p.8 - Centro Studi Luca d`Agliano

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p.8 - Centro Studi Luca d`Agliano
MONDO
PAGINA 8 — Venerdì 9 Settembre 2005 - N. 247
UCRAINA
1
IL SOLE-24 ORE
Il presidente licenzia Yulia Timoshenko, premier e partner sulle barricate - Duro colpo alla rivoluzione arancione
Per Mubarak
vittoria netta
(70%) ma
molti brogli
Yuschenko caccia la zarina di Kiev
Le riforme sono state paralizzate dalle rivalità di potere
DI LEONARDO MAISANO
il gesto di quest’ultimo a fare pre- È ipotesi credibile per nulla smen- tizzazioni, è stata devastante.
l duello era cominciato al’alba cipitare l’incerta costruzione poli- tita dal sorprendente annuncio del- L’Ucraina non ha ancora sciolto
della rivoluzione, stoccate av- tico-istituzionale della nuova la nomina di Yuri Yekhanurov co- un nodo centrale per il suo futuro
volte appena nell’ovatta dei Ucraina. Zinchenko aveva voluto me nuovo primo ministro.
assetto: quante e quali imprese
sorrisi di circostanza, fendenti al prendere le distanze dalla gestione
Il presidente ha scelto un nome cedute con procedure garibaldine
silenziatore per non turbare i gior- del potere accusando di corruzio- fuori dal coro, amministratore na- dal vecchio regime dovranno esseni felici dell’autunno di Kiev. Yu- ne Poroshenko avvolgendo nel vigato, russo di nascita, per tra- re rinazionalizzate per essere poi
lia Timoshenko e Petro Poro- dubbio le buone intenghettare il Paese verso messe nuovamente sul mercato.
shenko non si sono mai amati e il zioni della democratizle elezioni politiche Petro Poroshenko, un oligarca
salomonico addio dei due dalle zazione ucraina.
previste nel prossimo con forti interessi nei settori straNuovo
capo
istituzioni del Paese è stato deciso
E ora? Un ritorno al
marzo. «Fino ad allora tegici del Paese, è stato accusato
ieri da Viktor Yuschenko, il lea- passato, ai tempi anda- del governo è — ci aveva detto pri- di aver abusato del suo potere per
der impalmato dal popolo al verti- ti di Kuchma e
ma della crisi il polito- dirottare le sorti di aziende destice della repubblica. «Non posso Yanukovich è fuori diGrigory Nemyr- nate a tornare all’asta.
Yekhanurov logo
fare da baby sitter all’infinito — scussione anche perya advisor della TimoLa svolta di Kiev è stata salutaha detto il capo dello Stato comu- ché Yuschenko è riu- amministratore shenko sui temi di poli- ta con pubblica soddisfazione dalnicando il licenziamento di tutto scito a non farsi travoltica estera — il Paese la Russia. L’ambasciatore di Mol’esecutivo guidato dalla signora- gere dal fango che si è
sarà preda di un inevi- sca Viktor Cernomyrdin non ha
di origine
premier e l’accoglimento delle di- alzato sulla reputaziotabile rallentamento». usato eufemismi per approvare la
missioni di Poroshenko dal verti- ne di tanti suoi uomini
Come dire i veri gio- decisione di Yuschenko e lo stesrussa
ce del Consiglio di sicurezza na- e mantiene un tasso di
chi si faranno allora so Putin s’è fatto sentire riafferzionale — credevo che fossero popolarità
secondo,
quando le varie fazio- mando che Mosca è «pronta a conscrezi temporanei e invece le cose forse, solo a quello che sostiene ni che hanno sostenuto la rivolta tribuire alla stabilizzazione del Panon hanno fatto altro che peggiora- Yulia Timoshenko. La zarina del- andranno alla conta sciogliendo ese». Tanta soddisfazione nasce
re». E poi ha aggiunto esplicite la rivoluzione, è leader ad alto un eterogeneo cartello "per la de- dall’uscita di scena di Yulia Timoaccuse di «populismo» al solo sco- tasso di populismo ma con una mocrazia" — quale era l’insieme shenko che il Cremlino ha sempre
po di farsi «propaganda» alla bion- capacità unica di raggiungere il degli oppositori del vecchio regi- detestato, ricambiato con altrettanda primo ministro con cui lui stes- cuore e la testa degli elettori. È me — in forze politiche compiute ta passione. Le accuse a Mosca
so ha ingaggiato da tempo un du- stata lei l’anima della rivolta, Yu- e magari alternative tra loro. Yu- lanciate dalla signora premier furorissimo braccio di ferro.
schenko ne è stato il simbolo. An- schenko nelle scorse settimane no violentissime nell’autunno
Viktor
Yuscorso e ancora
schenko celebra
nella primavera
così, divorzianscorsa quando la
do da Yulia TiTimoshenko dimoshenko ovvespose il blocco
ro l’altra metà
dei prezzi del pedella rivoluzione
trolio
(l’80%
arancio, l’annidell’energia ucraiversario del suo
na è targata Momisterioso avvesca) in reazione al
lenamento che
rialzo delle tariffe
segnò
l’avvio
dei produttori rusdella rivolta posi considerato inpolare contro il
giusto. Toccò a
regime di LeoYuschenko internid Kuchma. Un
venire, annullò il
anno
dopo,
provvedimento e
l’Ucraina esce
si scusò con Moanche formalsca. Un gesto che
mente dalla lunavrebbe preferito
ga euforia della
non dover fare e
piazza e approda
che aggravò ultealle miserie della
riormente le diffipolitica più procili relazioni con
saica. Ambizioni
l’energica Yulia.
di potere e inteLa coppia che
ressi privatissimi
cambiò il corso
da mesi oscuradella storia ucraino la vita del prina cominciò a dimo governo nato
vidersi allora e da
dalla sollevazioquel momento in
ne, ma solo ieri
poi è stato un lenYuschenko ha
to precipitare, sotbattuto il pugno «Non sono una baby sitter». Un ucraino in un grande magazzino di Kiev ascolta l’annuncio a reti unificate del presidente Viktor
to l’occhio attene azzerato i verti- Yushchenko che ieri ha sfiduciato l’intero governo, a nove mesi di distanza dalla rivoluzione arancione (Ap)
to di Petro Poroci del Paese. Fuoshenko che fortisri tutti, anche il capo dei servizi che per questo molti leggono die- aveva tentato di riunire le diverse simamente voleva il posto di presegreti Alexander Turcinov, fede- tro la rivalità Timoshenko-Poro- fazioni che lo avevano sostenuto mier tanto da ammettere nelle ore
lissimo della Timoshenko che si è shenko la contrapposizione Timo- nella speranza che potessero par- della vittoria di Yuschenko che
dimesso come già aveva fatto shenko-Yuschenko, essendo il pre- tecipare unite alla partita elettora- sarebbe stato lui il capo dell’esecuAlexander Zinchenko il potente sidente amico personale e grande le, ma la contrapposizione sulla tivo. Andò, invece, a Yulia e da
capo dell’Amministrazione del estimatore del suo ex capo del gestione delle grandi questioni allora le sciabole non hanno mai
presidente. Anzi era stato proprio Consiglio di sicurezza nazionale. economiche a partire dalle priva- cessato di incrociarsi.
I
I DUELLANTI/1
Timoshenko
Yulia Timoshenko (Ansa)
Y Yulia Timoshenko, la «regina»
della rivoluzione arancione, aveva
ottenuto dal presidente ucraino
Viktor Yushenko la poltrona di
premier, non senza polemiche.
Yulia, l’affascinante quanto
controversa miliardaria che aveva
fatto i soldi con la compravendita
di gas, era una figura non facile.
Allevata da una ragazza madre in
un quartiere operaio di
Dnepropetrovsk, la 44enne Yulia
ha scalato le vette della politica
dopo quelle del business. Moglie
e mamma a vent’anni,
studentessa lavoratrice alla
facoltà di Economia dell’Università
della sua città, laureata con il
massimo dei voti, entra nel
rampante mondo del capitalismo
post-sovietico nei primi Anni
Novanta, subito dopo il crollo
dell’Urss. Incomincia dalla
gavetta, aprendo nella città natale
un negozio per il noleggio delle
videocassette, e poi si fa
progressivamente largo nel
settore degli idrocarburi assieme
al marito, un rampollo della
nomenklatura russa diventato uno
degli oligarchi più facoltosi
dell’Ucraina, e da lì spicca il volo
verso la scena pubblica. Ma la
«pasionaria di Kiev» ha conosciuto
anche il carcere nel 2001 per
concussione e contrabbando di
gas, nell’ambito di un’inchiesta
che a suo dire sarebbe stata
pilotata dagli uomini del suo
acerrimo nemico, il presidente
Kuchma.
IL VOTO IN GIAPPONE
1
IL CAIRO 1 Nella moderata glasnost che
I DUELLANTI/2
Poroshenko
Petro Poroshenko (Ap)
1 L’uomo accusato di aver
alzato il livello di tensione nel
Paese ha 40 anni e un ambizione
mai nascosta: fare il primo ministro
dell’Ucraina. Petro Poroshenko,
magnate televisivo, grande
finanziatore della rivoluzione
arancio di Kiev, uno dei venti
uomini più ricchi del Paese,
padrino dell’ultimogenito di Viktor
Yuschenko, non ha mai amato
Yulia Timoshenko ma ne è
diventato nemico giurato quando
Viktor Yuschenko la nominò primo
ministro. «Sarò io premier» aveva
detto in un’intervista nelle ore
in cui Yuschenko trionfava.
Non fu così e si dovette
accontentare della poltrona di
grande coordinatore della difesa.
Ora è difficile non leggere la crisi
di oggi anche con la lente delle
frustrazioni di allora.
La convivenza fra la zarina di Kiev
e Poroshenko d’altronde è sempre
stata difficile. Ancor di più se si dà
credito all’ipotesi che in realtà
Poroshenko abbia fatto il lavoro ai
fianchi della Timoshenko per conto
dello stesso Yuschenko. Bagatelle
per un massacro
post-rivoluzionario? Forse, ma con
molte schegge di verità. È certo
invece che Poroshenko abbia
tenuto i rapporti con gli oligarchi
del vecchio regime e con quelli
russi. Non solo. Secondo molti è
proprio lui l’uomo scelto dal
presidente per riannodare i rapporti
con il Cremlino. E, dicono, ritornerà
a galla presto.
sta vivendo l’Egitto, anche i risultati elettorali non rispettano più gli ordini ufficiali.
Prima della dichiarazione formale alla fine
dello spoglio dei voti, già circolano le
voci sul risultato finale delle presidenziali
svoltesi mercoledì. Hosni Mubarak avrebbe ottenuto il 70% delle preferenze e l’affluenza alle urne sarebbe stata di poco
superiore al 30 per cento.
Sono solo anticipazioni ma rispecchiano il risultato scontato che tutti si attendevano in queste elezioni: una vittoria decisiva del presidente uscente ma che desse
qualche spazio alle opposizioni. L’altro
ieri l’Egitto aveva votato le prime elezioni della sua storia nella quale il leader
uscente non era l’unico in lizza ma veniva sfidato da altri candidati. Nove i contendenti al mandato presidenziale di sei
anni che da quattro legislature appartiene
a Mubarak: tutti dirigenti di piccoli partiti egiziani. Mancava però la forza politica di
opposizione più imporL’affluenza
tante: i Fratelli musulmani, esclusi dal voto ordegli elettori
mai da decenni ma vero
convitato di pietra nelle
egiziani
elezioni di mercoledì, i
cui esponenti sostengosarebbe stata
no di essere in grado podi muovere
del 30 per cento tenzialmente
il 30 o 40% dell’elettorato egiziano.
Oggi il Cairo
I risultati ufficiali dovrebbero essere resi noti
renderà noti
solo oggi o al più tardi
domani. Ma il 70% di prei risultati
ferenze a Mubarak e il 30
affluenza alle urne, difufficiali del voto di
fusi ieri, dovrebbe essere
il risultato che verrà confermato. Anche se non potrebbe essere del
tutto quello reale: l’affluenza degli elettori,
per esempio, secondo fonti attendibili non
supererebbe il 15 per cento. Anche sulle
preferenze a Hosni Mubarak le opinioni
sono contrastanti. Le stesse autorità egiziane hanno constatato il tentativo di brogli in
alcuni seggi e numerose serie irregolarità:
era difficile non trovare un seggio senza i
ritratti di Mubarak all’ingresso.
Proprio per questo Ayman Nour, il candidato di Ghad (Domani), un partito moderato e la forza politica più attiva dell’opposizione, ha chiesto ai giudici di annullare non solo il conteggio dei voti ma l’intera elezione. I suoi scrutatori hanno denunciato l’evidenza di massicce falsificazioni, di elettori venuti a votare più volte in
seggi diversi, di minacce da parte dei
rappresentanti del partito al potere di Mubarak, il Partito democratico nazionale,
nei confronti degli elettori e degli osservatori degli altri partiti.
La commissione elettorale, guidata da
rappresentanti del governo, probabilmente non prenderà neppure in esame le
denunce, per evitare una situazione spiacevole, confermando senza problemi il
risultato ufficiale.
R.ES.
Volti giovani e femminili per il primo ministro che cerca la conferma
Favorito. Junichiro
Koizumi a un comizio
elettorale con
l’economista Yukari Sato
(Ap)
Sono le donne l’«arma» di Koizumi
DAL NOSTRO INVIATO
TOKYO 1 Poca tecnologia e tanto
appello ai sentimenti. La campagna
elettorale giapponese si avvia alla
conclusione tra le polemiche sul
vecchio divieto legislativo di propaganda attraverso Internet e il diffuso
ricorso alla leva emotiva, su cui si
innesta un’attenzione senza precedenti per le candidature femminili.
Nel Paese della banda larga, una
normativa obsoleta finalizzata a limitare le spese elettorali, impedisce
a candidati e partiti nei 12 giorni
della campagna ufficiale di utilizzare la comunicazione elettronica per
mettersi in contatto con gli elettori:
sono consentiti solo depliant cartacei e cartoline tradizionali che gonfiano il giro d’affari di Japan Post,
che è poi l’oggetto primario della
contesa. Così, ad esempio, il giovane tycoon del web Takafuni Horie
— candidato indipendente lanciato
dal premier Koizumi contro il principale oppositore alla riforma di Japan Post, Shizuka Kamei — ha
dovuto sospendere il suo popolarissimo blog attraverso il quale comunicava con decine di migliaia di
persone ogni giorno, proprio nel
momento in cui ne avrebbe avuto
più necessità. Impossibile per i partiti lanciare o aggiornare i siti Web
o distribuire newsletter o i loro manifesti programmatici per via elettronica: la legge detta quello che si
può fare, con proibizione di quanto
non è esplicitamente consentito.
Non mancano comunque alcune polemiche tra esponenti di opposti partiti, che si accusano di vari tentativi
di aggirare le proibizioni (niente di
plateale, comunque).
Il sistema costringe dunque i candidati a muoversi freneticamente
con i caratteristici pulmini zeppi di
altoparlanti da un punto all’altro della circoscrizione elettorale. Finiscono spesso in posti come le stazioni
o altri luoghi di aggregazione, per
cui è impossibile dedurre quanto
seguito abbiano dal livello di partecipazione ai comizi: passanti, curiosi e sfaccendati sono sempre una
parte rilevante del pubblico. Quello
che gli aspiranti politici non possono fare — è un altro divieto esplicito — è andare a trovare a casa il
loro potenziale elettore. Soprattutto
nelle zone rurali, è ancora presente
la consuetudine che le figlie del candidato vadano da vicini e conoscen-
ti a piangere, supplicando il voto.
Anche le mogli dei candidati
piangono parecchio, specie negli ultimi giorni della campagna, per favorire la raccolta di voti. «Sì, piango di fronte alle persone, specie
quando sento una corrente simpatetica verso me e mio marito», afferma
Mari Okuda, moglie di Ken, candidato per il Partito democratico in
una circoscrizione di Kanazawa e
figlio del noto uomo politico
Keiwa. «Non è che sia una performance. Non so in Italia, ma nella
nostra cultura in questi casi non è
disdicevole, anzi crea una sorta di
connessione interpersonale». Marisan è una moglie tradizionale, impegnata a organizzare party a supporto del marito, ma questa campagna
elettorale ha visto Koizumi lanciare
contro la vecchia guardia del suo
partito una serie di candidature femminili di alto profilo mediatico che
hanno rubato la scena all’opposizione, pur accigliando l’ala tradizionalista del partito che vede con sconcerto la promozione pubblica di donne
in carriera con scarso o nullo background politico. Stando ai sondaggi
che lo danno per vincitore, la strategia dei volti nuovi e spesso giovani
sembra dare ragione al premier.
In percentuale, il progresso delle
donne è minimo, dal 12,9 al 13%
del totale di 1.132 aspiranti alla
Dieta, ma stampa e tv hanno dato
loro un risalto senza precedenti. A
Gifu va in scena la sfida tutta al
femminile tra due 44enni di bella
presenza: Seiko Noda — già con
quattro mandati parlamentari alle
spalle, ha votato contro Koizumi
sulla riforma delle poste ed è stata
quindi espulsa dal partito — tende
a commuoversi fino alle lacrime,
mentre la rivale Yukari Sato, capo
economista del Csfb scelta da
Koizumi, americaneggia in larghi
sorrisi. Della Sato, divorziata e vissuta all’estero, la stampa scandalistica ha evidenziato la presunta pro-
pensione per le relazioni con uomini sposati. L’ex reginetta di bellezza all’Università di Tokyo ed ex
funzionaria del ministero delle Finanze, Satsuki Katayama, ha impressionato facendo "dogeza" (prostrazione a terra come invocazione
di aiuto e, in questo caso, di voti)
per 20 lunghissimi secondi, finché
gli astanti, imbarazzati, non le han-
no chiesto di alzarsi. Un’altra delle
donne di Koizumi è Makiko Fujino, 55 anni, regina dei manicaretti
e dell’economia domestica scrittrice e finora propagandista televisiva
solo della buona cucina: la Martha
Stewart del Giappone, insomma, se
si esclude la diversa fedina penale.
Ieri, in un centro di shopping a
tema italiano di Nagoya, ha dato
un saggio delle sue idee sulla politica, tracciandone un ardito paragone con la cucina: entrambe avrebbero a che fare «con l’amore e
l’assidua dedizione agli altri». Tesi
discutibile, ma non si può negare
che personaggi così tendano a
"umanizzare" un asettico mondo
politico dominano finora da una
gerontocrazia maschile.
STEFANO CARRER
DALLA PRIMA PAGINA
Fiat, la svolta è più vicina
Detto e fatto per Marchionne.
L’amministratore delegato della
Fiat aveva scelto il debutto della
Grande Punto di martedì scorso per
annunciare (anche se sarebbe meglio che intese così importanti venissero annunciate quando sono siglate) che una nuova intesa era alle
porte. Ma nessuno immaginava che
fosse questione di ore. La velocità
di realizzazione è piaciuta alla Borsa che ha subito fiutato l’aria spingendo il titolo Fiat oltre la soglia
record di 7,5 euro per azione. Ma
oltre alla rapidità di esecuzione è la
qualità del futuro accordo, che permetterà di abbassare i costi di produzione della Panda e della Nuova 500
senza legare troppo le mani alla
Fiat, a elettrizzare il mercato.
Il rilancio del Lingotto non è ancora una realtà ma comincia a essere qualcosa di più di una speranza.
In pochi mesi la cura Marchionne
ha posto le basi della riscossa sia
finanziaria che industriale. Prima la
Fiat ha chiuso la partita con Gm
negoziando un vantaggiosissimo divorzio. Poi ha completato gli accordi con le banche per l’esercizio nel
corso di settembre del prestito convertendo da 3 miliardi di euro che,
insieme alla vendita delle partecipazioni in Italenergia, permetterà di
dare un taglio secco ai debiti. Infine
sono arrivati i nuovi modelli, dalla
Panda alla Croma e soprattutto alla
nuova Punto, su cui si gioca tutta la
scommessa di rilancio dell’auto e
dell’intero gruppo torinese. Adesso
l’accordo con Ford Europe apre la
strada alla stagione delle intese industriali, molto specifiche, magari a
tempo e talmente spregiudicate da
non escludere flirt con partner anche molto diversi. Come è successo
a Toyota e Peugeot, due case che
più lontane non potrebbero essere,
ma che in Romania producono
un’auto insieme. Fiat e Ford faranno
lo stesso in Polonia. Se questo basterà a portare la casa torinese fuori dal
tunnel dovrà essere il mercato a dirlo, ma il Lingotto è tornato in partita. Anche nei momenti più bui, il
nuovo management ha sempre avuto chiarissimo che l’origine della
crisi della multinazionale si annidava nel suo core business e che per
venirne fuori bisognava tornare a
produrre e soprattutto a vendere belle auto. Solo che finora era mancato
il prodotto. Ora la Fiat si gioca il
futuro sul campo. E in un Paese che
di grandi gruppi ne ha ormai pochissimi la sua ripresa è un segnale incoraggiante. L’Italia, per fortuna, non
si ferma alla crisi di Via Nazionale.
FRANCO LOCATELLI
della Commissione europea del
regime di protezione nei confronti
della Cina ha, se non altro, il merito di ricordarci che il tema è ancora aperto. Le troppe toppe, malamente cucite, sulle importazioni
cinesi difficilmente reggeranno al
prossimo strappo.
Rimane irrisolto il contenzioso
fra i Paesi membri. Da un lato vi
sono i Paesi del Nord Europa, consumatori più che produttori di tessile e abbigliamento, e quindi interessati ad acquistare a prezzi competitivi sui mercati mondiali.
Dall’altro, i Paesi dell’Europa meridionale, produttori netti di tali
beni, e di conseguenza esposti a
una riduzione dei loro prezzi sul
mercato europeo e mondiale. È
una situazione per molti versi analoga a quella degli Stati Uniti dove agli interessi degli Stati specializzati nella produzione di beni
tessili si contrappongono quelli degli Stati prevalentemente consu-
Uno strappo mal cucito
matori. Nel complesso, però, come dimostrano non solo considerazioni meramente teoriche ma anche numerosi e dettagliati studi
empirici, l’Europa trarrebbe benefici di tutto rilievo dalla piena liberalizzazione del settore. I vantaggi
per i consumatori infatti più che
compenserebbero i costi per le imprese. Anche molti produttori,
con un’accorta politica di marchi,
qualità, internazionalizzazione e
ristrutturazione aziendale, trarrebbero grandi benefici dall’apertura
dei mercati. Allo stesso tempo,
indubbiamente, è possibile che
per alcuni Paesi produttori l’effetto economico sia nel suo complesso, soprattutto nel breve periodo,
di segno negativo.
Come risolvere quindi questo
apparente dilemma fra un beneficio per l’Unione europea nel suo
complesso e un possibile costo
per alcuni suoi membri? La risposta degli economisti è forse deludente nella sua estrema semplicità: attraverso un sistema di trasferimenti a favore dei Paesi che dal
processo di liberalizzazione non
traggono benefici netti. Compensando i Paesi produttori per i costi
provocati dall’apertura dei mercati alle importazioni si supererebbero le resistenze all’attuazione di
una misura di interesse generale.
Il bilancio dell’Unione potrebbe
essere proficuamente utilizzato allo scopo, come già proposto dal
Rapporto Sapir.
Uno sguardo agli Stati Uniti, in
cui il bilancio federale viene ripetutamente utilizzato per smussare
le resistenze settoriali e geografiche all’introduzione di una misura
di interesse generale, conferma la
bontà di tale strategia. Il rapporto
Sapir, pur riconoscendo che le politiche nei confronti della disoccupazione sono principalmente di
pertinenza dei governi nazionali,
nondimeno propugna la creazione
di uno schema a livello europeo
volto ad agevolare i processi di
ristrutturazione settoriali. I fondi
europei potrebbero essere utilizzati soprattutto nel caso dei settori
più esposti ai mutamenti nelle condizioni di mercato a livello internazionale. Nel caso degli Stati
Uniti, i lavoratori del settore manifatturiero spiazzati dalle importazioni e costretti ad accettare un
lavoro con un salario ridotto ricevono un sussidio pari al 50% della differenza fra la vecchia e la
nuova remunerazione. Il vantaggio di questo schema è che incentiva la mobilità dei lavoratori, lo
svantaggio è che crea un incentivo a occultare una parte della remunerazione nella nuova occupazione. In ogni caso, rimane il fatto
che un intervento europeo in questa materia sarebbe particolarmente rilevante per l’Italia, data l’assenza di ammortizzatori sociali degno di questo nome.
È auspicabile quindi che ministri e funzionari italiani che si sono succeduti a Bruxelles in questi
giorni per contrattare sul numero
di pantaloni, camicie e reggiseni
importati si facciano portatori di
questa proposta. È illusorio pensare che questa misura possa da sola
risolvere definitivamente il contenzioso fra gli Stati membri. Nondimeno, sarebbe un passo avanti
verso una migliore gestione dei
problemi di transizione del settore
e, soprattutto, una dimostrazione
del ruolo che le istituzioni europee possono e devono svolgere.
RICCARDO FAINI