la fortezza del signore

Transcript

la fortezza del signore
Biasca - Santi Pietro e Paolo
La fortezza
del Signore
di Giancarlo Fornasier; fotografie ©Peter Keller
in queste pagine
Una suggestiva visione
dell’interno della chiesa
dedicata ai santi Pietro
e Paolo di Biasca.
I numerosi dipinti murali
sono di periodi diversi
(secoli XIII–XVII); quelli
presenti nella regione del
presbiterio e sulle pareti
dell’abside sono opera
di Antonio da Tradate
(1500 circa).
Si notino i gradini interni,
caratteristici di questo
particolare e importante
luogo di culto
pagina di apertura
La facciata della chiesa.
È uno dei monumenti
romanici più significativi
e importanti della
Svizzera, risale al tardo XI
secolo o agli inizi del XII
secolo, ma testimonianze
della presenza di
un edificio di culto
risalirebbero al IX secolo.
L’edifico, l’entrata rivolta
verso nord-ovest, sorge su
un dosso e per accedervi
è necessario affrontare
alcune rampe di scale
Peter Keller
Classe 1950, ha dapprima
seguito una formazione
nell’ambito della tipografia
e della fotografia,
in seguito si è diplomato
in Ingegneria della stampa
e dei media presso
l’Università di Stoccarda.
Dopo una carriera
dirigenziale per diversi
quotidiani, da luglio 2012
lavora come fotografo
e autore indipendente.
Ha collaborato con
i fotografi Adriano
Heitmann e Reza Khatir.
Nel 2010 è stato pubblicato
il volume fotografico
Barocco (Casagrande).
C
ome già scritto a proposito della chiesa dedicata a San Carlo/Sant’Ambrogio a Negrentino
(Ticinosette n. 22/2013), anche questo importante edificio religioso di Biasca necessiterebbe di un’attenta visita per poterne apprezzare
sia la particolare posizione e orientamento sia la forte carica
spirituale che lo contraddistingue. Non da ultimo, la storia
millenaria che il manufatto racchiude in sé.
“L’antica plebana delle valli dell’alto Ticino dedicata ai santi Pietro e Paolo, rappresenta un complesso nodo di problemi storico-archeologici”, dove “elementi arcaici si mescolano con elementi che
sembrano assai più recenti, suggerendo la lettura di epoche costrut-
tive diverse” rilevava lo storico dell’arte Virgilio Gilardoni1.
E certo di elementi curiosi questa chiesa – costruita forse
sulla pianta di un precedente edificio antecedente il X secolo – ne conserva parecchi. A cominciare dal pavimento in
lastre di granito dell’aula maggiore leggermente in salita e
con tanto di gradini. Dall’entrata, l’altare e la Majestas Domini (Maestà del Signore) con i quattro Evangelisti dipinti
nel catino absidale sembrano ancora più inarrivabili. Come
in molte chiese di questo periodo, anche a Biasca Gesù è
inserito nella classica “mandorla”, un elemento decorativo/
simbolico irrinunciabile, tipico dell’arte gotica ma diffuso
già in epoca paleocristiana (III–VI secolo).
Il Romanico ritrovato
La chiesa si trova su un dosso, accanto alla salita che
conduce all’oratorio di Santa Petronilla, e appena sopra la
chiesa dedicata a San Carlo Borromeo, un edificio di inizio
novecento dalla grande cupola. La facciata è rivolta a nordovest, un perfetto punto di osservazione della biforcazione
che introduce alle valli Leventina e Blenio, quest’ultima
fondamentale passaggio verso il Nord prima che le gole
della Biaschina e del Piottino venissero “domate”.
L’edificio che ammiriamo oggi è il frutto dei restauri avvenuti a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo
scorso, coordinati dall’architetto Alberto Camenzind.
La “ricerca del Romanico”, che aveva contagiato la Svizzera
sin dalla seconda metà dell’ottocento, ha portato anche a
Biasca alla liberazione della chiesa dai decori, dalle aggiunte
e dalle modifiche che nei secoli erano intervenuti2, quelli
barocchi in primis. Dal punto di vista architettonico, ciò che
rimane di quel periodo è una cappella laterale (parete rivolta
a sud), nella quale anche le aperture sono rimaneggiamenti
per forma e stile, conseguenti all’eliminazione degli apparati decorativi del XVII secolo. Tutte le pareti esterne sono
in pietra a vista – fanno eccezione alcune porzioni dipinte
della facciata in cui si riconosce anche un San Cristoforo –,
al contrario di quelle interne che alternano dipinti murali
a sinistra
Scultura erratica
raffigurante probabilmente
un Apostolo che regge
un libro aperto; è
presente anche una
scritta che non è ancora
stata completamente
interpretata
a destra
Sopra: dipinto murale
su una delle colonne
della navata centrale
raffigurante
san Maurizio (o san
Vittore Mauro). Sullo
sfondo si intravvede un
grande dipinto raffigurante
le scene della Vita di san
Carlo Borromeo, (eseguite
attorno al 1620 dalla
bottega del bellinzonese
Alessandro Gorla); in alto
a sinistra la scena della
Chiusura del Concilio
di Trento
Sotto: pianta della chiesa
dei santi Pietro e Paolo,
un edificio che lo storico
Virgilio Gilardoni definiva
“sghemba in ogni
angolo” (rilievo tratto
da Il Romanico,
op. cit., pagg. 210–211)
ad ampie zone oggi prive di decorazioni o in pietra nuda
(come buona parte dei pilastri). La disomogeneità interna
è un chiaro segno di periodi costruttivi diversi, di aggiornamenti successivi e dei restauri sopraggiunti. In verità, anche
le pareti esterne mostrano soluzioni decorative diverse ai
quattro lati (arcate cieche, arcatelle e lesene ecc.). Per trovare
una struttura muraria interamente originale è necessario
guardare alla parete laterale nord, costruita con conci
lapidei irregolari per forma e colore; le piccole monofore
presenti accentuano l’aspetto crudo tipico delle costruzioni
dei secoli X–XII, manufatti a volte più simili a fortezze che
a luoghi di preghiera. D’altro canto, l’aspetto “arcaico” è
uno degli elementi che sempre Gilardoni – il quale rimanda
anche alle note dello storico zurighese Johann Rudolf Rahn3
– più volte osserva, soprattutto in riferimento alla pianta
curiosamente “irregolare” (e poco compresa) dell’edificio.
La bellezza dell’imperfezione
La chiesa dei santi Pietro e Paolo è una costruzione a tre
navate sostenute da pilastri, cinque per parte a formare sei
campate, volgarmente sei “archi”. Al termine della navata
principale – più alta delle laterali ma, aspetto insolito,
senza alcuna finestra – vi è il coro/zona absidale a forma
semicircolare, rivolto a sud-est; costruito direttamente sulla
roccia è (come già detto) molto rialzato rispetto al resto
della chiesa. A destra si eleva il campanile. Smantellati
quelli seicenteschi, i soffitti oggi sono in prevalenza lignei
(come dovevano essere in origine), aspetto che conferma
la struttura “primitiva” dell’edificio religioso.
Anche la pianta e l’elevazione sono di principio piuttosto
classiche e pensate sul modello delle antiche basiliche
cristiane4: una tipologia presente, per esempio, sia a Muralto (San Vittore) sia a Bellinzona-Ravecchia (San Biagio).
Nel caso di Biasca, però, la
pianta “è sghemba in ogni angolo del quadrilatero” (Gilardoni, pag. 212), una distorsione
tanto evidente da sembrare
forse voluta (e obbligata) sin
dalla prima edificazione e
dai successivi ampliamenti.
Certo, la posizione e l’orientamento rispetto al pendio
sul quale sorge la chiesa non
devono essere stati di grande
aiuto alle maestranze della
fabbrica; in più l’evidente irregolarità della pianta cozza
in qualche modo contro la sorprendente cura con la quale,
invece, sono stati posati i conci di pietra che disegnano le
pareti; soprattutto quelli dell’abside che si contraddistinguono per il loro taglio preciso.
Come per la ben nota chiesa di San Nicolao a Giornico5, le
sole pareti esterne meritano un’attenta osservazione6 e alcune riflessioni sulle capacità tecnico-costruttive necessarie all’elevazione di tessiture murarie che non stancano di
stupire. Sempre Gilardoni nel suo testo – non recentissimo
ma ancora fondamentale e ricco di acute osservazioni – si
sofferma giustamente sui letti di malta che legano i singoli
conci e sul notevole spessore delle pareti, che giungono
localmente a misurare un metro e 20 centimetri: “(...) i
muri dovrebbero essere, come a Giornico, di paramenti esterni
riempiti di pietrame gettato a sacco, affogato nella malta”
(pag. 214), una metodologia costruttiva risalente almeno
all’epoca romana (Adam, pag. 137 e seg.).
Internamente, la ricchezza e
la qualità dei dipinti murali
(ad affresco e a tecniche miste), la stratificazione delle
rappresentazioni, oltre che la
presenza di arcaiche sculture
in pietra necessiterebbero di
un approfondimento a sé.
Rimandiamo per questo ai
testi già segnalati nelle note,
ricordando qui solamente
i dipinti murali più antichi
posti nelle vele delle volte
a crociera che sovrastano il
transetto (decorazioni geometriche bianche con figure zoomorfe; XIII secolo) e un
importante ciclo di dipinti dedicati alla Vita di san Carlo
Borromeo, opera della bottega di Alessandro Gorla (1620).
note
1
Arte e monumenti della Lombardia prealpina. Il Romanico, collana
a cura di V. Gilardoni, La Viscontea/Casagrande, 1967, pag. 209.
2
Bernhard Anderes, Guida d’arte della Svizzera italiana, SSAS/
Nuova Edizioni Trelingue, 1998 e agg., pag. 39; e AA .VV, Guida
d’arte della Svizzera italiana, Casagrande, 2007.
3
J.R. Rahn (1841–1912), “padre” della storia dell’arte in Svizzera.
4
Jean-Pierre Adam, L’arte di costruire presso i romani. Materiali
e tecniche, Longanesi, 1988.
5
Si veda anche Ticinosette n. 50/2009.
6
Segnaliamo le interessanti ricerche di Francesca Selcioni, Gli
animali della casa di Dio: guida al bestiario delle chiese romaniche
ticinesi (Dadò, 2002) e Le pietre raccontano: le rivelazioni della
Casa di Dio. Guida alla simbologia delle chiese di San Vittore di
Muralto e San Nicolao di Giornico (Dadò, 2009).