p.8 - Centro Studi Luca d`Agliano
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MONDO PAGINA 8 — Venerdì 9 Settembre 2005 - N. 247 UCRAINA 1 IL SOLE-24 ORE Il presidente licenzia Yulia Timoshenko, premier e partner sulle barricate - Duro colpo alla rivoluzione arancione Per Mubarak vittoria netta (70%) ma molti brogli Yuschenko caccia la zarina di Kiev Le riforme sono state paralizzate dalle rivalità di potere DI LEONARDO MAISANO il gesto di quest’ultimo a fare pre- È ipotesi credibile per nulla smen- tizzazioni, è stata devastante. l duello era cominciato al’alba cipitare l’incerta costruzione poli- tita dal sorprendente annuncio del- L’Ucraina non ha ancora sciolto della rivoluzione, stoccate av- tico-istituzionale della nuova la nomina di Yuri Yekhanurov co- un nodo centrale per il suo futuro volte appena nell’ovatta dei Ucraina. Zinchenko aveva voluto me nuovo primo ministro. assetto: quante e quali imprese sorrisi di circostanza, fendenti al prendere le distanze dalla gestione Il presidente ha scelto un nome cedute con procedure garibaldine silenziatore per non turbare i gior- del potere accusando di corruzio- fuori dal coro, amministratore na- dal vecchio regime dovranno esseni felici dell’autunno di Kiev. Yu- ne Poroshenko avvolgendo nel vigato, russo di nascita, per tra- re rinazionalizzate per essere poi lia Timoshenko e Petro Poro- dubbio le buone intenghettare il Paese verso messe nuovamente sul mercato. shenko non si sono mai amati e il zioni della democratizle elezioni politiche Petro Poroshenko, un oligarca salomonico addio dei due dalle zazione ucraina. previste nel prossimo con forti interessi nei settori straNuovo capo istituzioni del Paese è stato deciso E ora? Un ritorno al marzo. «Fino ad allora tegici del Paese, è stato accusato ieri da Viktor Yuschenko, il lea- passato, ai tempi anda- del governo è — ci aveva detto pri- di aver abusato del suo potere per der impalmato dal popolo al verti- ti di Kuchma e ma della crisi il polito- dirottare le sorti di aziende destice della repubblica. «Non posso Yanukovich è fuori diGrigory Nemyr- nate a tornare all’asta. Yekhanurov logo fare da baby sitter all’infinito — scussione anche perya advisor della TimoLa svolta di Kiev è stata salutaha detto il capo dello Stato comu- ché Yuschenko è riu- amministratore shenko sui temi di poli- ta con pubblica soddisfazione dalnicando il licenziamento di tutto scito a non farsi travoltica estera — il Paese la Russia. L’ambasciatore di Mol’esecutivo guidato dalla signora- gere dal fango che si è sarà preda di un inevi- sca Viktor Cernomyrdin non ha di origine premier e l’accoglimento delle di- alzato sulla reputaziotabile rallentamento». usato eufemismi per approvare la missioni di Poroshenko dal verti- ne di tanti suoi uomini Come dire i veri gio- decisione di Yuschenko e lo stesrussa ce del Consiglio di sicurezza na- e mantiene un tasso di chi si faranno allora so Putin s’è fatto sentire riafferzionale — credevo che fossero popolarità secondo, quando le varie fazio- mando che Mosca è «pronta a conscrezi temporanei e invece le cose forse, solo a quello che sostiene ni che hanno sostenuto la rivolta tribuire alla stabilizzazione del Panon hanno fatto altro che peggiora- Yulia Timoshenko. La zarina del- andranno alla conta sciogliendo ese». Tanta soddisfazione nasce re». E poi ha aggiunto esplicite la rivoluzione, è leader ad alto un eterogeneo cartello "per la de- dall’uscita di scena di Yulia Timoaccuse di «populismo» al solo sco- tasso di populismo ma con una mocrazia" — quale era l’insieme shenko che il Cremlino ha sempre po di farsi «propaganda» alla bion- capacità unica di raggiungere il degli oppositori del vecchio regi- detestato, ricambiato con altrettanda primo ministro con cui lui stes- cuore e la testa degli elettori. È me — in forze politiche compiute ta passione. Le accuse a Mosca so ha ingaggiato da tempo un du- stata lei l’anima della rivolta, Yu- e magari alternative tra loro. Yu- lanciate dalla signora premier furorissimo braccio di ferro. schenko ne è stato il simbolo. An- schenko nelle scorse settimane no violentissime nell’autunno Viktor Yuscorso e ancora schenko celebra nella primavera così, divorzianscorsa quando la do da Yulia TiTimoshenko dimoshenko ovvespose il blocco ro l’altra metà dei prezzi del pedella rivoluzione trolio (l’80% arancio, l’annidell’energia ucraiversario del suo na è targata Momisterioso avvesca) in reazione al lenamento che rialzo delle tariffe segnò l’avvio dei produttori rusdella rivolta posi considerato inpolare contro il giusto. Toccò a regime di LeoYuschenko internid Kuchma. Un venire, annullò il anno dopo, provvedimento e l’Ucraina esce si scusò con Moanche formalsca. Un gesto che mente dalla lunavrebbe preferito ga euforia della non dover fare e piazza e approda che aggravò ultealle miserie della riormente le diffipolitica più procili relazioni con saica. Ambizioni l’energica Yulia. di potere e inteLa coppia che ressi privatissimi cambiò il corso da mesi oscuradella storia ucraino la vita del prina cominciò a dimo governo nato vidersi allora e da dalla sollevazioquel momento in ne, ma solo ieri poi è stato un lenYuschenko ha to precipitare, sotbattuto il pugno «Non sono una baby sitter». Un ucraino in un grande magazzino di Kiev ascolta l’annuncio a reti unificate del presidente Viktor to l’occhio attene azzerato i verti- Yushchenko che ieri ha sfiduciato l’intero governo, a nove mesi di distanza dalla rivoluzione arancione (Ap) to di Petro Poroci del Paese. Fuoshenko che fortisri tutti, anche il capo dei servizi che per questo molti leggono die- aveva tentato di riunire le diverse simamente voleva il posto di presegreti Alexander Turcinov, fede- tro la rivalità Timoshenko-Poro- fazioni che lo avevano sostenuto mier tanto da ammettere nelle ore lissimo della Timoshenko che si è shenko la contrapposizione Timo- nella speranza che potessero par- della vittoria di Yuschenko che dimesso come già aveva fatto shenko-Yuschenko, essendo il pre- tecipare unite alla partita elettora- sarebbe stato lui il capo dell’esecuAlexander Zinchenko il potente sidente amico personale e grande le, ma la contrapposizione sulla tivo. Andò, invece, a Yulia e da capo dell’Amministrazione del estimatore del suo ex capo del gestione delle grandi questioni allora le sciabole non hanno mai presidente. Anzi era stato proprio Consiglio di sicurezza nazionale. economiche a partire dalle priva- cessato di incrociarsi. I I DUELLANTI/1 Timoshenko Yulia Timoshenko (Ansa) Y Yulia Timoshenko, la «regina» della rivoluzione arancione, aveva ottenuto dal presidente ucraino Viktor Yushenko la poltrona di premier, non senza polemiche. Yulia, l’affascinante quanto controversa miliardaria che aveva fatto i soldi con la compravendita di gas, era una figura non facile. Allevata da una ragazza madre in un quartiere operaio di Dnepropetrovsk, la 44enne Yulia ha scalato le vette della politica dopo quelle del business. Moglie e mamma a vent’anni, studentessa lavoratrice alla facoltà di Economia dell’Università della sua città, laureata con il massimo dei voti, entra nel rampante mondo del capitalismo post-sovietico nei primi Anni Novanta, subito dopo il crollo dell’Urss. Incomincia dalla gavetta, aprendo nella città natale un negozio per il noleggio delle videocassette, e poi si fa progressivamente largo nel settore degli idrocarburi assieme al marito, un rampollo della nomenklatura russa diventato uno degli oligarchi più facoltosi dell’Ucraina, e da lì spicca il volo verso la scena pubblica. Ma la «pasionaria di Kiev» ha conosciuto anche il carcere nel 2001 per concussione e contrabbando di gas, nell’ambito di un’inchiesta che a suo dire sarebbe stata pilotata dagli uomini del suo acerrimo nemico, il presidente Kuchma. IL VOTO IN GIAPPONE 1 IL CAIRO 1 Nella moderata glasnost che I DUELLANTI/2 Poroshenko Petro Poroshenko (Ap) 1 L’uomo accusato di aver alzato il livello di tensione nel Paese ha 40 anni e un ambizione mai nascosta: fare il primo ministro dell’Ucraina. Petro Poroshenko, magnate televisivo, grande finanziatore della rivoluzione arancio di Kiev, uno dei venti uomini più ricchi del Paese, padrino dell’ultimogenito di Viktor Yuschenko, non ha mai amato Yulia Timoshenko ma ne è diventato nemico giurato quando Viktor Yuschenko la nominò primo ministro. «Sarò io premier» aveva detto in un’intervista nelle ore in cui Yuschenko trionfava. Non fu così e si dovette accontentare della poltrona di grande coordinatore della difesa. Ora è difficile non leggere la crisi di oggi anche con la lente delle frustrazioni di allora. La convivenza fra la zarina di Kiev e Poroshenko d’altronde è sempre stata difficile. Ancor di più se si dà credito all’ipotesi che in realtà Poroshenko abbia fatto il lavoro ai fianchi della Timoshenko per conto dello stesso Yuschenko. Bagatelle per un massacro post-rivoluzionario? Forse, ma con molte schegge di verità. È certo invece che Poroshenko abbia tenuto i rapporti con gli oligarchi del vecchio regime e con quelli russi. Non solo. Secondo molti è proprio lui l’uomo scelto dal presidente per riannodare i rapporti con il Cremlino. E, dicono, ritornerà a galla presto. sta vivendo l’Egitto, anche i risultati elettorali non rispettano più gli ordini ufficiali. Prima della dichiarazione formale alla fine dello spoglio dei voti, già circolano le voci sul risultato finale delle presidenziali svoltesi mercoledì. Hosni Mubarak avrebbe ottenuto il 70% delle preferenze e l’affluenza alle urne sarebbe stata di poco superiore al 30 per cento. Sono solo anticipazioni ma rispecchiano il risultato scontato che tutti si attendevano in queste elezioni: una vittoria decisiva del presidente uscente ma che desse qualche spazio alle opposizioni. L’altro ieri l’Egitto aveva votato le prime elezioni della sua storia nella quale il leader uscente non era l’unico in lizza ma veniva sfidato da altri candidati. Nove i contendenti al mandato presidenziale di sei anni che da quattro legislature appartiene a Mubarak: tutti dirigenti di piccoli partiti egiziani. Mancava però la forza politica di opposizione più imporL’affluenza tante: i Fratelli musulmani, esclusi dal voto ordegli elettori mai da decenni ma vero convitato di pietra nelle egiziani elezioni di mercoledì, i cui esponenti sostengosarebbe stata no di essere in grado podi muovere del 30 per cento tenzialmente il 30 o 40% dell’elettorato egiziano. Oggi il Cairo I risultati ufficiali dovrebbero essere resi noti renderà noti solo oggi o al più tardi domani. Ma il 70% di prei risultati ferenze a Mubarak e il 30 affluenza alle urne, difufficiali del voto di fusi ieri, dovrebbe essere il risultato che verrà confermato. Anche se non potrebbe essere del tutto quello reale: l’affluenza degli elettori, per esempio, secondo fonti attendibili non supererebbe il 15 per cento. Anche sulle preferenze a Hosni Mubarak le opinioni sono contrastanti. Le stesse autorità egiziane hanno constatato il tentativo di brogli in alcuni seggi e numerose serie irregolarità: era difficile non trovare un seggio senza i ritratti di Mubarak all’ingresso. Proprio per questo Ayman Nour, il candidato di Ghad (Domani), un partito moderato e la forza politica più attiva dell’opposizione, ha chiesto ai giudici di annullare non solo il conteggio dei voti ma l’intera elezione. I suoi scrutatori hanno denunciato l’evidenza di massicce falsificazioni, di elettori venuti a votare più volte in seggi diversi, di minacce da parte dei rappresentanti del partito al potere di Mubarak, il Partito democratico nazionale, nei confronti degli elettori e degli osservatori degli altri partiti. La commissione elettorale, guidata da rappresentanti del governo, probabilmente non prenderà neppure in esame le denunce, per evitare una situazione spiacevole, confermando senza problemi il risultato ufficiale. R.ES. Volti giovani e femminili per il primo ministro che cerca la conferma Favorito. Junichiro Koizumi a un comizio elettorale con l’economista Yukari Sato (Ap) Sono le donne l’«arma» di Koizumi DAL NOSTRO INVIATO TOKYO 1 Poca tecnologia e tanto appello ai sentimenti. La campagna elettorale giapponese si avvia alla conclusione tra le polemiche sul vecchio divieto legislativo di propaganda attraverso Internet e il diffuso ricorso alla leva emotiva, su cui si innesta un’attenzione senza precedenti per le candidature femminili. Nel Paese della banda larga, una normativa obsoleta finalizzata a limitare le spese elettorali, impedisce a candidati e partiti nei 12 giorni della campagna ufficiale di utilizzare la comunicazione elettronica per mettersi in contatto con gli elettori: sono consentiti solo depliant cartacei e cartoline tradizionali che gonfiano il giro d’affari di Japan Post, che è poi l’oggetto primario della contesa. Così, ad esempio, il giovane tycoon del web Takafuni Horie — candidato indipendente lanciato dal premier Koizumi contro il principale oppositore alla riforma di Japan Post, Shizuka Kamei — ha dovuto sospendere il suo popolarissimo blog attraverso il quale comunicava con decine di migliaia di persone ogni giorno, proprio nel momento in cui ne avrebbe avuto più necessità. Impossibile per i partiti lanciare o aggiornare i siti Web o distribuire newsletter o i loro manifesti programmatici per via elettronica: la legge detta quello che si può fare, con proibizione di quanto non è esplicitamente consentito. Non mancano comunque alcune polemiche tra esponenti di opposti partiti, che si accusano di vari tentativi di aggirare le proibizioni (niente di plateale, comunque). Il sistema costringe dunque i candidati a muoversi freneticamente con i caratteristici pulmini zeppi di altoparlanti da un punto all’altro della circoscrizione elettorale. Finiscono spesso in posti come le stazioni o altri luoghi di aggregazione, per cui è impossibile dedurre quanto seguito abbiano dal livello di partecipazione ai comizi: passanti, curiosi e sfaccendati sono sempre una parte rilevante del pubblico. Quello che gli aspiranti politici non possono fare — è un altro divieto esplicito — è andare a trovare a casa il loro potenziale elettore. Soprattutto nelle zone rurali, è ancora presente la consuetudine che le figlie del candidato vadano da vicini e conoscen- ti a piangere, supplicando il voto. Anche le mogli dei candidati piangono parecchio, specie negli ultimi giorni della campagna, per favorire la raccolta di voti. «Sì, piango di fronte alle persone, specie quando sento una corrente simpatetica verso me e mio marito», afferma Mari Okuda, moglie di Ken, candidato per il Partito democratico in una circoscrizione di Kanazawa e figlio del noto uomo politico Keiwa. «Non è che sia una performance. Non so in Italia, ma nella nostra cultura in questi casi non è disdicevole, anzi crea una sorta di connessione interpersonale». Marisan è una moglie tradizionale, impegnata a organizzare party a supporto del marito, ma questa campagna elettorale ha visto Koizumi lanciare contro la vecchia guardia del suo partito una serie di candidature femminili di alto profilo mediatico che hanno rubato la scena all’opposizione, pur accigliando l’ala tradizionalista del partito che vede con sconcerto la promozione pubblica di donne in carriera con scarso o nullo background politico. Stando ai sondaggi che lo danno per vincitore, la strategia dei volti nuovi e spesso giovani sembra dare ragione al premier. In percentuale, il progresso delle donne è minimo, dal 12,9 al 13% del totale di 1.132 aspiranti alla Dieta, ma stampa e tv hanno dato loro un risalto senza precedenti. A Gifu va in scena la sfida tutta al femminile tra due 44enni di bella presenza: Seiko Noda — già con quattro mandati parlamentari alle spalle, ha votato contro Koizumi sulla riforma delle poste ed è stata quindi espulsa dal partito — tende a commuoversi fino alle lacrime, mentre la rivale Yukari Sato, capo economista del Csfb scelta da Koizumi, americaneggia in larghi sorrisi. Della Sato, divorziata e vissuta all’estero, la stampa scandalistica ha evidenziato la presunta pro- pensione per le relazioni con uomini sposati. L’ex reginetta di bellezza all’Università di Tokyo ed ex funzionaria del ministero delle Finanze, Satsuki Katayama, ha impressionato facendo "dogeza" (prostrazione a terra come invocazione di aiuto e, in questo caso, di voti) per 20 lunghissimi secondi, finché gli astanti, imbarazzati, non le han- no chiesto di alzarsi. Un’altra delle donne di Koizumi è Makiko Fujino, 55 anni, regina dei manicaretti e dell’economia domestica scrittrice e finora propagandista televisiva solo della buona cucina: la Martha Stewart del Giappone, insomma, se si esclude la diversa fedina penale. Ieri, in un centro di shopping a tema italiano di Nagoya, ha dato un saggio delle sue idee sulla politica, tracciandone un ardito paragone con la cucina: entrambe avrebbero a che fare «con l’amore e l’assidua dedizione agli altri». Tesi discutibile, ma non si può negare che personaggi così tendano a "umanizzare" un asettico mondo politico dominano finora da una gerontocrazia maschile. STEFANO CARRER DALLA PRIMA PAGINA Fiat, la svolta è più vicina Detto e fatto per Marchionne. L’amministratore delegato della Fiat aveva scelto il debutto della Grande Punto di martedì scorso per annunciare (anche se sarebbe meglio che intese così importanti venissero annunciate quando sono siglate) che una nuova intesa era alle porte. Ma nessuno immaginava che fosse questione di ore. La velocità di realizzazione è piaciuta alla Borsa che ha subito fiutato l’aria spingendo il titolo Fiat oltre la soglia record di 7,5 euro per azione. Ma oltre alla rapidità di esecuzione è la qualità del futuro accordo, che permetterà di abbassare i costi di produzione della Panda e della Nuova 500 senza legare troppo le mani alla Fiat, a elettrizzare il mercato. Il rilancio del Lingotto non è ancora una realtà ma comincia a essere qualcosa di più di una speranza. In pochi mesi la cura Marchionne ha posto le basi della riscossa sia finanziaria che industriale. Prima la Fiat ha chiuso la partita con Gm negoziando un vantaggiosissimo divorzio. Poi ha completato gli accordi con le banche per l’esercizio nel corso di settembre del prestito convertendo da 3 miliardi di euro che, insieme alla vendita delle partecipazioni in Italenergia, permetterà di dare un taglio secco ai debiti. Infine sono arrivati i nuovi modelli, dalla Panda alla Croma e soprattutto alla nuova Punto, su cui si gioca tutta la scommessa di rilancio dell’auto e dell’intero gruppo torinese. Adesso l’accordo con Ford Europe apre la strada alla stagione delle intese industriali, molto specifiche, magari a tempo e talmente spregiudicate da non escludere flirt con partner anche molto diversi. Come è successo a Toyota e Peugeot, due case che più lontane non potrebbero essere, ma che in Romania producono un’auto insieme. Fiat e Ford faranno lo stesso in Polonia. Se questo basterà a portare la casa torinese fuori dal tunnel dovrà essere il mercato a dirlo, ma il Lingotto è tornato in partita. Anche nei momenti più bui, il nuovo management ha sempre avuto chiarissimo che l’origine della crisi della multinazionale si annidava nel suo core business e che per venirne fuori bisognava tornare a produrre e soprattutto a vendere belle auto. Solo che finora era mancato il prodotto. Ora la Fiat si gioca il futuro sul campo. E in un Paese che di grandi gruppi ne ha ormai pochissimi la sua ripresa è un segnale incoraggiante. L’Italia, per fortuna, non si ferma alla crisi di Via Nazionale. FRANCO LOCATELLI della Commissione europea del regime di protezione nei confronti della Cina ha, se non altro, il merito di ricordarci che il tema è ancora aperto. Le troppe toppe, malamente cucite, sulle importazioni cinesi difficilmente reggeranno al prossimo strappo. Rimane irrisolto il contenzioso fra i Paesi membri. Da un lato vi sono i Paesi del Nord Europa, consumatori più che produttori di tessile e abbigliamento, e quindi interessati ad acquistare a prezzi competitivi sui mercati mondiali. Dall’altro, i Paesi dell’Europa meridionale, produttori netti di tali beni, e di conseguenza esposti a una riduzione dei loro prezzi sul mercato europeo e mondiale. È una situazione per molti versi analoga a quella degli Stati Uniti dove agli interessi degli Stati specializzati nella produzione di beni tessili si contrappongono quelli degli Stati prevalentemente consu- Uno strappo mal cucito matori. Nel complesso, però, come dimostrano non solo considerazioni meramente teoriche ma anche numerosi e dettagliati studi empirici, l’Europa trarrebbe benefici di tutto rilievo dalla piena liberalizzazione del settore. I vantaggi per i consumatori infatti più che compenserebbero i costi per le imprese. Anche molti produttori, con un’accorta politica di marchi, qualità, internazionalizzazione e ristrutturazione aziendale, trarrebbero grandi benefici dall’apertura dei mercati. Allo stesso tempo, indubbiamente, è possibile che per alcuni Paesi produttori l’effetto economico sia nel suo complesso, soprattutto nel breve periodo, di segno negativo. Come risolvere quindi questo apparente dilemma fra un beneficio per l’Unione europea nel suo complesso e un possibile costo per alcuni suoi membri? La risposta degli economisti è forse deludente nella sua estrema semplicità: attraverso un sistema di trasferimenti a favore dei Paesi che dal processo di liberalizzazione non traggono benefici netti. Compensando i Paesi produttori per i costi provocati dall’apertura dei mercati alle importazioni si supererebbero le resistenze all’attuazione di una misura di interesse generale. Il bilancio dell’Unione potrebbe essere proficuamente utilizzato allo scopo, come già proposto dal Rapporto Sapir. Uno sguardo agli Stati Uniti, in cui il bilancio federale viene ripetutamente utilizzato per smussare le resistenze settoriali e geografiche all’introduzione di una misura di interesse generale, conferma la bontà di tale strategia. Il rapporto Sapir, pur riconoscendo che le politiche nei confronti della disoccupazione sono principalmente di pertinenza dei governi nazionali, nondimeno propugna la creazione di uno schema a livello europeo volto ad agevolare i processi di ristrutturazione settoriali. I fondi europei potrebbero essere utilizzati soprattutto nel caso dei settori più esposti ai mutamenti nelle condizioni di mercato a livello internazionale. Nel caso degli Stati Uniti, i lavoratori del settore manifatturiero spiazzati dalle importazioni e costretti ad accettare un lavoro con un salario ridotto ricevono un sussidio pari al 50% della differenza fra la vecchia e la nuova remunerazione. Il vantaggio di questo schema è che incentiva la mobilità dei lavoratori, lo svantaggio è che crea un incentivo a occultare una parte della remunerazione nella nuova occupazione. In ogni caso, rimane il fatto che un intervento europeo in questa materia sarebbe particolarmente rilevante per l’Italia, data l’assenza di ammortizzatori sociali degno di questo nome. È auspicabile quindi che ministri e funzionari italiani che si sono succeduti a Bruxelles in questi giorni per contrattare sul numero di pantaloni, camicie e reggiseni importati si facciano portatori di questa proposta. È illusorio pensare che questa misura possa da sola risolvere definitivamente il contenzioso fra gli Stati membri. Nondimeno, sarebbe un passo avanti verso una migliore gestione dei problemi di transizione del settore e, soprattutto, una dimostrazione del ruolo che le istituzioni europee possono e devono svolgere. RICCARDO FAINI