre della nuova fabbrica non erano state edificate che le fondazioni58. Occorre precisare che la Congregazione di S. Luigi inizialmente dedita all’assistenza dei pellegrini, nel corso del XVI secolo si configurò sempre più come una sede diplomatica tra la corte di Parigi e le diverse diocesi francofone esistenti a Roma59, e fu solo grazie all’intervento diretto di Enrico II che, attorno al 1540, l’antica S. Luigi fu ampliata e trasformata nell’organismo attuale sviluppato su tre navate, con cinque cappelle laterali e tribuna centrale. In particolare la realizzazione di quest’ultima necessitò negli anni che seguirono altri finanziamenti, prima da Enrico III quindi dalla stessa Caterina de’ Medici, assieme a un nuovo programma di acquisizioni immobiliari che rese possibile edificare sul lato occidentale della chiesa, esattamente come in precedenza era avvenuto su quello meridionale lungo via del Salvatore. Nel 1551, inoltre, si cominciò la costruzione della facciata, le navate laterali furono voltate e realizzate le coperture delle cappelle; infine, dal 1559, fu voltata a botte la navata centrale in previsione della costruzione di un transetto passante sormontato da una calotta 60 . Abbandonata anche l’idea di un monumentale spazio presbiteriale cupolato si giunse rapidamente al completamento della tribuna, utilizzando gli introiti economici derivanti dai benefici concistoriali nei territori francofoni; nel 1573, infine, si avviarono i lavori di decorazione e finitura, mentre Giacomo Della Porta ne progettò la facciata dal 1581. I beni immobiliari farfensi, permutati alla comunità francese attraverso le due bolle sistine, si trovarono a confinare sul lato settentrionale verso la chiesa di S. Agostino, con quelle in cui Gregorio XIII – il 5 gennaio 1574 – aveva insediato il Collegio Germanico-Ungarico. La potente istituzione gesuitica, fondata da Ignazio da Loyola nel 1552 e dotata di una cospicua entrata economica da Ugo Boncompagni, era stata trasferita per volere dello stesso pontefice nella residenza addossata al fianco destro della chiesa dell’Apollinare, già appartenuta in precedenza al cardinale francese d’Estouteville61. 58 Jean de Chenevières fu definito da Giorgio Vasari il migliore intagliatore di travertino presente nella prima metà del Cinquecento a Roma; cfr. Una didattica per il restauro II. Esperienze a San Luigi dei Francesi e San Nicola dei Lorenesi, a cura di C. BELLANCA, O. MURATORE, Città di Castello 2009, p. 19. 59 Oltre alla chiesa di S. Luigi dei Francesi si ricorda nelle vicinanze quella di S. Ivo dei Bretoni, unificata alla prima da Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), e S. Nicola in via dell’Anima che nel 1622 Gregorio XV Ludovisi (16211623) aveva affidato ai Lorenesi; cfr. BELLANCA-MURATORE, op. cit., p. 20, 89. Come precisato dalla Salvagni (I. SALVAGNI, Palazzo Carpegna 1577-1934, Roma 2000, cap. III, p. 37), la comunità francese – pur essendo già presente a Roma dal XV secolo – diverrà fiorente nel Seicento poiché favorita dalla definitiva riconciliazione politica siglata con il papato, in seguito alla conversione al cattolicesimo e all’abiura del protestantesimo di Enrico IV di Navarra, celebrata in Vaticano il 17 settembre 1595 da Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605). Si precisa, infine, che la comunità francofona era rappresentata soprattutto da ambasciatori e diplomatici che partecipavano direttamente allo sviluppo economico urbano, in particolare nel rione Campo Marzio compreso fra il Corso e la piazza della Trinità (l’attuale piazza di Spagna), dove hanno lasciato un segno della loro presenza nei toponimi locali di chiese e strade: come S. Claudio dei Borgognoni, S. Dionigi alla Quattro Fontane e il convento di S. Francesco di Paola a Trinità dei Monti, oppure via Borgognona e la piazza della Trinità, denominata anche piazza di Francia. 60 L’andamento spedito del cantiere, diretto da Domenico Fontana tra il 1551 e il 1559, si deve alla nomina del cardinale Ippolito d’Este a protettore degli affari di Francia presso la corte pontificia; cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 7185, 86-159. 61 Il Collegio Germanico, istituito ufficialmente da Giulio III Del Monte (1550-1555) il 31 agosto 1552 con la bolla intitolata Dum sollicita, fu insediato da Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585) nel palazzo dell’Apollinare, dopo aver avuto in precedenza numerose altre sedi tra cui una in via Piè di Marmo. Nel 1578, lo stesso pontefice Boncompagni, istituiva anche il Collegio Ungarico affidandolo ai Gesuiti e nel 1580 lo univa al Collegio Germanico; cfr. BÖSELGARMS, op. cit., pp. 335-336. 131 Una prima espansione edilizia sostenuta dal papa Boncompagni, era stata intrapresa nel 1575 dal Rettore del collegio che, avendo urgente bisogno di nuovi spazi per gli allievi provenienti dalla nobiltà tedesca, decise di congiungere con un sovrappasso il palazzo d’Estouteville – ricostruito e ridenominato palazzo dell’Apollinare – con quello attiguo già appartenuto al cardinale di Lorena62: i due edifici tardo-quattrocenteschi, sono rappresentati in una delle immagini che circondano il ritratto celebrativo di Gregorio XIII – assieme agli altri numerosi collegi e seminari fondati durante il suo pontificato – e sono ancora oggi collegati dal sovrappasso ricostruito nel 175163. La potente istituzione gesuitica, inoltre, era proprietaria anche di numerose abitazioni che gravitavano in questa parte del rione e che come quelle appartenenti alla comunità francese erano affittate ai Matriciani o ad artigiani in genere64. E queste categorie di lavoratori erano in gran parte a servizio presso le stesse congregazioni religiose: il capomastro Battista Bardella, ad esempio, era pagato per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguiti nelle case poste sia nel cortile dei Matriciani sia nei vicoli limitrofi65 (fig. 10). Come si vedrà più approfonditamente nel prossimo paragrafo, i Gesuiti muoveranno immediatamente per una nuova espansione edilizia, tentando di annettere le abitazioni raccolte sul lato settentrionale del cortile, per spingenrsi sino a via della Scrofa e tentare d’inglobare nei loro possedimenti anche il palazzo Bongiovanni (figg. 6-7). Ciò è confermato nei documenti reperiti nel Catasto antecedente conservato presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico, dove si afferma che il palazzo appartenuto al cardinale di Lorena confinava “…con la casa dei signori Bongiovanni…” verso oriente, e con “…le Case di San Luigi de’ Francesi chiamato il Cortile de’ Matriciani…”66 verso meridione. Queste ultime abitazioni producevano alla comunità francese una buona rendita, ed erano sottoposte regolarmente a lavori di manutenzione che per circa quarant’anni erano stati supervisionati da Domenico Fontana; l’architetto, inoltre, si occupava degli alloggi dei preti che sorgevano sul lato meridionale della stessa corte interna67. Dall’analisi documentaria si evince che due delle abitazioni disposte sul lato nord e confinanti con le proprietà dei Gesuiti e dei Bongiovanni, tra il 1578 e il 1600, furono concesse in enfiteusi 62 Come si evince dal documento reperito nel Catasto antecedente conservato presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico: “fu da papa Gregorio XIII unito al Collegio Germanico… e ne fù preso possesso il di 22 Gennaro 1575, come costa dall’istromento rogato da Giovanni d’Avila… Da questo Palazzo all’altro di S. Apollinare fu ottenuto da Maestri di Strada di farci un ponte per avere la comunicazione di uno con l’altro Palazzo, come si vede ancora al presente…”. Il documento, infine, precisa che anche un passaggio sotterraneo univa i due palazzi e che dell’edificio appartenuto al cardinale d’Estouteville non vi erano più vestigia essendo stato costruito l’attuale; ACGU, Catasto antecedente Roma A, n. prov. 169, f. 2, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 63 Il Connors nel suo recente saggio (cfr. CONNORS, op. cit., p. 92), specifica che un secondo sovrappasso era stato ricostruito già nel 1636. 64 Una di queste case come approfondito dal Roberto (cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 215-218), era posta in prossimità del fianco settentrionale della chiesa di S. Luigi dei Francesi ed era già appartenuta in enfiteusi a Giovanni Alberto Galvani sino al mese di agosto 1586; in seguito fu data in locazione per la somma di 50 scudi annui allo scalpellino Giacomo Galeotti. Un’altra abitazione, il 21 maggio 1587, fu riacquistata dalla Congregazione di S. Luigi dei Francesi per la morte del fisico Antonio Lilio, che a sua volta l’aveva in enfiteusi dai padri francesi. 65 Il 21 gennaio 1590, il capomastro Battista Bardella è pagato cinquanta scudi e i conti di misura e stima sono firmati dall’architetto Domenico Fontana; APEF, Fonds Ancien, Registres 127, anno 1590, cc. 70 e ss. (“Exposita”); APEF, Liasse 40, fasc. III anni 1585-1590; cfr. APPENDICE VII. 66 ACGU, Catasto antecedente Roma A, n. prov. 169, f. 2, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 67 Il cortile dei Matriciani in alcuni documenti della fine del secolo XVI, è denominato ancora – come nell’epoca medievale – platea Scortecciara o Scorticiaria, quando le case che vi sorgevano erano abitate in prevalenza da pellai e da conciatori. 132 allo stesso Fontana con la facoltà di ristrutturarle e apportarvi miglioramenti di sua opera68; invece l’abitazione attigua era affittata allo scalpellino Jacopo Romano69. La famiglia Bongiovanni, infine, era proprietaria anch’essa di alcune abitazioni nel cortile dei Matriciani, oltre a risiedere nell’omonimo palazzo che aveva l’accesso principale su via della Scrofa e che in parte prospettava su piazza S. Agostino (figg. 6-7). 68 Il documento è riportato nel testo del Roberto (cfr. ROBERTO, op. cit., p. 235) tra le memorie di testamenti e altri atti relativi ai beni di S. Luigi (1556-1647). 69 APEF, Fonds ancien, Registres 137, anno 1600, cc. 12 e 13; cfr. APPENDICE VII. 133 Il collegamento tra piazza Navona e l’area della Maddalena Il rettifilo con cui Urbano VIII prefigurava d’unire piazza Navona all’area della Maddalena, può includersi in quel susseguirsi di poli urbani – innestati sulle preesistenze più antiche e intelaiati secondo su un sistema di strade ampie e rettilinee – che oltre a costituire la forma di Roma barocca, rappresentano un intervento che molto si avvicina a quelli già realizzati in precedenza in altre parti della città. Già nel Cinquecento, infatti, i collegamenti stradali tracciati dai pontefici per valorizzare le vedute dei nuovi punti di fuga, erano divenuti frequenti e maggiormente estesi70, seppur Maffeo Barberini – parallelamente alla maturazione della cultura barocca – avesse ritenuto più utile concentrare l’attenzione soprattutto alla soluzione di problemi locali; ne sono un valido esempio, il tracciamento di via Urbana, l’apertura della piazza antistante alla Chiesa Nuova e il suo collegamento diretto con via del Pellegrino 71 , oppure i personali interventi di restauro come il collegamento diretto tra S. Eusebio all’Esquilino e S. Bibiana. In quest’ottica, il paventato rettifilo Navona-Maddalena non solo avrebbe completamente trasformato il rione S. Eustachio, ma nello stesso tempo unito due importanti poli urbani che, nonostante fossero relativamente vicini, erano mal collegati. Alla metà circa del suo tracciato era prevista l’intersezione con la cinquecentesca via Leonina (già denominata via della Scrofa) che, oltre a costituire uno dei principali accessi alla città moderna, avrebbe fornito a chi fosse entrato dalla porta del Popolo un percorso diretto con piazza Navona. D’altronde l’antico circo Agonale – già rivitalizzato nel Quattrocento dal trasferimento del mercato capitolino e dalla conseguente edificazione – rappresentava il centro civico della città seicentesca e anche durante il pontificato Barberini fu sottoposto ad attenzioni particolari: fu concepito in quegli anni, ad esempio, il progetto d’ampliamento dell’acquedotto Vergine realizzato in seguito da Borromini per rifornire la fontana berniniana dei Quattro Fiumi. Il collegamento stradale previsto, inoltre, partendo dalla piazza aperta di fronte alla chiesa della Maddalena secondo il decreto del 25 agosto 1628 – concesso anch’esso da Urbano VIII 72 – e usufruendo della preesistente strada del Pozzo delle Cornacchie opportunamente regolarizzata73, avrebbe consentito all’osservatore che l’avesse percorsa da questo punto, o che si fosse immesso da via della Scrofa, di percepire le nuove fabbriche secondo una prospettiva centrale. Il paventato rettifilo, infatti, pur non essendo particolarmente esteso avrebbe potuto allineare sul medesimo fronte – secondo una struttura gerarchica tipica del barocco – diversi organismi architettonici, 70 Numerosi sono i precedenti assi viari tracciati da altri papi tra cui: la via Pia voluta da Pio IV de’ Medici (1560-1565) corrispondente alle odierne vie del Quirinale e XX Settembre, la via Merulana tracciata da Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585) e il sistema stellare di rettifili realizzato da Sisto V Peretti (1585-1590), oppure infine si veda l’esempio genovese della Strada Nuova tracciata da Bernardino da Cantone sempre nel XVI secolo. 71 La strada, denominata in seguito via Larga, era stata tracciata dall’architetto Paolo Maruscelli e lasciata incompiuta nel 1630; cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 562. 72 Il chirografo papale riportato dalla Mortari (cfr. L. MORTARI, Santa Maria Maddalena, in “Le chiese di Roma illustrate”, n. 104, 1969, pp. 12-13), permette di asserire che la nuova piazza antistante alla chiesa di S. Maria Maddalena era parzialmente ampliata già nel 1629, come testimonia un’iscrizione posta sotto il primo cornicione in prossimità dell’ingresso all’omonimo convento, e secondo le intenzioni di Urbano VIII Barberini (1623-1644) doveva essere “larga palmi 110 e lunga palmi 160”. La Marino (cfr. A. MARINO, La ricostruzione seicentesca della chiesa di Santa Maria Maddalena in Roma: un episodio significativo del tardo barocco romano, in “Architettura storia e documenti”, n. 1-2, 1987, pp. 69-95), specifica che le trasformazioni del 1629 si collocano a conclusione dei più generali lavori di sistemazione urbanistica della piazza e della strada, che la studiosa attribuisce all’architetto Giovan Battista Fioroni, iniziati nell’agosto 1628 quando fu costruito il palazzetto che ne delimita il lato settentrionale e quello occidentale, rimaneggiato nel 1678 dall’architetto Giovanni Antonio De Rossi. 73 L’attuale denominazione, come precisato dalla Gnoli (cfr. GNOLI 1939, op. cit., p. 245), deriva dall’abitazione del cardinale inglese Tomaso Wolsey che, nel 1515, fu elevato alla porpora da Leone X de’ Medici (1513-1521), erigendo nella piazza un pozzo decorato dal proprio stemma che ha nel capo due cornacchie poste fra una rosa. 134 generando nello stesso tempo brevi prospettive trasversali date sia dagli androni degli edifici sia dai vicoli laterali intersecati lungo il suo percorso. In quest’ambiente urbano totalmente rinnovato deve essere immaginato il palazzo di S. Luigi dei Francesi, non come un singolo volume contrapposto a quello del Collegio Germanico-Ungarico quale appare oggi, piuttosto come un elemento seriale facente parte di un’asse prospettico incentrato su piazza Navona; quest’ultima, infatti, avrebbe costituito un punto di fuga situato molto più in profondità, rispetto al diaframma visivo costituito dal blocco d’abitazioni che ancora prospetta lungo corso del Rinascimento (fig. 8). La fabbrica progettata da Carlo Bizzaccheri, inoltre, sarebbe stata bilanciata visivamente dai volumi degli altri fronti edilizi intervallati, a loro volta, dai vuoti creati da via della Scrofa e dai vicoli trasversali dei Matriciani e delle Cinque Lune; si deve immaginare, infine, il fronte del Collegio Germanico-Ungarico mancante della sopraelevazione di un intero livello eseguita da Antonio Sarti nel XIX secolo. Il parziale abbattimento del cortile dei Matriciani Usufruendo delle riflessioni progettuali eseguite da Antonio da Sangallo il Giovane e riportate in due disegni databili tra il 1524 e il 1525, cui era stata commissionata dalla Congregazione di S. Luigi la ricostruzione dell’omonima chiesa nazionale 74 , è possibile con buona approssimazione conoscere lo stato dei luoghi in cui, nel 1636, Urbano VIII intendeva tracciare il nuovo collegamento viario. In particolare il disegno Uffizi 949 A, è un accurato rilievo condotto alle abitazioni situate attorno alla corte denominata dei Matriciani, cui si accedeva dall’omonima piazzetta (denominata altresì Lombarda) attraverso uno stretto vicolo coperto; si precisa che queste abitazioni erano sorte sui resti di una delle esedre facenti parte del complesso termale Alessandrino, ben visibile nel disegno cinquecentesco, e che ancora nel 1710 affioreranno durante la costruzione della fabbrica bizzaccheriana (fig. 9). Tra l’altro una recente elaborazione grafica del rilievo sangallesco, permette di localizzare le acquisizioni immobiliari condotte dalla comunità francese, tra cui l’abitazione appartenente agli Agostiniani di S. Maria del Popolo che – solo all’inizio del Settecento – permetterà il parziale tracciamento del rettifilo voluto da Maffeo Barberini e denominato strada di Pinàco (fig. 10). Quest’abitazione tra l’altro, già nel secolo XVI era stata motivo di un’accesa contesa tra i preti di S. Luigi dei Francesi e il cardinale fiammingo Wilhelm van Enckenvoirt, poiché quest’ultimo l’avrebbe voluta per accorparla ad altre proprietà e realizzare un unico palazzo prospettante su piazza di S. Luigi dei Francesi, all’epoca ancora denominata piazza Saponara75. In particolare l’area corrispondente all’abitazione degli Agostiniani, sottratta nel Cinquecento dalla comunità francese al cardinale Enckenvoirt, è visibile nel disegno Uffizi 868 A v. e si trova nel punto esatto in cui nel 1710, sarà definitivamente aperta una parte del collegamento viario paventato da Urbano VIII (fig. 11). Le rappresentazioni del Sangallo – unite ai documenti visionati presso gli Archives des Pieux Etablissements de la France che si riferiscono agli anni cinquanta del XVII secolo 76 – sono 74 I rapporti tra l’architetto e la congregazione sono riportati nel testo dello Gnoli (cfr. U. GNOLI, Alberghi e osterie della Rinascenza, Roma 1942, p. 79), che descrive la colazione offerta l’8 luglio 1525 dai Rettori di S. Luigi agli architetti impegnati nel cantiere: Antonio da Sangallo, Salvatore da Como, Giovanni da Siena e Giovanni de Chenevières. 75 Il 17 maggio 1523, Giovan Battista de Calvis vendette a Guglielmo Enkenvoirt parte di una casa in piazza Saponara che fu ereditata da Francesca de Zactariis; cfr. GNOLI 1939, op. cit., p. 123. 76 APEF, Fonds ancien, Liasse 58b, mandati di pagamento, fasc. II anno 1656, c. 11, 19 aprile 1656; cfr. APPENDICE VII. 135 fondamentali per ricostruire l’edilizia minuta che sorgeva attorno al cortile dei Matriciani, composta prevalentemente da casette sviluppate su due livelli, abitate dagli omonimi pigionanti e le cui strutture portanti – all’inizio del Settecento – furono parzialmente riutilizzate durante l’edificazione del palazzo di S. Luigi dei Francesi, unitamente alle fondazioni d’origine imperiale. L’impulso iniziale al tracciamento del rettifilo Navona-Maddalena, fu determinato proprio dall’espansione edilizia che i gesuiti di S. Apollinare avevano intrapreso dalla fine del XVI secolo; vale a dire a seguito dell’insediamento ufficiale nei confinanti palazzi Lorena e d’Estouteville, voluto il 5 gennaio 1574 da Gregorio XIII. E la necessità sempre più impellente dell’ordine religioso ad ampliare gli ambienti necessari all’insegnamento dei propri allievi, tra il primo e il terzo decennio del Seicento, è testimoniata nei documenti dalla compravendita di quattro abitazioni situate attorno al cortile dei Matriciani: due possono facilmente localizzarsi nella suddetta elaborazione grafica, denominate in alto a destra con la dicitura “Casa di Bene in bene” (fig. 10); una terza casa appartenente alla comunità francese posta più in basso è acquistata per 1089 scudi77; infine la quarta abitazione situata “…nella strada che và da San Luiggi a Ripetta [via della Scrofa]...”, è comprata dagli Agostiniani nel 1611 secondo la stima eseguita da Carlo Maderno78 (figg. 10, 14). Dall’approfondita indagine documentaria condotta presso l’Archivio del Collegio GermanicoUngarico, inoltre, si evince che i Gesuiti prima riuscirono a trovare nei più stretti collaboratori del papa Barberini un fondamentale appoggio alla necessità di accrescere il loro patrimonio immobiliare, mentre in seguito alla visita effettuata nel 1624 dallo stesso Urbano VIII, fu il pontefice a decidere la demolizione del palazzo Lorena e l’avvio di una fabbrica ex novo in cui insediare il Collegio. Tutto ciò è confermato in un memoriale redatto il 22 aprile 1624 con il quale si chiedeva l’interposizione diretta di Maffeo Barberini 79, mentre lo stesso anno i Maestri delle Strade concedevano i fili e gli aggetti necessari al nuovo edificio (fig. 13). Nel frattempo il Rettore Bernardino Castorio, riusciva a raccogliere circa diecimila scudi necessari ad avviare il cantiere seguendo il progetto redatto inizialmente da Benedetto Molli, e che nel 1632 aveva raggiunto un buon avanzamento 80 ; questi fondi, inoltre, furono impiegati nel rifacimento del sovrappasso di collegamento tra la nuova fabbrica e il vecchio palazzo d’Estouteville, realizzando anche un passaggio sotterraneo 81 . A questo denaro devono essere sommati i novemila scudi che, il 16 luglio 1636, furono donati da Francesco Barberini, cardinal protettore del Collegio Germanico-Ungarico 82 e utilizzati per acquistare le case appartenenti a 77 ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 123-124, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. L’abitazione è stimata dall’architetto di S. Luigi dei Francesi in milleseicento scudi; ACGU, Rom, parte B, n. 84, f. 88, 6 settembre 1611; cfr. APPENDICE VII. 79 I memoriali consegnati a Urbano VIII Barberini (1623-1644) e ad altri prelati riguardano il pagamento delle decime riguardanti la nuova fabbrica del Collegio Germanico-Ungarico; ACGU, Rom, parte B, n. 84, f. 73, 22 aprile 1624; cfr. APPENDICE VII. 80 Come confermato nel verso dello stesso progetto del Collegio Germanico-Ungarico già pubblicato da Bösel e Garms (cfr. BÖSEL-GARMS, op. cit., p. 362) dove può leggersi: “A di 10 febraro 1632. Questa pianta presente di fabrica tutto il colore verde che si vede, è sito de particolari; tutto il colore rosso et anche il turchino, sono tutti li fondamenti alzati sino a piano terra, e poi seguitano le muraglie medesime fatto tutto il primo piano, con botteghe, e mezzanini finito tutto il detto piano; tutto il colore rosso solamente, lasciando tutto il turchino, e il secondo, ed terzo, ed anco se vogliono fare il quarto piano, di mezzanini, nella suddetta fabrica. Benedetto Mollj mano propria”. 81 La licenza per il rifacimento dell’arco è concessa dai Maestri delle Strade l’11 maggio 1633, mentre quella relativa al passaggio sotterraneo il 28 ottobre dello stesso anno; ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 51 e 59, 11 maggio 1633 e 28 ottobre 1633; cfr. APPENDICE VII. 82 Tra gli altri donatori vi fu il Vescovo di Bamberga, Antonio Boccalini, Giuseppe Cimoroni, mentre un censo di duemila scudi è aperto con i padri Certosini e uno di milleduecento scudi con le scuole pie; ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 123-124, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 78 136 Gregorio Beninbene83; queste abitazioni, necessarie assieme a quelle concesse in enfiteusi a Ottavia e Orsolina Ferrari84 per la prosecuzione della fabbrica supervisionata da Paolo Maruscelli85, erano poste tra il palazzo Lorena e il vicolo coperto che dalla piazzetta Lombarda permetteva di accedere al cortile dei Matriciani (figg. 13-14). Con l’acquisizione e l’abbattimento di queste case, può considerarsi ufficialmente avviato il tracciamento del rettifilo Navona-Maddalena, anche se occorre rilevate che i Gesuiti – pur avendo ottenuto il 9 dicembre 1632 una prima licenza dai Maestri delle Strade 86 – solo con il decreto pontificio del 1636 furono autorizzati a poter inglobare le aree acquisite con gli abbattimenti, riquadrandole “…à drittura delle linee di essa nova fabrica sino alla strada, che daila scrofa, và verso S. Luigi, come anco per aprire una nova strada dalla piazzetta detta lombarda, che vada à riuscire, e rispondere in faccia alla strada, che và alla piazza del pozzo delle cornacchie conforme la pianta fatta…”87. Occorre rilevare, inoltre, come Maffeo Barberini in precedenza aveva sostenuto attivamente altri importanti progetti urbani situati nelle vicinanze di piazza Navona: un esempio noto è fornito dalle trasformazioni edilizie che gli Oratoriani avevano intrapreso in quegli stessi anni presso la Chiesa Nuova, e delle quali il pontefice si era fatto diretto interprete – affidando il progetto sempre al Maruscelli – emettendo un chirografo teso a riconfigurare la piazza antistante alla fabbrica, e collegandola con un breve rettifilo a via del Pellegrino88. Lo stesso eccezionale sostegno fu profuso per i Gesuiti dell’Apollinare, ordinando l’apertura del nuovo collegamento tra l’antico circo Agonale e la chiesa della Maddalena, mediante il decreto emesso il 16 luglio 1636 e avvalendosi anche in questo caso del Maruscelli. Il chirografo, inoltre, 83 ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff.20 e 120, data mancante; cfr. APPENDICE VII. Da un altro documento si evince che le case appartenenti a Gregorio Beninbene sono acquistate dai Gesuiti nel 1632; ACGU, Rom, parte C, n. 67, f. ?, 23 settembre 1709; cfr. APPENDICE VII. 84 “Spesa, che andarà nel getto da farsi nel cortile delli Matriciani e con chi doverebbe dividersi la spesa di tutto il getto. Per fare il gettito avanti la fabrica del Collegio Germanico nell’luogo detto il Cortile de Matriciani, anderanno gettate à terra due Case, una delle quali ne sono padrone le SS.re Ottavia et Orsolina de Ferraris è fa faccia verso la piazza detta de Lombardi dov’habita è fa Bottegha un ferracocchio, potrà esser di valore Circa 600 scudi; L’altra casa dietro il cortile contiene in se tre stanze, una sopra l’altra delle quali le due superiori sono dell’ Collegio è possono valere circa 400 scudi; La stanza terrena sotto le dette, né sono padrone le sopra dette SS.re Ottavia et Orsolina de Ferraris, è potranno valere circa 160 scudi. Talmente che quello che si dovrà comprare sarà di spesa circa scudi 760 che con li scudi quattrocentoottanta delle stanza dell’Collegio, tutto il gettito potrà importare circa scudi 1240. Riceveranno benefitio per occasione di detto gettito li Sig.ri Melchior Rosolini, Vespasiano Montini, et Giulio Merisi, che le loro case respondono in detto loco, e S.to Luiggi, e case dell’anima, et altri vicini. Ma sarà di gran conseguenza per San Luigi de francesi poiché per l’aprimento della strada potrà fare la sua abitazione tutta in Isola, per il che parerebbe di Ragione che San Luigi facesse l’ametà della spesa e l’altra mettà di dividesse fra li detti S.ri interessati. Coll.o Germ.co, Rosolini, Merissi, case dell’anima, et altri vicini p contro nella piazza del pozzo delle cornacchie, e bottege, che p causa di tal Apertura haveranno il concorso grande, e si nobilitano le case, e parti, e restano … le botteghe; e crescono le piggioni”; ACGU, Rom, parte B, n. 84, f. 120, data mancante; cfr. APPENDICE VII. Da un altro documento si evince che le case concesse in enfiteusi dal Santo Spirito ad Ottavia e Orsolina Ferrari sono acquistate dai Gesuiti nel 1636; ACGU, Rom, parte C, n. 67, f. ?, 23 settembre 1709; cfr. APPENDICE VII. 85 Il Maruscelli, come riportato da Bösel e Garms (cfr. BÖSEL-GARMS, op. cit., p. 362), aveva eseguito vari progetti per la nuova fabbrica di cui uno riguardante il rifacimento dell’intero complesso architettonico e che probabilmente a causa dei costi troppo elevati era rimasto irrealizzato. 86 ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 68, 9 dicembre 1632; cfr. APPENDICE VII. 87 Il testo integrale del decreto emanato dal pontefice Urbano VIII Barberini (1623-1644) è riportato negli apparati all’interno del secondo volume della Tesi di Dottorato; ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 2, 16 luglio 1636; cfr. APPENDICE VII. 88 Seguendo il progetto inserito in un chirografo emesso il 26 gennaio 1627 da Urbano VIII Barberini (1623-1644); cfr. F. FERRI, La conformazione di piazza della Chiesa Nuova a Roma: 1630-1748, in “Studi sul Settecento Romano. Roma borghese, case e palazzetti d’affitto, I”, n. 10, Roma 1994, pp. 25-64. Il Portoghesi (cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 562), precisa che la strada nel 1630 rimase anch’essa incompiuta. 137 includeva facilitazioni finanziarie alla congregazione religiosa, concedendo la compravendita delle abitazioni necessarie alla prosecuzione della nuova fabbrica sino a via della Scrofa, pagando esclusivamente il valore stimato dai periti, senza considerare “l’augumento” di un quinto – oppure di un dodicesimo – spettante al venditore a seconda che risiedesse o meno nell’immobile espropriato89. Un altro piccolo passo verso l’esecuzione della volontà del pontefice Barberini si ebbe il 16 ottobre 1636, quando fu emessa la licenza con cui il cardinale camerlengo Ippolito Aldobrandini, concedeva al Collegio Germanico-Ungarico i fili per la prosecuzione dei fronti stradali sia davanti S. Agostino sia su quello da tracciarsi dalla “…Piazzetta verso il pozzo delle Cornacchie à canto il Palazzo delli SS.ri Bongiovanni, che doverà far cantonata alla nova strada da aprirsi in una parte del Cortile detto delli Matriciani, et del Sito di d.ta Piazzetta…”90. Per “d.ta Piazzetta” in questo brano documentario firmato da Bernardino Maffei e Carlo Rainaldi – rispettivamente Maestro e Sottomaestro delle Strade – s’intende lo slargo che era situato in corrispondenza dell’attuale incrocio tra via S. Giovanna d’Arco e via della Scrofa (cfr. fig. 6 in alto nella parte centrale), specificando che i fili del nuovo cantone potessero essere indicati dai Gesuiti mediante il posizionamento di colonne, e vietando agli stessi di cominciare a fabbricare senza aver acquistato preventivamente il palazzo Bongiovanni. Tutto ciò è confermato anche in una ricevuta dei Maestri delle Strade riguardante la posa della colonna “…nella piazzetta verso S. Luigi et altri…”91. La stessa indagine documentaria dimostra inoltre come la volontà di Maffeo Barberini volta a sostenere i Gesuiti – unitamente al tracciamento del rettifilo Navona-Maddalena – si scontrasse con gli opposti interessi dei proprietari confinanti che, attraverso forme di resistenza passiva, miravano a far fallire il progetto urbano o tendevano a procrastinarne l’attuazione; d’altronde il tracciamento di strade ampie e rettilinee ledeva necessariamente gli interessi di taluni soggetti, offrendo ad altri l’occasione per attuare operazioni speculative. Il decreto, ad esempio, concedeva alla confinante Congregazione di S. Luigi la possibilità di costruire lungo il fronte meridionale del nuovo rettifilo, ma la comunità francofona dimostrò in questa circostanza scarso interesse a realizzarvi nuove residenze, nonostante la posizione particolarmente vantaggiosa avrebbe permesso di ricavarne una rendita molto maggiore rispetto alle modeste abitazioni esistenti appigionate ai Matriciani. La conferma si ha negli stessi documenti, dove si evince che l’apertura della strada di Pinàco “…sarà di gran conseguenza per San Luigi de francesi poiché per l’aprimento della strada potrà fare la sua abitazione tutta in Isola, per il che parerebbe di Ragione che San Luigi facesse l’ametà della spesa…”92. In ogni caso questa prospettiva non fu colta dai francesi che, avendo concluso da pochi anni una lunga campagna edilizia riguardante l’ampliamento del proprio ospedale – come si tratterà in maniera più approfondita nel prossimo paragrafo – probabilmente non disponevano del denaro necessario a sostenere un nuovo investimento immobiliare. Non era così per la Congregazione di S. Maria dell’Anima, desiderosa di “…stabilir in che modo sarrà aperta la novà strada che dovera esser 89 Il 1636, infine, è anche l’anno in cui si concluse l’ampliamento della chiesa di S. Nicola dei Lorenesi, ubicata tra via dell’Anima e il vicolo della Pace, a pochi passi da piazza Navona; cfr. BELLANCA-MURATORE, op. cit., p. 89. 90 ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 60, 16 ottobre 1636; cfr. APPENDICE VII. 91 ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 128, 11 febbraio 1638; cfr. APPENDICE VII. 92 ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff.20 e 120, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 138 fatta alli Matriciani…”93, affinché potesse avere il tempo di restaurare la casa di sua proprietà in piazza di S. Luigi dei Francesi, ponendola a filo del nuovo rettifilo barberiniano94 (fig. 6). Il progetto urbano, tra l’altro, doveva misurarsi anche con il reperimento d’ingenti risorse finanziarie necessarie a coprire le spese per le demolizioni da compiere nei diversi tratti in cui si articolava il rettifilo, e sul finire degli anni trenta del Seicento vi fu una minore disponibilità di fondi che investì anche i bilanci del nuovo Rettore del Collegio Germanico-Ungarico. Di conseguenza Padre Filippo Nappi, dovendo richiedere il denaro a censo e avendo maggiori difficoltà a estinguerlo, vide il cantiere subire prima un rallentamento e poi un arresto definitivo. Il principale problema, seppur ancora nel 1646 si riuscisse ad acquisire altre due case poste nel cortile dei Matriciani 95 , era l’impossibilità di ottenere il cinquecentesco palazzo Bongiovanni, necessario – come ripetutamente sollecitato anche dal cardinale Bellarmino – per proseguire la fabbrica sino a intesecare via della Scrofa96. Il 16 luglio 1637, come si evince da una copia della bolla emessa l’anno precedente, i Gesuiti chiesero nuovamente di poter acquistare le altre case necessarie 97 , generando stavolta un’accesa contesa immobiliare che non riguardò soltanto le proprietà dei marchesi Bongiovanni, ma coinvolse anche quelle appartenenti alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi che sorgevano nella corte dei Matriciani98. La complessa trattativa, condotta per oltre due anni attraverso la mediazione di monsignor Paravicino, terminò con la parziale cessione di queste abitazioni99, mentre il contrasto con il marchese Bongiovanni perdurò nel tempo, impossibilitando i Gesuiti alla prosecuzione del fronte. Come prima conseguenza si determinò l’arresto definitivo dell’intero progetto urbano che, con la morte del papa Barberini nel 1644, si protrasse sino al pontificato di Alessandro VII; tuttavia in quest’arco temporale prenderà corpo l’opera edificatoria voluta da Giovanni Battista Pamphilj nella vicina piazza Navona100. Il polo urbano, essendo già dal Rinascimento uno dei più frequentati centri della città, era stato prescelto dal futuro pontefice Innocenzo X come il luogo ideale in cui innalzare la propria residenza, prefigurando di trasferirvi la corte e l’amministrazione della Curia in alcuni mesi dell’anno. L’intenzione fu resa nota nel 1654, accordandosi con il nuovo significato allegorico e celebrativo già conferito alla piazza sia dall’ultimazione di S. Agnese in Agone che dall’obelisco egizio innalzato sei anni prima101, ma rimase irrealizzata per la sopraggiunta morte di Giovanni Battista Pamphilj. Tuttavia la potenza d’Innocenzo X andò a legarsi anche alle trasformazioni che lo stesso Borromini realizzò nel vicino palazzo Giustiniani, ereditato da Andrea di Cassano Giustiniani cui era andata in sposa la nipote dello stesso papa Pamphilj. 93 Come si evince nella lettera inviata al Rettore del Collegio Germanico-Ungarico; ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 105, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 94 L’abitazione appartenente alla Congregazione di S. Maria dell’Anima, si trovava in corrispondenza dell’attuale palazzo di S. Luigi dei Francesi in prossimità del cantone compreso tra via S. Giovanna d’Arco e largo Giuseppe Toniolo. 95 Cfr. C. PERICOLI RIDOLFINI, Guide rionali di Roma, Rione VI Parione, Roma 1973, parte I, pp. 10-13. 96 ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 30-31, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 97 ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. 7, 16 aprile 1637; cfr. APPENDICE VII. 98 Lettera del Rettore ai Signori Bongiovanni circa il non volere cedere il proprio palazzo al Collegio GermanicoUngarico; ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 32-33, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 99 ACGU, Rom, parte B, n. 84, ff. 90-91, data mancante; cfr. APPENDICE VII. Le case poste nel cortile dei Matriciani sul fianco del vecchio edificio, furono misurate e stimate dai periti Giovan Battista Gerosa e Paolo Maruscelli e confinavano con l’abitazione posseduta dagli eredi di Giovanni Fontana; ACGU, Rom, parte B, n. 84, f. 219, 30 giugno 1632; cfr. APPENDICE VII. 100 Giungendo a disporre in seguito alla sua elezione con il nome di Innocenzo X Pamphilj (1644-1655) di un vasto complesso architettonico realizzato su progetto di Rainaldi e Borromini. 101 L’obelisco fu innalzato nel 1648, mentre nel giugno 1652 la piazza era stata allagata per la prima volta cominciando la tradizione del carosello di carrozze perdurata sino al XIX secolo; cfr. Borromini e l’universo barocco, a cura di R. BÖSEL e C. FROMMEL, Roma 2000, pp. 173-207. 139 Il progetto urbano prefigurato da Alessandro VII Se alla forte capacità d’attrattiva che piazza Navona rappresentava nella città seicentesca, si aggiunge la ricerca della magnificenza e del pubblico ornamento che connota fortemente il pontificato di Fabio Chigi, può facilmente comprendersi come il progetto del nuovo collegamento viario interrotto con la morte di Urbano VIII, fu non solo immediatamente ripreso in un chirografo chigiano emesso nel 1657, ma inserito in un progetto urbano ancora pià vasto ed articolato. Il decreto voluto da Alessandro VII, già pubblicato in precedenza da Bösel e Garms102 e del quale si conservano alcuni disegni presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico, ordinava anzitutto il tracciamento non più di una, ma di due strade: la prima – con un’ampiezza di 47 palmi – avrebbe dovuto seguire il tracciato corrispondente all’odierna via S. Giovanna d’Arco indicato nel precedente chirografo barberiniano, mentre una seconda strada – ortogonale alla prima e larga 40 102 “Quindi è che havendo determinato che resti sbrigata, e libera da ogni impedim.to la Piazza della Chiesa di S.ta Maria della Rotonda, non volendo che la bellezza d’un Tempio così celebre, e cospicuo, dalle Botteghe di tavole, e tavolati nella circonferenza di essa situati, e dalla moltitudine dei vivandieri che vi concorrono resti ingombrata. Ma perché non vogliamo pregiudicare alla comodità pubblica (…) per questo habbiamo deliberato che dal N.ro Collegio Germ.co et Ung.co e suo Rettore si proseguisca la fabrica di d.o Collegio, e si apri per parte sua la strada che sbocca nella Piazza Lombarda, come mostra la pianta di sopra disegnata che di ordine nostro è stata fatta; e di più che d.o Collegio apra un’altra strada di palmi 40. larga che cominci dalla d.a strada da aprirsi e vada à sboccare nella Piazza di S. Agostino per linea retta al cantone della fabrica del Convento dè Pri di S. Agostino, in conformità della sopra Pianta et acciò il d.o Collegio possa con più prestezza, e facilità esseguire la nra mente confirmiamo il Chirografo con le gratie concesse à d.o Collegio dalla felice mem.a di Urbano Ottavo n.ro Predec.re dato sotto li 16. luglio 1636. (…)Di più habbiamo fatto un altro Chirografo nel quale li habbiam concesse molte gratie per trovare bastante danaro p la d.a fabrica et incaricatone l’essecutione al Card.le Chigi Nro Nipote, e Proc.re di d.o Collegio. 2°. Ordiniamo che dalli Amministratori della Chiesa et Hospidale di S. Luigi si comprino le Case dé Particolari, o luoghi Pij, quali sono nella d.a p.ma strada da aprirsi congiunte, e dalla parte della loro Isola di rimpetto alla fabrica fatta, e da farsi dal NroCollegio Germ.co; ordinando espressam.te che dalli d.i Amministratori preti e futuri, o à chi spetta per parte di d.a Chiesa et Hospidale di S. Luigi non si possa alzare più la fabrica da farsi nelle Case soprad.e che palmi 60. dal piano del suolo della strada sino al Colmareccio; Commandando che la d.a strada resti larga palmi 47. dagli angoli della fabbrica fatta (in riferimento al Collegio Germanico Ungarico) e da farsi dal passato Collegio Germ.co, e dalla altra fabrica da farsi nelle Case soprad.e dalli passati Amministratori della Chiesa et Hospidale di S. Luigi. quali per qualsivoglia impedim.o, ò titolo, o causa, niuna esclusa non esseguendo, e non obbligandosi in forma Camera frà il termine di giorni quindeci dal giorno della pubblicat.ne del nro pnte Chirografo di voler fare le soprad.e fabriche, e di cominciarle nel termine d’un mese dal giorno della dichiaratione con le conditioni sopte. Vogliamo che le d.t Case si comprino dal Collegio Germ.co et Ung.co e se fossero compre in parte, ò in tutto dalli d.i Amministratori di S. Luigi con qualsivoglia titolo e sotto qualsivoglia forma restino compre per il Collegio Germ.co con obligo di fabricarle per publico commodo, e tenendo la larghezza della strada palmi 47. restituendo il prezzo della d.a compra alli passati Amministratori di S. Luiggi senza speranza di haverci più attione o prelatione alcuna. (…) Ordiniamo finalm.e per servizio di questa nra Città che in d.e strade da aprirsi, tanto dal Nro Collegio Germ.co, quanto dagli Amministratori di S.Luigi, si facciano Botteghe capaci e con le commodità necessarie p li Vivandieri e Grascieri che stranno nella Piazza della Rotonda, essendo che d.e strade correspondono nelle principali Piazze, e strade della Città e restano in sito commodissimo situate nel Meditullio di Roma per collocare in un luogo unito tutti li sopradetti Grascieri senza impedire le pubbliche Piazze fatte per ornam.to della Città, quali vogliamo che restino libere, e spicciate da ogni ingombro; et acciò ogni cosa camini uniformemente ordiniamo che dalli Pri di S. Agostino si alzi la cantonata della loro fabrica nella Piazza della Chiesa di S. Agostino con angolo retto et à linea retta corrispondente alla Cantonata della strada da aprirsi nella Casa hora de Bongiovanni dal Collegio Germ.co et Ung.co, in conformità della passata pianta. Di quiè chè Nro moto proprio, certa scienza, e pienezza della nostra podestà assoluta comandiamo à Voi che senz’alcuna tela e figura di guiditio esecutiva manu regia, e di fatto astringhiate il Rettore del Coll.o Germ.co et Ung.co sop.to, e li Ministri della Chiesa et Hospidale di S. Luigi à perfettionare le fabriche et aprire le d.e strade con farvi sotto le Botteghe con le commodità sopra espresse quali fabriche et aperture di strade gli astringerete a farle nel termine di trè anni da cominciarsi nel giorno della data dal pte nro Chirografo, e perfetionate le ò in tutto ò in parte le sop.te strade con le Botteghe sforziate tutti li Vivandieri e Grascieriche stanno nella d.a Piazza della Rotonda, ò nei luoghi contigui à ritirarsi e pigliare Botteghe e posto, conforme à loro mestieri nelle sop.te strade aperte di nuovo (…).”; ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f. ?, 1657; cfr. APPENDICE VII. Il documento è pubblicato parzialmente dal Bösel e dal Garms nello studio concernente la storia del Collegio Germanico-Ungarico; cfr. BÖSEL e GARMS, op. cit., pp. 340-341. 140 palmi – sarebbe dovuta sboccare in piazza S. Agostino “…per linea retta al cantone della fabrica del Convento…”, separando la nuova fabbrica del Collegio Germanico-Ungarico dal palazzo Bongiovanni e risolvendo, di fatto, i conflitti che avevavo portato in precedenza al prolungato blocco del progetto urbano (fig. 16). Dal reperimento di un documento inedito si ha l’ammontare delle spese necessarie a realizzare il tratto compreso tra le piazze Navona e Lombarda, dovendo abbattere il caseggiato interposto appartenente alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi (fig. 8), alle quali dovevano aggiungersi quelle sicuramente più ingenti necessarie a tracciare un terzo rettifilo che avrebbe dovuto unire le chiese dell’Apollinare e di S. Andrea della Valle, demolendo l’isola di case interposta tra le piazze Lombarda e Madama e regolarizzando in questo modo il vicolo delle Cinque Lune103. Quest’ultimo assieme all’isola di case suddetta, sono ancora visibili in alcune fotografie della fine del XIX secolo, precedenti all’apertura dell’attuale corso del Rinascimento (fig. 15). Tornando al tracciamento del collegamento viario, la comunità di S. Luigi era obbligata dal decreto pontificio chigiano a comprare le case di proprietà dei Particolari e dei luoghi pii che si trovavano lungo il previsto rettifilo; aveva però la possibilità di fabbricare sul nuovo fronte stradale “…dal piano del suolo della strada sino al colmareccio…” sino a un’altezza di palmi 60, realizzando una fabbrica di quattro piani che avrebbe permesso al fronte opposto – dov’era in costruzione il Collegio Germanico-Ungarico – di avere luce sufficiente per i propri allievi104 (fig. 17). Lo stesso documento, infine, obbligava il Rettore di S. Luigi e quello del collegio gesuitico a realizzare edifici che al pian terreno avessero botteghe in cui trasferire i funzionari annonari, e i venditori che si trovavano in piazza della Rotonda105. Presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico sono conservati due disegni eseguiti nel 1660 – già pubblicati anch’essi da Bösel e Garms – che costituiscono l’unico documento iconografico riguardante la realizzazione del collegamento viario tra via della Scrofa e piazza Navona: indicato con la dicitura “STRADONE DA APRIRSI” è contornato dalle botteghe che, secondo le volontà di Alessandro VII, tutti i nuovi edifici da realizzarsi avrebbero dovuto avere al livello stradale. E non solo i fronti lungo l’attuale via S. Giovanna d’Arco, ma anche quelli posti lungo il secondo rettifilo che avrebbe dovuto raggiungere piazza S. Agostino, che nello stesso disegno è indicato con la dicitura “STRADA DA APRIRSI” (fig. 18). Conoscendo le precedenti incolmabili difficoltà all’attuazione del rettifilo barberiniano, Fabio Chigi nell’agosto del 1659, cercò di convogliare le risorse economiche disponibili verso una soluzione che poteva sanare definitivamente gli opposti interessi dei Gesuiti, dei marchesi Bongiovanni, della Congregazione di S. Luigi e degli Agostiniani. Lo stesso Francesco Borromini tra la primavera del 1659 e il gennaio del 1660 eseguì numerosi disegni concernenti la sistemazione di piazza S. Agostino, perseguendo la maggiore simmetria possibile, cercando di correggerne – come si evince nelle ipotesi progettuali conservate presso l’Albertina di Vienna – la forma trapezoidale e rettificando le linee tra la costruenda biblioteca degli Agostiniani e le proprietà dei Gesuiti. Borromini tra l’altro ebbe ripetuti colloqui con Alessandro VII – com’è riportato nel diario del pontefice – ma la prospettiva di perdere una qualsiasi porzione 103 “L’aprire la strada in Piazza Navona importa un gettito in circa scudi 6000 (…)”, “L’unire l’isola per contro à S. Luigi alle case nuove di S. Luigi con slargare la strada dritta dall’Apollinare à drittura à S. Andrea della Valle importa sc. (…)”; ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. ?, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 104 ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f. ?, 1657?; cfr. APPENDICE VII. 105 La rimozione del mercato che si svolgeva dinanzi al Pantheon, rientrava in un progetto più ampio preseguito dal pontefice che in precedenza aveva interessato anche altri luoghi della città: il mercato dei saponi che si svolgeva in piazza di S. Luigi dei Francesi era stato trasferito nelle adiacenze di via dei Pastini, mentre nel 1662, Alessandro VII Chigi (1655-1667) ordinava la demolizione della chiesa di S. Stefano del Trullo posta al centro di piazza di Pietra, in modo da ottenere più spazio per il mercato delle carni che vi si svolgeva. 141 di terreno, non risultando gradita al Rettore del Collegio Germanico-Ungarico, predeterminò l’abbandono di ogni possibile soluzione urbanistica che fosse basata su principi scenografici106; di conseguenza le proposte borrominiane furono tutte bocciate e l’unico elemento portato a compimento durante il pontificato chigiano fu la scalinata di S. Agostino, realizzata avvalendosi di disegni forniti dallo stesso papa107. Tornando allo “STRADONE DA APRIRSI”, il 15 gennaio 1660, fu eseguito uno scandaglio alle abitazioni contigue “… alla strada che si dice d’aprire di nuovo nell’isola de Calderari in Piazza Navona che confina con la fabrica nuova del Palazzo fatto da S. Luigi de Francesi è và à sboccare alla Piazzetta dei Matriciani [o Lombarda] al dritto della nuova strada simile che si aprirà in fianco alla fabrica del Collegio Germ.co che esce nella Piazza di S. Luiggi de francesi [via della Scrofa] come il tutto segue…”. Il documento è di fondamentale interesse poiché conferma la volontà di tracciare il nuovo collegamento viario con uno sbocco diretto in piazza Navona, ma presenta una differenza sostanziale sia rispetto a quanto ipotizzato nel 1636 da Urbano VIII sia a quanto rappresentato negli schizzi plamimetrici inerenti al chirografo chigiano del 1657 (fig. 18): “…la fabrica nuova del Palazzo fatto da S. Luigi de Francesi…” era regolarmente affittata a Monsignor Caprara, aveva un doppio affaccio sia sul lato occidentale della piazzetta Lombarda sia su piazza Navona (figg. 8, 50) e, come si legge nello stesso documento, “…per quello che li occupa di un stanzone con parte di altri stanze contigue per linea diagonale della strada nuova andando in Navona (…)”108; questo significa, perciò, che l’immobile ampliato in quegli stessi anni dalla comunità francese, obbligava a modificare la parte terminale del previsto collegamento viario adattandolo alla fabbrica109. E uno schizzo che, stando a quanto è riportato nei documenti si riferisce all’andamento obliquo che avrebbe dovuto assumere quest’ultimo tratto viario, è pubblicato nell’elenco delle illustrazioni (fig. 19). La posizione del palazzetto Caprara, inoltre, è ben visibile anche nella pianta della chiesa e delle case di S. Luigi risalente al 1667 e conservata presso l’Archivio del Collegio GermanicoUngarico110, osservando la quale è possibile ipotizzare il nuovo andamento che la strada avrebbe dovuto assumere nel tratto compreso tra le piazze Lombarda e Navona (fig. 20). Così come il casamento affittato dalla Congregazione di S. Luigi a Monsignor Caprara, condizionava ormai irreparabilmente la parte terminale del previsto rettifilo verso piazza Navona, le proprietà immobiliari appartenenti ai marchesi Bongiovanni continuavano a bloccare la prosecuzione della strada nella direzione opposta, oltre il cortile dei Matriciani, sino a incrociare via della Scrofa. Peraltro l’impossibilità di acquistare il palazzo Bongiovanni, impediva ai Gesuiti già da un trentennio la continuazione della loro fabbrica anche nel fronte settentrionale disposto su piazza S. Agostino. L’avanzamento del cantiere, tra l’altro, era ostacolato dalle sempre più limitate risorse finanziarie, anche se in un documento del 1663 si evince che: “Da 20 anni in qua il Collegio Germanico et Ungarico nel Temporale si è migliorato… L’habitazione del Collegio si è risarcita, et aggiustate con accrescimento le camere dell’alunni; rifatta la libraria; ristaurata la chiesa, et accomodato il tutto in forma decente e propria, e la spesa è stata d’industria senza un minimo 106 Cfr. CONNORS, op. cit., pp. 95-96. Cfr. BÖSEL-FROMMEL 2000, op. cit., p. 247. 108 ACGU, Rom, Parte B, n. 84, f. ?, 15 gennaio 1660; cfr. APPENDICE VII. 109 Dall’analisi documentaria condotta si evince che è lo stesso Giovanni Antonio De Rossi tra il 1653 e il 1656 a supervisionare gli interventi eseguiti nel casamento affittato a monsignor Caprara; APEF, Fonds ancien, Liasse 57b, mandati di pagamento, fasc. I anno 1653 [Pro Reparationibus domorum], c. ?, 23 marzo 1653 e fasc. II, c. 14, 31 maggio 1654; APEF, Fonds ancien, Liasse 58b, mandati di pagamento, fasc. I anno 1655 [Pro Reparationibus domorum], c. 2, 27 gennaio 1655, fasc. II anno 1656, c. 1, 3 febbraio 1656; cfr. APPENDICE VII. 110 ACGU, Collezione Disegni, n. 53. 107 142 danno, ò debito della borsa del Collegio, e si pensa di finire la fabbrica del refettorio e libraria. Si è formato l’archivio con somme fatiche e utile perpetuo del Collegio”111. In ogni caso alla lentezza d’avanzamento dei lavori fece seguito una nuova prolungata fase di stallo, in cui i Gesuiti videro allontanarsi sempre più il completamento della loro fabbrica, poichè il marchese Bongiovanni continuò a opporsi alla cessione del proprio palazzo e l’acquisto dell’immobile non fu possibile neppure con l’estinzione della famiglia. Ferdinando Bongiovanni, infatti, prima di morire nel 1735 senza lasciare eredi, donò la proprietà ai Pii Operai di S. Balbina dai quali i Gesuiti la potranno inizialmente solo affittare per trecentocinquanta scudi mensili112. Solo in questo modo fu finalmente possibile la prosecuzione dei fronti incompleti sino a via della Scrofa, e secondo il progetto eseguito nel 1776 da Pietro Camporese il Vecchio e Pasquale Belli113, quando ormai: “non vi sono più le Vestigie del Cortile de Matriciani con il quale questo palazzo confinava perché la chiesa di San Luigi dei Francesi nell’anno 1710 vi fabbricò il Palazzo, ed aprì la strada dal Pozzo delle Cornacchie fino alla piazzetta di Pinaco, che doveva aprirsi dal Collegio, che per sua tardanza vi scapitò”114. La parziale apertura della strada di Pinàco Un terzo decreto pontificio per giungere in tempi brevi al tracciamento del previsto collegamento viario, fu emanato il 15 ottobre 1667 per tentare di risolvere il blocco causato – in entrambe le direzioni – dalle abitazioni appartenenti alla comunità francese e al marchese Bongiovanni. Si tratta del chirografo emesso da Clemente IX, che non solo concedeva ai Rettori e Deputati della congregazione francofona la facoltà di “…perfettionare la loro Isola…”, ma rappresenta un documento fondamentale poiché contiene parte integrante delle indicazioni progettuali alle quali dovrà attenersi Carlo Bizzaccheri al momento d’avviare, nel 1710, il cantiere del palazzo di S. Luigi dei Francesi. Anche questa bolla pontificia – confermando le precedenti emesse da Urbano VIII e Alessandro VII – concedeva alla comunità francese la facoltà di poter fabbricare liberamente sul fronte meridionale della nuova strada di Pinàco, permettendo in questo modo di regolarizzare l’isolato compreso tra: via della Scrofa, piazza di S. Luigi dei Francesi, via del Salvatore, piazza Madama e il vicolo dei Matriciani sino alla piazzetta Lombarda. Da quest’ultima, calcolando dal cantone appartenente al Collegio Germanico-Ungarico una larghezza non più di 47 palmi ma di 35, sarebbe 111 ARSI, Rom, 158. Nel recto di un’altra planimetria dell’area già pubblicata da Bösel e Garms si legge: “…nel qual sito 1688 si è fatto il refettorio e sopra la libraria e sopra questa la loggia della sartoria…”; cfr. BÖSEL e GARMS, op. cit., p. 366. 112 Le perizie del palazzo Bongiovanni donato ai Pii Operai di S. Balbina sono eseguite da Ludovico Rusconi Sassi perito dei Pii Operai, mentre Filippo De Romanis è il perito incaricato dal Collegio Germanico-Ungarico; ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f. ?, 9 maggio 1735; cfr. APPENDICE VII. La perizia per la valutazione dell’ammontare del canone mensile da attribuirsi ai Gesuiti è eseguita invece dall’architetto Filippo Barigioni; ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f. ?, 6 marzo 1637; cfr. APPENDICE VII. 113 La fabbrica del Collegio Germanico-Ungarico fu completata in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù avvenuta nel 1773 e affidata ai sacerdoti secolari sino al 1789, quando l’istituzione fu trasferita a Ferrara. Durante il pontificato di Leone XII della Genga (1823-1829), il palazzo divenne sede del Vicariato ospitando eminenti cardinali tra cui Giuseppe Della Porta Rodiani e Placido Zurla, dopo essere stato riaperto con rescritto di Pio VII Chiaramonti (1800-1823), il 30 maggio 1818. Nel corso del pontificato di Pio IX Mastai (1846-1878) si realizzò la sopraelevazione di tutto l’isolato eseguita da Antonio Sarti al fine di ospitare il Seminario Pio, sino alle trasformazioni eseguite con l’apertura di corso del Rinascimento, quando la facciata sulla nuova piazza delle Cinque Lune fu demolita e ricostruita secondo l’attuale allineamento. Oggi il complesso ospita la sede della Casa Internazionale del Clero e il Pontificio Istituto di Musica Sacra, mentre il Collegio Germanico-Ungarico, riportato a Roma a metà del secolo XIX, attualmente è ubicato in via S. Nicola da Tolentino. 114 ACGU, Catasto dei beni del Collegio Germanico Ungarico, Anno 1574, I, ff. 15-16; cfr. APPENDICE VII. 143 stato tracciato il collegamento viario che corrisponde all’odierna via S. Giovanna d’Arco sino a incrociare via della Scrofa, completando in questo modo l’isolato che ancora oggi appartiene alla congregazione stessa. A tal proposito – come riportato dal Bernardini e come riscontrato nel corso dell’analisi documentaria – sul finire del Seicento, sia il cortile dei Matriciani sia tutta l’area attigua assunsero gradualmente la denominazione di Pinàco 115 ; anche il Rufini conferma essere stata Pinàco la prima denominazione conferita all’odierna via S. Giovanna d’Arco e ne chiarisce l’origine etimologica: prima dell’intervento progettuale bizzaccheriano, sul fronte di una delle abitazioni che sorgevano nell’omonimo cortile, si trovava un dipinto murale in cui era rappresentato un Gesù tentato dal diavolo dove era scritto, “tunc assumpsit cum diabolus…, et status cum super pinnaculum Templi”. Il vocabolo latino pinnaculum, perciò, era stato trasferito alla denominazione del vicolo, che per la stessa ragione era denominato anche vicolo del Diavolo116. Essendo la progettazione architettonica del palazzo di S. Luigi dei Francesi nel corso del 1709, condizionata dalle specifiche condizioni dettate in questo documento, si riporta di seguito il testo integrale della copia chirografa conservata presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico: “1°. Monsignor Urbano Sacchetti Chierico della nra Cam.a e Presidente delle Strade, Serafino Celsi e Fabio Celsi, mtri di strade. Desiderando li Rettori, e Deputati della Chiesa, et Ospedale di S. Luigi della Natione Francese di Roma per perfettionare la loro Isola, ampliare l’habitazione, e Case di d.a Chiesa, et Ospedale in adornam.o di della nra Città. 2°. Et in esecuzione della Mente della fel. mem. d’Urbano VIII° nro Predecessore aprire la strada, che dalla piazza, e strada del Pozzo delle Cornacchie riesce alla Piazzetta detta Lombarda, e Fabricare il lato di essa nella d. strada, che dalla Piazza di S. Luigi conduce al Popolo, sino a d.a Piazzetta Lombarda facendo facciata dirimpetto a quella del Collegio Germ.co et Ung.co in S. Appollinare con addrizzare la strada a parallelo di quella del sud.o Collegio, che dovrà essere di larghezza di palmi trentacinque. 3°. E per d. apertura, e Fabrica comprare due Case esistenti in d. isola spettanti alla Chiesa della Madonna dell’Anima contigue ad altre della med.a Chiesa, et Ospedale di S. Luigi nella parte della sud.a strada della Piazza di S. Luigi. 4.° Et anco per rendere maggiore d. Ornato comprare tutte le Case esistenti nell’Isoletta tra Piazza Madama, e la sud.a Piazzetta Lombarda, dove ve n’é sono alcune di d.a Chiesa, et Ospitale. 5°. Ad effetto mediante la clausura del vicolo tra le due Isole unirle, e fabricarle p d.a ampliatione per la qle unione, e fabrica addrizzaranò, e slargaranno la strada pri.le, che da d.a Piazza Madama va à S. Appollinare. 6°. Di modo che tanto dalla parte del Cantone verso Piazza Madama, quanto dalla parte del Cantone verso d.a Piazzetta Lombarda sia similmen.te di palmi trentacinque di larghezza, et addrizzarannola parte verso d.a Piazzetta Lombarda in conformità della s.a designata Pianta. 7°. Et acciò possino mettere in esecutione tal opera habbiamo determinato di concedergli l’infr.e gratie. Di più è che di nro moto proprio, certa scienza, e pienezza della nra assoluta potestà ordiniamo a Voi, che ad ogni richiesta di dd. Rettori, e Deputati, senza tela, e figura di giudizio execietricè, et manu Regia sforzati di pli Padroni delle due Case esistenti nell’Isola con 115 Il Bernardini ha precisato, inoltre, che la piazzetta Lombarda o dei Matriciani era situata tra piazza Madama e il Collegio Germanico Ungarico, mentre il vicolo delle Cinque Lune e il vicolo dei Matriciani si trovavano in prossimità della chiesa di S. Luigi dei Francesi; cfr. BERNARDINI, op. cit., pp. 130-143. 116 Si precisa che nel Rufini l’etimologia dei Matriciani riguardante il rione S. Eustachio è già scomparsa, appare solo riferita al rione Ponte dove esiste ancora un vicolo de’ Matriciani; cfr. RUFINI, op. cit., pp. 176-177. Nella documentazione esaminata presso gli Archives des Pieux Etablissements de la France, il termine Pinàco compare per la prima volta nel 1691; APEF, Fonds ancien, Liasse 82, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1691, c. ?, 17 dicembre 1691; cfr. APPENDICE VII. 144 l’augumento Solito conforme alla Bolla della fel. me. di Gregorio XIII nro Predecessore Sup Jure congrui, e caso che li Padroni di dd. Case n volessero, ò differissero di fare tal vendita, ò di elessero il suo Perito, Voi elegerete il d. Perito p Officio. Dato nel nro Palazzo Ap.lico di Mte Cavallo q.to di 15 8bre 1667. Clemens Papa IX. ” 117. Il chirografo clementino, esattamente com’era stato nelle intenzioni dei predecessori, è direttamente collegato alla planimetria conservata presso l’Archivio del Collegio GermanicoUngarico e risalente anch’essa al 1667, in cui si conferma la volontà progettuale di regolarizzare la maglia viaria già esistente tra la piazzetta Lombarda e piazza Madama, e scomparsa con l’apertura di corso del Rinascimento (figg. 15, 65). A tal proposito osservando con attenzione lo stesso disegno seicentesco, non solo è possibile intuire con precisione quali fossero le volontà del papa Rospigliosi, ma anche attraverso quali interventi avrebbero dovuto realizzarsi tali trasformazioni urbane. Per prima cosa la comunità francese avrebbe potuto annettere al proprio isolato il gruppo di casette interposto tra le piazze suddette, indicate sulla planimetria con la dicitura “Isoletta da unirsi con la Clausura del Vicolo”; l’inglobamento delle suddette abitazioni avrebbe comportato la conseguente annessione del vicolo dei Matriciani, che nel disegno è indicato con la dicitura “Vicolo da chiudersi” (fig. 20). La seconda operazione avrebbe riguardato l’altro vicolo di collegamento tra le piazze Lombarda e Madama, che sulla planimetria non presenta alcuna denominazione ma che in altri documenti è indicato come il vicolo delle Cinque Lune. Quest’ultimo avrebbe dovuto subire una regolarizzazione e un ampliamento sino a 35 palmi, eguagliando la larghezza prevista per la costruenda strada di Pinàco nel tratto compreso tra la piazzetta Lombarda e via della Scrofa (fig. 20). Terzo: la congregazione francese avrebbe avuto nuovamente facoltà di edificare, come si evince osservando con attenzione la linea nera continua che partendo dalla piazzetta Lombarda e prosegue senza interruzione sino al portone dell’ospedale di S. Luigi posto in piazza Madama, indicando chiaramente l’area concessa da Giulio Rospigliosi. Infine dalla lettura del disegno seicentesco, si evince la prevista rettifica dell’angolo orientale della scomparsa piazzetta Lombarda (fig. 20). Il decreto clementino, invece, non fa più alcuna menzione nè del tratto terminale della strada di Pinàco nè dello sbocco in piazza Navona, poichè il collegamento viario non avrebbe potuto più proseguire in linea retta oltre la piazzetta Lombarda, venendo a interferire sul lato occidentale di quest’ultima con il palazzetto Caprara appartenente alla stessa comunità francese (figg. 8, 50); tuttavia non si può del tutto escludere l’ipotesi che Clemente IX – avendo confermato tutte le intenzioni progettuali dei predecessori – pensasse anch’egli a un taglio del casamento contiguo a quello di proprietà francese, permettendo alla nuova strada di giungere in piazza Navona secondo l’andamento diagonale paventato durante il pontificato di Alessandro VII. A supporto di quest’ipotesi, osservando con attenzione l’angolo inferiore sinistro della suddetta planimetria del 1667, sono ben visibili i confini della proprietà francese affittata a Monsignor Caprara, che potrebbe indicare la possibile inclinazione del tratto stradale compreso tra la piazzetta Lombarda e piazza Navona (fig. 20). Nonostante il chirografo emesso da Giulio Rospigliosi, stavolta la comunità francese non riuscì a mettere in atto l’esecuzione della bolla per l’opposizione dei Gesuiti, come si evince espressamente nella lettera che il Rettore della Congregazione di S. Luigi, il 14 luglio 1672, inviava al successore Clemente X: “…vi si opposero li Pri, o Ministri del Collegio Germanico, et Ungarico, e sotto vari 117 ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, 15 ottobre 1667; cfr. APPENDICE VII. 145 pretesti n’impedirono l’esecut.ne…” 118 . Il chirografo del 1667, infatti, avendo innescato una complessa causa giudiziaria da parte del Collegio Germanico-Ungarico, portò a sospenderne l’esecuzione e a procrastinare ulteriormente la prosecuzione del progetto urbano, cui cinque anni dopo fece seguito la lettera, confermando pienamente quanto graficizzato nella planimetria conservata presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico (fig. 20). In questo documento può leggersi: “…serrar un vicolo [dei Matriciani] con prender alcune Case per unirle…”, ovvero chiudere il vicolo dei Matriciani annettendovi l’isola di casette compresa tra la piazzetta Lombarda e piazza Madama, “…e fabbricarle Con l’Ospedale della d.a Natione per renderlo più capace e conforme la necessità, che se ne tiene, con la quale unione, e fabrica si amplia, et addrizza la Strada principale [vicolo delle Cinque Lune] per commodo anco del Publico, et Ornato della città…” 119 . Evidentemente la Congregazione di S. Luigi mirava ad ampliare ulteriormente la fabbrica destinata all’assistenza dei pellegrini, realizzata nella prima metà del XVII secolo mediante due distinte campagne costruttive, che per una migliore comprensione del progetto clementino è utile richiamare brevemente avvalendosi della vasta documentazione reperita presso l’Archivio dei Pii Stabilimenti Francesi. Nel 1589, l’architetto Domenico Fontana fu pagato per la misura e stima dei luoghi, dove la congregazione intendeva costruire l’ospedale coadiuvato dal nipote Carlo Maderno120; la comunità possedeva già una struttura dedicata all’assistenza dei pellegrini denominata di S. Giacomo dei Lombardi121, ricostruita sul finire del Quattrocento in seguito alla permuta condotta con l’abbazia di Farfa. Nel 1603, in previsione d’innalzare una fabbrica completamente nuova e per la quale anche l’architetto Francesco da Volterra redasse un progetto, il vecchio ospedale fu trasformato in 118 Cfr. nota n. 119. “1672. 14 . lug. Beat.mo Padre Per parte della Chiesa et Ospedale di S. Luigi dilla Natiòn Francisa s’espona alla I. Vra, qualm.te la sa: me: di Papa Clemente 9°. Suo predecessore gli concesse di poter far aprire una strada di già principiata, che dal Pozzo delle Cornacchie riesce alla Piazzetta detta Lombarda, e serrar un vicolo con prender alcune Case per unirle, e fabricarle Con l’Ospedale della d. Natione per rendirlo più capace conforma la necessità, che se ne tiene, con la quale unione, e fabrica si amplia, et addrizza la Strada principale per commodo anco del Publico, et Ornato della Città, come per chirografo Speciale diretto à Mons. Sacchetti all’hora et adisso Presidente, e SS.ri Mastri di Strade, nel quale gli da facoltà di forzar qualsivoglia Padrone, e pississore di d.e Case, etiam Luoghi Pij, à venderle, pagandogline il giusto prezzo à stima di Periti con il solito augum.to, e come più amplam.te si conviene in d.o chirografo segnato sotto li 15 ott.re 1667 e prodotto negl’atti del Marticari Not.o delle strade. In vigore, et essecut.ne del quale fù mosso giuditio avanti avanti li sud.ti Mons. Presidente e Mri di Strade, ma vi si opposero li Pri, o Ministri del Collegio Germanico, et Ungarico, e sotto vari pretesti n’impedirono l’esecut.ne, con far reassumer la Causa da Mons.r Cavallerino loro Giudice. Havutosi ricorso da gl’ori prima à Mons.r Pita Aud.re di d.a se: me: di Clem.te 9.°, e poi anco à Mons.r Bottini Aud.re di V. S.tà per la remissione della Causa à d.i Mons.r Presidente, e Mri di Strade Giudici deputati del d.o Chirografo, non la poterono, benchè ragionevole, ottenere e solo fecero l’uno, e l’altro, Supersederi, si che con d.e, supersessorie resta tuttavia sospesa l’essecut.e della gratia concessa da quel s.o Pontefice con non poco pregiuditio della Chiesa, e delli Pellegrini, de quali succede alle volte restarne lacuni fuori dell’Ospedale, non potendovisi per l’angustia ricever tutti. Per tanto il Rettore et Officiali della sud.a Chiesa, et Ospedale di S. Luigi Supp.no … la S.tà Vra si degni ordinare à d.i Mons.r Presidente, ben informato del neg.o, e Mastri di Strade, che non ostanti le d.e soprasessorie, e qualsivolglia altro imped.to che vi fusse, ò vi potesse venire, procedano all’essecutione del d.o Chirografo in tutto, e per tutto Conforme in esso si contiene, acciò venghi adempita la santa mente di quel Pontefice, che fece la gratia, la Chiesa, et Ospedale ricevano l’utile, Commodo il Publico, et Ornamento la Città. Et il tutto”; ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, 14 luglio 1672; cfr. APPENDICE VII. 120 APEF, Fonds ancien, Liasse 49, mandati di pagamento, fasc. III anno 1629, c. 21, 9 agosto 1629; cfr. APPENDICE VII. Conto dei lavori saldati e sottoscritti da Carlo Maderno ed eseguiti dal falegname Giovan Maria Narice, effettuati tra il 1626 e il 1629 nelle diverse proprietà di S. Luigi, tra cui le case nella piazzetta delli Matriciani (o Lombarda), nel cortile del fabbro Luca Vitale che abita in piazza Madama, sopra il forno nuovo in costruzione e che ha accanto un cortiletto, alle finestre dell’ospedale “che risponde verso piazza Madama”. 121 La vecchia struttura ospedaliera come specificato dal Roberto (cfr. ROBERTO, op. cit., p. 229), era situata sul retro dell’attuale palazzo Madama e rimase funzionante sino al completamento della nuova fabbrica. 119 146 abitazioni e botteghe; il progetto fu scartato in favore di quello eseguito da Fontana e Maderno, come riportato in alcuni documenti pubblicati da Roberto: “pagati al S.r Cav.ro Domenico Fontana overo al S.r Carlo suo nipote scudi Dodici m.ta per fatighe che hanno durate in misurare il sito et Case per fabricare l’hospitale et Casa presbiteriale; et per il disegno che hanno fatto” 122. Nel corso del 1606 i lavori proseguirono celermente con la conclusione degli alzati e la posa delle coperture, mentre si dovette attendere la fine del 1607 per la loro definitiva conclusione123. L’Hibbard nella monografia dedicata a Maderno 124 , individua la posizione del nuovo ospedale in prossimità dell’angolo nord-occidentale della chiesa di S. Luigi dei Francesi e prospettante sul vicolo dei Matriciani; tutto ciò è stato confermato dalla ricerca d’archivio riferita al 1627, anno in cui il capomastro Vincenzo Modello fu pagato per aver lavorato in una casa situata in piazza Madama dov’era stata realizzata la nuova abitazione dei preti francesi confinante con l’ospedale 125 . Quest’ultimo fu considerevolmente ampliato mediante la licenza rilasciata dai Maestri delle Strade il 16 novembre 1627, realizzando una nuova fabbrica “…che risponde in piazza Madama, nel medesimo luogho dove stava la faciata vecchia”126; per facciata vecchia s’intende l’ala terminata circa venti anni prima e ora ampliata nella profondità dell’isolato con una nuova denominata nei documenti Corridore. Con questo termine s’indicava il volume parallelo al fianco destro della chiesa di S. Luigi dei Francesi e denominato nei documenti anche “fabbrica nuova dove abitano i Preti”, poichè andava a saldarsi alla loro precedente abitazione che a sua volta separava il cortile dei Matriciani da quello detto dei Preti; e anche a quest’ultimo immobile si accedeva dal vicolo dei Matriciani, mediante un portale attribuito a Maderno e collocato accanto all’ingresso dell’ospedale (fig. 55). Il Corridore, infine, confinava verso est con altre abitazioni che si affacciavano – assieme alle proprietà della chiesa di S. Maria dell’Anima – direttamente su piazza di S. Luigi dei Francesi (cfr. la pianta di Roma del Falda, fig. 21). La conferma che si trattasse di un ampliamento apportato a una fabbrica preesistente, si ha in un conto del 12 novembre 1627 dove si legge: “misura e stima dei lavori eseguiti in una cantina nel palazzo dove abitano i Preti di San Luigi, in previsione della nuova fabbrica” 127 . Il cantiere fu diretto da Carlo Maderno cui può attribuirsi di conseguenza anche la supervisione dei lavori di realizzazione dello stesso Corridore; del resto l’architetto rimase al servizio della congregazione sino alla sua scomparsa128. Nell’agosto del 1627 si registrano i primi pagamenti per i lavori di 122 L’architetto Francesco da Volterra, il 23 marzo 1587, è pagato sei scudi per una “pianta fatta et disegno dela riforma del hospital et Casa dei preti”; cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 229-230, 251. 123 Il capomastro Battista Bardella fu pagato dal tesoriere di S. Luigi dei Francesi riguardo alle giornate di lavoro effettuate sino al 26 gennaio 1608; APEF, Fonds ancien, Liasse 44, mandati di pagamento, fasc. III anno 1608, c. 10, 26 gennaio 1608; cfr. APPENDICE VII. 124 Cfr. H. HIBBARD, Carlo Maderno, Milano 2001, p. 163. 125 APEF, Fonds ancien, Liasse 49, mandati di pagamento, fasc. I anno 1627, c. 2, 6 marzo 1627; cfr. APPENDICE VII. 126 ASC, Cred. IV, 87, fol. 88 v; cfr. HIBBARD, op. cit., p. 163. 127 APEF, Fonds ancien, Liasse 49, mandati di pagamento, fasc. I anno 1627, c. 25, 12 novembre 1627; cfr. APPENDICE VII. 128 Come già sostenuto in precedenza dall’Hibbard, che attribuisce il progetto a Carlo Maderno, e come riscontrato nelle ricerche d’archivio concernenti le Liasses comprese tra gli anni 1606 e 1611. L’architetto, inoltre, fu impegnato nella progettazione della “casa che fa da isola contro detta chiesa di San Luigi, e in un’altra casa che si è fabbricata sulla piazza di detta chiesa, et in diverse altre case”. Due di queste abitazioni sorgevano davanti alla chiesa di S. Luigi e vi si lavorava nel 1617; una terza, invece, era situata in piazza Madama per la quale Maderno redasse “molti disegni d’architettura” e fu pagato dal tesoriere della chiesa dieci scudi in moneta, “per riconoscimento delle sue fatiche fatte in diverse opere di fabbriche che lui è venuto e dato i disegni”; APEF, Fonds ancien, Liasse 46, mandati di pagamento, fasc. I anno 1617, c. 7, 7 gennaio 1617 e c. 32, 4 marzo 1617; fasc. II anno 1618, c. 42, 22 marzo 1618; fasc. IV anno 1620, c. 29, 22 febbraio 1620; cfr. APPENDICE VII. 147 fondazione della nuova ala, che proseguirono anche l’anno successivo assieme all’acquisto dei materiali da costruzione quali mattoni e pianelle129, mentre dal 1629 Maderno fu pagato per i lavori da lui sottoscritti, saldati ed eseguiti nei tre anni precedenti dal falegname Giovan Maria Narice, e in cui rientra la realizzazione degli infissi per la vecchia fabbrica terminata nel 1607 “che risponde verso piazza Madama”. Da questi stessi mandati di pagamento, infine, si deduce come l’ampliamento avesse compreso anche la completa ristrutturazione della fabbrica realizzata all’inizio del XVII secolo130; d’altronde l’ospedale di S. Luigi aveva già da tempo acquisito una notevole importanza essendo una struttura ben organizzata, amministrata “…da sette o otto persone ecclesiastiche da bene…”, e facilitata dall’essere collocata in un’area di rappresentanza estremamente strategica 131 . Di conseguenza potrebbe essere questa la ragione principale per la quale la comunità francese – avvalendosi della concessione espressa da Clemente IX – mirasse ad ampliare ulteriormente l’ospedale anche se, come già esposto in precedenza, l’opposizione dei confinanti e la conseguente causa giudiziaria contro i Gesuiti dell’Apollinare protrattasi per diversi anni, costrinse la Congregazione di S. Luigi a rinunciare definitivamente ad annettere l’isola di casette interposta tra le piazze Lombarda e Madama. Un altro documento privo di datazione conservato presso l’Archivio del Collegio GermanicoUngarico, permette di capire mediante quale accordo tra i diversi proprietari fu possibile abbattere il diaframma d’abitazioni interposto tra la strada di Pinàco parzialmente tracciata e via della Scrofa (fig. 20). Nel documento si descrive nuovamente la necessità impellente della comunità gesuitica alla prosecuzione del loro collegio, acquistando “…tre Casette sotto la proprietà di S. Luigi de Francesi, le quali oggi si possiedono sotto l’istessa proprietà dal Sig.r March.e Bongiovanni, et un’altra Casa Sotto la proprietà della Rotonda parim.ti posseduta dal d.o S.R Marchese Bongiovanni…”, esimendosi dal pericolo che queste proprietà possano essere fabbricate dalla comunità francese e utilizzando lo “…special Istromento altre volte stipulato fra li med.i [Congregazione di San Luigi] et il d.o Sig.r March.e Bongiovanni…”132. Le paure dei Gesuiti avevano un fondamento reale, poiché il marchese Bongiovanni aveva avuto dalla comunità francese in enfiteusi perpetua le tre abitazioni confinanti con il proprio palazzo, per un canone di quaranta scudi annui; l’enfiteusi impediva, di fatto, l’acquisto delle abitazioni necessario alla prosecuzione della fabbrica. Ferdinando Bongiovanni, peraltro, aveva in concessione anche una quarta casa che prospettava su via della Scrofa e apparteneva alla chiesa di S. Maria della Rotonda (fig. 12). All’enfiteusi perpetua deve aggiungersi l’accordo stipulato tra la congregazione francese e il marchese – rogato il 6 maggio 1697 – con il quale Ferdinando Bongiovanni era obbligato a incorporare nel proprio palazzo, entro due anni dalla ripresa dei lavori del tratto viario mancante, le prime tre abitazioni133. La conferma dell’accordo si ha attraverso un altro documento 129 Ancora nel 1630 si registra nei documenti l’acquisto di settantacinquemila mattoni e trecento tegole; APEF, Fonds ancien, Liasse 50, mandati di pagamento, fasc. I anno 1630 [Pro Reparationibus domorum], c. 27, 29 luglio 1630 cfr. APPENDICE VII. 130 APEF, Fonds ancien, Liasse 49, mandati di pagamento, fasc. III anno 1629 [Pro Reparationibus domorum], c. 5, 20 aprile 1629; cfr. APPENDICE VII. Dal conto si evince che lo stesso artigiano lavorò, con la supervisione del Maderno, anche alle case situate nella piazzetta Lombarda o dei Matriciani e nel cortile del “ferraro” Luca Vitale che abitava in piazza Madama sopra il forno nuovo anch’esso in costruzione in quegli anni. 131 Il faldone di documenti, pervenutomi grazie alla Dottoressa Michela Lucci che ringrazio, è conservato erroneamente presso l’Archivio Colonna di Subiaco e riguarda principalmente l’accesa rivalità tra i sacerdoti francesi e i padri dell’oratorio per ottenere il controllo diretto dell’ospedale di S. Luigi dei Francesi. 132 ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 133 “Nuova notizia per la Compra d.lle Casette del S.r March.e Bongiovanni le quali sono à filo della Fabrica del Collegio in faccia al Palazzo Nuovo di San Luigi dei Francesi”. 148 postumo – che riporta su un lato anche la data 6 maggio 1697 – inerente alla stipulazione di un secondo atto notarile inerente una delle tre abitazioni suddette e per la quale il marchese Bongiovanni, se non avesse incorporato la casa nel proprio palazzo avrebbe dovuto pagare la somma di duemila scudi al Rettore di S. Luigi134. Neppure la sottoscrizione dell’accordo tra la congregazione francese e il Bongiovanni però fu sufficiente a completare la strada di Pinàco, poiché nel diaframma di case interposto tra il cortile dei Matriciani e via della Scrofa – accanto alla casa appartenente a S. Maria della Rotonda data in enfiteusi al marchese Bongiovanni – sorgeva un’altra abitazione di proprietà del Collegio Germanico-Ungarico e infine una terza spettava a S. Maria dell’Anima: entrambe erano poste lungo il percorso della costruenda strada; in particolare era l’immobile appartenente ai Gesuiti che impediva alla comunità francese la prosecuzione dell’opera (figg. 6, 20). A un primo tentativo d’acquisto intrapreso il 25 giugno 1709, attraverso una stima di quest’ultima abitazione135, il Rettore del Collegio gesuitico minacciò l’avvio di una nuova causa contro la Congregazione di S. Luigi avvalendosi della consulenza dell’architetto Pollancetti 136 , mentre la comunità francese disponeva già Carlo Bizzaccheri che – come si vedrà più specificatamente nel prossimo paragrafo – si occupò di stimare anche le altre abitazioni interessate dall’abbattimento, avendo nel frattempo già redatto il progetto del palazzo di S. Luigi dei Francesi. Solo mediante un nuovo intervento di un’autorità pontificia sarà possibile demolire definitivamente il diaframma d’abitazioni interposte tra la corte dei Matriciani e via della Scrofa, procedendo all’apertura della strada di Pinàco, ma nel solo tratto compreso tra la scomparsa piazzetta Lombarda e via della Scrofa: Clemente XI, il 20 maggio 1710, ordinò la vendita della proprietà alla Congregazione di S. Luigi “per gettarla à terra, ad effetto d’aprire la strada” 137 , ponendo termine ad una contesa protrattasi per più di settant’anni e in cui ora poteva realizzarsi la nuova fabbrica del Bizzaccheri. “Il Sig: Marchese Ferdinando Bongiovanni prese in Enfiteusi perpetua dalla Chiesa di San Luigi de Francesi trè Casette poste nel vicolo de Matriciani contigue al proprio Palazzo p un annuo Canone di Scudi quaranta, e con patto di doverle fabricare, et incorporare nel med:o Palazzo dentro al termine di due anni doppo che sij seguita l’apertura della strada de med:i Matriciani, et in caso d’omissione, il d.o S.r Marchese s’obbliga à favore di d.a Chiesa p ogni danno, et interesse, con acconsentire di poter’essere sforzato à fare d.a incorporatura, Come più diffusam:e appare da pubblico Instrumento rog:o p gli atti del S.r Gabrielli not:o dell’ A. C. li 6 mag:o 1697”; ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, 6 maggio 1697; cfr. APPENDICE VII. 134 “1709. Instr.o p l’atti dell’Olivieri Notaro A. C. li 6 Magg.o 1697. Investitura fatta da S. Luigi nel Sig.r March.e Bongiovanni di una casa vicina alla nostra spezieria p s 40 l’anno in lui, et cui et … con patto di pagare s 2000 in Caso che la incorporasse col palazzo”. ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, [giorno e mese mancante] 1709; cfr. APPENDICE VII. Il documento è allegato al conto di misura e stima del palazzo Bongiovanni, eseguito l’8 maggio 1735, in occasione della vendita al Collegio Germanico-Ungarico. 135 ACGU, Rom, Parte C, n. 67, f.?, 25 giugno 1709; cfr. APPENDICE VII. 136 ACGU, Rom, Parte C, n. 67, ff.?, 19 giugno e 28 giugno 1709; cfr. APPENDICE VII. 137 ACGU, Catasto antecedente Roma A, n. prov. 169, ff. 140-142, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 149 Il progetto architettonico di Carlo Francesco Bizzaccheri Seguendo una prassi all’epoca molto diffusa, Carlo Bizzaccheri, durante la sua carriera fu in servizio permanente presso numerose congregazioni religiose e ricoprì nella quasi totalità dei casi esaminati commissioni conferitegli a vita. Fu così ad esempio per l’attività eseguita presso le monache di S. Silvestro in Capite (17021721), per le Arciconfraternite di S. Rocco all’Augusteo (1695-1721) e di S. Marcello al Corso (1691-1721), per i Ministri degli Infermi della chiesa della Maddalena (1675-1721) e per i monaci di S. Basilio Magno (1689-1721)138. Lo stesso avvenne presso la Congregazione di S. Luigi dei Francesi, dove operò ininterrottamente tra il 1709 e il 1721, e dalla quale ebbe l’incarico di progettare l’omonimo palazzo che per dimensioni è uno dei maggiori edifici realizzati dall’architetto. Bizzaccheri avviò l’attività presso la comunità francese precisamente nell’aprile del 1709, subentrando all’architetto Matteo Sassi 139 : fu subito incaricato della progettazione dell’opera e direttamente condizionato dalle tre bolle pontificie emesse con la finalità di tracciare un collegamento viario tra via della Scofa e piazza Navona, di cui si è già ampiamente trattato nei paragrafi precedenti. In particolare si ricorda il chirografo ordinato da Clemente IX che – confermando i precedenti emessi da Urbano VIII e Alessandro VII – stabiliva in 35 palmi la larghezza massima consentita alla strada di Pinàco (corrispondente all’odierna via S. Giovanna d’Arco), a differenza dei 47 palmi stabiliti nel precedente decreto chigiano. Di conseguenza l’architetto si trovò a dover progettare un corpo di fabbrica sviluppato lungo l’intero fronte meridionale della strada, racchiuso nei due splendidi cantonali protesi rispettivamente su via della Scofa e sulla scomparsa piazzetta Lombarda 140 (figg. 30-31). Alessandro VII, inoltre, aveva richiesto la presenza di botteghe in tutte le fabbriche da realizzarsi lungo i nuovi fronti stradali, con la finalità di trasferirvi i mercanti e i funzionari annonari che si trovavano nelle adiacenze del Pantheon: sia il palazzo di S. Luigi dei Francesi sia l’antistante edificio del Collegio GermanicoUngarico hanno accolto questa precisa volontà; tra l’altro, con l’apertura del tratto mancante della strada di Pinàco, si garantiva ai mercanti che in precedenza risiedevano nelle abitazioni da demolirsi poste nel cortile dei Matriciani, di avere una sistemazione più consona e dignitosa. Il decreto clementino emesso nel 1667, come si ricorderà, prevedeva la regolarizzazione del lato meridionale della piazzetta Lombarda sino al vicolo delle Cinque Lune, concedendo alla comunità francese la chiusura del vicolo dei Matriciani e la possibilità di annettere l’isola di casette antistante interposta tra le piazze Madama e Lombarda. In questo modo, come può direttamente osservarsi sulla planimetria conservata presso l’Archivio del Collegio Germanico-Ungarico 141 (fig. 20), la comunità francese avrebbe potuto ampliare il proprio ospedale142 ma, anche in questo caso, vi fu qualche impedimento alla realizzazione del progetto urbano. Peraltro l’analisi documentaria ha confermato come l’architetto Giovan Battista Gerosa – probabile coadiuvatore di Maderno – già nel 1626 fu pagato per aver supervisionato gli interventi condotti in una delle case poste nell’isoletta 138 Le attività svolte presso queste congregazioni religiose sono state esaminate nel secondo capitolo facente parte della prima parte della Tesi di Dottorato; ASR, Congregazioni Religiose Femminili, Clarisse in San Silvestro in Capite, Buste 129-133 e Buste 137-138; cfr. APPENDICE V. ASR, Ospedale di San Rocco, Buste 190-197; cfr. APPENDICE II. ASR, Congregazioni Religiose Maschili, Basiliani in San Basilio, Busta 1 e Busta 16; AMNG, Collegio di San Basilio de Urbe, Miscellanea, Scatola 741/ XXXIX (1) ; cfr. APPENDICE VI. 139 APEF, Liasses 98-103, anni 1711-1721 e APEF, Registro dei Mandati dal 1707 al 1719; cfr. APPENDICE VII. 140 Si precisa che la piazzetta è stata inglobata nel XX secolo in un tratto di corso del Rinascimento. 141 ACGU, Collezione Disegni, n. 53. 142 L’isoletta fu inglobata – come la piazzetta Lombarda e i vicoli dei Matriciani e delle Cinque Lune – da corso del Rinascimento realizzato nel XX secolo. 150 d’abitazioni143 (cfr. la pianta di Roma del Falda, fig. 21): evidentemente la congregazione francese, non riuscendo negli anni seguenti ad acquistare le case rimanenti, abbandonò definitivamente la concessione di chiudere il vicolo dei Matriciani e annettere al proprio patrimonio immobiliare il piccolo isolato interposto tra le piazze Madama e Lombarda. La testata del caseggiato è visibile in una fotografia della fine del XIX secolo, interposta tra il vicolo delle Cinque Lune sulla sinistra e quello dei Matriciani sulla destra (fig. 15). Il decreto clementino, inoltre, prevedeva la regolarizzazione del vicolo delle Cinque Lune paventata già durante il pontificato di Fabio Chigi, come tratto di un rettifilo ben più sviluppato a congiungere le chiese dell’Apollinare e di S. Andrea della Valle; e l’aumento della sua sezione stradale sino a 35 palmi fu confermata – seppur nel solo tratto compreso tra le piazze Madama e Lombarda – dal chirografo del 1667, permettendo l’unico possibile collegamento con piazza Navona usufruendo di piazza Madama e della Corsia Agonale. Del resto la realizzazione di uno sbocco diretto con l’antico circo Agonale, in modo che le carrozze potessero giungervi agevolmente, era perseguito già da Urbano VIII con il tracciamento del rettifilo Navona-Maddalena e fu ripreso da Alessandro VII che, impossibilitato ad abbattere il casamento interposto con la piazza affittato dalla congregazione francese a monsignor Caprara, cercò invano di adattare il palazzetto all’andamento della nuova strada. Di conseguenza regolarizzare il vicolo delle Cinque Lune e ampliarlo sino alla stessa larghezza della costruenda strada di Pinàco, rimase l’unica possibile soluzione per avere uno sbocco carrozzabile in piazza Navona, usufruendo da piazza Madama del breve tronco viario in asse con l’omonimo palazzo. Eppure sul finire del 1709 si dovette rinunciare anche a questa soluzione alternativa. In questa difficile e complessa situazione anche Carlo Bizzaccheri, prima di poter avviare il cantiere per la costruzione del palazzo di S. Luigi, fu impegnato per lungo tempo al tracciamento del tratto mancante della strada di Pinàco, misurandosi direttamente con il ridimensionamento progettuale di quanto previsto nel chirografo clementino. Occorre rilevare, ad esempio, la mancata chiusura del vicolo dei Matriciani e la regolarizzazione del lato meridionale della piazzetta Lombarda sino al vicolo delle Cinque Lune, modifiche che comportarono importanti variazioni progettuali, come il conseguente allineamento del prospetto laterale del palazzo di S. Luigi dei Francesi al fronte edilizio preesistente lungo il vicolo dei Matriciani. Partendo dal casamento plurifamiliare seicentesco che si trovava sul cantone della piazzetta Lombarda – demolito nel 1710 per realizzare la nuova fabbrica bizzaccheriana – il fronte era composto dal Lavatore pubblico 144 e dal prospetto dell’ospedale di S. Luigi con il portale attribuito a Carlo Maderno145 (fig. 55). Proseguendo ancora verso piazza Madama, dove adesso è 143 Alla ricostruzione di quest’abitazione lavorò il capomastro Vincenzo Modello, pagato anche per interventi eseguiti nelle case contigue dove abitavano “li matriciani ed alla casa contro le cinque lune”; APEF, Fonds ancien, Liasse 48, mandati di pagamento, fasc. III anno 1626, c. 5, 14 febbraio 1626; cfr. APPENDICE VII. Anche in seguito alla morte di Carlo Maderno ricomparve Giovan Battista Gerosa, che nel 1633 è indicato nei documenti con l’appellativo di architetto delle fabbriche di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 51, mandati di pagamento, fasc. I anno 1633 [Pro Reparationibus domorum], c. 2, 14 aprile 1633; cfr. APPENDICE VII. 144 Il locale, denominato del Lavatore e destinato a essere utilizzato come lavanderia dalla congregazione francese, era situato alla sinistra della facciata dell’ospedale di S. Luigi sul vicolo dei Matriciani, usufruiva della consistente quantità d’acqua proveniente dall’acquedotto Vergine, mentre sul retro era provvisto di un secondo affaccio nel cortile dei preti dov’era collocata un’altra fontana; APEF, Fonds ancien, Liasse 54, mandati di pagamento, fasc. II anno 1643 [Pro Reparationibus Domorum], c. 5, 20 aprile 1643 e c. 13, 11 novembre 1643; APEF, Fonds ancien, Liasse 55a, mandati di pagamento, fasc. I anno 1645 [Pro Reparationibus Domorum], c. 6, 22 gennaio 1645; cfr. APPENDICE VII. 145 Il portale fu realizzato nel punto in cui sorgeva l’oratorio di S. Benedetto, demolito nel 1513 in seguito alla costruzione all’interno della chiesa di S. Luigi dei Francesi di un nuovo altare dedicato al Santo; cfr. ROBERTO, op. cit., pp. 20-21. 151 situato l’edificio realizzato sul finire del secolo XIX da Luca Carimini146, in angolo con via del Salvatore, si trovava allora un altro casamento plurifamiliare già ampliato da Giovanni Antonio De Rossi 147 e per il quale la Congregazione di S. Luigi aveva ottenuto dai Maestri delle Strade regolare licenza148 (cfr. la pianta di Roma del Falda, fig. 21). De Rossi aveva avviato l’attività presso la comunità francofona dal 24 gennaio 1646 149 , coadiuvato dagli allievi Tommaso Zannoli 150 e Francesco Felice Pozzoni 151 : nella monografia dedicata all’architetto dallo Spagnesi 152, l’inciso relativo all’attività presso la comunità francese si attiene esclusivamente agli elenchi redatti dallo Zannoli tra il 1655 e il 1662, al libretto d’appunti sulle riscossioni giornaliere redatto dallo stesso De Rossi 153 e ai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Roma inerenti alla Congregazione di Francia; in particolare sono registrati in questi ultimi dodici conti di misura e stima tra cui una compravendita di alcune case “alli Matriciani”, con una provvigione superiore a centocinquanta scudi154. In realtà, come riscontrato nei mandati di pagamento, l’attività di Giovanni Antonio De Rossi presso la comunità francese è procrastinabile sino al 1682, vale a dire la committenza più prolungata avuta dall’architetto presso una congregazione religiosa155. 146 L’edificio, realizzato tra il 1882 e il 1888, presenta una facciata neorinascimentale con piano basamentale architravato su pilastri quadrati con colonne doriche che sostengono fregio classicheggiante, finestre architravate al primo e secondo livello e un attico sopra il cornicione; cfr. G. PRIORI, M. TABARRINI, Luca Carimini 1830-1890, Modena 1993, p. 88. I disegni originali dell’architetto sono conservati presso l’Archivio Capitolino di Roma nel fondo titolo 54. Il Portoghesi, (cfr. P. PORTOGHESI, L’eclettismo a Roma, 1870-1922, Roma s. d, p. 16), sottolinea le qualità di quest’opera del Carimini in cui “meglio si esprime il suo gusto della tensione ritmica, ottenuta sovrapponendo una serie di diversa densità”. 147 Alla ricostruzione di quest’abitazione lavorò il capomastro Vincenzo Modello, pagato anche per interventi eseguiti nelle case contigue dove abitavano “li matriciani ed alla casa contro le cinque lune”; APEF, Fonds ancien, Liasse 48, mandati di pagamento, fasc. III anno 1626, c. 5, 14 febbraio 1626; cfr. APPENDICE VII. Anche in seguito alla morte di Carlo Maderno ricomparve Giovan Battista Gerosa, che nel 1633 è indicato nei documenti con l’appellativo di architetto delle fabbriche di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 51, mandati di pagamento, fasc. I anno 1633 [Pro Reparationibus domorum], c. 2, 14 aprile 1633; cfr. APPENDICE VII. 148 La licenza come precisato da Bentivoglio (cfr. E. BENTIVOGLIO, Due libri di patenti dei “Maestri di strade” di Roma degli anni 1641-45 e 1646-54, in “Quaderni PAU”, n. 2, 1994, pp. 11-62), fu concessa il 23 marzo 1646 alla congregazione di S. Luigi dei Francesi con disegno allegato, “…che fabricando la loro casa nella strada trasversale che dalla piazza di detta Chiesa conduce a Piazza Madama, habitata al presente dalli SS.ri Polii, possino con detta casa venir fuori dal vecchio sito al filo delle altre lor case contigue già fabricate … in longhezza di palmi 52 et largh. Palmi 5 ¾ …”. Si precisa che la strada trasversale suddetta è l’odierna via del Salvatore. 149 Con questa data è registrato il primo pagamento, effettuato dal tesoriere di S. Luigi dei Francesi a Giovanni Antonio De Rossi, in dieci scudi di moneta; APEF, Fonds ancien, Liasse 55a, mandati di pagamento, fasc. II anno 1646 [Pro Reparationibus Domorum], c. 10, 24 gennaio 1646; cfr. APPENDICE VII. 150 Lo Zannoli fu suo collaboratore sino al 1685 e nei documenti è pagato sette scudi e venti baiocchi; APEF, Fonds ancien, Liasse 57b, mandati di pagamento, anni 1653, [Case], n. ?, 10 febbraio 1653; cfr. APPENDICE VII. Nel 1654 il Pozzoni è pagato venti scudi; APEF, Fonds ancien, Liasse 57b, mandati di pagamento, fasc. II anno 1654, c. 23, 23 luglio 1654; cfr. APPENDICE VII. Tommaso Zannoli, infine, collabora con Giovanni Antonio De Rossi anche nel cantiere di palazzo D’Aste in piazza S. Marco. 151 Il Pozzoni, che fu tra gli allievi prediletti del De Rossi ereditandone alla morte per volontà testamentaria lo studio e parecchi incarichi importanti, presso S. Luigi dei Francesi è pagato dodici scudi di moneta come è riportato in numerosi documenti sino al 22 dicembre 1673; APEF, Fonds ancien, Liasse 65b, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1673, c. 695, 22 dicembre 1673; cfr. APPENDICE VII. 152 Cfr. G. SPAGNESI, Giovanni Antonio De Rossi architetto romano, Roma 1965, p. 75. 153 Giovanni Antonio De Rossi, infatti, diresse sempre i lavori nei quali trovarono realizzazione i suoi progetti tenendo persino la contabilità degli stessi cantieri e dirigendo uno studio professionale simile a quelli moderni. 154 ASR, Ospedale della Santissima Consolazione, busta 147; cfr. SPAGNESI, op. cit., p. 75. 155 Un altro incarico è presso la chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, dove lavora tra il 1652 e il 1662, come ricordato dal Pascoli e Giacomo Costante gli subentra nella veste di architetto della Congregazione di S. Luigi dei Francesi nel 1683; APEF, Fonds ancien, Liasse 74, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1683, c. ?, 10 marzo 1683.; cfr. APPENDICE VII. 152 Nel 1709, Carlo Bizzaccheri fu incaricato di dotare il margine settentrionale dell’isolato appartenente alla congregazione di un fronte unico – corrispondente alla lunghezza della costruenda strada di Pinàco – che sostituisse l’edilizia seriale preesistente posta ancora attorno al cortile dei Matriciani e abbattendo le abitazioni d’origine tardo-medievale, sviluppate su uno o due livelli, in cui risiedevano da circa due secoli gli omonini affittuari. Si ricorda che il cortile dei Matriciani, essendo sino agli anni trenta del Seicento collegato con la scomparsa piazzetta Lombarda esclusivamente da un passaggio coperto da un casamento (figg. 13-14), aveva mantenuto inalterate le sue caratteristiche per gran parte del secolo, rimanendo escluso dallo sviluppo edilizio che nel rione aveva sostituito gradualmente le abitazioni preesistenti con casamenti più sviluppati in altezza. La comunità francese, come testimoniato dai numerosi mandati di pagamento, conduceva regolari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria alle abitazioni affacciate su questa corte156: un esempio è fornito dalla casa affittata a Flaminia matriciana157, dove la distribuzione interna era ancora quella che vedeva un uso indifferenziato degli ambienti: sul fronte, seguendo la tipologia medievale, il piano terreno era occupato da una bottega e sul retro da una stanza annessa, mentre al primo piano erano due camere; solo in alcuni casi l’abitazione poteva avere un secondo piano con uguale numero di stanze158. Gli ambienti di servizio appartenenti a queste case – quali cantine e depositi di derrate alimentari – erano di norma seminterrati e ricavati in strutture murarie appartenenti alle Terme Alessandrine di cui si è trattato specificatamente nel primo paragrafo. Neppure la parziale apertura della strada di Pinàco verso la piazzetta Lombarda, avviata da Urbano VIII nel 1636 – parallelamente al cantiere per la nuova fabbrica del Collegio Germanico-Ungarico descritta nel secondo paragrafo – aveva modificato l’aspetto del cortile dei Matriciani, che vide mutare solo la propria denominazione in Pinàco, mantenuta sino all’avvio del cantiere per la costruzione del palazzo di S. Luigi (fig. 6). Cadenzati interventi di manutenzione, inoltre, avevano interessato nel corso del Seicento anche le altre case che si sviluppavano lungo l’adiacente vicolo dei Matriciani, che sul retro si affacciavano in una seconda corte più piccola corrispondente all’attuale cortile del palazzo progettato dal Bizzaccheri159. Qui, disposti al piano terreno o in un piccolo edificio posto accanto alle abitazioni, erano le stalle affittate ai marchesi Patrizi e gli ambienti utilizzati per il ricovero di materiali vari, tra cui il fieno per i cavalli appartenenti alla stessa congregazione160; la rimessa dei marchesi Patrizi aveva un affaccio anche sul vicolo dei Matriciani, vicino all’abitazione del Signor 156 APEF, Fonds ancien, Liasse 44, mandati di pagamento, fasc. VI anno 1611, c. 91, 23 ottobre 1611; Liasse 45, mandati di pagamento, fasc. I-IV anni 1612-1615, c. 115, 14 novembre 1612, c. 69, 7 luglio 1613, c. 139, 6 dicembre 1614 e c. 94, 21 ottobre 1615; APEF, Fonds ancien, Liasse 46, mandati di pagamento, fasc. I-IV anni 1617-1620, c. 3, 13 gennaio 1618, c. 17, 22 febbraio 1619 e c. 25, 9 marzo 1619; cfr. APPENDICE VII. Queste abitazioni sono largamente rinnovate poiché il tesoriere della chiesa di S. Luigi paga il sottomaestro delle strade Giovan Battista Geloso “…per ricognizione di molte fatiche da lui fatte come in un’altra differenza delle case nuove poste nel cortile dello Matriciano”; APEF, Fonds ancien, Liasse 46, mandati di pagamento, fasc. IV anno 1620, c. 29, 22 febbraio 1620; cfr. APPENDICE VII. 157 APEF, Fonds ancien, Liasse 50, mandati di pagamento, fasc. I anno 1630 [Pro Reparationibus domorum], c. 10, 25 luglio 1630; cfr. APPENDICE VII. 158 Cfr. G. CURCIO, I processi di trasformazione edilizia, in “Un pontificato e una città. Sisto IV (1471-84)”, Roma 1986, pp. 706-707. 159 Si procedeva al regolare controllo delle coperture, come ad esempio quelle “sopra il cantone e sino al lavatore”; APEF, Fonds ancien, Liasse 77, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1686, c. 186, 21 dicembre 1686; cfr. APPENDICE VII. 160 Cfr. CURCIO 1986, op. cit., p. 708; le stalle dei marchesi Patrizi erano sul vicolo dei Matriciani alla sinistra del Lavatore e dell’ospedale di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 83, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1692, c. 26?, 8 febbraio 1692; cfr. APPENDICE VII. 153 Bolis161. Accanto a quest’ultima erano situati i due Lavatori pubblici a servizio della comunità, composti di una vasca grande e una piccola per l’acqua, avendone la congregazione francese a disposizione una notevole quantità proveniente dall’acquedotto Vergine162. A tal riguardo sono numerosi i mandati di pagamento risalenti alla fine del secolo XVII, che descrivono i lavori di rifacimento effettuati sia al condotto posto nel cortile – che adduceva l’acqua ai Lavatori – sia al bottino che scorreva sotto il vicolo dei Matriciani 163 . I documenti infine testimoniano che, la partita d’acqua spettante alla congregazione francese, fosse in quegli anni supervisionata dall’architetto Simone Felice Delino unitamente al pagamento della tassa per il possesso dell’acqua, già denunciata in precedenza da Giovanni Antonio De Rossi164. Tornando alla progettazione del palazzo di S. Luigi dei Francesi, anzitutto l’opera è menzionata già nel XVIII secolo nella lista redatta da Carlo Stefano Fontana, e conservata presso l’Archivio dell’Accademia di S. Luca contenente l’elenco parziale delle opere progettate da Bizzaccheri165; ne fa inoltre un breve accenno Pascoli, che scrive: “…e condusse di pianta quello di S. Luigi de’ Franzesi a man sinistra della chiesa.”166. Scarne sono le notizie riguardanti la destinazione d’uso della fabbrica fornite da un’altra fonte coeva qual’è il Venuti Cortonese, secondo cui il palazzo era utilizzato esclusivamente come abitazione per i cappellani 167 . Questa notazione è incompleta, poiché l’analisi documentaria testimonia che il palazzo propone un modello abitativo largamente diffuso a Roma tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, e rappresentato dalla coabitazione di famiglie appartenenti a due principali categorie sociali: i mercanti che abitavano nei mezzanini soprastanti le botteghe dov’erano ubicate le loro attività commerciali – permettendo di vivere e svolgere la propria attività nello stesso edificio – e gli affittuari appartenenti a ceti sociali più elevati che alloggiavano nei piani superiori della fabbrica, come ad esempio nei due appartamenti 161 La rimessa fu dotata di un nuovo solaio rustico, come si evince da un conto di misura e stima, firmato nel 1690 dall’architetto Simone Felice Delino; APEF, Fonds ancien, Liasse 81, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1690, c. 318, 8 febbraio 1690; cfr. APPENDICE VII. 162 Da altri documenti si apprende che nel cortile dei Matriciani vi era la fontana grande; APEF, Fonds ancien, Liasse 74, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1683; cfr. APPENDICE VII. A tal proposito, in un documento del 1690 si legge che “… vi è una casa vicina al Cortile delli Matriciani alla Fontana grande dove si rifanno n. 20 modelli per reggere le filagne su cui appendere i panni”, e per fontana grande ci si riferisce con moltà probabilità ad una delle due vasche del Lavatore stesso; APEF, Fonds ancien, Liasse 81, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1690, c. 319, 8 febbraio 1690; cfr. APPENDICE VII. 163 Il bottino si ricollegava alla conduttura che da piazza Madama arrivava in piazza Navona e da qui giungeva sino al Tevere; APEF, Fonds ancien, Liasse 77, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1686, cc. 23 e 186, 21 dicembre 1686. I lavori di rifacimento delle condutture proseguirono sino a tutto il 1693 e furono diretto da Simone Felice De Lino; APEF, Fonds ancien, Liasse 84, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1693, c.?, 15 maggio 1693. 164 Le partite d’acqua spettanti alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi erano state già denunciate nel 1667; APEF, Fonds ancien, Liasse 83, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1692, c. 92, 4 dicembre 1692; cfr. APPENDICE VII. Si ricorda che sul finire del Seicento furono eseguiti i lavori di rifacimento dei condotti maestri dell’acquedotto Vergine dalla località di Salone sino alla fontana di Trevi. 165 AASL, manoscritto 174, n. 130; la lista parziale delle opere di Carlo Bizzaccheri è stata pubblicata dalla Mallory; cfr. N. A. MALLORY, Carlo Francesco Bizzaccheri, in “Journal of the Society of Architectural Historians”, a. XXXIII, n. 1, 1974, p. 27. 166 Cfr. L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, vol. II, Roma 1730-36, p. 549. 167 Cfr. VENUTI CORTONESE, op. cit., tomo I, p. 256. 154 comunicanti affittati a monsignor Belmonte168, quello in cui risiedeva il Sig. Francesco Amadori169 o, infine, quello all’ultimo piano occupato dall’abate Monticelli170. Le considerazioni fin qui svolte, possono condurre erroneamente ad affermare che il palazzo di S. Luigi dei Francesi appartenga alla tipologia edilizia rappresentata dal casamento d’affitto che si diffonde gradualmente nella Roma settecentesca171; la differenziazione distributiva conferitagli dal progettista, invece, riservando il piano nobile a zona di rappresentanza dei preti francesi, non consente di codificare l’opera come un semplice casamento plurifamiliare: nella fabbrica, infatti, la distribuzione interna non prevede l’uso comune di spazi – quali l’andito d’ingresso e il cortile – presente negli altri casamenti d’affitto, bensì è risolta mediante una specifica gerarchia di percorsi distinti secondo tre diverse tipologie di collegamenti verticali. Lo scalone posto in alto alla sinistra del cortile, cui si accede esclusivamente dal portone principale, conduce agli “appartamenti nobili” riservati ai preti e ai deputati francesi e si riconnette sul retro – verso la chiesa di S. Luigi dei Francesi – all’ala realizzata nel Seicento (fig. 66). Altri due corpi scala minori con rampe contrapposte, conducono agli appartamenti dei tre livelli soprastanti al piano nobile, e vi si giunge attraversando due androni cui si accede da due distinti portoncini collocati simmetricamente in prossimità dei cantonali del palazzo (fig. 23); scalette a rampa unica, infine, permettono l’accesso agli appartamenti riservati ai mercanti collocati nel primo livello mezzanino (fig. 24), seguendo un modello distributivo già utilizzato nel 1684 nel convento di S. Maria Maddalena, alternando le aperture delle botteghe ai portoncini in cui collocare il collegamento verticale per i soprastanti mezzanini (fig. 25). I documenti testimoniano che le botteghe progettate lungo via S. Giovanna d’Arco erano affittate a un rotatore che ne occupava una con la sua attività, a un’archibugiere 172 ed a un ottonano; quest’ultimo ne aveva unite due confinanti collegate mediante una porta interna 173 , mentre un documento postumo testimonia che nella bottega in angolo tra via S. Giovanna d’Arco e piazza di S. Luigi dei Francesi, si trovava nella seconda metà del Settecento una caffetteria 174 . Carlo Bizzaccheri, inoltre, si distanzia ulteriormente dalla tipologia del casamento d’affitto anche nell’organizzazione della facciata esterna, progettando un alzato che per essere pienamente rispondente alle richieste della committenza, va a costituire quello che può essere definito un “ibrido”. La nuova fabbrica commissionata all’architetto avrebbe dovuto anzitutto manifestare il prestigio della nazione francese, sfruttando la posizione strategica che essa già deteneva all’interno di una delle zone più rappresentative del rione S. Eustachio, e che tra l’altro con il completamento della strada di Pinàco – nuova traversa dell’importante asse costituito da via della Scrofa – sarebbe stata 168 Il documento dove si descrivono gli interventi di imbiancatura eseguiti l’8 gennaio 1712 nei due apppartamenti affittati a monsignor Belmonte, fornisce altresì una testimonianza dell’ormai prossimo compimento del palazzo di S. Luigi dei Francesi; APEF, Liasse 99, mandati di pagamento fasc. II anno 1714, c. 1363, [giorno mese mancante] 1714; cfr. APPENDICE VII. 169 APEF, Liasse 104, mandati di pagamento fasc. II anno 1722, c. 205, [giorno mese mancante] 1722; cfr. APPENDICE VII. 170 Lo stesso Bizzaccheri è incaricato del rifacimento della copertura posta sopra la cucina conferendogli maggiore pendenza; APEF, Liasse 102, mandati di pagamento fasc. I anno 1718, c. 1932, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 171 Un valido esempio è costituito dalla postuma casa Giannini a piazza Capranica realizzata su progetto dell’architetto Alessandro Dori; cfr. M. BEVILACQUA, Casa Giannini a piazza Capranica e la tipologia del palazzo ad appartamenti nella Roma di metà 700, in “Studi sul Settecento Romano. L’architettura da Clemente XI a Benedetto XIV. Plurità di tendenze”, n. 5, Roma 1989, pp. 205-219. 172 APEF, Liasse 103, mandati di pagamento fasc. II anno 1721, c. 386, [giorno e mese mancante] 1721; cfr. APPENDICE VII.. 173 APEF, Liasse 102, mandati di pagamento fasc. I anno 1718, c. 1932, [data mancante] ; cfr. APPENDICE VII. 174 ACGU, Rom, parte C, n. 70, f. ?, 15 febbraio 1777; cfr. APPENDICE VII. 155 ancor più amplificata. Il palazzo da realizzarsi, inoltre, avrebbe dovuto avere un cortile come richiesto esplicitamente da monsignor Polignach, uditore di Rota nonchè Rettore della Confraternita di S. Luigi dei Francesi175; l’intero piano nobile, infine, avrebbe dovuto essere riservato a zona di rappresentanza della congregazione e ad accogliere l’archivio della comunità. Con questi precisi obiettivi Bizzaccheri scelse di riutilizzare una successione di tre livelli mezzanini, osservata in altri esempi romani di stampo tardo-cinquecentesco, ottenendo un blocco edilizio compatto e funzionale sviluppato su ben cinque livelli e con cortile porticato su tre arcate per lato, con un numero consistente di appartamenti e di botteghe dai cui ricavare buoni profitti. L’architetto in questo modo ha utilizzato la totalità dello spazio a disposizione, mediante il sistematico accorpamento in un fronte unico e la conseguente sopraelevazione delle cellule abitative preesistenti, com’è intuibile osservando la disomogeneità della pianta del palazzo (fig. 66). E quando nel 1709 cominceranno le demolizioni dal cantone posto sulla scomparsa piazzetta Lombarda176, come si vedrà più approfonditamente nel prossimo paragrafo, parte delle strutture edilizie che già da tre secoli appartenevano alla congregazione saranno inglobate nella nuova fabbrica. La definitiva apertura di via S. Giovanna d’Arco Prima di poter avviare la costruzione della fabbrica, Carlo Bizzaccheri dovette anzitutto supervisionare il cantiere finalizzato a terminare l’apertura del tratto mancante l’odierna via di S. Giovanna d’Arco, già più volte sollecitato anche dal pontefice Clemente XI. Dal Valesio sappiamo che il tracciamento della strada fu ripreso ufficialmente l’8 agosto 1709, cominciando ad abbattere il casamento plurifamiliare appartenente alla comunità francese177 che sorgeva in prossimità del cantone sulla piazzetta Lombarda, “Havendo stabilito la congregazione di S. Luigi de’ Francesi aprire la strada dal vicolo detto de’ Matri[f.234]ciani, poiché v’habitava simile povera gente, alla strada che conduce a S. Luigi incontro alla strada detta il Pozzo delle Cornacchie…” 178 (figg. 3, 6). Durante la demolizione di questo casamento posto dirimpetto al Collegio Germanico-Ungarico, “… v’è stato ritrovato un pezzo di grosso muro d’uno de’ calidarii delle terme di Severo et hoggi [8 agosto 1709] hanno dato principio alla demolizione” 179 . Gli abbattimenti proseguirono per qualche mese sino all’ottobre dello stesso anno, interessando altre abitazioni all’interno del cortile dei Matriciani, anch’esse di proprietà francese180; il 15 ottobre 1709 la pianta emessa nel 1667 da Clemente IX181 fu autorizzata dal Tribunale delle Strade, la stessa istituzione che l’anno seguente rilasciò anche le concessioni riguardanti i fili stradali consentiti e le distanze tra i fronti edilizi permesse dai regolamenti stessi (fig. 20). Sul finire dello stesso anno si assistette a un notevole rallentamento dei lavori, poiché per riuscire a incrociare il tratto realizzato con via della Scrofa era necessario che la comunità francese acquistasse preventivamente da altri proprietari le abitazioni interposte, per poi procedere al loro abbattimento. Come si ricorderà una casa apparteneva alla chiesa di S. Maria dell’Anima (fig. 6) e un’altra al Collegio Germanico-Ungarico (fig. 12), mentre le altre abitazioni erano state concesse in 175 Cfr. M. MARONI LUMBROSO, A. MARTINI, Le Confraternite romane nelle loro chiese, Roma 1963, p. 95. Cfr. VALESIO, op. cit., vol. IV, p. 312. 177 Dove al primo piano abitava Carlo Torretti, mentre al piano terra era la bottega del “carbonaro, fa da cantone incontro alli PP. dell’Apollinare”; APEF, Fonds ancien, Liasse 96, mandati di pagamento, fasc. unico 1708, cc. 405 e 429, 4 gennaio-dicembre 1708; cfr. APPENDICE VII. 178 Cfr. VALESIO, op. cit., vol. IV, p. 312. 179 Ibidem, vol. IV, p. 312. 180 Cfr. VALESIO, vol. IV, p. 347. 181 ACGU, Collezione Disegni, n. 53. 176 156 enfiteusi perpetua dalla congregazione al marchese Ferdinando Bongiovanni; a tal riguardo si richiama anche l’accordo stipulato nel 1697 tra la comunità francese e il marchese, finalizzato a conseguire in tempi brevi il completamento della strada di Pinàco182. Solo nel corso del 1710 la congregazione riuscì a portare a compimento – con molta difficoltà – le compravendite necessarie all’apertura del collegamento e fu la casa dei Gesuiti in particolare a determinare il maggiore ritardo. Per quest’immobile fu lo stesso Bizzaccheri a redigere una stima che fu confrontata con la valutazione economica redatta dal Polancetti, l’architetto incaricato dalla controparte; non trovandosi l’accordo e per evitare l’insorgere di una seconda causa giudiziaria tra la Congregazione di S. Luigi e i Gesuiti, il 29 maggio 1710, giunse l’ordine di Clemente XI che obbligò il Collegio Germanico-Ungarico a cedere l’abitazione contesa alla comunità francese183. Il 29 agosto 1710, come si evince dai documenti concernenti l’estinzione dei pagamenti per Santi Marzocchi184, il capomastro ricevette un primo compenso per l’abbattimento della casa ceduta dai Gesuiti; il 6 ottobre 1710, fu pagato per la stima dell’abitazione acquistata dalla chiesa di S. Maria dell’Anima e per la quale anche la comunità tedesca incaricò il proprio architetto Giovan Battista Contini di eseguire una valutazione economica185. Questa fabbrica non fu demolita completamente, bensì incorporata come detto in precedenza dal Bizzaccheri nel nuovo stabile da lui progettato, insistendo sulle fondazioni della precedente struttura e mantenendone allo stesso tempo l’andamento che aveva su piazza di S. Luigi dei Francesi (fig. 20). Il 15 settembre 1710, infine, l’architetto consegnò al Rettore della congregazione una valutazione economica degli altri immobili situati attorno al cortile dei Matriciani e lungo il vicolo omonimo, per un ammontare complessivo di circa tredicimila scudi; e in seguito alla nuova stima eseguita, la comunità francese non tenne più conto di quella effettuata nel 1709 da Matteo Sassi186. La realizzazione del casamento d’affitto nel vicolo dei Matriciani La Congregazione di S. Luigi dei Francesi, parallelamente alle demolizioni nella corte interna, aveva ottenuto il rilascio di licenze e aggetti richiesti ai Maestri delle Strade; Giovan Battista Bucchi – Sottomaestro per il rione S. Eustachio – concesse la prima licenza valida per la costruenda strada di Pinàco il 24 aprile 1710, mentre quella che riguardava il mantenimento del vicolo dei Matriciani, dove altri due aggetti di pilastri erano stati richiesti dalla comunità fu rilasciata il 22 ottobre 1710187. In particolare questa seconda richiesta, permette di asserire che la congregazione francese dopo aver rinunciato definitivamente alla possibilità di chiudere il vicolo – inglobando l’isola d’abitazioni antistante –, adesso mirasse a fabbricare anche lungo il lato orientale del vicolo stesso; di conseguenza può attribuirsi a Bizzaccheri anche la paternità di questa riedificazione compresa tra il prospetto laterale del palazzo di S. Luigi, e l’edificio realizzato nel XIX secolo dal Carimini che oggi prospetta su corso del Rinascimento (fig. 28). 182 Cfr. nota n. 133. Un decreto speciale è emesso da Monsignor Corradini, auditore del pontefice, volendo la Congregazione di S. Luigi dei Francesi aprire la strada di Pinàco; ACGU, Catasto antecedente Roma A, n. prov. 169, ff. 140-142, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 184 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II anno 1710, c. 761?, 29 agosto 1710, c. ?, 22 ottobre 1710 e c.?, 25 novembre 1710; cfr. APPENDICE VII. 185 L’abitazione era stata in precedenza già valutata da Matteo Sassi; APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1710, c. ?, 20-27 novembre 1710; cfr. APPENDICE VII. 186 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1710, c. 352, 15 settembre 1710; cfr. APPENDICE VII. 187 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1710, c. ?, 24 aprile 1710 e c. ?, 22 ottobre 1710; cfr. APPENDICE VII. 183 157 Questi immobili furono anzitutto stimati dall’architetto 188 : l’abitazione che la congregazione affittava alla fontaniera del Lavatore pubblico, ad esempio, fu valutata 0,30 scudi e liquidata uno scudo e mezzo 189 ; di quest’ultima fu demolita solo l’ala retrostante dov’era posto il secondo Lavatore e l’abitazione dell’ospidaliere, “…con le stanze dietro buttate a terra per la nuova fabbrica così stimata dal Sig. Bizzaccheri architetto della suddetta chiesa…”190 (cfr. la pianta di Roma del Falda, fig. 21). In questo modo fu creato lo spazio necessario al nuovo cortile porticato del palazzo di S. Luigi richiesto dal Rettore, mentre il fronte sul vicolo fu ampiamente sopraelevato; è ipotizzabile un parziale abbattimento anche del casamento adiacente, dove furono mantenuti gli ambienti del pianterreno destinati alle stalle affittate ai marchesi Patrizi, mentre gli appartamenti soprastanti – realizzati nel Seicento e denominati nei documenti “case nuove” – furono sopraelevati e uniti assieme all’abitazione della fontaniera e dell’ospidaliere in un unico prospetto avente la stessa altezza dell’adiacente palazzo di S. Luigi dei Francesi. Quest’intervento, realizzato dall’architetto tra la fine del 1710 e il 1711, è in realtà costituito da due distinti edifici che pur essendo confinanti, avendo una destinazione d’uso diversa, presentano di conseguenza anche una differente composizione degli alzati: devono essere immaginati parte di un tessuto edilizio in gran parte scomparso con l’apertura di corso del Rinascimento, il collegamento viario di cui attualmente costituiscono parte del fronte edilizio, dove la loro ingente mole architettonica e l’estrema sobrietà stilistica si sommano in una struttura essenziale, il cui schema assai semplice non deve essere considerato rispetto all’attuale sezione stradale piuttosto con l’esiguità del vicolo dei Matriciani, su cui prospettavano sino agli anni trenta del Novecento (fig. 67). L’edificio posto sulla sinistra – confinante con il palazzo di S. Luigi dei Francesi – rappresenta un tipico esempio di casamento d’affitto, con un alzato in cui sono del tutto assenti fra i cinque interassi di finestre gli elementi di spartizione verticale e dove la superficie muraria è scandita orizzontalmente da due cornici marcapiano, collocate sia fra i primi mezzanini e il primo piano sia fra i secondi mezzanini e il secondo piano, accordandosi con quelle dell’attiguo palazzo (fig. 28). Lo stesso può dirsi sia per le cornici delle finestre del primo mezzanino che per quelle dei sottostanti portoncini, mentre le rimanenti bucature del fronte – concluso da un cornicione aggettante – sono inquadrate in una fascia liscia ripetuta identica dal primo piano sino al terzo e ultimo livello dei mezzanini. Il portale con la sottile cornice sporgente, infine, costituisce l’unico elemento di qualificazione formale all’interno della rigida organizzazione del casamento, consentendo l’accesso agli appartamenti che furono regolarmente affittati dalla congregazione già qualche anno dopo191 (fig. 28). L’edificio posto alla destra del casamento d’affitto, invece, inquadrato nei due aggetti di pilastri concessi nel 1710 e che Bizzaccheri ha realizzato sotto forma di lesene sormontate dal giglio di Francia, fu sopraelevato e uniformato anch’esso sia alla stessa altezza del palazzo di S. Luigi sia del casamento d’affitto, pur mantenendo una diversa destinazione d’uso (fig. 29); un nuovo Lavatore e una cucina a servizio dell’ospedale di S. Luigi dei Francesi, infatti, furono realizzati nei locali posti al pianterreno e separati mediante l’edificazione di un muro dal retrostante cortile porticato in 188 Il fronte di abitazioni che si sviluppava sul vicolo dei Matriciani, tra piazza Madama e la piazzetta Lombarda, è descritto in due mandati di pagamento firmati da Matteo Sassi nel 1708 e relativi a lavori di ordinaria manutenzione eseguiti pochi anni prima del loro abbattimento; cfr. APEF, Fonds ancien, Liasse 96, mandati di pagamento, fasc. unico 1708, cc. 405 e 429, 4 gennaio-dicembre 1708. 189 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II 1710, c ?, 15 luglio - 6 agosto 1710; cfr. APPENDICE VII. 190 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1710, c. 761?, 25 novembre 1710. 191 APEF, Fonds ancien, Liasse 103, mandati di pagamento, fasc. II anno 1721, c. 252, [giorno e mese mancante] 1721; cfr. APPENDICE VII. 158 costruzione192. L’architetto, che ha mantenuto nel prospetto il portale attribuito a Maderno193 (fig. 55), scandisce anche in questo caso l’alzato con estrema semplicità: sono del tutto assenti le spartizioni verticali fra i tre interassi di bucature, il fronte è interrotto esclusivamente da due fasce marcadavanzale e da una cornice marcapiano che corrisponde con moltà probabilità all’antico cornicione sopraelevato dallo stesso Bizzaccheri nel 1712, anno in cui sono registrati gli acquisti delle travi portanti da porre in opera nel solaio di copertura verso piazza Madama194 (fig. 29). Le diverse fasi di cantiere e la loro esecuzione Il cantiere per la costruzione del palazzo di S. Luigi dei Francesi, come già sostenuto dalla Mallory195 e come confermato dall’analisi documentaria condotta presso gli Archives des Pieux Etablissements de la France, fu avviato nell’agosto del 1709; tuttavia si deve considerare questa data relativa esclusivamente all’abbattimento delle prime abitazioni che sorgevano attorno al cortile dei Matriciani (fig. 6). Non può ascriversi al 1707 – come riportato da Portoghesi196 – poiché la firma dell’architetto compare per la prima volta nei documenti il 9 giugno 1709, e riguarda i lavori di ordinaria manutenzione eseguiti dal capomastro Santi Marzocchi nelle abitazioni appartenenti alla congregazione197; la firma del Bizzaccheri compare anche in una ricevuta rogata il 27 aprile 1709, inerente ai lavori di pavimentazione della vicina piazza S. Eustachio198. Di conseguenza non può che collocarsi in quest’arco temporale l’avvio delle attività presso la Congregazione di S. Luigi dei Francesi, dalla quale non percepiva un compenso annuo predeterminato, poiché essendo accolto dalla confraternita come un membro effettivo traeva i suoi profitti soltanto dall’esterno; gli introiti economici, di conseguenza, derivavano da una percentuale minima sulle tare dei conti inerenti all’avanzamento dei lavori eseguiti sotto la sua direzione dalle maestranze. La comunità francese, in precedenza a Bizzaccheri, era stata già committente d’altri importanti architetti provenienti dall’atelier di Carlo Fontana a cominciare da Simone Felice Delino che, tra i suoi primi incarichi nel 1688, si era occupato della supervisione dei lavori di selciatura in piazza Madama199: indicato già da Portoghesi come dedito soprattutto ad attività tecniche e idrauliche più 192 APEF, Fonds ancien, Liasse 98, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1711, c. 534, 2 marzo 1711, c. 898, [giorno e mese mancante] 1711, e c. 866, 15 giugno 1711; cfr. APPENDICE VII. Tra il 29 marzo 1710 e il 30 dicembre 1711, è eseguita l’imbiancatura dell’ospedale di S. Luigi dei Francesi annesso alla nuova fabbrica del Bizzaccheri e nello stesso mandato di pagamento si legge, infine, che su questa stessa parete fu disegnato il portone del palazzo da realizzarsi sul fronte principale; APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. I anno 1713, c.1122, [giorno e mese mancante] 1713; cfr. APPENDICE VII. 193 Cfr. ROBERTO 2005, op. cit., p. 21. 194 Nello stesso mandato di pagamento si evince che dal 10 luglio 1715, secondo i disegni eseguiti da Carlo Bizzaccheri, si sopraeleva l’abitazione adibita da qualche decennio ad abitazione dei preti e prospettate su piazza Madama; APEF, Fonds ancien, Liasse 100, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1715, c. 1687, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 195 Cfr. MALLORY 1974, op. cit., pp. 38-39. 196 La data è riportata nell’indice degli architetti e delle loro opere al termine del volume; cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 561. 197 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. I anno 1709, c. 405, 9 giugno 1709; cfr. APPENDICE VII. 198 APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. I anno 1709, c. 135, 27 aprile-6 luglio 1709; cfr. APPENDICE VII. 199 APEF, Fonds ancien, Liasse 79, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1688, c. 133, 18 novembre 1688; cfr. APPENDICE VII. Occorre precisare che la collaborazione tra il Delino e la comunità francese, come ricordato da Portoghesi (cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 426 e p. 572), nasce nel 1687 con la realizzazione dell’apparato per la facciata della chiesa di Trinità dei Monti, voluto in occasione della festa per la guarigione di Luigi XIV; Il Delino, inoltre, durante la sua attività presso la Congregazione di S. Luigi dei Francesi, tra il 1693 e il 1695, è coadiuvato da 159 che propriamente architettoniche200, per la comunità francese De Lino si occupò anche del vasto patrimonio immobiliare di cui era proprietaria, seppur in quegli anni non si registrino trasformazioni rilevanti. E la firma dell’architetto compare nei mandati di pagamento sino al 1697 – anno della sua scomparsa prematura – quando fu sostituito da Francesco Fontana. Quest’ultimo, invece, fu il progettista del nuovo casamento d’affitto realizzato tra il 1697 e il 1704 dalla comunità francese in luogo dell’antica Dogana di Terra, e andato distrutto in occasione degli interventi d’adattamento a sede senatoria dell’attiguo palazzo Madama201 (fig. 26). Fontana aveva ricoperto l’incarico di architetto di S. Luigi dei Francesi sino all’anno 1708, quando moriva anch’egli prematuramente come il De Lino202 e gli subentrava brevemente Matteo Sassi 203 . Quest’ultimo, oltre ad essere impegnato nella consueta opera di ricognizione e manutenzione del vasto patrimonio immobiliare appartenente alla comunità, sarebbe stato lui – con molta probabilità – il progettista del palazzo di S. Luigi dei Francesi se non fosse stato a sua volta sostituito da Carlo Bizzaccheri nell’aprile 1709. Matteo Sassi pur comparendo brevemente nei mandati di pagamento coadiuvato da Ludovico Sassi, realizzò una serie di disegni riguardanti la nuova fabbrica che la comunità francese intendeva costruire, ed eseguì la stima delle case da dover abbattere nel cortile dei Matriciani per tracciare il tratto mancante della strada di Pinàco. A tal riguardo s’ipotizza che la redazione dei disegni e delle stime richieste da monsignor Polignach, Rettore di S. Luigi, siano state eseguite a seguito dell’improvvisa scomparsa di Francesco Fontana il 3 luglio del 1708. Da un altro documento coevo, riguardante le riflessioni espresse dai Deputati della confraternita francese in merito alle osservazioni avute da Matteo e Ludovico Sassi, apprendiamo che i due architetti devono aver disegnato in tutto tre nuove piante per la fabbrica da realizzarsi, facendo sempre riferimento al chirografo emesso nel 1667 da Clemente IX, di cui si sono approfondite le caratteristiche e l’entità del progetto nel paragrafo precedente (fig. 20). In particolare si evince che, tra il 1° luglio 1708 e l’aprile del 1709, i Sassi eseguirono tre prospetti dell’edificio: uno diviso in due parti, un altro riguardante l’intera estensione della fabbrica con due portoni e un terzo con un solo ingresso; è stato inoltre eseguito anche un modello in cartoncino dell’edificio. Lo stesso documento – riportato integralmente in nota204 – accenna in seguito anche agli scandagli effettuati, riguardanti la stima delle case vecchie destinate a essere abbattute. Angelo Onorato Recalcati che supervisiona i lavori eseguiti dal fabbro Girolamo Natalucci; cfr. APEF, Fonds ancien, Liasse 92, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1702, cc. 200 e 201, [data mancante] ; cfr. APPENDICE VII. 200 Simone Felice Delino in precedenza alla commissione presso la Congregazione di S. Luigi dei Francesi era attivo presso la famiglia Borghese, dove nel 1676 aveva realizzato una veduta prospettica della villa suburbana fuori porta Pinciana. 201 Lo Stato Italiano, il 13 maggio 1925, acquistò dai Pii Stabilimenti Francesi a Roma e Loreto il casamento progettato da Francesco Fontana per la somma di due milioni e ottocentomila lire; cfr. C. NOYA, Il casamento della chiesa di S. Luigi dei Francesi a piazza Sant’Eustachio, in “Studi sul Settecento Romano. Roma borghese, case e palazzetti d’affitto, I”, n. 10, Roma 1994, pp. 315-325. 202 Il Valesio, inoltre, descrive Francesco Fontana impegnato nell’allestimento dei paramenti di lutto, nella chiesa di S. Luigi dei Francesi, in occasione della morte del Delfino di Francia nel 1701, e ancora documenti lo citano come architetto d’interventi decorativi condotti all’interno della stessa chiesa; cfr. NOYA 1994, op. cit., p. 317. 203 APEF, Fonds ancien, Liasse 88, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1698, c. 326, [data mancante]; Liasse 96, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1708, c. 298, 22 maggio 1708 e cc. 405 e 429, 4 gennaio-dicembre 1708; cfr. APPENDICE VII. Matteo Sassi coadiuva Francesco Fontana già nel settembre del 1708, come si evince da una stima dei lavori di ordinaria manutenzione eseguiti all’interno dell’ospedale di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 96, mandati di pagamento, fasc. unico anno 1707, c. 426, 4 settembre 1707; cfr. APPENDICE VII. 204 “Riflessioni fatte sopra una nota data ai Sig.ri Deputati di S. Luigi de francesi dalli Sig.ri Matteo Sassi e Ludovico Sassi. La prima partita, che dice haver tradotto in piccolo la pianta dove è il Chirografo di Clemente Nono, et haverne fatte in tutto tre, si vide esservi equivoco perché l’originale è così piccolo che è difficile, et inutile tradurla in forma minore, ne tali piante si trovano per quanto si dice. 160 Il lavoro commissionato agli architetti, tuttavia, è ascrivibile alla seconda parte del 1708 come si evince dalla datazione riportata sulla lettera che monsignor Polignach fece recapitare a Matteo Sassi: il 20 gennaio 1709, infatti, l’architetto aveva già eseguito “…diverse piante, prospetti, profili, modelli e stime delle Case vecchie per la nova Fabrica da farsi per aprire la Strada dove abitano le matriciane…”. Nella lettera – riportata anch’essa integralmente in nota205 – si legge inoltre che il progetto della fabbrica era stato eseguito come specificatamente richiesto dalla congregazione, ed era stato già visionato dal Rettore stesso, confermando la sua redazione agli ultimi mesi del 1708. In particolare uno scandaglio era stato condotto alla casa acquistata dalla chiesa di S. Maria dell’Anima, posizionata in prossimità del cantone su via della Scrofa e composta di due Secondo per haver trasportato in grande la suddetta pianta, e disegnatovi la nova fabrica. Per un'altra pianta simile copiata con havervi aggionto un pensiero volendosi unire l’isoletta, e casa del anima. Per un disegno del prospetto della fabrica nova in due parte. Per un altro prospetto con un solo portone. Per un altro prospetto di tutta l’estensione della facciata. Per il modello tanto per la spesa de cartoncini tavola, e disegni fattovi sopra. Per un'altra pianta copiata da quella come nel secondo capitolo con havervi agionto il solo pensiero della scala in facciata. Nella nona partita pari non si debba considerare, ne si sa che li scandagli che si fanno da chi serve debbano computarsi, essendo questo inclusi nel obligo del servizio con altri utili di quali restano compensate simile fatiche. Undecima partita, che contiene la stima del cimento delle case vecchie per consegnarlo, e darne debito al muratore, questo si deve pagare per farselo far bono dal istesso capo m.stro con sciensa et ordine del quale deve pagarsi. Lo scandaglio alla grossa delle case per cade secondo l’ispettione fatta del capitolo nono. Per la pianta della chiesa del SS.mo Salvatore con disegno della balaustrata, e disegno del confessonario a…. … dal 1 luglio 1708-tutto aprile 1709”. APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. I anno 1709, c. 148, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 205 Si riporta di seguito il testo integrale della lettera: “La Venerabile Reggia Chiesa deve dare a Matteo Sassi Architetto per le seguenti operazioni fatte per servizio della medesima: in fare diverse piante, prospetti, profili, modelli e stime delle Case vecchie per la nova Fabrica da farsi per aprire la Strada dove habitano le matriciane come segue: Per haver copiato la Pianta dove è il Chirografo della Santa Memoria di Papa Clemente VIIII, estradotta in piccolo per potervi disegnare, e fattone due altre di dette Piante una lassata Originale, e l’altra data in congregatione. Per haver trasportato in grande la suddetta Pianta, e disegnatovi la nova Fabrica nel modo, e forma, che intendeva fare la Medesima Congregazione. Per haver fatto un’altra Pianta similmente in grande di tutto il Corpo dell’Isola con la Fabrica da principiarsi simile a quella di sopra con il disegno da proseguirsi di tutta l’Isola. Per haver delineato il prospetto esteriore, o facciata maestra di strada della Fabrica da farsi, con due Portoni Principali per la divisione degli appartamenti. Per haver fatto un’altra Pianta simile della partita della nova Fabrica da farsi d’ordine della medesima Congregazione a Causa di metter la scala nella facciata di strada. Per haver fatto un altro prospetto sopra detta Pianta differente dal primo. Per haver fatto il Prospetto esteriore sopra la Pianta di tutta l’Isola e suoi ornati, et altro. Per haver fatto il Modello di Cartoncino con sua Pianta sopra la Tavola per la nova Fabrica da farsi con la divisione di tutte le stanze, e scale in proporzione, e delineatovi nella Facciata maestra il suo prospetto fatto nel modo, e forma che stabilì medesima Congregazione. Per haver fatto lo scandaglio di tutta la partita di Fabrica nova da farsi, e consegnato in Congregazione come sopra ascendente alla somma di scudi 1100. Per haver fatto la stima di tutte le Case vecchie e da demolirsi, cioè del loro cimento senza il sito per consegnare il detto cimento al Capo Mastro Muratore, e sottoscritta ascendente alla somma di scudi 1000. Per haver fatto un scandaglio alla grossa delle due Case della Chiesa dell’Anima, cioè quella dove habita il Sig.re Agostino Calamini, e il Tornitore ascendente a scudi 8000 in Circa, e l’altra che va demolita per aprir la strada ascendente a scudi 1300 in Circa assieme a scudi 300 (…). Tutti li suddetti disegni, scandagli, et altro sono stati consegnati in mano del Monsignor Polignach”. APEF, Fonds ancien, Liasse 97, mandati di pagamento, fasc. I anno 1709, c. ?, 20 gennaio 1709; cfr. APPENDICE VII. 161 appartamenti (fig. 20); il primo sarà in seguito inglobato nella nuova fabbrica del Bizzaccheri, mentre il secondo doveva essere demolito per una spesa complessiva di novemilatrecento scudi, permettendo il tracciamento del tratto mancante della strada di Pinàco. Fu valutato in mille scudi, invece, l’abbattimento delle altre abitazioni situate attorno al cortile dei Matriciani, mentre la stima complessiva delle demolizioni da consegnare al capomastro Santi Marzocchi, fu all’incirca di diecimilatrecento scudi, vale a dire nettamente superiore ai mille e cento valutati per “…lo scandaglio di tutta la partita di Fabrica nova da farsi…”. Matteo Sassi, compare nei mandati di pagamento sino all’aprile del 1709, quando fu sostituito definitivamente da Carlo Bizzaccheri; di conseguenza, non può confermarsi dalla ricerca documentaria la collaborazione progettuale tra i due architetti accennata brevemente da Portoghesi206. Non solo, ma Bizzaccheri è l’autore di un altro disegno preparatorio che rappresenta il prospetto principale del palazzo – già pubblicato peraltro dalla Mallory – conservato presso la Biblioteca Albertina di Vienna207 (fig. 27). Una perizia redatta il 26 settembre 1710 dallo stesso architetto208, testimonia che dopo il termine delle demolizioni necessarie a terminare l’apertura di via S. Giovanna d’Arco, il cantiere avanzò celermente. La conferma si ha in un altro documento, dove può leggersi: “La chiesa di S. Luigi de’ Francesi l’Anno 1710 vi fabricò il Palazzo, et aprì la strada dal Pozzo delle Cornacchie fino alla Piazzetta di Pinàco [o Lombarda], che doveva aprirsi dal Collegio, il quale per sua tardanza vi scapitò”209. Una seconda stima della nuova fabbrica, invece, fornisce un’esaustiva descrizione del sistema di fondazioni che furono realizzate nel corso del 1710 e descrivendo il muro di fondamento della facciata principale che, partendo dal cantone sulla piazzetta Lombarda, fu realizzato alternando nuovi tratti di fondazione a murature appartenenti alle terme Alessandrine. Nel corso degli scavi, inoltre, fu portata alla luce la “Platea tonda” corrispondente all’esedra porticata, posta sul lato settentrionale di uno dei due grandi cortili presenti nel complesso termale; i resti dell’esedra si trovano in corrispondenza del portone principale dell’attuale palazzo (fig. 3). Lo stesso avvenne con diverse colonne di granito orientale che facevano parte dell’antico cortile: una di queste fu murata nella nuova fondazione, mentre altri pezzi furono imbragati nei canapi e issati con gli argani. Proseguendo verso il cantone opposto su via della Scrofa, nel punto in cui era stata parzialmente demolita la casa acquistata dai tedeschi di S. Maria dell’Anima, la fondazione fu realizzata anche in questo punto alternando conci nuovi ad antiche murature in loco; durante lo scavo, infine, furono cavati numerosi pezzi di travertino, di marmo cipollino, di porta santa e diversi pezzi di colonne, molti dei quali presentavano tracce dell’originaria modanatura210. In un altro corposo mandato di pagamento è descritta la compravendita delle travi portanti, ordinate presso il “mercante di legnami” Lazzaro Scaramella, mediante la quale è possibile verificare il veloce avanzamento del cantiere. In particolare la realizzazione degli alzati, prende avvio il 30 novembre 1710 dal cantone sulla piazzetta Lombarda e, come tutte le altre fasi del cantiere, procede verso quello opposto su via della Scrofa, ponendo in opera i solai delle botteghe e dei sovrastanti primi mezzanini; invece nella successiva primavera del 1711 sono orditi i solai del 206 La collaborazione tra Carlo Francesco Bizzaccheri e Matteo Sassi alla progettazione del palazzo di S. Luigi dei Francesi è solo accennata da Portoghesi nell’indice delle opere; cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 607. 207 ALBERTINA, Rom, n. 1048; cfr. MALLORY 1974, op. cit., p. 39. 208 ASR, Notai Tribunale Acque e Strade, Busta 129, cc. 366 sgg.. 209 ACGU, Catasto dei Beni del Collegio Germanico-Ungarico, anno 1574, ff. 15-16; cfr. APPENDICE VII. 210 La stima è stata redatta nel luglio del 1719 ed è l’ultimo documento firmato da Carlo Francesco Bizzaccheri presso la Congregazione di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 104, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1721, c. 252, [giorno e mese mancante] 1721; cfr. APPENDICE VII. Dopo la scomparsa del Bizzaccheri, Filippo Creuli diviene architetto di S. Luigi dei Francesi; APEF, Fonds ancien, Liasse 104, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1722, c. 205, [giorno e mese mancante] 1722; cfr. APPENDICE VII. 162 piano nobile. Già nell’estate 1711 si giunge alla posa dei primi arcarecci con cui si realizzano le capriate per sostenere le coperture, avendo nel frattempo ordito i tre rimanenti solai; una di queste travi, infine, è acquistata nell’ottobre dello stesso anno presso il convento delle monache barberiniane, dove Bizzaccheri in precedenza aveva operato alla realizzazione del campanile211. La ricevuta delle spese riguardante il rilascio della licenza per la costruzione del palazzo – richiesta dalla congregazione francese al Tribunale delle Strade – è un altro documento inedito, che contiene importanti informazioni progettuali riguardanti la struttura portante con cui fu realizzata l’opera: il 22 novembre 1711 fu richiesta dalla comunità francese la concessione per sei aggetti di pilastri e contro-pilastri, una colonnella nel cantone e per due fili stradali212; in particolare i sei aggetti di pilastri e contro-pilastri, rifiniti ad intonaco sotto forma di semplici fasce verticali, corrispondono ai quattro dislocati sul fronte principale del palazzo e sono ben visibili nel disegno preparatorio eseguito da Bizzaccheri (fig. 27). Un altro aggetto è stato posto in prossimità del cantone che attualmente prospetta su corso del Rinascimento (in corrispondenza dell’antica piazzetta Lombarda), mentre l’ultimo aggetto si trova in corrispondenza dell’angolo opposto su via della Scrofa o più precisamente sull’attuale largo Giuseppe Toniolo (figg. 30-31). Per quanto concerne la colonnella descritta nella ricevuta delle spese, si formulano due ipotesi: potrebbe riferirsi a quella posta nel cantone su corso del Rinascimento (fig. 32) – e corrispondere alla parte più avanzata del cantiere – oppure trattarsi con più probabilità di quella appartenente alla famiglia Bongiovanni da collocare in prossimità dell’angolo con via della Scrofa, essendo la loro fabbrica nel corso del 1711 interessata dal parziale rifacimento del fronte su via S. Giovanna d’Arco; s’ipotizza che la colonna, come riportato in un conto di misura e stima e nell’attesa dei lavori diretti anch’essi da Bizzaccheri, potrebbe aver indicato il confine tra la nuova strada e la proprietà Bongiovanni213. A tal riguardo si ricorda che il fronte laterale della proprietà Bongiovanni doveva essere demolito e ricostruito per una lunghezza di 52 palmi, incorporando nel nuovo filo stradale le tre abitazioni avute in enfiteusi perpetua dalla comunità francese; d’altronde Ferdinando Bongiovanni, in base all’accordo stipulato tra il marchese e la congregazione nel 1697 – rinnovato peraltro nel 1709 –, era obbligato al risarcimento del fronte entro due anni dal completamento di via S. Giovanna d’Arco (cfr. pianta di Roma del Nolli, fig. 48). Bizzaccheri, com’è stato già rilevato dalla Mallory, organizza la facciata del palazzo utilizzando ben tre livelli mezzanini richiamanti soluzioni già realizzate in altri edifici romani; in particolare l’architetto si ricollega allo schema utilizzato nella seconda metà del XVI secolo nella fabbrica del Collegio Romano, in palazzo Borghese214 e nel postumo collegio di Propaganda Fide di Borromini, sopraelevato con l’aggiunta del piano attico da Giovanni Antonio De Rossi215 (fig. 61); una simile impostazione degli alzati è riconducibile a un tardo-cinquecentismo al quale in precedenza avevavo già attinto altri architetti. 211 Cfr. MALLORY 1974, op. cit., pp. 45-46. A tal riguardo si è proceduto a una verifica documentaria del fondo riguardante le monache Barberine conservato presso l’Archivio di Stato di Roma ma senza alcun risultato riguardante l’intervento architettonico del Bizzaccheri; ASR, Congregazioni Religiose Femminili, Monache Barberine, Busta 4283, carte sciolte. Un’analisi documentaria più approfondita dovrebbe essere condotta nel fondo del Ministero delle Armi conservato presso la sede succursale dell’Archivio di Stato di Roma in via Galla Placidia; ASR, Ministero delle Armi. 212 APEF, Fonds ancien, Liasse 98, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1711, c. ?, 22 novembre 1711; cfr. APPENDICE VII. 213 Il mandato di pagamento è inserito in un fascicolo rilegato che riguarda un arco temporale compreso tra il novembre 1711 e l’ottobre 1714; APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1713, c. ?, 23 novembre 1711; cfr. APPENDICE VII. 214 Cfr. MALLORY 1974, op. cit., pp. 39-40. 215 L’architetto, nel 1678 circa, aggiunge il piano attico sopra la cornice principale realizzata dal Borromini e dove i disegni delle finestre sono ispirati e adattati a quelle che l’architetto aveva realizzato nei piani sottostanti; cfr. PORTOGHESI 1995, op. cit., p. 574. 163 Un analogo giudizio può esprimersi anche riguardo alla scelta di tripartire il fronte principale, avanzandone leggermente il corpo centrale, che vede un illustre precedente nel repertorio di sintesi di palazzo Altieri, dove Giovanni Antonio De Rossi elabora a sua volta l’accenno che il maestro Francesco Peparelli ne aveva fatto nel palazzo del Bufalo 216 : da questi esempi Bizzaccheri conferisce un tenue rincasso ai corpi laterali, attraverso l’elegante movimento ottenuto accompagnandoli con l’aggiunta di un contropilastro che invece manca verso il corpo centrale; e con un simile leggero arretramento è sagomata la modanatura del cornicione sovrastante, arricchita in questo passaggio dalle mensole binate a corona di pilastro e contropilastro, esattamente come avviene in tutti i marcadavanzale dei diversi livelli in cui si articola il prospetto (fig. 33). In corrispondenza dei pilastri angolari, infine, l’architetto utilizza lo stesso leggero avanzamento adottato per il corpo centrale, ma in questo caso si avvale di doppi contropilastri che amplificano otticamente la sobrietà del movimento (fig. 34). La tripartizione del fronte e il leggero avanzamento conferito sia al corpo centrale sia ai pilastri angolari, avranno una larga diffusione nel corso del XVIII secolo come ad esempio nel palazzo Doria-Pamphilj che Paolo Ameli realizzerà in via del Plebiscito217, oppure nel coevo palazzo de Carolis218 opera di Alessandro Specchi, dove a differenza della fabbrica bizzaccheriana gli interassi di bucature del corpo centrale sono invertiti rispetto ai laterali: Bizzaccheri ne pone sette al centro e cinque sulle ali della fabbrica, mentre nel palazzo di via del Corso avviene l’esatto contrario (fig. 35). Tornando alla descrizione della facciata del palazzo di S. Luigi, nella mezzeria del corpo centrale si apre un unico portale accentuato dalla sovrastante balaustra cui si accede mediante il finestrone ad arco del piano nobile: questi elementi, assieme alle cornici delle altre finestre unitamente alla qualità con cui sono eseguiti gli stucchi, provocano un vivace contrasto con la sobria e moderata scansione del prospetto (fig. 36). In precedenza il tema del finestrone sormontato da un timpano ad andamento concavo, era stato già utilizzato dall’architetto nella facciata di S. Isidoro a Capo le Case compiuta nel 1704219 (fig. 56), anche se quello realizzato per la comunità francese sembra guardare maggiormente alla soluzione adottata dal Borromini nell’oratorio dei Filippini (fig. 37); altri validi confronti sono presenti nel finestrone di palazzo Chigi-Odescalchi in piazza SS. Apostoli realizzato dal Bernini, assistito da un giovane Carlo Fontana, e nel coevo palazzo Pichini in piazza Farnese opera dello Specchi (figg. 38-39). Nel palazzo di S. Luigi è la decorazione di quest’elemento architettonico a contrapporsi nettamente all’essenzialità degli sfondi murari, mediante un elaborato timpano in cui al centro è posto lo stemma coronato di Francia, mentre due volute lo affiancano lateralmente; queste ultime rappresentano un elemento molto ricorrente nelle opere bizzaccheriane, le ritroviano ad esempio negli stucchi realizzati nella Sala dell’Archivio all’interno dello stesso palazzo (figg. 40-41). La modanatura del cornicione, inoltre, è disegnata secondo un pronunciato rilievo che permette di renderla concava verso la mezzeria, dove coincide con la facciata stessa. Da questo piano-parete sono sagomati, secondo un pronunciato accrescimento, tutti gli elementi che decorano il finestrone concorrendo in questo modo a creare un’illusione prospettica: la sensazione di maggiore profondità, inoltre, è accentuata da due semicolonne e due pilastri decorati con capitelli corinzi che affiancano lateralmente il finestrone, ma anche dai rispettivi dadi basamentali su cui poggiano. Questi ultimi sono molto sviluppati in altezza in modo da poter essere visibili correttamente dalla strada 216 La tripartizione del fronte principale è presente anche nel palazzo di Montecitorio dove, però, Gianlorenzo Bernini utilizza l’ordine gigante; cfr. SPAGNESI 1965, op. cit., pp. 69-70. 217 A. RODOLFO, Palazzo Doria-Pamphilj a via del Plebiscito, in “Studi sul Settecento Romano. Roma borghese, case e palazzetti d’affitto, II”, n. 10, Roma 1994, pp. 313-327. 218 Il palazzo de Carolis fu realizzato in diverse fasi dal 1714; cfr. G. SPAGNESI, Alessandro Specchi. Alternativa al borrominismo, Torino 1997, pp. 39-40. 219 A tal riguardo si può consultare il secondo capitolo della prima parte della Tesi di Dottorato. 164 sottostante, apparendo invece completamente sproporzionati se osservati allo stesso livello del balcone. L’andamento concavo del timpano, infine, è accompagnato nel tratto di muratura compreso tra il finestrone e le semicolonne, dall’utilizzo del falso bugnato senza tagli verticali presente anche nel piano basamentale dell’edificio: questo tipico motivo settecentesco, facendo apparire l’intelaiatura della bucatura come se fosse strutturata in una nicchia ricavata nella parete, contribuisce ad accrescere ancor più la sensazione di profondità (fig. 36). La qualità degli stucchi disegnati da Bizzaccheri, inoltre – già riscontrata in altre opere precedenti quali la facciata di S. Isidoro o il completamento della cappella del Monte di Pietà –, è visibile anche nelle cornici delle finestre del piano nobile, simili a quelle realizzate nell’ortano palazzo Nuzzi (fig. 57), mentre in quelle del secondo piano, dove gli elementi decorativi utilizzati usualmente dall’architetto appaiono rinnovati mediante l’inserimento di stucchi atti a rappresentare la potenza del regno di Francia – fra cui la corona reale e il sole di Luigi XIV (fig. 58) – vi è un richiamo diretto a quelle realizzate nel 1701 nell’attico di palazzo Negroni220 (fig. 59). Il disegno preparatorio del palazzo di S. Luigi dei Francesi, dotato di una scala metrica riportata nella parte bassa del foglio (fig. 27), consente di verificare come la fabbrica sia stata realizzata secondo quanto fu effettivamente disegnato dall’architetto; tuttavia, com’è stato già osservato dalla Mallory, vi sono delle discrepanze in alcuni dettagli, come ad esempio nella soluzione adottata per la decorazione delle finestre. Quelle del secondo piano in particolare (fig. 58), sono prive dei basamenti marcapiano visibili nel progetto e che invece sono stati realizzati per le aperture del piano nobile, esattamente com’è avvenuto per il finestrone centrale radicalmente modificato rispetto al disegno originale (fig. 36): nel progetto conservato presso l’Albertina, infatti, la forma della finestra è più simile a quella disegnata per il progetto della facciata irrealizzata dei SS. Carlo e Ambrogio al Corso 221 (fig. 60), assieme ad una contaminazione di elementi provenienti da S. Isidoro come volute e ghirlande (fig. 56); in esso è già presente la concavità della trabeazione seppur – rispetto alla realizzazione – nel disegno non fosse stato ancora pensato l’adattamento dell’ordine architettonico rispetto alla visione dalla strada sottostante. Infine il timpano realizzato a coronamento del finestrone centrale del palazzo di S. Luigi – motivo decorativo prediletto da Bizzaccheri – acquista una maggiore tensione rispetto a quello disegnato che presenta una curvatura appena accentuata, divenendo una soluzione molto utilizzata nella successiva decade del XVIII secolo222. La fabbrica commissionata dalla comunità francese fu completata nel rustico dell’edificato e negli intonaci esterni sul finire del 1712 – come attesta la lapide sopra il portone d’accesso al cortile – mentre il 10 novembre 1713 fu condotta la misura e stima delle opere di rifinitura, secondo i disegni eseguiti da Bizzaccheri e realizzati dallo scalpellino Carlo Torriani. Un mandato di pagamento contiene la descrizione del lavoro da realizzarsi nella nuova fabbrica, ad eccezione della balaustra del balcone posta sopra il portone: per le rifiniture esterne fu scelto il travertino, mentre per gli ambienti interni si utilizzò il peperino; ventisei pezzi di travertino, in particolare, furono ordinati per realizzare i modelli del cornicione e altri due pezzi furono incassati nella muratura in corrispondenza della catena posta nella volta del salone principale (fig. 40), e in quest’ambiente situato nel piano nobile del palazzo fu trasferito l’Archivio dei Pii Stabilimenti Francesi dalla precedente sede che si trovava nel rione Borgo (fig. 41). Si ordinarono, inoltre, le soglie di travertino per le finestre, per le dieci botteghe poste al pianterreno e per i portoncini ai lati delle stesse; si realizzarono i banconi all’interno delle botteghe e s’intagliarono i gigli nella mezzeria degli architravi sovrastanti agli ingressi; lo stesso materiale, 220 Cfr. MALLORY 1974, op. cit., p. 41 e p. 46. A tal riguardo si può consultare il secondo capitolo della prima parte della Tesi di Dottorato. 222 Cfr. MALLORY 1974, op. cit., pp. 40-41. 221 165 infine, fu utilizzato per sei zoccolature poste in corrispondenza dei pilastri principali, ancorandole nella muratura mediante spranghe di ferro. La scala maestra del palazzo, invece, fu rifinita con lastre di peperino, mentre la soglia del portone principale fu ricavata da due pezzi di granito orientale rosso facenti parte del colonnato delle terme Alessandrine su cui sorge la fabbrica223. Con lo stesso materiale antico, lo scalpellino Ludovico Francesco Perini su ordine di Francesco Givotti, Deputato di S. Luigi, realizzò due colonne da collocare davanti il portone principale e su ognuna delle quali furono scolpiti tre gigli224. In seguito le colonne furono rimosse e collocate ai piedi della scalinata antistante alla chiesa di S. Luigi dei Francesi in corrispondenza del portone principale: una delle vedute del Vasi, nel 1754 anno di pubblicazione, attesta che lo spostamento ancora non è avvenuto, mentre in una fotografia d’inizio Novecento le colonne sono visibili assieme a quattro lampioni a gas (figg. 42-43). La fase di stuccatura delle facciate esterne e di quelle nel cortile, che ha inizio il 14 dicembre 1713, è eseguita dal capomastro Santi Marzocchi assieme agli stuccatori Andrea Bertoni e Antonio Ruggieri Sassi, partendo dal cornicione che dal fronte principale prosegue ininterrotto sui prospetti laterali. E’ realizzato, anzitutto, il supporto di mattoni e calce ancorati alla muratura con grossi chiodi su cui modellare il cornicione secondo un disegno molto lavorato225. Partendo dall’alto la modanatura – decorata con i gigli di Francia – è sagomata con un listello e una cimasa abbastanza pronunciata, scendendo seguono un altro listello e una gola rovescia entrambi più piccoli, sino a chiudere con un gocciolatoio anch’esso molto sviluppato e un ultimo listello. La qualità delle stuccature, eseguite secondo linee morbide e fluide, è visibile anche nelle mensole che in corrispondenza dei pilastri sono binate; le mensole altrimenti si alternano a riquadri decorati con i gigli di Francia o con un sole raggiante, oppure alle finestre stesse del terzo mezzanino. Le diciannove aperture sono racchiuse in semplici cornici che in basso fuoriescono dalla linea data dalle mensole e dai riquadri, invadendo come accade in palazzo Madama il campo sottostante; undici di queste cornici sono decorate nella mezzeria dell’architrave con il giglio, mentre maschere femminili sono presenti nelle rimanenti otto aperture (fig. 33). Anche dallo studio delle decorazioni in stucco si possono individuare i diversi spunti lessicali che Bizzaccheri ha assimilato dai palazzi derossiani: ad esempio, un richiamo diretto ai palazzi d’Aste e Altieri può riscontrarsi nella soluzione che l’architetto adotta per il suddetto cornicione, dove la mensola è un’accentuata voluta che ha in cima un fiore di granato; è separata nella mezzeria da un festone e, a sua volta, si appoggia su una regula con tre gocce. La cultura architettonica romana, del resto, eredita da Giovanni Antonio De Rossi un prezioso contributo riscontrabile anche in molte altre facciate settecentesche essendo l’architetto, l’elemento di congiunzione diretta tra il tardo-cinquecentismo e le ultime propaggini del barocco. Da un’incisione realizzata da Alessandro Specchi del cornicione di palazzo d’Aste (fig. 44), è possibile riscontrare oltre alla mensola che si alterna ai riquadri e alle finestre dei mezzanini altre analogie con il palazzo di S. Luigi quali: le cornici delle aperture che fuoriescono anch’esse dalla linea data dalle mensole invadendo il campo sottostante, oppure le maschere femminili poste sugli architravi superiori; lo stesso può vedersi in palazzo Altieri, dove ai fiori di granato è sostituita la conchiglia simbolo araldico di Clemente X. 223 APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1714, c. 1282, [giorno e mese mancante] 1714; cfr. APPENDICE VII. 224 “Conto dei lavori fatti di scarpello nel fare le due Colonne di Granito Orientale rosso poste avanti il Portone della fabrica di San Luigi per ordine del Sig.r Francisco Givotti [Deputato della Congregazione di S. Luigi dei Francesi] da me Ludovico Francesco Perini”; APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. II, anno 1714, c. 1296, [giorno e mese mancante] 1714; cfr. APPENDICE VII. 225 APEF, Fonds ancien, Liasse 99, mandati di pagamento, fasc. I, anno 1713, c. 1696, [giorno e mese mancante] 1713; cfr. APPENDICE VII. 166 Per quanto attiene la realizzazione degli stucchi, nello stesso conto si apprende che le maestranze per modellare le mensole si avvalsero di sagome di cartone, mentre per l’Arme del Regno di Francia inserirono nella muratura elementi di ferro e grossi chiodi, su cui in seguito si modellarono i diversi motivi decorativi. Le due targhe collocate sul cornicione in corrispondenza dei cantonali del palazzo, in particolare, sono stuccate con i tre gigli e contornate da palme sovrastate dalla corona di Francia (fig. 34), e richiamano alla soluzione d’angolo che Giovanni Antonio De Rossi ha adottato nel palazzo d’Aste (fig. 45), dove la chiusura geometrica del volume è risolta dall’architetto mediante un richiamo diretto al borrominiano palazzo di Propaganda Fide (fig. 61), trasformando le due lesene che affiancano l’angolo convesso in ruvide membratrure e utilizzando i marcapiani come semplici intersezioni di fasce e linee atte a scandire il prospetto. Bizzaccheri semplifica ulteriormente questa sintesi lessicale eliminando completamente alcuni elementi fondamentali dell’ordine architettonico, accentuando maggiormente l’andamento verticale delle doppie lesene (fig. 22). Quest’ultimo, inoltre, scandito ritmicamente da botteghe alternate ai portoncini degli appartamenti, è confrontabile con altre soluzioni distributive derossiane adottate nei palazzi Gambirasi e Gomez-Celsi226. Per quanto attiene alle opere di rifinitura della fabbrica bizzaccheriana, infine, nell’estate del 1715 si procede alla misura e stima delle stuccature eseguite nel cortile porticato del palazzo, sviluppato su tre arcate per lato sorrette da pilastri che recano formelle di travertino, nelle quali è scolpito il giglio di Francia. Sui tre lati del primo piano sono presenti delle arcate incorniciate da doppie lesene ioniche, dove le centrali hanno anch’esse la chiave di volta decorata da una testa femminile, mentre le altre sono chiuse e parzialmente occupate da finestre architravate abbellite da una fascia, posta sotto l’architrave, decorata con volute e festoncini; le pareti del portico, infine, sono ricoperte di lastre tombali, epigrafi e busti provenienti dalle vicine chiese medievali demolite227 (fig. 47). Nello stesso anno si realizzano le rifiniture nell’appartamento del piano nobile, dove è collocata la zona di rappresentanza della congregazione, e tra queste ultime spiccano le decorazioni realizzate nel salone dov’è collocato l’Archivio di S. Luigi dei Francesi228: la qualità degli stucchi – già evidenziata peraltro negli esterni del palazzo – è visibile soprattutto nella volta, dove lo schema strutturale è formato dall’intersezione tra una vela e un contorno parietale ottagonale interrotto da quattro absidi indipendenti, e dove queste ultime sono sganciate dalla matrice geometrica di base e generano quattro unghie che si alternano ai restanti fusi della volta (figg 40-41). Bizzaccheri inserisce nella sua vela grossi costoloni diagonali che la spezzano in spicchi, guardando sia all’ambigua crociera derossiana della cappella Lancellotti229 (fig. 62) sia alla ricca modellazione geometrica dei lacunari e dei motivi floreali, con cui Filippo Juvarra ha decorato qualche anno prima la cappella Antamoro 230 (fig. 63). Qui si ritrova l’insegnamento tramandato dalla prima generazione di architetti barocchi, dato dal berniniano sapiente controllo nella stesura dell’ordine e nella decorazione, unito alla modellazione geometrica dello spazio assimilata direttamente dall’opera borrominiana. Entrambi gli apporti sono stati assimiliti e depurati prima di lui da Giovanni Antonio De Rossi e dal giovane Juvarra, e non è un caso che sia proprio De Rossi a 226 Cfr. ROCA DE AMICIS 2000, op. cit., p. 19-38. Cfr. MARONI LUMBROSO - MARTINI 1963, op. cit., p. 49. 228 Il conto è stato redatto dal 30 agosto 1715, seppur la data esterna del mandato di pagamento non sia più leggibile; APEF, Fonds ancien, Liasse 100, mandati di pagamento, fasc. I anno 1715, c. 1467, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 229 La cappella Lancellotti in S. Giovanni in Laterano fu realizzata dal De Rossi dopo il 1674 e data la lentezza del cantiere completata negli anni novanta del Seicento. 230 Si precisa che la cappella Antamoro in S. Girolamo della Carità fu realizzata dallo Juvarra tra il 1708 e il 1710. 227 167 sopraelevare il palazzo di Propaganda Fide aggiungendovi l’attico sopra la cornice del Borromini, nel rispetto totale delle linee eseguite dal maestro (fig. 61). Nel salone degli Archives des Pieux Etablissements de la France, ivi trasferiti in concomitanza con l’ultimazione dei lavori, l’architetto progetta infine gli imponenti armadi dipinti in cui sono ancora conservati i documenti appartenenti alla congregazione (fig. 41): quest’ultimo intervento rappresenta un altro peculiare aspetto con cui si esprime la sapienza decorativa del Bizzaccheri, che negli arredi lignei progettati nel 1701 per la sagrestia di S. Maria in Trastevere presenta un illustre precedente231. Con questo intervento e con la realizzazione delle persiane nel 1716, può considerarsi terminato il cantiere per la costruzione del palazzo di S. Luigi dei Francesi232. La fabbrica bizzaccheriana: il colore e le trasformazioni dell’area La disponibilità di una notevole documentazione d’archivio, consente in quest’ultimo paragrafo di affrontare lo studio della prima coloritura che assunse la fabbirca tra il 1715 e il 1716, permettendo di asserire che nella scelta della soluzione cromatica furono predilette le tendenze coloristiche che si erano già affermate a Roma nel Seicento. Con il pontificato di Alessandro VII, infatti, il bitonalismo monocromatico bianco e bianco di travertino, si era diffuso in maniera generalizzata nelle costruzioni a destinazione sia religiosa sia civile, seppur l’uso stesso di queste due tonalità era stato già utilizzato nel palazzo Borghese e del Quirinale all’inizio del XVII secolo233. I toni del bianco, infatti, con la politica edilizia del papa Chigi e come documentato nelle maggiori fabbriche dirette da Borromini, permettevano l’imitazione del travertino e del marmo come ad esempio avvenne nelle fabbriche di S. Carlo alle Quattro Fontane e S. Ivo alla Sapienza234. In seguito Carlo Fontana, in alcune dimore del cardinal nipote Flavio Chigi, cominciò ad accostare il tono del celestino al color travertino utilizzato per aggetti e cornici; tale coloritura, chiamata nei documenti “color dell’aria”, fu adottata diffusamente negli sfondi murari e divenne man mano dominante sino alla metà del Settecento. L’architetto, ad esempio, la utilizzò nel casino alle Quattro Fontane dov’era affiancato dallo stesso Bizzaccheri e il color celestino fu adottato anche nella coloritura del S. Michele a Ripa, permettendo la smaterializzazione del vasto complesso architettonico esattamente come avvenne per i casamenti d’affitto che sorgevano in quegli anni. Questa tonalità, come del resto anche gli altri colori 231 L’anno successivo, Bizzaccheri vi realizzava anche la porta della sagrestia, dove sono collocati gli armadi assieme al tabernacolo ligneo contornato da una costruzione, che si erge su fasci di pilastri con capitelli ionici e termina con un timpano incorociato, mentre nel centro della sagrestia c’è un tondo con lo stemma dei Nardini; B. KUHN FORTE, Handbuch der Kirchen Roms, Wien 1997, vol. IV, p. 734. 232 APEF, Fonds ancien, Liasse 100, mandati di pagamento, fasc. II anno 1716, c. 1758, [giorno e mese mancante] 1716. Due anni dopo si realizza la selciata di quadrucci davanti al portone principale al posto della massicciata; APEF, Fonds ancien, Liasse 100, mandati di pagamento, fasc. II anno 1721, c. 252, [giorno e mese mancante] 1721; cfr. APPENDICE VII. 233 Lo stesso Gianlorenzo Bernini, nella coloritura di palazzo Barberini completata nel 1633, adotta il color travertino sul bugnato inferiore e gli sfondi murari mentre i pilastri del piano nobile, le cornici, le mostre e i cornicioni, sono realizzati in bianco di marmo; cfr. F. PETRUCCI, Il colore nelle fabbriche chigiane del Seicento, in “Contributi sul barocco romano. Rilievi studi e documenti” a cura di R. M. STROLLO, Roma 2001 , p. 118. 234 L’imitazione del travertino era ottenuta con calce stemperata e polvere di travertino data con il pennello sulla superficie, descritta dallo stesso Borromini in una lettera inviata a Virgilio Spada nel 1654 e definita “colla di calcie brodata”; cfr. STROLLO, op. cit., p. 118. 168 pastello 235 , conferendo alle facciate un timbro più leggero, contribuivano a controbilanciarne otticamente lo sviluppo in altezza e a rendere più luminose le strade antistanti236. Lo stesso avvenne nell’isolato appartenente alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi, dove furono sopraelevati e rifiniti con una tonalità celeste sia il fronte nel vicolo dei Matriciani sia quello interno prospettante sul fianco destro della chiesa: il color celestino, tra il 1715 e il 1716, fu adottato in particolare per lo sfondo murario del secondo prospetto che oggi presenta una coloritura terracea ottocentesca, mentre il cornicione e gli aggetti delle finestre furono rifiniti in bianco di travertino; lo stesso avvenne nel vicolo dei Matriciani, dove la stessa tonalità di bianco fu utilizzata per tutti gli aggetti, mentre si usò il celestino negli sfondi murari(figg. 28, 46). Per quanto attiene invece il palazzo di S. Luigi, dalla documentazione d’archivio, si evince che sia nel prospetto principale su via S. Giovanna d’Arco sia nelle facciate laterali su corso del Rinascimento e su largo Toniolo, fu usato un bitonalismo bianco di travertino e color rosino. In particolare il bianco di travertino fu adottato per gli aggetti, quali il cornicione e le cornici di finestre, porte e portoncini, mentre lo sfondo murario fu trattato con “…due mane di color Rosino liscio è Battuto à tutta la Faciata andante grande con li due risvolti uno Verso li matriciani l’altro Verso la Piaza di S. Luigi…”237. La stessa tonalità fu utilizzata nei quattro sfondi murari del cortile, dove il bianco di marmo fu – solo in questo caso – adottato per pilastri e contropilastri, cornici, mostre e cornicioni. In due di questi sfondi murari, inoltre, si affrescarono i telai di cinque finti finestroni; tre dei quali erano posti nel piano attico della facciata est verso corso del Rinascimento, mentre altri due in quella verso via S. Giovanna d’Arco a nord e ai lati di un “orologio a sole”. I finti finestroni e la meridiana, cancellati da ricoloriture postume che hanno interessato la fabbrica bizzaccheriana richiamavano, con molta probabilità, al disegno dell’unico vero finestrone posto in corrispondenza del salone principale (fig. 47). Essendo il colore fattore fondamentale direttamente collegato alla progettazione architettonica di un edificio e alla sua collocazione storica, la fabbrica bizzaccheriana – seppur soggetta a successivi interventi di modifica nella distribuzione interna avvenuti nei secoli XIX e XX – rappresenta pienamente il carattere funzionale conferitogli all’inizio del Settecento dal suo progettista, dove l’idealismo classicheggiante del manufatto non è avulso dal contesto urbano nel quale s’inserisce. Di conseguenza essendo in questi ultimi anni il dibattito riguardante le coloriture originarie degli edifici sempre più avvertito, è ipotizzabile per un futuro intervento di restauro la restituzione dei prospetti ai toni originari. La riproposizione della coloritura settecentesca, inoltre, supportata da una vasta base documentaria attinente la fabbrica, mutuerebbe le tendenze conservatrici ed eviterebbe di essere tacciata come un’operazione di ripristino; del resto è il tessuto edilizio di cui il manufatto fa parte, e non l’opera del Bizzaccheri, a essere interessato da alcune importanti trasformazioni urbane che saranno esposte brevemente di seguito. Il rione S. Eustachio, anzitutto, registrando nel corso dell’Ottocento un costante incremento demografico e un conseguente sovraffollamento delle abitazioni, fu oberato da gravi carenze igienico-sanitarie che determinarono – a seguito proclamazione della città a capitale – l’attuazione di un risanamento del tessuto edilizio ad iniziare dall’apertura di corso Vittorio Emanuele II. Gli interventi di diradamento che hanno interessato più direttamente il palazzo di S. Luigi, tuttavia, 235 Tra cui i celestini, verdini e rosini di cui se ne può trovare un parallelo in pittura sia negli interni sia nelle visioni di architetture, come ad esempio già nei dipinti del tardo Baciccio e soprattutto in quelli settecenteschi di Benedetto Luti, Corrado Giaquinto ma anche del Costanzi, del Van Wittel e del Panini. 236 Il “color dell’aria”, ad esempio, è utilizzato nel cortile del palazzo Chigi a piazza SS. Apostoli, in quello di Ariccia e nel palazzo Pamphilj di piazza Navona; cfr. STROLLO, op. cit., pp. 119-120. 237 APEF, Fonds ancien, Liasse 100, mandati di pagamento, fasc. I anno 1715, c. 1628, [data mancante]; cfr. APPENDICE VII. 169 furono condotti negli anni trenta del Novecento, quando fu intrapresa la realizzazione di largo Giuseppe Toniolo e il tracciamento di corso del Rinascimento238. Il primo intervento fu eseguito mediante l’abbattimento di un piccolo isolato (cfr. la pianta di Roma del Nolli, fig. 48), appartenente anch’esso alla comunità francese, e posto in prossimità di via del Pozzo delle Cornacchie, mentre il 21 aprile 1936 – tra la chiesa di S. Andrea della Valle e la già esistente via Zanardelli 239 – presero avvio le demolizioni per la realizzazione di corso del Rinascimento che fu inaugurato il 21 aprile 1938240: gli abbattimenti interessarono direttamente il tessuto edilizio interposto tra il palazzo di S. Luigi e piazza Navona, comportando la distruzione del vicolo dei Matriciani e delle Cinque Lune241, della piazzetta Lombarda e di tutto l’isolato situato tra quest’ultima e piazza Madama (figg. 64-65). In particolare fu demolita l’intera isola che la Congregazione di S. Luigi dei Francesi intendeva annettere al proprio isolato all’inizio del Settecento, e con cui avrebbe potuto ampliare il proprio ospedale; lo stato dei luoghi prima degli abbattimenti eseguiti, è visibile sul Catasto Piano ottocentesco e in una fotografia dell’inizio del Novecento (figg. 15, 49). Peraltro occorre menzionare che il tracciamento di corso del Rinascimento è rimasto incompleto: anzitutto non fu demolito il palazzetto in cui risiedeva nella seconda metà del XVII secolo monsignor Caprara, posto tra largo delle Cinque Lune 242 e la Corsia Agonale che conduce in piazza Navona (fig. 50). Questo casamento, appartenente ancor oggi agli Stabilimenti Francesi, già nel XVIII secolo aveva impedito lo sbocco di via S. Giovanna d’Arco nella piazza; ma secondo le volontà progettuali degli architetti Giovannoni e Piacentini, anche il fronte composto dal prospetto occidentale del Bizzaccheri e dall’edificio del Carimini, avrebbe dovuto avanzare allineandosi al filo del fronte ricostruito di palazzo Carpegna e concorrere a realizzare un ambiente più raccolto difronte a palazzo Madama243 (figg. 51-52). La parte destra del fronte compreso tra via S. Giovanna d’Arco e via del Salvatore era stata già interessata, tra il 1882 e il 1888, dalla ricostruzione del fabbricato già appartenente alla Congregazione di S. Luigi posto in angolo tra quest’ultima strada e piazza Madama. Prima dell’intervento intrapreso dall’architetto Luca Carimini244, la fabbrica appariva come rappresentato in un’incisione dal Vasi (fig. 53), vale a dire già sopraelevata di un piano rispetto alle linee conferitegli tra il 1679 e il 1680 da Giovanni Antonio De Rossi245 (fig. 21). Lo stesso è avvenuto sul fronte orientale dell’isolato che prospetta sul largo Toniolo dove, le due fabbriche che confinavano con il palazzo di S. Luigi dei Francesi (cfr. veduta del Vasi, fig. 42), sono accorpate e sopraelevate 238 Corso del Rinascimento era una previsione del Piano Regolatore Generale del 1931 ed era concepito per collegare Prati con Trastevere, lungo un tracciato che partendo da via Zanardelli, avrebbe dovuto raggiungere ponte Sisto, confermando in questo caso previsioni di piani regolatori precedenti; cfr. I. INSOLERA, Roma fascista nelle fotografie dell’Istituto Luce, Roma 2001, p. 181. 239 In particolare nel tratto compreso tra via Zanardelli, piazza di S. Apollinare e piazza delle Cinque Lune fu demolito il palazzo Bagattini realizzato da Antonio da Sangallo il Giovane di cui si ha testimonianza nel disegno Uffizi 951 A già pubblicato da Bentivoglio; cfr. BENTIVOGLIO 1992, op. cit., p. 47. 240 Cfr. INSOLERA, op. cit., p. 181. 241 Il vicolo, secondo il Romano, è così denominato dallo stemma della famiglia Piccolomini la quale possedeva un modesto palazzo nella zona; cfr. ROMANO, op. cit., vol. I, p. 142. 242 L’attuale denominazione di largo delle Cinque Lune dinanzi all’edificio del Collegio Germanico-Ungarico, è a ricordo dell’omonimo vicolo; RIDOLFINI, op. cit., p. 10-13. 243 In particolare, si ricorda l’invito rivolto da Giovannoni e Piacentini il 18 novembre 1940 riguardo al completamento di corso del Rinascimento e rimasto inascoltato: “Invitano [il Governatorato] …a sistemare l’ultimo tronco subito dopo piazza Madama con l’avanzamento del fronte degli Stabilimenti Francesi, e il raccordo con la piazza e il palazzo dell’Apollinare”; cfr. M. CAPERNA, “Programmi urbanistici e intervento sulla città storica: la questione del Quartiere del Rinascimento dal 1925 alla Seconda guerra mondiale”, in Il Quartiere e il corso del Rinascimento, a cura di G. SPAGNESI, Roma 1994, pp. 97-131 e p. 293. 244 cfr. PRIORI-TABARRINI, op. cit., p. 88. 245 APEF, Fonds ancien, Liasse 71, mandati di pagamento, fasc. unico, cc. ?, 28 gennaio 1680, 10 febbraio 1680, 14 settembre 1680; cfr. APPENDICE VII. 170 di due livelli raggiungendo in altezza la fabbrica del Bizzaccheri (fig. 54); si deve brevemente menzionare, infine, la sopraelevazione di un intero livello che durante il pontificato di Pio IX fu apportata alla fabbrica antistante del Collegio Germanico-Ungarico, compiuta dall’architetto Antonio Sarti246. Tornando quindi alle problematiche riguardanti un futuro intervento di ricoloritura del palazzo di S. Luigi dei Francesi, una posizione conservatrice seppur mutuata dalle terorie brandiane, determinerebbe l’immodificabilità di uno stato di fatto ritenuto ormai consolidato, che in questo caso specifico è dato dalle tonalità ottocentesche terracee e rossicce attualmente presenti sia sul manufatto sia negli edifici adiacenti; tuttavia questo caso specifico può prescindere dal considerare l’ambientazione storica del palazzo – pur trovandosi in un contesto urbano che appare ormai modificato – avanzando la proposta di restituzione della fabbrica bizzaccheriana al colore della sua epoca, questo perché il manufatto, non avendo subito modifiche o trasformazioni di rilievo, è integro ed esprime ancora pienamente il carattere settecentesco conferitogli dal progettista. Una simile posizione non potrebbe sostenersi per il palazzo Madama, dove l’invasività degli interventi eseguiti per riadattarlo a sede senatoria 247 , ha determinato il prevalere dei caratteri ottocenteschi su quelli barocchi, e di conseguenza non giustificherebbe la ricoloritura secondo le tonalità dell’epoca. Un esempio di riproposizione dei colori originari su base documentaria, invece, è rappresentato dall’attiguo palazzo Patrizi che esprimendo a pieno il carattere settecentesco conferitogli da Sebastiano Cipriani, ha consentito per gli sfondi murari la riproposizione di una tinta “color dell’aria”248. In conclusione, un’ipotesi di restauro del palazzo di S. Luigi dei Francesi secondo un bitonalismo bianco di travertino per gli aggetti e color rosino per gli sfondi murati, permetterebbe di esaltare quel contenuto di razionalità, funzionalismo e idealismo classicheggiante connaturato al linguaggio architettonico e alla dimensione storica che quest’opera di Carlo Bizzaccheri ancora esprime pienamente. 246 Si precisa che l’ampliamento della fabbrica si rese necessario al fine di reperire gli spazi per ospitare il Seminario Pio. 247 Che ha comportato anche la modifica parziale del tessuto edilizio circostante, con l’abbattimento del casamento d’affitto appartenente alla Congregazione di S. Luigi dei Francesi, realizzato sul finire del Seicento dall’architetto Francesco Fontana e posto in angolo con via della Dogana Vecchia; cfr. CARPANETO, op. cit., p. 585. Per consentire l’ulteriore ampliamento del palazzo Madama, tra il 1905 e il 1907, fu espropriata e demolita anche la piccola chiesa di S. Salvatore in Thermis appartenente anch’essa alla congregazione che sorgeva in via del Salvatore; cfr. PIETRANGELI, op. cit., p. 64. 248 Il palazzo Patrizi si trova dinanzi alla chiesa di S. Luigi dei Francesci e nel corso del XIX secolo vi lavora l’architetto Luigi Moneti; Ibidem, pp. 596-601. 171