Lewis, Tyson, LeBron

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Lewis, Tyson, LeBron
IL LASCITO MORALE E SPORTIVO
Lewis, Tyson, LeBron:
ogni atleta afroamericano
lo ha avuto come «coach»
Oscar Eleni
| Vai a dormire col magone, ma
al risveglio sorridi stringendo
uno dei tanti libri sulla vita di Muhammad Ali amato dagli dei, che
aveva stracciato il suo nome da
schiavo, quello di Marcellus Cassius Clay ragazzo di Louisville.
Per gente come lui la morte non è
nulla. Vivrà per sempre. Nel cuore di chi lo ha amato, persino in
quello dei tanti nemici che aveva
trovato per sttada, anche se non
è vero che gettò nell'Ohio la medaglia d'oro vinta alle Olimpiadi
di Roma nel 1960, bello come un
profeta, mentre è verissimo che
col primo pugno, a 2 anni, ruppe
due denti a sua madre.
Prima di Ali i campioni afroamericani dell'America, che li faceva comunque svestire in spogliatoi separati, hanno incrinato vetri, ma lui ha sfondato il muro
dell'ipocrisia. Sì, certo Jesse
Owens che stordisce un regime ai
Giochi di Berlino 1936, ma poi
molti tormenti. Vero che il baseball non fu più lo stesso quando
in battuta ammisero Jackie Robinson, che il basket scoprì i tutti neri del Texas Western College, ma
erano sempre viaggi nel sogno
dell'impossibile coesistenza, toccate e fuga. Ancora oggi.
Ali prima del sacrificio di Tommie Smith e John Carlos a Messico '68, le prime olimpiadi nel san-
gue, ma quel pugno chiuso sul
podio dovettero usarlo al villaggio per difendersi dal razzismo
mascherato e anche dopo quando lo sport americano fece molto
per nasconderli o, peggio, dimenticarli anche se la storia era stata
scritta da loro.
Come dicono gli esperti non è
stato il più grande pugile della storia, ma sicuramente l'uomo che
ha cambiato tutto. Non soltanto
per la boxe, sport vero, ma crudele, problematico. Nei messaggi di
cordoglio tutti i grandi dei vari
sport si sono inchinati e, appoggiando l'orecchio a terra hanno
voluto sentire ancora le sue parole, quelle che convinsero la corte
suprema degli Stati Uniti a scagionarlo dall'accusa di aver disertato la guerra infame nel Vietnam.
LeBron James, il cestita più famoso del momento, non ha cercato scorciatoie: «Senza di lui
non avrei mai potuto esserci». Devono pensarla così tutti gli altri
perché come hanno detto i coniugi Obama nel messaggio d'addio
«ha combattuto per i diritti della
gente, aiutandoci a migliorare il
mondo». Nessun altro ha avuto o
avrà un congedo del genere da
un vero potente della terra. Come lo ritrovi uno che ad Atlanta
nel 1996 ci ha acceso una fiamma
da portare sempre ovunque siamo andati a cercare storie di
sport?
IL PRIMO
È stato l'unico capace
di rompere il muro
delle differenze razziali
Abbiamo rivisto la sua arte in
tantissimi campioni dello sport
statunitense, perché Cari Lewis
era divino, Michael Johnson ci ha
stregato coi suoi giri di pista, un
regno tutto loro per velocisti, saltatori, ma nessuna voce così bella
da sentire, anche perché se Ali
metteva la faccia davanti ad ogni
tipo di diretto molti di questi nuovi, nell'atletica, nel baseball, nel
basket, hanno cercato di schivare
il colpo cercando altrove.
Non era perfetto, lo sapeva, ma
a tutti ha lasciato qualcosa. Non è
poco davvero. Ora dovranno cercare altrove l'ispirazione quelli
che non hanno capito, soprattutto nel grande sport americano,
che il campione non si costruisce
in palestra o sul campo, ma cercando una visione, andando nel
profondo. Questo era il messaggio come dice Kobe Bryant che si
è ritirato proprio quest'anno e ha
trovato ghirlande di fiori su ogni
campo dove era stato Attila.
Quando mai la boxe troverà un
gigante capace di cambiare la vita degli uomini che ha battuto e
Foreman lo benedice ancora oggi
e Mike Tyson che sul ring non
aveva pietà ha riscoperto qualcosa studiando Ali convinto che gli
dei abbiano voluto riprendersi il
loro campione costretto a combattere contro le umiliazioni del
tremolio parldnsoniano.
MODELLO Muhammad Ali
in posa. In piccolo LeBron
lames e Mike Tyson
—
Dirilli, ma senza perdere l'identità |
Non fate di Ali un'icona buonlsta 5