ZG1967_sostrato_medioevale_Barocco_leccese (III)

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IL SOSTRATO MEDIOEVALE
NEL BAROCCO LECCESE
CONTINUAZIONE
Si tratta di un gusto che era già vecchio, in forma latente esisteva
e non si era ancora chiarito a se stesso, o non aveva trovato un interprete
di valore e di fama che ne valorizzasse forme e linguaggio con l'autorità
del nome e dell'arte. Sono forme che parlano alla fantasia del popolo di
Terra d'Otranto e la eccitano in ciò che essa ha di più spontaneo e facilmente infiammabile. Né tanta aderenza si limita solo ai modi delle Arti
figurative o impegna solo i grandi costruttori ed artisti, ma investe ogni
aspetto della vita, dal pubblico al privato, dal religioso al morale. Ogni
artigiano: il muratore che costruisce una casetta, il falegname che ne
elabora con pialla e scalpello gli infissi, il fabbro che batte il ferro per
qualche chiusino o cancelletto si sentono impegnati a questo linguaggio
ed a queste forme nella stessa guisa dei costruttori di Santa Croce o del
Seminario.
Così calato nell'anima leccese, questo gusto non conobbe i limiti
del secolo in cui era nato. Non si pretende che i fenomeni dello spirito
conoscano i limiti cronologici del secolo in cui sono nati; tuttavia, in
ogni parte d'Italia, con la fine del XVII secolo, venne anche la fine di
questo stile, che degenerando darà origine al Rococò ed all'Arcadia. Nella
provincia di Lecce durerà per tutto il '700 e molto oltre; i monumenti
più insigni in provincia, sono della prima metà del '700.
CAP. X
LA « CARTAPESTA »
Se nelle arti dette « maggiori » gli stili successivi, entrando a poco a
poco, spensero i segni del barocco, nelle cosiddette arti minori e nella
carta-pesta il fenomeno di sostituzione fu molto più lento. Il Neoclassico
Fece in Lecce le sue belle apparizioni in palazzi e case private, mentre il
900 è interamente al passo con lo stile delle restanti parti della Penisola,
con le belle costruzioni in carparo fino agli anni 50 e con la fioritura
delle selve di cemento armato degli anni nostri. Nella carta-pesta, certe
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Forme tipicamente barocche, di un barocco originale e nostrano sono
rimaste padrone incontrastate del gusto e quando magari gli artigiani
hanno da un pezzo cessato la costruzione di esse, il loro prestigio rimane
immaginato agli occhi e, per l'arte sacra alla venerazione dei fedeli. Perché
esse esprimevano in una forma scenografica e fantastica alcuni aspetti della religiosità del popolo meridionale per il quale certe festività religiose
hanno più il valore di magnifico spettacolo di splendore, che di commozione religiosa. Certi diavoli negri, abbondantemente cornuti e maliziosamente « subsannanti » secondo schemi medioevali, parlavano più chiaramente dell'inferno; mentre l'estasi del Poverello d'Assisi dinanzi al
Crocefisso diventava eccitazione sensuale mista ad un placamento fisico
che sa tanto di sazietà. Ad esempio in quello della chiesa Madre di Salice,
l'artista si sofferma sulle stimmate abbondantemente sanguinanti, e per
Far vedere quella nel Costato, non si è accontentato del tradizionale
squarcio nel vestito più o meno sbrindellato dal colpo della lancia, che
il centurione aveva vibrato al Costato di Cristo agonizzante, ma apre
una « finestrella » dai perfetti limiti quadrangolari, con la stoffa che la
copriva ripiegata in giù, a mò di persiana rovesciata, mentre uno squarcio diagonale nelle carni del Santo, da cui sprizza sangue vivo e rosseggiante, fa bella mostra di sé. Solo da poco molte di queste statue, monumenti insigni di un gusto di indubbia importanza, sono state tolte e
conservate. L'ignoranza e la mania di restaurazione ne hanno distrutte
molte. Sarebbe auspicabile che si raccogliesse tutto in unica collezione.
Tuttavia, fino a qualche anno fa, si potevano vedere in occasione della
« Visita ai Sepolcri » del Giovedì Santo, nelle sagrestie delle più importanti Chiese leccesi lunghe file di « Cristi » in carta-pesta di « Mallatroni »
e « Buonlatroni » di « Marie » e di « Giovanni » atteggiati alle pose più
strazianti di dolore, in atteggiamenti commoventi; flagellazioni in cui
rivi di sangue copiosissimi scorrevano sotto i colpi dei flagellatori; espressione di un gusto e, nello stesso tempo, di un modo particolare di sentire
il divino ed il dramma della conquista di esso.
CAP. XI
I PRESEPI
I maestri della carta-pesta e quelli della terra-cotta della cui materia
prima il sottosuolo leccese in molte parti è ricco, insieme con una ricca
próduzione di oggetti vari, più o meno artistici e importanti, si specializzarono in « pupazzi di Presepe ». La varietà di tutte quelle forme iconografiche meriterebbe una trattazione a parte. Tuttavia va osservato in
esse una fioritura particolare di schemi, di figure e soggetti, che poi la
tradizione ha stilizzato e che sono segni di una particolare purezza espres213
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siva e fantastica. Per Presepi grandiosi spesso esegui vano pupazzi giganteschi curati in tutti i particolari; l'Adorazione del Bambino Gesù
diventava un rito paganeggian te di offerte di doni in un legame continuo
che si ricongiungeva ai miti antichi ed alle leggende medioevali del Presepe di San Francesco.
Né era disgiunto dalla rappresentazione dei « presepi » tradizionali
un certo senso di velata ironia e di evidente satira di costume.
I pupazzi si animavano di una vita particolare alla cui visione contribuiva la fantasia accesa, la duttilità tecnica e soprattutto la tradizione
artistica. Ad animare in modo particolare queste statuette interveniva
l'elemento religioso avvertito solidamente come l'antica versione medioevale. I pastori furono gli umili che offrirono il primo ossequio al Bambino Gesù. Il tema degli umili si allarga nella visione dei maestri « pupari » fino a comprendere tutti gli aspetti della vita quotidiana nelle sue
forme comuni, popolari ed essenziali: la lavandaia sospende il suo lavoro
• reca i panni puliti al Piccolo Nato; il salumiere, l'arrotino, l'oste, il
contadino, lo spaccapietre, sono tutti temi cari e cantati in forme varie
e numerose. Per ottenere più facilmente i risultati, cui queste forme iconografiche mirano, i maestri gonfiano i gesti in espressioni esagerate ed
affettate. I temi della venerazione, dell'ossequio, dell'umiltà sono essenziali e si mettono in mostra esageratamente: così la gonfiezza del barocco
e la tradizione medioevale colmano l'aspetto religioso, sia pure di una
religiosità apparente ed esteriore, e si fondono nell'umile arte dei « pupazzi » della carta-pesta e della terracotta in una esplosione artistica ed
artigianale che è originale e spontanea, espressione del genio di un popolo educato, per natura e tradizione, al culto di determinate forme
estetiche.
Tant'è solida la tradizione che, nonostante l'evoluzione del gusto,
l'educazione popolare per altre forme, e la decadenza, quasi naturale,
dell'arte della carta-pesta e della terracotta, ancora oggi, passando per
le vie dei quartieri vecchi di Lecce, si può vedere qualche vecchietto che
presso un desco modella l'argilla per i pupazzi del Presepe e le statue
dei Santi. La mostra che si fa in occasione della Festa di S. Lucia, poco
prima di Natale, è uno spettacolo quanto mai interessante: a « bancarelle » colme di serie di lampade e lanternine, stelle, alberi di Natale e tutto
l'insieme di vetri e di stagnola occorrente per armarli, espressione del
nuovo gusto e della nuova civiltà, si alternano le « bancarelle » più modeste, ma più artistiche con i « pupi », ricordo del passato; la gente compra
gli alberi di Natale, ma non può passare oltre le bancarelle con i « pupi »,
sempre negli stessi schemi, dal 600, e si ferma a lungo ad ammirarli;
sopravvivenza di un gusto che va scomparendo.
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Facciata della Chiesa di Campi Salentina (LE) - (Portale scolpito da Ambrogio Martinelli)
Fot. G. Guido
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CAP. XII
IL SOSTI ATO
Il barocco trovò in terra d'Otranto il terreno ideale per la sua
più vera e più grande fioritura. Trovò nel carattere della nostra gente
l'abitat più idoneo per il suo affermarsi e, colmando la lacuna lasciataci,
dal 400 al 500, si ricollegò all'ultimo medioevo, che era stato l'altro grande periodo cl i splendore della nostra civiltà. Nelle aspirazioni che il
medioevo aveva tramandate intatte attraverso la tradizione, il barocco
leccese soddisfaceva la sua ansia religiosa, nella ricerca di un divino trascendente ed immanente al contempo cui si giunga più che con la Fede,
con la violenza dei riti ed il calore della fantasia.
Si innestava nella tradizione preromanica e romanica da cui ereditava insieme con alcuni schemi iconografici ed alcune forme di linguaggio spesso ricorrenti, anche certa durezza, un certo arcaismo che spesso
Fa contrasto con forme arditissime e pulite. Meritano particolare attenzione certi aspetti espressivi arcaici e duri che potremmo dire analoghi
nel barocco e nel Medio Evo. Questi richiami arcaici, oltre a confermare la continuità del linguaggio nel filone storico che dal 200 porta al
600, son dovute anche alla scarsezza di cultura delle maestranze che il
più delle volte parlano un linguaggio incondito ma fiorito da una fantasia
accesa e pur primitiva, e che mal si distacca da schemi e forme che ha
derivato dalla tradizione e da cui, pur nella libertà dei gesti, non sa allontanarsi. Per tutti gli aspetti che concorrevano alla sua formazione e
per il legame da cui non seppe staccarsi il barocco leccese fu originale e
nuovo rispetto alle forme dello stesso stile in altre regioni d'Italia e poté
vivere una sua vita avulsa e staccata dal resto perché innestato su un ceppo originale che era tutto suo.
CAP. XIII
I CONFRONTI
Dove tutto ciò è evidente è nell'architettura perché l'architettura ancora una volta si fonde con la scultura, assoggettandola a sè, come era
avvenuto nel Romanico sì da formare un tutto unitario e non si sa più
dove sono strutture architettoniche e dove comincia la parte puramente
ornamentale. E se proprio non può dirsi delle parti murarie, è nelle parti
scultoree e ornamentali, dove lavorano maestri insigni, che quindi s'erano
potuta formare una coltura, che questi elementi sono avvertiti solo come
cenni spontanei che fan capolino tra gli altri più evoluti, quasi come il
portato del sub-cosciente. E' il caso della facciata di S. Croce dove tra
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Altare della Chiesa dell'Annunziata - SQUINZANO (LE)
Fct. G. Guido
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una fioritura di motivi araldici compaiono motivi dei « bestiari », è lo
stesso della facciata della Collegiata di Campi Salentina scolpita da
Ambrogio Martinel l i (Foto n. I ), un maestro che aveva viaggiato e quindi
aveva visto altre realizzazioni; tuttavia anche a lui fa capolino più d'un
elemento antico ed arcaico non solo nella durezza del gusto, ma anche
in certi ricordi iconografici come i mascheroni teatrali che sono un misto
tra angeli e diavoli. Non sarebbe giusto fare un esame analitico che
ricerchi in ogni facciata, in ogni colonna, in ogni nicchione questo o quell'elemento iconografico, questo o quel vocabolo, che ci richiamino
il linguaggio medioevale; in tal caso, oltre a smarrire il concetto di
sintesi, che deve sempre guidarci nell'esame di un'opera d'arte, smarriremmo anche la serietà della ricerca. Legami, reminiscenze, filoni artistici e stilistici non si giudicano dalla somma degli elementi iconografici, ma dal modo particolare con cui l'artigiano e l'artista hanno sentito
la materia e la vita, ed in quella materia hanno voluto esprimere il
modo particolare della loro capacità di sentire e di vedere, calando in
essa tutti gli elementi di fantasia, di cultura, di morale che li hanno
portati a quel grado di sentire e di vedere. Perciò ci limitiamo solo alla
citazione di qualche monumento, e di esso, solo di qualche elemento, a puro titolo di esempio, che serva a richiamare schemi e forme medioevali;
poiché l'attaccamento ad essi è di tutt'altra natura e non di pure reminiscenze, consiste nella maniera arcaica e talora dura civettuolamente moderna, con cui gli artisti hanno avvertito la loro ispirazione nella quale
c'è stato il concorso di elementi tradizionali radicati nella coscienza, e di
elementi importati ed avvertiti subito come propri.
CAP. XIV
LE OPERE MINORI
Ma dove la fusione tra elementi medioevali e gli aspetti tipici del barocco è perfetta in un tutto organico, che parte dalle radici stesse della
ispirazione è in certe opere che potremmo chiamare minori perché non
recano firme note, ma che sono ugualmente importanti perché nate
dal crogiuolo più vivo della fantasia popolare. Opere senza un progetto
originario affidate a maestranze locali, che avevano viaggiato poco, quel
minimo che consentiva di aver visto qualcosa nella capitale o in paesi vicini e che non erano meno fervide di fantasia e di gusto, ed in cui tutti
gli elementi della più pura e viva tradizione, sentita e respirata nel calore
del focolare domestico e dell'insegnamento paterno, erano sempre profondamente vivi e si condivano, aggiornandosi, con la nuova visione. Opere in cui non infrequentemente si può notare la mano di un grande artiProvincia
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sta artigiano, privo di cultura, ma ricco di una educazione artigianale le
cui scaturigini vanno ricercate nel passato. E' tale la Chiesa dell'Annunziata di Squinzano, ex voto di una povera contadina ammalata, miracolata, Maria Manca, al cui nome sono connesse numerose leggende nelle
quali l'elemento religioso assume un sapore di mistero e di rito, che talora diventa quasi orgiastico e dionisiaco. Non ci s'incontrano grandi firme. La facciata austera e pur ricca effonde la purezza della fantasia da
cui nasce, nel movimento quasi turbinoso di ornamenti, che dal portale
si elevano al finestrone, ai festoni ed al coronamento. Particolare interesse merita l'altare vario e movimentatissimo in cui la rozzezza dell'impianto, fonte ed indice d'una mente incolta e poco raffinata, si nobilita nell'alto calore della fantasia (Foto n. 2).
Il complesso macchinoso e stracarico, ricco di colori, di fogliame, di
spirali, di cornici, di oggetti, espressione di un gusto gonfio e barocco, aggancia le sue radici nella cultura antica fino all'espressione di forme di
gusto antelamico nei bassorilievi ed altamente medioevale nelle allegorie del sole e della luna. La vicina chiesetta di Cerrate ha determinato la
sopravvivenza di antichi, profondi motivi nella grande fioritura dell'arte
barocca.
CONCLUSIONE:
Alla fine del nostro breve discorso si possono trarre le seguenti
conclusioni:
a) E' tempo di sfatare la leggenda che il barocco leccese è nato
dallo spagnolesco o dal plateresco che dir si voglia. Perché le influenze esterne hanno al massimo accelerato e chiarito a se stesso un processo
che era già in atto e non lo hanno determinato.
b) Che la facilità di lavorazione della pietra leccese ha facilitato
la diffusione del fenomeno « gusto barocco » influenzando l'economicità
del suo farsi.
c) Che il barocco leccese è nuovo ed originale rispetto alle forme
dello stesso gusto fiorite altrove.
d) Che esso affonda le sue radici nell'antica cultura federiciana o
comunque degli ultimi scorci del Medioevo, nella gloriosa tradizione del
romanico pugliese.
e) Che le antiche forme romaniche rivissute e ritemprate si rinnovano nella ricchezza dell'ornamentazione barocca che trovava nella mentalità e nella fervida fantasia del popolo leccese il terreno ideale per la
sua fioritura.
M. FALCO
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