cinemazeronotizie ottobre 2010

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cinemazeronotizie ottobre 2010
E 1,00
mensile di cultura cinematografica
Un linguaggio universale per tutti i gusti e le età
In occasione delle Giornate un programma dedicato alle scuole di ogni ordine e grado
Le incredibili meraviglie delle Giornate!
Dal 2 al 9 ottobre la 29ma edizione delle Giornate del Cinema Muto
Il volto spensierato dell'Africa
Ad ottobre la quarta rassegna del cinema africano
Una cena grondante sangue
Domenica 31 ottobre, per la notte di Halloween, una serata davvero speciale
Inglourious Basterds e il cuore del cinema tarantiniano
Scrivere di cinema 2010: la recensione vincitrice della sezione Triennio
La bocca del lupo e la poetica di Pietro Marcello
Scrivere di cinema 2010: la recensione vincitrice della sezione Under 28
2010 numero 9 anno XXX
A proposito di organizzazione
Ottobre
10
Die Deutschen über alles?
Apartheid femminile nella repubblica dell'Iran
Il 29 e il 30 ottobre a Pordenone una grande manifestazione anti apartheid
Domani accadrà
Ovvero se non si va non si vede
spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45%
contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Die Deutschen über alles?
Un linguaggio universale
per tutti i gusti e le età
Al FilmFestSpiele di Berlino il pubblico non fa la coda per entrare al cinema. E se la fa, dura pochi minuti e tutti hanno la sicurezza di entrare in quanto hanno il biglietto in mano. Sarà che si
svolge a febbraio e fa freddo, fatto sta che un’organizzazione precisa ed informatizzata da anni assicura il normale svolgimento di
una manifestazione che si svolge in decine di cinema sparsi nella
città, con proiezioni dalla mattina alla sera ed un totale di oltre
duecentomila biglietti staccati in dieci giorni.
Innumerevoli punti vendita, sparsi presso centri commerciali,
agenzie, info point e biglietterie dei cinema oltre, naturalmente,
presso la sede del festival, sono collegati in rete fra loro ed emettono i relativi biglietti dove ogni singolo spettacolo ha un suo codice a barre. Chi vuol seguire la manifestazione sceglie i film e gli
orari più adatti ed acquista comodamente i biglietti fino ad esaurimento. Chi è accreditato alla Berlinale, attraverso il codice a
barre stampato sul proprio pass può avere i biglietti che vanno esibiti unitamente al pass. Una maschera all’ingresso dei vari cinema controlla con un lettore ottico portatile il codice a barre del
biglietto e non c’è possibilità di utilizzare lo stesso per altri spettacoli. Quando i biglietti sono esauriti non resta che rivolgere l’attenzione verso altri film ed altre proiezioni. Risultato: cinema
sempre pieni, nessuna fila di ore, nessuno che resta fuori dal
cinema. Tutto fila, noiosamente e incredibilmente liscio.
Il FestSpiele può addirittura ricostruire la vita festivaliera del possessore del pass, che è sempre nominativo, sapendo quanti e
quali film e in quale orario sono stati visti. L’informatica applicata correttamente da vantaggi impagabili sotto tutti gli aspetti.
Giù al sud, nella nostra assolata penisola italica tutto ciò scompare per lasciar spazio alla ben nota arte di arrangiarsi, all’improvvisazione. In particolare la Mostra del Cinema al Lido si
distingue per le lunghissime code che corrono lungo il Palazzo del
Cinema, con un’unico ingresso riservato a tutti i tipi di accredito
(che costa la non modica cifra di 60 euro) dove si trascorrono ore
prima di scoprire che i posti disponibili erano solo 30!
I biglietti sono spessissimo introvabili, bisogna mendicare presso
gli uffici stampa o attivare conoscenze estemporanee per vedere
un film. Politici di tutte le taglie intanto si aggirano per il Lido in
completi scuri e biglietti in tasca mentre la Sala Grande del
Palazzo rimane spesso semivuota nonostante le inutili code di
cinefili. Certo è che le code fuori dal cinema fanno colore, animano il Lido solitamente deserto, danno spunti ai fotografi, servono alle telecamere per certificare il successo della manifestazione. Se poi la gente non riesce a vedere i film questo sembra
irrilevante. Tutto ciò, purtroppo, accade non solo alla Mostra del
Cinema ma anche in altre italiche manifestazioni. Basterebbe così
poco per raggiungere gli standard tedeschi, tanto più che, dicono,
non siamo, in linea generale, meno intelligenti di loro!
Essenziale è il movimento. Dona agli oggetti e ai personaggi realismo, corporalità, peso.
Fornisce un volume, che stacca i soggetti dal piano e dona loro un'esistenza autonoma. Crea
una verità che rende la parola non indispensabile.
Sono la gestualità, le movenze, le acrobazie degli attori che catturano l'attenzione del pubblico. E queste vengono enfatizzate dal suono dei musicisti che dal vivo sincronizzano le loro
composizioni alle immagini, ieri come oggi in un equilibrio dosato: la musica contribuisce alla
comprensione senza distrarre l'occhio dalla visione.
Non dolby surround o colonne sonore dominanti, ma un perfetto equilibrio tra le due, una
“voce nuova” che fa parlare gli attori e colpisce fisicamente il cuore dello spettatore con le
sue vibrazioni. A quest'aspetto spiccatamente tecnico si aggiunge il contenuto e la forna: le
commedie e il loro ritmo inclazante, i drammi con le loro movenze enfatizzate e il fantastico
con le illusioni sperimentali. Comprensibile, privo di barriere linguistiche (omettere le didascalie non impedisce la fruizione del film) ed è questo che contribuisce a rendere il cinema
muto un linguaggio universale, unico, senza ombra di dubbio prezioso. Da preservare.
Si tratta di una vera e propria pulizia dello sguardo, dell'orecchio e della mente. Una forma di
rieducazione “sensoriale” attraverso il cinema delle origini deve iniziare dai bambini e dai
ragazzi, nuovi spettatori del futuro.
In questa direzione vengono pensati i matinee “muti” rivolti agli studenti delle scuole di ogni
ordine e grado e le altre iniziative che li vedono direttamente coinvolti.
Fiore all'occhiello di questo progetto di riavvicinamento al magico mondo del muto è rappresentato dal progetto A colpi di note, una delle iniziative più impegnative e ambiziose delle attività didattiche sul linguaggio audiovisivo della Mediateca Pordenone di Cinemazero. Dopo un
percorso lungo diversi mesi due miniorchestre rispettivamente della Scuola Media Centro
Storico di Pordenone e della Scuola Media “Balliana Nievo” di Sacile si cimenteranno domenica 3 ottobre alle ore 16 presso il Teatro Verdi di Pordenone nella rimusicazione di There it
is di Charles R. Bowers (1928), una curiosa comica che mescola sapientemente scene reali e
personaggi realizzati in animazione mossi con la tecnica della stopmotion e di Pathé di risate,
una miscela esplosiva di comiche francesi d'inizio novecento della celebre casa di produzione. Gli studenti inoltre (dai bambini delle scuole primarie alle secondarie di secondo grado)
potranno partecipare il 5, 6 e 7 ottobre a tre spettacoli d'eccezione. Si inizia martedì 5 ottobre alle 11.15 con la replica di A colpi di note della Scuola Media Centro Storico di Pordenone
aperta da un'interessantissima lezione-spettacolo di Bruno Cesselli tratto dal suo spettacolo
Piano Movie che mescolerà passato e presente accompegnando dal vivo estratti di celebri film
contemporanei.
Mercoledì 6 ottobre alle 9.15 sarà la volta dello spettacolo Anime mute, avventuroso viaggio attraverso l'animazione giapponese del periodo del muto.
Complessivamente, tra il 1917 ed il 1945 furono realizzati almeno 400 filmati d'animazione, dei quali, tra terremoti, bombardamenti e censura governativa, è rimasto
ben poco. La selezione proposta cerca di dare visibilità
agli anime più rappresentativi (e al contempo rari) nel
periodo di loro massimo splendore.
L'incontrò verrà introdotto da Imogen Sutton, regista
indipendente, insignita di numerosi premi, che si è specializzata in cinema di animazione e documentari d'arte. Si chiuderà il programma per le scuole giovedì 7 ottobre alle 11.15 con Se non son matti non li vogliamo!, una
selezione di comiche per risate a crepapelle con gli attori simbolo del cinema muto. Ingredienti: la geniale
comicità di Charlie Chaplin, le spassose gag dei combinaguai Stan Laurel e Oliver Hardy e l'incontenibile fantasia di Buster Keaton. Inoltre domenica 10 ottobre la
Scuola Media Balliana Nievo di Sacile aprirà al Teatro
Zancanaro la replica di The Navigator con Buster
Keaton. Per informazioni in merito è possibile chiamare
lo 0434.520945 (Mediateca di Cinemazero).
In copertina:
L’immagine del manifesto ufficiale della 29ma edizione delle
Giornate del Cinema Muto
cinemazeronotizie
mensile di informazione
cinematografica
Ottobre 2010, n. 09
anno XXX
Direttore Responsabile
Andrea Crozzoli
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Piero Colussi
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Tommaso Lessio
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amministrazione
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Progetto grafico
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[DM+B&Associati] - Pn
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Grafiche Risma Roveredo in Piano
Abbonamenti
Italia E. 10,00
Estero E. 14,00
Registrazione
Tribunale di Pordenone
N. 168 del 3/6/1981
Questo periodico
è iscritto alla
Unione Italiana
Stampa Periodica
Cinema&Scuola
In occasione delle Giornate un programma dedicato alle scuole di ogni ordine e grado
Silvia Moras
Editoriale
Andrea Crozzoli
A proposito di organizzazione
Dal 2 al 9 ottobre la 29ma edizione delle Giornate del Cinema Muto
re qualcosa di più diverso rispetto alla sublime trasparenza dell'ebreo russo Room: altro
cineasta di cui andrebbe scoperta anche la tutt'altro che minore vecchiaia, ma di cui la
tarda epoca muta è di uno splendore fordiano, e non solo nella perla relativamente nota di
Tretja me__anskaja.
Sull'universo infinito del cinema sovietico sono caduti da tempo non solo muri geopolitici
ma i muri stessi di chi voleva mettere un cineasta contro l'altro: Vertov piuttosto che
Eisenstein, Dovzenko piuttosto che Pudovkin... e se l'anno scorso alle Giornate la proiezione di un grande Barnet ha saputo ricreare quel vertice di godimento che Rivette aveva ben
intuito nel cineasta, le punte del cinema sovietico sono polimorfe, le censure che contrapponevano realismi a formalismi, collettivismi a individualismi sono cadute nel vuoto
della storia. Alle Giornate di quest'anno vedremo insieme il classico dei classici (famoso
fino alle ben note parodie) La corazzata Potëmkin di Eisenstein e La baia della morte di
Room che, uscito subito dopo, ne era diventato all'epoca l'anticlassico. E poi il Pudovkin
di Chess Fever, con la sua formalizzazione chiusa da gioco di scacchi col cinema. Per fortuna nessuno Zdanov ci dirà che uno di questi è umanitariamente progressivo e l'altro
decadentemente esecrabile; il cinema è sopravvissuto meglio delle idee che se ne sono
fatte.
Tornando a Ford, come non volerlo vedere anche in rapporto al Robin Hood (nella magnifica nuova copia a colori del MoMA) di Allan Dwan? Ovvero al regista che insieme a Walsh
costella la triade dei grandi eredi di Griffith.
E poi Buster Keaton coi suoi paesaggi messi in scena dall'invenzione comica: il suo The
Navigator aprirà le Giornate mentre la navigazione celeste del Wellman di Wings le concluderà. E se Keaton potrà essere visto accanto a Chaplin, nel film ritrovato in cui appare, e
a Linder e agli altri comici della rassegna francese (con regie rilevanti di Feuillade,
Machin, Capellani...), di Wings potremo vedere il prolungamento in Shingun di Ushihara
che ne restò segnato.
Tutto l'universo Shochiku sarà un altro continente infinito, a smentire ogni canonizzazione
forzata di una cinematografia, la giapponese, in cui qualche decennio fa si cominciava ad
aggiungere la conoscenza internazionale di Ozu a quella di Mizoguchi, e poi quella di
Naruse, di Gosho... infine Lourcelles ha saputo evidenziare la grandezza di Shimizu quale
perno di un neorealismo profondo connaturato al cinema. Ora conosceremo davvero
Shimizu, ma anche Shimazu e Ushihara... e se nell'opera del primo ritroveremo la splendida Michiko Kuwano, del terzo vedremo la serie di film con la grande Kinuyo Tanaka, a
unire nella loro luminosa giovinezza due attrici poi marcanti per Mizoguchi.
Anche prima di abbandonarsi alle visioni, i percorsi delle Giornate sollecitano attrazioni. Ci
sarebbe da dire almeno ancora dell'avanguardia francese di Germaine Dulac e Alberto
Cavalcanti che sarà accompagnata dall'invenzione musicale di Maud Nelissen; e dello
“spettacolo d'addio” della Lanterna magica dell'appassionata Laura Minici Zotti; del postdannunziano Il fuoco di Piero Fosco-Pastrone; dell'eisensteiniano inglese Ivor Montagu nel
cui film vedremo insieme Charles Laughton e Elsa Lanchester. Uno spazio di “approfondimenti” sarà, tutti i giorni nel tardo pomeriggio, quello della sezione “Portaits”, che includerà anche il ritratto del citato Kalatozov. E infine una rassegna di “making of” primordiali
che moltiplicherà le nostre visioni oltre la compiutezza (o la conservazione) dei singoli film:
riprese sui set del trittico infinito di
Abel Gance, su quello iperstilizzato di
L'Argent di L'Herbier, sulla partenza di
un treno nel Quartier Latin di Genina
filmata da Chenal e Mitry. Cioè da
colui che dà il nome al Premio assegnato ogni anno alle Giornate,
momento tra i tanti “live” (collegi,
performance musicali, Jonathan
Dennis Lecture, incontri umani, trouvailles di libri o dvd) che rendono le
immagini cinematografiche del più
SHINGUN [IN MARCIA]
(JP 1930) di Kiyohiko Ushihara
lontano passato momenti intensi di
un vivere al presente.
Le Giornate del cinema muto
Ford, Dwan, Chaplin, Murnau, Flaherty, Keaton, Wellman, Christensen, Shimizu,
Eisenstein, Pudovkin, Room... Basta questo elenco ampliabilissimo a far intuire meraviglie. Dove tutto ciò? Alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, naturalmente. Giunto alle
soglie del trentennale, uno dei festival cinematografici più ammirati nel mondo fa tutt'altro che gestire l'eredità del proprio passato, convinto di aver finora scoperto solo la punta
di un iceberg, sotto cui si cela il continente sommerso dell'epoca muta del cinema.
Ai nomi menzionati, che sono tra le punte dell'invenzione cinematografica di ogni tempo,
se ne accostano altri, ancora sconosciuti o comunque meno affermati, su cui il festival
scommette: altri due registi giapponesi della Shochiku (Shimazu e Ushihara), il sovieticogeorgiano Kalatozov, i brasiliani Reis e Santos, un marginale tedesco come Jutzi, il francese sempre più rivalutabile Raymond Bernard...
Naturalmente come sempre la rassegna è divisa in sezioni curate con la massima attenzione scientifica, accompagnate da documentazione storica: ma accanto a questo, che
rende il festival uno strumento di scoperta e di studio insostituibile, c'è quanto può raggiungere ogni tipo di spettatore, e quanto può essere ben colto percorrendo a volo d'uccello, con liberi collegamenti, un programma pur calibrato anche nei dettagli.
Le Giornate sanno inoltre intercettare grandi eventi. Il New Zealand Film Archive ritrova un
lotto di film perduti, che per quantità e rarità è tra i grandi ritrovamenti artistici (non solo
cinematografici) degli ultimi decenni, e naturalmente il film più desiderato del lotto,
Upstream di John Ford, non può che arrivare a Pordenone, insieme al trailer di un altro film
perduto del regista. E fortuna vuole che si tratti non di un qualsiasi Ford (e un qualsiasi
Ford è capace di stupirci) ma del Ford liminale alla sua attrazione per Murnau: se tutte le
epoche fordiane sono mature, qui vedremo una paradossale vecchiaia della sua giovinezza, come fosse il primo dei molteplici 7 Women che scandiscono la sua opera.
E allora ecco Murnau, con un frammento ritrovato del perduto Marizza restaurato dalla
Cineteca Nazionale.
E nella sezione del Canone rivisitato, curata da Paolo Cherchi Usai, ecco il cineasta la cui
opera si è alla fine intrecciata con quella di Murnau, Robert J. Flaherty, di cui si vedrà un
“classico” da troppo tempo affidaASHITA TENKI NI NAARE
to solo a lontane memorie di visio[DOMANI SARA' UN BEL GIORNO]
ne e a scheletri storiografici,
(JP 1929) di Yasujiro Shimazu
Moana.
E subito si vorrà correre dalla reinvenzione artistica dell'etnografia di
cui fu capace Flaherty, verso la
zona oscura, foresta tropicale dell'immagine filmica, che sono i film
dei brasiliani Luiz Thomaz Reis e
Silvino Santos sul “silenzio delle
Amazzoni”, sguardo forse lumièriano sul territorio elettivo di un
Herzog.
Ma (oltre ai paesaggi celtici di
Grierson) anche i film di Kalatozov,
accostato a Room in un 5+5 di
opere dedicato a due tra i più rivalutabili cineasti sovietici, sono un
cinema di paesaggi abbagliati dall'immagine, come si vide negli anni
'60 nei suoi finali film calligrafici
del disgelo, che oggi ci appaiono
piuttosto dei Malick sovietici, il cui
segreto è celato certamente in questi tardi capolavori muti, mitizzati
quanto poco visti, realizzati appunGINGA [LA VIA LATTEA]
(JP 1931) di Hiroshi Shimizu
to dal georgiano Kalatozishvili slavizzato in Kalatozov. Difficile trova-
Sergio Grmek Germani
Sergio Grmek Germani
Le Giornate del cinema muto
Le incredibili meraviglie
delle Giornate!
Il volto spensierato
dell’Africa
Una cena
grondante sangue
Si aprirà ad ottobre la quarta Rassegna di Cinema Africano. Gli occhi dell'Africa si sta confermando come appuntamento offerto ai cittadini di Pordenone, ma non solo, visto che
anche quest'anno, come fin dalla prima edizione, la rassegna sconfina in altre città delle
province di Pordenone e di Udine.
Il senso dell'iniziativa è evocato nel titolo: con Gli occhi dell'Africa ci proponiamo di dare
voce agli africani, perché ci raccontino i loro Paesi, con le risorse e le bellezze, ma anche
le difficoltà e i problemi. E non manca uno sguardo anche al nostro mondo, visto, appunto, con gli occhi degli africani.
Già dalla prima rassegna, quattro anni fa, ci siamo proposti di dare spazio a film che mettessero in luce il volto più spensierato dell'Africa, visto che questo continente è solitamente associato a povertà, guerre, morte. Ma non è facile, perché prevalgono le pellicole che affrontano i drammi e i problemi che quotidianamente affliggono questi Paesi.
Quest'anno, però, ci siamo avvicinati al nostro intento iniziale e proponiamo alcuni film
dal tono più leggero, dove spiccano i suoni, i colori, i canti, le danze e l'amore.
A luglio si è chiusa l'avventura sudafricana dei Mondiali di calcio. Ma cosa rappresenta il
calcio per i giovani africani? Le ballon d'or (Il pallone d'oro), coproduzione Francia/Guinea,
del regista Cheick Doukouré, racconta la storia del piccolo Bandian, asso del pallone, che
sogna un vero pallone di cuoio. Nel suo villaggio sperduto nella brousse, i giovani seguono e sognano le partite di calcio attraverso la radio. I grandi nomi di Milla, Keita e Boli
rappresentano l'unico esempio di come poter cambiare la propria vita.
La pellicola senegalese Un transport en commun, della regista Dyana Gaye, è un musical
divertente ed ottimista. Protagonisti i passeggeri di un taxi-brousse (taxi collettivi tipici)
in viaggio da Dakar a Saint-Louis, durante il quale, cantando, raccontano se stessi. A
bordo troviamo: Souki diretta al funerale del padre che non ha mai conosciuto; Malick
che desidera salutare la fidanzata in partenza per l'Italia; Madame Barry, proprietaria di
un elegante negozio da parrucchiere, desiderosa di rivedere i figli dopo molti anni;
Joséphine e Binette, due francesi le cui vacanze in Senegal volgono al termine. Il tragitto è lungo, la calura intensa e le strade trafficate. In un'alternanza di sequenze musicali corredate da riprese molto realistiche, la regista ci offre uno sguardo sull'Africa pieno
di freschezza.
Sulla stessa linea della leggerezza, Amour, sexe et mobylette (Amore, sesso e motoretta),
prodotto tra Francia, Germania, Italia e Burkina Faso, dei registi Maria Silvia Bazzoli e
Christian Lelong. Un film d'amore in più episodi, che mostra un lato “rosa” dell'Africa
quasi sempre oscurato dalle notizie tragiche diffuse dai mezzi di comunicazione.
«Andare a vedere come una società vive al ritmo dei cuori che battono significa, in fondo,
cercare di capire come proietta il suo avvenire. Guardare come si ama, in un angolo sperduto dell'Africa, significa porgere uno specchio ai nostri stessi amori» (Maria Silvia
Bazzoli, Christian Lelong).
E poi un evento speciale. A Pordenone si trova l'unica comunità Tuareg d'Italia. Sul territorio nazionale si trovano altri Tuareg, ma sparsi in varie città. All'interno della rassegna
verrà presentato il documentario girato in parte in riva al Noncello Solo andata: il viaggio
di un Tuareg, di Fabio Caramaschi. Il protagonista è Sidi, che vive con la madre, il padre
e la sorella. Va a scuola, gioca alla
playstation e sta assorbendo
come una spugna la lingua e la
cultura italiana. Manca solo il fratello minore, Alkhassoum di sei
anni, rimasto in Niger col nonno.
Sarà proprio l'arrivo del piccolo
Alkhassoum a scompaginare le
carte e a donare le preziosissime
impressioni di un bambino Tuareg
sull'Italia, per capire come le due
distinte identità e culture possano
creare quel mix che darà vita agli
italiani del futuro nonostante le
spinte xenofobe e razziste.
A noi l'horror piace! Ci piace il cinema, in generale e senza distinzioni di genere, sia ben
chiaro, ma l'horror con le sue emozioni forti, con le sue metafore esplicite o sottese, con
i suoi mostri ed i suoi incubi spesso specchi della nostra società più fedeli del reale ci
ha sempre affascinato tantissimo.
In molti, infatti, si ricorderanno di un convegno da noi organizzato e promosso nell'autunno del 1996 dedicato proprio allo spaventoso genere ed intitolato L'horror, da Mary
Shelley a Stephen King che vide tra i partecipanti il Maestro Dario Argento e il critico
Gianni Canova (in Mediateca è disponibile il volume che ha raccolto gli interventi dei
vari relatori).
Negli ultimi anni, poi, la nostra indagine e il nostro percorso tra zombie, mutanti, lupi
mannari e notti nebbiose si è intensificato moltissimo: basti pensare alle notti horror istituite nelle ultime due edizioni di Filmmakers al chiostro dove giovani autori hanno avuto
la possibilità di spaventare il pubblico con i propri cortometraggi e i direttori artistici del
Ravenna Nightmare Film Festival e del PesarHorrorFest ci hanno fatto conoscere le esperienze dei loro (rinomati) festival.
Ed ancora, in quest'ultimo anno, l'incontro con due registi (e personaggi) straordinari,
Dario Argento e Federico Zampaglione, il maestro e l'allievo: al primo è stata dedicata una
vera e propria maratona cinematografica oltre ad un (seguitissimo) incontro al Teatro
Verdi durante la passata edizione di Pordenonelegge.it, mentre il cantante/regista dei
Tiromancino è stato nostro ospite per presentare il suo film Shadow, apprezzatissimo
dagli appassionati, che ha fatto rivivere il “terrore all'italiana” rifacendosi ai Maestri
Bava, Fulci e naturalmente allo stesso Argento.
E così non potevamo lasciarci sfuggire la notte di Halloween per organizzare un altro
appuntamento all'insegna della paura. La serata sarà veramente speciale: si inizierà
infatti negli studios di Pnbox (presso la Bastia del Castello di Torre in via Vittorio Veneto
23 a Pordenone, tel. 0434 551781) con una cena a base di “ricette horror” intramezzata da aneddoti e spezzoni sul cinema di genere per poi spostarsi tutti a cinemazero
per la proiezione (intorno a mezzanotte) del film capolavoro di Mario Bava La maschera
del demonio di cui ricorre il cinquantesimo anniversario dalla prima uscita in sala
(1960).
La pellicola, un vero e proprio cult che tanto ha influenzato il cinema horror italiano degli
anni successivi, viene recensita da Paolo Mereghetti come “(…) un film dove il desiderio è l'altra faccia della paura. Il talento di Bava sta nel raccontare questa storia con uno
stile sontuoso ed innovativo. Gli effetti speciali
- per l'epoca davvero scioccanti - sono necessari tanto quanto i prodigiosi carrelli della macchina da presa. Anziché essere uno sterile esercizio formalista, sono lo strumento con cui noi
spettatori entriamo in un mondo fatato e inquietante: tanto affascinante quanto pericoloso”
(Bianco e nero all'italiana, n.30); mentre
Morando Morandini così ne scrive: “Vagamente
ispirato al racconto Il vij dell'ucraino Nikolaj V.
Gogol, è l'esordio nella regia di M. Bava (191480), grande direttore della fotografia e geniale
mago di trucchi, che qui, appoggiandosi a un
suggestivo apparato scenografico, esaltato da
una fotografia virtuosistica che determina l'atmosfera, gli spazi, le emozioni, si cimenta in un
esercizio di delirante necrofilia, imperniata sul
“tema della sessualità femminile ... torna a sfidare l'ordine e la repressione” (Renato
Venturelli). Grande successo internazionale, il
film contribuì al lancio di B. Steele.” (Il
Morandini, Zanichelli editore).
A questo punto non rimane altro che augurarvi
una buona (e spaventosa) visione.
Cinema horror
Domenica 31 ottobre, per la notte di Halloween, una serata davvero speciale
Tommaso Lessio
Gli occhi dell’Africa
Lisa Cinto
Ad ottobre la quarta rassegna del cinema africano
Inglourious Basterds e il cuore
del cinema tarantiniano
La bocca del lupo
e la poetica di Pietro Marcello
Altamente infiammabile è il cuore cinefilo di Quentin Tarantino; ed è arrabbiato, anche; e
crepita d'indignazione, ancora. Lui e i suoi personaggi da cinema, presi in prestito alla
Storia e passati ad un vaglio creativo e irrefrenabile, deformati ed estremizzati e fatti esplodere e resi indimenticabili, dirompenti, suoi. E avviluppati in una girandola meccanica e
ardente, arruolati in un gioco delle parti dove nessuno è quello che sembra(va), nemmeno
la Storia. Non più. A voler trovare un emblematico trait d'union fra le opere di Tarantino,
non si può prescindere dalla presenza essenziale dei suoi protagonisti (e protagonisti lo
sono, tutti, ad ogni parola e sguardo con cui s'impossessano dell'inquadratura, dai
Reservoir Dogs con i loro nomi colorati alle silhouette in filigrana sfacciatamente femminili di Grindhouse - Deathproof), a loro modo coerenti freaks (cioè sempre e comunque
diversi, cioè 'mostri' nel senso etimologico del termine, dove monstrum è qualcosa che
suscita ineluttabile stupore e sterminata meraviglia), almeno nello, spesso asfittico, immaginario cinematografico contemporaneo. C'è l'ebrea Shosanna, una giovane Sposa (della
cinepresa) in rosso, vestita per uccidere; c'è il cacciatore di ebrei, Sherlock Holmes versione nazista, che infilza le sue prede con sguardo corros(iv)o, che è viscido, arrabattista, compiaciutamente corrotto solo dalla sua presunzione, pronto a saltare sul carro del vincitore
con un gran fracasso; ci sono i bastardi, brutti, sporchi e, per i benpensanti, cattivi, e orgogliosi di esserlo perché scalpano per un fine ben preciso. Tutti, dal primo all'ultimo, duri
che giocano perché il gioco è duro da sempre, e lo è più che mai; e tutti, nessuno escluso, recitano: la spia tedesca indossa la maschera di svagata attrice, il critico cinematografico quella di generale preciso e adulatorio, l'ebrea in odore di vendetta quella di riservata
esercente francese. E poi, sotto mentite spoglie, tra fiamme che prendono il sopravvento
su qualsiasi realtà e su qualsiasi verità, c'è il Regista che, lui per primo, va al di là di tutto
ciò che avremmo creduto possibile; lui che infila il sigaro spudorato, destabilizzante e invadente nella purezza intoccabile e vergine della panna, nei generi cinematografici che più
separati non si può, negli eventi
passati incastonati nel corso incorruttibile delle ere; e riplasma e
rigenera nelle sue mani di celluloide fumante persino la vita e la
morte, sottraendole ad una cabina
di proiezione e proiettandole definitivamente sullo schermo (e l'azione più grande Shosanna la compie
proprio quando il suo corpo non
può più farlo, e la sua anima è libera di rigenerarsi e compiere il miracolo per mezzo del Cinema); e lui ci
conduce verso un finale sparato nel
cielo che ha del sublime (nel senso
più artistico del termine, Turner e
Friedrich inclusi).
Niente da fare, perché adesso,
dentro una sala buia, in mezzo a
poltrone luride di pop-corn e in un
(oltre)luogo che è improvvisamente
la cosa più potente del mondo,
adesso è lui il prestigiatore che si
destreggia nello scherno e nello
schermo, è lui lo spettacolo, è lui la
magia; ed è il Cinema, fenice ghignante bigger than life, che è la
faccia gigante più grande del
mondo, il Cinema che è la potenza
selvaggia e lucente, il Cinema che
è la materia di cui sono fatti i sogni
e i sogni stessi.
"Qui partì l'eroe dei due mondi, che provò a fare un paese". Con questa frase, evocatrice e polemica, antesignana del dramma su cui sta per schiudersi il sipario, la voce narrante presenta Genova, la città da cui ebbe inizio la spedizione dei Mille, e quindi la storia dell'Italia unita. È l'inizio di un viaggio che si snoda nello spazio e nel tempo attraverso la figura di Enzo, antieroe “libero, franco e indipendente”, come si autodefinisce.
Mary, la sua compagna, dice che da giovane lui avrebbe potuto fare l'attore ed effettivamente, con quel profilo rude e nel contempo profondo, sembra uscito da uno spaghettiwestern, ricorda un po' Lee van Cleef, uno dei principi del genere, e se la sua non fosse
una storia vera, potrebbe davvero appartenere all'universo mitologico di Sergio Leone: un
uomo di poche parole, e parole semplici, persino sboccate, che sembrano dire poco, ma
che in quella stessa frugalità, priva di orpelli e di retorica, da persona che non ha studiato a scuola ma che ha letto nel gran libro della vita, comunicano il malessere di un
individuo e di una società. E poi i silenzi, in cui Enzo sembra esprimere più di quanto
dice per mezzo delle sue limitate risorse linguistiche, nello sguardo è possibile leggere
il disagio di una condizione, la sua, che si può ricostruire nel corso del film. Siciliano
d'origine, si trasferisce ancora bambino a Genova, dove lavora col padre Pippo, in traffici non proprio leciti. Poi la delinquenza, e il carcere, per aver aperto il fuoco sulla polizia. Ma in galera ci finisce per tre volte, prima 9, poi 4, e infine 14 anni. Enzo non avrebbe voluto ritornarci, ma è vittima di un sistema, costretto come in un circolo vizioso a
ripiombare fatalmente nella "bocca del lupo". "Troppo giovane per avere una pensione,
troppo vecchio per avere un lavoro" sentenzia, con la sua cruda e disincantata saggezza.
Tuttavia in prigione conosce Mary, una trans di cui s'innamora, e nel loro amore tutti i
problemi sembrano diventare sopportabili: lei vince la tossicodipendenza, da cui sembrava non voler più uscire; lui s'impegna nel perseguimento d'un sogno comune: una
casetta in campagna, con un orticello, una
veranda... il piccolo sogno di una grande
serenità bucolica. Novello Jean Valjean, l'ex
detenuto Enzo attraversa posti degradati,
locali malfamati, autentica “archeologia di
una memoria”, facendosi portavoce di verità
non dissimili da quelle scoperte ed enunciate nell'Ottocento dai superuomini del feuilleton, ma con questa differenza: qui siamo lontani dalla retorica populista di Sue o dalla
pietas di Hugo, perché il personaggio presentatoci da Marcello è distante dalle istanze
ideologiche ascritte agli eroi del romanzo
francese, così come lo è dai paladini dei succitati spaghetti-western, e proprio in quest'isolamento dai suddetti stereotipi risiede la
singolarità della sua esperienza, che potrebbe essere più significativamente avvicinata a
quella degli antieroi di deandreiana memoria,
come suggerisce il non casuale fotogramma
in cui è inquadrata l'insegna di Via del
Campo. Ricordi biografici, storia, letteratura,
musica. Dunque il film è un complesso e
frammentario mosaico che raccoglie tutti questi elementi, tutte queste suggestioni, trovando coerenza proprio nella sua apparente asistematicità. E l'ultimo tassello è riservato allo
spettatore intelligente, cui spetta il compito
di riflettere sulla coraggiosa scelta del regista, che racconta una storia, non attraverso la
più gratificante dinamica del cinema di fiction, ma nell'impegnata struttura del documentario drammatico.
Scrivere di cinema
Scrivere di cinema 2010: la recensione vincitrice della sezione Under 28
Davide Di Finizio
Scrivere di cinema
Fiaba Di Martino
Scrivere di cinema 2010: la recensione vincitrice della sezione Triennio
Il 29 e il 30 ottobre a Pordenone una grande manifestazione anti apartheid
Un anno fa un’agenzia missionaria di nome Asianews scriveva che nella repubblica islamica iraniana il suicidio rappresenta la seconda causa di morte. Il riceratore iraniano
Hasan Zadeh che ha condotto una approfondita ricerca su questo fenomeno arriva a questa conclusione: se nel mondo assistiamo ad un suicidio femminile ogni tre maschi in
Iran il dato si capovolge.
L’Iran con i suoi 70 milioni di abitanti, rappresenta oggigiorno la più grande prigione del
pianeta dove i diritti umani più elementari vengono quotidianamente calpestati.
All’interno della prigione della repubblica islamica dell’Iran ce n’è un’altra, ancora più
rappresentativa, che riguarda le donne iraniane, considerate nel loro paese una specie
inferiore rispetto all’uomo. Infatti, in Iran, il regime integralista islamico prima ancora
di proporre la propria costituzione, nel 1979, ha abrogato la legge per la protezione della
famiglia che era in vigore dal 1967, la quale garantiva alle donne pari diritti rispetto agli
uomini. Al posto di questo “diritto di famiglia” venne imposta una legge islamica tradizionale: la Sharia. In questo modo hanno riportato l’intero paese indietro di cent’anni.
Infatti col nuovi sistema politico hanno dato vita ad una sorta di apartheid grazie al
quale una donna per legge:
1. Non può fare il Giudice
2. Non può chiedere il divorzio
3. Non può viaggiare senza l’autorizzazione di un uomo
4. La sua testimonianza, legalmente, vale metà
di quella di un uomo
5. Non può cantare
6. Non può praticare la maggior parte degli sport
7. Una bambina raggiunge la maggiore età a 9 anni
(e non 18), potendo così contrarre matrimonio e
divenendo responsabile di tutte le sue azioni.
8. Il valore della sua vita, ad esempio in caso di risarcimento
per morte, è pari alla metà di quello di un uomo
9. Non può ballare
10. Una donna non può candidarsi per la Presidenza
della Repubblica Iraniana (art 115)
11. Le spiagge sono divise per uomini e donne
12. Gli autobus hanno la parte posteriore riservata
alle donne
13. Se un uomo uccide una donna della propria famiglia
non può essere condannato (art. 220 del codice
penale Islamico)
Il fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran, Komeini, dichiarò che con questi provvedimenti intendeva restituire dignità alle donne; noi, invece, riteniamo che egli abbia
derubato il Popolo Iraniano non solo dei suoi sacrosanti diritti ma sopratutto della sua
storia di popolo di grande cultura. Così Neda, giovane studentessa uccisa durante una
manifestazione pacifica per ottenere una società civile senza apartheid femminile, è
diventata il simbolo di questa lotta del popolo intero, anche nostra, che viviamo all’estero ma che non dimentichiamo le nostre radici e la nostra cultura. Noi iraniani ringraziamo l’Amministrazione Comunale di Pordenone per aver istituito una borsa di studio a nome di Neda, per non dimenticare la lotta pacifica del popolo iraniano per la
democrazia. Il 29 ottobre presso l’Università di Udine e il 30 ottobre 2010 il comitato
per Neda Day (di cui fanno parte il Comune di Pordenone, la Provincia, Cinemazero, la
Comunità Iraniana e l’Univeristà di Udine) organizza a Pordenone una grande manifestazione antiapartheid femminile (con musicisti iraniani ed italiani, poeti, scrittori, registi
ecc.) I relatori: Armin Arefi (giornalista di Le Monde), Mina Ahadi (presidentessa del
comitato mondiale contro la lapidazione), Saeed Kamali Dehgan (giornalista di The
Guardian e autore del film documentario per Neda), Maryam Namazi (attivista dei diritti umani, giornalista e portavoce di One law for All contro la legge Sharia in Inghilterra)
e Sahahnaz Gholami che è stata prigioniera politica.
Chiunque voglia collaborare o aderire all’iniziativa può mettersi in contatto con Taher
Djafarizad attraverso questo indirizzo mail: [email protected].
Sacile, Teatro Zancanaro - Domenica 10 ottobre, ore 16
Un'iniziativa Città di Sacile e Rotay Club Sacile Centenario
L'evento speciale di apertura delle Giornate del Cinema Muto, The Navigator (1924) di e
con Buster Keaton, quest'anno raddoppia e fa il bis a Sacile, dove sarà riproposto nel
pomeriggio di domenica 10 ottobre, alle 16, in quel Teatro Zancanaro che il pubblico del
festival ben conosce e ricorda. Come a Pordenone, il film sarà accompagnato dal vivo da
The European Silent Screen Virtuosi, ensemble di musicisti straordinari riuniti per l'occasione da Günter A. Buchwald, e che comprende,
oltre allo stesso Buchwald (piano, violino, voce),
il Premio Oscar Richard Williams (cornetta),
Romano Todesco (contrabbasso), Frank Bockius
(batteria) e Lee Mottram (clarinetto).
L'iniziativa, nata grazie alla disponibilità e alla
collaborazione della Città di Sacile e del locale
Rotary Club, suggella il rapporto di amicizia e
riconoscenza che lega il festival alla città sul
Livenza e che si intende mantenere saldo anche
per il futuro. Il film di Keaton non sarà l'unica
replica sacilese delle Giornate 2010: sempre
allo Zancanaro, sempre domenica pomeriggio,
l'Orchestra “Brugnacca” della Scuola Media
Balliana-Nievo di Sacile si esibirà in Pathé di
risate, accompagnando - nell'ambito della quarta edizione dell'iniziativa A colpi di note - una
serie di comiche Pathé di inizio Novecento.
Info: www.www.cinetecadelfriuli.org/gcm/
GRADO IN GIALLO
Grado, dall’1 al 3 ottobre 2010
Dall’1 al 3 ottobre 2010 si terrà a Grado la terza edizione di Grado Giallo, il festival letterario dedicato al genere giallo-noir che propone a tutti gli appassionati e curiosi incontri
con gli autori, conferenze, spettacoli, laboratori ed eventi enogastronomici a tema. Questa
III Edizione del Festival letterario parlerà di ”Ecomafia”, termine coniato da Legambiente
per indicare quell’insieme di reati che hanno a che fare con la natura e l’ambiente, come
l’inquinamento, l’abuso edilizio. Quest’anno particolare spazio verrà riservato inoltre al
cinema grazie alla collaborazione de La Cappella Underground, FVG FilmCommission e
Alpe Adria Cinema-Trieste Film Festival con la presentazione delle versioni originali con
sottotitoli in italiano di due episodi della serie televisiva del Commissario Laurenti e con
l’originale del film spionistico Corriere diplomatico di Henry Hathaway (1952) ambientato tra Salisburgo e Trieste. Una panoramica quindi a 360° sull’universo giallo che ne
affronterà le varie sfaccettature: Giallo e Libri, Giallo tra realtà e finzione, Giallo a scuola,
Giallo e cronaca, Giallo al cinema, Giallo a teatro, Giallo a tavola. Info: www.grado.info
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA
Roma, dal 28 ottobre al 5 novembre 2010
La quinta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma si svolgerà dal 28 ottobre al
5 novembre 2010 presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma, il complesso architettonico firmato dal celebre architetto Renzo Piano. Durante il Festival, i 1300 mq del viale che
conduce alla spettacolare Cavea dell’Auditorium saranno trasformati in uno dei più grandi
Red Carpet del mondo, una passerella unica dove sfilano le stelle del cinema internazionale, ma anche gli spettatori, veri e propri protagonisti della manifestazione. Come ogni anno,
l’atmosfera unica del Festival Internazionale del Film di Roma si estenderà all’intera città: la
capitale sarà attraversata e animata da iniziative dedicate al cinema, allestite nei luoghi storici della città, presso le sue istituzioni culturali e le varie associazioni di settore. La
Selezione Ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma prevede 16 lungometraggi
in concorso e 6 film fuori concorso; i titoli presentati rappresentano una selezione di grandi
anteprime internazionali, pellicole d’autore, scoperte innovative e appuntamenti spettacolari. I film in competizione concorreranno per i Premi Marc'Aurelio, assegnati da una Giuria
Internazionale composta da autorevoli esponenti del mondo del cinema e dell'arte. Nel 2009
il Premio Marc’Aurelio per il miglior film della Giuria Internazionale è stato assegnato a
Brotherhood, del regista Nicolo Donato, mentre il Premio del Pubblico per il miglior film a
L’uomo che verrà, diretto da Giorgio Diritti. Info: www.romacinemafest.it
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
Taher Djafarizad
Neda Day
Apartheid femminile
nella repubblica dell’Iran
BUSTER KEATON CONCEDE IL BIS
E LE GIORNATE PER UN GIORNO TORNANO A SACILE