N. 3/2014 - Associazione Italiana per l`Arbitrato

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N. 3/2014 - Associazione Italiana per l`Arbitrato
ISSN 1122-0147
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER L’ARBITRATO
Pubblicazione trimestrale
Anno XXIV - N. 3/2014
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)
art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
RIVISTA
DELL’ARBITRATO
diretta da
Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina
© Copyright - Giuffrè Editore
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Anno XXIV - N. 3/2014
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INDICE
DOTTRINA
“Seminario sull’Arbitrato marittimo” (Genova, 15 novembre 2013)........
PIERO BERNARDINI, Introduzione .....................................................................
Relazioni:
MARIO RICCOMAGNO, L’arbitrato marittimo nel contesto dell’arbitrato
commerciale internazionale.....................................................................
ENRICO RIGHETTI, La validità della clausola arbitrale nelle polizze di
carico..........................................................................................................
MARCO LOPEZ DE GONZALO, La clausola compromissoria nei
charterparties ............................................................................................
MARCELLO MARESCA, Arbitrato e salvataggio ................................................
FRANCESCO SICCARDI, La clausola compromissoria nel contesto del rapporto di assicurazione marittima............................................................
MAURIZIO DARDANI, Arbitrato e costruzione di navi ....................................
ANDREA LA MATTINA, Conflitti di leggi e arbitrato marittimo ...................
493
493
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521
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543
565
575
GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I) Italiana
Sentenze annotate:
Cass. 3 febbraio 2012, n. 1674, con nota di P. CASCELLI, Clausola compromissoria e liti extracontrattuali: questioni interpretative ................
589
GIURISPRUDENZA ARBITRALE
I) Italiana
Lodi annotati:
Coll. arb., Roma 10 maggio 2012, con nota F. RAVIDÀ, Sull’efficacia della
pronuncia del giudice che declina la propria competenza in favore
dell’arbitro e sulla forma dell’accordo di arbitrato..............................
601
III
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Coll. arb., Roma 22 luglio 2013, con nota A. MOTTO, Domanda di
risoluzione per inadempimento e recesso dell’attore dal contratto nel
corso del processo ....................................................................................
613
RASSEGNE E COMMENTI
ANTONIO BRIGUGLIO, L’ottimistico Decreto-legge sulla “degiurisdizionalizzazione” ed il trasferimento in arbitrato delle cause civili ................
FERRUCCIO AULETTA, Il tramonto dell’arbitrato nel nuovo orizzonte della
giustizia sportiva .......................................................................................
633
641
DOCUMENTI E NOTIZIE
Il trasferimento in arbitrato dei procedimenti civili pendenti e le altre
disposizioni sulla negoziazione assistita nel recentissimo Decreto
Legge in materia di giustizia civile - Testo del Decreto ed Osservazioni dell’A.I.A. sul Progetto ..................................................................
Il nuovo “Codice della giustizia sportiva” ....................................................
IV
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653
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DOTTRINA
“Seminario sull’arbitrato marittimo”
(Genova, 15 no-
vembre 2013).
La Rivista è lieta di pubblicare gli Atti del “Seminario sull’arbitrato marittimo” tenutosi
a Genova il 15 novembre 2013, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Genova e dall’AIA, in collaborazione con ADMA (Associazione di Diritto, Mediazione e Arbitrato) e con il patrocinio di AIDIM (Associazione
Italiana di Diritto Marittimo). Lo spazio destinato a tale pubblicazione ha comportato,
in questo fascicolo, una riduzione di quello dedicato alle altre rubriche.
Introduzione
PIERO BERNARDINI (*)
Il Convegno sull’arbitrato marittimo, i cui Atti sono pubblicati in
questo numero, si è svolto a Genova il 15 novembre 2013. Esso ha offerto
all’Associazione Italiana per l’Arbitrato l’opportunità di collaborare per la
prima volta con due importanti associazioni di diritto marittimo, ADMA
e AIDIM. È stata questa una occasione per l’A.I.A. di corrispondere
ancora una volta alla sua principale attività istituzionale, fare e diffondere
la cultura dell’arbitrato. Nel perseguimento di questa finalità l’A.I.A.
organizza ogni anno un convegno all’Accademia Nazionale dei Lincei,
nonché numerosi incontri e seminari sui temi diversi interessanti l’arbitrato, spesso in unione con altre istituzioni. Così, sempre nel novembre
scorso sono stati tenuti un seminario con l’Assonime sull’arbitrato in
materia societaria nonché un corso di più giornate sull’arbitrato commerciale presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Con grande piacere abbiamo quindi accolto la proposta di uno dei
nostri Consiglieri, l’Avv. Mario Riccomagno, cui va il nostro ringraziamento, di organizzare questo incontro.
Ho, lo confesso, anche un altro motivo per essere particolarmente
lieto per questa occasione di collaborazione con i colleghi “marittimisti”.
(*)
Presidente dell’AIA.
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Il Convegno ha offerto infatti l’opportunità per comprendere meglio le
specificità dell’arbitrato marittimo, un aspetto dell’esperienza arbitrale
che non ho avuto occasione di coltivare in modo particolare nella mia non
breve attività arbitrale. L’opportunità di una significativa esperienza in
materia si era presentata negli anni ’70 quando mi occupavo, nell’ambito
dell’assistenza legale per il gruppo Eni, dell’attività di trasporto marittimo
di prodotti petroliferi da parte della Snam. Si veniva, allora, a Genova, in
via Roma, per consultare il Professor Francesco Berlingieri, grande
esperto della materia. In uno di questi incontri si decise di iniziare un
procedimento arbitrale a Londra, in base ad un contratto di charter-party,
nei confronti di un operatore straniero. Di quell’arbitrato ricordo soprattutto l’impegno posto nella lettura ed interpretazione di un formulario di
questo contratto, reso particolarmente gravoso dai minuti, quasi illeggibili,
caratteri in cui lo stesso era redatto, ed il problema, di cui è menzione negli
Atti del Convegno, dell’efficacia della clausola compromissoria nei confronti dei portatori della polizza di carico. Ricordo come alla difficile
lettura del formulario si fosse particolarmente dedicato, con ammirevole
tenacia, l’arbitro di controparte, una personalità di grande autorevolezza
a livello internazionale, il Professor Francis A. Mann, di cui avevo notato
anche la familiarità con l’arbitro nominato dalla Snam, il Professor Giorgio Balladore Pallieri. Ricordo di essermi chiesto perché poi due così
illustri cultori del diritto internazionale avessero accettato di occuparsi di
traffici marittimi e di stallie e controstallie, concludendo che, probabilmente, il prestigio del Professor Francesco Berlingieri aveva giocato un
ruolo decisivo per la scelta di così autorevoli personalità. Purtroppo,
l’arbitrato si chiuse con una transazione, per cui il perché della “specialità”
dell’arbitrato marittimo, che avrei potuto meglio apprezzare sin da quella
occasione, è rimasto per me un interrogativo insoddisfatto. Sino ad oggi,
perché credo che le belle relazioni preparate per questo Convegno abbiano offerto in larga misura le risposte che cercavo.
Anche se l’arbitrato marittimo ha specifiche caratteristiche rispetto al
più ampio modello dell’arbitrato commerciale internazionale, resta il fatto
che molte controversie in questa materia, relative sia alla costruzione di
navi che al noleggio e al trasporto marittimo, sono state efficacemente
risolte secondo regolamenti arbitrali in uso nel commercio internazionale,
in particolare il Regolamento arbitrale della CCI, con riguardo sia a
problemi di giurisdizione che a quelli posti dalla unificazione di controversie (la “consolidation”) nascenti da contratti collegati, fenomeno che
credo frequente nell’esperienza di questo settore, come pure con riguardo
all’applicazione della lex maritima o alla soluzione di problemi di natura
tecnica con la nomina di esperti del settore. Di qui, credo, il particolare
interesse per tutti i cultori dell’arbitrato per gli Atti di questo Convegno
e di qui anche le ragioni per la decisione della nostra Rivista di provvedere
alla loro pubblicazione.
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L’arbitrato marittimo nel contesto dell’arbitrato
commerciale internazionale
MARIO RICCOMAGNO
1. Premessa. — 2. Arbitrato commerciale internazionale: elementi qualificanti. —
3. Fonti dell’arbitrato commerciale internazionale. — 4. Arbitrato marittimo e sua
definizione. — 5. La “specialità” del diritto marittimo rispetto al diritto comune.
— 6. L’arbitrato marittimo quale “species” dell’arbitrato commerciale internazionale. — 7. La deviazione dal modello classico. — 8. Il fallimento delle ICC-CMI
Rules. — 9. Conclusione.
1. Una disamina sulla collocazione dell’arbitrato marittimo nel contesto dell’arbitrato commerciale internazionale presuppone che si chiariscano preliminarmente i termini della questione. A tale esigenza cercherò
di dare, per sommi capi, una risposta e successivamente passerò ad
evidenziare brevemente le ragioni di fondo per le quali l’assorbimento
dell’arbitrato marittimo nell’arbitrato commerciale internazionale incontri
limiti a cagione di esigenze proprie che, come tali, necessitano di una
specifica adeguata dimensione processuale.
2. Non è questa la sede per ripercorrere la genesi e lo sviluppo
dell’arbitrato commerciale internazionale inteso come corpus di norme
dotate di un proprio grado di autonomia rispetto all’arbitrato nazionale in
quanto funzionali alla risoluzione delle controversie caratterizzate da
elementi di estraneità ad un ordinamento. Movimento iniziato con la
giurisprudenza francese degli anni trenta e che successivamente ha trovato
riconoscimento in quasi tutti gli ordinamenti occidentali pur se con
tecniche legislative differenti (1).
(1) La bibliografia sull’arbitrato commerciale internazionale è assai vasta. Ex plurimis si
vedano: a) nella letteratura italiana: BERNARDINI, L’arbitrato commerciale internazionale, Milano
3ª ed., 2000; LUZZATTO, voce Arbitrato commerciale internazionale, in Digesto Priv., Sez. Comm.,
IV, Torino, 1987, 193 ss.; GIARDINA, L’arbitrato internazionale, in questa Rivista, 1992, 21 ss.;
GIARDINA, Le convenzioni internazionali di diritto internazionale privato e di diritto uniforme
nella pratica dell’arbitrato commerciale internazionale, ivi, 1998, 211 ss.; FRIGNANI, L’arbitrato
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Basti dire che con l’espressione arbitrato commerciale internazionale
più che ad un istituto si allude ad un fenomeno di controversie fra soggetti
con sede ed interessi in diversi ordinamenti.
Secondo la convenzione europea del 21 aprile 1961 — che per prima
ha fornito una organica disciplina alla materia — è internazionale l’arbitrato volto a “risolvere controversie sorte o che potrebbero sorgere da
operazioni di commercio internazionale, tra persone fisiche o morali aventi,
al momento della conclusione della convenzione, la loro residenza abituale
oppure la loro sede in Stati contraenti diversi”. Richiedendosi così la
contestuale presenza di due criteri, quello oggettivo del commercio internazionale e quello soggettivo della residenza delle parti.
Nella legislazione degli Stati che hanno disciplinato la materia, sia
pure con diverse sfumature, i parametri di riferimento rimangono quelli
della qualificazione dell’arbitrato commerciale internazionale sulla base
della natura dell’operazione sottostante o mediante la valorizzazione
dell’elemento internazional-privatistico. A quest’ultimo criterio, sia pure
con un certo eclettismo, si ispira la Legge Modello UNCITRAL del 1985.
Al di là dell’aspetto definitorio, comunque, la espressione prima
dell’arbitrato commerciale internazionale è l’universalità dei suoi principi
nel mondo economico. Gli operatori economici, protagonisti sulla scena
arbitrale, hanno raggiunto un sistema di regolamentazione in una coscienza di doverosità dei rispettivi rapporti. In altre parole a modi di agire
compiuti da parte di utilizzatori di tale metodo di risoluzione delle
controversie corrispondono uguali modi di agire da parte di soggetti di
diversa estrazione nella comune consapevolezza della necessità di rispetto
per i principi del commercio internazionale.
3.1. L’arbitrato internazionale rispecchia una delle caratteristiche
dell’epoca contemporanea costituito dal declino degli ordinamenti rigidamente monistici a cui si sostituiscono una pluralità di fonti (norme
commerciale internazionale, Padova, 2004; BIAVATI, Arbitrato internazionale, in Arbitrati speciali, commentario diretto da Federico Carpi, Bologna, 1ª ed., 2008; RUBINO SAMMARTANO, Il
diritto dell’arbitrato, II, Padova, 6ª ed., 2010; LA CHINA, L’arbitrato — Il sistema e l’esperienza,
4ª ed., Milano, 2011; b) nella letteratura internazionale: DAVID, L’arbitrage dans le commerce
international, Parigi, 1982; FOUCHARD, GAILLARD, GOLDMAN, Traité de l’arbitrage International,
Parigi, 1996; GRIGERA NAON, The role of International commercial arbitration, in Arbitration,
1999, 266 ss.; REDFERN and HUNTER, Law and Practice of International Commercial Arbitration,
3rd Ed., London, 1999; BORN, International Commercial Arbitration. Commentary & Materials,
The Hague-London-Boston, 2001; POUDRET-BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international,
Bruxelles, 2002; HANOTIAU, Complex arbitrations, L’Aja, 2005; PARK Arbitration of International
Business Disputes, Oxford-New York, 2006; RIX, International Arbitration, yesterday, today and
tomorrow, in Arbitration, 2006, 224 ss.; BOCKSTIEGEL, The role of arbitration within today’s
challenges to the world community and to international law, in Arbitration International, 2006,
165 ss.; JARVIN, The role of international commercial arbitration in the modern world, in
Arbitration, 2009, 65 ss.; GAILLARD, Legal theory of international arbitration, Martinus Nijhoff,
2010.
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nazionali, norme sopranazionali, norme poste dall’autonomia privata,
convenzioni internazionali) che muovono su piani diversi e rispetto alle
quali non è sempre agevole stabilire un ordine gerarchico.
3.2. Il primo sistema da considerare è quello delle convenzioni.
Le due convenzioni più importanti e di grande estensione applicativa
sono: (a) la Convenzione di New York del 1958 sulla c.d. “circolazione dei
lodi” (la quale, come è noto, statuendo sulle regolarità formali che deve
possedere una convenzione arbitrale ai fini di una sua validità e riconoscimento, ha costituito un importante punto di riferimento per il mondo
marittimo riguardo alla dibattuta determinazione della validità delle clausole compromissorie inserite in polizza di carico); (b) la Convenzione di
Ginevra del 1961 che, disciplinando in modo compiuto l’intero iter procedimentale dell’arbitrato commerciale internazionale si caratterizza per il
carattere di specialità rispetto alla normativa comune sull’arbitrato degli
Stati contraenti.
Lo strumento ginevrino — che nonostante l’aggettivazione “convenzione europea” non ha alcun collegamento specifico con i paesi europei né
tantomeno con l’ordinamento dell’Unione — anticipa gli sforzi di armonizzazione della Legge modello UNCITRAL. È anche interessante notare
come la convenzione — all’art. IV — apra formalmente alle istituzioni
permanenti di arbitrato.
La Legge Modello UNCITRAL 1985 è particolarmente importante
non solo perché costituisce un riferimento — di soft law — comune per le
legislazioni interne (2). È importante sul piano culturale poiché esprime le
tendenze diffuse a livello internazionale in materia di arbitrato, rappresentando così un importante punto di riferimento per quello che si può
definire il diritto comune dell’arbitrato transnazionale.
L’efficacia della legge UNCITRAL, sotto questo profilo, raggiunge
un vertice significativo nel quadro dei tentativi di armonizzazione delle
normative processuali.
3.3. Altra fonte dell’arbitrato commerciale internazionale è costituita dai regolamenti delle istituzioni internazionali di arbitrato. Notoriamente il ruolo delle istituzioni arbitrali (3) in sede internazionale è più
rilevante rispetto all’ambito interno in quanto esse permettono di risol(2) L’assemblea generale dell’ONU, nella risoluzione n. 40/72 dell’11 dicembre 1985, ha
raccomandato agli Stati di tener in conto la legge modello al fine di uniformare le singole
discipline nazionali.
(3) Non è possibile elencare o tenere in conto la molteplicità di tali istituzioni a livello
mondiale. Va segnalato che dal 1985 esiste un organismo (International Federation of Commercial Arbitration Institutions — IFCAI) avente lo scopo di riunirle al fine di promuovere e
diffondere la cultura dell’arbitrato commerciale internazionale (e dell’ADR). Solo a titolo
esemplificativo, ad oggi, il Consiglio di IFCAI è costituito da istituzioni arbitrali quali: CACC
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vere, in un colpo solo, importanti problemi logistici e assicurando la
qualità di arbitri accuratamente selezionati. I loro regolamenti poi —
frutto di lunga esperienza e periodicamente revisionati — assumono
enorme importanza per superare le diversità degli ordinamenti nazionali
a cui appartengono le parti.
In tal modo il ruolo del complesso della normativa procedurale
fornita dalle leggi dei singoli ordinamenti risulta attenuato. Non può però
essere escluso a priori in quanto punti di contatto possono determinarsi
allorquando si verta in tema di capacità della parti a compromettere,
modalità di costituzione del collegio, ricorso a misure urgenti o cautelari,
riconoscimento ed impugnazione del lodo, ecc.: per non parlare dei
delicati problemi che si innestano allorquando si debba determinare in che
misura il riferimento ad un ordinamento nazionale comporti anche l’assoggettamento dell’arbitrato a regole interne di ordine pubblico.
3.4. L’accenno all’elemento volontaristico nella scelta del regolamento applicabile mi porta quasi naturalmente a parlare del ruolo dell’autonomia privata: elemento questo fondante in tutti i meccanismi di
composizione delle controversie per via non giudiziaria ma ancor più
rilevante nell’arbitrato commerciale internazionale.
A tale riguardo può svolgersi un duplice ordine di considerazioni.
Innanzitutto il sempre più ampio spazio attribuito alla autonomia
compromissoria (estensione dell’arbitrabilità anche a materie di rilevanza
pubblicistica; frequente esclusione dell’errore di diritto come mezzo di
ricorso; interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico in sede
di controllo del lodo, etc.), in combinato con il crescente spazio riservato
alla autonomia internazionalprivatistica (piena discrezionalità nella scelta
della legge regolatrice; facoltà del rinvio a un diritto non statale; possibilità
di mettere in opera criteri di collegamento obbiettivi al fine di richiamare
un determinato diritto), prova l’esistenza di una sorta di “compressione
della naturale applicazione degli ordinamenti nazionali alla disciplina del
procedimento arbitrale sì da lasciare il massimo campo di espressione
all’autonomia delle parti” (l’espressione è di Bernardini (4)).
In secondo luogo il fenomeno della rilevanza dell’elemento volontaristico comporta una tendenziale armonizzazione delle regole.
L’arbitrato internazionale è uno dei terreni in cui l’armonizzazione
del commercio internazionale raggiunge livelli particolarmente avanzati:
in ambito processuale, probabilmente, è il livello in assoluto più avanzato.
Ciò si verifica, in buona misura, soprattutto, attraverso una forte
— Caracas, CIETAC — Pechino, CRCICA — Cairo, LCIA — Londra, ICC Parigi, DIS —
Koln, CANACO — Città del Messico, ICAC — Mosca, SIAC — Singapore, SCC — Stoccolma,
CCAT — Tunisi, AAA — New York, ICSID — Washington.
(4) L’arbitrato commerciale internazionale, cit., 7.
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convergenza fra le soluzioni concrete adottate. Ad esempio l’omogeneità
dei vari regolamenti arbitrali, pur diversi fra loro, può avere l’effetto
pratico di rendere più agevole per un avvocato — in grado di conoscere il
meccanismo — difendere un caso in un arbitrato internazionale, piuttosto
che davanti ad un giudice statuale.
Infatti, nell’ottica della pratica internazionale, le verità dogmatiche e
le puntuali qualificazioni giuridiche rischiano di diventare opinabili allorquando confrontate con parametri metodologici, giudizi di valore e tradizioni storico-culturali drammaticamente diverse, ove valutate in una dimensione mondiale.
Invero il problema delle vittorie o sconfitte dottrinali non sembra
vessare l’arbitrato internazionale, né condizionare le decisioni che dallo
stesso promanano.
Un grande Maestro (5) scriveva vent’anni orsono: “... si ponga mente
alla circostanza che l’arbitrato internazionale costituisce innanzitutto una
grossa sfida culturale. È solo attraverso l’apprezzamento delle opinioni
altrui, e lo sforzo verso il conseguimento di un plafond minimo di comunicabilità e di intesa intellettuale, che ogni giorno si celebrano arbitrati
internazionali. Ove così non fosse, il particolarismo di ciascuna scuola di
pensiero [e, aggiungerei, le tendenze legislative e giurisprudenziali nazionali di difesa della sovranità degli Stati; n.d.r.] mai consentirebbe di
superare quel parrocchialismo che è stato uno degli attributi principali del
diritto sino ad un passato molto recente, ma che rischia di ucciderne la
funzione a fronte di quello che va già profilandosi come il mondo di
domani”.
4. Se questo è lo scenario di fondo entro il quale va ricercata la
collocazione dell’arbitrato marittimo (6) ritengo che una definizione di
arbitrato marittimo transnazionale può essere data a due livelli.
Un primo livello è quello che — ictu oculi — si incentra sul collegamento fra la res litigiosa e la nave secondo la nota definizione “an
arbitration is usually described as a maritime arbitration if in some way it
involves a ship” datane da Harris Summerskill e Cockerill in un celebre
articolo anch’esso di vent’anni fa (7).
Un secondo livello è quello che muove dalla qualificazione datane da
La Mattina — sulla scorta dello studio in precedenza condotto da Carbone
(5) BERNINI, L’arbitrato, Bologna, 1993, 564-565.
(6) Per “arbitrato marittimo” intendo riferirmi solo a quello c.d. “transnazionale” e non
anche a quello c.d. “interstatale” riferito alla composizione delle controversie fra stati o fra stati
e privati riguardanti il diritto del mare come da Convenzione di Montego Bay o altri strumenti
previsti dal diritto internazionale.
(7) London Maritime Arbitration in Arbitration International, 1993.
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e Lopez De Gonzalo (8) — nel suo recente lavoro sull’arbitrato marittimo (9). Secondo l’Autore è tale l’ “arbitrato fra privati avente ad oggetto
questioni inerenti il diritto marittimo e caratterizzato dall’esistenza di
elementi di internazionalità”. Tale definizione pone l’accento sul fatto che
questo fenomeno altro non sia che il riflesso processuale del diritto
marittimo e come tale sia influenzato dalle caratteristiche (e peculiarità)
del diritto sostanziale al riguardo.
5. L’analisi e la valutazione delle caratteristiche fondanti del diritto
marittimo ai fini di un suo inquadramento sul piano scientifico, normativo
ed interpretativo rispetto all’ordinamento generale ha costituito — nel
nostro paese — quella celebre “fucina” (l’espressione è di Antonini (10))
che ha impegnato per circa mezzo secolo i più autorevoli cultori della
scienza giuridica navigazionistica e marittimistica (11) a far data dalla
promulgazione del codice della navigazione. O meglio, a ben vedere,
anche anteriormente a tale momento se si tengono a mente i primi scritti
di Scialoja degli anni venti ed il suo noto dibattito negli anni trenta (12) con
Francesco Berlingieri Sen. sull’internazionalismo del diritto della navigazione.
(8) L’arbitrato marittimo, in N.G.C.C. 1993, II, 168 ss.
(9) L’arbitrato marittimo e i principi del commercio internazionale, Milano, 2012, 4, a cui
rimando per l’ampia bibliografia nazionale ed internazionale in tema di arbitrato marittimo in
generale. Concordo con l’A. che, poiché il campo di applicazione di tale figura è naturalmente
internazionale (per essere tale la dimensione dei rapporti a cui si rivolge), l’arbitrato marittimo
“interno” non è oggetto della disamina odierna.
(10) L’autonomia del diritto della navigazione, banco di prova e fucina dell’ordinamento
giuridico, in Dir. Trasp., 2007, 725 ss.
(11) BERLINGIERI, Diritto marittimo e diritto aeronautico: unitarietà di disciplina, in Dir.
Mar., 1987, 466 ss.; CARBONE, Il trasporto marittimo di cose nel sistema dei trasporti internazionali, Milano, 1976; ID. La c.d. autonomia del diritto della navigazione: risultati e prospettive, in
Dir. Mar., 1975, 27 ss.; ID. L’internazionalità e la specialità delle fonti del diritto della navigazione
nel terzo millennio, in Riv. Dir. Int. Priv. e proc., 2005, 889 ss.; DOMINEDÒ, Principi del diritto
della navigazione, I, Padova, 1957, 47 ss.; GAETA, Le fonti del diritto della navigazione, Milano,
1965; GRIGOLI, Spunti in tema di interpretazione del diritto della navigazione, in Scritti in onore
di Salvatore Pugliatti, II, Milano, 1978, 339 ss.; LEFEBVRE D’OVIDIO, L’analogia prioritaria nel
sistema delle fonti del diritto della navigazione, in Il cinquantenario del codice d ella navigazione
(a cura di Tullio e Deiana), Cagliari, 1993, 19 ss.; LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE e TULLIO,
Manuale di diritto della navigazione, XI ed., Milano, 2008, 3 ss.; PESCATORE, Oggetto e limiti del
diritto della navigazione, in Scritti giuridici in onore di Antonio Scialoja, I, Bologna, 1952, 191 ss.;
PESCATORE, Codice civile e codice della navigazione: valore dei richiami reciproci, in Riv. Dir.
Nav., 1959, I, 221 ss.; PESCATORE, Diritto della navigazione e principi generali, in Foro it., 1994,
V, c. 434 ss.; PUGLIATTI, Codice della navigazione e codice civile, in Riv. dir. nav., 1943-48, I, 7 ss.;
QUERCI, Diritto della navigazione; tendenze di sviluppo e tematiche dottrinali, in Trasporti, 1975,
n. 5, 33 ss.; SPASIANO, Oggetto, limiti ed integrazione del diritto della navigazione, in Riv. dir. nav.,
1961, I, 43 ss,; SPASIANO, Il diritto della navigazione come sistema unitario ed autonomo, in Riv.
dir. nav., 1963, I, 279 ss.; TULLIO, Dal diritto marittimo e aeronautico al diritto della navigazione
ed al diritto dei trasporti, in Dir. trasp., 2005, 425 ss.
(12) SCIALOJA, La sistemazione scientifica del diritto marittimo, in Riv. dir. comm., 1928, I,
1 ss.; ID. Sistema del diritto della navigazione, 3ª ed., Roma, 1933; F. BERLINGIERI Sen., Verso
l’unificazione del diritto marittimo. Parole del Prof. A. Scialoja, in Dir. Mar., 1935, 449 ss.; ID.
Verso l’unificazione del diritto del mare. Parole in replica al Prof. A. Scialoja, in Dir. Mar., 1936,
500
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Il risultato a cui si è pervenuti è che la materia marittima sia
caratterizzata da una propria “specialità” rispetto al diritto comune. Anzi,
stante la propria vocazione internazionale, rispetto al diritto del commercio internazionale (13).
Elementi fondanti per il riconoscimento di tale specialità sono stati
rinvenuti, da un lato, nella pregnante presenza in questa materia di
elementi di internazionalità (comportante una incidenza, maggiore che in
altri campi, del diritto internazionale, sia esso convenzionale che consuetudinario) e, dall’altro lato, nella diffusa rilevanza dell’autonomia privata
che “tenendo conto di quel diritto vivente che è contenuto nelle clausole dei
contratti tipo, dei formulari, delle polizze di carico e di assicurazione”
(parole di Scialoja!) concorrono alla formazione di quel corpus normativo
semplicemente definibile quale lex maritima di universale applicazione.
“Specialità” della materia — si noti — non “autonomia” giacché il
diritto marittimo non si pone in antitesi rispetto al diritto comune. Rimane
infatti inserito nell’ordinamento generale in un rapporto reciproco di
collaborazione giacché se, per un verso, non può ignorarsi l’origine (anche) marittimistica di molti istituti del diritto civile e commerciale (assicurazione, impresa e società, titoli di credito, modi di acquisto della
proprietà, responsabilità civile, ecc.) per un altro verso bisogna dare atto
che istituti originali del diritto marittimo (quali il noleggio, l’avaria comune, il soccorso, le limitazioni di responsabilità) non potrebbero semplicemente essere se si trovassero ad esistere “floating in a legal firmament” e quindi scollegati rispetto al sistema generale.
6. La ricerca dei caratteri ove si manifesta la specialità dell’arbitrato
marittimo rispetto all’arbitrato commerciale internazionale non può essere condotta sul piano della tecnica legislativa.
Le convenzioni internazionali offrono appigli alquanto scarsi e una
regolamentazione apposita del fenomeno è inesistente.
Nel campo del trasporto marittimo le Regole dell’Aja nulla dispongono in materia di arbitrato.
Le Regole di Amburgo e le più recenti Regole di Rotterdam prevedono invece l’arbitrato consentendo ai soggetti interessati al carico di
azionare le proprie pretese contro il vettore anche in luoghi diversi da
quelli convenzionalmente indicati. Previsione questa che — sia pur com105 ss.; SCIALOJA, Utopie. Risposta al Prof. F. Berlingieri, in Riv. dir. nav., 1936, 3 ss.; ID. Intorno
all’unificazione del diritto del mare. Postilla all’articolo di Lefebvre d’Ovidio, in Riv. dir. nav.,
1936, 348 ss.
(13) “Una disciplina speciale sorge quando l’assetto normativo fondato sulla disciplina
comune o generale, che regola i rapporti dei soggetti giuridici nella loro qualifica di partecipi
della comunità, non sia sufficiente ad adattarsi alle peculiarità di una certa materia e determini
la necessità di un diverso e più adeguato sistema normativo” (TREVES, Diritto della navigazione,
in Dizionari del diritto privato promossi da Natalino Irti, Milano, 2010, 148).
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prensibile nell’ottica della eliminazione del supposto vantaggio che la
pratica assegna al vettore attraverso l’indicazione esclusiva in polizza
dell’ordinamento in cui deve svolgersi l’arbitrato — ingenera qualche
perplessità sulle nozioni (“luogo di conclusione del contratto” o “stabilimento, succursale o agenzia”) atte a determinare i criteri di collegamento
necessari per determinare tali fori alternativi “che non hanno ancora
assunto nell’ambito del commercio internazionale un significato del tutto
inequivoco e preciso” (14).
Anche le altre convenzioni di diritto marittimo uniforme (le due,
Convenzione di Bruxelles del 1952 sul sequestro di navi e sull’urto fra navi
e la Convenzione di Londra del 1989 in materia di soccorso) si riferiscono
in modo sporadico all’arbitrato.
Conseguenza di tutto ciò è che l’arbitrato marittimo — anche quando
previsto dalle disposizioni specifiche contenute nei predetti strumenti —
trova la propria compiuta disciplina nelle convenzioni “generali” in materia di arbitrato commerciale internazionale (Ginevra e New York) (15).
Può quindi concludersi sul punto affermando che gli arbitrati marittimi possono essere fatti rientrare nel novero degli arbitrati commerciali in
un rapporto che si potrebbe definire come da specie a genere (16).
7. Vengo quindi alla domanda fondamentale intorno alla quale
ruota questa mia relazione: dove consiste la “devianza” dell’arbitrato
marittimo rispetto al modello “classico” di arbitrato commerciale?
Le manifestazioni sono evidenti. Non infrequente utilizzo delle tecniche di parallel proceedings o forme di consolidation per procedimenti
arbitrali diversi anche se, di fatto, uniti da una sequela “verticale” di
contratti a catena quali sono quelli per l’utilizzo di una nave da parte di più
noleggiatori. Gli arbitri sono spesso commercial men (brokers, ingegneri
navali, managers, etc.) ed i collegi arbitrali caratterizzati dalla interdisciplinarietà. La forma di arbitrato non amministrato (anche se condotto
secondo regolamenti prestabiliti) è di gran lunga preferita rispetto a quella
dell’arbitrato c.d. istituzionale. Tra i centri di arbitrato marittimo Londra
rimane la piazza più richiesta ed autorevole rimane l’influenza della
London Maritime Arbitration Association; tecnicismo delle materie che
(14) Così CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., 620. Sul punto v. la
risposta (critica) data dall’Associazione Italiana di Diritto Marittimo nel gennaio 1995 ad un
questionario del CMI sulle Hague Visby/Hamburg Rules.
(15) Soluzione questa — peraltro — comunemente adottata anche per arbitrati volti a
dirimere altri settori del commercio e che risponde al bisogno di contenere la proliferazione di
norme frammentarie.
(16) Peraltro anche le Corti di quegli Stati (come gli Stati Uniti) che hanno formulato la
c.d. “riserva di commerciabilità” prevista dall’art. 1.3 della Convenzione di New York non
hanno mai mostrato contrarietà alcuna a che la materia “marittima” rientrasse in quella
“commerciale” e quindi nel suo campo di applicazione.
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conducono spesso ad anteporre problematiche peritali rispetto a questioni
squisitamente giuridiche; insofferenza generalizzata per i formalismi e le
questioni procedurali, etc.
La risposta al perché di tali modelli arbitrali — frequentemente
alternativi a quello generale — è rinvenibile nel consolidamento spontaneo di mentalità, prassi operative e tradizioni (spesso refrattarie ad
influenze esterne) che informa i protagonisti del mondo dello shipping.
L’adesione ai principi della lex maritima (intesa secondo la celebre espressione di Lord Mansfield — mutuata da Cicerone — come “not the law of
a particular country but the general law of nations”) (17) implica una
precisa posizione culturale votata a favore dell’internazionalismo e di quel
“droit formulaire” che meglio permette di soddisfare le ragioni di speditezza e celerità dei traffici marittimi.
È questo il perdurante valore della consuetudine che informa gli
aderenti a tale particolare status mercatorio: il rispetto di “regole” materiali uniformi maturate nel corso di una plurisecolare esperienza e supportate dal convincimento che esse possano prevalere sui diritti marittimi
nazionali (e sulle connesse problematiche relative ai conflitti di legge).
L’arbitrato marittimo è la dimensione processuale adeguata a tutto
ciò (18) ed è facendo propria tale mentalità volta al pragmatismo e alla
semplificazione che si comprende appieno il vero senso dell’affermazione
— apparentemente laconica — con la quale il celebre arbitro marittimo
inglese Bruce Harris ha titolato un proprio articolo del 1992: “Arbitration:
a normal incident of commercial life” (19).
8. Il momento in cui si è manifestato in modo evidente lo “scollegamento” tra l’arbitrato marittimo e l’arbitrato commerciale internazionale è stato dato dal sostanziale fallimento delle ICC-CMI Rules.
Questo regolamento arbitrale fu il frutto di un tentativo iniziato a fine
anni settanta tra la CCI ed il CMI. Lo sforzo compiuto da tali due
associazioni determinò la nascita della International Maritime Arbitration
Organization (“IMAO”).
Il regolamento di tale istituzione venne redatto in forma semplificata
rispetto a quello tradizionale dell’ICC, proprio per venire incontro alle
esigenze del settore.
Nonostante ciò, il progetto non funzionò in quanto le ICC/CMI Rules
rimasero pressoché ignorate dalla comunità marittima.
A seguito di una indagine compiuta a fine anni novanta risultò che le
(17) Like v. Lyde, 2 Burr 882, 97 Eng. Rep. 614 (K.B. 1759).
(18) Sul punto v. LA MATTINA, cit., 15 secondo cui “l’arbitrato marittimo... deve farsi (e...
in concreto si fa) ‘strumento’ per la più efficace attuazione dei rapporti sostanziali del commercio marittimo internazionale”.
(19) In Arbitration, 1992, 153 ss.
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ragioni del fallimento erano diverse. La principale però fu individuata
nello scetticismo con cui gli operatori marittimi percepivano il nuovo
centro arbitrale, quasi che dietro di esso si profilasse l’ “ombra” della CCI
da cui avrebbero dovuto guardarsi in quanto fonte di complessità amministrative e costi. La preferenza insomma era (e continuò ad essere) per
altri organismi arbitrali marittimi (in primis la LMAA) più informali e nei
quali la party autonomy — anche sul piano procedimentale — potesse (e
può) trovare maggiore libertà di espressione.
9. Sia pur ricompreso in un rapporto da specie a genere, l’arbitrato
marittimo non può essere considerato come “dio minore” rispetto all’arbitrato commerciale internazionale. Esso è portatore di valori propri che
ne hanno cagionato la nascita nella notte della più remota storia del diritto
e rimane interprete di esigenze che continuano a ripresentarsi oggi sia pur
con modalità e caratteristiche in continua evoluzione.
I suoi utilizzatori però debbono guardarsi da una limitazione di cui
sembrano soffrirne, anche in altri settori, tutti coloro che compongono un
particolare status mercatorio: l’autoreferenzialità.
Tale evidenza era stata l’oggetto di un ispirato “opening speech”
tenuto a Vancouver nel 1991 da Lord Mustill, all’apertura del decimo
congresso internazionale degli arbitri marittimi.
In tale occasione Lord Mustill aveva auspicato “the integration of
maritime arbitration into the wider community of international commercial
arbitration”; aveva raccomandato “the attention of the maritime community to potential developments in the field of arbitration which might affect
its interests”; aveva suggerito “better information and data on arbitration
awards to achieve a worldwide perspective of maritime arbitration”; aveva
evidenziato “a clear need for theoretical thinking in maritime arbitration”,
etc. In conclusione, una cultura dell’arbitrato marittimo che fosse in linea
con i tempi.
Un millennio si è concluso. Un altro si è aperto e l’auspicio è — in
linea con quanto sostenuto da Lord Mustill — che l’arbitrato marittimo
possa mostrare maggiore apertura alle problematiche (proprie di tutte le
tecniche di risoluzione dei conflitti) relative ad un corretto adeguamento
alle continue sfide che il commercio internazionale propone.
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La validità della clausola arbitrale nelle polizze di
carico
ENRICO RIGHETTI
1. Premessa. — 2. La disciplina formale prescritta dal diritto internazionale
uniforme e dalla legge interna ai fini della validità della clausola arbitrale inserita
nelle polizze di carico. — 3. La giurisprudenza italiana in materia di vincolatività
per il caricatore delle clausole arbitrali inserite in polizza di carico. — 4. La
giurisprudenza italiana in materia di vincolatività per il ricevitore-giratario delle
clausole arbitrali inserite in polizza di carico. — 5. La giurisprudenza italiana in
materia di clausole arbitrali inserite in un charter party richiamato dalla polizza di
carico. — 6. La giurisprudenza inglese in materia di vincolatività delle clausole
arbitrali nelle polizze di carico. — 7. Inapplicabilità alla fattispecie in esame della
disciplina uniforme europea in tema di clausole di deroga alla giurisdizione a
favore di giudici statuali. — 8. La disciplina delle clausole arbitrali nel sistema
delle Regole di Amburgo del 1978 e delle nuove Regole di Rotterdam del 2009.
1. L’accordo con cui le parti convengono esplicitamente l’attribuzione della giurisdizione (o competenza giurisdizionale) a favore di giudici
stranieri o di arbitri che si pronuncino all’estero può comportare, da un
lato, la deroga alla giurisdizione del giudice statuale che normalmente
sarebbe stato giurisdizionalmente competente a conoscere della controversia sulla base dei criteri attributivi previsti dalle discipline uniformi
internazionali, europee o interne di d.i.p. in materia e, dall’altro lato,
invece la proroga della giurisdizione a favore di un giudice o di arbitri che
normalmente non avrebbero avuto potestas iudicandi in relazione alla
medesima controversia.
Nel caso che qui ci interessa, ossia quello dell’arbitrato e, ancor più in
particolare, dell’arbitrato marittimo, quest’accordo si estrinseca in un
compromesso o in una clausola compromissoria o arbitrale.
La mia trattazione sarà, peraltro, circoscritta ai profili di validità delle
clausole arbitrali contenute nella polizza di carico, che, come si sa, è quel
documento unilateralmente emesso dal vettore marittimo che, oltre a
costituire « prova del contratto di trasporto », è anche « titolo di credito
rappresentativo delle merci trasportate ».
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Le polizze di carico sono generalmente utilizzate nell’ambito dei
trasporti di linea, ma non esclusivamente. Infatti, anche nei trasporti di
carico documentati da contratti di noleggio (charter parties) non è infrequente registrare l’emissione da parte del noleggiatore a tempo o a viaggio
di polizze di carico, quali ad esempio i « Congenbills » o altri formulari
simili.
A differenza di quanto è dato riscontrare nei charter parties, nelle polizze di carico non è invece frequente, anche se non può dirsi raro, il fenomeno dell’inserzione di clausole arbitrali nelle condizioni generali prestampate a tergo delle stesse polizze. Per contro, nella prassi dei traffici marittimi,
trovano soprattutto impiego nel loro ambito le clausole di deroga alla o
anche di proroga della giurisdizione a favore di giudici statuali.
Di conseguenza, come è stato correttamente rilevato (1), non si può
affermare che in tale contesto l’arbitrato marittimo costituisca uno strumento di risoluzione delle controversie tipicamente e usualmente impiegato dagli operatori del commercio internazionale.
2.1. In primo luogo, con riguardo alla disciplina di diritto internazionale uniforme, va rilevato che la Convenzione di Bruxelles del 1924
sulla polizza di carico, come successivamente modificata dai Protocolli del
1968 e del 1979 (c.d. Hague o Hague-Visby Rules), non prende in considerazione le clausole arbitrali. E ciò a differenza, invece, della Convenzione di Amburgo del 1978 e delle più recenti Regole di Rotterdam del
2009 (non ancora entrate in vigore), che, come vedremo infra, dedicano
una specifica e complessa disciplina all’istituto dell’arbitrato.
Di conseguenza, i requisiti di forma per la validità delle clausole
arbitrali contenute all’interno delle polizze di carico dovranno essere
valutati essenzialmente alla luce della disciplina internazionale uniforme
dettata dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento ed esecuzione delle sentenze arbitrali straniere (2) e, segnatamente,
del suo articolo II (2) che prescrive le condizioni di forma necessarie alla
validità della convenzione arbitrale (3).
Beninteso, con riferimento al suo ambito applicativo, la predetta
Convenzione di New York del 1958 andrà ad operare con riguardo ai soli
arbitrati « esteri », ossia quelli considerati non interni o domestici rispetto
allo specifico ordinamento processuale ove viene sollevata una questione
di forma della clausola arbitrale (4).
(1) TRAPPE, The arbitration clause in bill of lading, in L.M.C.L.Q., 1999, 339.
(2) Resa esecutiva in Italia con legge 19 gennaio 1968 n. 62.
(3) In questo senso, LA MATTINA, L’arbitrato marittimo e i principi del commercio
internazionale, Milano, 2012, 155 e 296.
(4) RIGHETTI E., La deroga alla giurisdizione, Milano, 2002, 306; BONELLI, La forma della
clausola compromissoria per arbitrato estero, in Rass. Arb., 1983, 145-146.
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In questo quadro, l’interprete si è segnatamente trovato ad affrontare
il problema dell’ammissibilità di tali clausole sulla base dell’art. II (2) della
Convenzione di New York, allorquando, come per le polizze di carico,
esse sono di regola contenute in condizioni generali di contratto sempre
predisposte unilateralmente dal vettore marittimo ed inserite a stampa (il
più delle volte in caratteri minuscoli e di ardua lettura) sul retro di veri e
propri formulari.
In particolare, il citato art. II (2) obbliga gli Stati contraenti a
riconoscere come valide tutte le « convenzioni scritte » con le quali le parti
si siano vincolate a devolvere in arbitrato le controversie già insorte o che
potrebbero insorgere fra le stesse, precisando poi che « on entend par
« convention écrite » une clause compromissoire insérée dans un contrat, ou
un compromis, signés par les parties ou contenus dans un échange de lettres
ou télégrammes ».
Analogamente, la Convenzione Europea di Ginevra del 21 aprile
1961 sull’arbitrato commerciale internazionale (5) stabilisce all’art. I (2)
che « on entend par (a) « convention d’arbitrage » soit une clause compromissoire insérée dans un contrat soit un compromis, contrat ou compromis
signés par les parties ou contenus dans un échange de lettres, de télégrammes ou de communications par téléscripteur ... ».
In merito, la nostra dottrina (6) non aveva mancato di stigmatizzare il
contrasto fra « la rigidità della norma che, a tutela dell’effettività del
consenso, impone la forma scritta » e « le contrapposte esigenze di rapidità
e semplificazione tipiche della contrattazione del commercio internazionale ».
In quest’ottica, va comunque evidenziato che la Convenzione di
Ginevra del 1961 ha lasciato aperto uno spiraglio per consentire a quegli
ordinamenti nazionali che lo desiderassero di superare il requisito della
forma scritta, in quanto, nel contesto della norma appena riportata, si
dispone espressamente la validità « dans les rapports entre pays dont les
lois n’imposent pas la forme écrite à la convention d’arbitrage, [de] toute
convention conclue dans les formes permises par ces lois ».
Inoltre, com’è stato ulteriormente osservato (7), il requisito di forma
prescritto dalle surrichiamate Convenzioni internazionali « deve essere
riletto in chiave « evolutiva » tenendo conto ... anche degli sviluppi dei
mezzi di comunicazione che rendono necessario un adattamento del testo
pattizio del 1958 ». Tendenza « evolutiva » che, come si vedrà infra, è stata
considerata dal nostro legislatore nazionale della riforma dell’arbitrato del
(5) Resa esecutiva in Italia con legge 10 maggio 1970 n. 418.
(6) V., per tutti, LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole compromissorie tra
formalismo e prassi del commercio internazionale, nota a App. Trieste 22 giugno 1988, Bravo
Ceres Shipping Corp. S.A. c. Fratelli Variola S.p.A., in Diritto marittimo, 1990, 327.
(7) Così, LA MATTINA, L’arbitrato marittimo ..., cit., 110.
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1994, il quale, nel 2º comma dell’art. 807 c.p.c., ha opportunamente incluso
in un elenco aggiornato di tali strumenti anche il telefax e il messaggio
telematico.
2.2. In secondo luogo, con riferimento al diritto interno, si osserva
che, nell’ambito della nostra disciplina di d.i.p., ossia la legge n. 218/1995,
che ha abrogato il previgente art. 2 c.p.c. (il quale enunciava l’opposto
principio della « inderogabilità convenzionale della giurisdizione italiana »), l’art. 4, 2º comma, ora stabilisce che « la giurisdizione italiana può
essere convenzionalmente derogata a favore [di un giudice straniero o] di
un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su
diritti disponibili ».
Dal canto suo, il nostro codice di rito, in forza del rinvio operato
dall’art. 808, 1º comma, al precedente art. 807 dispone che la forma
richiesta per la validità della clausola compromissoria debba essere quella
scritta ad substantiam, vale a dire a pena di nullità.
Inoltre, prescrivendo che la convenzione arbitrale debba altresì determinare l’oggetto della controversia, il nostro legislatore insiste, semmai
ve ne fosse ancora bisogno, sulla necessità che risulti specificamente per
iscritto l’accordo con cui le parti decidono di devolvere ad arbitri la
risoluzione di una o più controversie già insorte o, comunque, che potrebbero insorgere in futuro.
Di tutta evidenza, la ratio che impronta una simile prescrizione è
quella di far sì che solo con una scelta consapevole e ponderata le parti
decidano, in via preventiva o attuale, di compromettere in arbitri una o più
controversie e che, quindi, la loro reale volontà si traduca, in modo
univoco e solenne, in un atto scritto. Come è stato acutamente osservato (8), questo rigore formale ha radici profonde nella cautela, per non
dire nella larvata diffidenza, con cui il nostro legislatore ha per lungo
tempo guardato alla scelta delle parti di ricorrere alla via arbitrale, e ciò
a ragione della conseguente rinuncia delle stesse alla tutela giurisdizionale, ossia all’opera dei giudici statuali.
Peraltro, il 2º comma dell’art. 807, nella formulazione conseguente
alle leggi di riforma dell’arbitrato del 1994 e del 2006, che ricalcano in
sostanza la disciplina formale ricavabile dalle surrichiamate Convenzioni
di New York del 1958 e di Ginevra del 1961 in chiave « evolutiva » con
riferimento ai prospettati sviluppi della tecnologia dei mezzi di comunicazione (9), prevede ora che « la forma scritta s’intende rispettata anche
quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi ».
(8 )
( 9)
LA CHINA, L’arbitrato: il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, 33.
Vedi, supra, nota (7).
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Si ricorda, in ogni caso, che, con specifico riferimento agli arbitrati
esteri, già la nostra Suprema Corte, anticipando il legislatore della riforma
dell’arbitrato del 1994, aveva ritenuto, sulla scorta della disciplina formale
dettata dal diritto internazionale uniforme, « consentita una deroga alla
giurisdizione anche in base a clausole contenute in accordi conclusi con un
mezzo per sua natura e struttura tale da non comportare la sottoscrizione
autografa delle parti, essendo sufficiente la provenienza personale delle
vicendevoli dichiarazioni scritte » (10).
In buona sostanza, con il rendere non più necessaria la sottoscrizione
autografa delle parti, essendo ora requisito sufficiente la semplice provenienza personale delle reciproche dichiarazioni scritte, il legislatore nazionale si è, quantunque in ritardo, adeguato alle esigenze di rapidità e
semplificazione caratteristiche della prassi contrattualistica del commercio
internazionale, incamminandosi cioè nella direzione, prevalentemente
seguita dagli altri ordinamenti nazionali, in cui, ai fini di determinare la
validità o meno della convenzione arbitrale, l’attenzione si accentra, più
che sui requisiti formali veri e propri, sulla verifica dell’esistenza, nel
singolo caso concreto, dell’accordo compromissorio, ossia della accertata
effettiva volontà delle parti di deferire alla decisione di arbitri la risoluzione di determinate controversie.
Ma là dove il nostro legislatore (quello però del codice civile del 1942)
ha oltrepassato i limiti di un giustificabile formalismo (presente anche
nella surrichiamata Convenzione di New York del 1958) è stato nel
ricomprendere le clausole arbitrali fra le clausole c.d. « vessatorie » che, se
contenute in condizioni generali di contratto oppure in moduli o formulari
predisposti da uno solo dei contraenti, richiedono per la loro validità
l’ulteriore requisito della specifica approvazione per iscritto ai sensi degli
artt. 1341 e 1342 cod. civ. E, come s’è già sottolineato, nell’ipotesi delle
polizze di carico che qui ci interessa, le clausole arbitrali sono contenute
proprio in condizioni generali di contratto non soltanto predisposte unilateralmente ma anche prestampate sul retro di veri e propri formulari
costituiti dalle stesse polizze.
Non è certamente questa la sede ove stigmatizzare la concreta inadeguatezza, per non dire assoluta inutilità, di una simile prescrizione
formale addizionale, della quale è evidente riprova la stessa prassi contrattuale che ha visto negli anni soprattutto i contraenti economicamente
più « forti » o meglio organizzati imporre a quelli più « deboli » la duplice
specifica sottoscrizione di tale genere di clausole. Inoltre, come è stato
rilevato da più parti, la prescrizione dell’approvazione specifica per iscritto
è caratteristica propria ed esclusiva del nostro ordinamento, « non invi(10) V. Cass. S.U. 25 gennaio 1991, n. 749, Marc Rich & Co. A.T.I. c. Società Italimpianti,
in Foro it., 1991, I, 1439.
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diataci da nessun altro, sgradita ai contraenti esteri e difficilmente compatibile con le moderne celeri modalità della contrattazione internazionale
(telefono, telex, fax ...) » (11).
Peraltro, in passato, la nostra giurisprudenza si è adoperata, nei limiti
di quanto consentito da una disposizione di legge tuttora vigente, al fine di
circoscriverne la portata alle sole clausole arbitrali stipulate in Italia.
Infatti, la stessa Cassazione ha più volte avuto modo di affermare che gli
artt. 1341 e 1342 cod. civ. che prevedono la specifica approvazione per
iscritto delle clausole compromissorie contenute in condizioni generali di
contratto o in moduli o formulari predisposti da uno solo dei contraenti,
non fanno parte del nostro ordine pubblico interno, ditalché le clausole
arbitrali stipulate all’estero e, correlativamente, i lodi arbitrali stranieri
che si fondano su tali clausole, non necessitano dell’approvazione specifica, dovendosi applicare in via esclusiva la disciplina della forma della
convenzione arbitrale stabilita dall’art. II della Convenzione di New York
del 1958 (12).
In questa stessa direzione si era orientato anche il legislatore italiano,
il quale, a seguito della riforma dell’arbitrato del 1994, aveva inserito
nell’ambito della disciplina del c.d. « arbitrato internazionale » (13), proprio con riguardo alla forma della clausola compromissoria, l’art. 833 che
testualmente disponeva: « la clausola compromissoria contenuta in condizioni generali di contratto oppure in moduli o formulari non è soggetta alla
approvazione specifica prevista dagli artt. 1341 e 1342 cod. civ. È valida la
clausola compromissoria contenuta in condizioni generali che siano recepite in un accordo scritto dalle parti, purché le parti abbiano avuto conoscenza della clausola o avrebbero dovuto conoscerla usando l’ordinaria
diligenza ».
Purtroppo, il legislatore della riforma dell’arbitrato del 2006, forse un
po’ troppo frettolosamente, ha abrogato, insieme all’intera disciplina
sull’arbitrato internazionale dettata dagli artt. 832 a 838 c.p.c., anche la
disposizione surrichiamata, la cui utilità nel caso in esame sarebbe stata
certamente indubbia.
(11) Così LA CHINA, loc. ult. cit.
(12) Cfr. ex multis Cass. S.U. 22 maggio 1995, n. 5601, Micheletti c. Jazirah Marble
Company Ltd., in Riv. dir. int., 1995, 817; Cass. 14 novembre 1981, n. 6035, Jauch & Huebener
GmbH c. Société de Navigation Transocéanique SA, Soc. Industriale Agricola Treesse, S.I.A.T.
e Alfred C. Toepfer, in Diritto marittimo, 1982, 391, con nota di MARESCA; Cass. S.U. 11
settembre 1979, n. 4746, S.A. d’Assicurazioni e Riassicurazioni Lloyd Continental c. Navigazione Alga S.p.A., ivi, 1980, 31; Cass. 7 ottobre 1980, n. 5378, Casillo c. Getreide Import
Gesellschaft, ivi, 1982, 67.
(13) Sulla scorta del previgente art. 832 c.p.c., si intendeva per « arbitrato internazionale » il procedimento arbitrale interno, non straniero, che era peraltro soggetto ad una
disciplina speciale del nostro codice di rito (artt. 832 a 838 c.p.c. abrogati) in quanto connotato
da elementi di internazionalità con riferimento alla localizzazione in Stati diversi delle parti
oppure di una parte rilevante delle prestazioni oggetto del rapporto controverso.
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3. Con riferimento al problema della vincolatività nei riguardi del
caricatore delle clausole arbitrali presenti nelle polizze di carico, la nostra
giurisprudenza tradizionale, restando ancorata ad una impostazione estremamente formalistica, aveva affermato che il requisito formale prescritto
dall’art. II (2) della Convenzione di New York non potesse essere rispettato che mediante l’apposizione della sottoscrizione delle parti al documento contrattuale nel quale è contenuta la clausola. In questo senso, si
era pronunciata la nostra Cassazione (14) ritenendo invalida una clausola
arbitrale inserita in una polizza di carico che non recava la sottoscrizione
del caricatore, sul presupposto che « la norma in esame (art. II (2)
Convenzione New York 1958) non si accontenta di uno scritto unilaterale,
ma lo richiede bilaterale, sì che non è sufficiente l’ovvia affermazione della
natura di atto scritto della polizza, restando da dimostrare che essa sia o
possa intendersi sottoscritta da entrambe le parti tra le quali la clausola
arbitrale deve esplicare i propri effetti »; ed aveva, poi, aggiunto che alla
mancanza di sottoscrizione del caricatore non poteva comunque supplirsi
con la firma per girata apposta a tergo della polizza, in quanto « la firma
per girata ha una funzione del tutto diversa ed autonoma rispetto a quella
del contratto, valendo quest’ultima a riferire al sottoscrittore il contenuto del
negozio ed i diritti da esso nascenti, e la prima a trasferire ad altro soggetto
detti diritti secondo la legge propria della circolazione del titolo » (15).
Ancora, la stessa Suprema Corte aveva avuto modo di dichiarare che
solo se la polizza di carico « è sottoscritta dal vettore e dal caricatore, ben
può realizzare il presupposto del contratto firmato da entrambe le parti
richiesto dall’art. II della Convenzione di New York ai fini della validità
della clausola compromissoria inserita nella polizza stessa » (16).
L’orientamento tradizionale, come sopra espresso dalla nostra giurisprudenza, non aveva peraltro mancato di suscitare critiche da più parti.
Era stato, infatti, osservato (17) che il requisito formale della sottoscrizione da parte di entrambi i contraenti del documento contrattuale nel
quale la clausola è inserita è, di regola, difficilmente compatibile con la
normale prassi dei traffici marittimi. E ciò è tanto più vero per le polizze
(14) V. Cass. 18 maggio 1978, n. 2392, Atlas General Timbers S.p.A. c. Concordia Lines
S.p.A., in Diritto marittimo, 1978, 658; in senso conforme anche Cass. 7 ottobre 1980, n. 5378,
Casillo c. Getreide Import Gesellschaft, ivi, 1982, 67; Cass. 19 novembre 1987, n. 8499, Soc. Mara
c. Internat, in Giust. Civ. Mass., 1987, fasc. 11.
(15) Nello stesso senso, cfr. anche Cass. S.U. 18 maggio 1995, n. 5475, Soc. Spadoni
Agenzia Marittima c. Soc. Insurance Company of North America e altro, in Diritto marittimo,
1997, 967, con nota di TERRILE; Cass. 15 marzo 1985, n. 2017, Banca Provincial de Salta c.
Pagnan, in Resp. civ. e prev., 1985, 590; Trib. Genova 24 maggio 1989, Soc. Ind. Pirelli c. Soc.
Italia Navigazione, in Diritto marittimo, 1990, 385; Trib. Genova 20 luglio 1991, Le Assicurazioni
d’Italia c. Agenzia Marittima Spadoni, in Diritto marittimo, 1992, 469.
(16) Cass. S.U. 11 settembre 1979, n. 4746, Lloyd Continental c. Soc. Navigazione Alga,
in Riv. dir. int. priv. e proc., 1980, 425.
(17) CARBONE - LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, in Nuova giur. civ. comm.,
1993, 178.
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di carico che assai di rado sono sottoscritte dal caricatore al momento
della loro emissione. Infatti, in genere, il caricatore si limita ad apporre la
sua sottoscrizione per girata sul retro della stessa polizza solamente
quando la deve negoziare, mentre il ricevitore, a sua volta, la sottoscrive
soltanto per ricevuta quando richiede la riconsegna del carico (18) e, in
ogni caso, una simile sottoscrizione non rappresenta quasi mai un’inequivoca accettazione della clausola arbitrale o, quanto meno, una sicura
espressione di consapevole conoscenza di tale clausola (19).
Sotto un altro profilo, era stato altresì posto in rilievo (20) che, al di là
del dato letterale dell’art. II (2) della Convenzione di New York, quel che
maggiormente rileva ai fini dell’applicazione della disposizione in esame
« non è tanto il rigore formale ... bensì il sostanziale accertamento che (la
clausola arbitrale) è stata voluta e negoziata dalle parti ».
In senso esattamente contrario all’impostazione tradizionale della
nostra giurisprudenza di legittimità si era, per contro, espresso il Tribunale
di Genova (21), il quale aveva ritenuto che la firma per girata della polizza
di carico potesse essere considerata indice sufficiente della conoscenza ed
accettazione del complesso delle pattuizioni contrattuali, compresa la
clausola compromissoria, ivi contenute.
Una soluzione conforme all’orientamento prevalente, quantunque
fondata su motivazioni che, in parte, si appuntano anche su di una più
corretta verifica dell’effettiva volontà delle parti a compromettere in
arbitri, si è poi imposta nella successiva giurisprudenza di legittimità (22),
secondo cui « se è vero che l’art. II della Convenzione di New York del 10
giugno 1958 ... ha modificato le regole previste dall’art. 808 c.p.c., nel senso
che deve ritenersi consentita una deroga alla giurisdizione anche in base a
clausole contenute in accordi conclusi con un mezzo per sua natura e
struttura tale da non comportare la sottoscrizione autografa delle parti,
essendo sufficiente la provenienza personale delle vicendevoli dichiarazioni
scritte, non vi è alcun dubbio che su detta clausola compromissoria occorra
comunque il consenso scritto di entrambe le parti ».
(18) RIGHETTI E., Clausola compromissoria « per relationem »: dai requisiti di forma
all’indagine sull’esistenza dell’accordo compromissorio, in Diritto marittimo, 1998, 1363.
(19) Così CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 2010, 592.
(20) Così MARESCA M., Forma della clausola compromissoria secondo l’art. II della
Convenzione di New York e connessione in materia di arbitrato commerciale internazionale, nota
a Cass. 14 novembre 1981, n. 6035, Jauch & Huebener GmbH c. Société de Navigation
Transocéanique SA, Soc. Industriale Agricola Treesse, S.I.A.T. e Alfred C. Toepfer, in Diritto
marittimo, 1982, 399.
(21) Trib. Genova 11 aprile 1985, C.D.R. S.p.A. c. Coe & Clerici S.p.A., in Diritto
marittimo, 1986, 692.
(22) Cass. S.U. 25 gennaio 1991, n. 749, Marc Rich & Co. A.T.I. c. Società Italimpianti, in
Foro it., 1991, I, 1439 e in Diritto marittimo, 1992, 90, con nota di LONGANESI CATTANI. Nello
stesso senso, cfr. anche Cass. 28 gennaio 1982, n. 563, Soc. Variola c. Danaos Shipping Co., in
Rep. Giur. it., 1982, voce Arbitrato, n. 100; Cass. S.U. 14 novembre 1981, n. 6035, Jauch &
Huebener GmbH c. Société de Navigation Transocéanique SA, Soc. Industriale Agricola Treesse,
S.I.A.T. e Alfred C. Toepfer, in Diritto marittimo, 1982, 391, con nota di MARESCA.
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Tuttavia, con riguardo, poi, alle modalità con cui deve estrinsecarsi
questo consenso scritto, non appare condivisibile la tesi che sembra essere
stata accolta dalla nostra giurisprudenza di legittimità (23), secondo cui, in
presenza di una proposta contrattuale che contenga una clausola compromissoria, non sarebbe sufficiente che l’altra parte accetti semplicemente
tale proposta, senza fare specifico riferimento alla clausola compromissoria: « stabilito che entrambe le parti devono sottoscrivere la clausola compromissoria e che la volontà univoca di deferire agli arbitri la controversia
deve emergere in modo certo, segue che siffatta clausola compromissoria
non può considerarsi operante, qualora essa sia contenuta ... solamente nei
documenti redatti e sottoscritti dal venditore straniero, ma non risulti
enunciata nel documento sottoscritto dall’acquirente ... con il quale egli ha
accettato la proposta di vendita senza fare alcun riferimento alla clausola
compromissoria ».
A ben vedere, come è stato correttamente evidenziato, la polizza di
carico è un atto unilaterale predisposto esclusivamente dal vettore marittimo, per cui « il problema concreto ... è in definitiva originato dal fatto che
si cerca di inserire, nell’ambito di una struttura eminentemente unilaterale,
un momento prettamente consensuale come la conclusione dell’accordo di
deroga alla giurisdizione » (24).
Inoltre, allorquando si possa risalire anche al rapporto giuridico
bilaterale sottostante, ossia al contratto di trasporto vero e proprio,
documentato ad esempio dal c.d. « fissato » (« booking »), ben raramente
risulterà che le parti abbiano negoziato e concluso l’accordo anche su
un’eventuale clausola di deroga alla giurisdizione (25).
Ora, quantunque non sia necessario ottenere il consenso del caricatore all’atto dell’emissione della polizza di carico, sarebbe però sufficiente
che l’inserimento delle clausole arbitrali nella detta polizza sia oggetto di
consenso da parte del caricatore al momento della conclusione del contratto di trasporto (26). Invece, tutt’al più si potrà ritrovare un rinvio o un
richiamo generico da parte del vettore marittimo alle proprie condizioni
generali di contratto, nell’ambito delle quali è normalmente ricompresa
anche una tale clausola di deroga.
(23) Cass. S.U. 10 marzo 2000, n. 58, Krauss Maffei Verfahrenstechnik GmbH c. Soc.
Bristol Meyers Squibb, in Foro it., 2000, I, 2226:
(24) In questo senso, con riguardo al problema della validità delle clausole di proroga
della giurisdizione a favore di giudici statuali presenti nelle polizze di carico, CONTALDI, Le
clausole di proroga della giurisdizione contenute in polizza di carico e il nuovo testo dell’art. 17
della Convenzione di Bruxelles del 1968, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1998, 80 ss.
(25) Al riguardo, BERLINGIERI, Requisiti di validità della clausola compromissoria, in
Diritto marittimo, 1991, 593, osserva « quando — ciò accade abbastanza raramente — la clausola
arbitrale è inserita direttamente nella polizza di carico, l’accertamento dell’esistenza dei requisiti
formali stabiliti dalla Convenzione di New York, deve essere effettuato, ovviamente, sul titolo che,
per quanto attiene a tale clausola, non può che essere documento di un negozio bilaterale ».
(26) Vedi, LA MATTINA, L’arbitrato marittimo ..., cit., 304.
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4. A diversa soluzione sembra, invece, pervenirsi con riguardo al
problema della vincolatività per il ricevitore-giratario delle clausole arbitrali inserite nella polizza di carico.
Se, infatti, da un lato, in una decisione rimasta isolata, la nostra Corte
di Cassazione aveva affermato che il requisito di forma richiesto dall’art.
II della Convenzione di New York non risulterebbe assolto dalla sottoscrizione per quietanza della polizza di carico, contenente una clausola
arbitrale, da parte del ricevitore (27), dall’altro lato, l’orientamento prevalente dei nostri giudici di legittimità ritiene che, allorquando dal contesto
letterale del titolo costituito dalla polizza di carico risulti una pattuizione
di deroga alla giurisdizione italiana ed il ricevitore-giratario entri in
possesso del documento attraverso la sua girata, con ciò acquisendo i
diritti e gli obblighi in esso previsti, questi risulterà allora automaticamente
vincolato dalla clausola di deroga, anche nel caso in cui tale pattuizione
non fosse oggetto di specifica manifestazione di consenso (28) e anche
quando la stessa clausola fosse da considerarsi invalida nei rapporti fra
caricatore e vettore.
In altre parole, in forza del principio della letteralità dei titoli di
credito, il giratario della polizza sarebbe vincolato da quanto risulta dalla
lettera del titolo rappresentativo della merce, indipendentemente dal fatto
che quanto ivi riportato corrisponda alle pattuizioni del contratto di
trasporto stipulato fra le parti originarie del rapporto (29). Esplicita, in
questo senso, una pronuncia della nostra Suprema Corte, secondo cui « la
girata della polizza di carico, oltre a trasferire il diritto — inerente alla sua
natura di titolo rappresentativo — alla riconsegna della merce, abilita altresì
il giratario all’esercizio di tutti gli altri diritti derivanti dal contratto di
trasporto, compreso quello di agire per i danni derivati al carico. E nel caso
sia l’arbitrato lo strumento previsto, per l’esercizio di tali diritti, dalla
polizza, la letteralità di questo titolo e la necessaria inscindibilità del suo
contenuto importano che di questo strumento debba valersi anche il ricevitore-giratario » (30).
Tuttavia, a nostro avviso, si tratta di una soluzione che, così come
configurata dalla nostra giurisprudenza, non dovrebbe essere recepita
acriticamente, bensì meriterebbe di ulteriori approfondimenti da parte
dell’interprete.
(27) Cass. 28 marzo 1991, n. 3362, Universal Peace Shipping Enterprises S.A. c. Soc.
Montedipe, in Diritto marittimo, 1991, 1002, con nota di GARGNANI.
(28) In questo senso, v. Cass. S.U. 1 marzo 2002, n. 3029, UMS Generali Marine S.p.A. c.
Clerici Agenti S.r.l., in Diritto marittimo, 2004, 468. Si veda, anche, Cass. 7 luglio 1999, n. 7025,
Mayfar Corporation c. Enel, in Foro it., 2001, I, 686, dove si afferma che, « in tema di contratto
di trasporto marittimo, l’emissione della polizza di carico costituisce atto unilaterale ed il diritto
alla riconsegna delle merci, incorporato nella polizza, non ha fonte nel contratto di trasporto, ma
nella dichiarazione cartolare contenuta nella polizza di carico ».
(29) Così LA MATTINA, L’arbitrato marittimo ..., cit. 306.
(30) Cass. S.U. 11 settembre 1979, n. 4746, S.A. di Assicurazioni e Riassicurazioni c.
Navigazione Alga S.p.A., in Diritto marittimo, 1980, 31.
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5. Un ulteriore accenno va fatto anche alla fattispecie in cui una
polizza di carico, pur non contenendo in sé una clausola arbitrale, richiami
però un charter party in cui sia inserito un tale accordo compromissorio.
Ora, sempre la nostra Cassazione ha ribadito che, in tale eventualità,
è necessaria una « relatio perfecta », vale a dire che non sarebbe sufficiente
un generico rinvio al charter party, senza riferirsi specificatamente anche
alla clausola compromissoria ivi contenuta.
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che « il requisito
della forma scritta, ai fini dell’operatività della clausola per arbitrato estero
... secondo la previsione dell’art. II della Convenzione di New York del 10
giugno 1958, pur non richiedendo un documento sottoscritto dalle parti,
postula che il loro consenso in proposito sia evincibile, concretamente e
inequivocabilmente, da specifiche dichiarazioni scritte provenienti dalle
parti medesime (quali lettere, telegrammi) », ed hanno, poi, aggiunto « ne
consegue che la clausola per arbitrato estero, contenuta in un contratto di
trasporto marittimo, non può essere invocata dal vettore, oltre che verso la
parte del contratto stesso (caricatore), pure nei confronti di chi agisca in
giudizio nella veste di acquirente della merce viaggiante e giratario della
polizza di carico, qualora tale polizza richiami i patti del contratto di
trasporto con un rinvio meramente generico, senza alcuna espressione che
consenta di riscontrare il consenso di detto acquirente alla deroga alla
giurisdizione italiana » (31).
6. L’Arbitration Act 1996, alla Section 5, dispone che l’accordo
compromissorio è valido se, in via alternativa:
« 2) There is an agreement in writing:
- if the agreement is made in writing (whether or not signed by both
parties)
- if the agreement is made by an exchange of communications in
writing, or
- if the agreement is evidenced in writing
3) Where the parties agree otherwise than in writing by reference to
terms which are in writing, they make an agreement in writing
4) An agreement is evidenced in writing if an agreement made otherwise than in writing is recorded by one of the parties, or by a third party,
with the authority of the parties to the agreement
...
6) References in this part to anything being in written or in writing
include its being recorded by any means ».
A differenza della nostra giurisprudenza sopra richiamata, quella
(31) Cass. S.U. 4 novembre 1981, n. 6035, Jauch c. Soc. Transoceanica, in Giust. civ.
Mass., 1981, fasc. 11.
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inglese invece interpreta con una qualche maggiore flessibilità il requisito
della forma scritta prescritto dall’art. II (2) della Convenzione di New
York del 1958 e, in particolare, sottolinea che, quantunque i termini di un
arbitration agreement debbano risultare « in writing », il consenso delle
parti ad essi può non essere espresso parimenti « in writing ».
In particolare, poi, con riguardo specifico all’ipotesi in cui le parti
abbiano compiuto un rinvio a condizioni generali di contratto in cui è
contenuta una clausola arbitrale, i giudici inglesi distinguono a seconda
che tali condizioni siano state predisposte da associazioni di operatori
oppure unilateralmente da uno dei contraenti.
Nella prima ipotesi, le corti inglesi ritengono, di regola, sufficiente un
richiamo anche generico alle dette condizioni generali, senza cioè la
necessità di un richiamo specifico alla clausola arbitrale ivi presente. Nella
seconda, invece, esse richiedono l’accertamento dell’effettiva conoscenza
o comunque della conoscibilità in astratto delle condizioni generali da
parte dell’altro contraente, ad esempio provando che quest’ultimo ha
avuto copia delle stesse condizioni nella fase di negoziazione e conclusione
del contratto.
Nel caso diverso di un rinvio ad un altro contratto — qual è ad
esempio la fattispecie della polizza di carico che richiama un charter party
— secondo la giurisprudenza inglese prevalente non sarebbe sufficiente,
perché si verifichi una « incorporation by reference » nella polizza di carico
della clausola arbitrale contenuta nel charter party, un semplice richiamo
generico della prima al contenuto del secondo, in quanto essa richiede la
prova dell’esistenza di un effettivo consenso all’accordo compromissorio
da parte del possessore della polizza di carico.
In generale, come è stato correttamente sottolineato, « quello che
caratterizza l’atteggiamento della giurisprudenza inglese (e che distingue
quest’ultima dalla giurisprudenza italiana) è la ricerca dell’effettivo consenso dei contraenti alla clausola arbitrale, e ciò a discapito di mere
verifiche formali e al fine di venire il più possibile incontro alle esigenze
degli operatori del commercio internazionale » (32).
7. Un’ulteriore considerazione si impone in questa sede. A nostro
avviso, la disciplina europea in tema di clausole di deroga alla giurisdizione a favore di giudici statuali e, segnatamente, gli sviluppi della
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in questa materia, non
sono applicabili, neppure in via di interpretazione analogica, al problema
della forma della clausola compromissoria.
Ora, la revisione del dettato del 1º comma dell’art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento ed esecuzione delle sen(32)
Così, LA MATTINA, L’arbitrato marittimo ..., cit., 118.
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tenze straniere (33), attuata in primo luogo dalla Convenzione di Lussemburgo del 1978 e poi dalla successiva Convenzione di San Sebastian del
1989 (il cui testo è infine confluito senza modifiche sul punto nell’art. 23
del Regolamento CE n. 44/2001), ha, in effetti, allargato le maglie dei
requisiti formali prescritti dalla richiamata disciplina internazionale uniforme ai fini dell’ammissibilità dell’accordo attributivo di competenza
giurisdizionale a favore di giudici stranieri, prevedendo che l’accordo di
deroga possa anche essere concluso « nel commercio internazionale, in una
forma ammessa da un uso che le parti conoscevano o avrebbero dovuto
conoscere e che, in tale campo, è ampiamente conosciuto e regolarmente
rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale
considerato ».
In questo quadro, si sono significativamente registrati gli interventi
interpretativi della Corte di Giustizia Europea con la nota sentenza 16
marzo 1999, nella causa n. C159/97 Trasporti Castelletti Spedizioni Internazionali c. Hugo Trumpy S.p.A. (34), nonché della Corte di Cassazione
con la susseguente sentenza pronunciata a definizione della medesima
controversia (35), riguardanti le complesse tematiche concernenti l’applicazione dell’art. 17 alle clausole di deroga alla giurisdizione a favore di
giudici stranieri contenute nelle condizioni generali di contratto prestampate sul retro delle polizze di carico.
In via generale, le surrichiamate pronunce hanno stabilito che il
consenso dei contraenti alla clausola attributiva di competenza giurisdizionale si presume esistente se il loro specifico comportamento corrisponde ad un uso vigente nel settore del commercio internazionale in cui
operano le parti e, inoltre, se queste ultime conoscevano quest’uso o
comunque sarebbero state tenute a conoscerlo.
Tuttavia, l’esclusione di un’applicabilità, anche solo in via di analogia,
alle clausole arbitrali contenute nelle polizze di carico di questa disciplina
internazionale uniforme e delle sue interpretazioni giurisprudenziali appare evidente sotto due profili:
(a) l’art. 1.2 del Regolamento CE n. 44/2001 dispone espressamente
che l’arbitrato è escluso dal suo campo di applicazione;
(b) non risultando, come s’è detto sopra, particolarmente frequenti le
clausole compromissorie nelle polizze di carico, non può quindi sostenersi
che l’arbitrato marittimo costituisca uno strumento di risoluzione delle
controversie tipicamente impiegato dagli operatori di questo particolare
settore del commercio internazionale.
(33) Ratificata e resa esecutiva con legge 21 giugno 1971 n. 804 (in G.U. 8 ottobre 1971
n. 254).
(34) Su questa pronuncia, v., fra le tante, le analisi di RIGHETTI E., La deroga alla
giurisdizione, cit., 276 ss.; GILARDI, Clausola di proroga di giurisdizione: consenso effettivo o
presunto?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 487 ss.
(35) Cass. S.U. 25 ottobre 1999, n. 748, in Diritto trasporti, 2000, 139.
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8. Le Regole di Amburgo del 1978 (entrate in vigore l’1 novembre
1992 e ratificate, ad oggi, da una trentina di paesi, fra i quali non figura
però l’Italia) e le nuove Regole di Rotterdam del 2009 (ad oggi non ancora
entrate in vigore) contengono ciascuna una disciplina dettagliata sugli
accordi compromissori e, segnatamente, sulle clausole arbitrali contenute
nelle polizze di carico.
Tuttavia, per quel che interessa la nostra trattazione, certamente
maggior rilievo assume la disciplina dettata in materia di clausole compromissorie dalle Regole di Amburgo, dal momento che le Regole di
Rotterdam non contengono invece specifiche previsioni riguardo ai problemi di forma delle stesse clausole.
Va, in ogni caso, preliminarmente evidenziato che la richiamata
disciplina convenzionale non può che prevalere, in ragione della specialità
della materia, sulla norma generale di cui all’art. II della Convenzione di
New York del 1958 (36).
In particolare, l’art. 22.1 (Arbitration) delle Regole di Amburgo
stabilisce che « Subject to the provisions of this article, parties may provide
by agreement evidenced in writing that any dispute that may arise relating
to carriage of goods under this Convention shall be referred to arbitration ».
Al riguardo, è stato osservato che, benché ricalchi l’art. II della
Convenzione di New York del 1958, il testo di questa norma appare più
vago, nel senso che « l’indicazione del requisito della forma scritta dell’accordo arbitrale non è infatti seguito da alcuna definizione normativa che
richieda la provenienza bilaterale delle dichiarazioni delle parti, con ciò
consentendo di superare ogni dubbio sulla validità della clausola compromissoria inserita in polizza di carico che non rechi la firma del caricatore » (37).
Inoltre, è interessante rilevare come il successivo art. 22.2, che disciplina specificamente la fattispecie della polizza di carico che rinvia ad un
charter party in cui è presente una clausola compromissoria, richieda, ai
fini della opponibilità di quest’ultima al portatore della polizza, la sussistenza di una « relatio perfecta », vale a dire di un richiamo specifico da
parte della polizza anche all’accordo compromissorio: « Where a charterparty contains a provision that disputes arising thereunder shall be referred
to arbitration and a bill of lading issued pursuant to the charter-party does
not contain special annotation providing that such provision shall be
binding upon the holder of the bill of lading, the carrier may not invoke
such provision as against a holder having acquired the bill of lading in good
faith ».
Sempre ai fini della validità dell’accordo compromissorio, l’art. 22.4
(36)
(37)
Così, CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., 617 ss.
Vedi, LA MATTINA, L’arbitrato marittimo ..., cit., 326.
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dispone che l’arbitro o il collegio arbitrale saranno imperativamente tenuti
ad applicare la disciplina, anche sostanziale, delle medesime Regole di
Amburgo, mentre il successivo art. 22.5 sancisce espressamente la nullità
di eventuali pattuizioni fra le parti che possano risultare in contrasto con
le norme dettate dai precedenti artt. 22.2 e 22.4: « the provisions of
paragraphs 2 and 4 of this article are deemed to be part of every arbitration
clause or agreement, and any term of such clause or agreement which is
inconsistent therewith is null and void ».
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La clausola compromissoria nei charterparties
MARCO LOPEZ DE GONZALO
1. La clausola compromissoria nelle polizze di carico e nei charterparties. — 2. I
contenuti delle clausole compromissorie nei charterparties. — 3. Il problema del
consenso. — 4. Consenso e sottoscrizione. — 5. Consenso e comportamenti
concludenti. — 6. Consenso e relatio perfecta. — 7. Lo “statuto speciale” della
clausola compromissoria. — 8. Clausole compromissorie nei charterparties e
clausole di scelta del foro nelle polizze di carico. — 9. Le clausole compromissorie
nei charterparties e il diritto uniforme del trasporto marittimo di cose. — 10. La
disciplina delle clausole compromissorie nelle Regole di Amburgo e nelle Regole
di Rotterdam.
1. Come è stato ricordato anche nella relazione di Enrico Righetti (1), è assai raro che le polizze di carico utilizzate nel trasporto
marittimo di linea contengano clausole compromissorie, designando invece normalmente per la soluzione delle controversie i tribunali ordinari
del luogo in cui il vettore ha il proprio principal place of business. Per
contro, la stragrande maggioranza dei contratti relativi ai traffici non di
linea, documentati da charterparty, prevede il deferimento ad arbitrato
delle eventuali controversie (2).
La diversità di meccanismi adottati per la soluzione delle controversie
può essere agevolmente spiegata con le differenze tra le due tipologie di
trasporto marittimo ed i relativi mercati (3). Nel trasporto di linea si ritiene
sussista una disparità di potere negoziale (a vantaggio del vettore) tra i
(1) RIGHETTI, La validità della clausola arbitrale nelle polizze di carico, in questo fascicolo
della Rivista.
(2) Per una rassegna dei formulari cfr. BERLINGIERI, Contratto di noleggio a tempo, in Dir.
mar., 1994, 590; ID., Il contratto di noleggio a viaggio nei formulari, in Dir. mar., 1995, 859;
CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, in Arbitrato, Profili di diritto sostanziale
e di diritto processuale (a cura di ALPA e VIGORITI), Torino, 2013, 1298; LA MATTINA, L’arbitrato
marittimo e i principi del commercio internazionale, Milano, 2012, 18.
(3) Cenni sulle caratteristiche dei diversi mercati in LOPEZ DE GONZALO, Conferences
marittime e altri accordi di collaborazione tra imprese di trasporto marittimo, in I contratti del
trasporto (a cura di MORANDI), vol. I, Bologna, 2013, 823 e, più ampiamente, CARBONE e MUNARI,
Regole e organizzazione dei trasporti marittimi, Milano, 1990, 17.
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contraenti, dalla quale deriva l’esigenza di tutelare il contraente debole (lo
shipper) mediante norme inderogabili. Nel trasporto non di linea i contraenti si muovono invece su un piano di sostanziale parità; essi sono
inoltre di solito operatori professionali, dotati di specifiche competenze ed
esperienza; appare quindi logico che la autonomia privata possa liberamente dispiegarsi nella determinazione del contenuto dei rispettivi diritti
ed obblighi delle parti.
I contratti del trasporto di linea sono contratti “per adesione”, nei
quali i margini di contrattazione rispetto allo standard “imposto” dal
vettore sono sostanzialmente azzerati. I contratti documentati da charterparty sono invece negoziati individualmente, volta per volta, in funzione
delle specifiche esigenze del charterer.
Inoltre, mentre per ogni viaggio di un nave di linea vengono emesse
decine, o centinaia, di polizze di carico, e vi sono quindi potenzialmente
decine, o centinaia, di controversie tra parti diverse, per ogni viaggio di
una nave non di linea esiste di regola un solo charterparty e quindi una sola
potenziale controversia.
Queste sommarie considerazioni rendono ragione della diversità tra
le soluzioni adottate per la decisione delle controversie rispettivamente
nei trasporti di linea e non di linea e dell’amplissimo ricorso, nei contratti
documentati da charterparty, all’arbitrato, proprio in quanto strumento
più adeguato in situazioni nelle quali le parti si muovono su un piano di
parità e nell’ambito della loro autonomia negoziale (4).
2. Sul piano descrittivo si può ricordare che pressoché tutti i più
diffusi formulari di charterparty contengono clausole compromissorie. Le
clausole standard dei formulari possono essere modificate dalle parti o
eliminate del tutto e sostituite da clausole aggiuntive ad hoc inserite nei
riders. È noto altresì che vi possono essere clausole analitiche ed altre
invece estremamente sintetiche (fino a ridursi a formulazioni come
“GA/ARB LONDON”) (5).
Quanto alla legge applicabile nelle controversie arbitrali relative a
charterparties, risulta assolutamente prevalente il rinvio alla legge inglese.
Peraltro, in questa materia, la decisione delle controversie spesso dipende,
più che dalla applicazione di norme (comunque di natura dispositiva),
dalla interpretazione di clausole (più o meno standardizzate). Oltre alla
“legge applicabile” (in quanto scelta dalle parti o comunque individuata
(4) Sulle caratteristiche dell’arbitrato che lo rendono strumento particolarmente adeguato per la risoluzione di questo tipo di controversie cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo,
cit., 14; CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit., 1294.
(5) In argomento cfr. LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole compromissorie tra
formalismo e prassi del commercio internazionale, in Dir. mar., 1990, 330 e la giurisprudenza ivi
citata.
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sulla base delle regole di diritto internazionale privato), occorrerà dunque
tenere conto anche di prassi interpretative transnazionali e (tendenzialmente) uniformi (6).
Con due ulteriori precisazioni: la prima è che, data la natura di diritto
giurisprudenziale della legge inglese, può non essere agevole tracciare una
netta distinzione tra l’applicazione di una regula iuris e l’interpretazione di
una clausola contrattuale (7). La seconda è che, anche quando non sia la
“legge applicabile” al contratto, il diritto inglese (ed in particolare la case
law) proietta comunque la sua influenza sulla decisione delle controversie,
dal momento che, da un lato, i formulari e le clausole sono stati elaborati
in un “ambiente giuridico” inglese (da giuristi inglesi, avendo come
quadro di riferimento il diritto inglese) e, dall’altro, i precedenti giurisprudenziali, che possono (e devono) guidare gli arbitri nella decisione
delle controversie relative a charterparties, sono per la maggior parte
precedenti inglesi (8).
La circostanza, appena ricordata, che la decisione dipende spesso
dalla ricostruzione dell’esatta portata di specifiche clausole, determina un
elevato tecnicismo delle controversie arbitrali relative a charterparties,
tecnicismo che richiede negli arbitri la conoscenza di quelle prassi interpretative transnazionali cui si è fatto cenno. Ad un tecnicismo giuridico si
affianca poi, in molti casi, un tecnicismo extra-giuridico (si pensi alle
controversie in materia di performance o a quelle relative alla qualità del
bunker). Tale tecnicismo (giuridico ed extra-giuridico) trova riscontro
nella frequente previsione che gli arbitri siano “commercial men conversant with shipping matters” ovvero “Members of the Baltic and engaged in
the shipping and/or grain trades” (9).
3. Esauriti questi cenni descrittivi, occorre affrontare quello che,
quanto meno a giudicare dalla casistica italiana, si pone come il problema
cruciale della disciplina delle clausole compromissorie nei charterparties e
cioè quello del consenso. La difficoltà del problema nasce dal fatto che
l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di concordare il
deferimento ad arbitrato di eventuali controversie viene affidato a (e si
traduce quindi in) una verifica di determinati requisiti di forma; più
(6) Su questo tema rinvio alla relazione di LA MATTINA, Conflitti di leggi ed arbitrato
marittimo in questo fascicolo della Rivista.
(7) Sulle analoghe problematiche relative alle clausole delle polizze di assicurazione
marittima cfr. CARBONE, Legge regolatrice del contratto di assicurazione e rinvio ai formulari
inglesi, in Dir. mar., 1984, 700.
(8) Cfr. le considerazioni a questo riguardo nella relazione di DARDANI, Arbitrato e
costruzione di navi, in questo fascicolo della Rivista.
(9) Cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 236 e CARBONE e LOPEZ DE GONZALO,
L’arbitrato marittimo, cit., 1295.
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precisamente della forma scritta e, più precisamente ancora, della forma
scritta intesa come documento munito della sottoscrizione di entrambi i
contraenti (10).
Non agevola la soluzione del problema l’incertezza in merito a cosa si
debba intendere per “forma scritta” e cioè se si tratti di una forma scritta
ad probationem (come sembrerebbe di potersi desumere dall’art. 4.2 della
Legge n. 218/1995) (11) o ad substantiam (come prescritto dagli art. 807 e
808 c.p.c. e, nella lettura che ne viene data dalle corti italiane, dall’art. II
della Convenzione di New York del 1958). È ovvio, infatti, che nel primo
caso l’interprete godrebbe di margini di flessibilità che gli sarebbero
invece preclusi nel secondo caso.
A suscitare perplessità è la scelta di fondo di utilizzare, al fine di
risolvere il problema del consenso, criteri di natura meramente formale,
che costringono l’interprete in un letto di Procuste, ponendo al di fuori
dell’ambito della rilevanza considerazioni di ordine sostanziale, attinenti
alla natura del contratto ed alla prassi commerciale che ad esso si riferisce.
Non è detto, insomma, che i risultati che si ottengono dall’utilizzo di criteri
di valutazione di tipo formale siano sempre soddisfacenti. È lecito dubitare, infatti, che il requisito della sottoscrizione sia per un verso necessario
e per l’altro sufficiente: da un lato, il consenso ben può sussistere pur in
mancanza di sottoscrizione; dall’altro, nemmeno la sottoscrizione potrebbe essere garanzia assoluta che la parte abbia effettivamente e specificamente preso in considerazione ed approvato la clausola compromissoria.
4. Il fatto che il charterparty sia un documento bilaterale, e non
“strutturalmente” unilaterale come la polizza di carico (12), certamente
riduce, ma altrettanto certamente non elimina, le criticità legate al rispetto
della forma scritta, intesa come documento scritto munito della sottoscrizione di entrambi i contraenti. È ben noto, infatti, che nella prassi
operativa dei traffici marittimi spesso i charterparties non vengono sottoscritti.
È ben vero che tanto l’art. II della Convenzione di New York, quanto
il secondo comma dell’art. 807 c.p.c. prevedono modalità alternative
rispetto alla sottoscrizione apposta da entrambi i contraenti su uno stesso
documento, ed in particolare lo scambio di corrispondenza (13). La corri(10) Cfr. LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole compromissorie, cit., 333.
(11) Sull’art. 4.2 della Legge n. 218/1995 cfr. i commenti di CARBONE, in Nuove leggi civ.
comm., 1996, 918 e di LUZZATTO, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, 938.
(12) Cfr. ancora RIGHETTI, La validità, cit.
(13) Sulle clausole compromissorie concluse mediante scambi di corrispondenza cfr. LA
MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 119, CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo,
cit., 1305; BONELLI, La forma della clausola compromissoria per arbitrato estero, in Dir. mar.,
1984, 484.
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spondenza ha però oggi assai raramente la forma della lettera autografa.
La giurisprudenza ha ritenuto che la mancanza di sottoscrizione autografa
della corrispondenza possa essere supplita dalla certezza “tecnologica” in
merito alla provenienza della dichiarazione; a stretto rigore però, tale
certezza potrebbe essere conseguita solo con la posta elettronica certificata, ma non risulta che tale modalità di comunicazione sia di largo
impiego nella contrattazione commerciale.
Inoltre, la corrispondenza relativa alla negoziazione di un charterparty
spesso non intercorre direttamente tra le parti, ma viene scambiata
tramite broker. Si pone quindi il noto problema della riconducibilità alle
parti delle dichiarazioni del broker, in particolare per quanto attiene
all’accordo compromissorio (14). Se, da un lato, il secondo comma dell’art.
808 c.p.c. prevede che il potere di stipulare il contratto comprende anche
quello di convenire la clausola compromissoria, l’art. 1392 cod. civ.
richiede che la procura abbia la stessa forma del contratto che il rappresentante deve concludere.
5. Il vero terreno di scontro è però quello del contratto concluso
mediante comportamenti concludenti (15). Non sembrano esservi dubbi,
infatti, sulla validità, anche sul piano formale, del contratto documentato
da un charterparty, privo di sottoscrizione, che abbia però avuto esecuzione (16). Lo stesso non sembra però valere per la clausola arbitrale
contenuta nel charterparty (17). Le ragioni di tale trattamento differenziato
non sono del tutto chiare e sono forse frutto di qualche fraintendimento.
Dietro all’idea di uno “statuto speciale” della clausola compromissoria, sembra profilarsi il fantasma della “autonomia” della clausola compromissoria. La ratio della teoria della autonomia della clausola compromissoria, così come esplicitata nel secondo comma dell’art. 808 c.p.c. (che
ne costituisce il fondamento normativo nell’ordinamento italiano), mi
sembra essere quella di “sterilizzare” l’efficacia della clausola compromissoria, e quindi la competenza arbitrale, da eventuali (e strumentali)
eccezioni relative alla validità del contratto (18) e di attribuire anche tali
eccezioni alla competenza arbitrale. Il ricorso alla teoria della autonomia
(14) In argomento cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 140; CARBONE e LOPEZ DE
GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit., 1306; LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole
compromissorie, cit., 331; BONELLI, La forma, cit., 490
(15) In termini generali, sul tema cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 128;
CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit., 1305; LOPEZ DE GONZALO, La
disciplina delle clausole compromissorie, cit., 332.
(16) Cfr. per es. Trib. Genova 12 ottobre 1991, Odino Valperga c. Zim Israel Navigation,
in Dir. mar., 1992, 159 e App. Firenze 11 gennaio 1995, Pisana River Sea Service c. Labro Lines,
in Dir. mar., 1996, 751.
(17) Cfr. per es. Cass. 25.1.1991 n. 749, Marc Rich c. Italimpianti, in Dir. mar., 1992, 90
e Cass. 18.5.1978, Atlas General Timber c. Concordia Lines, in Dir. mar., 1978, 658.
(18) In questo senso cfr. MARICONDA, Cessione del credito e clausola compromissoria: le
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della clausola compromissoria per giustificarne un trattamento differenziato sì, ma in peius, rispetto al contratto del quale fa parte, sembra tradire
una certa diffidenza nei confronti della clausola compromissoria, quasi
essa fosse percepita come un “corpo estraneo”, intorno al quale stendere
un cordone sanitario di cautele formali.
Un’impostazione di questo genere si pone però, a mio giudizio, in
contrasto con la realtà empirica dei traffici marittimi, nell’ambito dei quali
la presenza di una clausola arbitrale in un charterparty, ben lungi dal
costituire un’anomalia, rappresenta invece la assoluta normalità. Per i
motivi sommariamente indicati all’inizio (19), l’arbitrato costituisce strumento perfettamente adeguato per la definizione di controversie derivanti
da un charterparty e, oltre ad essere adeguato, è anche consueto, dal
momento che pressoché tutti i formulari di charterparty contengono una
clausola compromissoria. Per un operatore professionale dei traffici marittimi (20), come sono i contraenti dei charterparties, la presenza di una
clausola arbitrale nel contratto non rappresenta una “sorpresa” o un
“trabocchetto”, ma corrisponde invece ad una normale e ragionevole
previsione.
Una volta inquadrato il problema in questa prospettiva, viene, a mio
parere, confermata la inadeguatezza di strumenti di natura formale per
l’accertamento del consenso sulla clausola compromissoria, risultando
invece maggiormente idonei a conseguire esiti soddisfacenti criteri di
natura sostanziale, quali quelli attinenti, da un lato, alla usualità del
formulario e della clausola arbitrale in esso contenuta e, dall’altro, alla
qualità delle parti ed alla possibilità di ricostruire in capo ad esse uno
“status mercatorio”.
6. Quando poi il punto di vista si sposta dal rapporto tra i contraenti
originari del charterparty alla posizione del terzo giratario di una polizza
di carico emessa in esecuzione di un charterparty, i termini del problema
non cambiano di molto e soprattutto non viene meno la criticità legata
all’utilizzo, ancora una volta, di criteri di natura meramente formale.
Al dogma della sottoscrizione si sostituisce quello della relatio perfecta (21). Come noto, infatti, la giurisprudenza italiana fa dipendere la
inaccettabili conclusioni della Cassazione, in Corr. giur., 2003, 1583; la tesi viene poi ripresa in
LOPEZ DE GONZALO e LA MATTINA, Cessione del credito e proroga di giurisdizione, in Riv. dir. int.
priv. proc., 2012, 90.
(19) Vedi supra nel testo ed alle note 2 e 4.
(20) Sulla rilevanza delle qualità soggettive delle parti ed in particolare sullo “status
mercatorio” cfr. LA MATTINA, Clausole di deroga alla giurisdizione in polizza di carico e usi del
commercio internazionale, tra normativa interna e disciplina comunitaria, in Dir. mar., 2002, 473
(21) Sulle clausole compromissorie stipulate per relationem cfr. LA MATTINA, L’arbitrato
marittimo, cit., 132; CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit., 1306; LOPEZ DE
GONZALO, Continuità e discontinuità nella giurisprudenza in tema di clausole compromissorie
stipulate per relationem, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 921; RIGHETTI, Clausola compromis-
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efficacia della clausola compromissoria contenuta nel charterparty nei
confronti del giratario della polizza di carico dal fatto che quest’ultima
non solo “incorpori” il charterparty, ma rechi uno specifico richiamo alla
clausola compromissoria (22).
Di nuovo, c’è motivo di dubitare che la relatio perfecta sia davvero
necessaria al fine di accertare la consapevolezza del giratario in merito alla
clausola compromissoria o che, per altro verso, essa sia davvero sufficiente. Da un lato, il riferimento in polizza di carico a “all terms and
conditions of the charterparty” dovrebbe, data la nota usualità della
clausola arbitrale nei charterparty, essere sufficiente a rendere avvertito il
giratario in merito alla (pressoché certa e comunque ampiamente prevedibile) pattuizione per il deferimento di controversie ad arbitrato. Dall’altro, a voler tenere un atteggiamento assolutamente rigoroso, anche la
dicitura “all terms and conditions, including the arbitration clause, of
charterparty”, ancora non consente al giratario di conoscere il luogo in cui
si dovrà tenere il procedimento arbitrale né il numero e le modalità di
nomina degli arbitri.
Se il beneficio aggiuntivo fornito dalla relatio perfecta rispetto alla
relatio imperfecta è quello di ricordare al terzo giratario che il charterparty
contiene una clausola compromissoria (e cioè qualcosa che un operatore
professionale del settore sa già o comunque può facilmente immaginare),
davvero non è molto; non tanto, comunque, da giustificare un netto
discrimen tra l’efficacia e l’inefficacia della clausola compromissoria.
7. Anche l’impostazione del problema in termini di relatio perfecta
sembra, in ultima analisi, sottintendere l’idea di uno “statuto speciale”
della clausola compromissoria, che si traduce in requisiti formali aggiuntivi. Come già accennato, se il fondamento teorico di tale “statuto speciale” può essere ricondotto ad un fraintendimento del concetto di “autonomia” della clausola compromissoria, il suo vero presupposto
ideologico sembra piuttosto essere quello della percezione della clausola
compromissoria come “anomalia” o “corpo estraneo” nell’ambito del
contratto.
Viene naturale ricordare, a questo proposito, la tormentata vicenda
giurisprudenziale relativa alla “circolazione” della clausola compromissoria nelle ipotesi di cessione del contratto o del credito (23). Come noto, ad
soria per relationem: dai requisiti di forma all’indagine sull’esistenza dell’accordo compromissorio, in Dir. mar., 1998, 1349; BONELLI, La forma, cit., 486; LA CHINA, Variazioni sul tema della
clausola compromissoria stipulata per relationem, in Dir. mar., 1984, 327; RICCOMAGNO, The
incorporation of charterparty arbitration clauses into bills of lading, in Dir. mar., 2004, 1187.
(22) Cfr. per es. Cass. S.U. 22 dicembre 2000 n. 1328, Granitalia c. Ag. Mar. Sorrentini,
in Dir. mar., 2002, 225 e in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 1003.
(23) Per una sintetica ricostruzione di tale vicenda cfr. LOPEZ DE GONZALO e LA MATTINA,
Cessione del credito, cit., 88.
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un orientamento prevalente che, proprio facendo leva sulla “autonomia”
della clausola compromissoria ne esclude l’efficacia nei confronti del
cessionario (24), se ne contrappone un altro che afferma invece l’estensione della efficacia della clausola compromissoria nei confronti del cessionario (25), quanto meno nei casi in cui sia riscontrabile un suo collegamento funzionale con le altre pattuizioni del contratto (26).
Se, come mi sembra preferibile, si aderisse a questo secondo orientamento, il collegamento funzionale della clausola compromissoria con le
disposizioni di natura sostanziale del contratto (27) o, in altre parole, il suo
far parte della “economia del contratto” (28), dovrebbero condurre ad
escludere uno “statuto speciale”, sotto il profilo dei requisiti formali, della
clausola compromissoria ed a valorizzare, invece, elementi di carattere
sostanziale quali la idoneità ed adeguatezza dell’arbitrato come strumento
di definizione delle controversie relative ai charterparties, la usualità del
formulario impiegato e della clausola arbitrale in esso contenuta, la
qualità di operatori professionali delle parti e gli eventuali collegamenti
societari tra charterer e giratario della polizza di carico (29).
A questo proposito vale anche la pena di ricordare come nell’ordinamento italiano vi sia stata un’apertura verso criteri di valutazione delle
clausole compromissorie meno formalistici, con l’art. 833 c.p.c. introdotto
dalla legge n. 25/1994 (30); tale norma, infatti, abbandonava il criterio della
“relatio perfecta” per sostituirlo con quello della conoscibilità. La norma
ha però avuto vita breve, essendo stata abrogata con il D. Lgs. n. 40/2006,
e non ha lasciato significative tracce nei repertori di giurisprudenza (31).
8.
Un ultimo rilievo sul tema del consenso e dei requisiti formali
(24) Cfr. per es. Cass. 21 novembre 2006 n. 2468 Ester c. Eprostudio, in DeJure e Cass.
1 settembre 2004 n. 17531 Com. Gioiosa Marea c. Banca Pop. S. Venere, ivi.
(25) Cfr. per es. Cass. 21 giugno 1996 n. 5761, Eurocompany c. Tavarner, in questa
Rivista, 1996, 699.
(26) Cfr. per es. Cass. 22 dicembre 2005 n. 28497 Aspe c. Com. Modugno, in Giust. civ.
Mass., 2005, 12.
(27) Rinvio alle considerazioni svolte in LOPEZ DE GONZALO, Giurisdizione civile e
trasporto marittimo, Milano, 2005, 202.
(28) In termini di “economie de la convention” si esprime, nella giurisprudenza francese,
Cass. 25 novembre 1986, Siaci c. Zim Israel, in Rev. crit. dr. int. priv., 1987, 396.
(29) Per alcuni spunti in questo senso nella giurisprudenza straniera cfr. Trib. fed.
svizzero 7 febbraio 1924, Tradax c. Amoco, in Dir. mar., 1985, 158; US Court of Appeals Fifth
Circuit, 21 maggio 1998, Steel Warehouse c. Abalone Shipping, in Dir. mar., 2000, 1015 e US.
District Court, Eastern District of New York, 1 maggio 1996, Stony Brook c. Leslie Wilton, in
Dir. mar., 1998, 1349.
(30) In argomento cfr. BERNARDINI, La recente riforma dell’arbitrato in Italia, in Dir.
comm. int., 1994, 3; LUZZATO, L’arbitrato internazionale e i lodi stranieri nella nuova disciplina
legislativa italiana, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, 257; GIARDINA, La legge n. 25 del 1994:
l’arbitrato internazionale, in questa Rivista, 1995, 257.
(31) Per una applicazione della norma cfr. però Cass. 16 novembre 2000 n. 14860, Madera
c. Fortstar Leather in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 693.
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mediante i quali dovrebbe esserne accertata la sussistenza. Come è stato
ricordato nella relazione di Enrico Righetti (32), la evoluzione della normativa relativa alle clausole di scelta del foro, dall’art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968 all’art. 23 del Regolamento (CE) n. 44/
2001 (33), passando attraverso importanti decisioni della Corte di Giustizia
europea (34), ha portato ad un significativo margine di flessibilità, in
funzione degli usi del commercio internazionale, nella valutazione dei
requisiti di forma delle clausole di scelta del foro. Tale margine di
flessibilità è stato poi ampiamente utilizzato dalle corti italiane per riconoscere la validità di clausole contenute in polizze di carico sottoscritte
(come è normale e pressoché inevitabile, data la natura del documento)
dal solo vettore (35).
Si assiste così al paradosso di una disciplina formale delle clausole
compromissorie contenute nei charterparties (e cioè contratti oggetto di
specifica negoziazione tra soggetti che si pongono su un piano di parità di
potere negoziale) più rigorosa di quella prevista per le clausole di scelta
del foro nelle polizze di carico del trasporto di linea (e cioè contratti per
adesione nei quali lo shipper viene ritenuto un contraente “debole”).
9. Un diverso profilo problematico relativo alle clausole compromissorie nei charterparties è quello attinente alla loro compatibilità con le
norme inderogabili del diritto uniforme in materia di trasporto marittimo
di cose.
Il problema in realtà non si pone fino a quando si resti nell’ambito dei
rapporti tra i contraenti originari del charterparty. Le normative di diritto
uniforme in materia di trasporto marittimo di cose non si applicano infatti
ai charterparties (36). Se si applicano, è solo per effetto della volontà delle
parti che, mediante una Paramount clause, ne opera una recezione negoziale (37). È dunque la stessa autonomia delle parti, che costituisce il
fondamento della competenza arbitrale, ad indicare agli arbitri la disciplina applicabile al contratto.
(32) Rinvio ancora a RIGHETTI, La validità della clausola arbitrale, cit.
(33) E da ultimo anche nell’art. 25 del Regolamento (CE) n. 1215/2012.
(34) Mi riferisco in particolare alle sentenze 19 giugno 1984 in causa 71/83, Partenrederei
Tilly Russ c. Nova, in Dir. mar., 1985, 580, 16 marzo 1999 in causa C-159/97, Trasporti Castelletti
c. Hugo Trumpy, in Dir. mar., 1999, 507 e 9 novembre 2000 in causa C-387/98 Coreck Maritime
c. Handelsween, in Dir. mar., 2001, 261.
(35) Tra le più recenti cfr. Cass. 17 febbraio 2005 n. 731, SGL Carbon c. Ag. Mar. La
Rosa, in Dir. mar., 2006, 154.
(36) In argomento cfr. CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 2010,
143; LOPEZ DE GONZALO, La disciplina internazionale uniforme del trasporto marittimo di cose,
in I contratti del trasporto (a cura di MORANDI), vol. 3, Bologna, 2013, 616.
(37) Sulla Paramount clause nei charterparties cfr. CARBONE, Contratto di trasporto, cit.,
150; CELLE, La Paramount clause nell’evoluzione della normativa internazionale in tema di
polizza di carico, in Dir. mar., 1988, 27; BERLINGIERI, Charterparty e Paramount clause, in Dir.
mar., 1997, 1010; in giurisprudenza cfr. Cass. 20 dicembre 1995, n. 13018, Prudential c. Ag. Mar.
Faster, in Dir. mar., 1997, 1010.
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Il problema si pone invece nel momento in cui, in esecuzione del
charterparty, sia stata emessa una polizza di carico e questa sia stata
trasferita ad un soggetto diverso dal charterer. Da quel momento, infatti,
la normativa uniforme è applicabile a tale polizza di carico (38) ed occorre
quindi verificare che la clausola compromissoria, contenuta nel charterparty e “incorporata” nella polizza di carico, non produca effetti elusivi
delle norme inderogabili.
È ben nota, a questo riguardo, la vicenda relativa alla Centrocon
Arbitration Clause, che prevedeva un termine di decadenza di tre mesi per
la nomina degli arbitri (39). La clausola è stata ritenuta nulla in forza
dell’art. III.8 della Convenzione di Bruxelles del 1924 anche se, a ben
vedere, il motivo della nullità non è tanto la designazione della competenza arbitrale per sé, quanto la previsione di un termine di decadenza più
breve di quello di cui all’art. III.6 della stessa Convenzione. Altrettanto
nota è la sentenza della House of Lords nel caso “Morviken” (40), con la
quale venne ritenuta nulla, in forza dell’art. III.8 della Convenzione di
Bruxelles del 1924 una clausola di scelta del foro, il cui effetto sarebbe
stato di far decidere la controversia da un giudice che avrebbe applicato
una normativa più favorevole al vettore di quella prevista dalla Convenzione. Lo stesso principio potrebbe essere applicato in relazione a clausole
compromissorie che producono un analogo effetto.
Inoltre, ci si può chiedere se, anche quando non produca l’effetto di
non consentire l’applicazione della normativa uniforme inderogabile, il
deferimento delle controversie ad arbitrato non costituisca, sul piano
meramente pratico, in termini di disagi, costi ecc., un ostacolo alla tutela
dell’avente diritto al carico o, quanto meno, un disincentivo all’avvio di
contenziosi (41).
10. Quest’ultimo rilievo rende anche ragione della “diffidenza” mostrata nei confronti delle clausole compromissorie nelle Regole di Amburgo e poi nelle Regole di Rotterdam (42). La possibilità di inserire una
clausola compromissoria in una polizza di carico (o in un “transport
document”) è infatti circondata da tali e tante cautele e restrizioni, da
essere di fatto esclusa.
(38) Cfr. CARBONE, Contratto di trasporto, cit., 140; BERLINGIERI, Le Convenzioni internazionali di diritto marittimo ed il codice della navigazione, Milano, 2009, 23; in giurisprudenza cfr.
Cass. 3 dicembre 1984 n. 6298, Assicurazioni d’Italia c. Europa, in Dir. mar., 1985, 317.
(39) Sulla Centrocon Arbitration clause cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 331.
(40) House of Lords 25 ottobre 1982, the “Morviken”, in Dir. mar., 1984, 143.
(41) Per analoghe considerazioni con riferimento alle clausole di scelta del foro in polizza
di carico cfr. LOPEZ DE GONZALO, Giurisdizione civile, cit., 251
(42) Sulle disposizioni in tema di arbitrato delle Regole di Amburgo e nelle Regole di
Rotterdam cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 325; BERLINGIERI, Trasporto marittimo e
arbitrato, in Dir. mar., 2004, 431; ID., Arbitrato marittimo e Regole di Rotterdam, in Dir. mar.,
2011, 387; CARBONE, Contratto di trasporto, cit., 417; CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato
marittimo, cit., 1300.
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Né le Regole di Amburgo né le Regole di Rotterdam prendono
invece posizione sulle clausole arbitrali contenute nei charterparties, come
è normale dal momento che si tratta di contratti che sono esclusi dall’ambito di applicazione della normativa uniforme.
Dal punto di vista delle Regole di Amburgo e delle Regole di
Rotterdam, le clausole compromissorie contenute in un charterparty divengono rilevanti solo quando sia stata emessa e trasferita una polizza di
carico (e quindi siano sorti i presupposti per l’applicazione della normativa uniforme). Anche a questo proposito, si rivela la “diffidenza” della
normativa uniforme nei riguardi dell’arbitrato. L’efficacia della clausola
compromissoria nei confronti del giratario della polizza di carico è infatti
subordinata, secondo l’art. 23.2 delle Regole di Amburgo, alla presenza di
una “special annotation” (che somiglia molto alla relatio perfecta cara alla
giurisprudenza italiana); analogamente, l’art. 76.2 delle Regole di Rotterdam richiede, oltre alla identificazione del charterparty mediante l’indicazione delle parti e della data, che vi sia una “specific reference” alla
clausola arbitrale.
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Arbitrato e salvataggio
MARCELLO MARESCA
I. Le norme sul salvataggio — II. La convenzione Salvage 1989 — 1. Applicabilità.
— 2. Eccezioni all’applicabilità. — 3. Necessità di compromesso. — 4. Poteri del
comandante e del proprietario — 5. Contestazione da parte dell’equipaggio — 6.
Annullamento e modifica del contratto. — 7. Obblighi. — 8 Compenso. — III. La
special compensation. — IV. Il LOF — V. La SCOPIC clause. — 1. Sue appendici
— 2. Critiche alla SCOPIC — VI. Arbitrato — 1. Diritto italiano. — 2. Nello
shipping. — 3. Londra. — 4. Arbitri diversi da quelli dei LLoyd’s. — 5. Arbitrato
in Italia. — 6. Considerazioni finali.
I. Le norme sul salvataggio poste dal nostro Codice della Navigazione, ossia dagli articoli dal 489 al 500, riecheggiano le norme della
Convenzione di Bruxelles del 1910 sul salvataggio (1) (Convenzione che
non è più in vigore, nonostante la mancata formale denuncia (2)); ma
questi articoli del nostro codice della navigazione sono ben poco utili in
quanto nell’ordinamento italiano è stata introdotta una Convenzione, la
Convenzione sul Salvataggio di Londra del 28 aprile del 1989 denominata
“Salvage 1989” (3), le cui norme in gran parte non sono molto diverse da
quelle del codice della navigazione.
(1) Fra i molti contributi in materia di salvataggio E. VOLLI, Assistenza e salvataggio,
Padova, 1957; G. BERLINGIERI, Salvataggio e assistenza marittima in acque interne ed aeree, in Dir.
Mar., 1967, 3 ss. e Dir. Mar., 1968, 1 e ss.; S. FERRARINI, Il soccorso in mare, Milano, 1964; G.
RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, Parte III, Milano, 1994, 421 ss.; G. CAMARDA, Il soccorso
in mare, Milano, 2006.
(2) Sul punto P. CELLE in Scritti in onore di Francesco Berlingieri, numero speciale di Dir.
Mar., 2010, 328. Il preambolo della SALVAGE 1989 dichiara solo che con tale convenzione si
intende “procedere ad una revisione delle norme internazionali attualmente contenute nella
Convenzione per l’unificazione di alcune norme di legge relative all’assistenza ed al salvataggio
in mare, fatta a Bruxelles il 23 settembre 1910”.
(3) G. RIGHETTI e M. RIMABOSCHI in Le convenzioni internazionali della navigazione
marittima interna ed aerea, Milano, 2008, Tomo II, 2830 e ss. hanno raccolto il testo della
Convenzione in lingua francese, l’elenco delle ratifiche e delle adesioni, ed il testo della legge
di ratifica (L. 12 aprile 1995, n. 129) comprendente la traduzione non ufficiale in italiano. La
Convenzione Salvage 1989 è commentata da F. BERLINGIERI in Le convenzioni internazionali di
diritto marittimo e il codice della navigazione, Milano, 2009.
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II.1. Vediamo la Convenzione Salvage 1989: diversamente dalla
Convenzione del 1910, che richiedeva in particolare la presenza di elementi di estraneità e che era quindi applicabile solamente a controversie
tra soggetti appartenenti a Stati contraenti e tra loro differenti, la Convenzione Salvage è invece automaticamente applicabile in tutti gli Stati
aderenti ed anche alle controversie tra soggetti appartenenti allo stesso
Stato, sempre che queste siano pendenti in uno Stato contraente (4).
2. La Convezione Salvage 1989 prevede sostanzialmente solo tre
eccezioni alla sua applicabilità:
— una, posta dall’art. 4, riguarda i salvataggi resi a navi da guerra od
a altre navi non commerciali appartenenti ad uno Stato; tuttavia la
Convenzione — pare, ma non vi è certezza al riguardo — si applica anche
ai salvataggi effettuati da queste navi;
— la seconda eccezione riguarda i salvataggi di piattaforme di perforazione, ma solo se queste sono in attività di perforazione o di produzione; quindi la Convenzione si applica ai salvataggi effettuati quando le
piattaforme sono in trasferimento;
— ed una terza eccezione è posta dall’art. 6 che consente alle parti di
pattuire delle deroghe al regime convenzionale, ma non permette la totale
non applicazione della Convenzione.
3. È pacifico che la Convenzione Salvage 1989 si applichi sia nel caso
in cui non venga stipulato un contratto di salvataggio — ma in questo caso
per sottoporre l’eventuale controversia ad un arbitrato occorrerà un
compromesso — sia nel caso contrario, ossia nel caso in cui sia stato
stipulato un contratto di salvataggio; in questa seconda ipotesi il contratto
potrà contenere una clausola arbitrale ed in tal caso successivamente potrà
venire stipulato un compromesso, che potrebbe contenere soltanto delle
modifiche alla clausola arbitrale contenuta nel contratto, ad esempio
potrebbe prevedere che l’arbitrato invece che a Londra come previsto dal
Lloyd’s Open Form, di cui vi dirò in seguito, deve venire effettuato
altrove.
4. La Convenzione all’art. 6, secondo comma, dispone espressamente che il comandante della nave soccorsa è dotato del potere di
rappresentare nella stipulazione del contratto di salvataggio il proprietario
della nave e del carico; questa norma dispone che anche il proprietario
della nave salvata ha il potere di concludere contratti di salvataggio a
nome dei proprietari del carico.
(4) P. CELLE in Scritti in onore di Francesco Berlingieri, cit., 329-332; G. CAMARDA, Il
soccorso in mare, cit., 47-50.
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La Salvage 1989 è stata resa esecutiva in Italia con la legge numero
129 del 12 aprile 1995; poiché ai sensi dell’art. 808 c.p.c. secondo comma
“il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la
clausola compromissoria” si deve ritenere che il potere attribuito al
comandante ed al proprietario della nave in pericolo dall’art. 6 comma 2
della Convenzione Salvage 1989 di stipulare il contratto di salvataggio, in
quanto attribuito con la legge speciale italiana che ha introdotto nel nostro
diritto la detta Convenzione, comprenda il potere di stipulare compromessi arbitrali. Non vi sono precedenti giurisprudenziali in materia e non
mi risulta che alcun autore abbia trattato questo argomento.
5. Pare invece che l’introduzione nel nostro diritto della Convenzione non abbia abrogato il disposto di quell’articolo del codice della
navigazione che dispone l’inefficacia della determinazione del compenso
fatta mediante arbitrato che non sia stata accettata dall’equipaggio della
nave soccorritrice, ossia l’art. 494 (5); ciò vale a dire che l’equipaggio di
una nave italiana che ha prestato un soccorso può contestare al suo datore
di lavoro, l’armatore della detta nave, la determinazione del compenso
fatta da un arbitro alla cui nomina l’equipaggio non abbia partecipato o
quantomeno che non sia stato accettato (6).
Analogamente — a mio meditato avviso, ma vi è una autorevole
dottrina in senso contrario (7) — l’equipaggio della nave che presta il
soccorso il cui armatore abbia stipulato una convenzione arbitrale, qualora agisca direttamente in base all’art. 499 cod. nav. contro gli interessati
sui beni salvati, come può fare nel caso di inattività dell’armatore suo
datore di lavoro, è tenuto a rispettare la convenzione arbitrale a cui ho
testé accennato. Questo poiché la convenzione arbitrale resta valida anche
nel caso che ad essa non faccia seguito l’attività dell’armatore necessaria
a giungere al lodo arbitrale.
6. La Salvage 1989 contiene all’art. 7 anche delle previsioni in base
alle quali il contratto di salvataggio può essere annullato o modificato se
è stato concluso quando i beni a rischio erano in stato di pericolo e le
condizioni del contratto sono inique; questa norma è più ampia dell’art.
1447 cod. civ. secondo cui si può giungere alla rescissione solamente se il
(5) Sull’ultravigenza della normativa codicistica dopo il recepimento nel nostro ordinamento della Convenzione del 1989 G. CAMARDA, Il soccorso in mare, cit., 50 ss., F. BERLINGIERI
in Le convenzioni internazionali di diritto marittimo e il codice della navigazione, 619 ss.
(6) In caso di salvataggio eseguito da nave battente bandiera italiana la legge sostanziale
da applicare ai fini del riparto del compenso è l’art. 496 cod. nav. cod.; l’art. 15 comma 2 della
Convenzione Salvage 1989 dispone infatti che la ripartizione del compenso di salvataggio tra
l’armatore, il comandante e le altre persone in servizio su ciascuna delle unità salvatrici deve
venire determinato dalla legge di bandiera della nave.
(7) S. FERRARINI, Il soccorso in mare, cit., 63.
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contratto sia stato concluso allo scopo di salvare sé stessi od un’altra
persona da una situazione di pericolo (8), quindi — in base al nostro codice
civile — il contratto non è rescindibile nell’ipotesi in cui sia stato stipulato
per salvare dei beni.
L’art. 7 della Convenzione consente che il contratto di salvataggio
venga anche annullato o modificato qualora preveda un compenso eccessivamente elevato od eccessivamente modesto rispetto ai servizi effettivamente resi; diversamente dall’art. 1448 del cod. civ. (9) questa norma
non esige che la sproporzione tra il compenso ed il servizio derivino dallo
stato di bisogno di una parte di cui l’altra ha approfittato né condiziona
l’azione di annullamento o modifica a che la lesione superi una certa
soglia, come prevede invece il disposto dell’articolo del codice civile che
ho appena citato.
7. La Convenzione Salvage elenca una serie di obblighi del soccorritore e del comandante della nave, del suo proprietario e dei proprietari
del carico, ma non credo sia il caso che io ne parli in questa sede.
Accennerò soltanto al fatto che il soccorritore è tenuto a consentire
l’intervento di altri soccorritori quando il proprietario o il comandante
della nave od il proprietario del carico lo chiedano purché tale richiesta sia
ragionevole; inoltre la Convenzione prevede il dovere del comandante e
dei proprietari della nave e dei beni in pericolo di cooperare con il
soccorritore.
8. La Convenzione all’articolo 12 contiene il ben noto principio del
“no cure no pay”, ossia dispone che il compenso non spetta in assenza di
un utile risultato.
All’art. 13 premette che la remunerazione deve venire determinata
avendo presente l’opportunità di incoraggiare il salvataggio, e dispone che
il compenso deve venire quantificato tenendo conto di alcuni criteri, che
sono quelli per così dire classici, ossia:
— il valore della nave ed il valore del carico in pericolo (che costituiscono anche il limite dell’ammontare del compenso);
— l’abilità e gli sforzi del soccorritore per evitare o limitare i danni
(8) In tal senso Cass. 25 luglio 1951 n. 2147, in Codice Civile a cura di G. Chinè e R.
Garofoli, Roma 2008: “L’art. 1447 richiede, per la rescindibilità, due estremi: l’iniquità delle
condizioni e l’esistenza di un pericolo in atto, al momento della stipulazione, per la persona del
contraente stesso o di un terzo.”. E secondo la dottrina maggioritaria il pericolo deve riguardare
una persona, nella sua integrità fisica o anche nei suoi attributi morali, come l’onore, la libertà
ecc. (v. tra molti V. ROPPO, Il Contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P.
Zatti, Milano, 2011, 832).
(9) Così, da ultimo, Cass. Civ. 2 settembre 2011, n. 18040, in Giust. Civ., 2012, I, 1025:
“L’azione di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. richiede la simultanea esistenza dei requisiti
— la cui valutazione spetta al giudice di merito — della sproporzione ultra dimidium fra le
reciproche prestazioni e dello stato di bisogno del contraente danneggiato.”.
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ambientali; questo inserimento tra i criteri destinati a determinare il
compenso costituisce una delle novità più rilevanti e più dibattute della
Salvage 1989;
— l’abilità e gli sforzi del soccorritore per salvare la nave, il carico e
le vite umane.
Sottolineo che questo fattore della determinazione del compenso è
inserito dopo quello degli sforzi per evitare i danni ambientali; anche se
l’ordine in cui sono indicati i fattori non è rilevante lascia molto perplessi
che il criterio degli sforzi fatti per salvare le vite umane sia stato inserito
dopo quello degli sforzi fatti per evitare i danni ambientali.
L’articolo 13 della Convenzione prosegue indicando gli altri elementi
di cui bisogna tenere conto per la quantificazione del compenso che sono:
— il successo ottenuto ed il pericolo corso dalla nave e dal carico, e per
pericolo si deve intendere anche il solo pericolo di danneggiarsi, che è cosa
diversa dal pericolo di perdersi; osservo che a parere di parte della dottrina (10) deve aversi riguardo al solo pericolo in senso oggettivo, quindi non
alla convinzione che il pericolo esista (né a quella, di segno opposto, che non
vi sia alcun pericolo, una sensazione che talvolta ha il comandante della nave
soccorsa); la giurisprudenza ed altra dottrina (11) affermano invece che si
possa considerare come esistente il pericolo ritenuto tale solo dal soccorritore e che il giudizio debba venire formulato “ex ante”;
— l’abilità e gli sforzi dei soccorritori, il tempo che hanno dedicato
alle operazioni, le loro spese e danni, ed i rischi di responsabilità e di altro
genere che hanno corso;
— la rapidità di intervento;
— la disponibilità e l’utilizzazione di navi ed attrezzature destinate al
salvataggio, ed il loro stato di prontezza, nonché il loro valore e la loro
efficienza.
III. All’art. 14 la Convenzione prevede che al soccorritore intervenuto quando la nave e/o il carico minacciavano un danno all’ambiente
spetta una “special compensation”, ossia un compenso speciale (12).
Per avere diritto a questo compenso speciale (che, per capirci, è il
rimborso delle spese più una maggiorazione) non occorre che al soccorritore spetti un compenso, per così dire “tradizionale”, ossia determinato
in base all’art. 13, perché il rimborso delle spese gli spetta anche nell’ipo(10) VOLLI, Assistenza e salvataggio, Padova, 1957, 20 e SCIALOJA, Sistema del diritto della
navigazione, Roma, 1936, 186.
(11) C. App. Cagliari 26 luglio 1990, in Riv. Giur. Sarda, 1991, 324 con nota di DEIANA,
Lodo Arbitrale 11 agosto 1989, in Dir. Mar., 1990, 182, Trib. Brindisi 14 dicembre 1987, in Dir.
Mar., 1988 833 e C. App. Napoli 29 giugno 1985, in Dir. Mar., 1986, 912, G. BERLINGIERI, in Dir.
Mar., 1967, 100.
(12) In materia F. BERLINGIERI, Note sul “compenso speciale” ex art. 14 della Convenzione
sul salvataggio, in Dir. Mar., 2004, 254 e ss.
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tesi in cui egli non abbia diritto al compenso tradizionale, cioè anche nel
caso di insuccesso; e se al soccorritore spetta il compenso tradizionale ma
questo non è almeno uguale al rimborso delle spese, egli ha diritto anche
alla special compensation.
In caso di successo totale o parziale nell’evitare danni all’ambiente
(che possono essere diversi dal danno più comune, quello provocato
dall’inquinamento), il compenso speciale spettante al soccorritore, che
prima ho impropriamente definito “rimborso delle spese”, è pari alle spese
da lui sostenute ma il loro importo può venire aumentato dal giudice o
dall’arbitro fino al 30%, e questo aumento può venire ulteriormente
incrementato fino al raddoppio qualora ciò venga ritenuto equo e giusto.
Occorre tenere presente che, come risulta anche dal Common Understanding che costituisce l’Annex 1 alla Convenzione, se il compenso
speciale spettante ai sensi dell’art. 14 della Convenzione supera la remunerazione spettante in base all’art. 13, non è necessario valutare se il
compenso “normale” eccede il valore della nave e degli altri beni tratti in
salvo prima di liquidare la special compensation.
Il compenso speciale è dovuto dal solo proprietario della nave e verrà
pagato dal suo P&I, mentre nulla devono gli assicuratori Corpo e Macchine né il proprietario e gli assicuratori del carico.
L’esclusione dei proprietari del carico e degli assicuratori C&M dal
novero di coloro che sono tenuti a pagare la special compensation in base
all’art. 14 della Convenzione Salvage 1989 discende da un accordo tra
International Salvage Union, Assicuratori C&M e Assicuratori P&I che
era stato recepito dal c.d. Montreal Compromise, raggiunto durante la
Conferenza del CMI del 1981, in cui venne redatta la bozza del testo che
poi divenne la Convenzione Salvage 1989.
Ma i criteri di liquidazione del compenso ordinario e la special
compensation sono stati oggetto di un ampio dibattito provocato anche
dalle problematiche emerse in sede di applicazione degli articoli 13 e 14
della detta Convenzione (13).
IV. Per tentare di superare le criticità emerse in sede di prima
applicazione delle norme sulla special compensation, il Comitato dei
(13) Molto critico sull’impianto della Salvage 1989 G. RIGHETTI, op. cit., 899 s.; in
particolare l’interpretazione “restrittiva” del “fair rate” previsto dall’art. 14, comma 3 della
Convenzione fornita dai giudici inglesi con le sentenze nel caso “The Nagasaki Spirit” in [1995]
2 Lloyd’s Rep. 44; [1996] 1 Lloyd’s Rep. 449; [1997] 1 Lloyd’s Rep. 323 è stata assai contestata.
Sull’evoluzione legislativa, in giurisprudenza ed in dottrina dell’istituto del salvataggio e
sul dibattito che ha preceduto e seguito l’entrata in vigore della Salvage 1989, di F. SICCARDI,
L’environmental salvage e la convenzione Salvage 1989: un dibattito attuale, in Dir. Mar., 2012,
967. Lo scritto, corredato da un ricco apparato di note ed interessanti proposte de iure
condendo, si sofferma su numerosi argomenti assai dibattuti, quali il liability salvage, l’environmental salvage, la special compensation e la SCOPIC Clause.
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Lloyds nell’anno 2000 ha modificato sensibilmente il noto formulario LOF
(Lloyd’s Open Form) (14), la cui prima edizione risale a più di un secolo fa,
inserendo una clausola con cui può venire “incorporata”, ossia convenzionalmente applicata, la SCOPIC, acronimo che sta per Special Compensation P&I Club Clause; ovviamente questa possibilità di incorporazione
della SCOPIC appare anche nell’edizione del LOF 2011, che è quella
attualmente impiegata.
Mediante il LOF viene stipulato un contratto di salvataggio; il LOF è
un documento di due sole pagine, sulla prima delle quali devono venire
inseriti i pochi dati essenziali che sono necessari per individuare il soccorritore, la nave in pericolo e che prevede — seppure implicitamente —
l’assoggettamento del contratto alla convenzione Salvage del 1989.
Il formulario LOF dispone inoltre che, nel caso di incorporazione
della clausola SCOPIC, la special compensation venga determinata in base
ad essa, e che la determinazione del compenso di salvataggio e/o della
special compensation debba venir fatta in arbitrato a Londra nei modi
previsti da un altro set di clausole, le Lloyds Standard Salvage and
Arbitration Clauses (note come clausole LSSA) e secondo le norme
procedurali dei Lloyds, clausole e norme che devono quindi ritenersi
incorporate nel LOF.
V. L’International Group of P&I Clubs e la International Salvage
Union, ossia l’associazione della maggior parte degli assicuratori della
responsabilità armatoriale e l’associazione mondiale dei soccorritori nel
1999 hanno redatto la SCOPIC Clause.
Questa in effetti è molto più di una clausola, in realtà è un ampio
formulario costituito da 16 clausole con cui viene posto un regime relativo
alla determinazione della special compensation diverso da quello dell’art.
14 della Convenzione, ritenuto troppo generico.
1. La SCOPIC (che è stata anch’essa recentemente aggiornata (15)),
oltre ad essere accompagnata da un Code of Practice, è corredata da tre
appendici:
— la prima è un prezziario, molto dettagliato e periodicamente
aggiornato, che regolamenta l’importo dovuto al soccorritore per le persone intervenute nonché per i mezzi (rimorchiatori e natanti di altro tipo,
generatori, manichette, attrezzatura per immersioni, pompe, sistemi di
(14) In generale sul LOF e sulla SCOPIC Clause, con particolare riferimento all’edizione
2000 del LOF, E. PIOMBINO, Il Lloyd’s Open Form 2000 e la SCOPIC Clause, in Dir. Mar.,2001,
pag. 1233; sulle modifiche apportate con l’edizione LOF 2011 v. il comunicato apparso in Dir.
Mar., 2012, 330.
(15) L’ultima edizione della SCOPIC Clause è stata pubblicata il 1º gennaio 2014 ed è
consultabile — così come molti dei documenti menzionati nel seguito della relazione — sul sito
internet www.lloyds.com.
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illuminazione, parabordi, ecc.) che vengono utilizzati nelle operazioni
tendenti ad evitare l’inquinamento; questi corrispettivi, ai sensi della
SCOPIC, devono venire maggiorati del 25%;
— una seconda appendice concerne il rappresentante (definito Special Casualty Rapresentative - SCR) che l’armatore della nave può nominare (scegliendolo da una lista di persone gradite al Lloyds ed alle
associazioni dei soccorritori e degli assicuratori) affinché assista alle
operazioni di salvataggio e ne faccia un accurato rapporto all’arbitro;
— mentre la terza appendice riguarda gli Special Rapresentatives che
possono venire nominati dall’assicuratore Corpo e Macchine e dal proprietario o dagli assicuratori del carico.
La clausola SCOPIC non si applica in ogni caso, ma è il soccorritore
(e non gli interessati su nave e carico) che ha la facoltà — ma non l’obbligo
— di invocarla; nella pratica essa viene invocata solamente in circa un
quinto dei salvataggi.
Anche la clausola SCOPIC comprende una clausola arbitrale, costituita da un richiamo alla clausola compromissoria contenuta nel LOF.
2. La clausola SCOPIC è criticata — per ragioni diverse — dalle
organizzazioni che l’avevano redatta, in quanto i soccorritori (rappresentati dalla International Salvage Union) lamentano che i criteri per la
determinazione della special compensation siano inadeguati (ossia troppo
bassi), mentre i P&I Clubs sostengono che è iniquo addossare solo sul
proprietario della nave (e quindi sull’assicuratore della sua responsabilità)
questo compenso, esonerando in sostanza da questo debito gli assicuratori
Corpo e Macchine nonché i proprietari e gli assicuratori del carico.
VI.1. Come sapete, secondo il diritto processuale italiano le parti
possono sottrarre ai Giudici Ordinari la decisione di controversie tra loro
insorte o che possono insorgere, purché queste non riguardino taluni
diritti indisponibili ed a certe condizioni se riguardano diritti derivanti da
rapporti di lavoro.
Per pattuire la competenza di arbitri occorre:
— un compromesso, vale a dire quell’accordo successivo all’insorgere
della vertenza con cui le parti convengono — appunto — di devolvere la
vertenza ad uno o più arbitri;
— oppure una clausola compromissoria, ossia che le parti, nel contratto od in un atto separato dal contratto ma ad esso collegato, stabiliscano che le controversie nascenti dal contratto vengano decise mediante
arbitrato.
2. Nel campo marittimo le clausole arbitrali sono molto diffuse; le
troviamo in qualche formulario di polizza di carico, in quasi tutti i
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formulari di contratto di trasporto, di noleggio e di locazione, di rimorchio, in tutti i contratti di costruzione di nave, in tutti i contratti di
compravendita di nave usata, e così via; ad esse si accompagna molto
spesso la clausola che assoggetta il contratto alla English Law.
Non sempre viene redatto un contratto di salvataggio, perché è
abbastanza frequente il caso che manchi il tempo per discuterlo e pattuirlo, e spesso è molto difficile redigerlo per iscritto; si pensi al caso di una
nave con il motore in avaria che sta per andare ad incagliarsi e ad altre
ipotesi di questo genere.
3. Accade abbastanza comunemente che il compenso di salvataggio
venga determinato da arbitri di Londra; in molti casi è l’arbitro unico
previsto dalle regole d’arbitrato del Lloyd’s (le LSSA clauses a cui ho
accennato prima) ossia da un arbitro scelto tra i cinque che compongono
la rosa dei Lloyd’s Arbitrators selezionata dalle varie organizzazioni di
categoria.
In altri casi (in cui non è stato pattuito un LOF) il compenso è
determinato dall’arbitro o dagli arbitri previsti dalla clausola arbitrale
contenuta nel contratto di salvataggio; questa normalmente prevede la
nomina di un arbitro da parte del soccorritore e di un arbitro da parte
dell’armatore — che la farà anche per conto degli interessati sul carico —
e la nomina di un Terzo arbitro o di un Umpire da parte dei primi due o
da parte di una organizzazione di arbitrato o da parte dell’autorità
giudiziaria inglese.
I casi di salvataggio per cui è stato stipulato un LOF dal 2000 al 2010
— non sono disponibili statistiche più recenti — sono stati un migliaio (da
circa 120 casi all’anno a circa 60) (16); solo una minima parte di loro viene
litigata fino all’emissione del lodo, tanto è vero che il numero dei lodi
arbitrali ammonta grossomodo ad un quinto del numero dei LOF stipulati
e notificati al Lloyds, ossia sono stati emessi solo circa 20 lodi all’anno, il
40% dei quali è stato impugnato innanzi all’arbitro d’appello (figura
prevista dalle LSSA clauses).
4. In qualche caso viene pattuito l’arbitrato sotto l’egida della Camera di Commercio Internazionale, che ha sede a Parigi e succursali in
molte altre nazioni, tra cui in Italia; ma gli arbitrati in materia marittima
e in particolare in materia di salvataggio raramente vengono decisi da
questi arbitri, che non hanno competenza specialistica.
Più frequenti sono i casi di salvataggio sottoposti all’esame degli
arbitri che agiscono sotto l’egida dalla Chambre Arbitrale Maritime de
Paris, della LMAA - London Maritime Arbitrators Association e della
Society of Maritime Arbitrators degli Stati Uniti.
(16) V. il Lloyd’s Open Form Report 2012, consultabile nell’archivio del sito internet
www.lloyds.com.
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È possibile pattuire — se i valori salvati non sono elevati — che
l’arbitrato sotto l’egida del Lloyds Commitee e della LMAA venga svolto
solamente su documenti e ad un costo limitato; salvo in queste ipotesi, i
costi degli arbitrati di Londra non sono prederminati o predeterminabili,
ma in genere — come ben sapete — sono abbastanza elevati, anche poiché
gli onorari dei solicitors e dei barristers che presentano e discutono il caso
sono molti alti, almeno dal punto di vista di noi italiani.
5. Non sono in grado di dirvi quanto l’arbitrato in Italia in materia
di salvataggio sia diffuso; non sono disponibili dati ufficiali, poiché —
nonostante l’art. 27 della Convenzione Salvage preveda che gli Stati
incoraggino la pubblicazione dei lodi, se ciò è possibile e se le parti
acconsentono — i lodi arbitrali italiani da parecchi anni non vengono
pubblicati, mentre ovviamente le sentenze sono accessibili; in sostanza si
possono consultare solamente le sentenze dei Giudici Ordinari in materia
di salvataggio, comprese quelle di impugnazione dei lodi arbitrali.
Vi sono alcune istituzioni permanenti di arbitrato, la più importante
delle quali è la Associazione Italiana per l’Arbitrato, che si è dotata di un
Regolamento che comprende anche delle norme sugli onorari degli arbitri.
L’arbitrato in Italia è molto più veloce della giustizia ordinaria, e
questo è uno dei fattori, insieme a quello — di cui non vi ho parlato ma che
è estremamente importante — della sicura competenza che gli arbitri
hanno in materia di salvataggio, velocità e competenza che fanno preferire
(o dovrebbero far preferire) l’arbitrato alla giustizia ordinaria, mentre il
fattore lingua ed il fattore spese talora fanno preferire l’arbitrato in Italia
all’arbitrato a Londra od a New York.
6. Vorrei concludere con un suggerimento: se si intende far decidere
la controversia da un arbitro unico occorre pattuirlo, poiché in mancanza
di indicazione sul numero degli arbitri questi, secondo l’art. 809 c.p.c.,
sono tre, ed il costo dell’arbitrato cresce quasi in proporzione del numero
degli arbitri (oltre che dell’importo della domanda, ovviamente).
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La clausola compromissoria nel contesto del
rapporto di assicurazione marittima
FRANCESCO SICCARDI
A. L’Arbitrato nel contratto di assicurazione. — 1. Premessa. — 2. Le clausole di
scelta del Foro nei Formulari Assicurativi Marittimi. — 3. Arbitrato e figure
analoghe nell’assicurazione marittima. — 4. Perizia contrattuale in generale e
nell’assicurazione marittima. — 5. L’arbitrato nell’Avaria Generale. — 6. L’arbitrato nella assicurazione P&I — 7. L’arbitrato nella riassicurazione — B. L’arbitrato e la surroga assicurativa. — 1. Premessa. — 2. La surroga assicurativa - cenni.
— 3. I limiti della surroga. — 4. Effetti processuali. — 5. La successione nella
clausola compromissoria. — 6. (Segue). — 7. La surroga nel diritto inglese. — 8.
La surroga in diritto francese. — 9. La surroga in diritto tedesco. — 10. Il NMIP.
A.-1. Tra Assicurazione ed Arbitrato non vi è mai stato grande
feeling.
Scriveva già Vivante (1) quasi 150 anni fa:
“Le Polizze recano talvolta delle clausole compromissorie, che divengono sempre più rare. L’esperienza ha dimostrato che i giudizi degli arbitri
danno argomento a nuovi litigi, e impediscono la formazione di una
giurisprudenza regolatrice”.
Settanta anni dopo Donati (2) esaminando i mezzi di risoluzione delle
controversie fra Assicurato ed Assicuratori e trattando della c.d. Perizia
contrattuale (3) scriveva: “Può darsi per contro che, con patto compromissorio, [le parti] abbiano inteso ricorrere ad un vero e proprio arbitrato
rituale ai sensi degli artt. 806 e segg. c.p.c., da svolgersi secondo le norme dei
citt. artt. c.p.c. e destinato a chiudersi con sentenza (...) esecutiva: ciò accade
di rado, talvolta nella riassicurazione; in tal caso è rimessa di solito agli
arbitri anche la decisione sull’an debeatur”.
Questa visione, come ricorda altro giurista che ne ha trattato (4), è
(1)
( 2)
( 3)
( 4)
C. VIVANTE, Il Contratto di Assicurazione, Vol. II, Milano, 1885, 438.
A. DONATI, Trattato di Diritto delle Assicurazioni Private, Vol. II, Milano, 1954, 438.
V. infra al paragrafo 4.
G. SCALFI, L’Arbitrato nei contratti Assicurazione, in Assicurazioni, 1995, I, 342.
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invero riferita all’Arbitrato rituale e non anche a quello irrituale che,
come ricorda l’autore, è divenuto di molto più frequente utilizzazione in
generale e che è meno raro incontrare nel campo assicurativo terrestre.
D’altro canto essa può, almeno in parte, trovare motivo nella generale avversione verso il mezzo arbitrale che, in passato, era visto come
“supposta intrusione di privati indicati da altri privati nell’esercizio della
potestà giurisdizionale” (che) “trovò eco pure in sede di lavori preparatori
dell’attuale codice di procedura civile” (5).
Di fatto, tuttavia, il progressivo affermarsi del ricorso alla giustizia
privata, principalmente dovuto alla macchinosità e lentezza dell’apparato
giudiziario statale, ma anche ad altri benefici, quali la scelta del giudice, la
riservatezza, la snellezza procedurale (assenza di preclusioni, ecc.) (6) non
ha trovato, se non parziale riscontro in ambito assicurativo, e ancora
minore nell’Assicurazione Marittima.
La circostanza — a ben vedere — è singolare se si considera che la
specialità della materia suggerirebbe il ricorso a giudici esperti, o a sezioni
specializzate che raramente si incontrano con l’eccezione del Regno
Unito, ove la Commercial Court annovera fra i suoi giudici, normalmente
ex Queen Counsels, esperti di diritto commerciale ed assicurativo.
E la singolarità del caso è ancor maggiore da un lato, posto che
proprio l’Assicurazione marittima ha il suo centro principale nel Regno
Unito e dall’altro considerato che in quell’ordinamento il ricorso all’Arbitrato come mezzo di risoluzione delle controversie è divenuto frequentissimo (7).
A Londra, infatti, la London Maritime Arbitration Association è
l’istituzione nella quale confluiscono molte controversie in materia marittima relative a Time Charters, Sales of Ships, Shipbuilding Contracts
etc. (8); le dispute sorgenti dal Lloyd’s Open Form in tema di salvataggio
sono affidate ad Arbitri designati dal Council dei Lloyd’s (9); la London
Court of International Arbitration (“LCIA”) opera anche attivamente ed
il ricorso ad Arbitrati non amministrati è pure assai frequente.
(5) G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, 3a ed., 17.
(6) VIGORITI, Criteri di scelta tra giudizio ordinario e arbitrato, in Arbitrato, ADR
Conciliazione, Tomo 2009, 3 ss. — v. anche M. RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato,
Padova, 2006, 3.
(7) Dopo che già nel 1856 e proprio in materia assicurativa nel noto caso Scott v. Avery
era stata affermata la validità del patto (compromissorio) in virtù del quale si richiedeva il
pronunciamento di un lodo quale “condition precedent to the commencement of any action upon
the Policy” (Scott v. Avery (1856) 5 HLC 810). L’evoluzione storica dell’arbitrato nel sistema
giuridico inglese è ben illustrata in Mustill & Boys, The law and practice of commercial
arbitration, London, 1982, 32 ss. e specialmente 34-36.
(8) V. AMBROSE & MAXWELL, London Maritime Arbitration, London, 2002.
(9) Su questa procedura Kennedy & Rose, Law of Salvage, London, 2002, 592 ss.
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Vi sono poi organismi internazionali quali la CCI e camere arbitrali in
altri paesi Europei (10)
Ma non nel campo dell’Assicurazione Marittima.
2. Tutti o quasi i Formulari di copertura contengono una clausola
attributiva di giurisdizione in favore dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
2.1. In Inghilterra — storicamente mercato di riferimento nel “marine” — la Polizza in uso, a partire dagli anni ’80, la MAR (“Lloyd’s
Marine Policy”) (11), e la polizza dell’ILU (Institute of London Underwriters) conteneva la dizione “This Insurance is subject to English jurisdiction”; le condizioni di copertura contenute in Formulari annessi alla
Polizza portavano poi la clausola “This insurance is subject to English Law
and practice” (12).
La MAR Policy 1991 e la corrispondente Polizza ILU recita “This
insurance shall be subject to the exclusive jurisdiction of the English Courts,
except as may be expressly provided herein to the contrary”, ove spicca il
termine “exclusive” ma anche il riferimento a pattuizioni specifiche differenti. Uguale formula si trova nella “Companies Ship Policy (Direct)” (13).
L’utilizzazione della MAR 91 è prevista esplicitamente dai clausolari
di rischio che portano in apertura la dizione “For use only with the new
marine policy form” (14).
Le nuove clausole Corpo & Macchina Inglesi, ovvero le “International Hull Clauses” 1.11.2003 (15), introducono nel testo la clausola sopra
riportata dalla MAR sostituendo “English Courts” con “English High
Court of Justice” (16). Significativa è peraltro la clausola 53 intitolata
“Dispute Resolutions” che recita: “Subject to the English jurisdiction
clause, Underwriters and the Assured may refer any disputes to mediation/
alternative form of ADR with the CEDR Solve procedures to apply in
default of agreement as to the procedure to be adopted” (17).
(10) Per un esame della materia si veda da ultimo: F. MARRELLA, Unità e diversità
dell’arbitrato internazionale marittimo, in Dir. Mar., 2005, 787 in particolare 808 e segg.
(11) Che ha sostituito la storica “SG”, la quale nulla disponeva.
(12) Così la cl. 19 delle Institute Cargo Clauses 1.1.1982 e la dizione introduttiva alle
clausole delle Institute Time Clauses Hulls 1.10.1983.
(13) È la polizza dell’International Underwriting Association of London (IUA) che ha
sostituito l’ILU e che poi a sua volta è stata affiancata nel compito di emissione delle Polizze da
In-Sure Marine Services.
(14) Institute Time Clauses-Hulls (ITCH) 1.11.1995 e sempre Institute Time ClausesHulls (ITCH) 1.10.1983.
(15) Con queste il mercato inglese ha voluto rispondere ad una esigenza di uniformità
internazionale ispirata anche ad altri strumenti in uso sul mercato, quale il Norwegian Marine
Insurance Plan — v. per commenti F. SICCARDI, Le nuove clausole Corpi inglesi, in Dir. Mar.,
2003, 1082 e L’edizione 2003 delle nuove clausole corpi inglesi, in Dir. Mar., 2004, 674.
(16) Non altrettanto fanno le Institute Cargo Clauses 1.1.2009 che tacciono sul punto.
(17) CEDR Solve è un Istituto di Mediazione in materia commerciale.
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2.2. Un breve esame comparativo dimostra che anche su altri importanti mercati assicurativi marine, la scelta è quella del Giudice ordinario.
Così dispone ad esempio la Police Francaise sur Facultés: “L’assureur
ne peut etre assigné que devant le Tribunal de Commerce du lieu où la
police a été souscrite”.
E similmente quella “sur Corps des Navires” dispone che gli Assicuratori possono essere citati solo avanti il Tribunal de Commerce del luogo
dove risiede la Compagnia delegataria (“aperiteur”).
Le ADS Clauses germaniche contengono una clausola di giurisdizione che legge: “Difference between the parties to an insurance contract
shall be settled exclusively before the Court of Underwriters’ legal domicile.
If, however, the insurance contract was concluded by an Agent at Underwriters’ or the Agent’s branch office, and such office is domiciled outside the
jurisdiction of the court of Underwriters’ main domicile, then the contract
shall also come under the jurisdiction of the Court of the branch office”.
Il Norwegian Insurance Plan prevede che le dispute fra Assicuratore
ed Assicurato siano deferite alla competenza esclusiva delle Corti norvegesi.
Con il 1.1.2013 il NMIP è stato sostituito dal “Nordic Marine Insurance Plan of 2013”: si tratta dello NMIP 1996/2010 modificato (e aggiornato) per estenderne l’applicazione agli altri Stati nordici: Danimarca,
Svezia e Finlandia.
Fra le modifiche, in tema di giurisdizione va segnalata la clausola 1-4
che, in caso di copertura piazzata con un “Nordic Claim Leader”, prevede
la competenza della Corte del luogo di domicilio del “claim leader” (e non
più quindi della Corte norvegese) mentre nulla si dispone in tema di
giurisdizione nell’ipotesi che la Compagnia delegataria sia “non Nordic”.
Si precisa inoltre che i co-assicuratori possono essere convenuti
davanti alla Corte del luogo ove è domiciliata la Compagnia.
Venendo infine a noi, nei Corpi, la Polizza Camogli 1988, che viene
utilizzata come contratto quadro cui accedono le condizioni di copertura
(usualmente ITCH), all’art. 2 dispone: “Giurisdizione e foro competente.
Tutte le controversie relative al presente contratto sono soggette esclusivamente alla giurisdizione italiana. Foro competente a scelta della parte
attrice, è esclusivamente quello del luogo ove ha sede la Direzione della
Società, ovvero l’Agenzia cui è assegnato o presso la quale è stato concluso
il contratto”.
Infine la nostra Polizza Merci 2006 all’art. 10 recita: “... Tutte le
controversie relative al presente contratto sono soggette alla giurisdizione
italiana”.
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2.3. L’assenza del ricorso all’Arbitrato come mezzo di risoluzione
delle controversie nel campo assicurativo marittimo (18) trova la sua
ragione principale nella circostanza che essa opera con strumenti contrattuali che sono stati introdotti da lungo tempo, allorché tale mezzo non era
ancora se non raramente utilizzato; si consideri infatti che la Polizza SG
risale al XVIII secolo e che in quello successivo sono apparse sul mercato
inglese e sugli altri principali europei (inclusa l’Italia) formulari di copertura per Corpo & Machine e Merci che sono poi stati aggiornati per
adattarli alle sopravvenienti esigenze nel rigoroso rispetto di una tradizione consolidata.
È per questa ragione, principalmente, che le Polizze di Assicurazioni
Marittime non contengono clausole arbitrali salvo rare e specifiche eccezioni.
3. Si può concludere che nell’Assicurazione Marittima è del tutto
escluso il ricorso alla soluzione arbitrale?
Questa affermazione sarebbe, nella sua generalità, erronea sussistendo alcune seppur modeste eccezioni.
3.1. Un primo esempio è quello della Cargo Insurance Policy of
Antwerp 2004 il cui art. 22 deferisce la risoluzione di dispute che insorgono fra assicuratori ed assicurato ad un Collegio di Arbitri nominati i
primi due da ciascuna delle parti e il terzo dai primi due o in caso di
disaccordo dal Presidente del Tribunale.
La clausola prevede inoltre che le parti possano convenire nella
specifica clausola compromissoria che il lodo sia appellabile. Si tratta
dunque di Arbitrato in senso proprio.
L’art. 23 mantiene invece ferma la competenza dell’Autorità Giudiziaria esclusivamente per dispute relative al pagamento di premi (19).
3.2. Un secondo esempio è rappresentato dalla “Sister Ship Clause”
delle clausole corpi inglesi ovvero sia le ITCH (1.10.1983 e 1.11.1995) sia
le IHC 1.11.2003 (20).
Tale clausola regola il caso in cui la nave assicurata entri in collisione
(18) Che trova conferma nei text books in materia si veda ad esempio J. DUNT, Marine
Cargo Insurance, London, 2009, 28.
(19) F. PONET, Cargo Insurance Policy of Antwerp 2004, Paris, 2009, 127 ss.
(20) Clausola 9 delle ITCH 1.10.1983 ed ora 7 delle IHC con piccole varianti: “Should the
Vessel hereby insured come into collision with or receive salvage services from another vessel
belonging wholly or in part to the same Owners or under the same management, the Assured shall
have the same rights under this insurance as they would have were the other vessel entirely the
property of Owners not interested in the Vessel hereby insured; but in such cases the liability for
the collision or the amount payable for the services rendered shall be referred to a sole arbitrator
to be agreed upon between the Underwriters and the Assured”.
Per un commento F.D. ROSE, Marine Insurance Law and Practice, London, 2004, 318.
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o sia soccorsa da nave che appartenga al medesimo proprietario o sia sotto
comune gestione (“belonging wholly or in part to the same Owners or
under the same management”). In tal caso si dispone che l’Assicurato
abbia gli stessi diritti di cui godrebbe se non vi fosse tale comunanza di
interessi (il che è necessario soprattutto in caso di comune proprietà,
perché il debito/credito da collisione si estinguerebbe per confusione, ma
ciò non può avvenire proprio perché il proprietario-Armatore (della nave
collidente) ha contratto copertura assicurativa per i rischi di responsabilità
(da collisione o salvataggio).
Tuttavia — ed ecco il punto — se sussiste controversia sulla responsabilità o l’entità del danno (o del compenso di salvataggio) la controversia fra Assicurato ed Assicuratore è devoluta ad un “sole arbitrator to be
agreed upon between the Underwriters and the Assured” (21):
La scelta di un Arbitro in luogo dell’A.G. può giustificarsi in questo
caso in ragione della particolarità della fattispecie che vede l’Assicurato
nella doppia veste di creditore dell’Assicuratore (come proprietario della
nave soccorritrice o collisa) e di debitore che fruisce della relativa copertura di Assicurazione Responsabilità Civile (in tale ambito propriamente
collocandosi la copertura del rischio collisione e del rischio salvataggio).
3.3. Vi sono poi in alcune Polizze clausole compromissorie specificamente pattuite.
Nella copertura di grandi rischi, specie nel rapporto fra Assicuratori
e gruppi industriali che assicurano rischi diversi inclusi i trasporti (e quindi
anche trasporti marittimi) non è infrequente imbattersi in clausole ad hoc
che deferiscono ad arbitri privati o ad istituzioni, quali da noi la Camera
Arbitrale Nazionale e Internazionale di Milano, la controversia.
Varie poi sono le soluzioni adottate sulla natura dell’arbitrato, talora
irrituale e/o con richiamo all’equità (22).
Questa soluzione si incontra però più raramente nel campo dell’Assicurazione Marittima Corpi.
(21) La Polizza francese dispone a sua volta “A défaut de règlement amiable entre les
parties, les responsabilités d’abordage ou la rémunération d’assistance seront fixée par un arbitre
unique, conformément aux dispositions du Nouveau Code de Procédure Civile (Livre quatriéme),
ou à défaut d’accord sur la désignation d’un arbitre unique, par la Chambre Arbitrale Maritime
de Paris, saisie par la partie la plus diligente”.
Una clausola analoga è contenuta nell’American Hull Form (l’omologo form in uso sul
mercato americano) che peraltro prevede anche il deferimento delle questioni ad un Collegio
di Tre Arbitri, qualora le parti non si accordino sulla scelta dell’Arbitro Unico.
(22) Queste formule sono frequenti quando la copertura si estende ad interessi particolari come è il caso della c.d. “business interruption”, ovvero la perdita di profitto conseguente ad
una avaria ad una linea di produzione industriale o simili eventi. In tali casi non è raro che si
combinino (con effetti talora poco chiari sul piano dell’ambito di rispettiva competenza), il
ricorso a esperti tecnici attraverso la Perizia Contrattuale (di cui infra) ed Arbitri (rituali o
irrituali), per la definizione della controversia propriamente intesa.
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4. Tra le figure analoghe all’Arbitrato è di non rara applicazione in
campo assicurativo generale la c.d. Perizia contrattuale.
4.1. Questo strumento ha, nella prassi più comune, una portata
limitata, poiché attiene alle divergenze relative al quantum debeatur
dell’indennità assicurativa e non per regola all’an.
Per la verità la grande varietà di formule utilizzate (alcune in Condizioni Generali di Contratto, altre stipulate appositamente quale condizioni particolari di Polizza) non consente di generalizzare.
Le clausole relative hanno alimentato un dibattito circa la natura
dello strumento medesimo sostenendosi da alcuni (23) trattarsi di Arbitrato irrituale e da altri di perizia tecnica (24), senza dimenticare che certe
clausole, affidando a periti determinazioni concernenti, ad esempio, il
rispetto di condizioni di assicurabilità, o altri aspetti (25), travalicano
l’aspetto quantitativo invadendo — seppure talora non esaurendolo — il
merito proprio del diritto all’indennizzo assicurativo e invadendo quindi il
campo arbitrale (irrituale).
L’unica certezza — per così dire — è che in tali patti non è ravvisabile
una clausola compromissoria per arbitrato rituale come anche di recente
ha affermato la giurisprudenza (26) che ha appunto distinto il primo da “...
arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale, ovvero in ogni
altra fattispecie in cui le parti abbiano predisposto speciali tipologie di
conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una
soluzione extragiudiziale della controversia, dato che, in ciascuno di questi
casi, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell’elemento che caratterizza l’arbitrato rituale, ossia l’attitudine a divenire sentenza”.
La giurisprudenza comunque, privilegia la collocazione dell’incarico
conferito ai periti nell’ambito della perizia contrattuale (27) con la conseguenza che la clausola relativa “non impedisce alle parti di sollevare in
(23) In particolare DONATI, op. loc. cit., e di recente BOGLIONE, La Riassicurazione,
Milano, 2013, 814.
(24) LA TORRE, Le Assicurazioni, Milano, 2007 par. 24 sub art. 1905 cod. civ., 173.
(25) Nell’assicurazione incendio le Polizze in uso, già provenienti da Formulari ANIA,
prevedono che ai Periti contrattuali sia conferito un mandato amplio che è diviso in quattro
parti: (i) la rappresentazione del rischio fatta in sede di copertura; (ii) la ricostruzione del
sinistro e della sua causa; (iii) la valutazione dei beni assicurati (valore assicurabile); (iv) la
determinazione dell’entità del danno. Peraltro le determinazioni del Collegio sono dichiarate
vincolanti solo relativamente agli ultimi due aspetti e, anche in tal caso, impugnabili per
violazione dei patti di Polizza.
Si tratta quindi di un mandato di amplio ma incerto confine e foriero di potenziali dispute.
Sul punto si veda ancora Scalfi, cit., 349 ss.
(26) Cfr. Cass. 28.4.2010 n. 10221 Cardone ed altro c. Com. Morcone, in Giust. Civ. Mass.,
2010, 4, 630.
(27) Cass. 17.12.2010 n. 25463 M.E. c. Soc. Axa Assicurazioni, Redazione Giuffrè, 2011
e varie decisioni di giudici del merito.
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giudizio questioni preliminari di merito concernenti la stessa esistenza del
diritto all’indennizzo, trattandosi di questioni sottratte alla competenza dei
periti...” (28) e, rendendo inesigibile il diritto all’indennizzo fino alla conclusione delle indagini peritali, impedisce il decorso del relativo termine di
prescrizione (29) ed infine che la stessa non richiede l’approvazione specifica di cui agli artt. 1341 e 1342 cod. civ. (30).
4.2. Un poco noto caso di deferimento a privati di controversia sul
quantum è anche contenuto nel Formulario che va sotto il nome di
“Institute Natural Rubber Clauses”, uno dei formulari adattati al commercio ed assicurazione di particolari commodities (quali oil, coal, seeds etc.).
La cl. 15 di tale formulario stabilisce infatti: “In the event of a dispute
between the Assured and the Underwriters’ Surveyors as to the extent of the
depreciation to be allowed on damaged rubber samples shall be drawn by
recognized samplers and forwarded together with the Survey Report to the
Rubber Trade Association of London whose award shall be final and
binding on all parties so far as concerns the extent of depreciation”.
Si tratta come può constatarsi di uno strumento che si colloca nell’ambito della perizia contrattuale vera e propria essendo determinativo
dell’entità del danno, caratterizzato peraltro dalla preventiva designazione dell’esperto incaricato di definire la controversia (31).
4.3. Più significativo perché di portata generale è la disposizione
contenuta nelle ADS Cargo tedesche che all’art. 8 (“Procedure in the
event of loss or damage”) prevede il ricorso ad un Collegio di “Esperti”
per la determinazione di causa (si noti) ed entità del danno; il Collegio è
nominato con la tecnica consueta ed in caso di disaccordo dei due esperti
nominati dalle due parti in contesa il terzo è nominato dalla Camera di
Commercio (o all’estero dal Console) competente.
La relativa determinazione è vincolante “a meno che sia data prova
che la stessa è manifestamente contraddittoria rispetto alla reale situazione
di fatto”.
Il riferimento a esperti “designés d’un common accord ou, à defaut,
judiciairement” è contenuto anche nella Polizza Corpi francesi dove si
prevede che agli stessi deve essere affidato il compito di determinare causa
e natura ed entità dei danni.
(28) Cass. 13.3.2012 n. 3961 Soc. Carige Assicur. c. Vaccarella e altro, in Foro It., 2012,
6, 1765.
(29) Cass. 3961/2012 cit. e 30.9.2011 n. 19998 Alf Broker c. Soc. Aviva, in Resp. civ. e
prev., 2012, 1, 270.
(30) Cass. 11.5.2011 n. 10332 Assitalia S.p.A. c. Ciuffo, in Guida al Diritto, 2011, 29, 49
(s.m.).
(31) Su questa clausola J. KENNET GOODACRE, Marine Insurance Claims, London, 1996,
360.
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La clausola (art. 18) non chiarisce tuttavia se la relativa determinazione (in caso di nomina fatta dalle parti) abbia valore vincolante e d’altro
canto la Polizza, come si è visto (supra 2.2.) contiene una clausola
attributiva della giurisdizione all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
Il Nordic Marine Insurance Plan, dal suo canto al par. 5.5., prevede il
deferimento ad un Liquidatore Professionale della controversia sull’entità
dell’indennizzo disposto dall’Assicuratore per una “sua valutazione”
(“opinion”) prima che si possa adire il Tribunale. Qui peraltro siamo di
fronte ad un mezzo di natura conciliativa non vincolante.
4.4. Va ancora rammentato, per ragioni meramente storiche, visto
che tali Polizze non sono più in uso, che il ricorso allo strumento arbitrale
si rinveniva anche, per certi aspetti della copertura, nelle Polizze Italiane
Corpo & Macchine utilizzate prima dell’introduzione della Polizza Camogli.
Così ad esempio la Polizza della “Società di Assicurazione già Mutua
Marittima Nazionale” (nota come “Mutuamar” ed. 1942) prevedeva, all’art. 30 il deferimento ad un Collegio Arbitrale (rectius “peritale”) della
determinazione della riduzione da applicarsi al costo delle riparazioni di
un’avaria “per vecchio a nuovo” (32).
Analogamente disponeva la Polizza Italiana di Assicurazioni Marittime di Navi a Scafo Metallico 1972 all’art. 31.
Il capitolato Unitalia, del 1962 all’art. 27, disponeva il deferimento
della questione, nonché del calcolo della stima dei danni non riparati in
caso di vendita della nave, ad un Collegio peritale composto da un perito
nominato dall’Assicurato, un perito nominato dall’Assicuratore ed il terzo
dai primi due o, in difetto, dal presidente del Registro Italiano Navale.
5. L’Assicuratore della nave o del carico è tenuto (per disposizione
di legge — art. 537 Cod. Nav. — e di Polizza — art. 8 ITCH; art. 2 Institute
Cargo Clauses ICC) a tenere indenne l’Assicurato per il contributo da
questi dovuto in Avaria Comune.
La determinazione del contributo di Avaria Comune da parte degli
interessati alla spedizione (cioé la c.d. liquidazione di Avaria Comune)
può, secondo la disposizione del Codice avvenire con il ricorso ad un
procedimento arbitrale.
L’art. 619 Cod. Nav. dispone infatti:
“Gli interessati possono, mediante stipulazione di chirografo di avaria,
far decidere da arbitri le cause relative alla formazione del regolamento
contributorio.
(32) Applicando questo principio si calcolava il beneficio (non indennizzabile) derivante
dalla sostituzione di una parte o macchinario deprezzato per l’uso (e colpito da avaria) con uno
nuovo in sostituzione.
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Al chirografo o al regolamento si applicano in tal caso le norme del
codice di procedura civile riguardanti l’arbitrato, se gli interessati intendono
che al regolamento venga dal Tribunale competente conferita efficacia di
sentenza, e di ciò fanno espressa dichiarazione nel chirografo” (33).
L’interesse dell’Assicuratore come detto tenuto a rilevare indenne
l’Assicurato del contributo di avaria comune posto a carico dello stesso
dal Regolamento trova tutela nell’art. 537 Cod. Nav. il quale prevede tale
obbligo “... purché dell’inizio del procedimento di liquidazione sia stato
dato avviso all’assicuratore, prima dell’adunanza di discussione di cui
all’articolo 614 [procedimento pretorile n.d.r.] o della stipula del chirografo di avaria [art. 619 n.d.r.], in modo che l’assicuratore medesimo possa
intervenire nel procedimento stesso”.
È noto peraltro come il ricorso al procedimento pretorile o a quello
arbitrale, anche per l’influenza preminente della pratica internazionale, è
sempre stato a dir poco sporadico e può ritenersi desueto essendo la
procedura di liquidazione affidata a Liquidatori che operano senza il
ricorso a procedure rituali.
L’incarico conferito al Liquidatore o a un Collegio di Liquidatori non
può — del resto — ritenersi assimilabile ad un Arbitrato perché i diritti
delle parti tenute alla contribuzione (nave, carico, bunker) sono fatti
espressamente salvi dall’Average Bond (34).
Le polizze di sicurtà in uso in passato (35) si limitano ad affermare che
“La Società riconosce i regolamenti di avaria comune fatti a norma della
legge italiana o in conformità alle Regole di York ed Anversa .... nei
regolamenti fatti in via amichevole la designazione del Liquidatore in
rappresentanza della nave spetta alla Società.”.
Va ancora rammentato che nella pratica si ricorre al Liquidatore
anche nel rapporto diretto fra Assicurato ed Assicuratore per la determinazione dell’indennizzo dovuto per avaria particolare.
Esso è in teoria scelto dalle parti, ma spesso in realtà designato dal
(33) Come è noto questa disposizione si colloca nell’ambito delle norme (art. 610 a 619
Cod. Nav. e 477-478 Regolamento) con le quali il legislatore del 1942 ha inteso modellare un
procedimento rituale di competenza del giudice ordinario (pretore) per la liquidazione dell’avaria comune. In alternativa al medesimo è appunto previsto dall’art. 619, che le parti possano,
con stipulazione del chirografo di avaria, affidare al Liquidatore (che nel procedimento pretorile
funge da consulente) un incarico arbitrale rituale o libero.
(34) RIGHETTI, Trattato di Diritto Marittimo, Milano, 1994, III, 310. Ne consegue che le
relative controversie cioè, in pratica, la contestazione dell’obbligo contributivo sarà deferita al
giudice previsto nel contratto di trasporto (Polizza o Charter).
Se peraltro questa contiene una clausola arbitrale le controversie che sorgano fra Armatore e proprietario del carico circa gli obblighi contributivi derivanti dal regolamento sono
deferite ad Arbitri perché si ritiene che tali dispute non debbano essere disgiunte da quelle che
riguardano il contratto di trasporto Swiss Bank Corp. v. Novorossiysk Shipping [1995] 1 Lloyd’s
Rep., 202 e v. LOWNDES & RUDOLPH, General Average, XII Ed., 62.
(35) Mutuamar 1942, Polizza di Assicurazione Marittima di navi a scafo metallico, Ed.
1972 (e precedenti).
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solo Assicuratore e anche in tal caso la natura dell’incarico non consente
di ritenere che al medesimo sia conferito un incarico di natura arbitrale e
per il vero neppure di esperto incaricato di svolgere una perizia contrattuale, sicché si ritiene, e ciò avviene in pratica, che la liquidazione possa
essere impugnata o oggetto di discussioni fra le parti (36).
6. Il ricorso alla procedura arbitrale nell’Assicurazione Marine è
invece la regola nella Copertura Protection and Indemnity (o P&I) e
Defence (F&D) prestata dalle assicurazioni mutue note come Clubs.
Nati storicamente dopo l’Assicurazione tradizionale dei rogiti genovesi del 1300 o delle Polizze contratte nel caffè di Mr. Lloyd nella Londra
del 1700, i Clubs hanno oggi assunto una importanza preminente nel
campo marine, pur essendo quasi esclusivamente assicuratori di Responsabilità Civile.
I Clubs operano in base a Condizioni Generali Standard note come
“Rules” che sono molto simili per i Clubs facenti parte dello International
Group (“IG”) of P&I Club (che copre il 94% della flotta mondiale).
Le Rules contengono una clausola Arbitrale per la risoluzione delle
controversie che possono insorgere fra Member (Assicurato) e Club.
Vi sono due tipi di clausole, una assai più articolata, prevede il previo
deferimento della disputa (afferente la copertura e/o l’entità dell’indennizzo) ai Directors, cioè ad un Board di rappresentanti dei Members
(trattandosi di mutua). Qualora il Member interessato intenda contestarne le determinazioni, il medesimo può deferire la disputa ad Arbitrato
a Londra, a meno che i Managers (cioè gli Amministratori del Club, una
organizzazione indipendente che gestisce per conto dei Members la Mutua) scelgano (ed impongano) direttamente di adire la High Court of
Justice.
I Managers, del resto, possono, indipendentemente dalla assegnazione della disputa ai Directors, scegliere direttamente a loro discrezione
il procedimento ordinario o quello arbitrale.
Inoltre il Club è legittimato per far valere i propri diritti verso il
Member (ad esempio per mancato pagamento dei premi o “Calls”) ad
adire i Tribunali in qualunque giurisdizione anche per ottenere garanzia
per i propri crediti.
Altri Club, ad esempio quelli scandinavi, pur facenti parte dell’I.G.,
hanno una clausola compromissoria assai semplice così ad esempio il
Gard: “Unless otherwise agreed, disputes between the Association and a
Member or a former Member or any other person arising out of the contract
of insurance or these Rules shall be resolved by Arbitration. Each party
shall nominate one arbitrator and those so nominated shall appoint an
(36)
Sul punto FERRARINI, Le Assicurazioni Marittime, III Ed., Milano, 1990, 396.
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Umpire. If the arbitrators cannot agree on an Umpire or a party fails to
nominate his arbitrator, the nomination shall be made by the Chief Justice
of the Oslo City Court. Reasons shall be given for the award.
Arbitration proceedings shall take place in Oslo” (37).
7.-7.1. Altra eccezione alla regola è rappresentata dai contratti di
riassicurazione.
Nell’ambito di questi rapporti è infatti frequente il ricorso all’arbitrato come mezzo di risoluzione delle controversie (38).
L’uso delle clausole compromissorie in ambito riassicurativo ha un
riflesso anche nell’assicurazione marine poiché anche gli Assicuratori
marine piazzano il rischio con Quota Share, Excess of Loss, Stop Loss ed
altri tipi di “Treaties” e debbono poi confrontarsi con tali pattuizioni nel
rapporto con i loro riassicuratori.
La preferenza dell’Arbitrato in campo riassicurativo trova ragione in
varii fattori, quali confidenzialità, speditezza, flessibilità, ma il principale è
rappresentato dalla specialità e tecnicità della materia che richiede esperienza professionale e competenze particolari nei componenti del Collegio
arbitrale, come si dirà fra breve.
Nel mercato riassicurativo si incontrano clausole compromissorie ad
hoc e clausole per arbitrato amministrato da istituzioni quali le già citate
London Court of International Arbitration e la London Maritime Arbitration Association (LMAA) e ARIAS UK (39) la quale ultima in particolare ha proprie Rules per regolare il procedimento arbitrale in materia Assicurativa e Riassicurativa indipendentemente dalla sede dell’Arbitrato.
ARIAS ha anche una sua propria clausola compromissoria (40) che
(37) V. su queste clausole HAZELWOOD & SEMARK, P&I Law and Practice, 4th Ed., 343 ss.
(38) A. BOGLIONE, La Riassicurazione, Milano, 2013, 812 ss.; per un esame di clausole in
contratti v. anche La riassicurazione nel mercato europeo a cura di V. Afferni, Padova, 1995.
(39) ARIAS sta per “AIDA (Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni
n.d.r.) Reinsurance and Insurance Arbitration Society”.
(40) All disputes and differences arising under or in connection with this contract shall be
referred to arbitration under ARIAS Arbitration Rules.
The Arbitration Tribunal shall consist of three arbitrators, one to be appointed by the
Claimant, one to be appointed by the Respondent and the third to be appointed by the two
appointed arbitrators.
The third member of the Tribunal shall be appointed as soon as practicable (and no later
than 28 days) after the appointment of the two party-appointed arbitrators. The Tribunal shall be
constituted upon the appointment of the third arbitrator.
The Arbitrators shall be persons (including those who have retired) with not less than ten
years’ experience of insurance or reinsurance within the industry or as lawyers or other professional advisers serving the industry.
Where a party fails to appoint an arbitrator within 14 days of being called upon to do so or
where the two party appointed arbitrators fail to appoint a third within 28 days of their
appointment, then upon application ARIAS (UK) will appoint an arbitrator to fill the vacancy. At
any time prior to the appointment by ARIAS (UK) the party or arbitrators in default may make
such appointment.
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prevede la nomina di un Collegio di tre arbitri scelti fra “persons (including those who have retired) with no less than ten years experience of
insurance or reinsurance within the industry or as lawyers or other professional advisers serving the industry”.
Al Tribunale Arbitrale vengono conferiti ampli poteri in materia
procedurale, ma il potere di decidere in equità deve essere espressamente
conferito dalle parti.
Ciononostante una caratteristica frequente delle clausole compromissorie contenute in contratti di riassicurazione è rappresentata proprio
dalla regola che dispensa gli arbitri dal conformarsi alle strict rules of law.
Questi patti sono talora designati con l’uso del termine “honourable
engagement” o anche “equity clauses”.
La validità di tali pattuizioni in diritto inglese non era chiaramente
definita posto che l’Arbitration Act 1996 sect. 46 dopo aver disposto che
gli Arbitri devono decidere “in accordance with the law chosen by the
parties” consente di risolvere la disputa “if the parties so agree, in accordance with such other considerations as are agreed by them or determined
by the Tribunal”.
Il rapporto del Departmental Advisory Committee on Arbitration Law
(DAC) interpreta tale passo nel senso che il medesimo consenta il ricorso
a forme arbitrali “ex aequo et bono”, precisando che in tal modo le parti
escludono il diritto all’appello non sussistendo “question of law” (41).
La materia rimane comunque aperta a discussione: il ricorso a formule simili o anche all’applicazione di “usages and customs” del mercato,
in contrapposizione a regole di diritto pone il problema di individuare
criteri obiettivi su cui la decisione può fondarsi per evitare anche che la
decisione incorra nella censura di violazione della public policy (42);
The Tribunal may in its sole discretion make such orders and directions as it considers to
be necessary for the final determination of the matters in dispute. The Tribunal shall have the
widest discretion permitted under the law governing the arbitral procedure when making such
orders or directions.
The seat of arbitration shall be London, United Kingdom.
Appointer; Chairman of Arias.
The proper law of this contract shall be the law of England and Wales.
(41) Si legge nel rapporto: “Sub-section (1)(b) recognises that the parties may agree that
their dispute is not to be decided in accordance with a recognised system of law but under what
in this country are often called ’equity clauses’, or arbitration ’ex aequo et bono’ or ’amiable
composition’ i.e. general considerations of justice and fairness, etc. It will be noted that we have
avoided using this description in the Bill ... There appears to be no good reason to prevent parties
from agreeing to equity clauses. However, it is to be noted that in agreeing that a dispute shall be
resolved in this way, the parties are in effect excluding any right to appeal to the Court (there being
no ‘question of law’ to appeal)”.
(42) O’NEIL & WOLONIECKI, The Law of Reinsurance, London, 2010, 899.
La non validità di clausole simili era stata sancita in Orion Compania Espanola de Seguros
v. Belfort Maatschappij Voor Algemene Verzekgringeer [1962] Lloyd’s Rep., 257 ma esclusa
(cioè la clausola ritenuta enforceable) in Eagle Star v. Yuval [1978] Lloyd’s Rep., 357 ambedue
i casi precedevano l’Arbitration Act 1996.
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l’utilizzazione di clausole che attribuiscono tale ampiezza discrezionale di
decisione va valutata dalle parti attentamente per evitare che “fairness” e
“good coscience” degradano a “personal preferences or prejudices” (43).
Ciò non toglie che clausole di questo tipo siano ancora — sebbene con
meno frequenza — presenti sul mercato (44).
7.2. Anche in ambito riassicurativo si pone il problema, che ha
interessato la giurisprudenza inglese, del richiamo nel contratto ai termini
della copertura assicurativa sottostante e se ciò abbia l’effetto di ritenere
sussunta nel contratto di riassicurazione e quindi ad esso applicabile la
clausola regolante la giurisdizione o la clausola compromissoria del contratto primario.
Tema invero in qualche modo assimilabile a quello ben noto in altri
settori dello shipping, in particolare, nelle questioni di incorporation in
una polizza di carico della clausola arbitrale del Contratto di Noleggio,
richiamato in polizza.
L’orientamento espresso dalla giurisprudenza inglese è in generale
apparso negativo.
L’applicazione della clausola arbitrale del contratto di assicurazione è
stato negato nel primo e ben noto caso “Pine Top” (45) e successivamente,
con riferimento all’Arbitration Act 1996 in un caso in cui il contratto di
riassicurazione conteneva la formula “follow the same terms ... as the
policy of the primary insurances” (46) ed ancora in presenza della formula
“wording as original” (47).
Anche in presenza della clausola “All terms clauses and conditions as
original and to follow the original in all respects including settlement” la
giurisprudenza inglese ha mostrato la propria tendenza alla gelosa difesa
della giurisdizione nazionale (48).
Naturalmente un simile approccio presterebbe il fianco ad una valutazione critica se applicato a casi di clausola di giurisdizione ricadenti sotto
l’egida del Reg. 44/2001 alla luce del suo articolo 23 (49).
(43) Così ancora O’NEIL & WOLONIECKI in The Law of Reinsurance, cit., 900 e v.
BOGLIONE, cit., 817.
(44) È significativo ricordare in punto che da noi la riforma del 2006 ha abrogato l’art.
834 c.p.c., introdotto nel 1994 con cui si disponeva che gli arbitri di diritto o di equità debbano
tener conto “delle indicazioni del contratto e degli usi del commercio”.
(45) Pine Top Insurance Co. Ltd. v. Unione Italiana Anglo Saxson Reinsurance Co. Ltd.
[1987] 1 Lloyd’s Rep., 476.
(46) Trygg Hansa Insurance Co. Ltd. v. Equitas Ltd. [1998] 2 Lloyd’s Rep., 439.
(47) AIG Group (UK) Ltd. v. The Etheniki [2000] All E.R. (Comm.) 65 (CA) e Aig
Insurance Co. Ltd. v. Sasa Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. inedita; riportata da D.
RHIDIAN THOMAS, The modern law of marine insurance, London, 2003, 288.
(48) AIG Europe SA v. QBE International Insurance Ltd. [2001] 2 Lloyd’s Rep., 268.
(49) Come riconosce D.R. THOMAS, The modern law of marine insurance, cit., ivi, e
sull’argomento v. anche Evialis S.A. v. Siat [2004] Lloyd’s Rep. I.R., 187 nonché in Dir. Mar.,
2005, 1070 con nota di I. Pittaluga.
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B.-1. Di maggiore interesse e con più ampia diffusione in dottrina e
giurisprudenza si presenta il tema dell’estensione dell’efficacia della clausola compromissoria sotto il profilo soggettivo con riguardo all’Assicuratore, ovvero se, in concreto, l’Assicuratore, surrogatosi al proprio Assicurato, possa valersi/sia vincolato dal relativo patto contenuto nel
contratto fra il proprio Assicurato ed il terzo e sulla base del quale
contratto si fonda l’azione surrogatoria.
2. La natura giuridica della surroga assicurativa è individuata dalla
giurisprudenza pressoché unanime (50) confortata dalla miglior dottrina (51) come una peculiare forma di successione a titolo particolare nel
credito.
Da questa impostazione derivano alcune conseguenze ed in particolare che il presupposto per l’esercizio della surroga è il pagamento
dell’indennizzo assicurativo di cui, tramite la quietanza l’Assicuratore
deve fornire prova (52) e la comunicazione che l’Assicuratore deve fare al
terzo di aver corrisposto l’indennizzo e di volersi surrogare nei diritti
dell’assicurato (53).
3. Su questi presupposti l’Assicurato subentra in quei limiti nei
diritti dell’Assicurato verso il responsabile del danno, cioè nella identica
posizione sostanziale e processuale del danneggiato verso il terzo (54).
Il subentro, a sua volta comporta che da un lato l’Assicuratore può
valersi di tutti i diritti che spettano al surrogante, ma dall’altro che il terzo
può opporgli tutte le eccezioni che spettavano verso l’Assicurato (55).
Ma, proprio perché l’obbligo dell’Assicuratore nascente dal contratto
assicurativo è ben distinto da quello del terzo, quest’ultimo non può
opporre le eccezioni proprie del primo contratto quali l’annullabilità, la
rescissione, la risoluzione e tantomeno eccezioni nel merito della copertura, salvo che le eccezioni attengano al presupposto medesimo della
(50) Ex plurimis: Cass. 7.8.1996 n. 7247 Soc. Schenker c. Soc. Italia assicur., in Giust. Civ.,
Mass., 1996, 1125 e da ultimo Cass. 2007/11457 Soc. De Lilla c. Soc. Marseglia vinicola e altro,
in Foro It., 2008, 4, 1216.
(51) DE GREGORIO FANELLI, LA TORRE, Il contratto di Assicurazione, Milano, 1987, 142.
Per un esame dell’istituto in base al diritto italiano BOGLIONE, La surroga assicurativa in diritto
italiano e inglese, in Ass.ni, 2002, II, 487 ss. e in Ass.ni, 2003, I, 42 ss.
(52) LA TORRE, Le Assicurazioni, Milano, 2007, cit. sub art. 1916 cod. civ.
(53) Cass. 25.3.2002 n. 4211 Soc. Messina c. Soc. Siat assicuraz. in Dir. Mar., 2004, 474. Di
tal che prima di tale momento il terzo non può opporre all’Assicurato che agisce per il
risarcimento la circostanza che egli assicurato abbia riscosso l’indennizzo assicurativo; Cass.
6.12.2004 n. 22883 Simeoni e altro c. Pontiggia e altro, in Giust. Civ. Mass., 2004, 12.
(54) Cass. 2.2.2001 n. 1508 Autotrasporti Garbarino c. Soc. Levante assicuraz., Giust. Civ.
Mass., 2001, 197; Cass. 28.5.1994 Soc. La Fondiaria assicuraz. c. Soc. Manitalia agenzia maritt.
e altra, in Dir. Mar., 1996, 158 n. 5246 ed altre.
(55) Ad ex tipicamente la prescrizione Cass. 2002/17157 Soc. Coop. Vittorio Veneto c.
Lansforsakringsbolagens AB industrial & marine Stoccolma, in Giust. Civ. Mass., 2002, 2108.
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surroga e quindi può eccepire la nullità del contratto di assicurazione (56);
mentre il pagamento c.d. ex gratia potrebbe essere oggetto di obbiezioni in
assenza di un atto di cessione ad hoc da parte del percipiente l’indennizzo (57).
4. L’esercizio della surroga, determinando la successione a titolo
particolare nei diritti dell’Assicurato nei confronti del terzo, opera anche
sul piano delle conseguenze di carattere processuale, cioè il diritto viene
ceduto “con tutte le sue caratteristiche e modalità anche di natura processuale” (58); ne discende che il difetto di giurisdizione del giudice italiano in
ordine ad una domanda risarcitoria proposta contro uno straniero, va
pronunciato anche nei confronti dell’Assicuratore agente in surroga (59) e
che la clausola del contratto di trasporto fra destinatario (assicurato) e
vettore che attribuisca giurisdizione a giudice straniero può essere fatta
valere nei confronti dell’assicuratore surrogatario (60), ed altrettanto dicasi per la competenza individuabile sulla base della Convenzione cui è
soggetto il contratto di trasporto sottostante (61).
Non può dunque revocarsi in dubbio che l’Assicuratore è, anche sul
piano del rapporto processuale litigioso, nella identica posizione del
proprio assicurato, munito degli stessi diritti, esposto alle medesime
eccezioni.
Ma può ciò portare anche alla conseguenza che l’Assicuratore è
vincolato dalla clausola compromissoria che sia inserita nel contratto tra
assicurato e terzo dal quale deriva l’obbligo risarcitorio di quest’ultimo?
5. Il fenomeno successorio nel rapporto controverso e l’estensione
del medesimo al patto compromissorio in generale è oggetto da tempo di
dibattiti e di pareri non sempre concordi.
Da un lato si sostiene che nella successione a titolo particolare nel
contratto la convenzione arbitrale si estenda anche al successore (62).
(56) Ad esempio in virtù dell’art. 1904 CC per difetto di interesse o per pagamento
dell’indennizzo a soggetto diverso dal titolare del diritto (Cass. 3.7.1991 n. 7300 in materia
marittima Soc. Siat c. Soc. Adriatica di Navigazione, in Giust. Civ., 1992, I, 3151; Cass. 27.2.2004
n. 4014 Soc. Assoped c. Soc. Ums Generali Marine, in Giust. Civ. Mass., 2004, 2; Cass. 1999/13957
The Koa Fire and Marine Insurance Co. Ltd. c. Soc. Sama, in Foro It., 2001, I, 288).
(57) BOGLIONE, La surroga assicurativa, cit., in Ass.ni, 2002, 491.
(58) Cass. S.U. 2.3.1981 n. 1202 Min. Agricoltura c. Soc. Franchi, in Giust. Civ. Mass.,
1981, fasc. 3.
(59) Cass. 1981/1202 cit.
(60) Cass. S.U. 28.5.1994 n. 5246 Soc. La Fondiaria assicuraz. c. Soc. Maritalia Agenzia
Mar., in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1995, 397.
(61) Nella specie la Convenzione di Ginevra del 1956 su trasporto terrestre (CMR) Cass.
5.11.1981 n. 5814 in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1982, 322.
(62) Cass. 21.6.1996 n. 5761 Eurocompany c. Soc. Favarner e Co., in questa Rivista, 1996,
699; Cass. 16.2.1993 n. 1930 Soc. coop. Gioia c. Benvenuto, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1993,
I, 865 ed altre e vari autori.
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Altri escludono che il patto compromissorio passi automaticamente
per effetto della successione nella posizione soggettiva, dovendo ciò
dipendere dall’accettazione del contraente ceduto (63).
6. Per impostare correttamente il tema va fatta una precisazione
importante e cioé la surrogazione assicurativa va collocata nell’ambito
della cessione del credito o diritto (art. 1260 e segg. c.c.).
In tale contesto si è affermato nelle più recenti pronunzie che: “...
l’efficacia della clausola compromissoria, stipulata tra debitore ceduto e
creditore cedente, si estende automaticamente nei confronti del cessionario
del credito e può quindi essere legittimamente invocata dal debitore ceduto
verso quest’ultimo”. E questa impostazione è condivisa dalla più accreditata dottrina (64).
Questo orientamento esprimeva un principio di ordine generale: più
recentemente la giurisprudenza ha elaborato una distinzione ritenendo di
dover distinguere la posizione del debitore ceduto da quella del cessionario quanto alla “automatica” estensione degli effetti della clausola arbitrale. Varie sentenze hanno così affermato che, in ipotesi di cessione del
credito, l’efficacia della clausola compromissoria, stipulata tra debitore
ceduto e creditore cedente, può essere invocata soltanto dal debitore
ceduto nei confronti del cessionario del credito, ma non anche da quest’ultimo nei confronti del primo, e ciò perché il cessionario sarebbe
estraneo alla clausola stessa.
In quest’ottica, nella sentenza a Sezioni Unite 17 dicembre 1998 n.
12616 la Suprema Corte adottando questa impostazione ha affermato che
“il cessionario di credito nascente dal contratto nel quale sia inserita una
clausola compromissoria non subentra nella titolarità di tale negozio,
autonomo e distinto rispetto al contratto al quale aderisce, e non può
pertanto avvalersi a suo favore della clausola nei confronti del debitore
(63) Cass. S.U. 17.12.1998 n. 12616 Sofai c. Soc. Mondo e altro, Riv. Dir. Internaz. priv.
e proc. 2000, 456 - Cass. 19.12.2003 n. 13893 Soc. Impregilo c. Min. Esteri, in Foro It., 2004, I, 638;
M. RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, Padova, 2006, 441
(64) PUNZI (Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2000, 557) richiama a sua volta
e fa proprio il pensiero di V. ADRIOLI, secondo il quale, nell’ipotesi di surrogazione legale, “il
vincolo determinato dalla clausola compromissoria si trasferisce automaticamente senza necessità
di consenso del beneficiario”. Ancora, ZUCCONI GALLI FONSECA (La convenzione arbitrale rituale
rispetto ai terzi, Milano, 2004, 443) parla, in caso di cessione del credito, di “regola del trapasso
automatico del vincolo compromissorio”. Nello stesso senso, Verde (Lineamenti di diritto
dell’arbitrato, Torino, 2004, 48) sostiene correttamente che “nel cedere il credito, il cedente lo ha
trasferito così come è concretamente configurato e quindi anche con la sua tutelabilità dinnanzi
agli arbitri. In questo modo, il cessionario accetta la clausola e deve rispettarla”. Infine, Carleo
(La successione nel rapporto compromissorio, in L’arbitrato: profili sostanziali, a cura di G.
Alpa, Torino, 1999, 697) precisa ulteriormente con riferimento segnatamente alla posizione del
debitore ceduto che “i diritti spettanti alla parte che non ha partecipato al negozio di trasferimento, compreso quello di ricorrere agli arbitri per le controversie relative al debito o al credito
oggetto del rapporto in forza della clausola compromissoria, devono continuare a sussistere senza
subire mutazioni, nonostante l’efficacia del negozio di cessione”.
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ceduto”. Nella medesima statuizione, essa ha, peraltro, ulteriormente
precisato che, all’inverso, il sopra affermato principio non deve applicarsi
nei riguardi del debitore ceduto, il quale conserva sempre “la facoltà di
opporre la clausola compromissoria al cessionario”. La Corte spiega
questa diversa impostazione nei confronti del cessionario rispetto al
debitore ceduto in quanto “se così non fosse, il debitore ceduto, che in virtù
della clausola ha il diritto di far decidere da arbitri la controversia sul
credito, si vedrebbe privato di tale diritto in forza di un accordo intervenuto
fra cedente e cessionario ed al quale egli è rimasto estraneo”. Essa conclude,
infine, stabilendo chiaramente, con riguardo specificamente alla posizione
del debitore ceduto, che “posta la premessa che una modificazione soggettiva del rapporto che si verifica anche contro la volontà del debitore non
può arrecare pregiudizio alla posizione di quest’ultimo... nella cessione del
credito il debitore ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che
avrebbe potuto opporre all’originario creditore... E tra le menzionate
eccezioni va ritenuta compresa anche quella, di natura processuale, derivante dal negozio compromissorio stipulato con l’originario creditore ed
inserito nel contratto dal quale nasce il credito ceduto” (65).
E recentissima conferma trova questo orientamento nella Cassazione
28.2.2011 n. 29261 che ha affermato: “In tema di cessione del credito, il
cessionario di un credito nascente da un contratto (nella specie, cessione di
credito connessa con precedente contratto di subappalto), nel quale sia
inserita una clausola compromissoria, non subentra nella titolarità del
distinto ed autonomo negozio compromissorio e non può, pertanto, invocare detta clausola nei confronti del debitore ceduto; viceversa, quest’ultimo
può avvalersi della clausola compromissoria nei confronti del cessionario,
rientrando essa tra le eccezioni opponibili all’originario creditore ed atteso
che, altrimenti, si vedrebbe privato del diritto di far decidere ad arbitri le
controversie sul credito in forza di un accordo tra cedente e cessionario al
quale egli è rimasto estraneo” (66).
7. Una diversa impostazione deve darsi per quanto attiene al diritto
inglese ove la surrogazione (67) comporta che i diritti spettanti all’assicurato debbano essere esercitati a beneficio dell’Assicuratore, ma tale
esercizio continua nel nome dell’Assicurato (68).
(65) Cass. S.U. 12616//1998 cit. a n. 63.
(66) Cass. 28.2.2011 n. 29261 Soc. M.G. c. Impr. Gargano e altro, in Giust. Civ. Mass.,
2011, 12, 1874. La soluzione invero articolata, come sopra espressa dalle Sezioni Unite nel 1998,
è stata poi confermata a più riprese in tutte le successive pronunce dei nostri giudici di
legittimità: cfr. Cass. 19.9.2003 n. 13893 Soc. Impregilo c. Min. Esteri in Foro It., 2004, I, 638 cit.;
Cass. 21.11.2006 n. 24681 Soc. Ester c. Soc. Esprostudio in Guida Diritto, 2007, 6, 42; Cass.
21.3.2007 n. 6809 C. c. Condominio Via D’Avonzo, Bari in Giust. Civ., 2008, 1, 2566.
(67) La surrogazione trova il suo fondamento nell’“equity” o in “unimplied term of
contract” (Malcom & Clarke, The Law of Insurance Contracts, cit., 620 ss.) ma ha un
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L’Assicuratore può agire in proprio nome solo a seguito di un atto di
cessione del “right of action” (69).
Il problema quindi consiste nello stabilire se in diritto inglese l’“assignment” possa anche produrre l’effetto di rendere opponibili e rispettivamente invocabile ad opera del cessionario la clausola compromissoria
del contratto dal quale il “right of action” origina.
La risposta al quesito è data positivamente dalla case law inglese la
quale ha affermato che l’assignee è “bound by the arbitration clause and
also the right to enforce it” (70).
La risposta appare meno netta nel caso di equitable assignment ove si
ritiene che l’azione arbitrale debba essere promossa nel nome di cedente
e cessionario, mentre si ritiene quest’ultimo certamente ed unicamente
legittimato in caso di statutory assignment (71).
Si è però anche precisato che la soluzione appare giustificata nel caso
di cessione di contratto, ma quanto meno dubbia nel caso di mera cessione
di un debito (72).
L’argomento è stato oggetto di discussione nel caso West Tankers (73).
In questa vicenda un contratto di noleggio fra un noleggiatore italiano
ed un armatore straniero non comunitario conteneva una clausola per
fondamento testuale nell’assicurazione marittima in virtù della sect. 79 (1) e (2) del Marine
Insurance Act 1906 che dispone, da un lato, che nel caso del pagamento di una perdita totale
l’Assicuratore “take(s) over the interest of the assured in whatever may remain ...” e nell’indennizzare un’avaria particolare “is thereupon subrogated to all rights and remedies of the assured
...” F.D. Rose, Marine Insurance, cit., 519.
(68) F.D. ROSE, cit., 525.
(69) E.R. HARDY IVAMY, General Principles of Insurance Law, cit., 475 ed ivi riff.
giurisprudenziali.
(70) Socony Mobil Oil Inc. v. West of England Shipowners Mutual Insurance Association
(London) Ltd. The Padre Island (No. 2) [1990] 2 Lloyd’s Rep., 191. Il caso riguardava un
soggetto che vantava un credito verso un Member di un P&I Club nelle cui Rules — come si è
visto sopra — si prevedeva che le dispute tra Member e Association fossero deferite a Collegio
arbitrale.
Nel caso di liquidazione o procedura fallimentare del Member il Third Parties (Rights
Against Insurers) Act 1930 prevede che i diritti del Member verso il Club “will be trasferred to
and vested in the third party to whom the liability was so incurred”. L’Act è stato recentemente
sostituito dal Third Parties (Rights Against Insurers) 2010.
La corte ha ritenuto che ciò comporta anche l’opponibilità al terzo della clausola arbitrale
contenuta nelle Rules.
V. anche Montedipe S.p.A. v. JTP-To Jugotanker, The Jordan Nikolav [1990] 2 Lloyd’s
Rep., 11.
(71) C. AMBROSE & K. MAXWELL, London Maritime Arbitration, 2nd Ed., London, 2001 n.
206 e il caso Sun See Joo Shipping v. Shirlstar Container Transport [1994] LMLN, 374.
(72) A WALTON & M. VITORIA, Russel on the law of arbitration, London, 1982, 169.
(73) West Tanker v. RAS-Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A. divenuto celebre perché
in esso si è discusso della validità di una antisuit injunction in relazione alla presenza di una
clausola arbitrale anziché della giurisdizione del Giudice ordinario. Sul punto si è espressa la
CGE con la nota sentenza 10.2.2009, in Dir. Mar., 2011, 1238 che ha dichiarato la contrarietà
dell’antisuit injunction alla normativa europea anche quando la stessa è rivolta a inibire il
giudizio per la presenza di clausola per arbitrato a Londra.
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arbitrato a Londra. A seguito di un sinistro nel corso del contratto di
noleggio, che aveva causato danni a proprietà di noleggiatori, gli stessi
hanno iniziato l’Arbitrato a Londra per ottenere una decisione di condanna dell’Armatore; nel corso di tale procedura i noleggiatori sono stati
indennizzati dai propri assicuratori che hanno citato l’Armatore avanti il
Tribunale italiano competente per territorio (luogo dell’incidente).
La Commercial Court con sentenza del 21.3.2005 (74) ha dichiarato
che gli Assicuratori erano vincolati dalla Convenzione arbitrale e che il
Tribunale Arbitrale doveva perciò deciderla. Ottenuto un Lodo favorevole, gli Armatori ne hanno ottenuto l’enforcement da parte della Commercial Court il 15.11.2010.
Contro l’ordine della Corte hanno proposto impugnazione gli Assicuratori e la stessa Commercial con sentenza 6.4.2011 (75) ha deciso in
favore degli Armatori.
Parallelamente era proseguita la battaglia sulla anti-suit injunction
sulla quale, con decisione del 21.2.2007 (76), la House of Lord aveva
rimesso alla CGE, che si è espressa come già riferito in nota.
8. In diritto francese si ritiene pacificamente che la clausola compromissoria sia opponibile all’Assicuratore surrogatario, in quanto accessorio del credito che è suscettibile di essere trasmesso insieme ad esso (77).
Il principio è stato sancito da giurisprudenza risalente (78) e recentemente ribadito a proposito di una clausola di conciliazione (79); resta salvo
naturalmente il problema se la clausola sia opponibile al surrogante, come
nel nostro campo avviene frequentemente per le liti fra portatore della
Polizza di carico e vettore che invoca una clausola arbitrale nel Charter
Party (80).
9. La surrogazione in diritto tedesco ha l’effetto di operare una
cessione dei diritti dell’Assicurato a favore dell’Assicuratore.
Essa è anche prevista pattiziamente ad esempio dall’art. 45 delle ADS
che afferma “In the event of the Assured being entitled to claim damages
from a third party such right shall pass to underwriters insofar as they have
indemnified the Assured for this loss”.
L’art. 404 del Codice Civile a sua volta dispone che il debitore
(74) [2005] 2 Lloyd’s Rep., 257.
(75) In Dir. Mar., 2011, 1376.
(76) In Dir. Mar., 2007, 1253.
(77) P. DELEBECQUE, L’arbitrage Maritime contemporané, in Dir. Mar., 2004, 440.
(78) Cour de Cassation 13.5.1996 - 20.11.1974.
(79) Cour de Cassation 28.4.2011. Si veda in generale J. BIGOT e altri, Traité de Droit des
Assurances, Paris, 2002, Tome 3, 1161.
(80) Per un esame recente di questo tema in Francia: F. BERLINGIERI, Trasporto Marittimo
e Arbitrato, in Dir. Mar., 2004, 422 e ivi riff.
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(ceduto) può opporre tutte le eccezioni nei confronti del successore che
aveva verso il cedente e ciò è ritenuto includere anche il diritto di valersi
della clausola compromissoria (81).
10. Infine va menzionato che anche la normativa norvegese sull’Assicurazione marittima, il già citato Nordic Marine Insurance Plan (Ed.
2013), prevede la surrogazione in favore dell’Assicuratore dei diritti che
l’Assicurato vanta verso i terzi a seguito del pagamento dell’indennizzo
(para. 5.13 e 5.22).
(81) Il principio è stato sancito dalla Corte Federale in varie pronunzie nel 1998 (in NJW,
1998, 371), 2000 (in NJW, 2000, 2346) e 2013 (in Beck RS, 2013, 12813).
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Arbitrato e costruzione di navi
MAURIZIO DARDANI
1. Premessa geografica. — 2. Le crisi del 2008 e le controversie sui contratti di
costruzione di nave. — 3. Alcune considerazioni. — 4. Conclusione.
1. Come è noto, Londra è il centro mondiale dell’arbitrato marittimo e quindi anche dell’arbitrato per le vertenze che riguardano i
contratti di costruzione delle navi.
La supremazia di Londra è stata attaccata in passato e a più riprese da
varie piazze che hanno tentato di competere con Londra, creando nuovi
centri per lo svolgimento degli arbitrati internazionali marittimi.
Oggi questo fenomeno è favorito e accelerato dallo spostamento
dell’attività economica in Oriente e, per quanto riguarda in particolare i
contratti di costruzione di navi, dall’affermazione dei cantieri navali
giapponesi, coreani, cinesi e vietnamiti.
Possono citarsi alcuni esempi:
— l’Australia ha creato l’ACICA (Australian Center for International Commercial Arbitration) con sede a Sidney che si occupa anche di
controversie relative ai contratti di costruzione (http://www.acica.org.au/).
— Singapore ha costituito un centro per la soluzione delle controversie (l’International Center for Disputes Resolution) che ospita una
sezione dedicata all’arbitrato, il Singapore International Arbitration Center (http://www.siac.org.sg).
— Hong Kong ha un centro denominato Honk Kong International
Arbitration Center HKIAC (http://www.hkiac.org/).
— In Cina, la CMAC, China Maritime Arbitration Commission
(http://www.cmac-sh.org/) si è dedicata a tal punto al contratto di costruzione di nave da redigere un proprio formulario denominato Shanghai
Form, che costituisce la versione cinese del Newbuildcon redatto dalla
BIMCO.
Nel frattempo molti studi legali inglesi (solicitors) hanno aperto i loro
uffici in Estremo Oriente e anche molte Chambers di barristers (che come
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è noto annoverano nelle loro fila non solo avvocati ma anche arbitri)
hanno aperto a Singapore (cito Stone Chambers, Essex Chambers e altre)
e in altre piazze dell’Estremo Oriente.
C’è da chiedersi se questo spostamento dei centri di definizione e
risoluzione delle controversie abbia determinato un significativo cambiamento per quanto riguarda la legge applicabile ai contratti di costruzione
e, quindi, la legge applicata da parte degli arbitri nel corso dei procedimenti arbitrali, dovunque questi si svolgano. Riteniamo che, almeno per il
momento, la risposta a tale domanda debba essere sostanzialmente negativa, in quanto la legge prevalentemente applicata era e rimane la legge
inglese.
Ciò deriva da una serie di ragioni:
(i) innanzi tutto, dal fatto che la maggior parte dei contratti di
costruzione, indipendentemente dal luogo in cui siano conclusi e dal luogo
dove abbia sede il cantiere che costruirà la nave, contengono ancora
prevalentemente la clausola di richiamo alla legge inglese;
(ii) inoltre, il fatto che anche i principali formulari di contratti di
costruzione di nave, di cui si dirà brevemente in seguito, prevedono ancora
l’applicazione della legge inglese (come scelta residuale) (1), o comunque
vengono comunemente integrati dalle parti inserendo il richiamo alla
legge inglese nell’apposita casella del formulario (2).
Ma soprattutto non va trascurata un’altra considerazione: e cioè che
il fenomeno cui si faceva cenno, di spostamento verso l’Asia dei centri di
risoluzione delle controversie, con creazione di istituzioni per l’amministrazione degli arbitrati e relativo spostamento di studi legali e Chambers
di barristers, avviene comunque in un contesto linguistico e culturale
anglo-sassone e sotto l’egida della legge inglese.
A questo proposito, anche se potrà sembrare un’osservazione banale,
è opportuno ricordare che la pubblicazione più consultata (e più venduta
in tutto il mondo) in tema di contratti di costruzione di nave è il libro di
Simon Curtis intitolato The Law of Shipbuilding Contracts (nella collana
Lloyd’s Shipping Law Library), attualmente alla quarta edizione, che
costituisce una sorta di manuale-commento dei singoli formulari. Ovviamente si tratta di un commentario che è basato esclusivamente sulla
case-law inglese (che è dettagliatamente citata e riassunta secondo il taglio
pragmatico e non teorico che è tipico di questi commentari di diritto
inglese) ed è redatto in modo tale da essere consultabile sia dagli operatori
giuridici che dagli operatori del commercio. È ovviamente consultabile
anche on-line.
La situazione europea (pur essendo meno rilevante dal punto di vista
(1) V. clausola 42 del Newbuildcon della BIMCO.
(2) La clausola del SAJ che prevede arbitrato a Tokyo è stata applicata soltanto nel
contesto di contratti tra cantieri giapponesi e armatori giapponesi.
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del volume di contratti di costruzione e, quindi, degli arbitrati) merita
comunque di essere presa in considerazione in quanto presenta una realtà
più articolata. Qui infatti il predominio della legge inglese deve confrontarsi con le tradizioni e con la cultura dei singoli Paesi europei.
Benché nessun Paese europeo sia mai riuscito a creare un centro di
risoluzione delle controversie in grado di competere con Londra, tuttavia
è un dato di fatto facilmente accertabile che la disciplina dei contratti di
costruzione nei quali almeno una delle parti sia un soggetto europeo è
spesso il frutto di un compromesso (non sempre facile) tra la disciplina
standardizzata dei formulari basata sulla legge inglese e il singolo ordinamento giuridico.
Sotto questo profilo, costituisce un interessante esperimento il formulario di shipbuilding contract redatto pochi anni fa (nel 2007) dalla
BIMCO e denominato Newbuildcon, che, pur essendo fortemente ancorato al diritto inglese (l’art. 41 prevede l’applicazione della legge inglese e
l’art. 42 recepisce, in mancanza di indicazione contraria dalle parti, l’arbitrato a Londra secondo le regole della London Maritime Arbitrators
Association (LMAA)) mira a costruire una regolamentazione autonoma,
al punto da escludere espressamente l’integrazione del formulario con la
legge attraverso il meccanismo dell’implied term” (3).
Ma anche i singoli contratti di costruzione stipulati nei singoli paesi
europei tra soggetti europei (e persino tra soggetti appartenenti allo stesso
Paese) tradiscono questa origine promiscua, tanto che, pur essendo assoggettati alla legge dei singoli Stati, spesso contengono pattuizioni che
possono essere comprese soltanto se inquadrate nell’ordinamento giuridico inglese nel quale tali pattuizioni si sono formate e hanno avuto
maggiori occasioni di passare al vaglio dell’interpretazione giudiziale o
arbitrale.
Menzioneremo, tra i molti, soltanto due esempi:
— Si pensi alla clausola dei formulari che contiene l’elencazione
degli eventi di forza maggiore che possono essere invocati dal cantiere per
giustificare il ritardo nella costruzione e quindi nella consegna della nave,
di ovvia matrice anglo-sassone, che non è facilmente inquadrabile in un
contesto giuridico di “civil law” (a meno di trasformare la natura di tale
elencazione da tassativa a esemplificativa).
— Si pensi alla disciplina della garanzia convenzionale per vizi, che
secondo la giurisprudenza inglese costituisce un “codice unico”, cioè un
tutt’uno con la pattuizione che prevede l’esonero del cantiere da ogni altra
responsabilità (4) una volta avvenuta la consegna del bene-nave, dove
evidentemente si pone il problema della validità e tenuta della clausola
che prevede tale esonero da responsabilità anche nei casi di colpa grave.
(3)
( 4)
V. clausola 37 del formulario BIMCO.
Citare sentenza nel “Rapallo”.
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È quindi evidente che, anche nei casi nei quali le parti scelgano una
legge diversa da quella inglese, e una sede dell’arbitrato diversa da
Londra, l’arbitro dovrà in qualche modo porsi il problema quanto meno
della prassi interpretativa di origine anglo-sassone (5).
Ma l’arbitro dovrà anche porsi il problema del significato da attribuire
a clausole e pattuizioni che ormai sono il frutto di un disciplina parzialmente uniforme, che è stata elaborata negli anni mediante la creazione dei
Formulari.
I formulari redatti dalle associazioni dei cantieri, come:
— SAJ della Shipbuilders’Association of Japan, in vigore sin dal
1974;
— AWES della Association of European Shipbuilders and Shiprepairers, rieleborato nel 1999;
— MARAD della Maritime Administration of the United States
Department of Commerce.
E quello della BIMCO di cui abbiamo già parlato, con la relativa
versione cinese:
— Newbuildcon
— Shanghai Form.
Questo sguardo sulla disciplina applicabile non sarebbe completo se
non si desse conto di un’ultima circostanza, e cioè che gran parte dei
cantieri, in tutto il mondo, hanno elaborato dei propri modelli di contratto, che sono il frutto di una complessa e inestricabile miscela di
elementi tratti dalla legge dello Stato di appartenenza del cantiere, della
legge inglese (o comunque della prassi interpretativa anglosassone), dei
Formulari (più o meno blindati e impermeabili all’integrazione da parte
della legge regolatrice) e, infine, e soprattutto dall’esperienza personale
del singolo cantiere derivante dai contratti e, soprattutto, dai contenziosi
vissuti in precedenza.
Si può quindi concludere questa premessa affermando che le controversie nascenti dai contratti di costruzione di nave costituiscono un vero
paradiso per quegli arbitri e quei collegi arbitrali che siano appassionati:
— del diritto internazionale privato,
— della legge inglese,
— della legge del luogo di costruzione della nave,
— della legge inglese influenzata dalla legge del luogo dell’arbitrato,
— della disciplina dei formulari,
— della lex mercatoria,
(5) Si tratta anche in questo caso di un fenomeno noto, che si è evidenziato in ogni
settore del diritto marittimo ma, in modo ancor più evidente, nell’ambito delle assicurazioni
marittime, quando, come è prassi, le polizze di assicurazione navi e merci, siano assoggettate,
per esempio alla legge italiana, o ad altra legge di civil law, ma richiamino poi formulari di
clausolari regolati dal diritto inglese.
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— e della prassi interpretativa di origine inglese o comunque diversa
da quella dello Stato dove si svolge l’arbitrato,
— e che, per di più, siano animati dal desiderio di decidere il caso
secondo giustizia, tenendo conto di tutto quanto precede (ovvero nonostante tutto quanto precede).
2. La crisi economica e finanziaria che ha colpito il mondo dello
shipping a partire dall’agosto del 2008, determinando una drastica perdita
di valore delle navi, ha generato un aumento delle controversie e un
corrispondente aumento degli arbitrati, con particolare riferimento al
fenomeno della risoluzione dei contratti da parte degli armatori committenti.
Sotto la spinta di impellenti preoccupazioni finanziare ed economiche,
i committenti hanno invocato ragioni e talvolta pretesti per tentare di
risolvere il contratto di costruzione e per rifiutare la consegna della nave
ben sapendo che in quelle specifiche condizioni di mercato la consegna
della nave (pagata ai prezzi ante crisi) avrebbe avuto un impatto negativo
o addirittura disastroso sui conti dell’azienda armatoriale.
Si tratta di un fenomeno ben noto, che si verifica ciclicamente nei
momenti di mercato calante, ma che a partire dal 2008 ha assunto
proporzioni particolarmente significative a causa della gravità, forse senza
precedenti, della crisi del mercato dei noli e della deflazione dei valori
delle navi di ogni tipo, con grave impatto
— sui finanziamenti conclusi prima della crisi; e
— sulle possibilità di reperire contratti di utilizzazione delle navi.
Al tema ha dedicato un Convegno la LMAA, The London Maritime
Arbitrators Association, che si è svolto a Shanghai nell’aprile del 2013,
con il significativo titolo di “Arbitrating in difficult market times” e una
sezione del convegno è stata dedicata alle controversie nascenti dai
contratti di costruzione di nave.
Senza alcuna pretesa di completezza, si può dire che le categorie di
controversie che emergono più frequentemente sono le seguenti:
— il cantiere non completa la costruzione entro il termine ultimo
concesso, cioè la “Cancelling Date” che è normalmente la Delivery Date
estesa per tener conto dei Permissible delays e l’armatore afferma il
proprio diritto di cancellare il contratto chiedendo la restituzione degli
acconti versati e invocando la “refund guarantee” (6).
— Il cantiere sostiene di aver completato la nave e la offre in
consegna, ma il committente sostiene che la nave ha difetti così gravi che
non consentono di ritenerla “deliverable” e quindi invita il cantiere a
rimediare a tali difetti. Nel frattempo viene a scadenza la data di cancello
e il compratore risolve il contratto.
(6) Stocznia Gdynia Sa v. Gearbulk Holdings Ltd, Court of Appeal 21-22 January; 13
February 2009, [2009] Vol. 1 Lloyd’s Law Reports, 461.
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— Il compratore diviene insolvente, oppure ha problemi con il proprio finanziatore, e cerca di recedere dal contratto. Il cantiere invece
pretende l’adempimento e cerca di escutere la garanzia bancaria per
incassare almeno una rata di prezzo (7).
— Il compratore contesta il raggiungimento di uno specifico stadio di
avanzamento dei lavori e rifiuta di pagare la relativa rata di prezzo, mentre
il cantiere promuove l’arbitrato per ottenere tale pagamento ed escutere
la garanzia bancaria del compratore.
— Dopo la consegna, il compratore contesta l’esistenza di vizi e
difetti sostenendo che essi non erano scopribili al momento della consegna
e chiede la risoluzione del contratto, invocando in subordine la garanzia
contrattuale.
Ovviamente si tratta di un’elencazione sommaria in quanto non è
possibile tentare in questa sede di proporre una sintesi esauriente delle
tematiche più ricorrenti né tanto meno un approfondimento di una
qualsiasi di esse. Si possono però formulare alcune considerazioni di
carattere generale sulle caratteristiche che dovrebbe avere un procedimento arbitrale per essere adeguato all’esigenza di risolvere simili controversie.
3. La rapidità. — La prima considerazione è la seguente: l’arbitrato
in tema di costruzione di nave dovrebbe essere in grado di fornire risposte
in tempi brevi, se non addirittura brevissimi, specialmente in tutti quei casi
che si riferiscono a controversie che insorgono nel corso della costruzione,
dove quindi l’esito dell’arbitrato è destinato a incidere sullo svolgimento
successivo del contratto.
Il contratto di costruzione di nave, come ogni contratto che abbia per
oggetto una prestazione di fare, è infatti un contratto che richiede un
elevato grado di collaborazione tra le parti: il compratore dovrà fornire la
documentazione tecnica senza ritardo, il cantiere invierà i disegni per
l’approvazione da parte del compratore a tempo debito, il compratore
dovrà reagire prontamente evitando di sollevare contestazioni superficiali
o pretestuose, i collaudi dei singoli macchinari dovranno avvenire in modo
tale da non causare intralci alla costruzione, quindi il cantiere dovrà
rispettare un piano predisposto di collaudi, inviando i preavvisi al rappresentante del compratore come da contratto, questi dovrà presenziare
senza provocare inutili differimenti dei singoli tests (8).
Ma soprattutto è indispensabile che le parti possano superare rapidamente le controversie (specie di natura tecnica) che insorgano durante
(7) Si veda Wuhan Guoyu Logistics Group Co Ltd and another v. Emporiki Bank of
Greece SA, Queen’s Bench Division (Commercial Court), 22 June 2012, [2013] Vol. 1 Lloyd’s
Law Reports, 161.
(8) È il tema definito “prevention principle”, accolto in Inghilterra in tema di costruzioni
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la costruzione: per esempio quando vi siano divergenze sul funzionamento
dei singoli apparati, sulla qualità della pitturazione dei doppi fondi, o delle
cisterne, sull’esito dei singoli tests e, in particolar modo, di quel test
fondamentale che è costituito dalle prove in mare.
La natura tecnica delle controversie e le competenze richieste. —
Questi esempi portano a individuare un’altra caratteristica dell’arbitrato
marittimo in tema di costruzione di nave, e cioè il fatto che esso riguarda
molto spesso controversie che richiedono la soluzione di problemi tecnici
e che impongono agli arbitri di nominare, come ausiliari, persone specializzate nei singoli problemi di natura tecnica.
Va ricordato, a questo proposito, che le clausole di quasi tutti i
formulari di contratti di costruzione di nave hanno una formulazione per
così dire binaria, in quanto prevedono, da una lato, la nomina di un
esperto tecnico di gradimento comune, o eventualmente scelto da un ente
di classifica o da una qualche istituzione di tecnici, per le vertenze di
natura puramente tecnica, e, dall’altro, un arbitro o un collegio arbitrale,
per le controversie che richiedano la soluzione di problemi giuridici o
comunque di ricostruzione in generale del comportamento delle parti.
Tutto ciò ha portato necessariamente alla formazione di una classe di
“forensic experts”, o “forensic engineers” spesso con esperienza di navigazione e competenze specifiche, che sono divenuti in larga misura depositari del sapere per rispondere a quesiti per i quali né un’astratta
preparazione tecnica né tanto meno le conoscenze giuridiche sarebbero
sufficienti. E che sono capaci di difendere le proprie opinioni tecniche sui
singoli argomenti e quesiti affidati loro davanti al Collegio arbitrale e,
successivamente, eventualmente davanti alla Corte, rispondendo all’interrogatorio del collegio e sottoponendosi alla “cross-examination” dell’avvocato della controparte.
Un esempio per tutti servirà a chiarire l’importanza di questa categoria di esperti: riprenderò una delle controversie tipiche precedentemente elencate, quella che si riferisce al caso in cui il committente rifiuta
di prendere in consegna la nave sostenendo che la costruzione non è stata
ancora completata a regola d’arte e che, quindi, la nave non è ancora
“consegnabile”. Stabilire se la nave sia o meno consegnabile, se sia affetta
da vizi che giustificano il rifiuto della consegna, ovvero semplicemente una
domanda di risarcimento danni, è una delle tematiche più delicate e
complesse che pone il contratto di costruzione di nave.
Infatti:
— la mera esistenza di difetti non è un criterio sufficiente, dovendosi
stabilire le caratteristiche e la gravità dei difetti per valutare la gravità
dell’inadempienza del cantiere e le conseguenze che ne derivano;
di immobili e recentemente invocato anche dai cantieri navali nel caso di ispettori dell’armatore
eccessivamente zelanti, accusati di aver causato il ritardo nella costruzione con il loro comportamento.
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— il fatto che la nave sia stata giudicata in classe dall’ente di classifica
e munita dei relativi certificati non può essere un criterio sufficiente per
due ragioni: (i) perché le certificazioni degli enti di classifica non costituiscono “conclusive evidence”; e, inoltre (ii) perché i contratti richiedono
normalmente che la nave venga costruita non solo nel rispetto delle norme
di classificazione ma anche secondo la “best shipbuilding practice”, o “first
class shipbuilding practice”;
— il fatto che la nave sia o meno idonea all’espletamento del servizio
per il quale è stata costruita è un criterio ambiguo e discutibile e di non
facile utilizzo, considerato che l’esistenza di determinati difetti può incidere non sulla navigazione e sull’impiego commerciale nella sua interezza,
ma su un determinato impiego peraltro quasi mai specificato all’interno
del contratto di costruzione.
È quindi evidente che per rispondere ad un simile quesito è necessario non solo che gli arbitri possano avvalersi di consulenti particolarmente
qualificati e muniti di esperienza anche pratica di navigazione e di costruzione di navi, ma che tra gli arbitri e i consulenti possa stabilirsi un dialogo
e uno scambio di opinioni molto superiore rispetto a quanto può normalmente avvenire davanti all’autorità giudiziaria.
Il simultaneus processus - multi-party disputes. — Vi è infine un
ultimo profilo al quale è opportuno fare un accenno prima di concludere.
Le controversie nascenti dal contratto di costruzione talvolta sono esclusivamente bilaterali, tra compratore e costruttore, talvolta invece coinvolgono altri soggetti, che il compratore, da un lato, e il costruttore, dall’altro,
avrebbero interesse a coinvolgere nello stesso giudizio arbitrale.
Si pensi ai sub-appaltatori del cantiere e ai fornitori dei singoli
materiali, nei confronti dei quali il cantiere ha interesse a svolgere domanda di manleva.
Si pensi alle banche coinvolte, da una parte e dall’altra, quella che per
conto del committente garantisce l’adempimento dell’obbligo di pagamento delle singole rate di prezzo, e quella che per conto del cantiere
garantisce la restituzione degli acconti nel caso di risoluzione del contratto
causata da inadempienza del cantiere.
Di fronte a queste esigenze, la struttura e le caratteristiche dell’arbitrato si rivelano completamente impotenti e inadeguate, se è vero che la
chiamata del terzo, come l’intervento autonomo del terzo, sono consentiti
soltanto con il consenso di tutte le parti e — forse — anche con il consenso
degli arbitri.
4. Si può così concludere che se rapidità della procedura, competenza ed esperienza degli arbitri (e dei loro ausiliari) sulla materia specifica sono le armi di forza dell’arbitrato per la decisione delle controversie
che nascono dai contratti di costruzione delle navi, tanto da farne lo
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strumento più idoneo in qualunque parte del mondo si svolga e con
l’applicazione di qualsiasi legge sostanziale, la connaturata impossibilità
dell’arbitrato di operare nei confronti dei terzi estranei alla convenzione
arbitrale sarà invece sempre il suo punto debole, in quanto fonte di
sfasature temporali, di possibili contrasti di decisioni e, in definitiva, di
ulteriori controversie.
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Conflitti di leggi e arbitrato marittimo
ANDREA LA MATTINA (*)
1. Introduzione. — 2. La specialità dell’arbitrato marittimo nella prospettiva dei
conflitti di leggi. — 3. (Segue). La disciplina del trasporto marittimo. — 4. (Segue).
La disciplina di altri settori del diritto marittimo. — 5. La lex maritima e l’arbitrato
marittimo. — 6. Rilevanza e limiti degli ordinamenti statali nella disciplina dei
rapporti del commercio marittimo internazionale. — 7. L’arbitrato marittimo
come “strumento privilegiato” di soluzione delle controversie marittime. — 8.
Conclusioni: l’emersione delo status mercatorio.
1. Una delle problematiche di maggiore interesse per chi volesse
accostarsi all’arbitrato marittimo (1) è rappresentata dalla materia dei
(*) Docente di Diritto della Navigazione nell’Università di Genova.
(1) La locuzione “arbitrato marittimo” è pacificamente utilizzata da parte della dottrina
per fare riferimento all’arbitrato tra privati, avente a oggetto questioni inerenti il diritto
marittimo. Al riguardo cfr. ALCANTARA, An international panel of maritime arbitrators, in Journ.
Int. Arb., 1994, 117 ss.; ALLSOP, International maritime arbitration: legal and policy issues, in
J.I.M.L., 2007, 398 ss.; ÁLVAREZ RUBIO, Arbitraje marìtimo y criterios de seleccìon del Derecho
applicabile al fondo de la controversia. Especial referencia al settor del transporte, in Revista de
la Corte Espagñola de Arbitraje, 1997, 55 ss.; AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime
Arbitration, 3rd ed., London, 2009, passim; ARRADON, L’arbitrage maritime: le point de vue du
praticien, in Dr. mar. fr., 2007, 389 ss.; ID., L’incorporation des clauses de charte-partie dans le
connaissements, ibidem, 2004, 883 ss.; BARCLEY, Arbitration and Shipping, in Arbitration, 1967,
3-7; BERLINGIERI, International Maritime Arbitration, in J.M.L.C., 1979, 199-247; ID., Trasporto
marittimo e arbitrato, in Dir. mar., 2004, 423 ss.; BERNINI, L’arbitrato nel diritto marittimo, in
CECCHELLA (cur.), L’arbitrato, Torino, 2005, 583 ss.; BOI, L’arbitrato marittimo e commerciale in
un recente convegno, in Dir. mar., 1991, 526; CARASSO BULOW, A user’s experience of London
and New York maritime arbitration, in Eur. Transpag. L., 1998, 293 ss.; CARBONE e LOPEZ DE
GONZALO, L’arbitrato marittimo, in ALPA e VIGORITI (cur.), Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, Torino, 2013, 1293 ss.; COHEN, A New Yorker looks London
Maritime Arbitration, in L.M.C.L.Q., 1986, 57-79; ID., Maritime arbitration in Asia, in J.M.L.C.,
1998, 117 ss.; CRAIG, PARK e PAULSSON, International Commercial Arbitration, I, Dobbs Ferry New York, 1984, 58-59; CURTIN, Arbitrating maritime cargo disputes — future problems and
considerations, in L.M.C.L.Q., 1997, 31-64; DE LA VEGA JUSTRIBÒ, El arbitraje en el àmbito
maritìmo, in AA. Vv., El Arbitraje en las distintas Áreas del Derecho, I, Lima, 2007, capag.
13, reperibile sul sito Internet www.castillofreyre.com / biblio_arbitraje / vol4 /
capitulo13_el_arbitraje_en_el_derecho_maritimo.pdf; DELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain: le point de vue français, in Dir. mar., 2004, 436 ss.; ESPINOSA CALABUIG, La clàusulas
arbitrales marìtimas a la luz de los ‘usos’ del tràfico comercial internacional, in Revista
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conflitti di leggi (2), e ciò in quanto questo tipo di arbitrato si caratterizza
Eletrònica de Estudios Internacionales, 2007, reperibile sul sito Internet www.reei.org, 7 ss.;
ESPLUGUES MOTA, Arbitraje Marìtimo Internacional, Navarra, 2007, passim; ID., Some Current
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The Hamburg Lectures on Maritime Affairs 2007 & 2008, Berlin, 2010, 119 ss.; FORCE e
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HARRIS, SUMMERSKILL e COCKERILL, London Maritime Arbitration, in Arb. Int., 1993, 275-288;
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spécificité de l’arbitrage maritime, in Dir. mar., 2004, 444-449; JARVIS, Problems with and
solutions for New York Maritime Arbitration, in L.M.C.L.Q., 1986, 535-538; LEGROS, Les
conflicts de normes jurisdictionnelles en matière de contrats de transport internationaux de
marchandises, in Clunet, 2007, 1105 ss.; LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole
compromissorie tra formalismo e prassi del commercio internazionale, in Dir. mar., 1990, 326
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ibidem, 2001, 530 ss.; MARRELLA, Unità e diversità dell’arbitrato internazionale: l’arbitrato
marittimo, ibidem, 2005, 787 ss.; MCINTOSH, The practice of maritime arbitrations in London:
recent developments in the law, in L.M.C.L.Q., 1983, 235-247; MOON, New Opportunities for
Maritime Arbitration and Arbitrators, in Proceedings of the XV International Congress of
Maritime Arbitrators-ICMA, London, 2004, inedito, ma messomi cortesemente a disposizione
dall’Avv. Mario Riccomagno; MUSTILL, Maritime arbitration: the call for a wider perspective, in
Journ. Int. Arb., 1992, 51 ss.; O’CONNOR, Marittime arbitration without consent vouching,
consolidation and self-execution. Will New York practice migrate to Canada?, in Journ. Int.
Arb., 1993, 161 ss.; PHILLIPS, The Needs of Arbitration from a Maritime Point of View, in
Arbitration, 1978, 245 ss.; RAMOS MÉNDEZ, Arbitraje maritimo internacional: Confirmacìon de la
doctrina jurisprudencial, in Anuario de Derecho Maritimo, vol. III, 988 ss.; REMOND–GOUILLOUD,
Droit Maritime, 2ne ed., Paris, 1993; RIGHETTI (E.), L’istruzione probatoria nell’arbitrato
internazionale commerciale e marittimo, in questa Rivista, 1993, 315 ss.; TASSIOS, Choosing the
appropriate venue: maritime arbitration in London or New York?, in Journ. Int. Arb., 2004, 355
ss.; TODD, Incorporation of arbitrarion clauses into bill of lading, in Journal of Business Law,
1997, 337 ss.; TETLEY, Marine Cargo Claims, 4th ed., Cowansville, 2008, 1413 ss.; TRAPPE,
Maritime arbitration rules for different arbitral institutions. Some comparative remarks, in
Arbitration, 1998, 257 ss.; WAGENER, Legal Certainty and the Incorporation of Charterparty
Arbitration Clauses in Bills of Lading, in J.M.L.C., 2009, 115 ss.; ZEKOS, Maritime Arbitration
and the Rule of Law, in J.M.L.C., 2008, 523 ss.; ID., International Commercial and Maritime
Arbitration, London-New York, 2008; ZUBROD, The history of maritime arbitration in New
York, in The Arbitrator, 2001, vol. 32, n. 2, 2 ss.; ZUNARELLI e ZOURNATZI, Arbitrato nelle
controversie marittime internazionali, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre
ADR, a cura di BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI, Torino, 2006, 422 ss., cui adde i lavori di
RICCOMAGNO, L’arbitrato marittimo, in Trasporti, 1999, vol. 79, 135-151 e ID., Maritime
arbitration between international commercial arbitration and regional iniatives, relazione presentata alla Maritime Arbitration Conference, Dubai, 5-7 aprile 2008; ID., Maritime arbitration
and international commercial arbitration, relazione presentata al XVIIth International Congress
of Maritime Arbitrators, Hamburg, 5-9 ottobre 2009; ID., Lecture note on international maritime
arbitration, relazione presentata all’International Dispute Resolution Institute, Londra, 29
settembre 2010, questi ultimi inediti, ma cortesemente messimi a disposizione da parte
dell’Autore. Da ultimo sia consentito rinviare a LA MATTINA, L’arbitrato marittimo e i principi
del commercio internazionale, Milano, 2012, passim, nonché ID., L’arbitrato marittimo internazionale, in questa Rivista, 2014, 19 ss.
(2) Cfr. le considerazioni svolte nel caso Mauritius Oil Refineries Ltd. v. Stolt-Nielsen
Nederlands BV (The Stolt Sydness) [1997] 1 Lloyd’s Rep 273, nonché, in dottrina, AMBROSE,
MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration, cit., 61 ss.; BERLINGIERI, The law applicable by
the arbitrators, in Dir. mar., 1998, 617-638; LA MATTINA, L’arbitrato marittimo e i principi, cit.,
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per la propria spiccata vocazione internazionale, poiché assai raramente i
rapporti giuridici che ne sono oggetto si esauriscono all’interno di un unico
ordinamento statale (3).
Sotto questo aspetto l’arbitrato marittimo non si distingue da altri
settori dell’arbitrato commerciale internazionale, rispetto ai quali la dottrina ha sempre sottolineato la rilevanza del tema dei conflitti di leggi. In
particolare, è pacifico che ai differenti aspetti dell’arbitrato commerciale
internazionale può essere teoricamente applicata una legge differente: è
infatti possibile riscontrare una legge dell’accordo arbitrale che sia diversa
da quella della procedura, nonché da quella della disciplina sostanziale
della disputa ed anche da quella del lodo, e che queste ultime siano l’una
non coincidente con l’altra (4).
2. Ciò che, invece, caratterizza ed evidenzia la specialità dell’arbitrato marittimo relativamente alla materia dei conflitti di leggi sono due
fondamentali aspetti.
In primo luogo, la circostanza che il diritto marittimo sia propriamente uno “jus commune mercatorum”, un diritto cioè di origine consuetudinaria, in larga parte recepito da convenzioni internazionali ovvero
“codificato” nelle legislazioni nazionali in modo tale da assicurare soluzioni normative sostanzialmente convergenti pur se, a volte, adottate con
formulazioni non identiche a causa della diversità dei sistemi dogmatici
ispiratori di ciascuna di esse (5). Tale aspetto — che distingue e caratterizza la materia in esame rispetto a ogni altro settore del diritto del
177 ss.; ZEKOS, Problems of Applicable Law in Commercial and Maritime Arbitration, in Journ.
Int. Arb., 1999, 173-174. In generale, sui conflitti di legge nell’ambito del diritto marittimo cfr.
BAATZ, The Conflict of Laws, in AA.Vv., Southampton on Shipping Law, London, 2008, 1 ss. e,
da ultimo, CARBONE, Conflicts de lois en droit maritime, in Recueil des cours, 2009, t. 340, 67 ss.,
ove ulteriori riferimenti.
(3) Cfr. HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 744.
(4) Così ZEKOS, Problems of Applicable Law in Commercial and Maritime Arbitration,
cit., 181. Sul punto cfr. ex multis GOLDMAN, Le conflict de lois en matière d’arbitrage international
de droit privé, in Recueil des cours, 1963, II, 361 ss.; LEW, Applicable Law in International
Commercial Arbitration, New York, 1978, 1 ss.; MUSTILL e BOYD, Commercial arbitration, 2nd
ed., London, 1989, 61; RUSSELL, On arbitration, 23rd ed. (a cura di SUTTON, GILL e GEARING),
London, 2007, 78 ss.; REDFERN e HUNTER, On International Arbitration, 5th ed. (in collaborazione
con BLACKABY e PARTASIDES), London, 2009, 165, i quali affermano che nell’arbitrato commerciale internazionale si è in presenza di “a complex interaction of laws”. Sul punto v., da ultimo,
FERRARI e KRÖLL (cur.), Conflict of laws in international arbitration, Munich, 2011. In giurisprudenza si vedano per tutte le decisioni rese nei casi Naviera Amazonica Peruana SA v. Compania
Internacional de Seguros del Peru [1988] 1 Lloyd’s Rep 116, Union of India v. McDonnell
Douglas Corporation [1993] 2 Lloyd’s Rep 48, e Channel Tunnel Groupag. Ltd v. Balfour Beatty
Construction Ltd [1993] 1 Lloyd’s Rep 291.
(5) Così CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi
tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Torino, 2010, 3, e, nello stesso senso, già
VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, I, Torino, 1938, 5. Sul rilievo dell’uniformità internazionale delle soluzioni relative alla regolamentazione del diritto marittimo nella prospettiva
storica della sua “codificazione” da parte degli Stati v. i lavori pubblicati in PIERGIOVANNI (cur.),
From Lex Mercatoria to Commercial Law, Berlin, 2005.
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commercio internazionale — rende evidente che nell’ambito dell’arbitrato
marittimo quale sia la disciplina applicabile al merito della controversia
non determina propriamente un problema di conflitto di leggi, quanto
piuttosto l’esigenza per l’arbitro di ricostruire la regola giuridica appropriata a decidere il caso di specie, all’uopo interpretando in chiave
“uniforme” (6) le norme convenzionali e/o statali tenuto conto della
rilevanza della prassi degli operatori marittimi internazionali (7). In questo
senso l’arbitrato marittimo accentua un fenomeno che è tipico di tutto il
diritto del commercio internazionale, ossia la insufficienza del metodo
conflittuale tradizionale nella soluzione dei problemi riguardanti l’individuazione della normativa applicabile ad un determinato rapporto giuridico (8), insufficienza che si manifesta in maniera ancora più rilevante in
caso di deferimento ad arbitrato della soluzione di una controversia(9).
In secondo luogo, in ambito marittimo si accentua altresì la rilevanza
dell’autonomia privata come strumento di “giustizia materiale” volto a
disciplinare direttamente (senza i filtri delle norme di diritto internazionale privato) una determinata fattispecie (10).
(6) Sul fatto che nei rapporti del commercio marittimo internazionale sia particolarmente sentita l’esigenza di uniformità cfr., tra i contributi più rilevanti, ASCARELLI, Recensione
a Lefebvre D’Ovidio – Pescatore, Manuale di diritto della navigazione, in Riv. dir. nav., 1950, I,
159; BERLINGIERI (F. Sen.), Verso l’unificazione del diritto marittimo. Parole del Prof. A. Scialoja,
in Dir. mar., 1935, 449 ss.; ID., Verso l’unificazione del diritto del mare. Parole in replica al Prof.
A. Scialoja, ibidem, 1936, 105 ss.; BERLINGIERI, Internazionalità del diritto marittimo e codificazione nazionale, ibidem, 1983, 61 ss.; CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali del
commercio marittimo internazionale nei recenti sviluppi del diritto internazionale privato: un
ritorno all’antico, ibidem, 1995, 315 ss.; ID, La c.d. autonomia del diritto della navigazione:
risultati e prospettive, ibidem, 1975, 40 ss. Da ultimo, BARIATTI, Quale modello normativo per un
regime giuridico dei trasporti realmente uniforme?, ibidem, 2001, 486, ha sostenuto che l’uniformità nel diritto marittimo “è non solo un valore giuridico primario al quale tendere, ma anche
un valore economicamente rilevante”.
(7) Sul punto v., da ultimo, CACHARD, Maritime Arbitration under the ICC Rules of
Arbitration, in ICC Int. Court Arb. Bull., 2011, vol. 22, n. 1, 40 ss.
(8) Per uno sguardo critico sul metodo conflittuale tradizionale nell’ambito dei rapporti
del commercio internazionale cfr. ex multis CAVERS, A Critique of the Choice-of-Law Problem,
in Harvard Law Rev., 1933, 173 ss.; KEGEL, The Crisis of the Conflict of Laws, in Recueil des
cours, 1973, II, 279 ss.; PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova,
1986, 1 ss., nonché BAXTER, International Conflict of Laws and International Business, in Int.
Compag. Law Quart., 1985, 538, ove afferma che “current choice-of-law techniques are in general
not well designed for application to problems that arise in the complex and rapidly developing
field of international trade and investment”. Sul connesso problema dell’insufficienza delle
legislazioni nazionali a disciplinare adeguatamente i rapporti del commercio internazionale si
rinvia, senza pretesa di completezza, a BONELL, Le regole oggettive del commercio internazionale,
Milano, 1976, 8-19; CARBONE e LUZZATTO, Il contratto internazionale, in Trattato di diritto privato,
diretto da RESCIGNO, vol. 12, 2a ed., Torino, 2000, 400 ss.
(9) Sul punto cfr. VISMARA, Le norme applicabili al merito della controversia nell’arbitrato
internazionale, Milano, 2001, passim, ma specialmente 155 ss.
(10) Sul punto particolarmente chiara è l’analisi di CARBONE e LUZZATTO, Il contratto
internazionale, cit., pag. 344-350, ove ulteriori riferimenti nella letteratura internazional-privatistica, cui adde — da ultimo — CARBONE, La disciplina applicabile ai rapporti economici
internazionali: verso una unitaria funzione dell’autonomia privata in senso sostanziale e internazionalprivatistico, in Nuova Giur. Ligure, 2013, 29 ss.
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Insomma, relativamente al tema dei conflitti di leggi, la materia
marittima evidenzia la propria “specialità” rispetto agli altri ambiti del
diritto del commercio internazionale, imponendo all’arbitro di determinare la disciplina applicabile alla singola fattispecie avuto particolare
riguardo non solo alla prassi degli operatori marittimi internazionali (che
rappresenta propriamente un “filtro” attraverso cui anche i giudici dei
singoli Stati dovrebbero interpretare il diritto marittimo), ma anche alla
volontà delle parti che in questo settore assume il ruolo decisivo di criterio
di “giustizia materiale” volto a disegnare concretamente il background
normativo del singolo rapporto giuridico.
3. Quest’ultima caratteristica si coglie in maniera particolare nello
sviluppo della disciplina giuridica dei trasporti marittimi, nell’ambito dei
quali è però opportuno operare una distinzione tra contratti di trasporto
di carico (generalmente documentati da charter parties) e contratti di
trasporto di linea (11).
Nei charter parties, ove il rapporto economico si svolge “tra pari”
Sul ruolo dell’autonomia privata nella determinazione della disciplina applicabile ai
rapporti del commercio marittimo internazionale cfr. ALVAREZ RUBIO, Las clausolas Paramount:
Autonomia de la voluntad y seleccion del derecho applicabile en el transporte maritimo internacional, Madrid, 1997, passim; CARBONE, L’attuazione del diritto marittimo uniforme tra codificazione e decodificazione, in ZICCARDI CAPALDO (a cura di) Attuazione dei Trattati internazionali
e Costituzione italiana. Una riforma prioritaria nell’era della Comunità globale, Napoli, 2003, 153
ss.; ID., Autonomia privata e modelli contrattuali del commercio marittimo internazionale nei
recenti sviluppi del diritto internazionale privato: un ritorno all’antico, in Dir. mar., 1995, 318; ID.,
Autonomia privata e forza “espansiva” del diritto uniforme dei trasporti, relazione tenuta al
convegno “Il trasporto marittimo di persone e di cose. Novità sulla unificazione della loro
disciplina” – Genova, 19 maggio 2006, ibidem, 2007, 1053 e ss.; CARBONE e LUZZATTO, Contratti
internazionali, autonomia privata e diritto materiale uniforme, in Dir. comm. int., 1993, 755;
CASTELLANOS RUIZ, Autonomìa de la voluntad y derecho uniforme en el transporte internacional,
Granada, 1999; CELLE, La Paramount clause nell’evoluzione della normativa in materia di
polizza di carico, in Dir. mar., 1988, 11 ss.; GIARDINA, L’autonomia delle parti nel commercio
internazionale, in AA. VV., Gli usi del commercio internazionale nella negoziazione ed esecuzione dei contratti internazionali, Milano, 1987, 15; IVALDI, Diritto uniforme dei trasporti e diritto
internazionale privato, Milano, 1990, 70 e ss.; LA MATTINA, Le prime applicazioni delle regole di
Amburgo tra autonomia privata, diritto internazionale privato e diritto uniforme dei trasporti, in
Riv. dir. int. priv. e proc., 2004, 597 ss.; LOPEZ DE GONZALO, L’obbligazione di consegna nella
vendita marittima, Milano, 1997, 7-24.
(11) Sulla distinzione tra trasporto di carico e trasporto di linea si vedano, fra i contributi
più significativi, BERLINGIERI (G.), Sulla distinzione tra trasporto di carico e trasporto di cose
determinate, in Dir. mar., 1952, 149 ss.; BERLINGIERI, Profilo dei contratti di utilizzazione della
nave, in Dir. mar., 1961, 417 ss.; CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, 2a ed. in
collaborazione con LA MATTINA, Milano, 2010, 169 ss.; FERRARINI, I contratti di utilizzazione della
nave e dell’aeromobile, Roma, 1947, 120 ss.; GAETA, La distinzione tra trasporto di carico e
trasporto di cose determinate, in Riv. dir. nav., 1972, I, 171; LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE e
TULLIO, Manuale di diritto della navigazione, 9a ed., Milano, 2000, 538 ss.; LOPEZ DE GONZALO,
L’esercizio della giurisdizione civile, cit., 515-516; RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, II,
Milano, 1990, 570 ss.; SPASIANO, I contratti di utilizzazione della nave: note per la revisione della
disciplina attuale, in Giur. it., 1977, IV, c. 49 ss.; TULLIO, Il contratto di noleggio, Milano, 2006,
passim. Per una essenziale ed efficace ricostruzione delle differenze del sostrato economico dei
due tipi contrattuali sopra richiamati v. per tutti MUNARI, Il diritto comunitario antitrust nel
commercio internazionale: il caso dei trasporti marittimi, Padova, 1993, 127-130.
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(essendo le parti di tali rapporti tutte operatori professionali), la regolamentazione del fenomeno è affidata essenzialmente a formulari contrattuali invalsi nella prassi del commercio internazionale (12), la cui utilizzazione conduce ad una pressoché totale “delocalizzazione” di tale tipologia
di rapporti, che si vengono ad affrancare dal diritto statale in favore di
scelte normative rispondenti alle esigenze degli operatori economici ed al
grado di internazionalità di tali negozi. In questo settore, pertanto, l’ambito di operatività dell’autonomia privata è pressoché illimitato, salvo il
rispetto dei principi di ordine pubblico e delle norme di applicazione
necessaria degli ordinamenti collegati con l’operazione economica (13).
Nel trasporto di linea, per contro — la cui disciplina giuridica è
contenuta in norme di diritto materiale uniforme aventi carattere inderogabile (rappresentate, allo stato, prevalentemente dal sistema delle Regole dell’Aja ed, entro una cerchia ridotta di stati in via di sviluppo, dalle
Regole di Amburgo (14)) — l’autonomia privata assume una diversa
rilevanza, in quanto essa non è uno strumento per disciplinare ogni
aspetto dell’operazione economica, ma un mezzo attraverso il quale
estendere le regole materiali uniformi oltre il proprio ambito di applicazione (tramite l’utilizzo delle Paramount Clauses (15)) ovvero predisporre
un regime di responsabilità del vettore più gravoso rispetto a quello
previsto dal diritto materiale uniforme (16). In entrambi i casi, comunque,
(12) Su questo tema cfr. per tutti BOI, I contratti marittimi. La disciplina dei formulari,
Milano, 2008, cui adde CARBONE, CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il diritto marittimo — Attraverso
i casi e le clausole contrattuali, 4a ed., Torino, 2011, 15 ss.
(13) In questo senso CARBONE (Autonomia privata e modelli contrattuali del commercio
marittimo internazionale, cit., 318) ha constatato “un assai limitato rilievo, ed in via di estrema
supplenza, della disciplina legale degli specifici ordinamenti statali nei cui ambiti devono essere
realizzati gli effetti dei rapporti in esame, salvi alcuni principi di ordine pubblico e/o limiti
all’autonomia privata eventualmente previsti da tali ordinamenti in virtù di norme di applicazione
necessaria”.
(14) Sulla disciplina uniforme del trasporto marittimo di linea cfr. per tutti CARBONE,
Contratto di trasporto marittimo di cose, cit. Sulla compatibilità dello strumento arbitrale con la
disciplina inderogabile di tale tipo di trasporto v. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo e i principi,
cit., 318 ss.
(15) Sulle Paramount Clauses cfr. senza pretesa di completezza BERLINGIERI, Note sulla
«paramount clause», nota a Apag. Trieste, 3 marzo 1978, Agemar c. SIAT, in Dir. mar., 1979, 216
ss.; ID., Note sulla «paramount clause», nota a Apag. Trieste, 2 dicembre 1986, Adriatic Shipping
Company c, Prudential, ibidem, 1987, 938 ss.; CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose,
cit., 82 ss.; CELLE, La Paramount Clause nell’evoluzione della normativa internazionale, cit., 11
ss.; ID., Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 — Polizza emessa in stato non contraente
— Legge applicabile – «Paramount clause», nota a Cass. 10 agosto 1988, n. 4905, Agenzia maritt.
Spadoni c. Soc. Weltra, in N.G.C.C., 1989, I, 470 ss.; IVALDI, La volontà delle parti nel contratto
di trasporto marittimo: note sulla Paramount Clause, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1985, 799 ss.;
EAD., Diritto uniforme dei trasporti, cit., 70 ss.; RIGHETTI (G.), Trattato di diritto marittimo, II, cit.,
698-704; da ultimo ALVAREZ RUBIO, Las clàusolas Paramount, cit., passim ed ivi completi
riferimenti alla dottrina inglese.
(16) Sul ruolo dell’autonomia privata nell’ambito dei contratti di trasporto marittimo di
linea cfr. CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., 81 ss.; GRIGOLI, Rilevanza
dell’autonomia privata nella normativa del trasporto marittimo internazionale di merci, in Giust.
civ., 1996, I, 691, nonché CASTELLANOS RUIZ, Autonomìa de la voluntad y derecho uniforme en
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l’esercizio dell’autonomia privata si concreta non tanto in una mera
“scelta della legge applicabile” in senso internazional-privatistico, sibbene
nella concreta definizione del back-ground normativo del rapporto giuridico.
4. Anche in altri settori del diritto marittimo, da un lato, la massiccia
presenza di convenzioni di diritto materiale uniforme ratificate dalla
maggior parte degli Stati “marittimi” (si pensi alla Convenzione di Bruxelles del 1910 in tema di urto di navi e alla Convenzione di Londra del
1989 in tema di soccorso) e, dall’altro lato, l’esistenza di consolidati usi
commerciali internazionali (quali, ad esempio, le Regole di York e Anversa in tema di liquidazione delle avarie generali (17)) confermano che,
negli arbitrati che hanno a oggetto controversie marittime internazionali,
la “scelta della legge applicabile” non si sostanzia tanto nel mero rinvio ad
un ordinamento statale con l’intento che il rapporto considerato sia
disciplinato in via esclusiva dalle norme di tale ordinamento, quanto nella
indicazione dell’ordinamento volto a imporre agli arbitri la applicazione (e
la interpretazione conforme alla volontà delle parti) sia delle norme
inderogabili di diritto materiale uniforme, sia degli usi del commercio
marittimo internazionale rilevanti in relazione alla fattispecie (18).
5. È in questo senso che si coglie l’importanza e il significato della
indicazione della legge inglese quale legge applicabile da parte degli
arbitri nei formulari più utilizzati dagli operatori marittimi internazionali:
certamente con tale indicazione le parti dei contratti del commercio
marittimo intendono “appoggiarsi” all’ordinamento che più di tutti ha
consentito lo sviluppo e la corretta interpretazione dei principi della c.d.
lex maritima, la quale rappresenta — anche in mancanza di scelta ad opera
delle parti (19) — il corpus normativo in base al quale gli arbitri marittimi
dovranno basare le proprie decisioni.
el transporte internacional, cit. Assai significativamente BARIATTI, Quale modello normativo per
un regime giuridico dei trasporti realmente uniforme?, cit., 491 ha parlato di “ruolo centrale”
della volontà delle parti nell’ambito in esame.
(17) Sul fatto che le Regole di York e Anversa abbiano natura di “fonte di diritto
consuetudinario” v. Trib. Genova, 23 dicembre 1940, in Dir. mar., 1941, 288, cui adde CARBONE,
CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il diritto marittimo, cit., 408, secondo i quali esse, avendo natura di
“veri e propri usi normativi”, sarebbero “applicabili anche laddove non espressamente richiamate”
(18) Sul diverso problema della rilevanza del c.d. criterio di autocollegamento, in virtù
del quale norme di applicazione necessaria (quali si configurano le disposizioni inderogabili
delle convenzioni di diritto materiale uniforme) di ordinamenti diversi rispetto alla lex causae
possono venire in rilievo nelle decisioni arbitrali, v., da ultimo, CARBONE, Iura novit curia e
arbitrato commerciale internazionale, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2010, 363 ss., nonché
RADICATI DI BROZOLO, Arbitrage commercial international et lois de police, in Recueil des Cours,
2005, 463 ss.
(19) La mancata indicazione della legge applicabile ad opera delle parti è ipotesi
piuttosto rara nei rapporti del commercio marittimo internazionale. In ogni caso, come noto, in
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Con tale espressione si intende in particolare riferirsi alla circostanza
che il diritto applicato dalle istituzioni arbitrali chiamate a decidere le
controversie marittime internazionali è basato su un corpus di principi
normativi, i quali — anche laddove recepiti o “codificati” nelle legislazioni
nazionali (20) — traggono origine comune e sono costituiti da due diversi
“formanti”, ossia, da un lato, la lex mercatoria (che comprende sia le
convenzioni internazionali in tema di trasporti marittimi (21), sia gli usi e
le consuetudini diffusi nel settore (22)) (23), dall’altro lato, i formulari e
modelli contrattuali maggiormente utilizzati dagli operatori marittimi
assenza di scelta della legge applicabile, la dottrina ha individuato molteplici criteri in base ai
quali gli arbitri internazionali possono rintracciare la lex causae. In estrema sintesi, i principali
criteri consistono: (a) nella applicazione delle norme di conflitto ritenute più appropriate al caso
di specie (come previsto, ad esempio, dall’art. VII.1 della Convenzione di Ginevra del 1961 e
dalla Section 46.3 dell’Arbitration Act inglese del 1996); (b) nella applicazione delle norme di
conflitto della lex arbitri (il che accade di frequente nell’ambito dell’arbitrato marittimo,
allorché esso abbia sede a Londra: v. AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration, cit., 64. Tale soluzione — in linea generale e non con specifico riguardo all’arbitrato
marittimo — è stata peraltro oggetto di critica: v. sul punto i riferimenti contenuti in BERLINGIERI, The law applicable by the arbitrators, cit., 621-622, nota 20); (c) nella applicazione
“cumulativa” delle norme di conflitto degli ordinamenti con cui la fattispecie presenta un
collegamento (sul punto v. già DERAINS, L’application cumulative par l’arbitre des systèmes de
conflit de loi intéressés au litige, in Rev. arb., 1972, 99 ss.); (d) nella applicazione “in via diretta”
delle norme sostanziali più appropriate a disciplinare la fattispecie (v. i riferimenti contenuti in
VISMARA, Le norme applicabili al merito della controversia, cit., 187 ss.). Sui criteri concretamente utilizzati dagli arbitri internazionali per individuare la legge applicabile in assenza di
scelta ad opera delle parti cfr. per tutti POUDRET e BESSON, Droit comparé de l’arbitrage
international, cit., 616 ss., nonché, nella dottrina italiana, ancora VISMARA, Le norme applicabili
al merito della controversia, cit., 173 ss. In ambito marittimo pare peraltro corretto ritenere che,
in mancanza di scelta, trovino applicazione “in via diretta” i principi della c.d. lex maritima, su
cui ci soffermeremo subito nel seguente paragrafo.
(20) Sul punto v. CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici
marittimi tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 15, secondo cui, con
riferimento all’esperienza italiana, il codice della navigazione ha accolto quasi integralmente la
regolamentazione internazionale di istituti fondamentali del diritto marittimo quali, ad esempio,
l’urto di navi, l’assistenza e il salvataggio, l’avaria comune, il trasporto marittimo e il regime di
responsabilità del vettore, nonché i privilegi e l’ipoteca.
(21) Così LEGROS, Les conflits de normes jurisdictionnelles en matière de contrats de
transport internationaux de marchandises, in Clunet, 2007, 1121. Sull’“insostituibile ruolo delle
convenzioni internazionali” nel quadro delle fonti del diritto marittimo uniforme cfr. per tutti
CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi tra diritto
internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 23 ss.
(22) Cfr. FALL, Defence and Illustration of Lex Mercatoria in Maritime Arbitration, in
Journ. Int. Arb., 1998, 83, il quale sottolinea l’esistenza di un “corpus of customs and usages
agreed upon by the shipping community and constitutive of the law that governs the substance of
maritime-related contracts or the merits of maritime disputes”. Nello stesso senso v. già HOUGH,
Admiralty Jurisdiction — Of Late Years, in Harv. L. Rev., 1924, 529 ss., e spec. 536, secondo cui
“maritime law is a body of sea customs” e che “custom of the sea includes a customary
interpretation of contract language”. Sulla particolare rilevanza degli usi e delle consuetudini
quali “formanti” (nonché strumenti interpretativi) della lex maritima si vedano alcuni precedenti della giurisprudenza statunitense. In particolare:
— Stolt-Nielsen v. AnimalFeeds International Corp, 559 U. S. Supreme Court (2010):
“Under both New York law and general maritime law, evidence of “custom and usage” is relevant
to determining the parties’ intent when an express agreement is ambiguous”;
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internazionali (24). In questo senso, la Suprema Corte degli Stati Uniti
d’America ha potuto affermare nel caso The Lottawanna che “it happens
that, from the general practice of commercial nations in making the same
general law the basis and groundwork of their respective maritime systems,
the great mass of maritime law which is thus received by these nations in
common, comes to be the common maritime law of the world”, sicché “the
received maritime law may differ in different countries without affecting the
general integrity of the system as a harmonious whole” (25).
6. È quindi evidente che una “prospettiva statalista” viene sempre
più a perdere di rilievo nell’ambito della risoluzione delle controversie
marittime. E ciò in un triplice senso.
In primo luogo, in quanto i rapporti giuridici concernenti i traffici
marittimi hanno una “vocazione internazionale” che rende inadeguata
una loro regolamentazione basata esclusivamente su norme di diritto
interno (26).
In secondo luogo, perché, comunque, i singoli diritti marittimi nazionali perdono progressivamente i propri specifici tratti distintivi e si “spersonalizzano” in favore di una loro comune riconducibilità a un “sistema”,
la lex maritima, costituita da principi che, a prescindere dalla localizza-
— Samsun Corpag. v. Khozestan Mashine Kar Co., 926 F. Supag. 436, 439 (S.D.N.Y.
1996): “[W]here as here the contract is one of charter party, established practices and customs of
the shipping industry inform the court’s analysis of what the parties agreed to”;
— Great Circle Lines, Ltd. v. Matheson & Co., 681 F. 2d 121, 125 (C.A. 1982): “Certain
longstanding customs of the shipping industry are crucial factors to be considered when deciding
whether there has been a meeting of the minds on a maritime contract”.
(23) In proposito cfr. TETLEY, Mixed jurisdictions: common law vs civil law (codified and
uncodified), Roma, 1999 (reperibile sul sito Internet dell’UNIDROIT www.unidroit.org),
secondo cui “The lex mercatoria incorporated a body of customary private maritime law, the lex
maritima, or ″Ley Maryne″ as it was called in French Law”. Importante notare che FALL,
Defence and Illustration of Lex Mercatoria in Maritime Arbitration, cit., 84, ritiene che la lex
maritima rappresenti la “major part” della lex mercatoria. La bibliografia in tema di lex
mercatoria è vastissima e, non essendo possibile darne atto in questa sede, si rinvia, anche per
ulteriori riferimenti, a GALGANO e MARRELLA, Diritto e prassi del commercio internazionale,
Padova, 2010, passim, cui adde MARRELLA, La nuova lex mercatoria — Principi UNIDROIT ed
usi dei contratti del commercio internazionale, Padova, 2003, passim.
(24) Così TETLEY, The General Maritime Law – The Lex Maritima, in Syracuse J. Int’l L.
& Com., 1994. Sulla centralità dei modelli contrattuali e, in generale, delle pratiche mercantili
nel panorama delle fonti del diritto marittimo cfr. CARBONE, CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il
diritto marittimo, cit., spec. Introduzione; GRIGOLI, Introduzione al nuovo volto del diritto della
navigazione, Torino, 1995, 217 ss. e, da ultimo, BOI, I contratti marittimi. La disciplina dei
formulari, cit., passim. Sul fatto che i formulari dei contratti del commercio marittimo internazionale siano una fonte di “diritto oggettivo” v. per tutti cfr. CARBONE, Autonomia privata e
modelli contrattuali del commercio marittimo internazionale nei recenti sviluppi del diritto
internazionale privato: un ritorno all’antico, in Dir. mar., 1995, 318-321.
(25) Così The Lottawanna, 88 US 558 (1875) at 573. Nello stesso senso v., nella
giurisprudenza inglese, la decisione resa nel caso The Tolten [1946] All. E.R. 79.
(26) Nel senso di cui al testo cfr. per tutti CARBONE, Autonomia privata e modelli
contrattuali del commercio marittimo internazionale, cit., 315.
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zione della fattispecie, sono in larga parte coincidenti in ogni parte del
mondo, e ciò anche perché gli ordinamenti nazionali tendono ad adeguarvisi (27).
In terzo luogo, perché, anche laddove il diritto marittimo venga
“codificato” dalla normativa interna di un determinato Stato con una
formulazione non esattamente coincidente a quella di cui alla lex maritima, esso potrà (e, anzi, dovrà) essere interpretato in modo tale da
assicurare l’uniformità internazionale delle soluzioni, tenendo in debito
conto i precedenti giurisprudenziali stranieri (28).
Ciò non deve peraltro essere inteso nel senso che i rapporti del
commercio marittimo internazionale siano del tutto impermeabili rispetto
agli ordinamenti statali. A questo riguardo si deve innanzi tutto tenere
conto che la lex maritima può trovare terreno fertile soltanto nella misura
in cui i singoli diritti statali ne consentano lo sviluppo e la applicazione (29). Inoltre, come è stato anche di recente sottolineato, il diritto
uniforme dei trasporti, così come gli usi commerciali invalsi tra gli operatori del commercio marittimo internazionale, necessitano (a) della continua “integrazione” da parte di norme di diritto interno volte a colmarne
le lacune ovvero a consentirne la concreta attuazione (30), nonché (b)
dell’enforcement da parte dei giudici nazionali (anche in sede di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni arbitrali) (31).
(27) Così CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi
tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 29. Sul fatto che la lex maritima consti
non solo di “principi”, ma anche di “regole” cfr. per tutti TETLEY, The General Maritime Law,
cit., loc. cit.
(28) Cfr. ancora CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici
marittimi tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 26 e 30, cui adde quanto
affermato dalla Corte Suprema americana nel caso The Lottawanna (v., in particolare, la
citazione di cui al testo corrispondente alla nota 25).
(29) In questo senso occorre sottolineare il ruolo decisivo delle corti inglesi nello
sviluppo e nella applicazione della lex maritima: v. in proposito TETLEY, The General Maritime
Law, cit., loc. cit.. Sul rilievo del riconoscimento da parte degli ordinamenti statali del potere
degli operatori del commercio marittimo “di sottoporre in modo giuridicamente “effettivo” i
loro rapporti contrattuali a complessi di norme e di principi non coincidenti con un determinato
sistema giuridico statale”, cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali del commercio
marittimo internazionale, cit., 320-321. In generale, diverse e rilevanti pronunce della giurisprudenza italiana e straniera hanno riconosciuto l’esistenza e l’importanza della lex mercatoria
nell’ambito del diritto del commercio internazionale: v., ex multis, per la giurisprudenza
italiana, Cass. 8 febbraio 1982, n. 722, Ditta Fratelli Damiano snc c. Ditta August Töpfer & Co.
GmbH, in Dir. mar., 1982, 644 (su cui v., da ultimo, GALGANO e MARRELLA, Diritto e prassi del
commercio internazionale, cit., 281 ss.); per quella francese, Apag. Paris 25 giugno 1993, in Rev.
arb., 1993, 685 ss. con nota di BUREAU; per quella inglese, Deutsche Schachtsbau – und
Tiefbohrgesellschaft mbH v. Ras Al Khaimah National Oil Co., [1990] 1 A.C., 295, nonché, da
ultimo, Premium Nafta Products Ltd. and others v. Fili Shipping Company Ltd. and others
[2008] 1 Lloyd’s Rep 254 at 29.
(30) Cfr. CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi
tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 18 e 22-23, nonché LA MATTINA, Le
prime applicazioni delle regole di Amburgo, cit., loc. cit.
(31) Cfr., in generale, GALGANO, Lex mercatoria – Storia del diritto commerciale, 4a ed.,
Bologna, 2001, 220, il quale ha affermato che le norme di diritto interno statali sono il “braccio
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Non ci troviamo quindi di fronte ad una contrapposizione frontale fra
esigenze degli operatori del commercio internazionale e ordinamenti
statali, bensì siamo in presenza del progressivo riconoscimento di tali
esigenze da parte di legislatori e giudici nazionali (32).
7. Le considerazioni sopra svolte permettono di comprendere perché l’arbitrato sia lo “strumento privilegiato” di soluzione delle controversie marittime internazionali (33).
Infatti, in un contesto dove la legislazione statale perde quella “centralità” che normalmente riveste in altri settori del diritto e dove l’autonomia privata assume una importanza determinante nella disciplina dei
rapporti tra gli operatori marittimi, è evidente che l’arbitrato assume il
ruolo di sede più appropriata per dirimere le controversie marittime,
essendo uno strumento di giustizia privata volto a comporre le controversie nell’ottica di dare “la più compiuta attuazione dei valori relativi ad una
completa ed autosufficiente disciplina del rapporto” (34). E ciò anche avuto
riguardo alla specificità della normativa applicabile a tali controversie,
aspetto, quest’ultimo, che consente altresì di comprendere perché determinate istituzioni arbitrali (e mi riferisco, in particolare, alla London
Maritime Arbitrators Association di Londra e alla Society of Maritime
Arbitrators di New York) dirimano circa il 90% degli arbitrati marittimi
mondiali.
In quest’ultimo senso è altresì possibile comprendere l’importanza
dell’arbitrato nello sviluppo e nella progressiva “sistematizzazione” della
lex maritima (35): è chiaro che uno strumento di giustizia privata è
secolare” necessario per attuare i contenuti della lex mercatoria e per porre in esecuzione i lodi
degli arbitrati commerciali internazionali. Sul punto v. anche CARBONE, Strumenti finanziari,
corporate governance e diritto internazionale tra disciplina dei mercati finanziari e ordinamenti
nazionali, in Riv. soc., 2000, 457, il quale afferma che “il ruolo degli ordinamenti statali tende ad
essere confinato piuttosto a sede, garanzia e controllo della loro attuazione [delle regole del
commercio internazionale] che fonte della disciplina al riguardo applicabile. [...] Tale osservazione incide significativamente sulla, e riduce grandemente la, c.d. sovranità degli Stati”.
(32) Cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali, cit., 320-321. In proposito si
veda questo passaggio di Cass. S.U. 1 ottobre 1987, n. 7341, Soc. Ceam c. Wiener Landes
Hypothekenbank, in Foro it., 1988, I, 123, con note di VIALE e TUCCI: “il fondamentale principio
dell’autonomia contrattuale consente alle parti di stipulare, nei limiti imposti dalla legge, tutte
quelle intese negoziali, riconosciute dall’ordinamento giuridico, che vengano ritenute idonee alla
tutela dei rapporti in continua evoluzione; [...] è inoppugnabile che sia meritevole di tutela
l’esigenza connessa al commercio internazionale in grande espansione”.
(33) Così CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit., 1294. Nello stesso
senso DELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain, cit., 436; HARRIS, Maritime Arbitrations,
cit., 743; JAMBU-MERLIN, L’arbitrage maritime, cit., 401; LEGROS, Les conflicts de normes jurisdictionnelles en matière de contrats de transport internationaux de marchandises, cit., 1105.
(34) Così CARBONE e D’ANGELO, Cooperazione tra imprese e appalto internazionale,
Milano, 1991, 188.
(35) Cfr. TETLEY, The General Maritime Law, cit., loc. cit., secondo cui “the lex maritima,
or ‘general maritime law’, is found more and more today in maritime arbitral awards through the
world”.
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certamente più appropriato rispetto a un tribunale statale a superare una
visione “statocentrica” della regolamentazione dei rapporti giuridici e a
consentire l’applicazione di un corpus di principi comuni all’intera comunità degli operatori del commercio marittimo internazionale (36), principi
che — conformemente a un auspicio già rivolto da parte di Antonio
SCIALOJA — consentono di disciplinare il fenomeno in esame tenendo in
debito conto gli usi, le pratiche commerciali e le esigenze degli stessi
operatori, nonché, soprattutto, i “fatti economici” che stanno alla base dei
loro rapporti (37).
8. Quanto sopra esposto conduce, infine, ad una riflessione di ordine
più generale.
I fenomeni del commercio marittimo internazionale tendono sempre
più ad inquadrarsi secondo linee direttrici “centrifughe” rispetto alle
legislazioni statali. L’esistenza (e l’applicazione negli arbitrati marittimi
internazionali) di una moderna lex maritima conferma il progressivo
abbandono di una “prospettiva statalista” nella regolamentazione dei
rapporti tra gli operatori marittimi e, conseguentemente, confermano il
sempre minor rilievo delle tecniche conflittuali nella individuazione delle
norme giuridiche volte a disciplinare tali rapporti.
In questa prospettiva, se è corretto affermare che lo status esprime
“l’appartenenza del titolare ad un rapporto sociale” e che esso sia “fonte di
una serie di effetti giuridici” (38), è altrettanto corretto ritenere che gli
appartenenti al gruppo sociale degli operatori economici abituali del
settore dei traffici marittimi si trovino a vedere i loro rapporti non già
sottoposti ad una singola legge nazionale, ma soggetti ad un trattamento
giuridico differente, uno statuto di gruppo loro particolare (consistente
nella lex maritima), il quale viene in rilievo al fine di venire incontro alle
esigenze degli operatori del settore (39). In altri termini, nel diritto
marittimo transnazionale, alla legge, intesa come disciplina autoritativa
con cui il singolo ordinamento statale rivendica la propria sovranità, si
(36) Sul punto, più in generale, con riferimento all’arbitrato commerciale internazionale,
v. da ultimo ANCEL, L’application d’un droit non-étatique dans l’arbitrage international, in Revue
libanaise de l’arbitrage arabe et international, 2011, 12 ss.
(37) V. in proposito SCIALOJA, Corso di diritto della navigazione, Roma, 1943, 22, il quale,
nell’auspicare la necessità di una “lettura economica” del diritto marittimo, affermava che
“occorre [...] trarre la visione e l’interpretazione degli istituti giuridici dalla diretta osservazione
dei fatti economici”. Nello stesso senso, recentemente, la giurisprudenza inglese ha sottolineato
con particolare enfasi l’esigenza di interpretare i contratti del commercio marittimo internazionale dando soprattutto rilievo agli scopi economici perseguiti dalle parti: v. in proposito
Premium Nafta Products Ltd. and others v. Fili Shipping Company Ltd. and others [2008] 1
Lloyd’s Rep 254, nonché, da ultimo, Rainy Sky SA and Others v. Kookmin Bank [2012] 1
Lloyd’s Rep 34.
(38) Così D’ANGELO (ANT.), Il concetto giuridico di «status», in Riv. it. sc. giur., 1938, 261
e 254.
(39) Cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali, cit., 318 ss.
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sostituisce (almeno in larga parte) uno ius commune mercatorum rappresentato dalla lex maritima, applicabile nei rapporti tra gli operatori del
commercio marittimo internazionale, in funzione dello status di questi
ultimi (40).
Quello che in altra sede ho definito “status mercatorio” appare quindi
come il “momento di sintesi” della disciplina giuridica applicabile agli
operatori del commercio marittimo internazionale “su base personale”, al
fine, cioè, di consentire a tali soggetti di ricevere un trattamento flessibile
e improntato a soddisfare i principi del favor commercii e, in particolare,
di veder soddisfatte le esigenze di speditezza e rapidità tipicamente
emergenti con riferimento ai traffici marittimi.
(40) Sul punto sia consentito rinviare a quanto già anticipato in LA MATTINA, Clausole di
deroga alla giurisdizione in polizza di carico e usi del commercio internazionale tra normativa
interna e disciplina comunitaria, in Dir. mar., 2002, 473-474.
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GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I) ITALIANA
Sentenze annotate
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II civile, sentenza 3 febbraio 2012, n. 1674; ROVELLI
Pres.; GIUSTI Est.; P.G. F.C. (avv. Olivieri) c. Holdinvest S.p.A. (avv. Rusciano).
Compromesso e arbitrato - Compromesso e clausola compromissoria - Interpretazione - Clausola compromissoria genericamente riferita alle controversie
nascenti dal contratto relativo - Applicabilità alle controversie aventi nel
contratto la causa petendi - Sussistenza - Limiti - Controversie aventi nel
contratto un mero presupposto storico - Inapplicabilità della detta clausola Fattispecie in tema di azione extracontrattuale ex articolo 1669 c.c.
La clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti
dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà
contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi causa petendi nel contratto medesimo; con esclusione quindi delle
controversie che in quel contratto hanno unicamente un presupposto storico, come
nella specie, in cui la causa petendi ha titolo aquiliano ex articolo 1669 c.c., avendo
gli attori dedotto gravi difetti dell’immobile da loro acquistato presso il costruttore.
CENNI DI FATTO. — Gli attori allegano il difetto di costruzione di un immobile
da essi acquistato citando la società venditrice di fronte al giudice ordinario e
chiedendo il risarcimento dei danni. La società convenuta eccepisce l’improponibilità della domanda, in ragione della clausola compromissoria contenuta nel
contratto di vendita. Il Tribunale di Napoli condanna la convenuta al risarcimento
dei danni. La Corte d’Appello considera invece che la domanda degli attori fosse
improponibile in conseguenza della clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita.
La Corte di Appello ritiene in particolare che la clausola compromissoria, in
mancanza di espressa volontà contraria, deve essere interpretata nel senso che
rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a
pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo: la responsabilità del
venditore per difetti della cosa, secondo la Corte d’Appello, doveva ritenersi di
natura contrattuale.
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Gli attori propongono ricorso in cassazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. Con il primo motivo (nullità della sentenza per
violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 101 cod. proc. civ.) i ricorrenti si
dolgono del fatto che la sentenza impugnata, tanto nell’indicazione del nome delle
parti quanto nello svolgimento del processo, abbia dichiarato la contumacia degli
appellati P. e F., laddove essi — rappresentati e difesi dall’Avv. Andrea Palumbo
— avevano non solo svolto deduzioni in udienza, ma anche depositato il loro
fascicolo con tempestiva comparsa di costituzione, comparsa conclusionale e
memoria di replica. Ad avviso dei ricorrenti, la dichiarazione di contumacia
contiene l’esplicita ammissione della Corte di merito di non avere considerato
tutte le dichiarazioni operate e le difese illustrate (oltre che i documenti prodotti)
dal procuratore del P. e della F., tanto più che nessuna parola della motivazione
della sentenza è dedicata agli argomenti defensionali di costoro.
1.1. Il motivo è infondato.
In applicazione del più generale principio secondo cui l’art. 360 cod. proc. civ.,
comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che
comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse
all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione
del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza
del denunciato error in procedendo (Cass., Sez. 1, 22 luglio 2004, n. 13662; Cass.,
Sez. 3ª, 12 settembre 2011, n. 18635), va affermato che l’erronea dichiarazione
della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in
cassazione se non abbia provocato in concreto alcun pregiudizio allo svolgimento
dell’attività difensiva, né abbia inciso sulla decisione (Cass., Sez. Un., 27 febbraio
2002, n. 2881; Cass., Sez. 1ª, 7 febbraio 2006, n. 2593).
Nella specie, è esatto che nel procedimento dinanzi alla Corte territoriale gli
appellati P. e F. si sono regolarmente costituiti, mentre nell’epigrafe della sentenza
essi sono indicati come contumaci, e così pure nella parte relativa allo svolgimento
del processo della medesima sentenza si rileva che l’uno e l’altra “sono rimasti
contumaci ..., nonostante la ritualità della notifica dell’atto di appello”.
E tuttavia, tale erronea dichiarazione non ha comportato alcuna illegittima
limitazione dell’attività difensiva della parte, come si ricava agevolmente dal fatto
che la sentenza impugnata ha preso in considerazione, sia pure per disattenderlo,
il rilievo, svolto dalla difesa degli appellati P. e F., che la società venditrice fosse
anche costruttrice dell’appartamento.
L’esame della sentenza della Corte di Napoli smentisce così la doglianza
relativa al mancato esame, da parte di quel giudice, delle difese degli appellati P.
e F..
2. Il secondo mezzo (omessa e comunque insufficiente motivazione in
ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio) censura l’apparenza e
l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, esauritasi nell’affermazione secondo cui i compratori avrebbero invocato la responsabilità del venditore
per difetti della cosa venduta. Una motivazione adeguata — sostengono i ricorrenti — avrebbe dovuto esaminare la domanda e spiegare — sulla base degli
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elementi in essa contenuti e in particolare in ordine alla dedotta dipendenza dei
danni lamentati “dai difetti costruttivi ... alla rete fognaria condominiale” — se e
in che modo i coniugi P. - F. avessero inteso far valere la generale responsabilità
extracontrattuale della Holdinvest s.p.a. ovvero quella nascente dal contratto e,
specificamente, se (dedotto il contratto quale fatto storico e titolo di legittimazione) fossero stati denunciati dei gravi difetti di costruzione e la correlata
responsabilità del costruttore-venditore a norma dell’art. 1669 cod. civ., o più
semplicemente i vizi della cosa venduta.
Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 1490
cod. civ., in riferimento all’art. 1490 cod. civ.) si denuncia la sentenza impugnata
nella parte in cui ha sancito l’inammissibilità della domanda sul rilievo che la
(affermata) natura contrattuale della controversia imponeva l’applicazione della
clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita dell’immobile
di proprietà dei coniugi P. - F.. A fondamento della decisione della Corte
napoletana vi sarebbe anche l’erronea ricognizione delle fattispecie previste dagli
artt. 1469 e 1490 cod. civ., avendo essa ritenuto che la denuncia dei difetti della
cosa venduta comportasse necessariamente l’esercizio di un’azione fondata sul
contratto di compravendita. Ad avviso dei ricorrenti, la denuncia dei gravi difetti
costruttivi e la richiesta risarcitoria esigevano l’applicazione alla fattispecie dell’art. 1669 cod. civ.. La sentenza impugnata avrebbe ingiustamente negato la tutela
giurisdizionale garantita dall’art. 24 Cost., comma 1, e art. 102 Cost., comma 1.
2.1. Il secondo ed il terzo motivo — i quali, stante la loro connessione,
possono essere esaminati congiuntamente — sono fondati.
Occorre premettere che l’art. 1669 cod. civ., benché collocato tra le norme
disciplinanti il contratto di appalto, è diretto a garantire la conservazione e
funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata,
attesa l’attitudine della norma a presidiare, piuttosto che particolari interessi
sottostanti al rapporto contrattuale di appalto, l’imprescindibile esigenza di tutela
della pubblica incolumità, messa a repentaglio dal contegno dell’imprenditore che
ometta di adottare le cautele atte ad assicurare la stabilità e solidità dell’edificio.
Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura
extracontrattuale (Cass., Sez. 2ª, 15 febbraio 2011, n. 3702; Cass., Sez. 2ª, 4 ottobre
2011, n. 20307) e, sorgendo non dal contratto di appalto, ma dal puro e semplice
fatto di avere costruito l’immobile, può essere esercitata non solo dal committente
nei confronti dell’appaltatore, ma anche da parte dell’acquirente, attuale proprietario dell’immobile, nei confronti del costruttore-venditore (Cass., Sez. 2ª, 14
dicembre 1993, n. 12304; Cass., Sez. 2ª, 31 marzo 2006, n. 7634; Cass., Sez. 2ª, 31
marzo 2011, n. 7470).
Ora, nella specie, dall’atto di citazione è agevole desumere che gli acquirenti,
nell’evocare in giudizio la società venditrice e costruttrice dell’immobile della
quale domandarono la condanna al risarcimento del danno, lamentarono la
presenza di “notevoli difetti costruttivi ... significativamente alla rete fognaria
condominiale ed in particolare alla unità abitativa degli istanti posta al centro
dell’intero complesso ove esiste una maggiore pendenza della fogna”, ed il fatto di
essersi ritrovati “allagati nelle parti basse dell’immobile e cosa gravissima con
fuoriuscita di acque scure e maleodoranti provenienti dalla rete fognaria condo591
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miniale, con grave pregiudizio e danni sia all’immobile e sia alla salute degli
occupanti”.
In tal modo gli attori, denunciando la presenza di gravi difetti costruttivi
relativi alla rete fognaria e domandando la condanna al risarcimento del danno
della società costruttrice e venditrice dell’immobile, hanno dedotto un titolo di
responsabilità astrattamente inquadrabile nell’art. 1669 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 2ª,
21 aprile 1990, n. 3339; Cass., Sez. 2ª, 28 marzo 1997, n. 2775).
È pacifico che la clausola n. 9 del contratto di compravendita inter partes
prevede la devoluzione ad un collegio arbitrale di tre membri di “qualunque
controversia nascente dal presente contratto”.
La clausola compromissoria riferentesi genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui inerisce, deve essere interpretata, in mancanza di espressa
volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le
controversie relative a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo
(Cass., Sez. 2ª, 20 febbraio 1997, n. 1559; Cass., Sez. 1ª, 2 febbraio 2001, n. 1496;
Cass., Sez. 1ª, 22 dicembre 2005, n. 28485; Cass., Sez. 2ª, 20 giugno 2011, n. 13531).
Nella specie invece il contratto di compravendita costituisce il presupposto
storico sullo sfondo del quale si innesta l’azione proposta, ma non la causa petendi
della stessa, perché il grave difetto costruttivo denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo di un’eventuale responsabilità aquiliana, è un
fatto che non sostanzia una domanda di fonte contrattuale, alla quale soltanto si
riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti.
Ha pertanto errato la Corte territoriale a dichiarare improponibile, perché
rientrante nel raggio di operatività della clausola compromissoria, la domanda
proposta dal P. e dalla F. nei confronti della società Holdinvest. (Omissis).
Clausola compromissoria e liti extracontrattuali: questioni interpretative.
1. Occorre premettere che secondo la Cassazione l’art. 1669 cod. civ.
è diretto a garantire la conservazione e funzionalità degli edifici e di altri
immobili destinati per loro natura a lunga durata, attesa l’attitudine della
norma a presidiare, piuttosto che particolari interessi sottostanti al rapporto contrattuale di appalto, l’imprescindibile esigenza di tutela della
pubblica incolumità, messa a repentaglio dal contegno dell’imprenditore
che ometta di adottare le cautele atte ad assicurare la stabilità e solidità
dell’edificio. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da
detta norma ha natura extracontrattuale (Cass., Sez. 2ª, 15 febbraio 2011,
n. 3702 (1); Cass., Sez. 2ª 4 ottobre 2011, n. 20307 (2)) e, sorgendo non dal
contratto di appalto, ma dal puro e semplice fatto di avere costruito
l’immobile, può essere esercitata non solo dal committente nei confronti
dell’appaltatore, ma anche da parte dell’acquirente, attuale proprietario
(1 )
( 2)
Cass., 15 febbraio 2011 n. 3702, in Giust. civ. Mass, 2011, 2, 251.
Cass., 4 ottobre 2011 n. 20307, in Giust. civ. Mass., 2011, 10, 1401.
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dell’immobile, nei confronti del costruttore-venditore (Cass., Sez. 2ª, 14
dicembre 1993, n. 12304 (3); Cass., Sez. 2ª, 31 marzo 2006, n. 7634 (4)).
Gli attori, denunciando la presenza di gravi difetti costruttivi e
domandando la condanna al risarcimento del danno della società costruttrice e venditrice dell’immobile, hanno dedotto un titolo di responsabilità
astrattamente inquadrabile nell’art. 1669 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 2ª, 21
aprile 1990, n. 3339 (5); Cass., Sez. 2ª, 28 marzo 1997, n. 2775 (6)). Ma la
Cassazione ha ravvisato che la responsabilità inquadrabile nell’articolo
1669 c.c. non debba intendersi come responsabilità contrattuale bensì
come responsabilità aquiliana. L’interpretazione della Cassazione dell’articolo 1669 poggia, in sostanza, sul principio del neminem ledere e quindi
perde di rilievo qualsiasi obiezione che circoscriva le pretese dei ricorrenti
a quelle strettamente originate dal contratto di compravendita immobiliare. Corollario di questo ragionamento è la decisione della Cassazione su
uno dei punti principali della linea difensiva adottata dai resistenti: la
necessità di ricorrere all’arbitrato. La Cassazione, infatti, ha esaminato
l’articolo rilevante del contratto di compravendita e si è espressa, tuttavia,
in questo modo: è pacifico che la clausola n. 9 del contratto di compravendita inter partes prevede la devoluzione ad un collegio arbitrale di tre
membri di “qualunque controversia nascente dal presente contratto”.
Peraltro la clausola compromissoria riferentesi genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui inerisce, deve essere interpretata, in
mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella
competenza arbitrale (tutte) le controversie relative a pretese aventi la
loro causa petendi nel contratto medesimo (Cass., Sez. 2ª, 20 febbraio
1997, n. 1559 (7); Cass., Sez. 1ª, 2 febbraio 2001, n. 1496 (8); Cass., Sez. 1ª,
22 dicembre 2005, n. 28485 (9); Cass., Sez. 2ª, 20 giugno 2011, n. 13531 (10)).
2. Nonostante l’interpretazione estensiva della clausola compromissoria, nel caso di specie la Cassazione ha però concluso che il contratto di
compravendita costituisce solo il presupposto storico sullo sfondo del
quale si innesta l’azione proposta, ma non la causa petendi della stessa,
perché il grave difetto costruttivo denunciato, essendo un comportamento
rilevante solo sotto il profilo di un’eventuale responsabilità aquiliana, è un
fatto che non sostanzia una domanda di fonte contrattuale, alla quale
soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti.
(3)
( 4)
( 5)
( 6)
( 7)
( 8)
( 9)
(10)
Cass., 14 dicembre 1993 n. 12304, in Giust. civ. Mass., 1993 fasc. 12.
Cass., 31 marzo 2006 n. 7634, in Giust. civ. Mass., 2006, 3.
Cass., 21 aprile 1990 n. 3339, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc 4.
Cass., 28 marzo 1997 n. 2775, in Giust. civ. Mass., 1997, 489.
Cass., 20 febbraio 1997 n. 1559, in Giust. civ. Mass., 1997, 280.
Cass., 2 febbraio 2001 n. 1496, in Giust. civ. Mass., 2001, 193.
Cass., 22 dicembre 2005 n. 28485, in Giust. civ. Mass., 2005, 12.
Cass., 20 giugno 2011 n. 1351 in questa Rivista, 2012, 1, 79.
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In definitiva secondo la Cassazione ha errato la Corte territoriale a
dichiarare improponibile, perché rientrante nel raggio di operatività della
clausola compromissoria, la domanda proposta dai coniugi nei confronti
della società Holdinvest. Sulla base di questa conclusione la causa è stata
rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per applicare il
principio di diritto espresso dalla Suprema Corte al caso di specie.
La Cassazione, con questa sentenza, fornisce un utile strumento
interpretativo che si inserisce nel dibattito riguardante la portata della
clausola compromissoria. Come riscontrato in un recente commento alla
sentenza Cass. 20 giugno 2011 n. 13531 (11) la clausola compromissoria —
come del resto si evince dal portato dell’articolo 808 quater del codice di
procedura civile — nel dubbio si estende a tutte le controversie che
derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. Infatti
si presume che con la clausola compromissoria le parti abbiano rinunciato
ad avvalersi della tutela giurisdizionale per ottenere l’osservanza di qualsiasi diritto scaturente dal contratto in contestazione, né — se non formulano una specifica previsione — hanno esplicitato una volontà di restringere o ampliare l’oggetto dell’arbitrato per esempio restringendo l’oggetto
solo ad alcune liti contrattuali o viceversa ampliandolo. Così una clausola
compromissoria generica che reciti ad esempio “qualunque contestazione
o vertenza sull’interpretazione e l’esecuzione del presente preliminare,
dovrà essere risolta con giudizio arbitrale” si estende ai casi di inadempimento o di risoluzione del negozio, in mancanza di una specifica e chiara
previsione negoziale che escluda dalla competenza degli arbitri anche le
controversie inerenti l’esecuzione del contratto. Secondo la citata dottrina
tale impostazione è da ritenersi condivisibile e conferma l’interpretazione
estensiva della Cassazione antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs 2
febbraio 2006 n.40, all’epoca non prevalente, in linea con l’attuale previsione dell’articolo 808 quater c.p.c. (12), opportunamente introdotto con la
citata riforma ed applicabile alle convenzioni di arbitrato posteriori alla
data del 2 marzo 2006. “L’orientamento richiamato, infatti, si caratterizza
per la configurazione non restrittiva dell’ambito operativo della clausola
compromissoria in difetto di una contraria ed univoca volontà delle
parti” (13). Il commento alla citata sentenza della Cassazione indaga anche
sulla natura della clausola compromissoria presentando un primo orientamento secondo il quale la clausola compromissoria si configura come un
atto accessorio ad un contratto principale, atto col quale le parti conven(11) Cfr. SANGERMANO, Criteri di interpretazione della clausola compromissoria, in I
Contratti, 2012, 1, 95.
(12) L’articolo 808 quater del c.p.c. recita: “Nel dubbio, la convenzione di arbitrato si
interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano
dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce.”.
(13) Cfr. SANGERMANO, cit., 96.
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gono di affidare ed affidano agli arbitri l’incarico di decidere le controversie che potranno nascere tra loro. Il predetto commento presenta
anche un orientamento differente secondo il quale la clausola compromissoria avrebbe una propria autonomia rispetto al contratto in cui è inserita.
Di conseguenza la nullità o più in generale l’invalidità del contratto non
travolgono la clausola compromissoria (a meno che sia comune la causa di
nullità) ed, anzi, la questione stessa di nullità rimane soggetta alla clausola.
3. In definitiva la clausola compromissoria è semplicemente una
clausola apposta ad un contratto con cui le parti attribuiscono agli arbitri
il compito di dirimere eventuali future controversie nascenti dal contratto
medesimo (14). Si segnala però che secondo alcuni autori, la clausola
compromissoria inserita in un contratto ha una sua propria autonomia
concettuale e non risentirebbe delle cause di invalidità e/o efficacia
originaria o sopravvenuta del contratto, continuando ad esplicare i propri
effetti anche quando il contratto è stato dichiarato invalido ovvero quando
lo stesso è stato risolto (15). Essa è una forma di convenzione di arbitrato
(14) Cfr. G.F. RICCI, Diritto Processuale Civile, III, Torino, 2009, 473; a sostegno di questa
tesi anche la dottrina secondo la quale, sulla scorta dell’articolo 1419 c.c. in presenza di nullità
del contratto la clausola compromissoria sia da ritenersi nulla qualora le parti non abbiano
inteso di devolvere in arbitri le controversie sulla nullità del contratto, cfr. FESTI, commento a
Trib. Di Milano 14 aprile 1997, in Corr Giur., 1997, 1438 e ss. Cfr. anche PUNZI, Disegno
Sistematico dell’Arbitrato, I, Padova, 2012, 319 e ss. che rileva come la dottrina consideri della
stessa natura di negozi di diritto privato la clausola compromissoria, il patto compromissorio e
la convenzione di arbitrato in materia non contrattuale. Secondo VERDE, Diritto dell’Arbitrato
a cura di VERDE, Torino, 2005, 71 e ss. la convenzione di arbitrato può essere stipulata tanto in
occasione di una controversia già insorta, quale che ne sia il contenuto e sempre che i diritti
possano essere giudicati dagli arbitri, quanto in relazione alle controversie che nasceranno in
futuro da un determinato contratto. La legge nel primo caso parla di compromesso (art. 807
c.p.c.) e nel secondo caso di clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.). Secondo ZUCCONI GALLI
FONSECA in Arbitrato, a cura di Carpi, 2007, Bologna, 141 e ss., “la clausola compromissoria è il
contratto con il quale le parti devolvono ad arbitrato liti future, riguardanti un dato regolamento
contrattuale fra loro stipulato; si distingue dal compromesso per il — solo — fatto che le liti non
sono ancora sorte; dalla convenzione arbitrale non contrattuale perché riguarda diritti nascenti
da un contratto”.
(15) Cfr. SANGERMANO, cit., 101; Commentario al Codice di procedura Civile a cura di
CARPI, Padova, 2012, 2750 e 2752 anche sulla scorta dell’osservazione per cui “la legge 25/94 ha
modificato completamente il tenore” dell’articolo “che concerne ora la c.d. autonomia della
clausola compromissoria” tale per cui “la risoluzione del contratto di appalto” per esempio
“non può in alcun modo incidere sulla validità e sulla efficacia della clausola compromissoria,
la quale conserva una propria autonomia e individualità rispetto al contratto nel quale è inserita
e che non risente delle cause di invalidità e/o efficacia originaria o sopravvenuta del negozio
sostanziale, continuando ad esplicare i propri effetti anche quando il negozio sostanziale è stato
dichiarato invalido ovvero quando lo stesso è stato risolto” cfr. il Commentario cit. 2753 che
rinvia ad un lodo arbitrale Arb. Roma 28-11-08, Arch. g. op. pubbl., 2009, 139. Cfr. anche PUNZI,
“Disegno sistematico dell’arbitrato”, I, Padova, 2009, 656: “... la clausola compromissoria, per
quanto addiettizia, ha un oggetto suo proprio, distinto da quello del contratto fondamentale al
quale si deve aggiungere l’elemento dello scopo tipico e quindi della funzione del patto
compromissorio, che è appunto quello di investire gli arbitri del potere di decidere la controversia o le controversie, con l’opzione, esercitata nell’area dell’autonomia dei privati per un
ordinamento che non è quello che si concreta nei giudici”. Sicché “in conclusione la clausola
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che porta a quel risultato (il lodo) del pari all’altra forma di devoluzione
delle controversie ad arbitri cioè il compromesso (contratto col quale le
parti conferiscono agli arbitri il potere di decidere controversie tra di loro
insorte ex articolo 807 c.p.c.). A ciò si aggiunga, per completare il quadro,
che con apposita convenzione, ex articolo 808 bis c.p.c. possono essere
devolute ad arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non
contrattuali determinati. In questo caso la convenzione deve risultare da
atto avente la forma richiesta per il compromesso dall’articolo 807
c.p.c. (16). Tale ultima convenzione deve essere specifica, cioè riferirsi ad
uno o più rapporti non contrattuali determinati, classificandosi come un
tertium genus tra la clausola compromissoria ed il compromesso (17).
Chiarito quanto sopra e quale che sia la previsione che conduce
all’arbitrato (compromesso o clausola compromissoria o convenzione in
materia non contrattuale) la convenzione va interpretata secondo i normali canoni ermeneutici sanciti dagli articoli 1362 e ss. del codice civile:
deve essere ricostruita la comune intenzione dei contraenti senza limitarsi
al senso letterale delle parole, valutando il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto. Ragionando secondo
i canoni ermeneutici forniti dal codice civile e dal codice di procedura
civile (il ricordato articolo 808 quater) si può concludere che in assenza di
specifica volontà (tendente ad escludere alcune fattispecie o a comprencompromissoria presenta elementi di distinzione e di autonomia rispetto al contratto, cui
accede” (cfr. PUNZI, cit., 657). Cfr. anche RESCIGNO, Arbitrato e autonomia contrattuale, in questa
Rivista, 1991, 28 e ss.; ZACCHEO, Contratto e clausola compromissoria, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1987, 431 e ss.
(16) Cfr. in merito LUISO, Diritto Processuale Civile, IV, Milano, 2007, 376 e ss. che
approfondisce un importante aspetto riguardo la clausola compromissoria ai sensi dell’articolo
808 bis del codice civile. In sintesi, secondo la citata dottrina, si ravvisa una certa difficoltà
nell’individuare, nell’ambito dei rapporti non contrattuali, rapporti non contrattuali determinati. Nell’ambito dei diritti reali la struttura degli stessi vede il titolare del diritto entrare in
relazione potenziale con ogni altro soggetto dell’ordinamento. Non riesce agevole, pertanto,
capire con chi si possa stipulare una clausola compromissoria relative a controversie aventi per
oggetto per esempio la proprietà di una parte su di un bene. Prosegue la citata dottrina che per
quanto riguarda i fatti illeciti “non è facile immaginare che Tizio e Caio possano stipulare una
clausola compromissoria per le controversie relative ai danni che reciprocamente potessero
verificarsi in dipendenza di fatti illeciti. Qui, in verità, manca un rapporto in senso proprio”. A
parere di chi scrive, però, un caso potrebbe essere proprio quello del costruttore e della
responsabilità ex articolo 1669 del codice civile, classificata come extracontrattuale. Ed ancora:
una certa utilità il predetto Autore la vede nel caso di arbitrato nelle controversie di diritto
pubblico, che riguardano diritti soggettivi. “In precedenza, trattandosi di materie che per
definizione non sono contrattuali (perché appunto sono disciplinate dal diritto pubblico e non
dal diritto privato) l’arbitrato poteva fondarsi esclusivamente su un compromesso. Oggi, invece,
niente impedisce che, in sede di procedimento amministrativo, l’amministrazione e l’amministrato pattuiscano una clausola compromissoria, per la risoluzione arbitrale delle controversie
relative a diritti soggettivi — siano esse devolute alla giurisdizione ordinaria oppure a quella
amministrativa esclusiva”. Un altro possibile settore di controversie non contrattuali riguarda
quelle successorie: una volta apertasi la successione, i beneficiari della stessa possono pattuire
che le eventuali, future, controversie derivanti da detta successione siano deferite ad arbitri.
(17) Cfr. in questo senso MANDRIOLI, Diritto Processuale Civile, vol. III, Torino, 2013, 385.
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derne altre) i compromittenti hanno inteso di devolvere ad arbitri tutte le
questioni derivanti, in modo diretto o indiretto, dal contratto (18). Addirittura secondo un’opinione in dottrina la clausola compromissoria inserita in un contratto preliminare potrebbe avere ad oggetto addirittura le
controversie inerenti il contratto definitivo (19). Dottrina e giurisprudenza,
pertanto, concordano in un’interpretazione della clausola compromissoria
che pare ispirata dal principio dell’id quod plerumque accidit. Né una
ricostruzione fattuale della comune intenzione delle parti, di competenza
del giudice di merito, può essere oggetto di indagine da parte della
Cassazione, che interviene solo quando la motivazione sia radicalmente
inadeguata oppure nel caso di violazione delle regole ermeneutiche del
diritto.
A questo punto, venendo a commentare più nello specifico l’argomento della sentenza di Cassazione del 3 febbraio 2012 n. 1674 (20), è
interessante notare che altra dottrina nel 2007 (21), poco dopo l’entrata in
vigore della riforma, aveva non solo affrontato il tema dell’interpretazione
della clausola compromissoria riguardo alle liti contrattuali ma era andata
oltre. Infatti tale dottrina si era occupata della relazione tra clausola
compromissoria, liti contrattuali e liti extracontrattuali correlate all’oggetto del contratto. La citata dottrina (22) partiva da questo assunto: la
clausola compromissoria è il contratto con il quale le parti devolvono ad
arbitrato liti future, riguardanti un dato regolamento contrattuale fra loro
stipulato. Detta dottrina poi proponeva la citata distinzione tra clausola
compromissoria, compromesso e convenzione arbitrale non contrattuale (23). E lo stesso autore proseguiva affermando che la clausola compromissoria e la convenzione non contrattuale possono sovrapporsi,
quando dal contratto sorga una lite di origine extracontrattuale: si pone il
problema di capire se la clausola compromissoria abbia la duplice valenza
di comprendere sia le liti direttamente derivanti dal contratto sia eventuali
liti di origine extracontrattuale che possono essere correlate al contratto
ma non ne scaturiscono direttamente per esempio la responsabilità precontrattuale, l’arricchimento indebito, il caso della concorrenza sleale ed
addirittura la responsabilità per rovina di edificio di cui all’articolo 1669
c.c. (24). Su questo punto la predetta dottrina sostiene, commentando
l’articolo 808 bis c.p.c., che una specifica pattuizione inserita nel contratto
tra le parti potrebbe estendere la validità della clausola compromissoria
alle liti contrattuali ed anche a quelle extracontrattuali tra le parti mede(18)
(19)
(20)
(21)
(22)
(23)
(24)
Cfr.
Cfr.
Cfr.
Cfr.
Cfr.
Cfr.
Cfr.
FESTI, La clausola compromissoria, Milano, 2001, 327-328.
SANGERMANO, cit., 98.
Giust. civ. Mass., 2012, 2, 128.
ZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 141 e ss.
ZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 141 e ss.
ZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 141 e ss.
ZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 150.
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sime (25). Il principio, del resto, si evince dal tenore letterale dell’articolo
808 bis c.p.c.: “le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che
siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti
non contrattuali determinati (26), anche se non necessariamente attuali.
Tuttavia, come pare evidente, è necessario che vi sia una espressa volontà
delle parti nel senso di comprendere nella clausola delle liti extracontrattuali, specificando i casi extracontrattuali devoluti in arbitri. Altrimenti
questi ultimi si troverebbero a giudicare su una materia che esorbita dalla
competenza loro devoluta.
La Cassazione, esaminando il caso di specie, ha dato proprio questa
interpretazione che pone in primo piano la volontà delle parti riguardo
alle liti derivanti dal contratto sottolineando che la clausola compromissoria riferentesi genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui
inerisce, deve essere interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le controversie relative a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto
medesimo. Ma, fatta questa affermazione, la Cassazione non va oltre la
linea di demarcazione tra lite contrattuale e lite extracont rattuale ovvero
non afferma che la clausola compromissoria, pur interpretata estensivamente, possa sia pure implicitamente comprendere la devoluzione agli
arbitri anche delle liti extracontrattuali.
In effetti, conclude la Cassazione, il contratto di compravendita
costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l’azione
proposta, ma non la causa petendi della stessa. Il grave difetto denunciato
dagli acquirenti dell’appartamento è un comportamento rilevante solo
sotto il profilo della eventuale responsabilità aquiliana nella quale la
previsione dell’articolo 1669 c.c. (rovina e difetti di cose immobili) si può
inquadrare come species rispetto al genus. Il grave difetto non è altro che
un mero fatto estraneo alla disciplina stabilita nel contratto tra le parti e
quindi non può sostanziarsi in una domanda di fonte contrattuale, alla
quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime
parti la quale disponeva semplicemente che qualunque controversia derivante dal contratto medesimo avrebbe dovuto essere devoluta ad un
collegio arbitrale. L’espressa citazione del contratto come fonte delle
eventuali controversie esclude testualmente che vi sia spazio per compro(25) Cfr. ZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 141 e ss.
(26) Si discute se esse possano essere determinabili e l’opinione maggioritaria si esprime
in senso positivo sulla base dell’articolo 1346 c.c. (cfr. il Commentario al codice di procedura
civile a cura di CARPI cit. 2714). Tuttavia il testo degli articoli 807 e 808 sembra richiedere la
predeterminazione del rapporto, che sarà, comunque, valida anche ove effettuata per relationem
mediante rinvio ad atti esterni. “Non è ammissibile, invece, il deferimento a terzi del compito
di determinare l’oggetto della lite perché così verrebbe meno la scelta consapevole delle parti
in favore della soluzione alternativa delle future controversie” (così nel commentario citato,
2754).
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mettere in arbitri controversie che non hanno nel contratto la causa
petendi, come è stato rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione nella
sentenza del 3 febbraio 2012 n. 1674 (27)
Si segnala, a questo punto, che la Suprema Corte nel 2012 pare aver
cambiato orientamento rispetto all’interpretazione della clausola compromissoria avente ad oggetto “tutte le controversie inerenti il contratto”.
Infatti in precedenza, con sentenza n. 28469 del 9 dicembre 2010 (28), la
Cassazione si era espressa nel senso che quando il contratto non assume
necessariamente la funzione di fatto costitutivo dell’azione, che deve
essere di fonte contrattuale, bensì assume la veste di fatto statico e
dinamico in relazione al quale è insorta la controversia. Vale a dire che dai
comportamenti tenuti in relazione ad un contratto possono discendere
violazioni contrattuale ed anche extracontrattuali. Per esempio in relazione ad un contratto di distribuzione vi possono essere comportamenti
contrattualmente scorretti quali l’illecito blocco delle forniture e al contempo comportamento di concorrenza sleale laddove il distributore per
esempio abbia l’esclusiva in una determinata zona. La portata dell’espressione “tutte le controversie inerenti il contratto” può, secondo la sentenza
della Suprema Corte del 2010, avere un significato polisenso, non avendo
le parti specificato di volersi riferire solo a controversie contrattuali.
Controversie contrattuali ed extracontrattuali sarebbero quindi, entrambe, inerenti il contratto. Del resto è una questione di interpretazione
di buona fede del contratto: una limitazione alle controversie contrattuali
o a quelle extracontrattuali contraddice, su un piano oggettivo, la funzione
di esclusività dell’individuazione del foro (o dell’arbitrato come modalità
alternativa) ed il fatto che a bene vedere sia l’illecito contrattuale che
quello extracontrattuale contravvengono entrambi al principio del neminem ledere. In effetti anche questa interpretazione ha il notevole pregio di
ribadire l’unicità della convenzione di determinazione del foro competente o dell’arbitrato che si deve occupare di un contenzioso, anche se con
riguardo all’arbitrato potrebbe contrastare col portato dell’articolo 808 bis
c.p.c.
Come coniugare questa interpretazione relativa al foro competente
con l’interpretazione di analoghe clausole contrattuali riguardanti l’arbitrato tenendo conto del portato dell’articolo 808 bis c.p.c., in assenza di
una ratio evidente che giustifichi una disparità interpretativa (che si
aggancia solo alla lettera del richiamato articolo del codice di procedura
civile) è un tema che potrebbe essere risolto dalla Cassazione a Sezioni
Unite alla prossima occasione.
PAOLA CASCELLI
(27)
(28)
Cass., 3 febbraio 2012 n. 1674 in Giust. Civ. Mass., 2012, fasc. 2, 128.
Cass., 9 dicembre 2010 n. 28469 in Rep. Foro It., 2010, 56.
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GIURISPRUDENZA ARBITRALE
I) ITALIANA
Lodi annotati
COLLEGIO ARBITRALE (Niccolini Pres., Tanico, Barenghi), nella controversia tra
Fall. X (avv. L.A. Bottai) c. Y. S.r.l. (avv.ti Mondini, Crocetti Bernardi); lodo reso
in Roma il 10 maggio 2012.
Compromesso e arbitrato - Competenza - Rapporti tra arbitri e giudici ordinari.
Forma del compromesso.
La pronuncia del giudice ordinario che abbia affermato la competenza arbitrale a conoscere di una determinata controversia non impedisce all’arbitro di
verificare la regolarità della sua investitura ad opera dei contraenti poiché la
mancata impugnazione della pronuncia sulla competenza dà luogo soltanto a
giudicato formale che preclude la riproposizione della questione davanti al giudice
dello stesso processo, ma non fa stato in un diverso processo promosso dalle parti
dinanzi ad un giudice diverso, quale è da ritenere quello arbitrale.
Deve considerarsi stipulato per iscritto ai sensi dell’art. 807 c.p.c. l’accordo arbitrale la cui conclusione sia avvenuta con invio al proponente tramite mail ordinaria
(non certificata) di una copia recante la sottoscrizione autografa del testo dell’accordo.
CENNI DI FATTO. — La società X propone alla società Y di entrare a far parte
della propria compagine sociale attraverso la sottoscrizione di azioni di nuova
emissione. La società Y sottoscrive un documento che prevede, da un lato, il suo
impegno a versare entro uno specifico termine una determinata somma e, dall’altro lato, l’impegno della società X a comunicare quante azioni di nuova emissione
sarebbero state sottoscritte con quella somma. Il documento, sottoscritto dal legale
rappresentante della società Y, viene inviato a mezzo di posta elettronica ordinaria
alla società X. Nel termine concordato, Y non versa la somma e X ottiene un
decreto ingiuntivo che Y oppone sul presupposto della sussistenza nel documento
contrattuale di una clausola compromissoria. Il giudice ordinario declina la propria
competenza ritenendo sussistente la competenza arbitrale. Il Fallimento della
società X avvia il procedimento di nomina del collegio arbitrale e deposita copia
del documento contrattuale recante la sottoscrizione del legale rappresentante
della società Y.
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MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis). — 1. Occorre preliminarmente stabilire se la statuizione del Tribunale di Roma di cui alla sentenza resa inter partes,
vincoli il Collegio Arbitrale a considerarsi competente. A tale preliminare questione il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa per le seguenti considerazioni.
La sentenza del Tribunale di Roma ha accolto l’eccezione di « carenza di
giurisdizione » avanzata in quella sede dalla Y s.r.l. osservando che il contratto
della cui esecuzione si dibatteva conteneva, nel suo ultimo articolo, una clausola
compromissoria concernente tutte le controversie eventualmente derivate dalla
pattuizione medesima.
La sentenza in parola non è stata impugnata dalle parti, né attraverso gli
ordinari mezzi di gravame né — come oggi impone l’art. 819 ter, 2° comma, c.p.c.
— attraverso i rimedi previsti dagli artt. 42 e 43 c.p.c., di modo che le statuizioni
sulla competenza in essa contenute devono ritenersi coperte da giudicato ai sensi
dell’art. 324 c.p.c.
Ricordato che la nota riforma di cui al d.lgs. 40/2006 ha (ri)qualificato — così
segnando una rottura con l’orientamento scolpito in Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000,
n. 527 — il rapporto tra autorità giudiziaria e arbitro come questione di competenza, va rammentato che costante giurisprudenza del Supremo Collegio afferma
il principio secondo cui « le sentenze che statuiscono sulla competenza — ad
eccezione delle decisioni della Corte di Cassazione in sede di regolamento di
competenza — non sono suscettibili di passare in cosa giudicata in senso sostanziale, poiché la decisione sulla questione di competenza, emessa dal giudice di
merito con sentenza non più impugnabile, dà luogo al giudicato formale, il quale
si concreta in una preclusione alla riproposizione della questione soltanto davanti
al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso
dalle stesse parti dinanzi ad un giudice diverso » [così Cass. 14 novembre 2003, n.
17248; conformemente Cass. 7 gennaio 1983, n. 112; Cass. 20 maggio 1991, n. 5649;
Cass. 8 marzo 1995, n. 2697; Cass. 22 marzo 1995, n. 3313; Cass. 17 novembre 1999,
n. 12753; Cass. 23 aprile 2004, n. 7775].
Tale orientamento è stato ribadito nella decisione resa a Sezione Unite dalla
Corte di Cassazione n. 15905 del 13 luglio 2006 nella cui motivazione si legge che
« in assenza del regolamento di competenza, ad istanza di parte o d’ufficio (nei
limitati casi in cui quest’ultimo è ammesso a norma dell’art. 45 c.p.c.), l’incontestabilità della competenza del giudice (tanto per la causa che gli viene trasmessa,
quanto per quella già presso di lui pendente) dà luogo ad un giudicato formale, che
preclude la riproposizione della questione nello stesso processo ».
L’applicazione del principio sopra enunciato al caso del giudice territoriale
che si sia espresso, affermandola, sulla competenza del giudice arbitro a conoscere
di una determinata controversia, comporta — per dirla con Cass. 8 giugno 2007, n.
13508 — che è « rimessa agli arbitri la verifica della regolarità della loro investitura
ad opera dei contraenti poiché la mancata impugnazione della pronuncia sulla
competenza dà luogo soltanto a giudicato formale che preclude la riproposizione
della questione davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un diverso
processo promosso dalle parti dinanzi a un giudice diverso e, meno che mai, nel
giudizio arbitrale che non costituisce prosecuzione del giudizio instaurato dinanzi a
giudice incompetente ».
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Ritiene il Collegio che da tale consolidato orientamento non vi siano motivi
per discostarsi: a maggior ragione in un caso, quale quello sottoposto a scrutinio,
nel quale l’azione esercitata davanti al tribunale (adempimento di contratto) è
diversa per causa petendi e per petitum da quella esercitata davanti al giudice
arbitro (risarcimento del danno da inadempimento), diversità in ragione della
quale non può nemmeno ipotizzarsi che il giudizio arbitrale costituisca prosecuzione di quello celebratosi dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.
2. Così accertata la competenza del Collegio a conoscere tutte le questioni
che sono state sottoposte al suo vaglio, ivi incluse quelle di carattere pregiudiziale,
occorre prendere in esame le eccezioni di invalidità della clausola arbitrale, a
cominciare da quella [...] che ne sostiene la nullità in ragione di difetto di forma.
Con tale eccezione la Y s.r.l. si duole di ciò che l’« impegno per la sottoscrizione di azioni ordinarie di X s.p.a. », documento contenente il patto compromissorio, pur sottoscritto (solo) dalla Y s.r.l., non sia stato da essa inviato alla X s.p.a.
« nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e
la ricezione dei documenti teletrasmessi » così come richiesto dall’art. 807, 2°
comma, c.p.c.
Osserva anzitutto il Collegio che deve darsi per acquisito che il documento
contenente la clausola compromissoria fu inviato dalla Y s.r.l. alla X s.p.a. per
mezzo di messaggio di posta elettronica “ordinaria” (cioè non certificata). (Omissis). L’eccezione in parola non riguarda la bontà intrinseca del documento: a) la
sua produzione solo in fotocopia non è mai stata contestata; b) la Y s.r.l. non ha
mai disconosciuto che la firma appostavi sia quella del (omissis), legale rappresentante della stessa Y s.r.l. (omissis).
Si tratta quindi di stabilire se — come contesta la Y s.r.l. — le modalità
osservate per la trasmissione del documento da essa sottoscritto siano idonee a
integrare il requisito della forma scritta che, a pena di nullità, il compromesso deve
possedere ai sensi dell’art. 807 c.p.c. (omissis).
Non risulta che la Y s.r.l. abbia trasmesso il documento de quo avvalendosi di
e-mail certificata (omissis). Il documento contenente la clausola compromissoria è
stato trasmesso per mezzo di un messaggio di posta elettronica “ordinaria”.
Osserva il Collegio che nel caso di specie non ci si trova in presenza di un
« documento informatico », bensì di un documento in forma cartacea, con sottoscrizione autografa, trasmesso in via informatica. Si tratta allora di stabilire se
anche in tale ipotesi possa parlarsi di documento in forma scritta solo a condizione
che lo stesso sia stato trasmesso e ricevuto utilizzando una e-mail certificata
(omissis), come si potrebbe ritenere alla luce della ratio dell’art. 807, 2° comma,
c.p.c., per quanto volta ad assicurare certezza in ordine alla provenienza e alla
destinazione dell’espressione della volontà compromissoria, onde l’equivalenza
(« la forma scritta s’intende rispettata anche quando ») fra gli ordinari mezzi di
espressione della volontà (la forma scritta che il 1° comma dell’art. 807 c.p.c.
richiede ad substantiam) e quelli citati dalla norma venga conseguita soltanto a
condizione che siano rispettate le disposizioni previste per « la trasmissione e la
ricezione dei documenti teletrasmessi ».
(Omissis). Il documento teletrasmesso è (non lo si contesta) conforme all’originale; la firma che vi compare (anche questo è ammesso) è del legale rappresentante della società nel cui nome è sottoscritto; è uscito dalla sfera giuridica della
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Y s.r.l. (la circostanza non è mai stata contestata, ma anzi esplicitamente riconosciuta) plena voluntate; è stato ricevuto (ciò pure è pacifico: né vi è controversia sul
quando) dal suo destinatario.
Si tratta di circostanze di fronte alle quali il mezzo di trasmissione del
documento sbiadisce, restando assorbito dalla sua — non contestata — intrinseca
genuinità e riferibilità subiettiva, al cospetto della quale discorrere dello strumento
utilizzato per il suo invio (forma o mezzo o strumento di inoltro) si rivela superfluo
[e si veda, in senso conforme, con riguardo ad un contratto contenente clausola
compromissoria sottoscritto dalla parte e trasmesso a mezzo telefax, la motivazione di Cass. 14 giugno 2007, n. 13916].
Quanto appena osservato induce a soggiungere che — poiché, come già s’è
detto, nel caso di specie non ci si trova in presenza di un « documento informatico », bensì di un documento in forma cartacea con sottoscrizione autografa
trasmesso in via informatica — non ha ragione di prendere risalto la regola
consegnata all’art. 20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 82 del 2005 (già art. 10 del d.p.r.
28 dicembre 2000, n. 445), che — con riguardo al « documento informatico » in
senso stretto privo della sottoscrizione informatica e dunque con sottoscrizione
c.d. “semplice” o “leggera”, e pertanto anche con riguardo a un documento
trasmesso con e-mail non certificata — comunque consente all’interprete di
valutare, « tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza,
integrità ed immodificabilità », se un siffatto documento sia o non sia idoneo a
soddisfare il requisito della forma scritta: valutazione che, nel nostro caso, considerate tutte le circostanze poc’anzi segnalate (alle quali non manca di affiancarsi
il fatto che nel corso del giudizio che ha trovato epilogo nella sentenza del
Tribunale di Roma ggmmaa, la Y s.r.l. aveva invocato l’atto de quo al fine di
eccepire sia l’incompetenza del giudice ordinario in favore del giudice arbitro, sia
l’incompetenza territoriale del Giudice capitolino assumendo che a pronunciarsi
dovesse essere il Tribunale di Ravenna per essere stato quel documento da essa
sottoscritto in detta città), dovrebbe concludersi con un verdetto di segno positivo.
L’eccezione di nullità della clausola compromissoria per mancato rispetto del
requisito della forma scritta è pertanto rigettata.
Sull’efficacia della pronuncia del giudice che declina la propria competenza in favore dell’arbitro e sulla forma dell’accordo di arbitrato.
La pronuncia arbitrale in commento offre lo spunto per esaminare
alcuni dei punti maggiormente critici della disciplina dell’arbitrato e, in
particolare, quello relativo alla efficacia delle sentenze declinatorie
emesse dal giudice ordinario che abbia accertato l’esistenza di un patto
compromissorio tra le parti in causa e quello relativo alla forma di
conclusione dell’accordo arbitrale.
1. Sotto il primo profilo, occorre rilevare come sebbene il lodo in
commento sia stato sottoscritto il 10 maggio 2012 e, dunque, preceda la
decisione n. 22002 del 2012 della Suprema Corte e, sopratutto, la decisione
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della Corte Costituzionale n. 223 del 19 luglio 2013, il profilo critico che
esso solleva, nonostante tali interventi della giurisprudenza di legittimità e
del giudice delle leggi, debba ritenersi ancora attuale.
Come è noto, nella sua formulazione originaria, il terzo comma
dell’art. 819-ter c.p.c. prevedeva che « nei rapporti tra arbitrato e processo
non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 295 ».
In un sistema in cui la pronuncia con la quale l’arbitro o il giudice
declinano la competenza a conoscere della controversia ad essi devoluta
non produce alcun effetto che consenta la riassunzione o la prosecuzione
del giudizio dinanzi al giudice o all’arbitro dichiarato competente, gli
effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva (fatto salvo
quello interruttivo istantaneo della prescrizione ex art. 2943, 3° comma,
c.c.) restano irrimediabilmente confinati al procedimento concluso con la
pronuncia declinatoria, con conseguenze potenzialmente decisive per la
tutela del diritto fatto valere nel giudizio.
L’esempio più evidente è quello della delibera societaria che, laddove
impugnata tempestivamente nel termine decadenziale di cui all’art. 2377,
6° comma, c.c. ma dinanzi ad un organo (giurisdizionale o arbitrale)
incompetente, in assenza di un sistema che consenta la prosecuzione del
procedimento di fronte all’organo competente, diverrebbe definitivamente intangibile.
A questo decisivo problema aveva tentato di fornire una prima
risposta la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 22002/2012 aveva
affermato che il divieto di applicazione dell’art. 50 c.p.c. contenuto nell’art. 819-ter c.p.c. era da considerare riferito esclusivamente alla fattispecie in cui sia l’arbitro ad escludere la propria competenza e non all’ipotesi
in cui sia il giudice togato a dichiarare la propria incompetenza in quanto,
in tal caso, diverrebbe possibile la riassunzione del processo dinanzi agli
arbitri nel termine indicato dal giudice o, in mancanza, in quello di cui
all’art. 50 c.p.c. (1).
Una seconda decisiva risposta al problema è giunta con la sentenza
della Corte Costituzionale n. 223/2013 (2). Il giudice delle leggi, dopo aver
ritenuto insoddisfacente la soluzione offerta dalla Corte di Cassazione con
la sentenza n. 22002/2012 (3) ha nondimeno dichiarato l’incostituzionalità
(1) Cass., sez. VI civ., 6 dicembre 2010, n. 22002, in questa Rivista, 2013, con nota di
FORNACIARI, Ancora sulla convervazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti fra
giudice e arbitro: Cassazione vs. Corte costituzionale?; in Riv. dir. proc., 2013, 1150, con nota di
SALVANESCHI, Translatio iudicii a senso unico nei rapporti tra arbitro e giudice?
(2) Corte Cost., 19 luglio 2013, n. 223, in Foro it., 2013, 10, I, 2690.
(3) In particolare, la Corte Costituzionale ha ritenuto « fragile » la lettura dell’art. 819-ter
c.p.c. secondo cui poiché il secondo comma di tale disposizione fa riferimento al rapporto « fra
arbitrato e processo » esso non disciplinerebbe il diverso rapporto « fra processo e arbitrato »
al quale, come già chiarito, secondo la Corte di Cassazione, sarebbe, dunque, applicabile il
meccanismo di cui all’art. 50 c.p.c.
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dell’art. 819-ter c.p.c. affermando che in un sistema che riconosce la
possibilità di devolvere agli arbitri la tutela dei diritti, l’errore nell’individuazione dell’autorità (giurisdizionale o arbitrale) competente non deve
pregiudicare il diritto di ottenere una pronuncia di merito da parte
dell’arbitro o del giudice effettivamente competente, con la conseguenza
che è da ritenere illegittima l’esclusione da parte dell’art. 819-ter c.p.c.
dell’applicazione di regole corrispondenti a quella di cui all’art. 50 c.p.c.,
ossia di quelle regole che consentono la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente introdotta dinanzi all’organo poi dichiaratosi incompetente.
La sentenza della Corte Costituzionale, tuttavia, non ha investito la
parte dell’art. 819-ter c.p.c. in cui viene esclusa l’applicazione dell’art. 44
c.p.c., lasciando, dunque, aperto il problema — oggetto del lodo in
commento — di stabilire se la pronuncia con cui il giudice o l’arbitro si
dichiarino incompetenti produca un vincolo sull’autorità (arbitrale o giurisdizionale) effettivamente competente (4).
Al fine di sostenere che la pronuncia declinatoria della competenza,
arbitrale o giurisdizionale, produce effetti nei confronti del giudice o
dell’arbitro ritenuto competente, sono state proposte diverse impostazioni, essenzialmente riconducibili, in ragione dei presupposti normativi
posti a sostegno, a tre teorie.
La prima comprende quelle impostazioni che richiamano disposizioni
speciali — segnatamente l’art. 59 l. 18 giugno 2009 n. 69 (5) — dettate con
riferimento alla translatio judicii tra il giudice ordinario e i giudici speciali
per applicarle al rapporto tra giudice e arbitro (6). Tuttavia, tale procedimento ermeneutico è stato oggetto, sotto diversi profili, di critiche che, da
un lato, hanno fatto riferimento alla funzione delle disposizioni richiamate, che è quella di disciplinare esclusivamente il rapporto fra giurisdizioni e, dunque, un’area cui non è possibile ricondurre la relazione tra
(4) La questione di illegittimità costituzionale aveva ad oggetto esclusivamente la
conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva proposta dinanzi
al giudice o all’arbitro incompetente e tale questione è ben diversa e non necessariamente
coinvolge il diverso profilo dell’efficacia panprocessuale delle pronunce declinatorie (cfr.
MANZO, Translatio iudicii anche nei rapporti fra giudice e arbitro, in Corr. mer., 2013, 4, 393).
(5) I primi due comma della disposizione in esame stabiliscono che: « il giudice che, in
materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio
difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di
giurisdizione. [...] Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della
pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo
processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e
processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e
le decadenze intervenute ».
(6) Cfr. VERDE, Ancora sulla pendenza del giudizio arbitrale, in questa Rivista, 2010, 219
ss.; BOVE, Ricadute sulla disciplina dell’arbitrato della legge n. 69/2009, in AA. VV., Sull’arbitrato.
Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 81 ss.
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giudice e arbitro, e dall’altro lato hanno rilevato come dalla lettura
dell’art. 819-ter c.p.c. emerga chiaramente la volontà del legislatore di
escludere l’applicazione dell’art. 44 c.p.c. nei rapporti tra giudice e arbitro (7). Tali critiche hanno indotto, recentemente, nell’Autore che tale tesi
aveva sostenuto, il convincimento che l’unica possibilità di applicare nei
rapporti tra giudice e arbitro un meccanismo analogo a a quello dell’art. 44
c.p.c. è a tutt’oggi rimessa al necessario intervento del legislatore (8).
Una seconda teoria ritiene che l’efficacia vincolante delle sentenze
con le quali sia stata declinata la competenza arbitrale in favore del
giudice ordinario e viceversa discenda, quale necessario corollario, dalla
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter c.p.c. in
quanto, dalla constatazione per cui ai sensi dell’art. 50 c.p.c. il processo
« continua » dinanzi al giudice competente, dalla considerazione per cui le
sentenze di rito sono efficaci nell’ambito del medesimo processo, dalla
equiparazione degli effetti del lodo alla sentenza ex art. 824-bis c.p.c. e
dalla natura derogabile della competenza arbitrale con conseguente applicazione dell’art. 45 c.p.c., si dovrebbe oggi ritenere l’art. 44 c.p.c.
applicabile alle decisioni rese dagli arbitri o dai giudici togati (9).
Infine un terzo gruppo di teorie riconduce l’effetto vincolante delle
sentenze declinatorie alla loro stessa natura. Più in particolare, dalla loro
ricostruzione in termini di pronunce di merito (10) o dalla individuazione
tra i loro presupposti di un « motivo portante » o, comunque, di un
antecedente logico necessario che vincolerebbe il giudice (o arbitro) ritenuto competente (11), secondo tali impostazioni, discenderebbe un effetto
riconducibile a quello di cui all’art. 44 c.p.c.
In questo quadro caratterizzato da numerosi tentativi di superare la
lettera dell’art. 819-ter c.p.c. — che, tuttavia, non sembra tale da offrire
sufficiente spazio per negare che la volontà del legislatore sia proprio
quella di escludere l’applicazione dell’art. 44 c.p.c. nei rapporti tra arbitri
e giudici — è nuovamente intervenuta la Corte di Cassazione che con la
recente decisione n. 24153 del 25 ottobre 2013 (12) ha definitivamente
escluso la possibilità di attribuire alle pronunce declinatorie della compe(7) BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità del lodo, Napoli, 2005, 429 ss.; ID., Translatio
iudicii nei rapporti tra giudice e arbitro: sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 891-ter
c.p.c., in Riv. dir. proc., 2013, 2, 467; SALVANESCHI, Translatio iudicii a senso unico nel rapporto
tra arbitro e giudice, op. cit., 1151; GASPERINI, Su una proposta di applicazione analogica dell’art.
59 l. 69/2009 ai rapporti fra giudice e arbitri, in in AA.VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni
Verde, Napoli, 2010, 379 ss.
(8) VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, in Corr. Giur.,
2014, 84.
(9) BOCCAGNA, Commento all’art. 819-ter, in Codice di procedura civile, a cura di Consolo,
V ed., Milano, 2013, 1800.
(10) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II ed., Padova, 2012, 204 ss.
(11) LUISO, Ancora sui rapporti fra arbitri e giudice, in questa Rivista, 1997, 518; ID.,
Rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 773.
(12) In Corr. giur., 2014, 84.
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tenza una stabilità che superi il perimetro del processo in cui esse sono
emesse.
Se, infatti, secondo tale decisione « lo stabilire se una controversia
appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configura
come questione di competenza ...(e) lo stabilire se una controversia
appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, e, in tale
ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice
amministrativo o contabile configura, invece, una questione di giurisdizione » (13) appare evidente, come nell’uno e nell’altro caso, la pronuncia
declinatoria debba essere necessariamente ricondotta alla categoria delle
decisioni di rito che, come tali, non producono effetti vincolanti se non
nell’ambito del processo in cui sono emesse (14).
Tornando, dunque, al lodo in commento occorre evidenziare come —
ancorché emesso prima dell’evoluzione giurisprudenziale fin qui illustrata
— con estrema lucidità esso abbia affrontato e risolto il problema del
vincolo prodotto dalla pronuncia declinatoria della competenza emessa
dal giudice ordinario nell’unico modo, anche in ragione della pronuncia
della Corte di Cassazione in esso richiamata (15), consentito dall’ordinamento, ossia negando che tale pronuncia possa produrre effetti extraprocessuali tali cioè da vincolare l’arbitro o il giudice togato di volta in volta
dichiarati competenti in una pronuncia declinatoria.
Non v’è dubbio che, come evidenziato dalla unanimità della dottrina
(16), l’applicazione dell’art. 44 c.p.c. nei rapporti tra giudice e arbitri sia
oggi, proprio alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, assolutamente incoerente con il sistema processuale che ruota intorno al meccanismo della riassunzione secondo schemi analoghi a quello dell’art. 50
c.p.c.; non v’è dubbio che l’effetto vincolante, extraprocessuale, delle
sentenze con cui il giudice togato o l’arbitro si spogliano della controversia
sia divenuto essenziale onde evitare quel ‘corto circuito’ che si produce a
seguito dell’esercizio del potere, non impedito dalla declinatoria di competenza da parte del giudice o dell’arbitro ritenuti competenti, di valutare
autonomamente la validità dell’accordo arbitrale ed eventualmente declinare la competenza dichiarata nella pronuncia in ragione della quale il
(13) Così, Cass. 25 ottobre 2013, n. 24153, cit.
(14) Il rilievo per cui la teoria dell’antecedente logico non supererebbe il limite dell’efficacia endoprocessuale delle pronunce di rito è formulato da BOVE, Ancora sui rapporti tra
arbitro e giudice statale, cit., 357.
(15) Cass. 8 giugno 2007, 13508, in Mass. Giur. It., 2007: « la sentenza che declina la
propria competenza trattandosi di controversia devoluta ad arbitri non contiene alcun accertamento vincolante in ordine alla giuridica esistenza e alla validità della clausola compromissoria, essendo rimessa agli arbitri la verifica della regolarità della loro investitura ad opera dei
contraenti ».
(16) Cfr. ex multis, RUFFINI, in AA.VV., La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di
MENCHINI, Sub art. 819-ter, Padova, 2010, 373; LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in AA.VV.,
La riforma della disciplina dell’arbitrato, a cura di FAZZALARI, Milano, 2006, 121.
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processo è stato riassunto; ma è del pari indubbio che la questione possa
essere risolta esclusivamente attraverso un intervento del legislatore o una
nuova pronuncia della Corte Costituzionale (17), che rimuova l’ostacolo
costituito dall’inapplicabilità dell’art. 44 c.p.c. oggi ancora sancita dall’art.
819-ter c.p.c.
Sebbene, infatti, in caso di declinatoria della competenza da parte del
giudice ordinario, oggi si può affermare, alla luce della pronuncia della
Corte Costituzionale, che il processo arbitrale successivamente incardinato si configura come ‘prosecuzione’ del giudizio originariamente introdotto, tale rilievo non pare sufficiente a superare la constatazione che
l’effetto vincolante della pronuncia declinatoria è necessariamente collegato all’applicazione dell’art. 44 c.p.c. (18) che è esplicitamente esclusa
dall’art. 819-ter c.p.c. dall’ambito dei rapporti tra arbitri e giudici.
Né, del resto, sarebbe condivisibile un percorso interpretativo che
dalla declaratoria di illegittimità dell’art. 819-ter c.p.c. nella parte in cui
applica al rapporto tra giudici e arbitri l’art. 50 c.p.c. volesse far discendere
la tacita abrogazione della parte della medesima disposizione che contempla ancora l’applicazione dell’art. 44 c.p.c. atteso che il presupposto del
meccanismo dell’abrogazione tacita è, come noto, l’incompatibilità assoluta tra la norma non espressamente abrogata e quella ancora in vigore (19), ossia una relazione logico-giuridica che è non agevole rilevare
nel caso in esame.
In conclusione, dunque, il lodo in commento rende evidente quale
possa essere il rischio collegato alla mancata applicazione dell’art. 44 c.p.c.
al rapporto fra arbitri e giudici, un rischio che soltanto un intervento del
legislatore o della Corte Costituzionale può rimuovere definitivamente, e
per altro verso appare corretto nella soluzione offerta al problema della
sussistenza di un vincolo per effetto della declinatoria di competenza da
parte del giudice togato in favore dell’arbitro.
2. Il lodo in commento ha, poi, affrontato il delicato tema delle
forme di conclusione del compromesso alla luce del tenore dell’art. 807
c.p.c. che dopo avere stabilito che l’accordo deve essere « fatto per
iscritto » aggiunge al secondo comma che tale forma si intende rispettata
« anche » quando la volontà delle parti è espressa « per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa,
(17) Il dubbio di costituzionalità circa l’esclusione dell’applicazione dell’art. 44 c.p.c. dal
rapporto tra arbitro e giudice è stato sollevato da ACONE, Arbitrato e traslatio iudicii: un parere
eretico, in AA.VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 14; cfr. sul punto
anche BOCCAGNA, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, in
Studi in onore di Carmine Punzi, II, Torino, 2008, 329.
(18) Cfr. Cass., 31 ottobre 2008, n. 26327, in Mass. Giur. It., 2008.
(19) Cfr. ex multis, Cass., Sez. un., 16 maggio 2013, n. 11833.
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anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi ».
Nel caso esaminato nel lodo in commento, il compromesso era stato
sottoscritto e inviato in copia, con mail semplice (ossia non certificata), al
proponente il quale, nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, aveva
contestato la competenza dell’autorità giudiziaria adita, producendo il
documento così sottoscritto.
Come è noto, la forma di cui all’art. 807 c.p.c. è richiesta ad substantiam (20) e, tuttavia, il secondo comma di tale disposizione contempla una
serie di forme di conclusione dell’accordo arbitrale collegate alla trasmissione a distanza della proposta e dell’accettazione dell’accordo arbitrale.
In questa direzione, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha sempre considerato possibile la conclusione dell’accordo arbitrale mediante
sottoscrizione di due documenti separati purché collegati (21) nonché la
conferma della conclusione dell’accordo mediante l’equipollente della
produzione in giudizio (22).
Come emerge dal lodo in esame, nella realtà, il problema della
conclusione dell’accordo arbitrale deve essere ricondotto allo schema
dell’art. 1326 c.c. e deve essere risolto facendo applicazione dei generali
principi relativi al procedimento di formazione della volontà contrattuale.
Sotto questo profilo, l’utilizzo dei sistemi telematici o, comunque, a
distanza non altera l’ordinaria sequenza procedimentale di formazione
della volontà contrattuale (23) ma, più semplicemente, rende più complessa l’analisi del requisito del c.d. indirizzamento della dichiarazione
negoziale (24).
È proprio in questa prospettiva che deve essere esaminato il problema affrontato nel lodo in esame. Dopo aver accertato che, secondo gli
ordinari principi del diritto civile, la dichiarazione di accettazione dell’accordo arbitrale, secondo il paradigma di cui all’art. 1335 c.c., era stata
volontariamente indirizzata al proponente, ma in forma diversa da quelle
contemplate dall’art. 807, 2° comma, c.p.c., il Collegio arbitrale ha dovuto
stabilire se la volontà del legislatore fosse quella di attribuire esclusività a
tali forme.
Anche qui, a meno di ritenere assai illogicamente che l’art. 807 c.p.c.
contenga una disciplina speciale della formazione dell’accordo arbitrale
(20) Cass., 30 settembre 2010, n. 20504, in CED Cass. 2010.
(21) Cfr. Cass., 23 febbraio 1999, n. 1541, in Mass. Giur. It., 1999; Cass., 22 febbraio 2000,
n. 1989, in questa Rivista, 2001, 35; Cass., 30 settembre 2010, n. 20504, in CED Cass. 2010.
(22) Cass., 28 marzo 1991, n. 3362, in questa Rivista, 1992, 47.
(23) FOLLIERI, Il contratto concluso in Internet, Napoli, 2005, 117 ss; TOSI, Contrattazione
telematica e conclusione del contratto, in Commercio elettronico, documento informatico e firma
digitale — La nuova disciplina, Torino, 2003, 104 ss.
(24) D’ANGELO, Proposta e accettazione, in Trattato del contratto — Formazione, Vol. I,
a cura di ROPPO, Milano, 2006, 39 ss.
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tale da escludere l’applicazione dei principi generali in materia di formazione del contratto, non si può non ritenere corretta la soluzione offerta
nel lodo in commento.
Se, dunque, l’accettazione dell’accordo arbitrale viene indirizzata al
proponente con forme diverse da quelle contemplate dall’art. 807 c.p.c. e,
più in particolare, con una mail ordinaria e non certificata, non sarebbe
logico escludere — negando applicazione ai principi generali espressi in
materia di indirizzamento della accettazione (25) — la valida conclusione
di un accordo tra le parti.
Condivisibilmente, dunque, il lodo in esame ha ritenuto che l’art. 807
c.p.c. non contenesse una disciplina speciale o, quantomeno, tanto speciale
da escludere l’applicazione degli ordinari principi generali in materia di
formazione dell’accordo contrattuale.
Del resto questa considerazione trova conferma, da un lato, nell’utilizzo dell’avverbio « anche » contenuto nel secondo comma dell’art. 807
c.p.c. che rende evidente come la disposizione contempli solo alcune delle
forme attraverso cui è possibile concludere l’accordo arbitrale e, dall’altro
lato, nell’evoluzione sopratutto legislativa che ha, infine, conferito alla
mail semplice (ossia non certificata) il valore di “documento informatico
con firma elettronica non avanzata o semplice” che, ai sensi dell’art. 20
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, comma 1-bis, è liberamente valutabile dal
giudice (26).
Nel contesto considerato, caratterizzato dall’eccezione di compromesso arbitrale sollevata dalla società Y dinanzi al giudice ordinario e
dalla produzione nel giudizio arbitrale da parte della società X dell’accordo arbitrale, l’invio a mezzo di mail semplice non poteva non assumere,
dunque, la rilevanza decisiva nella valutazione circa la stipula del compromesso arbitrale che le è stata correttamente attribuita nel lodo in
esame.
FABRIZIO RAVIDÀ
(25) SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 9ª, 1986, 145; SACCO,
in SACCO e DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato Sacco, 3ª ed., Milano, 2004, 152; ROPPO, Il
contratto, in Trattao Iudica-Zatti, Milano, 2001, 102 e 807.
(26) Cfr. SGOBBO, Il valore probatorio dell’e-mail, in Corr. mer., 2011, 802; JORIO, L’efficacia probatoria della e-mail, in Giur. It., 2005, 1028; ROGNETTA, Decreti ingiuntivi basati su
e-mail: la configurabilità della firma elettronica ai fini della forma scritta, in Diritto dell’Internet,
2005, 34 e ss.
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COLLEGIO ARBITRALE (Zaccheo Pres., Auletta, Tortorella); nella controversia
tra il Signor X (avv. Marchese) e la Società Y (avv. Gentile); lodo reso in Roma
il 22 luglio 2013.
Arbitrato - Domanda di risoluzione per inadempimento - Recesso dell’attore dal
contratto nel corso del processo - Effetti - Rinuncia al diritto alla risoluzione
del contratto - Rigetto della domanda.
Proposta domanda di risoluzione per inadempimento, il recesso dell’attore dal
contratto (nel caso di specie, di prestazione sportiva) nel corso del processo implica
la rinuncia dello stesso ad avvalersi dell’inadempimento quale motivo di scioglimento del rapporto, di guisa che la domanda di risoluzione deve essere rigettata
perché infondata.
CENNI DI FATTO. — Un calciatore professionista propone, dinanzi al Collegio
arbitrale previsto dall’Accordo collettivo tra la Federazione Italiana Giuoco
Calcio, la Lega Nazionale Professionisti Serie A e l’Associazione Italiana Calciatori, domanda di risoluzione del contratto di prestazione sportiva, deducendo a
fondamento della stessa l’inadempimento della società per la quale era tesserato,
consistente, secondo la prospettazione attorea, nell’illegittima esclusione dagli
allenamenti della prima squadra. La società si difende, affermando che tale
provvedimento era stato assunto a seguito di comportamenti del calciatore non
rispondenti allo standard richiesto ad uno sportivo professionista, il cui reiterarsi
aveva determinato un’insanabile frattura con lo staff tecnico ed il gruppo della
prima squadra. Nel corso del processo, conclusa la fase istruttoria, l’attore invia al
Collegio arbitrale una dichiarazione, con la quale comunica agli arbitri di essersi
unilateralmente liberato dal vincolo contrattuale e di non avere più interesse alla
pronuncia di risoluzione del contratto richiesta con la domanda di arbitrato.
MOTIVI
DELLA DECISIONE.
— (Omissis).
1. Lamenta il sig. X la violazione degli artt. 7.1, 11.1 e 12.2 dell’Accordo
Collettivo A.I.C.-L.N.P.A.-F.I.G.C. a causa della sua illegittima esclusione dagli
allenamenti della prima squadra a far data dalla metà del mese di dicembre 2012
e la sua mancata reintegrazione nel termine fissato dall’Accordo Collettivo. In
ragione dell’inadempimento, il sig. X, a norma dell’art. 12 dell’Accordo Collettivo
A.I.C.-L.N.P.A.-F.I.G.C., chiede la risoluzione del contratto.
Resiste la Società Y contestando gli inadempimenti imputati ed eccependo
che le scelte di cui il sig. X è risultato destinatario sono tutte di natura tecnica e non
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di natura disciplinare. Sostiene l’argomento usato attraverso il riferimento ad una
pluralità di fatti nei quali il sig. X non avrebbe tenuto un comportamento
compatibile con lo standard professionale richiesto dalla natura del rapporto, e il
cui reiterarsi avrebbe determinato una insanabile situazione di frattura con lo staff
tecnico e con il gruppo della prima squadra.
I testi rispettivamente indicati dalle parti hanno sostanzialmente confermato
le posizioni delle medesime.
2. Da un punto di vista logico, oggetto di esame da parte del Collegio
dovrebbe essere la condotta tenuta dalle parti nel corso del rapporto, al fine di
valutare, anche comparativamente, le condotte antidoverose reciprocamente addebitate e, così, la conseguente domanda di risoluzione proposta dal sig. X, alla
luce delle eccezioni mosse dalla Società Y ed all’esito delle prove documentali e
testimoniali.
3. Una sopravvenienza, tuttavia, impone, per economia della decisione ma
senza così mutarne l’attitudine a produrre tutti gli effetti suoi propri, di invertire
l’ordine altrimenti più naturale delle questioni sub iudice.
È giunta (anche) al Collegio Arbitrale, in data 5.7.2013, una comunicazione
sottoscritta dal sig. X con la quale questi dichiara di essersi unilateralmente
liberato dal vincolo contrattuale e di non aver più interesse alle corrispondenti
pronunce da parte di questo Collegio, in ragione del raggiungimento dello scopo
che, attraverso la domande articolate in arbitrato, si era inizialmente proposto di
raggiungere.
4. Osserva il Collegio che la comunicazione del sig. X, quanto allo scopo che
intende perseguire, si sovrappone in particolare alla seconda domanda articolata
da quest’ultimo, avente ad oggetto proprio la dichiarazione di risoluzione del
contratto in essere tra le parti in ragione dell’inadempimento da lui ascritto
esclusivamente alla Società Y: domanda in funzione della quale l’accertamento
previo dell’inadempimento di quest’ultima pure era stato domandato di dichiarare.
Come è noto, con la domanda di risoluzione, una parte di un contratto
intende raggiungere lo scopo di ottenere una pronuncia costitutiva di scioglimento
del rapporto contrattuale in ragione dei presupposti tipici indicati dalla legge (così
l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta). La comunicazione del sig. X, con la quale viene attestato (anche) al Collegio
il sopravvenuto recesso unilaterale, ha il medesimo scopo sostanziale perseguito
attraverso la domanda di risoluzione: assicurare lo scioglimento del rapporto
contrattuale non già attraverso una sentenza (o lodo), ma attraverso un atto
unilaterale, a determinate condizioni finanche con uguale capacità di produzione
degli effetti nel tempo.
5. Il Collegio non ha alcun potere dichiarativo in ordine al recesso esercitato
dal sig. X, trattandosi di atto di esercizio di pretesi diritti sulla base di presupposti
ignoti, e non già di norme dell’Accordo Collettivo A.I.C.-L.N.P.A.-F.I.G.C. e del
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contratto sottoscritto dalle parti donde questo Collegio mutua il suo potere di
decisione nel merito.
6. Si tratta, allora, di stabilire quale sia la rilevanza del mero fatto sopravvenuto rispetto a quelli allegati in via principale nel procedimento arbitrale. A tal
proposito, il Collegio ritiene, in adesione al principio di tendenziale irrilevanza
delle sopravvenienze nell’ambito delle azioni costitutive non necessarie (cioè
intese — come nel caso che occupa — alla produzione di risultati non interdetti in
via di principio all’autonomia negoziale delle parti), che la situazione giuridica
sostanziale dedotta davanti al Collegio non possa venir meno, quale oggetto di
giudizio, in ragione del dichiarato dis-interesse unilaterale del (solo) sig. X, in
misura esattamente simmetrica alla irrilevanza legislativamente stabilita che affetterebbe il suo eventuale quanto sopravvenuto interesse per la reviviscenza delle
obbligazioni contrattuali (arg. ex art. 1453, 2° comma, c.c., per cui « non può
chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione ») e — all’inverso
— per un’accidentale disponibilità che venisse affermata unilateralmente dalla
Società per l’adempimento delle medesime obbligazioni nel senso auspicato dal
Calciatore (« Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più
adempiere la propria obbligazione »); conseguentemente il Collegio deve senz’altro pronunciarsi nel merito delle domande articolate dalle parti.
7. Gli argomenti che confortano questa conclusione sono dunque di duplice
ordine: in primo luogo, il venir meno dell’interesse ad avvalersi degli effetti
solutori dell’inadempimento è manifestazione di volontà del solo sig. X, ma non
anche della Società Y, la quale, nel corso dell’udienza del 15 luglio 2012, ha
ribadito il proprio interesse all’accertamento di segno contrario, il che sostanzia un
vero e proprio diritto del convenuto anche a norma degli artt. 306, 1° comma, e
816-bis, 1° comma, c.p.c.; in secondo luogo, l’azione di risoluzione, in quanto
azione costitutiva, rimane azione tipica. Ne discende che l’azione proposta nel
presente giudizio dal sig. X può trovare accoglimento solo se i fatti invocati a
sostegno della domanda siano tutti corrispondenti, all’atto della manifestazione
della volontà della parte di conseguire gli effetti modificativi del rapporto sostanziale, alla fattispecie descritta dall’art. 1453 cod. civ.
8. Alla luce di quanto precede, osserva il Collegio che la più recente
dichiarazione del sig. X, logicamente incompatibile con la sua prospettazione
originaria, certamente rimuove almeno uno degli elementi essenziali della fattispecie normativa, nel senso che fa escludere definitivamente, già sulla base
dell’allegazione attuale della parte istante, la volontà di avvalersi degli effetti
dell’inadempimento in principio imputato alla Società Y quale presupposto della
domanda di risoluzione e in ipotesi causativo di quest’ultima. Invero, il rimedio
negoziale usato dal sig. X, che logicamente muove dalla efficacia ultrattiva del
contratto ancora in corso tra le parti al momento dell’esercizio di tale potere
unilaterale, si pone in alternativa rispetto al rimedio giudiziale già invocato in
arbitrato e, pur non svolgendo in questo la funzione di ulteriore oggetto di
decisione, per le ragioni sopra esposte, rivela una volontà abdicativa del diritto al
provvedimento inizialmente invocato, i.e. alla modificazione con efficacia retroat615
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tiva — a norma dell’art. 1458 c.c. — del rapporto sostanziale derivante dalla
fattispecie originariamente invocata di inadempimento altrui. Sennonché, una
volta escluso quest’ultimo finanche in tesi da parte dell’interessato, il sindacato
circa la importanza dell’inadempimento a norma dell’art. 1455 c.c. (« Il contratto
non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza »)
nemmeno si rende possibile, e viene in ultimo impedita la compiutezza della stessa
fattispecie tipica dell’azione promossa.
Ne discende che la decisione di accoglimento della richiesta formulata dal sig.
X non può essere assunta dal Collegio perché la fattispecie prevista dall’art. 1453
cod. civ. deve escludersi che possa dirsi realizzata già per la condotta di ritrattazione auto responsabilmente tenuta da parte attrice; con la conseguenza che la
domanda deve essere respinta non già perché manca l’interesse ad agire (notoriamente privo di autonomia funzionale tra le condizioni dell’azione quando trattasi
di azione costitutiva), ma perché manca il diritto fatto valere dal sig. X.
A tale conclusione, peraltro, il Collegio — che a più forte ragione rimane
assolto da ogni altro dovere di accertamento anche soltanto comparativo delle
reciproche allegazioni di addebito — deve giungere non solo per la manifestazione
reiterata dell’interesse alla decisione di merito da parte (del difensore) della
Società Y, ma anche in ragione della richiesta, sottoscritta nel verbale della
riunione ultima del Collegio con le parti, del rappresentante del sig. X: il quale, pur
rimettendo al Collegio di apprezzare la rilevanza della comunicazione sopravvenuta, ha insistito sull’accertamento di fondatezza, anche soltanto virtuale, della
domanda già dedotta in giudizio, così contribuendo, nell’ambito della medesima
parte attrice, a non escludere univocamente il dovere degli Arbitri di assumere la
decisione nel merito.
9. La mancata integrazione della fattispecie di cui all’art. 1453 cod. civ.
esonera il Collegio dallo scrutinio di ogni altro elemento della fattispecie astrattamente produttiva del diritto alla risoluzione per grave inadempimento: diritto
escluso di per sé dalla oggettiva negazione di ogni efficienza causale dell’inadempimento olim ascritto alla Società Y.
10. La decisione è assunta sulla base dell’Accordo Collettivo A.I.C.L.N.P.A.-F.I.G.C. e del Regolamento 23 marzo 2012 dei Collegi Arbitrali previsti
dall’Accordo Collettivo A.I.C.-L.N.P.A.-F.I.G.C. stipulato il 5 settembre 2011.
Domanda di risoluzione per inadempimento e recesso dell’attore dal
contratto nel corso del processo.
1. Un calciatore professionista aveva proposto, dinanzi al Collegio
arbitrale previsto dall’Accordo collettivo tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la Lega Nazionale Professionisti Serie A e l’Associazione
Italiana Calciatori, domanda di risoluzione del contratto di prestazione
sportiva, allegando l’inadempimento della società per la quale era tesserato, consistente nella (asseritamente) illegittima esclusione dagli allena616
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menti della prima squadra; la convenuta negava l’inadempimento imputatole, rilevando che i provvedimenti assunti nei riguardi dell’attore
avevano natura tecnica e non disciplinare, in quanto essi erano conseguiti
a condotte del calciatore non rispondenti allo standard richiesto ad uno
sportivo professionista.
Nel corso del procedimento, conclusa la fase istruttoria, era pervenuta
al Collegio una dichiarazione sottoscritta dal calciatore, con la quale egli
comunicava agli arbitri di essersi unilateralmente liberato dal vincolo
contrattuale e di non avere più interesse alla pronuncia di risoluzione,
atteso il raggiungimento dello scopo, che, con la domanda di arbitrato, egli
aveva inteso perseguire.
L’attore non presentava, nel procedimento arbitrale, una formale
rinuncia agli atti (anzi, il suo difensore insisteva per l’accertamento della
fondatezza, almeno virtuale, dell’azione proposta); dal canto suo, la società convenuta chiedeva espressamente agli arbitri di pronunciarsi sulla
domanda di risoluzione del contratto articolata dal calciatore.
Nel lodo, il Collegio ha affermato che: a) la dichiarazione del calciatore, con il quale egli aveva comunicato di essere receduto unilateralmente dal contratto, costituisce un fatto sopravvenuto, che deve essere
preso in esame ai fini della decisione; b) il recesso non può essere oggetto
di accertamento, ma assume rilievo in giudizio quale mero fatto; c) il
recesso dal contratto del calciatore non fa venire meno la situazione
giuridica sostanziale oggetto del giudizio, di guisa che la domanda di
risoluzione deve essere decisa nel merito; d) la sopravvenuta dichiarazione
di recesso implica la rinuncia dell’attore ad avvalersi degli effetti dell’inadempimento e, quindi, determina il rigetto, nel merito, della domanda di
risoluzione; infatti, “la fattispecie prevista dall’art. 1453 c.c. deve escludersi
che possa dirsi realizzata già per la condotta di ritrattazione autoresponsabilmente tenuta da parte attrice », con la conseguenza che « la domanda
deve essere respinta non già perché manca l’interesse ad agire (....), ma
perché manca il diritto fatto valere (...)”.
La pronuncia in commento consente di svolgere alcune riflessioni di
carattere generale sui rapporti tra la domanda di risoluzione per inadempimento ed il recesso dell’attore dal contratto nel corso del processo,
all’esito delle quali sarà possibile tornare alla fattispecie concreta decisa
dal Collegio arbitrale.
2. L’azione di risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) ed il
potere di recesso hanno il comune effetto di determinare lo scioglimento
del vincolo contrattuale e l’estinzione del rapporto avente titolo nel
negozio; tuttavia, diverse sono le tecniche di produzione dell’effetto
giuridico: l’effetto estintivo, nel primo caso, è realizzato dalla pronuncia
(giurisdizionale o arbitrale) di accoglimento della domanda, mentre, nel
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secondo, è attuato direttamente dall’atto unilaterale della parte, di esercizio del potere sostanziale.
L’azione di risoluzione prevista dall’art. 1453 c.c. ha carattere costitutivo; con la domanda giudiziale, è richiesto al giudice di disporre l’effetto
risolutorio e la modificazione giuridica è prodotta dal provvedimento
giurisdizionale di accoglimento (1). In modo diverso, il recesso (rectius,
l’atto di parte con cui tale potere è esercitato, la dichiarazione potestativa)
attua direttamente l’effetto giuridico, senza necessità dell’intermediazione
dell’accertamento giurisdizionale, di guisa che, ai fini della modificazione
giuridica, non è necessaria la proposizione della domanda giudiziale;
questa è solo eventuale e, se esercitata, si configura quale domanda di
mero accertamento, volta a vedere dichiarata l’estinzione del rapporto
giuridico avente titolo nel contratto, in ragione degli effetti già verificatisi
sul piano della realtà sostanziale in conseguenza dell’atto unilaterale (2).
Peraltro, nei due ordini di ipotesi, lo scioglimento del rapporto può
realizzarsi con diverse modalità temporali. La risoluzione pronunciata ai
sensi dell’art. 1453 c.c., per regola generale, opera con efficacia retroattiva
inter partes (art. 1458 c.c.). In relazione ai poteri di recesso, invece, occorre
distinguere, a seconda della figura che, di volta in volta, viene in considerazione: nei recessi e, più ampiamente, nei poteri sostanziali a funzione
impugnatoria, che hanno quale presupposto l’inadempimento (confronta,
ad esempio, gli artt. 1385, 1454 e 1456 c.c.), le modalità temporali dell’effetto, almeno tra le parti del contratto, sono identiche a quelle della
corrispondente figura di azione costitutiva; invece, nei recessi aventi una
diversa funzione, penitenziale o determinativa, lo scioglimento del rapporto opera, di regola, con efficacia ex nunc (3).
(1) La configurazione della fattispecie di risoluzione disciplinata dall’art. 1453 c.c. quale
azione costitutiva è fermissima in giurisprudenza ed è sostenuta dalla dottrina assolutamente
maggioritaria, nella quale, tuttavia, è presente anche una diversa impostazione, che ricostruisce
la figura come un’ipotesi di potere sostanziale risolutorio (per la più compiuta elaborazione di
questa teoria, confronta PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, Milano, 1998, 324 ss.).
(2) In questo modo, confronta, MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano,
1987, 142-143, 325-326; PAGNI, op. cit., 288 ss., specie 290; LUISO, Diritto processuale civile, I, I
principi generali, 7ª ed., Milano, 2013, 15; ALLORIO, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giurisdizionale, Milano, 1957, 30 ss., specie 111; CONSOLO, Oggetto del giudicato e
principio dispositivo, II, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 561 ss., specie 571; ORIANI, Diritti
potestativi, contestazione stragiudiziale, decadenza, Padova, 2003, 98 ss.; PROTO PISANI, Le tutele
giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 209 (ove è riprodotto il saggio Appunti sulla tutela cd.
costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 60 ss.);
FORNACIARI, Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino, 1999, 203 ss., 215 ss.; al
riguardo, sia consentito rinviare anche a MOTTO, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale,
Torino, 2012, 549 ss., specie 551.
(3) La dottrina civilistica ha posto in rilievo che il recesso non costituisce un istituto
unitario, in quanto occorre distinguere diverse categorie, in ragione della funzione (impugnatoria, penitenziale o determinativa) esplicata dalla figura di volta in volta in considerazione
(GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1983, 1 ss., alla cui impostazione
ha in seguito aderito la dottrina maggioritaria). Tra le fattispecie di recesso cd. penitenziale, che
consentono alla parte di sciogliersi dal rapporto, effettuando una nuova valutazione di conve-
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Anche le conseguenze giuridiche, di carattere risarcitorio e restitutorio, che sono ricollegate dalla legge allo scioglimento del contratto possono divergere, in dipendenza della causa che l’ha determinato.
In particolare, alla risoluzione del contratto, che consegue all’accoglimento della domanda ex art. 1453 c.c. o all’esercizio di un potere
sostanziale impugnatorio (quali, ad esempio, quelli dell’art. 1454 e 1456
c.c.), può accompagnarsi il diritto del contraente fedele al risarcimento del
danno subito per effetto dell’inadempimento della controparte. Invece,
nel caso di esercizio di un recesso a funzione determinativa o penitenziale,
è da escludere il diritto di una delle parti al risarcimento del danno; allo
scioglimento del contratto, nei casi previsti dalla legge, è ricollegato il
diritto ad un indennizzo, per lo più a favore della parte che subisce la
scelta dell’altro contraente di porre termine al rapporto.
Analoghi rilievi valgono con riferimento a diritti e pretese, la cui
esistenza e misura dipendono dal rapporto avente titolo nel contratto: solo
se gli effetti negoziali vengono meno con efficacia retroattiva, è eliso il
diritto delle parti all’adempimento delle obbligazioni contrattuali che si
collocano in un momento anteriore a quello in cui si verifica l’effetto
estintivo e, a favore della parte che le abbia (in tutto o in parte) eseguite,
sorge il diritto alle ripetizioni.
3. Secondo la ricostruzione a nostro avviso preferibile, l’oggetto dei
processi costitutivi di impugnazione contrattuale e, quindi, anche del
giudizio di risoluzione ex art. 1453 c.c., è il rapporto giuridico avente titolo
nel negozio (4); la sentenza « stabilisce in modo vincolante le relazioni dei
soggetti intorno alla situazione sostanziale sottoposta a modificazione »,
essa « fissa autoritativamente le condotte delle parti rispetto ad un deternienza dell’affare, si ricordano, ad esempio, i poteri attribuiti al committente nell’ambito dei
contratti cd. di locatio operis dall’art. 1671 c.c. (in materia di appalto), dall’art. 1725, comma 1,
c.c. (in tema di mandato oneroso), dagli artt. 2227 e 2237, comma 1, c.c. (in relazione ai contratti
d’opera) e, nell’ambito della disciplina generale, il recesso, di fonte convenzionale, di cui all’art.
1373 c.c.; tra le figure di recesso cd. determinativo, che consentono alla parte di sciogliersi dal
rapporto di durata a tempo indeterminato, esplicando così la funzione di completare il
regolamento negoziale con l’introduzione del termine mancante, si ricordano, ad esempio, i
poteri previsti dagli artt. 24, comma 2, 2285, comma 1, 2437, comma 3, c.c. (in relazione ai
contratti associativi), dall’art. 1833 c.c. (in materia di conto corrente), dall’art. 1810 c.c. (in tema
di comodato), dall’art. 1569 c.c. (in ordine al contratto di somministrazione) e dall’art. 1616 c.c.
(in relazione al contratto di affitto). Su questi temi, sia consentito rinviare, anche per un
approfondimento sulle modalità temporali di produzione dell’effetto giuridico, a MOTTO, op. cit.,
593 ss.
(4) Questa tesi è minoritaria in dottrina e non è seguita dalla giurisprudenza (confronta,
anche per riferimenti, MENCHINI, Il giudicato civile, 2ª ed., Torino, 2002, 133 ss.); infatti, per
l’orientamento prevalente, l’oggetto dei processi costitutivi è rappresentato dal diritto (per
taluni di natura sostanziale, per altri di natura processuale) alla modificazione giuridica che
l’attore esercita con la domanda giudiziale (cd. Gestaltungsklagerecht). Nel corso del successivo
§ 4, avremo modo di verificare se, e come, mutino le soluzioni da dare al problema oggetto delle
nostre riflessioni, qualora si segua l’impostazione tradizionale.
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minato bene della vita, più esattamente stabilisce il regolamento del
rapporto giuridico che l’attore pretende di modificare » (5).
Qualora, nel corso del giudizio, sia esercitato il recesso, questo
costituisce un fatto rilevante, che, se legittimamente acquisito al processo
(per effetto di affermazione di una delle parti o di altra attività ritualmente
compiuta), può (e talvolta deve) essere esaminato dal giudice ai fini della
decisione (6).
Infatti, la parte che ha domandato la risoluzione e, successivamente,
ha esercitato il recesso, tende a conseguire lo scioglimento del vincolo
contrattuale; d’altro canto, il giudice, per effetto della domanda dell’attore, è chiamato a statuire direttamente sull’esistenza del rapporto giuridico del quale è stata chiesta la modificazione giuridica. Ne consegue che
il magistrato, se ritenga che non vi siano i presupposti per pronunciare la
risoluzione del contratto (ad esempio, l’inadempimento non sussiste o è di
scarsa importanza), deve verificare se, nondimeno, ricorrendo i presupposti del potere di recesso (i quali possono divergere da quelli stabiliti
dall’art. 1453 c.c.) (7), il rapporto sia venuto meno per effetto dell’atto di
esercizio di questo (8).
(5) Così, MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, cit., 190-191. La nostra adesione
a questa impostazione è già stata espressa e motivata nello scritto Azione costitutiva (dir. proc.
civ.), in Enciclopedia Giuridica Treccani, Il diritto on-line, § 4.
(6) L’atto di esercizio del potere produce immediatamente, sul piano della realtà
sostanziale, un effetto giuridico, il quale, per regola generale, non è nella disponibilità esclusiva
di colui che lo ha posto in essere (per indicazioni, infra, nota 18); quando la dichiarazione
potestativa esplica efficacia estintiva del diritto azionato in giudizio, all’interno del processo è
oggetto di un’eccezione rilevabile anche d’ufficio: se il fatto è legittimamente acquisito al
materiale di causa (il che avviene se è stato allegato da una delle parti, indifferentemente
dall’attore o dal convenuto, se emerge dagli scritti difensivi o dalle risultanze istruttorie), il
giudice può porlo a fondamento della decisione, anche in difetto di rilievo ad opera della parte
interessata (MOTTO, Poteri sostanziali, cit., 336, anche in nota 292). A nostro avviso, analoga
regola vale anche nel caso in cui l’atto di esercizio del potere esplichi effetti a favore dell’attore;
se tale fatto è ritualmente acquisito al processo, il giudice può porlo a fondamento della
decisione, quantunque esso non sia stato allegato dall’attore e questi non ne abbia rilevato
l’efficacia giuridica. Infatti, nel processo civile, da un lato, non vige l’onere dell’allegazione dei
fatti costitutivi non aventi carattere individuatore della domanda giudiziale e, da un altro lato,
il rilievo dell’efficacia dei fatti giuridici, abbiano essi carattere costitutivo, ovvero estintivo,
modificativo o impeditivo dell’esistenza della situazione sostanziale dedotta in giudizio, è
riservato alla parte interessata, nelle sole ipotesi di fatti oggetto di eccezioni in senso stretto (in
questo modo, confronta, MENCHINI, Osservazioni critiche sul c.d. onere di allegazione dei fatti
giuridici nel processo civile, in Studi in onore di E. Fazzalari, III, Milano, 1993, 23 ss., specie 29,
32 ss.; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli 2006, 192).
(7) Talvolta, l’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. ed il potere sostanziale hanno almeno
un presupposto costitutivo comune, come è a dirsi rispetto al requisito dell’inadempimento di
non scarsa importanza rispetto ai poteri di cui agli artt. 1454 e 1385 c.c.; altre volte, invece, il
fatto costitutivo del potere sostanziale risolutorio diverge, almeno in parte, da quello richiesto
dall’art. 1453 c.c., come avviene in relazione al potere di cui all’art. 1456 c.c.; in altri casi, infine,
i presupposti dell’azione di risoluzione e del potere sostanziale sono radicalmente diversi, come
accade rispetto alle figure di recesso a funzione determinativa o penitenziale.
(8) Questione almeno in parte diversa, che affronteremo al § 5, è se il giudice possa
decidere la causa sulla base del recesso, senza avere prima verificato se sussistano i presupposti
per pronunciare la risoluzione del contratto; in quella sede, chiariremo anche le ragioni per le
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La dichiarazione potestativa rappresenta, quindi, un fatto giuridico
rilevante ai fini della decisione, che il giudice conosce in via incidentale, ai
fini della statuizione sull’oggetto dell’accertamento; non è necessaria la
proposizione di un’apposita domanda giudiziale per sottoporre all’esame
del giudice l’atto di esercizio del potere, in quanto questo costituisce un
fatto rilevante per l’esistenza del rapporto giuridico, che è posto ad
oggetto del processo dalla (originaria) domanda dell’attore (9).
A questo riguardo, occorre sottolineare un dato.
Poiché l’effetto giuridico estintivo del rapporto è ricollegato dalla
legge non già direttamente all’esistenza del potere, bensì all’atto unilaterale di parte, che di quello costituisce esercizio, il fatto giuridico rilevante
ai fini del giudizio non è il potere di recesso, bensì solo la dichiarazione
potestativa: il rapporto si estingue, non in quanto il soggetto, a seguito del
perfezionamento della fattispecie costitutiva del potere, ne è titolare,
bensì solo in conseguenza dell’atto, con cui egli decide di avvalersene (10).
Discende da ciò che l’atto di esercizio del recesso, se è compiuto nel corso
del giudizio, costituisce un fatto giuridico sopravvenuto, il quale può
essere senz’altro allegato in causa, alla sola condizione che il processo sia
in una fase in cui possono essere introdotte nuove circostanze fattuali
(quindi, nel giudizio statale, sino all’udienza di precisazione delle conclusioni nel grado di merito). Ciò vale anche in relazione a riti processuali
informati al principio di preclusione (come avviene, tipicamente, nei
giudizi a cognizione piena di fronte al giudice dello Stato), tutte le volte
che l’atto di esercizio del potere sostanziale sia stato compiuto posteriormente al termine di decadenza del potere (processuale) di allegazione dei
fatti rilevanti. Infatti, la preclusione può riguardare l’introduzione in
quali, quando sia integrata la fattispecie della risoluzione, l’atto di recesso non costituisce un
elemento ostativo rispetto all’emissione del provvedimento di modificazione giuridica.
(9) Tema distinto rispetto a quello che si sta esaminando è se la proposizione della
domanda di risoluzione, per ragioni di diritto sostanziale, impedisca il valido esercizio del potere
di recesso da parte dell’attore. A tale riguardo, è opportuno ricordare che, secondo parte della
giurisprudenza, la proposizione delle domande di risoluzione per inadempimento e di risarcimento del danno impedisce all’attore di esercitare validamente il potere di recesso ex art. 1385
c.c. e la domanda di ritenzione della caparra o di restituzione del suo doppio (Cass., sez. un., 19
gennaio 2009, n. 553, che può leggersi, tra l’altro, in Riv. dir. proc., 2010, 1189 ss., con nota di
D’ALESSIO, Sulla novità della domanda nei rapporti tra le azioni di recesso e risoluzione del
contratto previste dall’art. 1385 c.c.; in Giur. It., 2009, 1114 ss., con commento di SICCHIERO,
Indisponibilità del’effetto risolutivo stragiudiziale del contratto (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.; in
Danno e resp., 2009, 633 ss., con osservazioni di DELLACASA, Caparra confirmatoria e disponibilità dell’effetto risolutorio). Si condivida o meno questo insegnamento, è però certo che le
ragioni poste a suo fondamento sono strettamente correlate alle peculiarità che il recesso
connesso alla datio di una caparra confirmatoria presenta sotto il profilo del risarcimento del
danno da inadempimento e dei suoi rapporti con l’esercizio dei rimedi ordinari, di guisa che il
principio enunciato non può essere esteso ad altre figure di poteri sostanziali, che, pur
determinando l’estinzione del rapporto, nondimeno hanno un fondamento causale ed un regime
giuridico diversi dall’istituto disciplinato dall’art. 1385 c.c.
(10) MOTTO, Poteri sostanziali, cit., 91 ss., 220 ss., 335; in giurisprudenza, espressamente,
confronta: Cass. 5 gennaio 2005, n. 167.
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giudizio dei soli fatti (giuridici) rilevanti, che siano esistenti, per essersi
perfezionata la relativa fattispecie (eventualmente di carattere complesso), nel momento in cui è comminata la decadenza del potere (processuale) di allegazione; con la conseguenza, che è consentita l’introduzione in causa del fatto (giuridico) che si sia realizzato in seguito (11).
4. Poste queste premesse, occorre adesso precisare quale sia la
rilevanza del recesso nel processo di risoluzione contrattuale e come ciò
influenzi la determinazione dei limiti oggettivi di efficacia del giudicato di
rigetto.
Il giudice è tenuto ad esaminare l’atto di recesso, quando ritenga che
non vi siano i presupposti per pronunciare la risoluzione del contratto; in
tale caso, egli deve esaminare la questione relativa alla validità ed all’efficacia della dichiarazione potestativa, in quanto, essendo chiamato ad
accertare l’esistenza del rapporto giuridico, è tenuto a verificare se questo,
non suscettibile di essere risolto, nondimeno sia venuto meno in conseguenza dell’esercizio del potere sostanziale.
Qualora la questione sia risolta in senso positivo (sussistono i fatti
costitutivi del potere, non ricorrono fatti estintivi, modificativi o impeditivi
della sua esistenza, sono state osservate le regole formali che ne disciplinano le modalità di esercizio), il giudice dichiara l’intervenuto scioglimento del contratto e l’estinzione del rapporto, in conseguenza della
dichiarazione di recesso. Se, invece, la questione è risolta in senso negativo, il giudice dichiara che il rapporto negoziale è esistente, in quanto
esso, da un lato, non è suscettibile di essere risolto e, da un altro lato, non
è stato estinto dal recesso, il quale è stato esercitato invalidamente e,
dunque, in modo inefficace.
In questo secondo caso, è oggetto di decisione incontrovertibile che,
nel momento costituente il referente temporale dell’accertamento, il
rapporto negoziale è esistente ed efficace. Questa statuizione non può
essere posta in discussione dall’attore soccombente mediante la proposizione di una successiva domanda, con la quale egli chieda di accertare che
il rapporto giuridico non è esistente, perché estinto dall’atto di recesso già
dedotto nel primo processo o da un diverso atto di recesso, già compiuto
(11) Poiché, rispetto alle circostanze di fatto, il referente temporale dell’accertamento
contenuto nella sentenza è costituito dall’udienza di precisazione delle conclusioni nel grado di
merito, possono essere introdotti in causa i fatti giuridici rilevanti per l’esistenza ed il modo di
essere della situazione giuridica oggetto del giudizio, che si siano verificati nella realtà sostanziale posteriormente alla preclusione del potere di allegazione, ma anteriormente ad essa (in
questo modo, la dottrina dominante; per tutti, LUISO, op. cit., I, 181; ID., Diritto processuale civile,
II, Il processo di cognizione, 7ª ed., Milano, 2013, 44; CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel
tempo, Milano, 1991, 113 ss., specie 119 ss.); in senso contrario, si segnala ATTARDI, In tema di
limiti oggettivi della cosa giudicata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 475 ss., specie 512-513, per
il quale il referente temporale dell’accertamento deve essere anticipato al momento in cui, in
base al rito processuale applicabile, si preclude il potere di allegazione dei fatti.
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al tempo del primo giudizio, ma al suo interno non dedotto. Infatti, questa
domanda, essendo diretta a vedere dichiarata l’inesistenza del rapporto
nel momento che costituisce il referente temporale della prima pronuncia,
sulla base di un fatto preesistente e deducibile nel processo anteriore, è
preclusa dal giudicato.
Occorre adesso precisare che allo stesso esito decisorio e ad analoga
portata dell’accertamento non è possibile pervenire, ove si muova da
diverse premesse, in ordine all’oggetto dei giudizi costitutivi di impugnazione contrattuale e, in particolare, se si segua l’opinione tradizionale (e
maggioritaria), che identifica la res in iudicium deducta con il diritto alla
modificazione giuridica azionato dall’attore con la domanda di risoluzione (12).
Anche in base a questa impostazione, non è errato affermare che la
dichiarazione di recesso costituisca un fatto rilevante nel giudizio di
risoluzione. Infatti, il potere validamente esercitato, provocando l’estinzione del rapporto, cagiona anche il venir meno del diritto azionato
dall’attore: questo, essendo diretto a conseguire l’estinzione del rapporto,
è privato in via sopravvenuta di oggetto dall’atto di recesso, che realizza la
modificazione giuridica a cui esso tende (ovvero, se si preferisce, all’estinzione del rapporto attuata dal recesso segue il venir meno degli effetti
giuridici in esso aventi titolo, tra i quali anche il diritto alla risoluzione del
contratto).
Sennonché, accolta questa ricostruzione, occorre trarre, in modo
rigoroso, le conseguenze che da essa discendono sul piano del processo;
conseguenze, che, a nostro avviso, sono insoddisfacenti, soprattutto nei
casi in cui non ricorrano i presupposti per l’accoglimento dell’azione
costitutiva.
Se si pone ad oggetto del processo di impugnazione contrattuale il
diritto alla modificazione giuridica azionato dall’attore, il giudice, ove
ritenga che non siano integrati i suoi presupposti (ad esempio, l’inadempimento non sussiste o è di scarsa importanza), può, per questa ragione,
senz’altro rigettare la domanda, e non è tenuto ad esaminare l’atto di
recesso. Ai fini della decisione della situazione giuridica oggetto del
giudizio, è irrilevante che il potere sia stato efficacemente esercitato o
meno: vero è che, in caso affermativo, esso determina il venir meno del
diritto alla modificazione giuridica; tuttavia, se non ricorrono i presupposti
costitutivi del diritto, questo, ancor prima, non è venuto ad esistenza e, per
tale ragione, la domanda può essere senz’altro rigettata, con una pronuncia dichiarativa dell’inesistenza del diritto azionato dall’attore.
Pertanto, il giudice si può legittimamente arrestare alla risoluzione
delle questioni relative ai fatti costitutivi del diritto azionato e, nel rispetto
(12)
Per gli opportuni riferimenti, si rinvia a MENCHINI, Il giudicato civile, cit., 133 ss.
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del principio della ragione più liquida, assorbire l’esame della questione
concernente l’atto di recesso (13); che il potere sia stato validamente
esercitato o meno è irrilevante ai fini della decisione, la quale ha ad
oggetto il diritto di modificazione giuridica, che è dichiarato inesistente
per difetto di un suo fatto costitutivo (14).
La pronuncia di rigetto dichiara l’inesistenza del diritto alla risoluzione: è oggetto di statuizione incontrovertibile che non esiste il diritto
fatto valere dall’attore; per contro, non è accertata, con autorità di cosa
giudicata, l’esistenza o l’inesistenza del rapporto avente titolo nel contratto, né, tantomeno, l’efficacia o l’inefficacia dell’atto di recesso.
Questa decisione non osta ad una seconda domanda dell’attore
soccombente, con la quale egli chieda di accertare che il rapporto era
venuto meno, già al tempo del primo processo, per effetto dell’atto di
recesso al suo interno valorizzato ma non esaminato, ovvero in conseguenza di un diverso atto di recesso, compiuto al tempo del giudizio
anteriore, ma in quello non dedotto (15). Infatti, la prima pronuncia nega
il diritto alla risoluzione, per difetto di un suo fatto costitutivo, mentre,
con la seconda domanda, l’attore chiede che sia accertata l’inesistenza del
rapporto giuridico avente titolo nel contratto; l’oggetto della prima statuizione e del secondo giudizio sono diversi e non sono in rapporto di
(13) Nel paragrafo successivo, verificheremo se possa accadere l’inverso e, cioè, che il
giudice, ritenendo di pronta soluzione la questione relativa al recesso, rigetti la domanda per
questo motivo, senza aver prima verificato la sussistenza dei presupposti del diritto alla
risoluzione.
(14) Analoghi rilievi valgono nel caso in cui ricorra un fatto impeditivo o estintivo del
diritto alla risoluzione di pronta soluzione, che consente al giudice di rigettare la domanda per
tale motivo, senza necessità di risolvere le questioni relative ai fatti costitutivi dello stesso, che
richiedano una più lunga indagine.
(15) Lo stesso vale rispetto ad altri fatti estintivi o impeditivi del rapporto giuridico,
quantunque già verificatisi al tempo del primo giudizio. La dichiarazione di inesistenza del
diritto alla modificazione giuridica, per il combinato operare dei principi sui limiti oggettivi del
giudicato (alla stregua dei quali l’accertamento ai sensi dell’art. 2909 c.c. riguarda la situazione
giuridica oggetto della pronuncia e non si estende alla risoluzione delle questioni preliminari o
pregiudiziali) e della regola della ragione più liquida (per cui la pronuncia di rigetto può essere
fondata sul motivo di più pronta soluzione, con assorbimento delle questioni logicamente
pregiudiziali, la cui risoluzione richiederebbe una più lunga indagine), non comporta l’accertamento positivo dell’esistenza e dell’efficacia del rapporto giuridico. Ad esempio, se la domanda
di risoluzione è rigettata perché l’inadempimento è di scarsa importanza, tale pronuncia non
implica l’accertamento ad ogni effetto della validità del contratto o, se si preferisce, della sua
« non-nullità ». Infatti, se anche si ammette la rilevanza nel processo di risoluzione della
questione di nullità del contratto (cfr. Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, in Contratti,
2012, 874 ss., con nota di PAGLIANTINI, La rilevabilità officiosa della nullità secondo il canone delle
Sezioni Unite: ‘eppur si muove’), nondimeno tale questione, del tutto legittimamente, può non
essere esaminata nella pronuncia di rigetto, di guisa che essa, essendo assorbita, non è
(espressamente) decisa; d’altro canto, il principio della ragione più liquida impedisce di
affermare che la pronuncia di rigetto, fondata, nell’esempio proposto, sulla scarsa importanza
dell’inadempimento, implichi la decisione implicita di tale questione (Cass., 3 luglio 2013, n.
16630; CONSOLO, Postilla di completamento. Il giudicato ed il rilievo officioso della nullità del
contratto: quanto e come devono essere ampi?, in Corr. Giur., 2013, 184 ss., specie 185-186;
contra, Cass., 14828/2012, cit.).
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incompatibilità, di guisa che la decisione nel merito della seconda domanda non trova ostacolo nel giudicato.
Tuttavia, non vi è chi non veda che questo risultato è insoddisfacente.
La pronuncia che conclude il processo di risoluzione, in realtà, non
definisce la controversia che vede opposte sul piano sostanziale le parti, e
l’esito favorevole del giudizio per il convenuto altro non è che una vittoria
di Pirro: a seguito del provvedimento giurisdizionale, ancora non vi è
certezza in ordine all’esistenza ed all’efficacia del rapporto giuridico inter
partes, e l’attore soccombente, del tutto legittimamente, può proporre una
seconda domanda, diretta a vedere dichiarato che, già al tempo del primo
processo, il rapporto giuridico era venuto meno, a seguito del recesso
esercitato.
Non disconosciamo che questo (indesiderabile) esito può essere evitato, mediante la proposizione, nel processo di risoluzione, a seguito
dell’esercizio del recesso, di un’autonoma domanda di mero accertamento. L’attore, che abbia interesse all’accertamento dell’intervenuto
scioglimento del rapporto per effetto del recesso, ed il convenuto, che,
all’opposto, abbia interesse alla dichiarazione della sua perdurante esistenza, per inefficacia del recesso, sono onerati della proposizione di
un’apposita domanda, con la quale l’oggetto della decisione è esteso ad
una situazione giuridica distinta da quella dedotta con l’azione costitutiva
(il rapporto giuridico, anziché il diritto alla modificazione giuridica) ed è
richiesta una forma di tutela diversa da quella originariamente invocata
(di mero accertamento, anziché costitutiva). Se, e solo se, questa domanda
è proposta, il giudice, ritenuto inesistente il diritto alla risoluzione, può
(anzi, deve, per il combinato disposto degli artt. 99 e 112 c.p.c.) verificare
se, nondimeno, il recesso esercitato abbia determinato lo scioglimento del
rapporto.
Tuttavia, in questo modo i problemi posti in evidenza possono essere
risolti soltanto in parte. Infatti, proprio perché è necessaria la proposizione di un’autonoma domanda, occorre tenere conto del caso in cui essa
non sia esercitata e, soprattutto, dell’ipotesi in cui non sia validamente
esercitabile, in base alle regole processuali, che disciplinano la possibilità
per le parti di formulare domande nuove nel corso del giudizio (16). In tali
evenienze, il giudice, nel rispetto del principio della domanda e della
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non può statuire sull’esistenza del rapporto giuridico di cui è stata chiesta la risoluzione; con la
conseguenza che, in caso di rigetto della domanda costitutiva, l’attore
(16) In questo senso, in giurisprudenza, Cass., 5 gennaio 2005, n. 167, e, in motivazione,
Cass., 31 ottobre 2013, n. 24564, secondo cui, formulata domanda di risoluzione del contratto ex
art. 1453 c.c., non è ammessa la proposizione nel corso del giudizio della domanda (nuova) di
accertamento della intervenuta risoluzione del contratto a seguito dell’esercizio del potere ex
art. 1456 c.c.
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soccombente potrà validamente instaurare un secondo processo, per
l’accertamento dell’avvenuta estinzione del rapporto, in conseguenza dell’atto di esercizio del recesso, già compiuto al tempo del primo giudizio.
5. Ciò posto, occorre compiere un ulteriore approfondimento, per
verificare se, sul piano sostanziale, la (sopravvenuta) dichiarazione di
recesso dell’attore abbia effetti dispositivi rispetto all’azione di risoluzione
per inadempimento esercitata; traendo spunto dal lodo in commento
(punto 8 della motivazione), ci chiediamo se sia corretto affermare che
l’esercizio del recesso da parte dell’attore implica la sua rinuncia alla
volontà di avvalersi dell’inadempimento, ovvero, direttamente, al diritto
alla risoluzione del contratto azionato in giudizio.
Come si è visto in precedenza (supra, § 2), l’azione di risoluzione e il
recesso sono diretti entrambi allo scioglimento del contratto, di guisa che,
sotto questo profilo, tali figure possono essere riguardate quali rimedi
alternativi. Ciò, però, a nostro avviso, non autorizza a ritenere che
l’esercizio del potere posteriormente alla proposizione della domanda di
risoluzione sia indice univoco della volontà della parte di rinunciare al
diritto alla risoluzione del contratto o, se si preferisce, ad avvalersi
dell’inadempimento della controparte, quale motivo di scioglimento del
vincolo negoziale.
Il processo è il luogo delle affermazioni ipotetiche: l’attore asserisce di
essere titolare del diritto, ma solo all’esito del giudizio saprà se ne è
effettivamente titolare; la parte agisce per la risoluzione del contratto, ma
questa sarà pronunciata solo se il giudice riterrà esistenti i fatti costitutivi
della fattispecie e non risulterà alcun fatto impeditivo, modificativo o
estintivo dei suoi effetti (rilevato dal convenuto o dal magistrato d’ufficio).
Risiede nella logica delle cose che l’attore, il quale intenda conseguire
lo scioglimento del vincolo contrattuale, faccia uso di tutte le frecce che ha
nel proprio arco: chiede che sia pronunciata la risoluzione del contratto
per inadempimento e, poi, esercita anche il recesso, affinché, per l’una o
per l’altra via, sia raggiunto l’obiettivo a cui mira: la dissoluzione del
vincolo negoziale che lo lega alla controparte.
D’altra parte, si è visto (supra, § 2) che, molto spesso, le conseguenze
giuridiche che derivano dallo scioglimento del contratto sono diverse, a
seconda che esso sia stato determinato dall’una o dall’altra causa: alla
risoluzione per inadempimento possono accompagnarsi il diritto al risarcimento del danno e quello alla ripetizione delle prestazioni eseguite,
mentre tali ulteriori effetti sono esclusi, se lo scioglimento del vincolo
contrattuale è attuato da un recesso a funzione determinativa o penitenziale, operante con efficacia ex nunc.
Le maggiori utilità che possono derivare all’attore nel primo ordine di
ipotesi inducono ad escludere che la successiva dichiarazione di recesso
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dal rapporto sottenda, in modo univoco, una sua tacita manifestazione di
volontà di rinuncia alla risoluzione del contratto per inadempimento
richiesta con la domanda; conclusione questa, che vale, a maggior ragione,
in tutti i casi in cui l’attore abbia dedotto le pretese risarcitorie e restitutorie in via cumulata all’interno del processo di risoluzione, in quanto ciò
è indice della concretezza e dell’attualità del suo interesse rispetto al
riconoscimento di tali ulteriori utilità.
Pertanto, fatta salva la presenza di altri indici sintomatici, da apprezzare di volta in volta nel caso concreto, non può essere ravvisata una
volontà (tacita) di rinuncia al diritto di ottenere la risoluzione del contratto, nel comportamento dell’attore, che, proposta la domanda costitutiva, in seguito receda dal contratto e deduca in giudizio tale fatto; questa
condotta, infatti, non possiede i necessari requisiti di concludenza ed
univocità rispetto all’effetto dismissivo del diritto.
Ciò chiarito, ci si deve fare carico di un ultimo problema, sciogliendo
una riserva in precedenza compiuta (17).
Occorre tenere in considerazione questi due elementi: da un lato,
tanto l’esercizio dell’azione di risoluzione quanto la dichiarazione di
recesso sono dirette a conseguire lo scioglimento del contratto; dall’altro
lato, però, la modificazione giuridica, nel primo caso, è prodotta dal
provvedimento giurisdizionale, mentre, nel secondo, è attuata immediatamente dall’atto unilaterale di parte.
Potrebbe quindi apparire giustificata la seguente deduzione: posto che
l’atto di esercizio del potere sostanziale, quantunque compiuto nel corso
del processo, determina immediatamente, sul piano della realtà materiale,
lo scioglimento del rapporto, il giudice dovrebbe prioritariamente esaminare la dichiarazione potestativa, per verificare se essa abbia attuato la
modificazione giuridica; infatti, non può essere pronunciata la risoluzione
del rapporto, che sia già venuto meno per effetto di quella. Pertanto, nel
caso in cui il recesso sia stato validamente esercitato, il giudice dovrebbe
prendere atto dell’intervenuto scioglimento del rapporto e, conseguentemente, dichiarare l’impossibilità di pronunciare la risoluzione, per sopravvenuta carenza dell’oggetto sottoposto a modificazione giuridica.
Questa conclusione, però, sarebbe affrettata e, soprattutto, non appare conforme al reale atteggiarsi degli interessi dell’attore, tutte le volte
che egli, dallo scioglimento del negozio per effetto dal recesso, conseguirebbe utilità inferiori a quelle che potrebbe ritrarre dalla risoluzione del
rapporto per inadempimento.
A nostro avviso, è da ammettere che il giudice debba prioritariamente
esaminare i presupposti a cui è condizionato il diritto alla risoluzione per
inadempimento azionato dall’attore, senza prendere in considerazione la
(17)
V., supra, le note 8 e 13.
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dichiarazione di recesso (18). Se la fattispecie del diritto risolutorio è
integrata (sussistono i fatti costitutivi e non ricorrono fatti estintivi,
modificativi o impeditivi della sua esistenza), il magistrato pronuncia la
risoluzione del rapporto, esamina e decide le (eventuali) ulteriori domande relative ai diritti risarcitori o restitutori; soltanto se non possa
essere pronunciata la risoluzione per inadempimento del rapporto, egli è
tenuto ad esaminare la questione relativa alla validità ed all’efficacia del
recesso.
Per giustificare questa conclusione, occorre ammettere che, in pendenza del processo di risoluzione per inadempimento, l’attore possa
sottoporre la dichiarazione di recesso alla condizione sospensiva di efficacia del rigetto dell’azione costitutiva (o, se si preferisce, dell’inesistenza
del diritto alla risoluzione del contratto).
Vero è che, per le regole di diritto sostanziale, le dichiarazioni
potestative, come quella con cui è esercitato il recesso, non possono essere
sottoposte dal loro autore a condizione, non sono revocabili da chi le ha
emesse e non è ammessa la rinuncia in via unilaterale agli effetti prodotti (19); ancora, siamo convinti che la dichiarazione potestativa, quantunque sia compiuta nel processo, sia strutturalmente un atto di diritto
sostanziale, di guisa che essa è soggetta alla disciplina ordinaria dettata
dalla normativa materiale, la quale, come si è appena visto, ne impedisce
la sottoposizione a condizione di efficacia (20); tuttavia, queste (corrette)
(18) Giova sottolineare che queste regole sono enunciate con riferimento all’ipotesi
oggetto di esame nel testo (l’attore, che ha proposto domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., nel
corso del processo recede dal contratto e deduce in giudizio tale fatto); esse, quindi, non sono
automaticamente applicabili a fattispecie diverse da quella in considerazione, rispetto alle quali
la loro validità deve essere di volta in volta verificata.
(19) In questo modo, nella nostra dottrina, sia in generale, sia in riferimento a figure
specifiche, confronta: ATTARDI, Preclusione (principio di), Enc. Dir., XXXIV, Milano, 1985, 893
ss., specie 900-901; FRANZONI, Degli effetti del contratto, I, in Il Codice civile. Commentario
diretto da Schlesinger, Milano, 1998, 316-317; ID., Gli atti unilaterali estintivi di obbligazioni:
recesso, revoca, rinuncia, disdetta, rifiuto, in Le obbligazioni. III, Fatti e atti fonti di obbligazione,
2, a cura di Franzoni, Torino, 2005, 929 ss., specie 934-935; SICCHIERO, La risoluzione per
inadempimento, in Commentario del codice civile fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli,
Milano, 2007, 414, 509; ID., Indisponibilità, cit., 1118 ss.; DELLACASA, Caparra confirmatoria e
disponibilità dell’effetto risolutorio, cit., 644-645; SACCO-(DE NOVA), Il contratto, II, in Trattato di
diritto civile diretto da R. Sacco, 3ª ed., Torino, 2004, 663 ss.; COSTANZA, in Della risoluzione per
inadempimento, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca a cura di Galgano, BolognaRoma, 1990, 447-448; EAD., Revoca, in Dig. Disc. Priv., XVII, Torino, 1998, 443 ss., specie
449-450; CARUSI, Clausola risolutiva espressa e rinuncia all’effetto risolutivo, in Giur. It., 1989, I,
1, 141 ss., specie 143-144; la giurisprudenza di legittimità prevalente nega che il contraente, il
quale abbia intimato la diffida ad adempiere, possa rinunciare in via unilaterale all’effetto
risolutorio, prodottosi alla scadenza del termine assegnato con l’atto di diffida (così, Cass.,
553/2009, cit., che supera il precedente, opposto, orientamento, per il quale v., ad esempio,
Cass., 8 novembre 2007, n. 23315).
(20) Secondo la teoria della doppia fattispecie (Doppeltatbestandlehre), seguita dalla
dottrina tedesca assolutamente maggioritaria (per tutti, confronta: ROSENBERG-SCHWAB-GOTTWALD, Zivilprozessrecht, 17ª ed., Monaco, 2010, 330-331; RAUSCHER, Einleitung, in Münchener
Kommentar zur Zivilprozessordnung, I, 4ª ed., Monaco, 2013, 3 ss., specie 82) e accolta dalla
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considerazioni non impediscono di affermare che la parte attrice possa
subordinare gli effetti della dichiarazione di recesso all’inesistenza del
diritto alla risoluzione del contratto esercitato con la domanda giudiziale.
Infatti, la regola secondo cui la dichiarazione potestativa non può
essere sottoposta dal suo autore a condizione rinviene il proprio fondamento nella tutela dell’affidamento della controparte contrattuale: se è
attribuito un potere di recesso, colui che ne è titolare ha la libertà di
scegliere se avvalersene o meno, e l’altra parte non può che subire le
conseguenze derivanti dal suo esercizio; però, a tutela dell’affidamento di
questo soggetto, non è consentito, a chi decide di fare uso del potere, di
sottoporre i suoi effetti ad una condizione di efficacia. La signoria del
titolare del potere risiede nel suo esercizio, ma, in difetto di previsione
espressa, non si estende sino a governare gli effetti che ne conseguono, i
quali non sono rimessi nella disponibilità esclusiva del soggetto agente.
Se il principio sotteso alla regola è quello indicato, allora sembra che
questa non possa trovare applicazione nella fattispecie in esame. Quando
il recesso dal contratto sia esercitato da chi abbia proposto l’azione di
risoluzione del negozio, ed i suoi effetti siano condizionati all’inesistenza
dei presupposti necessari per disporre la modificazione giuridica richiesta,
non vi è motivo di tutelare l’affidamento della controparte: la scelta per lo
scioglimento del vincolo contrattuale è univoca, e la condizione apposta
alla dichiarazione di recesso non la pone in dubbio; d’altra parte, già per
effetto dell’esercizio dell’azione di risoluzione, da un lato, l’attore non può
richiedere l’adempimento della prestazione (art. 1453, comma 2, c.c.) e,
dall’altro lato, il convenuto non può più effettuarla (art. 1453, comma 3,
c.c.).
Pertanto, è da ritenere che il recesso esercitato nel corso del processo
dall’attore possa essere compiuto sotto una condizione sospensiva di
efficacia, costituita dall’inesistenza del diritto alla risoluzione del contratto
per inadempimento. Il giudice è chiamato ad esaminare prioritariamente
questo; solo se ritenga che non ricorrano i presupposti necessari per
pronunciare la risoluzione, si verifica la condizione a cui è sottoposta la
dichiarazione potestativa, ed egli può (anzi, deve) procedere a verificare se
il recesso sia stato validamente esercitato o meno: nel primo caso, dichiara
dottrina italiana (confronta, in specie, MERLIN, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, 86,
156 ss.; ORIANI, Eccezione, cit., 272; ID., Atti processuali, I) Diritto processuale civile, in Enc.
Giur. Treccani, Roma, 1988, 2-3), a cui abbiamo aderito nel lavoro Poteri sostanziali, cit., 339 ss.,
a cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti. In senso contrario, si segnala che secondo parte,
invero minoritaria, della dottrina, l’atto di esercizio del potere sostanziale, se compiuto
all’interno del giudizio, acquisisce natura processuale o, quantomeno, è soggetto alla disciplina
giuridica degli atti processuali (confronta, nella dottrina italiana, ALLORIO, op. cit., 109-110;
ANDOLINA, Per un profilo degli atti processuali con effetti di diritto sostanziale, in Il tempo e il
processo. Scritti scelti di I. Andolina, a cura di Raiti, I, Torino, 2009, 53 ss., specie 57 ss., e già
in Jus, 1959, 103 ss.).
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l’avvenuto scioglimento del contratto per effetto del recesso, mentre, nel
secondo, accerta la perdurante efficacia del rapporto, non suscettibile di
essere risolto e non estinto dalla dichiarazione di recesso emessa dall’attore.
6. Alla luce delle considerazioni svolte, è possibile tornare alla
fattispecie concreta che ha dato luogo alle nostre riflessioni.
Il Collegio arbitrale ha affermato che il recesso del calciatore dal
contratto di prestazione sportiva, in quanto atto idoneo a determinare lo
scioglimento del vincolo negoziale, persegue lo stesso risultato a cui è
diretta l’azione di risoluzione, ed ha quindi ritenuto di dover esaminare, ai
fini della decisione, la dichiarazione potestativa emessa dall’attore nel
corso del giudizio.
L’affermazione degli arbitri, per cui essi sarebbero privi di poteri
dichiarativi in ordine al recesso (punto 5 della motivazione), non implica,
come correttamente ritenuto dal Collegio, l’impossibilità di esaminare la
dichiarazione potestativa, quale fatto rilevante ai fini della decisione;
infatti, in base ai principi generali (art. 34 c.p.c.), validi anche per il
procedimento arbitrale (art. 819 c.p.c.), gli arbitri conoscono incidenter
tantum tutte le questioni pregiudiziali rilevanti, anche se esse vertono su
materie (rectius, su fatti-diritti) non compromettibili o che, pur essendolo,
non rientrino nei limiti oggettivi di efficacia della convenzione compromissoria da cui traggono il loro potere decisorio.
Peraltro, la fattispecie concreta presentava una peculiarità, che, di
fatto, non consentiva al Collegio di esaminare la validità e l’efficacia
dell’atto di recesso posto in essere dall’attore; infatti, a ben vedere, la
dichiarazione potestativa non era stata prodotta in giudizio ed agli atti del
processo era presente la (diversa) comunicazione del calciatore, con la
quale egli informava gli arbitri di essersi sciolto in via unilaterale dal
contratto e di non avere più interesse alla decisione della domanda di
risoluzione, per essersi liberato unilateralmente dal contratto.
Non appare dubbio che, come ritenuto dagli arbitri, tale comunicazione non fosse idonea a far venir meno il loro dovere di decidere nel
merito la domanda di risoluzione; infatti, come si è già ricordato, da un
lato, l’attore non aveva presentato una formale rinuncia agli atti del
giudizio ed il suo difensore aveva insistito per l’accertamento, almeno
virtuale, della domanda proposta; da un altro lato, la società convenuta,
che si era difesa esclusivamente nel merito, contestando la fondatezza
dell’azione avversaria, aveva espressamente richiesto agli arbitri di emettere la pronuncia di merito (cfr. l’art. 306, comma 1, c.p.c.).
Tuttavia, a giudizio del Collegio, l’esercizio del recesso dal contratto
nel corso del processo da parte del calciatore implicava la sua rinuncia ad
avvalersi dell’inadempimento della società quale motivo di risoluzione del
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rapporto e, per tale ragione, ha rigettato la domanda proposta, dichiarandola infondata. A nostro avviso, per le considerazioni esposte in precedenza (supra, § 5), in tale comportamento dell’attore non può essere
ravvisata una (tacita) manifestazione di volontà di rinuncia al diritto di
ottenere la risoluzione del contratto, in quanto l’esercizio del recesso dal
contratto nel corso del processo non possiede i necessari requisiti di
concludenza ed univocità rispetto all’effetto dismissivo del diritto azionato; a tal fine, devono ricorrere ulteriori indici sintomatici della volontà
abdicativa del soggetto, che, nel caso di specie, gli arbitri hanno condivisibilmente ravvisato nella dichiarazione del calciatore, con la quale egli
comunicava al Collegio di non avere più interesse alla decisione della
domanda di risoluzione.
ALESSANDRO MOTTO
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RASSEGNE E COMMENTI
L’ottimistico Decreto-legge sulla “degiurisdizionalizzazione”
ed il trasferimento in arbitrato delle cause civili
ANTONIO BRIGUGLIO
1.
Premessa.
Il Governo ha varato un Decreto-legge recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la deflazione dell’arretrato in materia
di processo civile” (1). Quando si scrive questo primo commento il Decreto è
ovviamente ancora in attesa di conversione.
Poco d’altro essendovi in tale Decreto, deve considerarsi come un semplice difetto di informazione o capacità di discernimento giornalistica, ovvero
come un difetto di comunicazione governativa, ovvero ancora come uno
slogan pubblicitario benevolmente perdonabile, l’enfasi estiva spropositata
sulle misure di “degiurisdizionalizzazione”. Perché è chiaro a chiunque che
queste ultime, ed in particolare il “trasferimento” delle cause dai giudici agli
arbitri (ma lo stesso vale per la c.d. “negoziazione assistita” fra avvocati pur
forse utile come simbolico orientamento di un futuro costume), saranno una
goccia nel mare, operando e potendo operare solo su base volontaria e cioè
sull’accordo fra le parti in lite e con ulteriori oneri economici per entrambe;
accordo che, verosimilmente, non vi sarà pressoché mai e non potrà neppure
essere indotto dalla garbata minaccia “altrimenti precisazione delle conclusioni a fra tre anni”, visto che — a parte l’inverecondo effetto in termini di
immagine — questa minaccia è di regola tale per una ma non per entrambe le
parti.
Con ogni probabilità, dunque, inutili ma tutto sommato non dannose, le
“misure di degiurisdizionalizzazione” sono di così piccolo cabotaggio — a
fronte di più pretenziose e complesse riforme processuali del passato prossimo
— da far sperare che lo stesso Governo ne sia perfettamente consapevole. E
si può dunque confidare che, quando promette di dimezzare l’arretrato civile
e ridurre drasticamente i tempi dei giudizi di merito, questo Governo non si
(1) Deliberato nella seduta del C.d.m. del 29 agosto 2014 e poi pubblicato in G.U. n. 212
del 12 settembre 2014. Vedine il testo in questo fascicolo nella rubrica “Documenti e notizie”.
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illuda affatto di farlo grazie al decretino di adesso e stia finalmente per
impegnarsi, più seriamente che in passato — e visto che anche sulla giustizia
civile si gioca la faccia — sul versante pragmatico della organizzazione, delle
risorse, della ottimizzazione ed in primo luogo dell’incremento del lavoro dei
nostri magistrati.
2.
Il trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti innanzi all’autorità giudiziaria.
Secondo il Decreto (art. 1) questo “trasferimento” può aver luogo nei
giudizi civili “innanzi al Tribunale o in grado di appello pendenti alla data di
entrata in vigore” del Decreto purché, ovviamente, l’oggetto della lite non
verta su diritti indisponibili e non riguardi le materie del lavoro, previdenza e
assistenza sociale, e la causa non sia stata già assunta in decisione.
Il trasferimento ha luogo, dovendosi preservare come era scontato la base
volontaristica dell’arbitrato, su istanza concorde delle parti, e con il viatico del
giudice, il quale controlla la ricorrenza delle cennate condizioni.
In caso di trasferimento agli arbitri sono salvi gli effetti sostanziali e
processuali dell’originaria domanda giudiziale: il che differenzia l’ipotesi da
quella, non necessitante di alcuna previsione apposita e già oggi astrattamente
possibile, in cui le parti abbandonino la causa ordinaria con effetti estintivi e
compromettano la lite in arbitri.
Paradossalmente il Governo proponente non mostra particolare simpatia
per tale “trasferimento”, considerato non un istituto di definitiva introduzione
bensì un escamotage transeunte per smaltire l’arretrato: così almeno si evince
dalla applicabilità ai soli processi (già) “pendenti” al momento dell’entrata in
vigore del Decreto. Proprio perciò non può che rimarcarsi la prevedibile rarità
dell’“istanza congiunta” di due parti già in lite innanzi al giudice e la necessità
che allo smaltimento dell’arretrato si provveda in ben altri modi. Ma, se non
altro, il velleitario ed illusorio ricorso all’arbitrato volontario ha il valore
simbolico e programmatico di escludere che gli “altri modi” consistano nella
imposizione di “sezioni stralcio” e nuovi giudici onorari raccattati alla bell’è
meglio.
3.
Che arbitrato sarà?
Per il resto — e per le rare volte in cui l’istituto sarà utilizzato — non vedo
problemi sistematici o tecnici insormontabili (salvo quanto occorrerà dire per
il passaggio dall’appello all’arbitrato).
Non vi è alcuna lesa maestà né del giudizio ordinario né dell’arbitrato: la
translatio da giudice ad arbitro e viceversa, con conservazione degli effetti
sostanziali e processuali della domanda, è stata già consacrata per il caso di
declaratoria di incompetenza dalla nota sentenza della Corte costituzionale, e
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le riflessioni che si vanno sedimentando all’esito di quella, in ordine ai
problemi di dettaglio di tale translatio, torneranno utili anche nella ipotesi
introdotta dal Decreto per quanto da esso non disciplinato.
Tanto meno vi è da confezionare, sul piano teorico, abito apposito e da
tertium genus per l’“arbitrato” cui le parti si affidino ai sensi del Decreto. E
neppure, e pressoché sotto ogni punto di vista, vi è niente di simile al
Court-Annexed Arbitration americano.
4.
Segue: il compromesso a contenuto predeterminato, e “omologato” dal
giudice.
Si tratta qui di un normale arbitrato rituale da compromesso (la conservazione della efficacia dell’originario atto introduttivo non arbitrale è effetto
ex lege riconnesso alla scelta di autonomia privata come accade nella translatio
da declaratoria di incompetenza), con la particolarità che il compromesso è un
compromesso chiuso per volontà del legislatore: a differenza che nelle ipotesi
in cui le parti abbandonino la causa lasciandola estinguere e si rivolgano agli
arbitri, qui si deferisce di regola ad arbitri proprio quella lite (non più ampia
o più ristretta) instaurata davanti al giudice, tenendosi ferme (art. 1, c. II del
Decreto) “le preclusioni e le decadenze intervenute”.
In realtà nulla impedisce che le parti, già che ci sono, ridimensionino
mediante abbandono, rinuncia o transazione, l’oggetto della lite originaria, o
concordino, in una con l’istanza congiunta, il deferimento ai medesimi arbitri
di altre liti cumulabili.
Quel che conta è però che, quanto alla lite giudiziale originaria, essa sarà
deferibile agli arbitri — se si vuol restare nell’ambito della disciplina del
Decreto (e cioè fuori dell’ipotesi già oggi possibile di radicale abbandono e
reinstaurazione in sede arbitrale) — non già a terreno vergine bensì sulla base
delle preclusioni e decadenze già maturate, comprese ovviamente quelle
istruttorie. Non potranno che ridursi, dunque, i tradizionalmente ritenuti (e
per vero raramente esercitati) poteri arbitrali di acquisizione istruttoria d’ufficio, mentre naturalmente non è escluso che gli arbitri ritengano rilevante e/o
ammissibile una prova scartata dal giudice istruttore e riportino ove del caso
la causa “in istruttoria”. Possibile altresì il trasferimento ad arbitri dopo
sentenza giudiziale non definitiva, la quale, salva l’impugnazione, sarà come è
ovvio vincolante per le parti e per i giudici privati.
Quel che è davvero sui generis, e non solo per il cennato carattere chiuso,
è l’accordo compromissorio prefigurato implicitamente ma necessariamente
dal Decreto. Esso sarà integrato dalla volontà concorde delle parti consacrata
nell’istanza congiunta, ma non soltanto. Affinché tale concorde volontà compromissoria abbia efficacia interdittiva della potestas iudicandi ordinaria e
attributiva della potestas iudicandi agli arbitri occorrerà il controllo giudiziale
delle condizioni previste dal Decreto ed il conseguente provvedimento di
trasmissione di cui subito dirò. Altrimenti non potrà aversi il particolare
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giudizio arbitrale “trasferito” in forza del Decreto, con la conservazione cioè
degli effetti sostanziali e processuali della domanda; e ben difficilmente, in
mancanza di particolari circostanze rilevanti che consentano una diversa
ricostruzione ermeneutica o di altro accordo a latere, potrà ritenersi che le
parti con la semplice istanza congiunta, poi non “approvata” dal giudice,
abbiano comunque voluto l’abbandono radicale della lite e la sua instaurazione ex novo in un “normale” arbitrato.
5.
Segue: gli spazi riservati alla autonomia privata.
L’avvio dell’arbitrato previsto dal Decreto pare tendenzialmente rispettoso dell’autonomia privata anche quanto alle modalità di costituzione dell’organo. Ma le disposizioni dettate in proposito, non tutte chiarissime, vanno
interpretate, ed in qualche caso andrebbero preferibilmente emendate in sede
di conversione, in modo che la libera determinazione delle parti non subisca
compressioni irragionevoli.
Ad esempio non si intende perché l’organo arbitrale debba essere necessariamente un collegio, con aumento di costi per le parti non certo giustificato
dalla possibilità offerta al presidente del locale consiglio dell’ordine di gratificare tre colleghi invece che uno. L’arbitro unico dovrebbe essere, in assenza
di diversa volontà delle parti, la regola, vista oltretutto la destinazione
presumibile del “trasferimento”, se mai vi sarà, alla soluzione di controversie
di medio calibro. Ma se anche in questo senso non sarà corretto il testo del
Decreto, esso dovrà per lo meno intendersi nel senso che le parti d’accordo
possano richiedere la nomina o direttamente designare un arbitro unico.
Pacifico che le parti possano scegliersi l’arbitro o gli arbitri, pare altresì
ovvio che la “trasmissione”, ad opera del giudice, “del fascicolo al presidente
del consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la
corte d’appello” ha senso solo quando costui, invece delle parti inerti o in
disaccordo, debba provvedere alla nomina; nell’altro caso il giudice — nonostante il silenzio del testo normativo — manderà alla cancelleria di trasmettere
il fascicolo direttamente all’arbitro o al presidente del collegio.
Può dirsi tutto sommato tollerabile, e comunque non scavalcabile in via
interpretativa alla stregua del testo attuale, che la nomina concorde delle
parti, non diversamente da quella a cura del presidente del Consiglio dell’ordine, possa ricadere solo su avvocati e su avvocati “iscritti da almeno tre anni
all’albo”, che non abbiano avuto” condanne disciplinari definitive” e che si
siano già “espressamente resi disponibili” alla bisogna presso il Consiglio. Una
nomina difforme rientrerebbe per altro, sul piano della impugnazione del
lodo, nella previsione del n. 2 e non già del n. 3 dell’art. 829, c. I, c.p.c. perché
la disposizione del Decreto va considerata integrativa ex lege della volontà
compromissoria o comunque riconducibile a quelle sulla costituzione dell’organo arbitrale e non a quelle concernenti la capacità dell’arbitro ex art. 812.
Certo è che la soluzione migliore sarebbe di modificare il testo in sede di
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conversione e stabilire che se le parti sono d’accordo nominino pure chi
vogliono, anche un tecnico (si pensi ad una controversia a forte contenuto
tecnico impantanatasi in un’eterna CTU).
Nulla si dice della sede dell’arbitrato: dovrebbe dunque immaginarsi
l’applicazione integrale dell’art. 816 con possibilità che le parti d’intesa ovvero
gli arbitri stabiliscano la sede ove credono, non però all’estero perché il
Decreto vuole chiaramente un arbitro rituale italiano.
6.
La sorte del giudizio ordinario in caso di “trasferimento” e la sua eventuale
riassunzione.
In una con il trasferimento in arbitrato, o forse prudenzialmente dopo
l’intervenuta accettazione della nomina arbitrale, il giudice dovrebbe disporre,
anche se nulla dice il Decreto, la formale cancellazione della causa dal ruolo.
Una cosa è infatti la conservazione degli effetti sostanziali e processuali
della originaria domanda, voluta dal legislatore, altra cosa è la perdurante
alterità di piani fra giudizio ordinario e giudizio arbitrale, la quale non può
tollerare che, avviato quest’ultimo, il primo resti formalmente iscritto a ruolo.
Né può immaginarsi, di contro all’assetto costituzionale (e neppure sulla base
della come vedremo anodina riattribuzione al lodo degli “stessi effetti della
sentenza” che esso già possiede ex art. 824 bis c.p.c.), che il giudice, foss’anche
per volontà delle parti, deleghi agli arbitri l’esercizio di giurisdizione ordinaria
e, nella specie, la emanazione di una sentenza giudiziale in sua vece. Perciò se
il procedimento arbitrale si estingue per qualsiasi ragione, quello ordinario
sarà bensì instaurabile ex novo ma non riassumibile, salve le espresse previsioni contemplate per il (problematico) caso del trasferimento in arbitrato dal
grado d’appello, che confermano a contrario quanto appena detto.
Proprio in caso di trasferimento dal grado d’appello il Decreto ha
previsto, in modo alquanto farraginoso, un meccanismo idoneo ad accelerare
i tempi di un giudizio arbitrale che si innesta su una vicenda giudiziale già
protrattasi per un grado e mezzo di giudizio ed altresì a consentire che, se quei
tempi non vengano rispettati, l’iter percorso davanti all’a.g.o. non sia vanificato bensì possa riprendere.
Gli arbitri, infatti, sono chiamati a pronunciare entro il termine (non
definito perentorio) di 120 giorni dalla accettazione della nomina, in deroga
all’art. 820 c.p.c., restando però da stabilire se possano nondimeno applicarsi
le previsioni sulla proroga del termine di cui al c. III del medesimo articolo:
sarei per l’affermativa, ma meglio parrebbe chiarirlo expressis.
Trascorsa invano quella durata, le parti possono riassumere il giudizio
ordinario d’appello nel termine, questa volta perentorio, dei successivi 60 gg.
Ove la causa ordinaria sia riassunta, agli arbitri è interdetta la pronuncia del
lodo, il quale altrimenti è senz’altro nullo, e se ne intende bene il perché:
nonostante il perdurante principio del “doppio binario” occorre evitare sovrapposizioni confusionarie in una vicenda contenziosa che è nata unica.
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Prima della riassunzione innanzi al giudice d’appello, e nonostante il decorso
del termine per la pronuncia del lodo, quest’ultimo potrà nondimeno e
validamente esser emanato (lo si evince a contrario dall’appena sintetizzato
art. 1, c. IV prima parte, del Decreto, nonché indirettamente dal tenore del
segmento finale del medesimo comma), ed anche qui si intende il perché:
potrà pur sempre operare, pur dopo la formale scadenza del termine di
pronuncia arbitrale, il meccanismo salvifico ex art. 821 c.p.c..
Se il lodo è impugnato e dichiarato nullo, il termine per la riassunzione
innanzi al giudice d’appello decorre dal passaggio in giudicato della sentenza
di nullità, a meno che la nullità non sia dichiarata a causa della già intervenuta
riassunzione. Mentre ove il termine di riassunzione, a sua volta decorrente
dallo spirare del termine imposto agli arbitri, sia invano decorso, e non di
meno gli arbitri abbiano emanato il lodo, la invalidazione di quest’ultimo, il
quale passerebbe ovviamente e comunque in giudicato sostanziale ove non
impugnato, finirà a mio avviso — a tenore dell’art. 1, c. IV del Decreto — per
riaprire un nuovo termine per la riassunzione innanzi al giudice di appello.
7.
Il (problematico) trasferimento del grado di appello.
Con un po’ di buona volontà sistematica anche il caso della rimessione ai
giudici privati della causa pendente in grado di appello può essere ricondotto
nell’alveo del “normale” arbitrato rituale. Le parti non delegano, né il
legislatore le autorizza a delegare direttamente agli arbitri funzioni di sindacato e riforma della pronuncia del giudice di primo grado (il che sarebbe
oltretutto e con ogni probabilità incostituzionale in relazione all’art. 102, c. I,
Cost. nonostante la base volontaria). Ancor qui il contenuto dell’accordo
compromissorio è in larga parte ed in modo sui generis predeterminato dalla
legge: con quell’accordo compromissorio le parti rinunciano, come ben possono, agli effetti della pronuncia di primo grado (condizionatamente alla
emanazione del lodo, ché altrimenti quegli effetti rivivono e o la causa torna
in appello ovvero si forma il giudicato). Contemporaneamente le parti, come
altresì possono e potrebbero in astratto pur in assenza di apposita prefigurazione legislativa, deferiscono agli arbitri una lite a doppio oggetto: la verifica,
alla stregua dei medesimi paramenti che il legislatore ordinario prevede per
l’appello (compromissoriamente richiamati per relationem), della tenuta dell’accertamento di primo grado, ed ove possibile la decisione nel merito della
causa originaria.
Gli arbitri per altro dovranno arrestarsi fino alle soglie della incomunicabilità fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione privata (la comunicabilità
essendo l’eccezione che necessita apposita previsione normativa come oggi
accade con l’art. 819 ter, c. II c.p.c. dopo il riassetto ad opera della Consulta e
la introdotta translatio da giudice ad arbitro e viceversa). Perciò nessuna
possibilità per gli arbitri di applicare gli artt. 353 e 354 e attraverso quelli di
impartire compiti al primo giudice; la eventuale pronuncia solo “rescindente”
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degli arbitri (in realtà solo dichiarativa della fondatezza di un originario
motivo di appello o di rilievo officioso a portata rescindente) comporterà la
eventuale instaurazione ex novo della controversia in primo grado.
Da aggiungere che una ancora diversa e se si vuole più semplice ricostruzione — le parti rinunciano condizionatamente agli effetti della sentenza
ma anche agli effetti del proposto appello e deferiscono ad arbitri sic et
simpliciter la cognizione di merito ex novo della controversia qual’essa era
devoluta al giudice di primo grado, ferme le preclusioni in quel grado
formatesi — avrebbe bisogno di un esplicito supporto normativo che qui
manca, essendo anzi abbastanza inequivoco il riferimento al grado d’appello
e perciò alla devoluzione ad arbitri — per quanto possibile come si è visto —
di una lite quale conformatasi in grado d’appello.
Anche come sopra ricostruito, però, l’assetto è densissimo di problemi
applicativi (tra una sentenza giudiziale di primo grado che scompare ma non
troppo ed un lodo che non può essere stricto sensu una pronuncia d’appello
ma nei fatti lo è). E soprattutto urta al buon senso una trasmigrazione agli
arbitri della causa già pendente innanzi alla Corte d’appello con la prospettiva
che essa vi ritorni attraverso la successiva impugnazione del lodo, con tentativi
avvocateschi inevitabili di riguadagnare, forzando le maglie dell’impugnazione
ex art. 829 c.p.c., l’incautamente perduto gravame contro la sentenza di primo
grado: un intreccio foriero di pasticci. Problemi e pasticci sarebbero, è vero,
solo occasionali vista la rarità dei casi di una volontà compromissoria nel senso
aperto dal Decreto, ma insomma tanto varrebbe, in sede di conversione,
eliminare del tutto la previsione della rimettibilità ad arbitri in grado d’appello.
8.
La necessità (semmai, e per rara che l’ipotesi sia destinata a rimanere) di
incentivi al trasferimento.
Pur essendo, come detto, assai difficile immaginare che le parti in lite
innanzi al giudice destinino d’accordo ulteriori e non previste risorse economiche alla prosecuzione in arbitrato, occorrerebbe certo fare in modo che tali
risorse siano contenute e che insomma quel passaggio non sia troppo disincentivato.
In questo senso va già, dubitativamente, la previsione di un eventuale
decreto del Ministero della Giustizia che riduca i compensi agli arbitri, nonché
quella della esclusione, in tutti i casi di trasmigrazione all’arbitro su accordo
delle parti, della responsabilità solidale ex art. 814, c. I, c.p.c.: ciascuna delle
parti risponderà verso gli arbitri sempre per la metà dell’intero ammontare di
spese ed onorari (essendo ovviamente inimmaginabile che tale responsabilità
si commisuri ex post a seconda del regime delle spese stabilito dal lodo); il
vincitore sarà dunque meno esposto ai rischi della impossibilità de facto della
rivalsa.
Prescindendo dal rilievo che l’una e l’altra disposizione disincentivano la
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disponibilità di un certo target di potenziali arbitri, va detto che neppure
l’incentivo per le parti appare particolarmente apprezzabile specialmente per
l’area delle controversie di valore medio (quelle in definitiva cui il legislatore
sembra soprattutto aver pensato, sia perché più bisognose di smaltimento sia
perché più adatte all’avventura della trasmigrazione).
Occorrerebbe per lo meno la possibilità, in caso di translatio, di recuperare in parte, sotto forma di credito di imposta, il contributo unificato
originariamente versato, e fors’anche la esenzione, almeno per un periodo
sperimentale, dall’imposta di registro proporzionale, salvi i casi di coinvolgimento di diritti reali immobiliari.
9.
La pleonastica attribuzione al lodo degli effetti di sentenza.
Non è allo stato incentivante l’attribuzione al lodo, in caso di translatio,
degli “stessi effetti della sentenza”.
Detto così vuol dire ben poco (forse solo confermare che l’arbitrato verso
cui le parti trasmigrano ha necessariamente natura rituale, come già si evince
con il riferimento alle “disposizioni contenute nel Titolo VIII del libro IV del
c.p.c.”). L’efficacia della sentenza è infatti naturale predicato di ogni lodo
rituale ex art. 824 bis.
Vero è che sarebbe ragionevole esentare il più possibile le parti — che
hanno liberato della loro presenza la giustizia ordinaria trasferendosi in
arbitrato — dagli oneri connessi alla “normale” omologazione del lodo. Ma
alla laconica formula dello del Decreto-legge non si può allo stato attribuire la
portata di deroga integrale all’art. 825 c.p.c., perché occorrerebbe chiarirlo con
maggiore esplicitazione: “il lodo ha gli effetti di sentenza compresi quelli
esecutivi” o simili espressioni.
E neppure sarebbe questa una soluzione tranquillamente adottabile,
dovendosi semmai preferire una omologazione semplificata e meno costosa,
mediante semplice deposito del lodo nella cancelleria del giudice a quo e
“visto” della medesima cancelleria previo controllo di corrispondenza formale
con la translatio a suo tempo concordata ed avvallata dal giudice, ovvero
mediante riduzione degli oneri fiscali della normale omologazione: l’una e
l’altra cosa necessiterebbero perciò di apposito e chiaro intervento modificativo del testo fin qui varato.
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Il tramonto dell’arbitrato nel nuovo orizzonte della giustizia
sportiva (*)
FERRUCCIO AULETTA
1.
Dal « Sistema di giustizia e di arbitrato per lo sport » al « Sistema di
giustizia sportiva » senz’altro.
In base al « Sistema di giustizia e di arbitrato per lo sport » già stabilito
dall’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I., agivano qui, fino al 30 giugno scorso (1),
« in piena autonomia e indipendenza », l’Alta corte di giustizia sportiva e il
Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport.
« L’Alta corte di giustizia sportiva costitui[va] l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie [...] per le quali le parti non [avessero]
pattuito la competenza arbitrale »; viceversa, « il Tribunale nazionale di
arbitrato per lo sport, ove previsto dagli Statuti o dai regolamenti delle
Federazioni sportive nazionali, [aveva] competenza arbitrale sulle controversie che contrappon[eva]no una Federazione sportiva nazionale a soggetti
(*) Il testo del “Codice della giustizia sportiva”, cui questo commento si riferisce, è
pubblicato in questo stesso fascicolo nella rubrica “Documenti e Notizie”.
(1) Questo è il testo del comunicato di mercoledì, 2 Luglio 2014 apparso nel sito del
C.O.N.I.: « A far data dal 1° luglio 2014 è entrato in vigore il Codice della Giustizia Sportiva che
istituisce il Collegio di Garanzia dello Sport in luogo dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva (Alta
Corte) e del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (TNAS).
Al Collegio di Garanzia dello Sport è devoluta la cognizione delle controversie la cui
decisione non altrimenti impugnabile nell’ambito dell’ordinamento federale è pubblicata a far
data dal 1° luglio 2014.
Le controversie non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale, la cui
decisione è pubblicata fino al 30 giugno 2014, sono devolute comunque al Collegio di Garanzia
dello Sport, che decide in funzione rispettivamente di Alta Corte o di Organo arbitrale, secondo
le rispettive disposizioni previgenti. Le relative istanze o ricorsi devono, pertanto, essere inviate
alla Segreteria dell’Alta Corte o alla Segreteria del TNAS che fungeranno, secondo le rispettive
competenze, da Segreteria del Collegio di Garanzia dello Sport.
Si precisa che l’Alta Corte e il TNAS continueranno ad operare secondo le procedure oggi
vigenti per le controversie dinanzi loro già incardinate.
I procedimenti pendenti davanti agli organi di giustizia presso la Federazione continuano
in ogni caso a svolgersi in base alle norme previgenti, fino al recepimento delle nuove norme di
giustizia nei rispettivi statuti e regolamenti, i quali entreranno in vigore a seguito dell’approvazione della Giunta Nazionale del CONI, di cui verrà data notizia attraverso apposita
pubblicazione sul sito istituzionale del CONI e di ciascuna Federazione interessata ».
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affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che [fossero] stati previamente
esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratt[asse] di decisioni
non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale, con esclusione delle controversie che [avessero] comportato l’irrogazione di sanzioni
inferiori a centoventi giorni, a 10.000 euro di multa o ammenda, e delle
controversie in materia di doping ».
Questo Tribunale, così, « provvede[va] alla soluzione delle controversie
sportive attraverso lodi arbitrali », contro i quali veniva « sempre ammesso,
anche in deroga alle clausole di giustizia eventualmente contenute negli
Statuti federali, il ricorso per nullità ai sensi dell’art. 828 del c.p.c. ».
Dunque, mediante l’accesso alternativo all’Alta corte ovvero al Tribunale
nazionale di arbitrato si veniva a realizzare, per un verso, il previsto « esauri[mento] dei gradi della giustizia sportiva » quale condizione di procedibilità
dell’eventuale azione presso l’A.G. e, per altro verso, la piena « salv[ezza] [di]
quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli
statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle
Federazioni sportive » (art. 3, comma 1, d.l. n. 220/2003, conv. l. n. 280/2003).
In questo modo, scelta che fosse stata la via arbitrale, rimaneva pregiudizialmente esclusa, data la dichiarata natura rituale del lodo e la competenza della
Corte d’appello per la conseguente impugnazione dell’atto, ogni residua possibilità di accesso alla giurisdizione del G.A., viceversa accessibile di seguito al
deliberato dell’Alta corte per la materia concretamente inarbitrabile.
Il compiuto sistema di arbitrato, dunque, assorbendo in sé la piena tutela,
più non serviva a procurare il mero assolvimento della condizione di procedibilità dell’azione in giudizio, invero risolta ed esaurita tutta in quell’azione
... in senso negativo che è l’arbitrato. Si ricorderà, invece, come, secondo la
giurisprudenza formatasi sub Julio, pure la via arbitrale finiva per assumere un
carattere soltanto strumentale alla successiva procedibilità del giudizio pubblico sulla controversia (2).
Dal 1° luglio, invece, « presso il C.O.N.I. » è in vigore un « Sistema di
giustizia sportiva » tutto nuovo, privo com’è di ogni residuo cenno all’arbitrato, sin dalla rubrica dell’art. 12 dello Statuto.
2.
Le controversie arbitrabili e il giudizio su ogni « situazione giuridicamente
protetta nell’ordinamento federale ».
L’arbitrato quale sistema di risoluzione delle controversie sportive sembrava aver trovato — in Italia — nella ridefinizione delle « controversie
arbitrabili » (art. 806 c.p.c.), in realtà, una fonte di speciale novazione, in un
ambiente internazionale peraltro non sempre consentaneo (3).
(2) Mi sia consentito di rinviare sul punto alla mia voce Sport, in VERDE (a cura di),
Giurisdizione. Dizionario del riparto, Bologna, 2010, 702 ss.
(3) Invero, il Landgericht München I, con sentenza 26 febbraio 2014, di prossima
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Se è vero, infatti, che l’« efficacia del lodo » fatta uguale nel nostro
ordinamento generale a « gli effetti della sentenza » potesse far ipotizzare —
non diversamente da quanto fa per l’arbitrato irrituale l’art. 808-ter c.p.c. col
promuovere una « determinazione contrattuale » — che l’oggetto arbitrabile
dovesse pur sempre rimanere l’oggetto possibile di una « sentenza » (o di un
« contratt[o] ») e così tornare a individuare le posizioni suscettibili di arbitrato
in quelle dei diritti soggettivi; vero è anche che contrari argomenti rimanevano
spendibili.
Contro chi aveva sostenuto che « quando all’arbitrato [...] sono devolute
[...] controversie (“questioni”) non rilevanti per l’ordinamento statale [...], non
ricorrono né un vero arbitrato né un vero lodo secondo l’ordinamento statale,
e pertanto non si può affermare la “competenza naturale” della Corte d’appello, che presuppone la deroga alla giurisdizione statale realizzata attraverso
il ricorso ad un vero arbitrato [...] », avevo già obiettato che, le volte in cui le
parti di una « convenzione » munita della debita forma scritta « a pena di
nullità » abbiano stabilito di « far decidere da arbitri le controversie tra di loro
insorte », queste potendo finanche risultare relative a « rapporti non contrattuali » (art. 808-bis), è evidente come l’unico (oggetto di) « contratto » che
venga in rilievo è soltanto quello di « far decidere da arbitri le controversie » (4). La natura di altre posizioni soggettive o delle questioni da « far
decidere » non presenta, insomma, alcuna priorità logica, e dunque ben si
sarebbe potuto trattare « delle questioni aventi ad oggetto le materie [...]
nell[e] qual[i], in linea di principio, la tutela, stante la irrilevanza per l’ordinamento generale delle situazioni in ipotesi violate e dei rapporti che da esse
possano sorgere, non è apprestata da organi dello Stato ma da organismi
interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste (e
nel cui solo ambito esse, infatti, godono di pacifica rilevanza), secondo uno
pubblicazione in questa Rivista, ha giudicato il caso di una pattinatrice per la quale, con lodo
non annullato dal Tribunale federale svizzero, il TAS aveva già escluso l’illegittimità della
sospensione dall’attività agonistica per doping. Proposta l’azione di risarcimento del danno al
Tribunale di Monaco, questo ha affermato di poter giudicare sulla domanda contro la International Skating Union e la Deutsche Eisschnellauf-Gemeinschaft, reputando inefficace o nulla la
clausola compromissoria per carenza di volontarietà, in dipendenza del difetto di parità delle
parti determinato dalla posizione di monopolio della Federazione sportiva. Ritenuta perciò
ammissibile la domanda, il Tribunale l’ha tuttavia rigettata nel merito, assumendo che, al fine
di accertare il diritto al risarcimento del danno, avrebbe dovuto tener conto, quale elemento
(negativo) della fattispecie risarcitoria, della legittimità della sospensione per doping già decisa
con autorità di giudicato.
Il dibattito recente sui temi dell’arbitrato quale tecnica per la soluzione delle questioni
sportive è quindi proseguito in Germania ed è stato più di recente, il 6 giugno scorso, ospitato
anche dall’Università di Heidelberg, Institut für ausländisches und internationales Privat- und
Wirtschaftsrecht, nell’ambito del convegno dal titolo « Vor der FIFA-WM in Brasilien: Schiedsgerichtsbarkeit und Fußball ».
(4) Cfr. Oggetti nuovi di arbitrato? Prime note sopra un emergente « diritto processuale
privato », in AULETTA-CALIFANO-DELLA PIETRA-RASCIO (a cura di), Sull’arbitrato. Studi offerti a
Giovanni Verde, Napoli, 2010, 42 ss.
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schema proprio della cosiddetta “giustizia associativa” » (5). E il riferimento
corre subito a quelle posizioni individuali che nel testo del « Codice di giustizia
sportiva » (C.G.S.) appena entrato in vigore si definiscono « situazioni giuridicamente protette [soltanto] nell’ordinamento federale » (cfr. artt. 6.2, 18.1,
lett. b, 27.1, lett. b, 30.1).
Allora, la « convenzione di arbitrato » — che, peraltro, mai postulerebbe
l’« esistenza effettiva », ma sempre e soltanto l’eventuale « affermazione » di
un anteriore diritto — appare dotata ex lege di autonoma « meritevole[zza] »,
e risulta pienamente « tutela[ta] » in quanto tale, cioè nella sua essenza di
strumento attributivo di diritti procedimentali, tant’è che sopra i « requisiti »
e gli « effetti » della medesima convenzione pronuncia senz’altro l’A.G. con
« sentenza passata in giudicato » (arg. ex art. 813-ter, 4° comma, c.p.c.).
In altri termini, le pretese all’annullabilità del lodo irrituale « secondo le
disposizioni del libro I » del c.p.c. ovvero alla sanzione di « nullità » del lodo
rituale costituiscono inalienabili forme di tutela della « convenzione di arbitrato » in sé, e non degli interessi sostantivi per i quali « le controversie [sono]
insorte ». Di qui consegue che la prestazione giurisdizionale volta a rescindere
il lodo è innegabile (i.e. sempre ammissibile) dal giudice presso il quale è
impugnato l’atto degli arbitri, mentre l’irrilevanza degli interessi in conflitto o
l’insufficienza della questione a farsi di per sé (anche) oggetto di processo
giurisdizionale costituiscono elementi impeditivi soltanto dell’esercizio del
potere rescissorio sulla controversia (eventualmente conseguente all’annullamento o alla nullità dell’atto).
Per questo, anche il sistema di giustizia sportiva avrebbe potuto interamente risolversi in un sistema di arbitrato, in particolare ricostruendo
l’impugnazione del lodo come pretesa (minima) all’annullamento (e basta),
davanti ai giudici dello Stato potendosi sempre riconoscere un’autonoma
azione (artt. 808-ter e 829 c.p.c.) rispetto a quella sopra l’oggetto di cui si è
giudicato in arbitri, una volta escluso che non si sia trattato lì di « diritti
indisponibili ».
3.
Segue: la giustiziabilità del lodo presso l’A.G. quale forma di stabile
« rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni
giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo ».
Dalla convenzione di arbitrato, insomma, può prendere vita un vero e
proprio sistema di « diritto processuale privato », che l’ordinamento eventualmente protegge allorché i privati lo abbiano optato, come tipicamente può
accadere nella giustizia interna ai gruppi sociali o agli enti intermedi: se gli
aderenti si vincolano a un determinato procedimento per la decisione dei loro
contrasti la cui soluzione abbiano liberamente rimesso a terzi, residua presso
(5 )
Corte cost. n. 49/2011.
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i giudici dello Stato una costante giustiziabilità, sebbene di consistenza variabile, di siffatti accordi attributivi di diritti procedimentali, e ciò anche in
carenza di posizioni o questioni di per sé suscettibili di accesso diretto alla
giustizia pubblica (com’è proprio di alcune delle vicende che originano dall’evento sportivo, a cominciare dalle « questioni tecnico sportive », come si
definiscono ora nell’art. 56.1, lett. b, C.G.S.).
Certo, il legislatore ordinario rimane poi libero di conformare il livello di
meritevolezza della tutela giurisdizionale relativa a tale diritto processuale
privato senza dover rispettare clausole costituzionali di sorta; e se l’arbitrato
non si pone in funzione alternativa e sostitutiva della giurisdizione dal momento che questa rimaneva già all’origine inaccessibile per difetto di posizione
soggettiva degna dei mezzi di giustizia pubblica, è chiaro che neppure in via
secondaria quest’ultima, pur quando adìta, potrebbe largire garanzie predeterminate o dovrebbe rispettare lo standard consueto.
La convenzione di arbitrato che non accede a diritti soggettivi o interessi
legittimi di rilevanza generale può comunque conferire un diritto processuale
sebbene a tale separata tutela non concorrano le garanzie costituzionali che
presidiano la giurisdizione in materia di « diritti e interessi legittimi ». Ciò vuol
dire, anzitutto, che è impedita la sollevazione di questioni di legittimità in
ordine al parametro costituzionale del procedimento giurisdizionale che
prenda a oggetto un lodo che abbia deciso in materia in cui l’ordinamento
generale neghi tutela specifica, fatti salvi i limiti essenziali di « ogni procedimento » (art. 24, 2° comma, Cost.). Né dev’essere confidato in ogni caso il
ricorso per Cassazione che, secondo l’insegnamento corrente, la Costituzione
ha riconosciuto soltanto ai portatori di diritti sostanziali, e non meramente
processuali « in quanto la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano
il processo [...] ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e, pertanto, non può dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo » (6).
Tuttavia, se in linea di principio il diritto processuale privato vive senza
speciali coperture costituzionali, almeno nell’an, neppure può essere pregiudizialmente scartata l’idea che il « riconosc[imento e la] garan[zia] » necessari
a tutelare i diritti dell’uomo, specialmente nelle « formazioni sociali », possano
determinare un accidentale irrobustimento della sua tutela, come forma di
coerente e razionale compimento di quel riconoscimento e di quella garanzia
che l’autonomia degli individui e dei gruppi organizzati meritano nelle forme
di svolgimento delle rispettive determinazioni. Del resto, proprio « l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della
Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive
(6)
Cass., VI, 17 aprile 2014, n. 8943, in Foro it., 2014, I, 1414.
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siano tra le più diffuse “formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua
personalità” e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi
liberamente per finalità sportive » (7).
Allora, dal momento che « la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale » (art. 1, d.l. n. 220/2003, cit.), « uno
dei più significativi ordinamenti autonomi che vengono a contatto con quello
statale » (8), l’ordinamento statale poi non potrebbe negare in assoluto ogni
forma di tutela giurisdizionale alla « disciplina delle questioni » che, seppure
« riservata all’ordinamento sportivo » (art. 2), venisse a realizzarsi mediante
« clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive » (art. 3).
Il diritto all’annullamento del corrispondente lodo potrebbe integrare, in
breve, quel minimo e costante livello di « rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo » (art. 1, comma 2). Dunque, la clausola normativa secondo
la quale « in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle
clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato
olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive » (art. 3, comma 1)
può servire a conferire quel diritto al controllo giurisdizionale sulla validità del
lodo anche oltre i soli « casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della
Repubblica di situazioni giuridiche soggettive ».
4.
Ragioni dell’obliterazione della tecnica arbitrale nel nuovo « Sistema di
giustizia sportiva ».
Ciononostante, l’ordinamento nazionale della giustizia sportiva ha imboccato una strada diversa (9), insoddisfacente essendo stata ritenuta la pluriennale esperienza arbitrale, prima vissuta con la Camera di conciliazione e
arbitrato per lo sport (10) e poi col Tribunale nazionale di arbitrato per lo
sport.
Le principali ragioni di tale insoddisfazione sono derivate dalla pretesa
irrazionalità di collocare un ibrido giudizio de novo, in forma arbitrale, al
culmine del previo giudizio di merito, così generando (di là della proprietà di
un arbitrato in funzione lato sensu impugnatoria (11)) una dis-continuità talora
mortificante per la peculiarità del giudice e del giudizio interno a ciascuna
Federazione e per la stabilità e autorevolezza del relativo prodotto di giustizia;
(7) Corte cost. n. 49/2011, cit.
(8) Corte cost. n. 49/2011, cit.
(9) Sull’esperienza internazionale de Il tribunale arbitrale dello sport v. la monografia
così intitolata di MERONE, Torino, 2009, 262.
(10) Cfr., si vis, il mio contributo Un modello per la camera di conciliazione e arbitrato per
lo sport, in questa Rivista, 2007, 145.
(11) Per essenziali riferimenti al problema dell’arbitrato di secondo grado cfr. PUNZI,
Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, Padova, 2012, 615.
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e ancora dall’incapacità dell’organizzazione procedimentale dell’arbitrato amministrato presso il C.O.N.I., già in termini normativi, di sopportare la vicenda
non infrequente del processo cumulativo, e dunque dall’occorrenza ricorrente
della frammentazione di giudizi all’esito di gradi di giustizia federali presso i
quali la decisione, viceversa, aveva riguardato simultaneamente una pluralità
di soggetti (si pensi alle sanzioni disciplinari irrogate per i tesserati riconosciuti
colpevoli del concorso nell’alterazione del risultato di una singola gara): il che,
si comprende, ha determinato germi di incoerenza, disparità di trattamento,
forme striscianti di contrazione della libertà dei giudizi posteriori a un accidentale leading case, mentre massimamente avvertita si faceva l’esigenza
riformatrice di contenere il sindacato di merito del caso singolo a beneficio di
un controllo inteso a garantire più che altro l’uniformità dei principi applicabili (un intendimento di nomofilachia, per dir così, poi enfatizzato dalla
costituzione della Procura generale dello sport, parimenti istituita presso il
C.O.N.I. con lo « scopo di tutelare la legalità dell’ordinamento sportivo », la
quale è stata infine dotata di autonomi poteri di accesso all’« organo di
giustizia di ultimo grado »).
Abbandonando la via arbitrale, così, la giustizia sportiva italiana rinuncia
consapevolmente anche alla stabilizzazione degli esiti che suo tramite si
realizzano, mancando notizia di sovvertimenti dei lodi rituali che dal 2009
sono stati resi, comunque in gran numero, presso il Tribunale nazionale di
arbitrato (12), complice forse la non ragionevole durata dei processi presso la
Corte d’appello.
Fatto sta che con le deliberazioni del 19 dicembre 2013 e dell’11 giugno
2014, rispettivamente di modifica dello Statuto e di approvazione del « Codice
di giustizia sportiva » (previsto dall’art. 6, comma 4, lett. b, dello Statuto) (13),
il C.O.N.I. ha rinunciato, in buona sostanza, alla tecnica arbitrale per l’amministrazione delle controversie nell’« ultimo grado » dell’ordinamento particolare che ospita.
5.
L’arbitrato per le « questioni meramente patrimoniali »: eadem mutata
resurgo?
Ora, « il Collegio di garanzia dello Sport istituito presso il Coni costituisce
organo di giustizia di ultimo grado » (art. 3.2 C.G.S.); e « avverso tutte le
(12) V.
www.coni.it/it/attività-istituzionali/tribunale-nazionale-di-arbitrato-per-lo-sport:
nell’anno 2013 sono stati promossi dinanzi al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport n. 69
procedimenti (per essi, in n. 40/69 la qualità di parte è stata assunta dalla Federazione Italiana
Giuoco Calcio, in n. 15/69 da un agente di calciatori, così confermandosi una primazia costante
di questi soggetti nell’alimentazione dei procedimenti arbitrali); nell’anno 2012 n. 132; nell’anno
2011 n. 104; nell’anno 2010 n. 91; nell’anno 2009 n. 83. Al 31 dicembre 2013, dei n. 69
procedimenti promossi n. 35 si erano già conclusi nell’anno.
(13) Il testo vigente risulta anche da alcune modifiche deliberate dal Consiglio nazionale
nella seduta del 15 luglio 2014.
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decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed
emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di
doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnicosportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro,
è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12 bis
dello Statuto del Coni. Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di
norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto
decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti »
(art. 54.1 C.G.S.).
Sennonché, il meccanismo ostracistico di ogni soluzione arbitrale sarebbe
stato vulnerato se fosse rimasta libertà alle Federazioni di farvi comunque
opzione, ciò che avrebbe determinato, con l’adozione di lodi per la decisione
della controversia da definire in sede federale, la possibile quanto immediata
divergenza della fase di impugnazione dall’orbita di attrazione del Collegio di
garanzia dello Sport.
È per tale ragione che è stata accordata licenza assai limitata per soluzioni
arbitrali endofederali, e quindi « Gli Statuti e i regolamenti federali possono
prevedere il deferimento delle controversie su rapporti meramente patrimoniali a commissioni e collegi arbitrali » (art. 4.3 C.G.S.).
In sintesi, le pur distinte forme di giustizia che si compiono entro
l’orizzonte sportivo, nel circolo ravvicinato della singola Federazione ovvero
in quello più ampio e conchiudente del C.O.N.I., hanno ritenuto di ridurre la
chance del lodo arbitrale al minimo costituito dai « rapporti meramente
patrimoniali » tra soggetti appartenenti a una medesima Federazione, senza
neppure assicurare in tal modo uniformità di procedimenti né di natura delle
ipotetiche determinazioni finali, probabilmente nella logica dell’immediata
avulsione dal circuito sportivo del lodo de quo, siccome destinato subito
all’impugnazione davanti all’A.G. indipendentemente del carattere rituale o
meno.
La normativa complessivamente dettata dal C.O.N.I., del resto, rimane
indifferente all’opzione arbitrale eventualmente votata dalla singola Federazione dal momento che nessun’altra sede sportiva (eso-federale) potrà essere
chiamata ad amministrare giustizia in un caso che sia mandato soggetto, nei
limiti delle questioni meramente patrimoniali, ad arbitrato (endo-federale), e
dunque l’aspirazione alla parità di trattamento e all’uniformità interpretativa
che anima la riforma delle sedi di giustizia allestite dal C.O.N.I. non potrebbe
essere secondata in nessuna misura: sarà il Giudice ordinario senz’altro a
sindacare il lodo sulle corrispondenti controversie che fossero state amministrate in arbitri, mente per tutto il resto dei conflitti che possono transitare
verso la sede di giustizia statuale sarà irresistibile l’attrazione al Giudice
amministrativo. Ecco, infatti, il precipitato ultimo del sopravvenuto sbarramento della via arbitrale anche quale forma di esodo verso la giurisdizione:
viene meno l’instradamento della lite, quale che sia, verso il Giudice ordinario,
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com’era allorché la tecnica rimaneva quella del lodo impugnabile a norma
dell’art. 829 c.p.c., il che naturalmente comprimeva la giurisdizione amministrativa altrimenti espandibile verso molta parte della materia elevata a
oggetto della controversia arbitrale.
Nessuna deviazione di corso giurisdizionale, invece, può realizzare
adesso, pur quando acceduta risulti la via arbitrale per i « rapporti [meramente] patrimoniali tra società, associazioni e atleti » (art. 3, comma 1, d.l. n.
220/2003, cit.), già naturalmente riservate all’A.G.O.
Tuttavia, anche quando le « questioni patrimoniali » (art. 56.2, lett. d,
C.G.S.) non abbiano conosciuto giudizio di arbitri, il loro corso naturale (dal
Tribunale federale, che, con competenza universale, « giudica in primo grado
su tutti i fatti rilevanti per l’ordinamento sportivo » a norma dell’art. 25.1
C.G.S.) fino al Collegio di garanzia dello sport non sembra ostacolato né
escluso, tant’è che, « presso il C.O.N.I. », è assicurato il presidio di un’apposita
sezione dell’« organo di giustizia di ultimo grado » che, dunque, pronuncerà
invariabilmente prima che la controversia (cui la questione pertiene) possa
utilmente esorbitare vero l’A.G.
Sennonché, sul punto la riflessione potrebbe cimentarsi nella rinnovata
costruzione — che farebbe dell’arbitrato una mirabile applicazione del motto
di Jakob Bernoulli sopra ogni cosa capace di risorg[ere] uguale eppure diversa
— in chiave (ancora) arbitrale (almeno) delle decisioni su questioni patrimoniali (pur quando) rese dal Collegio di garanzia dello sport, « organo » di cui
i contendenti — che non abbiano fatta opzione più univoca per l’arbitrato —
comunque finiscono per accettare come definitiva la « cognizione delle controversie » (art. 12-bis, comma 1, Statuto C.O.N.I.) (14); e felice colpa, al
riguardo, sembra riuscire, poi, l’evidente improprietà nella definizione di
« Clausola compromissoria » data alla previsione del c.d. vincolo di giustizia,
tra i « Principi di giustizia sportiva » votati dal Consiglio nazionale del
C.O.N.I. l’11 giugno scorso (e ai quali le Federazioni Sportive Nazionali e le
Discipline Sportive Associate devono adeguare i propri statuti e regolamenti),
secondo cui « Gli Statuti e i regolamenti federali prevedono che gli affiliati e
i tesserati accettino la giustizia sportiva così come disciplinata dall’ordinamento sportivo ». Dal complesso normativo può infatti scaturire, prim’ancora
che l’improcedibilità, l’improponibilità stessa della causa presso l’A.G. (15), e
(14) In base all’art. 62.1 C.G.S. il Collegio « decide la controversia senza rinvio [anche
quando] le parti ne abbiano fatto concorde richiesta entro il termine di chiusura della
discussione orale ».
(15) Cfr. Cass., sez. III, 1 aprile 2014, n. 7531, « nella clausola di un contratto di
assicurazione che prevede una perizia contrattuale, è insita la temporanea rinunzia alla tutela
giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale: prima e durante il corso della
procedura contrattualmente prevista, quindi, le parti stesse non possono proporre davanti al
giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto ».
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quindi di « qualunque domanda avente ad oggetto diritti derivanti dal rapporto preesistente » (16).
Si potrebbe, allora, opinare per la natura comunque arbitrale della
soluzione data « presso il C.O.N.I. » alle questioni patrimoniali aiutandosi, di
là del fondamentale assunto circa la più ridotta dimensione di questione che
può elevarsi a oggetto di tale giudizio (17), le (anche) recenti omologazioni tra
la perizia arbitrale (o contrattuale) (18) e il lodo irrituale e per la quale « il
contrasto si riferisce ad una questione (tendenzialmente di fatto) rilevante per
l’esistenza o il modo di essere di una situazione sostanziale, sicché l’accertamento è richiesto sempre nel contesto di un rapporto giuridico preesistente tra
i litiganti » (19).
Dunque, se sopra le « questioni patrimoniali » (20), per cui le parti potrebbero ricevere finanche licenza associativa di arbitrare in senso proprio la
controversia (ferma la eventuale dimensione maggiore di quest’ultima —
rispetto alla mera questione — quando devoluta all’A.G.O.), le stesse parti
rimangono comunque vincolate alla decisione del Collegio di garanzia dello
sport, ciò lascia seguire che sulla fissazione degli elementi operata mediante
tale giudizio è impedito ogni potere cognitivo del giudice ordinario, e « il
risultato finale è equiparabile a quello che si ottiene mediante un arbitrato a
(16) Cfr. CAMPIONE, La perizia contrattuale, in questa Rivista, 2014, 72, che ricorda le
conseguenze in tema di prescrizione sancite da Cass., sez. III, 13 marzo 2012, n. 3961.
(17) È il senso del fondamentale contributo di Bove, La perizia arbitrale, Torino, 2001,
182, che definisce la perizia arbitrale « un arbitrato con un oggetto irrituale », contro il cui atto
conclusivo dev’essere consentita « l’apposita impugnativa [...] prevista in generale contro il
lodo » (p. 227).
(18) A proposito della quale, nella più recente puntualizzazione di Cass., sez. III, 14
marzo 2013, n. 6554, in Assicurazioni, 2013, 299, si legge: « La relativa indagine, trattandosi di
quaestio facti e quaestio voluntatis, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui
apprezzamento è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di
diritto (ex multis, Cass. n. 4954/99). [...]. Ora, va considerato che la perizia contrattuale viene
tradizionalmente inquadrata nell’ambito di un mandato collettivo, con cui le parti deferiscono
ad uno o più terzi scelti per la loro competenza specifica, il compito di formulare un apprezzamento tecnico che si impegnano preventivamente ad accettare come diretta espressione della
loro volontà negoziale. La decisione è pertanto riconducibile alla volontà dei mandanti
mediante creazione di un nuovo assetto di interessi dipendente dal responso del terzo. In questa
ottica, la scelta del terzo, seppur affidata al Presidente del Tribunale, deve essere coerente con
le determinazioni volitive delle parti circa le qualità e le competenze tecniche del terzo,
vertendosi in tema di un negozio riconducibile esclusivamente alla loro volontà, impugnabile
con le ordinarie azioni dirette a far valere i vizi della volontà ».
(19) CAMPIONE, op. cit., 66.
(20) Quanto alle domande di risarcimento del danno deve registrarsi la discutibile
posizione da ultimo sostenuta ancora da Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3002, in Resp.
civ. e prev., 2013, 5, 1579 con nota di Stalteri: « la domanda volta ad ottenere non la caducazione
dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo, in
sede di giurisdizione esclusiva, non operando una riserva a favore della giustizia sportiva,
innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. Anche per le
controversie risarcitorie opera, tuttavia, il cd. vincolo della giustizia sportiva, e quindi potranno
essere instaurate solo dopo che siano “esauriti i gradi della giustizia sportiva”, così come
prevede l’art. 3 del d.l. n. 220 del 2003 ».
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modalità irrituale: un atto che risolve un contrasto con la stessa efficacia di un
contratto; un nuovo assetto di interessi di tipo negoziale » (21).
La ipotizzata ricostruzione, che risponde peraltro al principi posti dall’art.
2.1 (« Tutti i procedimenti di giustizia regolati dal Codice assicurano l’effettiva
osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo e la piena tutela dei diritti e
degli interessi dei tesserati, degli affiliati e degli altri soggetti dal medesimo
riconosciuti ») e dall’art. 6.1 C.G.S. (« Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli
altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli
organi di giustizia per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti
dall’ordinamento sportivo »), farebbe sopravvivere, almeno in parte, la tecnica di arbitrato, che ne trarrebbe un alimento vitale in quest’altro settore
della vita sociale che, dell’arbitrato, ritiene purtroppo di aver sperimentato i
guasti. E senza essere né credersi il solo.
(21) CAMPIONE, op. cit., 76, che altresì opina prudentemente nel senso dell’applicabilità
dell’art. 808-ter c.p.c.
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DOCUMENTI E NOTIZIE
Il trasferimento in arbitrato dei procedimenti civili pendenti e
le altre disposizioni sulla negoziazione assistita nel recentissimo Decreto Legge in materia di giustizia civile - Testo del
Decreto ed Osservazioni dell’A.I.A. sul Progetto (*).
Si pubblica qui di seguito, limitatamente alle disposizioni relative al
trasferimento in arbitrato di giudizi pendenti ed alla negoziazione assistita, il
testo del Decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 deliberato dal Consiglio dei
Ministri nella seduta del 29 agosto 2014 e pubblicato in G.U. 12 settembre 2014,
n. 212. Subito appresso può leggersi il testo delle “Osservazioni” fatte pervenire
dall’Associazione Italiana per l’Arbitrato, a seguito dell’apertura delle pubbliche consultazioni concernenti il Progetto di riforma che il Governo ha diffuso
nel luglio 2014 anticipando nella sostanza (e salvo alcuni particolari) il contenuto del Decreto.
DECRETO-LEGGE RECANTE: MISURE URGENTI
DI DEGIURISDIZIONALIZZAZIONE ED ALTRI INTERVENTI
PER LA DEFINIZIONE DELL’ARRETRATO IN MATERIA
DI PROCESSO CIVILE
(Omissis).
CAPO I
ELIMINAZIONE DELL’ARRETRATO E TRASFERIMENTO IN SEDE
ARBITRALE DEI PROCEDIMENTI CIVILI PENDENTI
Art. 1.
(Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti
dinanzi all’autorità giudiziaria).
1. Nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d’appello pendenti alla
data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti
indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza
(*) Per un primo esame vedi già in questo fascicolo, nella rubrica “Rassegne e
commenti”, lo scritto di A. BRIGUGLIO.
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sociale, nelle quali la causa non è stata assunta in decisione, le parti, con
istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del
codice di procedura civile.
2. Il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1,
ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui
ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina del collegio
arbitrale. Gli arbitri sono individuati, concordemente dalle parti o dal presidente del Consiglio dell’ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno tre anni
all’albo dell’ordine circondariale che non hanno avuto condanne disciplinari
definitive e che, prima della trasmissione del fascicolo, hanno reso una
dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso.
3. Il procedimento prosegue davanti agli arbitri. Restano fermi gli effetti
sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli
stessi effetti della sentenza.
4. Quando la trasmissione a norma del comma 2 è disposta in grado
d’appello e il procedimento arbitrale non si conclude con la pronuncia del
lodo entro centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo dev’essere riassunto entro il termine perentorio dei successivi
sessanta giorni. Quando il processo è riassunto il lodo non può essere più
pronunciato. Se nessuna delle parti procede alla riassunzione nel termine, il
procedimento si estingue e si applica l’articolo 338 del codice di procedura
civile. Quando, a norma dell’articolo 830 del codice di procedura civile, è stata
dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni
di cui al primo periodo o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la
riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal
passaggio in giudicato della sentenza di nullità.
5. Nei casi di cui ai commi che precedono, con decreto regolamentare del
Ministro della giustizia possono essere stabilite riduzioni dei parametri relativi
ai compensi degli arbitri. Nei medesimi casi non si applica l’articolo 814, primo
comma, secondo periodo, del codice di procedura civile.
CAPO II
PROCEDURA DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA DA
UN AVVOCATO
Art. 2.
(Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato)
1. La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo
mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà
per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei propri
avvocati.
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2. La convenzione di negoziazione deve precisare:
a) il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in
ogni caso non inferiore a un mese;
b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili.
3. La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle
parti, fermo restando il termine di cui al comma 2, lettera a).
4. La convenzione di negoziazione è redatta, a pena di nullità, in forma
scritta.
5. La convenzione è conclusa con l’assistenza di un avvocato.
6. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla
convenzione sotto la propria responsabilità professionale.
7. È dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del
conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di
negoziazione assistita.
Art. 3.
(Improcedibilità)
1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a controversie disciplinate dal codice del consumo, a una controversia in materia di risarcimento
del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato,
invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo
stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e
dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi
intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di
somme non eccedenti cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento di
negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o
rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva
che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva
udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 2 comma 3. Allo stesso
modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito. Il presente comma non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratto concluso tra professionisti e
consumatori.
2. Quando l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera
avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro
trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo
di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a).
3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;
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b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi
all’esecuzione forzata;
d) nei procedimenti in camera di consiglio;
e) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
4. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui
al comma 1 non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari,
né la trascrizione della domanda giudiziale.
5. Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti
obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati.
6. Quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di
procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte
che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato,
ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni. A tale fine
la parte è tenuta a depositare all’avvocato apposita dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo avvocato, nonché a produrre, se l’avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
7. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando la parte può
stare in giudizio personalmente.
8. Le disposizioni di cui al presente articolo acquistano efficacia decorsi
novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto.
Art. 4.
(Non accettazione dell’invito e mancato accordo)
1. L’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro
trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai
fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo
comma, del codice di procedura civile.
2. La certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito avviene
ad opera dell’avvocato che formula l’invito.
3. La dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati.
Art. 5.
(Esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione
e trascrizione)
1. L’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli
avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di
ipoteca giudiziale.
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2. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
3. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno
degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla
trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve
essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
4. Costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo
alla cui redazione ha partecipato.
Art. 6.
(Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni
consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili
o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni
di separazione o di divorzio)
1. La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato può essere
conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di
separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di
scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma,
numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970, n. 898, e successive
modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza
di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave
ovvero economicamente non autosufficienti.
3. L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e
tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al
comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti
civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle
condizioni di separazione o di divorzio. L’avvocato della parte è obbligato a
trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del
Comune in cui il matrimonio fu trascritto, copia, autenticata dallo stesso,
dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5.
4. All’avvocato che vìola l’obbligo di cui al comma 3, secondo periodo, è
applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 50.000.
Alla irrogazione della sanzione di cui al periodo che precede è competente il
Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall’articolo 69
del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 49, comma 1, dopo la lettera g), è aggiunta la seguente
lettera: « g-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione
assistita da un avvocato conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una
soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di
scioglimento del matrimonio; »;
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b) all’articolo 63, comma 1, dopo la lettera g), è aggiunta la seguente
lettera: « g-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione
assistita da un avvocato conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una
soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti
civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica
delle condizioni di separazione o di divorzio. »;
c) all’articolo 69, comma 1, dopo la lettera d), è aggiunta la seguente
lettera: « d-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione
assistita da un avvocato conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una
soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti
civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio; ».
Art. 7.
(Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)
1. All’articolo 2113 del codice civile, al quarto comma, dopo le parole
“del codice di procedura civile” sono aggiunte le seguenti: « o conclusa a
seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato ».
Art. 8.
(Interruzione della prescrizione e della decadenza)
1. Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale.
Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito
è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’articolo 4, comma 1, la
domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero
dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.
Art. 9.
(Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)
1. I difensori non possono essere nominati arbitri ai sensi dell’articolo 810
del codice di procedura civile nelle controversie aventi il medesimo oggetto o
connesse.
2. È fatto obbligo agli avvocati e alle parti di comportarsi con lealtà e di
tenere riservate le informazioni ricevute. Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel
giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto.
3. I difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non
possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle
informazioni acquisite.
4. A tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le
garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del
medesimo codice di procedura penale in quanto applicabili.
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Art. 10.
(Antiriciclaggio)
1. All’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n.
231, dopo le parole: « compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o
evitare un procedimento, » sono inserite le seguenti: « anche tramite una
convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ai sensi di legge, ».
Art. 11.
(Raccolta dei dati)
1. I difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito
della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell’ordine
circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto.
2. Con cadenza annuale il Consiglio nazionale forense provvede al
monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e ne trasmette i dati al
Ministero della giustizia.
(Omissis).
Art. 22.
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella
Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto
obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
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Consultazione pubblica sul Progetto di riforma del Ministero
della Giustizia
Osservazioni sul Punto 2 “Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato”
a cura di
AIA — Associazione Italiana per l’Arbitrato
Si sottopongono le presenti Osservazioni che hanno ad oggetto il Punto
2 del Progetto di riforma, con particolare riferimento alle “Misure di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.
Premessa sulla natura giurisdizionale dell’arbitrato
L’AIA intende preliminarmente sottolineare che qualsiasi misura legislativa, seppure ispirata dal condivisibile intento deflattivo, deve essere studiata
in modo tale da assicurare un armonico coordinamento con la disciplina
generale dell’arbitrato rituale contenuta nel nostro codice di rito, per evitare
che la Riforma proposta possa sovvertire i principi consolidati del nostro
ordinamento processuale. Tra tali principi consolidati rientra senza dubbio
quello della natura giurisdizionale dell’attività degli arbitri rituali, che devono
pertanto essere posti sul medesimo piano dei giudici statali, come recentemente
ribadito e definitivamente riconosciuto dalle Sezioni Unite della Suprema
Corte di Cassazione a fine 2013.
Si precisa inoltre che le Osservazioni che seguono intendono riferirsi
soltanto alle proposte misure per la traslatio iudicii, e non devono considerarsi
quale deroga alla disciplina generale dell’arbitrato rituale.
Le Osservazioni si concentreranno sulla misura prevista nel Progetto e
denominata:
Decisioni brevi delle cause pendenti mediante l’intervento degli arbitri
1.
La volontà delle parti in lite di autorizzare la traslatio della controversia ad
un procedimento arbitrale.
Occorre, in primo luogo, rilevare come le presenti Osservazioni sono
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formulate in totale assenza di un testo di riferimento e la misura qui commentata sia, per il momento, descritta in maniera generica nel testo proposto
dal Ministero: una più attenta valutazione sulla legittimità, efficacia ed utilità
della medesima non potrà che dipendere dalle relative modalità di attuazione.
Allo stato, sulla base delle indicazioni attualmente presenti sul sito del
Ministero, si rileva quanto segue.
L’arbitrato è sempre stato, come lo è tutt’oggi, liberamente utilizzabile
dalle parti per definire le controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili e liberamente potrà esprimersi la volontà congiunta delle parti di un
giudizio pendente di rinunziare al giudizio o di abbandonarlo, per veder risolta
da arbitri la medesima lite. Tale ipotesi costituirebbe una peculiare forma di
compromesso ex art. 807 c.p.c. Ciononostante, una tale eventualità ha carattere quasi esclusivamente teorico, poiché appare difficile ipotizzare che una
strada del genere venga seguita da parti già contrapposte in sede giudiziale e
generalmente ben poco disposte a trattare e ad accordarsi.
Affinché una tale misura possa produrre gli effetti sperati appare ragionevole ritenere che un ruolo fondamentale debba essere svolto dai giudici e
dagli avvocati nella promozione dell’arbitrato.
Un ruolo altrettanto importante — al fine di favorire l’uso dello strumento — potrebbe essere svolto dall’introduzione di incentivi, fiscali o di altro
genere. Affinché siano disposte ad abbandonare la strada giudiziale per
percorrere quella della giustizia privata è infatti necessario che le parti siano
stimolate con un incentivo anche di carattere economico. Potrebbe prevedersi
che i costi dell’arbitrato (prefissati e contenuti) siano determinati dallo stesso
giudice remittente, allo stesso demandando la decisione circa ogni ulteriore
questione economica. Tra gli incentivi fiscali si potrebbe prevedere che, in
caso di passaggio alla procedura arbitrale, il contributo unificato sia recuperato come credito d’imposta ovvero una sostanziale riduzione dell’imposta di
registro per il lodo omologato. In ogni caso si suggerisce di prevedere che
l’omologazione del lodo avvenga secondo una procedura semplificata e senza
ulteriori oneri. Incentivi di questo tipo non sono presenti nelle proposte
elaborate dal Ministero che sembrano limitarsi a suggerire soltanto il beneficio
di una maggiore rapidità della soluzione della lite.
2.
La nomina degli arbitri.
La Relazione tecnica prevede che il “... giudice.............. effettuata tale
verifica, trasmette il fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine circondariale forense in cui si trova l’ufficio giudiziario innanzi al quale è incardinato il
giudizio per la nomina di un collegio arbitrale, ove le parti non provvedano esse
stesse alla loro designazione. Gli arbitri devono essere individuati tra gli
avvocati iscritti all’albo del circondario da almeno tre anni e che si siano resi
disponibili con dichiarazione fatta al Consiglio dell’ordine circondariale.”.
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Da quanto sopra riportato emergono una serie di questioni e problematiche che meritano una particolare attenzione e sulle quali occorre svolgere
alcune considerazioni.
Il primo problema che si pone è quello della nomina del collegio arbitrale
(o dell’arbitro unico): da tale scelta dipendono, in buona parte, la regolarità
del procedimento e la qualità della decisione.
In via preliminare si osserva che, particolarmente in considerazione del
valore presumibilmente modesto delle liti che potranno essere risolte tramite
arbitrato, appare opportuno fissare che, salvo diverso accordo delle parti, le
controversie saranno devolute ad un arbitro unico.
Inoltre i requisiti essenziali e imprescindibili affinché un professionista
possa svolgere adeguatamente un tale compito possono essere così riassunti:
imparzialità, indipendenza, competenza nella materia in relazione alla quale è
insorta la controversia, approfondita conoscenza dello strumento arbitrale
corredata di una esperienza pratica significativa al riguardo.
La mancanza anche di uno solo di tali requisiti è suscettibile di compromettere lo svolgimento e l’esito del procedimento, ingenerando così ulteriore
contenzioso dinanzi alle corti d’appello, che dovranno decidere delle probabili
relative impugnazioni per nullità. In tali ipotesi, appare pertanto evidente
come l’obiettivo perseguito dal Ministero (riduzione del carico dei ruoli dei
tribunali) non verrebbe certamente raggiunto.
Occorre quindi prestare particolare attenzione alla fase di nomina degli
arbitri.
Il tenore letterale delle indicazioni sopra riportate ingenera dubbi. Da un
lato, si prevede che il giudice debba trasmettere “il fascicolo al presidente del
Consiglio dell’ordine circondariale forense in cui si trova l’ufficio giudiziario
innanzi al quale è incardinato il giudizio per la nomina di un collegio arbitrale,
ove le parti non provvedano esse stesse alla loro designazione”. Sembrerebbe
doversi desumere che la trasmissione al presidente del Consiglio dell’ordine
degli avvocati debba essere seguita solo in caso di mancata scelta delle parti.
Altrimenti, l’arbitrato si dovrebbe svolgere normalmente, con o senza l’ausilio
di un’istituzione arbitrale.
Qualora, invece, le parti non raggiungano un accordo sugli arbitri da
nominare, l’autorità di nomina viene individuata nel presidente dell’ordine
forense. Potrebbe sollevare, a seconda dei casi, alcune perplessità.
Molto dipenderà, naturalmente, da come opereranno i singoli ordini.
Qualora già dispongano di una camera arbitrale, è facile ipotizzare che il
presidente individui i possibili candidati nell’elenco tenuto dalla medesima
istituzione (laddove, naturalmente, un tale elenco esista). In proposito, però
occorre rilevare come non tutti gli ordini forensi abbiano già istituito una
camera arbitrale. Laddove dovessero provvedervi nell’immediato, è possibile
che coloro che verranno inseriti nel relativo elenco non abbiano un’esperienza
adeguata all’incarico che dovranno svolgere. Inoltre, molte delle camere
arbitrali già costituite presso gli ordini forensi hanno sino ad oggi svolto
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un’attività molto limitata. Non può pertanto non ribadirsi come, anche in
questi casi, non si possa certo avere la certezza che gli arbitri che verranno
nominati abbiano i requisiti necessari a svolgere il relativo incarico.
Qualora, invece, l’ordine forense non abbia costituito una camera arbitrale, non vengono indicati i criteri che dovranno essere seguiti dal presidente
nella fase di nomina, ad eccezione di quello che segue: “tra gli avvocati iscritti
all’albo del circondario da almeno tre anni e che si siano resi disponibili con
dichiarazione fatta al Consiglio dell’ordine circondariale.”.
Tali criteri sembrano assolutamente insufficienti a garantire le caratteristiche sopra sinteticamente ricordate (imparzialità, indipendenza, ottima conoscenza della materia, conoscenza ed esperienza approfondite dello strumento arbitrale).
Una tale previsione, poi, sembrerebbe riservare ai soli ordini forensi la
funzione di autorità di nomina, senza tener conto dell’esperienza maturata da
alcune istituzioni arbitrali (tra le quali rientrano certamente quelle operanti
nell’ambito del sistema delle camere di commercio e poche altre, tra cui l’AIA
— Associazione Italiana per l’Arbitrato, costituita nel 1958), che operano
professionalmente da lungo tempo e con successo, che hanno amministrato un
numero rilevante di procedimenti, seriamente, con imparzialità e indipendenza, in tempi ristretti, portando a decisioni ragionevoli, con costi contenuti
e prevedibili (in quanto preventivamente indicati nelle tariffe allegate ai
rispetti regolamenti arbitrali).
Il non aver menzionato tali istituzioni non sembra trovare alcuna giustificazione. Queste istituzioni, infatti, in genere hanno un elenco nel quale sono
stati inseriti professionisti che danno garanzie di serietà e professionalità e che
hanno maturato una adeguata esperienza in materia arbitrale. Facendo riferimento a tali istituzioni le parti avrebbero la garanzia di vedersi nominare
arbitri in grado di svolgere nel migliore dei modi il ruolo loro affidato.
Una soluzione concreta della questione potrebbe essere quella di prevedere che le parti, di comune accordo, indichino quale sia l’autorità che dovrà
provvedere alla nomina degli arbitri, tra quelle preventivamente individuate
dal Ministero. In tale elenco, potrebbero essere inseriti:
• gli ordini forensi che abbiano già costituito una camera arbitrale e che
essa abbia effettivamente operato per almeno 5 anni;
• le istituzioni arbitrali del sistema camerale;
• le istituzioni arbitrali private che operino da almeno 15 anni.
3.
La gestione del procedimento arbitrale.
Da quanto risulta, poi, sembra che il meccanismo sopra descritto debba
essere gestito e ruotare attorno alle Camere Arbitrali costituite presso gli
ordini forensi, che saranno oggetto di apposita normativa.
In proposito, non si può non attirare nuovamente (e come sopra evidenziato) l’attenzione del legislatore sulla necessità di tener conto dell’esperienza
maturata nel corso degli anni dalle istituzioni arbitrali sopra richiamate.
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Trattasi di istituzioni che, operando da molti anni, sono in grado di
mettere immediatamente a disposizione degli interessati la propria professionalità e competenza e che utilizzano, come arbitri, professionisti già formati ed
esperti, altrettanto professionali e competenti.
Non bisogna, infatti dimenticare che, nel momento in cui l’arbitrato
venga amministrato da un’istituzione, l’istituzione stessa deve essere garanzia
di adeguata preparazione ed esperienza non soltanto per quel che riguarda gli
arbitri, ma anche per i funzionari dell’istituzione (la Segreteria), cui compete
l’amministrazione della procedura.
Occorre, infatti, ribadire che qualora gli arbitrati venissero gestiti da
soggetti che hanno una scarsa conoscenza dello strumento arbitrale, si incorrerebbe facilmente in problemi quali: durata eccessiva dei procedimenti,
irregolarità nel corso del procedimento e decisioni discutibili.
4.
Effetti e conseguenze della traslatio in arbitrato del procedimento civile.
Con riferimento alla fase successiva alla nomina ed, in particolare, alla
seguente indicazione “Trasmesso il fascicolo all’arbitro, il procedimento prosegue dinanzi allo stesso e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali
prodotti dalla domanda giudiziale, mentre, in via generale, è previsto che il lodo
abbia gli stessi effetti della sentenza.”, si osserva quanto segue.
Una tale ipotesi solleva alcune perplessità. Non è chiaro se il procedimento arbitrale debba proseguire dallo stesso stato in cui si trovava il giudizio,
ovvero se debba ricominciare dall’inizio, fermi restando gli effetti della
domanda giudiziale.
Nel primo caso, dando per acquisita la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria, non si può non sottolineare come
qualche dubbio possa insorgere sulla opportunità di pretendere dal collegio
arbitrale (o dall’arbitro unico) di decidere una controversia sulla base dell’istruttoria svolta dal giudice e sulla base solo dei relativi verbali (si osserva, ad
esempio, che gli arbitri potrebbero avere idee diverse da quelle del giudice in
merito all’ammissibilità e rilevanza dei mezzi istruttori richiesti dalle parti).
Una previsione siffatta, tuttavia, avrebbe l’indiscutibile vantaggio di
consentire una notevole riduzione della durata del procedimento arbitrale.
5.
Termini per la definizione della controversia.
Viene poi indicato un termine di 120 giorni, “Nell’ipotesi in cui la traslatio
sia disposta in grado d’appello”, entro dovrebbe essere definita la lite e le
relative conseguenze.
Da un lato, nulla si dice qualora la traslatio si verifichi in primo grado.
Dall’altro, pretendere — in termini generali e senza tener conto della
complessità e delle caratteristiche della controversia — che la lite venga decisa
in sede arbitrale in soli 120 giorni appare meritevole di approfondimenti.
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Con riferimento alla ipotesi di introdurre un termine di 60 giorni per la
riassunzione del giudizio a seguito di declaratoria di nullità del lodo pronunciato a seguito del trasferimento, si rileva quanto segue.
Una tale soluzione potrebbe comportare delle conseguenze rilevanti in
termini di tempi e di costi. Si potrebbe, infatti, verificare la seguente fattispecie: dopo alcuni anni di causa e ad istruttoria conclusa, le parti manifestano al
giudice la volontà di andare in arbitrato. Dopo diversi mesi si conclude tale
procedimento con un lodo. La parte insoddisfatta lo impugna per nullità ed il
lodo, dopo alcuni anni di giudizio, viene dichiarato nullo. A quel punto, si
aprono due alternative: ricorso per cassazione oppure riassunzione del giudizio di primo grado.
6.
La competenza degli arbitri in caso di traslatio.
Sotto un ulteriore profilo, deve anche segnalarsi che, anche se si prevede
che sia il giudice ad accertare la sussistenza dei requisiti per la traslatio in
arbitri (i.e. l’esistenza del compromesso tra le parti e il dato temporale
consistente nel fatto che la causa non è stata ancora trattenuta in decisione),
in virtù del principio della kompetenz-kompetenz il collegio arbitrale mantiene
in ogni caso la competenza esclusiva a conoscere e decidere in merito
all’ampiezza della propria competenza in relazione alla controversia deferitagli, potendo, pertanto, in ipotesi, anche escluderla. Sarebbe quindi opportuno
prevedere un meccanismo di chiusura del sistema per l’ipotesi, per quanto
marginale, in cui il collegio arbitrale declini la propria competenza e la causa
debba, pertanto, ritornare sul ruolo del giudice precedentemente adito.
Roma, 20 agosto 2014
Associazione Italiana per l’Arbitrato
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Il nuovo “Codice della giustizia sportiva”
Si pubblica qui di seguito il testo del “Codice della giustizia sportiva”,
deliberato l’11 giugno 2014 e successivamente integrato dal Consiglio
nazionale del CONI il 15 luglio 2014 (*)
CODICE DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA
TITOLO I
NORME GENERALI DEL PROCESSO SPORTIVO
CAPO I
PRINCIPI DEL PROCESSO SPORTIVO
Art. 1.
(Ambito di applicazione del Codice)
1. Il presente Codice regola l’ordinamento e lo svolgimento dei procedimenti di giustizia innanzi alle Federazioni sportive nazionali e alle Discipline
sportive associate (indicate d’ora in poi Federazioni).
2. Il presente Codice regola altresì l’ordinamento e lo svolgimento dei
procedimenti di giustizia innanzi al Collegio di garanzia dello Sport istituito
presso il Coni nonché i rapporti tra le procure federali e la Procura generale
dello Sport istituita presso il Coni.
3. Resta ferma la competenza di ogni Federazione a definire le fattispecie
dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, anche in conformità a
quanto eventualmente previsto dalle Federazioni internazionali di appartenenza.
4. Il presente Codice non si applica ai procedimenti relativi a violazioni
delle norme sportive antidoping nonché agli organi competenti per l’applicazione delle corrispondenti sanzioni.
(*) Il commento di F. AULETTA è pubblicato in questo stesso fascicolo nella rubrica
“Rassegne e commenti”.
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Art. 2.
(Principi del processo sportivo)
1. Tutti i procedimenti di giustizia regolati dal Codice assicurano l’effettiva osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo e la piena tutela dei
diritti e degli interessi dei tesserati, degli affiliati e degli altri soggetti dal
medesimo riconosciuti.
2. Il processo sportivo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo.
3. I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole
durata del processo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni
sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale.
4. La decisione del giudice è motivata e pubblica.
5. Il giudice e le parti redigono i provvedimenti e gli atti in maniera chiara
e sintetica. I vizi formali che non comportino la violazione dei principi di cui
al presente articolo non costituiscono causa di invalidità dell’atto.
6. Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la
propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti
di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia
sportiva.
CAPO II
ORGANI DI GIUSTIZIA
Art. 3.
(Organi di giustizia e altri soggetti dei procedimenti)
1. Sono organi di giustizia presso la Federazione:
a) Il Giudice sportivo nazionale, i Giudici sportivi territoriali e la Corte
sportiva di appello;
b) Il Tribunale federale e la Corte federale di appello.
2. Per i casi e nei limiti previsti dallo Statuto del Coni, il Collegio di
garanzia dello Sport istituito presso il Coni costituisce organo di giustizia di
ultimo grado.
3. Gli organi di giustizia agiscono nel rispetto dei principi di piena
indipendenza, autonomia e riservatezza. Ciascun componente degli organi di
giustizia presso la Federazione, all’atto dell’accettazione dell’incarico, sottoscrive una dichiarazione con cui attesta di non avere rapporti di lavoro
subordinato o continuativi di consulenza o di prestazione d’opera retribuita,
ovvero altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l’indipendenza con la Federazione o con i tesserati, gli affiliati e gli altri
soggetti sottoposti alla sua giurisdizione, né di avere rapporti di coniugio, di
parentela o affinità fino al terzo grado con alcun componente del Consiglio
federale, impegnandosi a rendere note eventuali sopravvenienze. Informazioni reticenti o non veritiere sono segnalate alla Commissione federale di
garanzia per l’adozione delle misure di competenza.
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4. La Procura federale agisce innanzi agli organi di giustizia di cui al
comma 1 per assicurare la piena osservanza delle norme dell’ordinamento
sportivo. Ciascun componente della Procura federale rende la dichiarazione di
cui al comma 3.
5. Fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 7, la carica di
componente di organo di giustizia o di procuratore presso la Federazione è
incompatibile con la carica di componente di organo di giustizia presso il Coni
o di componente della Procura Generale dello Sport, nonché con la carica di
componente di organo di giustizia o di procuratore presso più di un’altra
Federazione. Presso la medesima Federazione, ferma la incompatibilità con la
carica di procuratore, la carica di componente di organo di giustizia sportiva
non è incompatibile con la carica di componente di organo di giustizia
federale.
6. Gli incarichi presso gli organi di giustizia e la procura federale possono
essere svolti anche in deroga a quanto previsto dall’art. 7, comma 5, dei
Principi Fondamentali.
7. La Procura generale dello Sport istituita presso il Coni coopera con le
Procure federali al raggiungimento della finalità di cui al comma 4.
8. Al fine di conseguire risparmi di gestione, due o più Federazioni,
d’intesa tra loro, possono costituire organi di giustizia e procure comuni.
Ciascuna Federazione può altresì ovvero avvalersi del Tribunale federale o
della Corte federale di appello anche per l’esercizio delle funzioni della Corte
sportiva di appello.
Art. 4.
(Attribuzioni)
1. È attribuita agli organi di giustizia la risoluzione delle questioni e la
decisione delle controversie aventi ad oggetto:
a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative
e statutarie dell’ordinamento sportivo al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;
b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed
applicazione delle relative sanzioni.
2. Gli organi di giustizia decidono altresì le controversie loro devolute
dagli Statuti e dai regolamenti federali.
3. Gli Statuti e i regolamenti federali possono prevedere il deferimento
delle controversie su rapporti meramente patrimoniali a commissioni e collegi
arbitrali.
Art. 5.
(Commissione federale di garanzia)
1. La Commissione federale di garanzia, tutela l’autonomia e l’indipendenza degli organi di giustizia presso la Federazione e della Procura federale.
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Essa si compone di tre o cinque soggetti, uno dei quali con funzioni di
presidente, nominati dal Consiglio federale con maggioranza qualificata, pari
ai due terzi degli aventi diritto al voto nei primi due scrutini e alla maggioranza assoluta a partire dal terzo scrutinio. I componenti durano in carica sei
anni e il loro mandato può essere rinnovato una sola volta. I componenti sono
scelti — salvi gli ulteriori requisiti eventualmente stabiliti da ciascuna Federazione e ferma l’assenza di conflitti d’interesse tra gli stessi e i membri del
Consiglio federale — tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni
ordinaria, amministrativa, contabile o militare, tra i professori universitari di
ruolo, anche a riposo, in materie giuridiche, tra gli avvocati dello Stato e tra
gli avvocati abilitati all’esercizio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
2. In alternativa alla costituzione della Commissione federale, la Federazione può decidere di avvalersi della Commissione di garanzia di cui all’art. 13
ter Statuto del Coni.
3. La Commissione, in piena autonomia e con indipendenza di giudizio:
a) individua, con determinazione non più sindacabile, anche tra coloro
che ne facciano richiesta a seguito di eventuale invito pubblico a manifestare
interesse formulato dalla Federazione, i soggetti idonei a essere nominati
componenti del Tribunale federale e della Corte federale di appello, conformemente alle disposizioni federali e a quelle del presente Codice;
b) individua, con determinazione non più sindacabile, anche tra coloro
che ne facciano richiesta a seguito di eventuale invito pubblico a manifestare
interesse formulato dalla Federazione, i soggetti idonei a essere nominati
procuratore, procuratore aggiunto e sostituto procuratore federale, conformemente alle disposizioni federali e a quelle del presente Codice;
c) adotta nei confronti dei componenti degli organi di giustizia e della
Procura federale, oltre ai provvedimenti stabiliti dalle disposizioni federali, le
sanzioni del richiamo e, eventualmente, della rimozione dall’incarico, nel caso
di violazione dei doveri di indipendenza e riservatezza, nel caso di grave
negligenza nell’espletamento delle funzioni, ovvero nel caso in cui altre gravi
ragioni lo rendano comunque indispensabile; in tale ultima ipotesi, la rimozione può anche non essere preceduta dal richiamo;
d) formula pareri e proposte al Consiglio federale in materia di organizzazione e funzionamento della giustizia sportiva.
4. La Federazione può applicare la procedura di cui al comma 3, lett. a),
anche per la nomina del Giudice sportivo nazionale e dei componenti della
Corte sportiva di appello.
CAPO III
ACCESSO ALLA GIUSTIZIA
Art. 6.
(Diritto di agire innanzi agli organi di giustizia)
1. Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti legittimati da
ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli organi di giustizia per la
tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti dall’ordinamento sportivo.
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2. L’azione è esercitata soltanto dal titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale.
Art. 7.
(Contributo per l’accesso ai servizi di giustizia)
1. Ogni Federazione determina, a parziale copertura dei costi di gestione,
la misura del contributo per l’accesso ai servizi di giustizia. Il contributo non
deve essere tale da rendere eccessivamente oneroso l’accesso ai servizi di
giustizia. Con delibera della Giunta Nazionale del Coni è fissata la misura
massima del contributo, eventualmente differenziato per Federazione e tipologia di controversia.
2. Modalità e termini di versamento, condizioni di ripetibilità del contributo nonché di eventuali depositi cauzionali previsti sono determinati da ogni
Federazione con i rispettivi regolamenti di giustizia, nel rispetto delle norme
contenute nel presente Codice.
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, al contributo per l’accesso al servizio di giustizia del Coni.
Art. 8.
(Ufficio del gratuito patrocinio)
1. Al fine di garantire l’accesso alla giustizia federale a quanti non
possono sostenere i costi di assistenza legale, la Federazione può istituire
l’Ufficio del gratuito patrocinio o avvalersi dell’apposito Ufficio istituito
presso il Coni.
2. I regolamenti di giustizia federali definiscono le condizioni per l’ammissione al patrocinio gratuito nonché il funzionamento del relativo ufficio
assicurando l’indipendenza degli avvocati che vi sono addetti. Il Consiglio
federale stabilisce altresì le risorse all’uopo dedicate, anche destinandovi le
somme derivanti dal versamento dei contributi per l’accesso ai servizi di
giustizia.
CAPO IV
NORME GENERALI SUL PROCEDIMENTO
Art. 9.
(Poteri degli organi di giustizia)
1. Gli organi di giustizia esercitano tutti i poteri intesi al rispetto dei
principi di cui all’art. 2.
2. Il giudice stabilisce, con provvedimento non autonomamente impugnabile, le modalità di svolgimento dell’udienza, anche disponendo l’eventuale
integrazione del contraddittorio.
3. Il giudice non può rinviare la pronuncia né l’udienza se non quando
ritenga la questione o la controversia non ancora matura per la decisione,
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contestualmente disponendo le misure all’uopo necessarie. Può sempre ammettere la parte che dimostri di essere incorsa in decadenza per causa alla
stessa non imputabile a compiere attività che le sarebbero precluse.
4. Il giudice può indicare alle parti ulteriori elementi di prova utili,
laddove i mezzi istruttori acquisiti non appaiano sufficienti per la giusta
decisione. Sentite le parti, può assumere ogni altra informazione che ritiene
indispensabile.
5. Gli organi di giustizia tengono udienza con la partecipazione delle parti
e degli altri soggetti interessati anche a distanza, tramite videoconferenza
ovvero altro equivalente tecnologico che sia idoneo e disponibile.
Art. 10.
(Condanna alle spese per lite temeraria)
1. Il giudice, con la decisione che chiude il procedimento, può condannare
la parte soccombente che abbia proposto una lite ritenuta temeraria al
pagamento delle spese a favore dell’altra parte fino a una somma pari al triplo
del contributo per l’accesso ai servizi di giustizia sportiva e comunque non
inferiore a 500 euro.
2. Se la condotta della parte soccombente assume rilievo anche sotto il
profilo disciplinare, il giudice segnala il fatto al procuratore federale.
Art. 11.
(Comunicazioni)
1. Tutti gli atti del procedimento e dei quali non sia stabilita la partecipazione in forme diverse sono comunicati a mezzo di posta elettronica
certificata. Il Giudice può invitare le parti a concordare forme semplificate di
comunicazione tra le stesse, anche mediante rinuncia ad avvalersi in ogni
modo dei difetti di trasmissione, riproduzione o scambio.
2. Gli atti di avvio dei procedimenti disciplinari sono comunicati presso la
sede della Società, Associazione o Ente di appartenenza dei soggetti che vi
sono sottoposti; in caso di mancata consegna della comunicazione al tesserato,
la Società, Associazione o Ente è sanzionabile fino alla revoca dell’affiliazione.
In ogni caso, la prima comunicazione può essere fatta in qualunque forma
idonea al raggiungimento dello scopo.
3. È onere delle parti di indicare, nel primo atto difensivo, l’indirizzo di
posta elettronica certificata presso il quale esse intendono ricevere le comunicazioni; in difetto, le comunicazioni successive alla prima sono depositate
presso la segreteria dell’organo procedente e si hanno per conosciute con tale
deposito.
4. Le decisioni degli organi di giustizia sono pubblicate e conservate per
un tempo adeguato nel sito internet istituzionale della Federazione in apposita
collocazione di agevole accesso e, in ogni caso, con link alla relativa pagina
accessibile dalla home page. Il termine per l’impugnazione decorre dal giorno
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seguente alla pubblicazione che è in ogni caso successiva alla comunicazione,
quando prevista. Le decisioni del Collegio di Garanzia dello Sport istituito
presso il Coni sono sempre pubblicate nel sito internet del Coni.
Art. 12.
(Segreteria degli organi di giustizia presso la Federazione)
1. Gli organi di giustizia sono coadiuvati da un segretario individuato
dalla Federazione.
2. Il segretario documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dai
regolamenti federali, le attività proprie e quelle degli organi di giustizia e delle
parti. Egli assiste gli organi di giustizia in tutti gli atti dei quali deve essere
redatto verbale.
3. Il segretario attende al rilascio di copie ed estratti dei documenti
prodotti, all’iscrizione delle controversie nei ruoli, alla formazione del fascicolo d’ufficio e alla conservazione di quelli delle parti, alle comunicazioni
prescritte anche dal giudice, nonché alle altre incombenze che il Codice e i
regolamenti federali gli attribuiscono.
TITOLO II
GIUDICI SPORTIVI
CAPO I
NOMINA E COMPETENZA
Art. 13.
(Istituzione)
1. Presso ogni Federazione sono istituiti i Giudici sportivi.
2. I Giudici sportivi si distinguono in Giudice sportivo nazionale, Giudici
sportivi territoriali e Corte sportiva di appello.
Art. 14.
(Competenza dei Giudici sportivi)
1. Il Giudice sportivo nazionale e i Giudici sportivi territoriali pronunciano in prima istanza, senza udienza e con immediatezza su tutte le questioni
connesse allo svolgimento delle gare e in particolare su quelle relative a:
a) la regolarità delle gare e la omologazione dei relativi risultati;
b) la regolarità dei campi o impianti e delle relative attrezzature;
c) la regolarità dello status e della posizione di atleti, tecnici o altri
partecipanti alla gara;
d) i comportamenti di atleti, tecnici o altri tesserati in occasione o nel
corso della gara;
e) ogni altro fatto rilevante per l’ordinamento sportivo avvenuto in
occasione della gara.
2. La Corte sportiva di appello giudica in seconda istanza sui ricorsi
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avverso le decisioni del Giudice sportivo nazionale e dei Giudici sportivi
territoriali. È competente a decidere, altresì, sulle istanze di ricusazione dei
medesimi giudici.
Art. 15.
(Articolazione funzionale e territoriale del Giudice sportivo nazionale
e dei Giudici sportivi territoriali)
1. Il Giudice sportivo nazionale è competente per i campionati e le
competizioni di ambito nazionale.
2. I Giudici sportivi territoriali sono competenti per i campionati e le
competizioni di ambito territoriale.
3. La costituzione e la distribuzione della competenza tra i Giudici
sportivi territoriali sono determinate con delibera del Consiglio federale, in
ragione delle specifiche esigenze della singola disciplina sportiva.
Art. 16.
(Nomina del Giudice sportivo nazionale e dei Giudici sportivi territoriali)
1. Il Giudice sportivo nazionale e i Giudici sportivi territoriali sono
nominati dal Consiglio federale, su proposta del Presidente, tra i soggetti in
possesso dei requisiti previsti dalla Federazione.
2. Essi durano in carica quattro anni e il loro mandato non può essere
rinnovato per più di due volte.
3. È facoltà del Consiglio federale determinare il numero dei giudici
sportivi in ragione delle specifiche esigenze della singola disciplina sportiva. In
caso di nomina di più soggetti con la qualifica di Giudice sportivo nazionale,
con il medesimo atto il Consiglio federale determina i criteri di assegnazione
delle questioni e delle controversie.
4. Il Giudice sportivo nazionale ha sede presso la Federazione ovvero
presso le sue articolazioni e strutture.
5. Il Giudice sportivo nazionale e i Giudici sportivi territoriali giudicano
in composizione monocratica. Avverso le loro decisioni è ammesso reclamo
alla Corte sportiva di appello entro il termine stabilito da ogni Federazione e
comunque non superiore a cinque giorni, che in ogni caso decorre dalla
pubblicazione.
Art. 17.
(Nomina nella Corte sportiva di appello e composizione della stessa)
1. I componenti della Corte sportiva di appello sono nominati dal
Consiglio federale, su proposta del Presidente, tra i soggetti in possesso dei
requisiti previsti della Federazione.
2. I componenti della Corte sportiva di appello durano in carica quattro
anni e il loro mandato non può essere rinnovato per più di due volte. In
ragione delle specifiche esigenze della rispettiva disciplina sportiva, ciascun
Consiglio federale ne individua il numero indicando, altresì, colui che svolge
le funzioni di presidente.
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3. È in facoltà del Consiglio federale di articolare la Corte sportiva di
appello in più sezioni, anche su base territoriale, determinando i criteri di
attribuzione dei procedimenti.
4. La Corte sportiva di appello giudica in composizione collegiale col
numero invariabile di tre componenti. Del collegio non può far parte alcun
componente che abbia obbligo di astensione ovvero si trovi in altra situazione
di incompatibilità comunque determinata. In nessun caso il collegio può
delegare singoli componenti per il compimento delle attività di istruzione o
trattazione.
5. La Corte sportiva di appello ha sede presso la Federazione, fatto salvo
quanto previsto dal comma 3 del presente articolo.
6. Avverso le decisioni della Corte sportiva di appello, per i casi e nei
limiti stabiliti, è ammesso ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport di cui
all’art. 12 bis dello Statuto del Coni non oltre trenta giorni dalla pubblicazione.
CAPO II
PROCEDIMENTI
Art. 18.
(Avvio del procedimento innanzi al Giudice sportivo nazionale e
ai Giudici sportivi territoriali)
1. I procedimenti innanzi al Giudice sportivo sono instaurati:
a) d’ufficio, a seguito di acquisizione dei documenti ufficiali relativi alla
gara o su eventuale segnalazione del Procuratore Federale;
b) su istanza del soggetto interessato titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale.
Art. 19.
(Istanza degli interessati)
1. L’istanza deve essere proposta al Giudice sportivo entro il termine
stabilito da ogni Federazione e, in difetto, di tre giorni dal compimento
dell’evento; essa contiene l’indicazione dell’oggetto, delle ragioni su cui è
fondata e degli eventuali mezzi di prova.
2. L’istanza può essere formulata con riserva dei motivi. Entro il termine
stabilito da ogni Federazione e, comunque, non superiore a sette giorni dalla
sua formulazione, la riserva dei motivi è sciolta mediante indicazione delle
ragioni su cui è fondata l’istanza e degli eventuali mezzi di prova. In caso di
mancata indicazione nel termine indicato, il Giudice sportivo non è tenuto a
pronunciare.
Art. 20.
(Fissazione della data di decisione)
1. Il Giudice sportivo fissa la data in cui assumerà la pronuncia, che è
adottata entro il termine stabilito da ogni Federazione e comunque senza
ritardo.
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2. Il provvedimento di fissazione è comunicato tempestivamente agli
interessati individuati dal Giudice, a cura della segreteria. Prima della pronuncia, a seguito di espressa richiesta dell’istante, il giudice può adottare ogni
provvedimento idoneo a preservarne provvisoriamente gli interessi.
Art. 21.
(Disciplina del contraddittorio con gli interessati)
1. I soggetti ai quali sia stato comunicato il provvedimento di fissazione
possono, entro due giorni prima di quello fissato per la pronuncia, far
pervenire memorie e documenti.
Art. 22.
(Pronuncia del Giudice sportivo nazionale e dei Giudici sportivi territoriali)
1. Il Giudice sportivo pronuncia senza udienza.
2. Il Giudice sportivo assume ogni informazione che ritiene utile ai fini
della pronuncia. Se rinvia a data successiva la pronuncia ne dà comunicazione
agli interessati.
3. La pronuncia è senza indugio comunicata alle parti e pubblicata.
Art. 23.
(Giudizio innanzi alla Corte sportiva di appello)
1. Le pronunce del Giudice sportivo nazionale e dei Giudici sportivi
territoriali possono essere impugnate con reclamo alla Corte sportiva di
appello.
2. Il reclamo può essere promosso dalla parte interessata o dalla Procura
federale; esso è depositato presso la Corte sportiva di appello entro un
termine perentorio stabilito dalla Federazione e, in difetto, di sette giorni dalla
data in cui è pubblicata la pronuncia impugnata. La proposizione del reclamo
non sospende l’esecuzione della decisione impugnata, salvo l’adozione da
parte del giudice di ogni provvedimento idoneo a preservarne provvisoriamente gli interessi, su espressa richiesta del reclamante.
3. Gli interessati hanno diritto di ottenere, a proprie spese, copia dei
documenti su cui la pronuncia è fondata. Il ricorrente formula la relativa
richiesta con il reclamo di cui al precedente comma, In tal caso, il reclamo può
essere depositato con riserva dei motivi, che devono essere integrati, a pena di
inammissibilità, non oltre il terzo giorno successivo a quello in cui il reclamante ha ricevuto copia dei documenti richiesti.
4. Il Presidente della Corte sportiva di appello fissa l’udienza in camera di
consiglio con provvedimento comunicato senza indugio agli interessati.
5. Le parti, ad esclusione del reclamante, devono costituirsi in giudizio
entro il termine di due giorni prima dell’udienza, con memoria difensiva
depositata o fatta pervenire alla Corte sportiva di appello. Entro il medesimo
termine è ammesso l’intervento di altri eventuali interessati.
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6. La Corte sportiva di appello decide in camera di consiglio. Le parti
hanno diritto di essere sentite purché ne abbiano fatta esplicita richiesta e
siano presenti.
7. Innanzi alla Corte sportiva di appello possono prodursi nuovi documenti, purché analiticamente indicati nell’atto di reclamo e immediatamente
resi accessibili agli altri interessati.
8. La Corte sportiva di appello può riformare in tutto od in parte la
pronuncia impugnata. Se rileva motivi di improponibilità o di improcedibilità
dell’istanza proposta in primo grado, annulla la decisione impugnata. In ogni
altro caso in cui non debba dichiarare l’inammissibilità del reclamo decide nel
merito.
9. La decisione della Corte sportiva di appello, adottata entro il termine
stabilito da ogni Federazione e comunque senza ritardo, è senza indugio
comunicata alle parti e pubblicata.
TITOLO III
GIUDICI FEDERALI
CAPO I
NOMINA E COMPETENZA
Art. 24.
(Istituzione)
1. Presso ogni Federazione sono istituiti i Giudici federali.
2. I Giudici federali si distinguono in Tribunale federale e Corte federale
di appello; entrambi hanno sede presso la Federazione.
Art. 25.
(Competenza dei Giudici federali)
1. Il Tribunale Federale giudica in primo grado su tutti i fatti rilevanti per
l’ordinamento sportivo in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti
pendente un procedimento dinanzi ai Giudici sportivi nazionali o territoriali.
2. La Corte federale di appello giudica in secondo grado sui ricorsi
proposti contro le decisioni del Tribunale federale.
Art. 26.
(Nomina negli organi di giustizia federale e composizione degli stessi)
1. I componenti degli organi di giustizia federale sono nominati dal
Consiglio federale, su proposta del Presidente, o eletti dall’Assemblea, tra i
soggetti dichiarati idonei dalla Commissione federale di garanzia.
2. Salvi gli ulteriori requisiti eventualmente stabiliti da ciascuna Federazione, possono essere dichiarati idonei alla nomina, quali componenti del
Tribunale federale e della Corte federale di appello, coloro che, in possesso di
specifica competenza nell’ambito dell’ordinamento sportivo, siano inclusi in
una delle seguenti categorie:
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a) professori e ricercatori universitari di ruolo, anche a riposo, in materie
giuridiche;
b) magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni ordinaria, amministrativa, contabile o militare;
c) avvocati dello Stato, anche a riposo;
d) notai;
e) avvocati iscritti da almeno cinque anni negli albi dei relativi consigli
dell’ordine.
3. I componenti del Tribunale federale e della Corte federale di appello
durano in carica quattro anni e il loro mandato non può essere rinnovato per
più di due volte. In ragione delle specifiche esigenze della propria disciplina
sportiva, il Consiglio federale ne individua il numero indicando, altresì, colui
che svolge le funzioni di presidente.
4. È in facoltà del Consiglio federale di articolare il Tribunale federale e
la Corte federale di appello in più sezioni, anche su base territoriale, determinando i criteri di attribuzione dei procedimenti.
5. Il Tribunale federale e la Corte federale di appello giudicano in
composizione collegiale, con un numero variabile di tre o cinque componenti.
Del collegio non può far parte alcun componente che abbia obbligo di
astensione o si trovi in altra situazione di incompatibilità comunque determinata. In nessun caso il collegio può delegare singoli componenti per il
compimento delle attività di istruzione o trattazione.
CAPO II
PROCEDIMENTI
Art. 27.
(Avvio del procedimento)
1. I procedimenti dinanzi al Tribunale federale sono instaurati:
a) con atto di deferimento del procuratore federale;
b) con ricorso della parte interessata titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale.
2. Salva diversa previsione dello Statuto federale, le parti non possono
stare in giudizio se non col ministero di un difensore.
Art. 28.
(Applicazione di sanzioni su richiesta a seguito di atto di deferimento)
1. Fino a che non sia concluso dinanzi al Tribunale federale il relativo
procedimento, gli incolpati possono convenire con il Procuratore federale
l’applicazione di una sanzione, indicandone il tipo e la misura.
2. L’accordo è trasmesso, a cura del Procuratore federale, alla Procura
generale dello sport, che, entro i dieci giorni successivi, può formulare
osservazioni con riguardo alla correttezza della qualificazione dei fatti operata
dalle parti e alla congruità della sanzione indicata.
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3. Decorso tale termine, in assenza di osservazioni, l’accordo è trasmesso,
a cura del procuratore federale, al collegio incaricato della decisione, il quale,
se reputa corretta la qualificazione dei fatti operata dalle parti e congrua la
sanzione indicata, ne dichiara la efficacia con apposita decisione. L’efficacia
dell’accordo comporta, a ogni effetto, la definizione del procedimento e di
tutti i relativi gradi nei confronti dell’incolpato.
4. Il comma 1 non trova applicazione per i casi di recidiva e per i fatti
diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica qualificati
come illecito sportivo o frode sportiva dall’ordinamento federale.
Art. 29.
(Fissazione dell’udienza a seguito di atto di deferimento)
1. Entro dieci giorni dalla ricezione dell’atto di deferimento, il presidente
del collegio fissa l’udienza di discussione e comunica all’incolpato, alla Procura
federale e agli altri soggetti eventualmente indicati dal regolamento della
Federazione la data dell’udienza. Fino a tre giorni prima, gli atti relativi al
procedimento restano depositati presso la segreteria dell’organo di giustizia e
l’incolpato, la Procura federale e gli altri interessati possono prenderne visione
ed estrarne copia; entro il medesimo termine, possono, inoltre, depositare o
far pervenire memorie, indicare i mezzi di prova di cui intendono valersi e
produrre documenti.
2. Tra la comunicazione e la data fissata per l’udienza deve intercorrere
un termine non inferiore a venti giorni. Il presidente del collegio, qualora ne
ravvisi giusti motivi, può disporre l’abbreviazione del termine. L’abbreviazione può essere altresì disposta in considerazione del tempo di prescrizione
degli illeciti contestati, purché sia assicurato all’incolpato l’esercizio effettivo
del diritto di difesa.
Art. 30.
(Ricorso della parte interessata)
1. Per la tutela di situazioni giuridicamente protette nell’ordinamento
federale, quando per i relativi fatti non sia stato instaurato né risulti pendente
un procedimento dinanzi agli organi di giustizia sportiva, è dato ricorso
dinanzi al Tribunale federale.
2. Il ricorso deve essere depositato presso il Tribunale federale entro
trenta giorni da quando il ricorrente ha avuto piena conoscenza dell’atto o del
fatto e, comunque, non oltre un anno dall’accadimento. Decorsi tali termini,
i medesimi atti o fatti non possono costituire causa di azione innanzi al
Tribunale federale, se non per atto di deferimento del procuratore federale.
3. Il ricorso contiene:
a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e degli
eventuali soggetti nei cui confronti il ricorso è proposto o comunque controinteressati;
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b) l’esposizione dei fatti;
c) l’indicazione dell’oggetto della domanda e dei provvedimenti richiesti;
d) l’indicazione dei motivi specifici su cui si fonda;
e) l’indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende valersi;
f) la sottoscrizione del difensore, con indicazione della procura.
Art. 31.
(Ricorso per l’annullamento delle deliberazioni)
1. Le deliberazioni dell’Assemblea contrarie alla legge, allo Statuto del
Coni e ai principi fondamentali del Coni, allo Statuto e ai regolamenti della
Federazione possono essere annullate su ricorso di organi della Federazione,
del Procuratore federale, e di tesserati o affiliati titolari di una situazione
giuridicamente protetta nell’ordinamento federale che abbiano subito un
pregiudizio diretto e immediato dalle deliberazioni.
2. Le deliberazioni del Consiglio federale contrarie alla legge, allo Statuto
del Coni e ai principi fondamentali del Coni, allo Statuto e ai regolamenti della
Federazione possono essere annullate su ricorso di un componente, assente o
dissenziente, del Consiglio federale, o del Collegio dei revisori dei conti.
3. L’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati
dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
4. Il Presidente del Tribunale, sentito il Presidente federale ove non già
ricorrente, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l’impugnazione, l’esecuzione della delibera impugnata, quando sussistano gravi motivi.
5. L’esecuzione delle delibere assembleari o consiliari, qualora manifestamente contrarie alla legge, allo Statuto e ai principi fondamentali del Coni,
può essere sospesa anche dalla Giunta nazionale del Coni.
6. Restano fermi i poteri di approvazione delle deliberazioni federali da
parte della Giunta nazionale del Coni previsti dalla normativa vigente.
7. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 30, comma
2 e 3. La eventuale pubblicazione della deliberazione nel sito internet della
Federazione implica, in ogni caso, piena conoscenza dell’atto.
Art. 32.
(Fissazione dell’udienza a seguito di ricorso)
1. Entro dieci giorni dal deposito del ricorso, il presidente del Tribunale
fissa l’udienza di discussione, trasmettendo il ricorso ai soggetti nei cui
confronti esso è proposto o comunque interessati e agli altri eventualmente
indicati dal regolamento di ciascuna Federazione, nonché comunicando, anche al ricorrente, la data dell’udienza.
2. Fino a cinque giorni prima di quello fissato per l’udienza, gli atti relativi
al procedimento restano depositati presso la segreteria del Tribunale federale
e il ricorrente, i soggetti nei cui confronti il ricorso è proposto o comunque
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interessati, nonché gli altri eventualmente indicati possono prenderne visione
ed estrarne copia; possono, inoltre, depositare memorie, indicare i mezzi di
prova di cui intendono valersi e produrre documenti.
3. Tra la comunicazione e la data fissata per l’udienza deve intercorrere
un termine non inferiore a venti giorni. Il presidente del collegio, qualora ne
ravvisi giusti motivi, può disporre l’abbreviazione del termine, purché sia
assicurato alle parti l’esercizio effettivo del diritto di difesa.
4. Tutti i ricorsi proposti separatamente in relazione al medesimo fatto o
alla medesima deliberazione sono riuniti, anche d’ufficio, in un solo procedimento.
Art. 33.
(Domanda cautelare)
1. Il ricorrente che ha fondato motivo di temere che, durante il tempo
occorrente per la decisione, i propri interessi siano minacciati da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere al Tribunale l’emanazione delle
misure cautelari che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul merito. La domanda è
proposta con il ricorso, ovvero con atto successivo. In tal caso, ne è data
comunicazione agli interessati, che possono presentare memorie e documenti
in un termine all’uopo stabilito.
2. Il Tribunale provvede sulla domanda cautelare anche fuori udienza con
pronuncia succintamente motivata, non soggetta a impugnazione ma revocabile in ogni momento, anche d’ufficio.
3. Il provvedimento in ogni caso perde efficacia con il dispositivo della
decisione che definisce il giudizio.
Art. 34.
(Intervento del terzo)
1. Un terzo può intervenire nel giudizio davanti al Tribunale federale
qualora sia titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale.
2. L’atto di intervento deve essere depositato non oltre cinque giorni
prima di quello fissato per la udienza.
3. Con l’atto di intervento il terzo deve specificamente dimostrarsi portatore dell’interesse che lo giustifica.
Art. 35.
(Svolgimento dell’udienza e decisione del Tribunale federale)
1. L‘udienza innanzi al Tribunale federale si svolge in camera di consiglio;
è facoltà delle parti di essere sentite.
2. Nei procedimenti in materia di illecito sportivo nonché in altre materie
di particolare interesse pubblico, i rappresentanti dei mezzi di informazione e
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altre categorie specificamente determinate possono essere ammessi a seguire
l’udienza in separati locali, nei limiti della loro capienza, mediante un apparato televisivo a circuito chiuso. L’applicazione delle disposizioni sulla pubblicità può essere esclusa in tutto o in parte, con atto motivato, dall’organo
procedente, nei casi in cui ricorrano esigenze di ulteriore tutela dei risultati
delle indagini relative a procedimenti penali.
3. Lo svolgimento dell’udienza è regolato dal presidente del collegio. La
trattazione è orale e concentrata e assicura alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.
4. Nei giudizi disciplinari, l’incolpato ha sempre il diritto di prendere la
parola dopo il rappresentante del Procuratore federale.
5. Dell’udienza viene redatto sintetico verbale.
6. La decisione del Tribunale federale è senza indugio comunicata alle
parti e pubblicata.
Art. 36.
(Assunzione delle prove)
1. Laddove ritenuto necessario ai fini del decidere, il collegio può disporre, anche d’ufficio, l’assunzione di qualsiasi mezzo di prova.
2. Le testimonianze devono essere rese previo ammonimento che eventuali falsità o reticenze produrranno per i tesserati le conseguenze derivanti
dalla violazione degli obblighi di lealtà e correttezza.
3. Le domande sono rivolte ai testimoni solo dal presidente del collegio,
cui le parti potranno rivolgere istanze di chiarimenti, nei limiti di quanto
strettamente necessario all’accertamento del fatto controverso.
4. Se viene disposta consulenza tecnica, il collegio sceglie un esperto di
assoluta terzietà rispetto agli interessi in conflitto e cura, nello svolgimento dei
lavori, il pieno rispetto del contraddittorio. L’elaborato finale è trasmesso al
Tribunale federale ed alle Parti almeno dieci giorni prima dell’udienza.
Art. 37.
(Giudizio innanzi alla Corte federale di appello)
1. Il mezzo per impugnare le decisioni del Tribunale federale è esclusivamente il reclamo della parte interessata innanzi alla Corte federale di
appello.
2. Il reclamo è depositato presso la Corte federale di appello non oltre il
termine di quindici giorni dalla pubblicazione della decisione. Il reclamo e il
provvedimento di fissazione d’udienza sono comunicati, a cura della segreteria,
ai rappresentanti della parte intimata e delle altre parti eventualmente presenti
nel precedente grado di giudizio ovvero alle stesse parti personalmente.
3. Decorso il termine per proporre reclamo, la decisione del Tribunale
federale non è più impugnabile, né contro tale decisione è ammesso il ricorso
al Collegio di Garanzia dello Sport.
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4. La proposizione del reclamo non sospende l’esecuzione della decisione
impugnata; tuttavia il presidente del collegio, quando ricorrono gravi motivi,
può disporre, con lo stesso provvedimento col quale fissa l’udienza di discussione, la sospensione dell’esecuzione ovvero altro provvedimento che appaia,
secondo le circostanze, il più idoneo a evitare alla parte che ha proposto
reclamo un pregiudizio irreversibile. All’udienza, da tenersi tempestivamente,
il collegio conferma, modifica o revoca il provvedimento dato dal Presidente.
Il provvedimento in ogni caso perde efficacia con il dispositivo della decisione
che definisce il giudizio.
5. La parte intimata non può presentare oltre la prima udienza l’eventuale impugnazione dalla quale non sia ancora decaduta; anche quando
l’impugnazione incidentale è così proposta il collegio non può differire l’udienza di un termine maggiore di quindici giorni. In ogni caso, tutte le
impugnazioni contro la medesima decisione debbono essere riunite e trattate
congiuntamente.
6. Col reclamo la controversia è devoluta al collegio davanti al quale è
proposto nei limiti delle domande e delle eccezioni non rinunciate o altrimenti
precluse. La trattazione è orale e concentrata e assicura alle parti ragionevoli
ed equivalenti possibilità di difesa, consentendo a ciascuna il deposito di
almeno un atto scritto o di una memoria. Il collegio, anche d’ufficio, può
rinnovare l’assunzione delle prove o assumere nuove prove e deve sempre
definire il giudizio, confermando ovvero riformando, in tutto o in parte, la
decisione impugnata componente. Non è consentita la rimessione al primo
giudice. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 35 e 36.
7. Quando definisce il giudizio, il presidente del collegio dà lettura del
dispositivo e, se l’esigenza dell’esposizione differita delle ragioni della decisione non consente il deposito contestuale della motivazione per la particolare
complessità della controversia, fissa nel dispositivo un termine non superiore
a dieci giorni per il deposito della sola motivazione. In quest’ultimo caso, salvo
che sia altrimenti disposto con nuovo provvedimento a norma del comma 4,
l’esecuzione della decisione non è impedita e, ove ammesso, il ricorso al
Collegio di garanzia dello sport rimane improponibile fino alla pubblicazione
della motivazione.
8. Se il reclamo è dichiarato inammissibile ovvero è rigettato l’eventuale
cauzione per le spese diviene irripetibile. Ciascuna Federazione può anche
prevedere che il collegio condanni il tesserato che abbia proposto reclamo al
pagamento di una pena pecuniaria non superiore al doppio della cauzione per
le spese se il reclamo è inammissibile o manifestamente infondato.
9. Per il contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte e del processo
verbale, la disciplina delle udienze e la forma dei provvedimenti in generale,
si applicano i principi regolatori del codice di procedura civile.
10. La decisione della Corte federale di appello è senza indugio comunicata alle parti e pubblicata.
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Art. 38.
(Termini di estinzione del giudizio disciplinare e termini
di durata degli altri giudizi)
1. Il termine per la pronuncia della decisione di primo grado è di novanta
giorni dalla data di esercizio dell’azione disciplinare.
2. Il termine per la pronuncia della decisione di secondo grado è di
sessanta giorni dalla data di proposizione del reclamo.
3. Se la decisione di merito è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso
al Collegio di garanzia dello sport, il termine per la pronuncia nell’eventuale
giudizio di rinvio è di sessanta giorni e decorre dalla data in cui vengono restituiti
gli atti del procedimento dal Collegio di garanzia dello sport.
4. Se i termini non sono osservati per ciascuno dei gradi di merito, il
procedimento disciplinare è dichiarato estinto, anche d’ufficio, se l’incolpato
non si oppone.
5. Il corso dei termini è sospeso:
a) se per lo stesso fatto è stata esercitata l’azione penale, ovvero l’incolpato è stato arrestato o fermato o si trova in stato di custodia cautelare,
riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione
la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la
sentenza o il decreto penale di condanna, fermo che l’azione disciplinare è
promossa e proseguita indipendentemente dall’azione penale relativa al medesimo fatto;
b) se si procede ad accertamenti che richiedono indispensabilmente la
collaborazione dell’incolpato, e per tutto il tempo necessario;
c) se il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell’incolpato o
del suo difensore o per impedimento dell’incolpato o del suo difensore;
d) in caso di gravi impedimenti soggettivi dei componenti del collegio
giudicante, per il tempo strettamente necessario alla sostituzione.
6. L’estinzione del giudizio disciplinare estingue l’azione e tutti gli atti del
procedimento, inclusa ogni eventuale decisione di merito, diventano inefficaci.
L’azione estinta non può essere riproposta.
7. La dichiarazione di estinzione è impugnabile dalla parte interessata. Se
interviene nel giudizio di secondo grado o di rinvio, anche il Procuratore
generale dello sport, qualora il ricorso non sia altrimenti escluso, può impugnarla davanti al Collegio di garanzia dello sport.
8. Le controversie diverse da quelle di natura disciplinare sono decise
dagli organi di giustizia presso la Federazione entro novanta giorni dalla
proposizione del ricorso introduttivo di primo grado ed entro sessanta giorni
dalla proposizione dell’eventuale reclamo.
9. La disposizione di cui al comma 8 si applica, in quanto compatibile,
presso gli organi di giustizia sportiva di ciascuna Federazione, la quale non
abbia appositamente stabilito termini inferiori.
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Art. 39.
(Efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari)
1. Davanti agli organi di giustizia la sentenza penale irrevocabile di
condanna, anche quando non pronunciata in seguito a dibattimento, ha
efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento della
sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di applicazione della pena
su richiesta delle parti.
3. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito
a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti
dell’imputato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento
sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto.
4. L’efficacia di cui ai commi 1 e 3 si estende agli altri giudizi in cui si
controverte intorno a illeciti il cui accertamento dipende da quello degli stessi
fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati
siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale nei confronti dell’incolpato.
5. In ogni caso hanno efficacia nei giudizi disciplinari le sentenze non più
impugnabili che rigettano la querela di falso o accertano la falsità di un
documento ovvero che pronunciano sull’istanza di verificazione.
6. Fuori dei limiti di cui ai precedenti commi, gli organi di giustizia non
sono soggetti all’autorità di altra sentenza, che non costituisca cosa giudicata
tra le stesse parti; essi conoscono di ogni questione pregiudiziale o incidentale,
pur quando riservata per legge all’Autorità giudiziaria, la cui risoluzione sia
rilevante per pronunciare sull’oggetto della domanda, incluse le questioni
relative alla capacità di stare in giudizio e all’incidente di falso.
7. In nessun caso è ammessa la sospensione del procedimento salvo che,
per legge, debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione
pregiudiziale di merito e la relativa causa sia stata già proposta davanti
all’Autorità giudiziaria.
TITOLO IV
PROCURATORE FEDERALE
CAPO I
NOMINA E FUNZIONI
Art. 40.
(Composizione dell’Ufficio del Procuratore federale)
1. Presso ogni Federazione è costituito l’ufficio del Procuratore federale
per promuovere la repressione degli illeciti sanzionati dallo Statuto e dalle
norme federali. Il Procuratore federale esercita le proprie funzioni davanti agli
Organi di giustizia della rispettiva Federazione.
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2. L’ufficio del Procuratore si compone del Procuratore federale ed
eventualmente di uno o più Procuratori Aggiunti nonché di uno o più Sostituti
Procuratori.
3. Il numero dei Procuratori Federali Aggiunti e dei Sostituti Procuratori
è determinato dallo Statuto federale.
4. Il Procuratore federale è nominato dal Consiglio federale, su proposta
del Presidente federale, ed è scelto tra i soggetti dichiarati idonei dalla
Commissione federale di garanzia.
5. I Procuratori Aggiunti sono nominati dal Consiglio Federale, previo
parere del Procuratore Federale e sono scelti tra i soggetti dichiarati idonei
dalla Commissione federale di garanzia.
6. I Sostituti Procuratori sono nominati dal Consiglio Federale su proposta del Procuratore Federale e sono scelti tra i soggetti dichiarati idonei dalla
Commissione federale di garanzia.
7. Il Procuratore federale, i Procuratori Aggiunti ed i Sostituti Procuratori
durano in carica per un mandato di quattro anni. Il mandato di Procuratore
federale non può essere rinnovato più di due volte.
8. I Procuratori Aggiunti ed i Sostituti Procuratori coadiuvano il Procuratore federale. I Procuratori Aggiunti, inoltre, sostituiscono il Procuratore
federale in caso d’impedimento e possono essere preposti alla cura di specifici
settori, secondo le modalità stabilite da ciascuna Federazione nei rispettivi
regolamenti di giustizia.
Art. 41.
(Nomina dei componenti dell’Ufficio del Procuratore federale)
1. Salvi gli ulteriori requisiti eventualmente stabiliti da ciascuna Federazione, possono essere dichiarati idonei alla nomina quale Procuratore federale
e Procuratore federale aggiunto coloro che, in possesso di specifica competenza nell’ambito dell’ordinamento sportivo, siano inclusi in una delle categorie indicate dall’art. 26, comma 2, o in quella degli alti ufficiali delle Forze
dell’ordine, anche a riposo.
2. Salvi gli ulteriori requisiti eventualmente stabiliti da ciascuna Federazione, possono essere dichiarati idonei alla nomina quale Sostituto Procuratore federale coloro che, in possesso di specifica competenza nell’ambito
dell’ordinamento sportivo, siano inclusi in una delle categorie indicate dall’art.
26, comma 2, nonché in quelle degli iscritti all’albo dei dottori commercialisti
e degli esperti contabili, degli ufficiali delle Forze dell’ordine anche a riposo,
dei laureati in materie giuridiche che abbiano maturato almeno due anni di
esperienza nell’ordinamento sportivo.
Art. 42.
(Articolazioni territoriali)
1. È in facoltà di ogni Federazione articolare l’ufficio del Procuratore
federale in Sezioni territoriali. Lo Statuto stabilisce i criteri di riparto e le altre
modalità di gestione dei procedimenti.
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Art. 43.
(Attribuzioni del Procuratore federale)
1. Le funzioni del Procuratore federale sono esercitate nelle indagini
preliminari, nei procedimenti di primo grado e nei giudizi di impugnazione;
esse sono svolte personalmente ovvero mediante assegnazione delle questioni
a uno o più addetti al medesimo Ufficio. Con l’atto di assegnazione il
Procuratore può stabilire i criteri ai quali l’addetto all’Ufficio deve attenersi
anche relativamente alla fase dibattimentale.
2. Lo Statuto della Federazione assicura l’indipendenza del Procuratore
federale e dei relativi Sostituti e garantisce che il Procuratore federale e i
Sostituti in nessun caso assistano alle deliberazioni del giudice presso il quale
svolgono le rispettive funzioni ovvero che possano altrimenti godere, dopo
l’esercizio dell’azione, di poteri o facoltà non ragionevoli né equivalenti a
quelli dei rappresentanti della difesa.
CAPO II
AZIONE DISCIPLINARE
Art. 44.
(Azione del procuratore federale)
1. Il Procuratore federale esercita in via esclusiva l’azione disciplinare nei
confronti di tesserati, affiliati e degli altri soggetti legittimati secondo le norme
di ciascuna Federazione, nelle forme e nei termini da queste previsti, quando
non sussistono i presupposti per l’archiviazione.
2. L’archiviazione è disposta dal Procuratore federale se la notizia di
illecito sportivo è infondata; può altresì essere disposta quando, entro il
termine per il compimento delle indagini preliminari, gli elementi acquisiti
non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio ovvero l’illecito è estinto o il
fatto non costituisce illecito disciplinare ovvero ne è rimasto ignoto l’autore.
3. Il Procuratore federale prende notizia degli illeciti di propria iniziativa
e riceve le notizie presentate o comunque pervenute. L’azione disciplinare è
esercitata di ufficio; il suo esercizio non può essere sospeso né interrotto, salvo
che sia diversamente stabilito.
4. Quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore federale,
informa l’interessato della intenzione di procedere al deferimento e gli elementi che la giustificano, assegnandogli un termine per chiedere di essere
sentito o per presentare una memoria. Qualora il Procuratore federale ritenga
di dover confermare la propria intenzione esercita l’azione disciplinare formulando, nei casi previsti dallo Statuto o dalle norme federali, l’incolpazione
mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato e al giudice
e agli ulteriori soggetti eventualmente indicati dal regolamento di ciascuna
Federazione. Nell’atto di deferimento sono descritti i fatti che si assumono
accaduti, enunciate le norme che si assumono violate e indicate le fonti di
prova acquisite, ed è formulata la richiesta di fissazione del procedimento
disciplinare.
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5. Dopo il provvedimento di archiviazione la riapertura delle indagini può
essere disposta d’ufficio nel caso in cui emergano nuovi fatti o circostanze
rilevanti dei quali il Procuratore federale non era a conoscenza. Se tali fatti o
circostanze si desumono da un provvedimento che dispone il giudizio penale,
il diritto di sanzionare si prescrive comunque entro il termine della ottava
stagione sportiva successiva a quella in cui è stato commesso l’ultimo atto
diretto a realizzare la violazione.
Art. 45.
(Prescrizione dell’azione)
1. Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue
quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal
presente Codice.
2. La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui occorre il fatto
disciplinarmente rilevante. L’esercizio dell’azione disciplinare interrompe la
prescrizione.
3. Fermo quanto previsto al precedente art. 44, comma 5, il diritto di
sanzionare si prescrive entro:
a) il termine della stagione sportiva successiva a quella in cui è stato
commesso l’ultimo atto diretto a realizzare la violazione, qualora si tratti di
violazioni relative allo svolgimento della gara;
b) il termine della sesta stagione sportiva successiva a quella in cui è stato
commesso l’ultimo atto diretto a realizzare la violazione, qualora si tratti di
violazioni in materia gestionale ed economica;
c) il termine della ottava stagione sportiva successiva a quella in cui è
stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzare la violazione, qualora si tratti
di violazioni relative alla alterazione dei risultati di gare, competizioni o
campionati;
d) il termine della quarta stagione sportiva successiva a quella in cui è
stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzare la violazione, in tutti gli altri
casi.
4. I termini di prescrizione nei confronti di chi abbia commesso o
concorso a commettere violazioni di qualsiasi natura decorrono dal giorno
successivo a quello in cui è assunta posizione rilevante nell’ordinamento
federale.
5. La sopravvenuta estraneità all’ordinamento federale da parte di chi
abbia commesso o concorso a commettere violazioni di qualsiasi natura non
impedisce l’esercizio dell’azione disciplina ma sospende la prescrizione finché
non sia nuovamente acquisita posizione rilevante nell’ordinamento sportivo.
Art. 46.
(Astensione)
1. Il Procuratore federale ha facoltà di astenersi quando esistono gravi
ragioni di convenienza.
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2. L’autorizzazione all’astensione è data dal Procuratore generale dello
sport.
Art. 47.
(Svolgimento delle indagini)
1. Il Procuratore federale ha il dovere di svolgere tutte le indagini
necessarie all’accertamento di violazioni statutarie e regolamentari di cui ha
notizia.
2. A tal fine, iscrive nell’apposito registro le notizie di fatti o atti rilevanti.
Il registro deve essere tenuto secondo le modalità prescritte dall’art. 53, in
quanto compatibili.
3. La durata delle indagini non può superare il termine previsto da ciascuna
Federazione e comunque non superiore a quaranta giorni dall’iscrizione nel
registro del fatto o dell’atto rilevante. Su istanza congruamente motivata del
Procuratore Federale, la Procura generale dello sport autorizza la proroga di
tale termine per la medesima durata, fino ad un massimo di due volte, eventualmente prescrivendo gli atti indispensabili da compiere. Gli atti di indagine
compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Possono
sempre essere utilizzati gli atti e documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura
della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato.
4. Il Procuratore federale, concluse le indagini, se ritiene di non provvedere al deferimento ai sensi dell’art. 44, comunica entro cinque giorni il
proprio intendimento di procedere all’archiviazione alla Procura Generale
dello Sport. Ferme le attribuzioni di questa, dispone quindi l’archiviazione con
determinazione succintamente motivata.
5. Il Procuratore federale, in ogni caso, è tenuto a comunicare la determinazione conclusiva delle indagini ai soggetti alle stesse sottoposti e di cui
risulti compiutamente accertata l’identità.
Art. 48.
(Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione)
1. I soggetti sottoposti a indagini possono convenire con il Procuratore
federale l’applicazione di una sanzione, indicandone il tipo e la misura. Il
Procuratore federale, prima di addivenire all’accordo, informa il Procuratore
generale dello Sport.
2. L’accordo è trasmesso, a cura del Procuratore federale, al Presidente
della Federazione, il quale, entro i quindici giorni successivi, sentito il Consiglio federale, può formulare osservazioni con riguardo alla correttezza della
qualificazione dei fatti operata dalle parti e alla congruità della sanzione
indicata. Decorso tale termine, in assenza di osservazioni, l’accordo acquista
efficacia e comporta, in relazione ai fatti relativamente ai quali è stato
convenuto, l’improponibilità assoluta della corrispondente azione disciplinare.
3. Il comma 1 non trova applicazione per i casi di recidiva e per i fatti
qualificati come illecito sportivo o frode sportiva dall’ordinamento federale.
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CAPO III
RAPPORTI CON LA PROCURA DELLA REPUBBLICA E
CON LA PROCURA ANTIDOPING DEL CONI
Art. 49.
(Rapporti con l’Autorità giudiziaria)
1. Il Procuratore federale, se durante le indagini prende notizia di fatti
rilevanti anche per l’Ufficio del Pubblico Ministero, trasmette senza indugio
copia degli atti al Presidente federale affinché questi informi l’Autorità
giudiziaria competente ovvero vi provvede direttamente.
2. Qualora la Procura della Repubblica trasmetta risultanze del procedimento penale al Procuratore federale, gli atti e documenti trasmessi sono da
lui tenuti nel debito riserbo consentito da ciascuna fase del procedimento.
3. Qualora il Procuratore federale ritenga che presso l’Ufficio del Pubblico ministero ovvero altre autorità giudiziarie dello Stato siano stati formati
atti o raccolti documenti rilevanti per lo svolgimento delle proprie attribuzioni, ne richiede l’acquisizione direttamente o per il tramite della Procura
Generale dello Sport.
Art. 50.
(Rapporti con la Procura Antidoping del Coni)
1. Il Procuratore Federale ha il dovere di collaborare con la Procura
Antidoping del Coni nonché con l’ufficio del Pubblico ministero.
2. Il Procuratore federale, se durante le indagini rileva che l’illecito
appartiene alla competenza della Procura Antidoping del Coni, trasmette
senza indugio gli atti all’ufficio competente. In caso di conflitto, su segnalazione del Procuratore che manifesta l’intendimento di declinare ulteriormente
la competenza, decide senza ritardo la Procura generale dello sport, dandone
comunicazione agli uffici interessati.
TITOLO V
PROCURA GENERALE DELLO SPORT
Art. 51.
(Attribuzioni della Procura generale dello sport)
1. Il Procuratore generale dello sport e i Procuratori nazionali dello sport,
sotto la sorveglianza del primo, costituiscono la Procura generale dello sport
a norma dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni.
2. Alla Procura generale dello sport è preposto il Procuratore generale
dello sport, che designa, secondo modalità stabilite dal Regolamento di cui al
comma 8 dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni, uno o più procuratori nazionali
dello sport per l’esercizio delle funzioni relative al singolo affare.
3. Il Procuratore generale dello sport dirige la Procura generale dello
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sport e cura che i procuratori nazionali che la compongono operino per la
migliore realizzazione delle iniziative di competenza e il più efficiente impiego
dei mezzi e delle risorse disponibili al fine di assicurare che l’Ufficio svolga
unitariamente i suoi compiti.
4. La Procura generale dello sport, in spirito di leale collaborazione, coopera con ciascuno dei procuratori federali al fine di assicurare la completezza
e tempestività delle rispettive indagini; a tal fine, la Procura generale dello Sport,
anche su segnalazione di singoli tesserati e affiliati, può invitare il capo della
procura federale ad aprire un fascicolo di indagine su uno o più fatti specifici,
provvedendo all’iscrizione nel registro di cui all’art. 53 del presente Codice.
5. La Procura generale dello sport adotta linee guida per prevenire
impedimenti o difficoltà nell’attività di indagine e può riunire i Procuratori
federali interessati al fine di rendere effettivo il rispettivo potere di promuovere la repressione degli illeciti.
6. La Procura generale dello sport può disporre, per atto motivato
sottoscritto dal Procuratore generale, l’avocazione nei casi previsti dall’art. 12
ter dello Statuto del Coni. La motivazione deve dare conto delle ragioni
specifiche per le quali la proroga del termine per le indagini del procuratore
federale non appare misura adeguata ovvero della concreta omissione che
espone a pregiudizio la concludenza dell’azione disciplinare o, infine, delle
circostanze la cui gravità e concordanza fanno escludere la ragionevolezza
dell’intendimento di procedere all’archiviazione.
7. L’avocazione non può essere disposta se non dopo che la Procura
generale dello Sport abbia invitato il Procuratore Federale ad adottare, entro
un termine ragionevole, specifiche iniziative o concrete misure ovvero, in
generale, gli atti in difetto dei quali l’affare può essere avocato. Nel caso di
superamento della durata stabilita per le indagini preliminari, la Procura
generale dello Sport, con tale invito, può rimettere in termini il Procuratore
federale per un tempo ragionevole e comunque non superiore a venti giorni,
ove ritenga utilmente praticabili nuovi atti.
8. Degli atti compiuti presso la Procura generale dello sport e delle
attività comunque compiute è assicurata idonea documentazione, anche soltanto informatica, a cura degli ausiliari che assistono il Procuratore generale
ovvero i procuratori nazionali dello sport. Della conservazione degli atti e
della documentazione risponde direttamente il Procuratore generale dello
sport. Il Regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni
stabilisce i casi in cui la documentazione deve essere analitica e non sintetica;
negli stessi casi la formazione del processo verbale può essere sostituita da
altre forme di registrazione dell’atto o dell’attività.
Art. 52.
(Applicazioni di procuratori nazionali dello sport in casi particolari)
1. In tutti i casi in cui è disposta l’avocazione il Procuratore generale dello
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sport applica un Procuratore nazionale dello sport alla Procura federale per la
trattazione del procedimento della cui avocazione si tratta. L’applicazione,
limitatamente al procedimento al quale si riferisce, determina il decorso di un
nuovo termine per il compimento delle indagini preliminari pari alla metà di
quello ordinariamente previsto per le medesime indagini e, in ogni caso,
legittima l’esercizio di poteri corrispondenti a quelli del Procuratore federale
sostituito. Il Procuratore nazionale dello sport in applicazione rimane soggetto
nei confronti della Procura generale dello sport, in quanto compatibili, ai
doveri del Procuratore federale sostituito. L’applicazione, nei casi in cui è
disposta l’avocazione di cui al presente comma, si intende cessata quando il
procedimento o il processo viene definito in sede federale.
2. L’applicazione può essere altresì disposta, su richiesta del Procuratore
federale interessato, quando sussistono protratte vacanze di organico ovvero
specifiche e contingenti esigenze investigative o processuali che, anche per la
particolare complessità di determinati affari o per l’esigenza di assicurare che
il loro trattamento sia eseguito a cura di persona dotata di specifiche esperienze e competenze professionali, possano compromettere l’utile esercizio
dell’azione disciplinare. In tali casi, l’applicazione comporta una coassegnazione del procedimento tra il Procuratore federale e il Procuratore nazionale
dello sport in applicazione.
3. Le funzioni del Procuratore nazionale dello sport applicato alla Procura federale sono compatibili con l’esercizio delle funzioni proprie dell’appartenenza alla Procura generale dello sport, in relazione alle quali l’applicato
rimane soggetto ai soli doveri dell’ufficio di appartenenza. Il Procuratore
nazionale dello sport applicato non può essere supplito né sostituito che da
altro per la cui applicazione valgono le forme e i termini della relativa
disciplina.
Art. 53.
(Registri dei procedimenti)
1. Presso la Procura generale dello sport è istituito e custodito, anche con
modalità informatiche, un registro generale dei procedimenti in corso presso
ciascun ufficio del procuratore federale. Il registro si articola in una o più
sezioni ovvero uno o più registri particolari per l’apposita iscrizione e annotazione dei dati raccolti a norma dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni,
relativamente a: a) relazioni periodiche inviate dal Procuratore federale; b)
notizie di illecito sportivo ricevute non in forma anonima dal Procuratore
federale; c) comunicazioni di avvio dell’azione disciplinare del Procuratore
federale; d) determinazioni di conclusione delle indagini del Procuratore
federale; e) istanze di proroga del termine per la conclusione delle indagini del
Procuratore federale.
2. Presso la Procura generale dello sport è altresì istituito e custodito,
anche con modalità informatiche, un registro generale delle altre notizie di
illecito comunque acquisite pervenute.
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3. Il Regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni
può istituire presso la Procura generale dello sport altri registri.
4. Ogni registro deve essere formato in modo da dare costantemente
piena prova dell’autore e della data dell’iscrizione o dell’annotazione nonché
degli altri elementi essenziali al raggiungimento dello scopo per il quale il
registro è tenuto. Il Procuratore generale dello sport cura che il registro risulti
integro e le registrazioni intangibili. Egli deve procurarne il costante aggiornamento, assicurando specificamente che il compimento degli atti e delle
attività relative a ciascun procedimento risulti immediatamente accessibile.
5. Il Regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 ter dello Statuto del Coni
determina le modalità di esercizio dei diritti degli interessati nonché delle
comunicazioni consentite; in ogni caso, i dati raccolti nei registri sono trattati
in conformità della disciplina del trattamento di dati personali da parte di
soggetti pubblici per lo svolgimento delle funzioni istituzionali.
TITOLO VI
COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT
CAPO I
NOMINA E COMPETENZA
Art. 54.
(Competenza)
1. Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito
dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato
l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni
o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia
dello Sport, di cui all’art. 12 bis dello Statuto del Coni. Il ricorso è ammesso
esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia
formato oggetto di disputa tra le parti.
2. Hanno facoltà di proporre ricorso le parti nei confronti delle quali è
stata pronunciata la decisione nonché la Procura Generale dello Sport.
3. Il Collegio di Garanzia dello Sport giudica altresì le controversie ad
esso devolute dalle altre disposizioni del presente Codice, nonché dagli Statuti
e dai Regolamenti federali sulla base di speciali regole procedurali definite
d’intesa con il Coni. Giudica inoltre le controversie relative agli atti e ai
provvedimenti del Coni. Nei casi di cui al presente comma, il giudizio si svolge
in unico grado.
4. Il Collegio di Garanzia dello Sport svolge altresì le funzioni consultive
di cui al comma 5 dell’art. 12 bis dello Statuto del Coni. In tal caso, la relativa
istanza è proposta dal Coni o, suo tramite, dalle Federazioni.
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Art. 55.
(Componenti del Collegio di Garanzia dello Sport)
1. Il Presidente e i componenti del Collegio di Garanzia dello Sport sono
nominati, tra i soggetti di cui al comma 6 dell’art. 12 bis dello Statuto del Coni,
secondo la procedura stabilita al comma 7 del medesimo articolo.
2. Il Presidente e i componenti del Collegio di Garanzia dello Sport
agiscono nel rispetto dei principi di piena indipendenza, autonomia e riservatezza e svolgono il loro incarico a titolo gratuito. Ciascuno di essi, all’atto
dell’accettazione dell’incarico, sottoscrive una dichiarazione con cui attesta di
non avere rapporti di coniugio, né di parentela o affinità fino al terzo grado,
con alcun componente della Giunta e del Consiglio del Coni, né di avere
rapporti di lavoro subordinato o continuativi di consulenza o di prestazione
d’opera retribuita, ovvero altri rapporti di natura patrimoniale o associativa
che ne compromettano l’indipendenza con alcuna Federazione, impegnandosi
a rendere note eventuali sopravvenienze. Il Presidenti e i componenti si
astengono dal singolo giudizio laddove versino in una delle condizioni di cui
all’art. 3, comma 3, del presente Codice.
Art. 56.
(Organizzazione fondamentale del Collegio di Garanzia)
1. Il Collegio di Garanzia dello Sport si articola in quattro sezioni
giudicanti e una sezione consultiva; a ciascuna di esse è preposto un Presidente
di sezione. Ogni pronuncia è assunta dal Collegio della sezione, invariabilmente composto da cinque membri.
2. Nei limiti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 12 bis dello Statuto del
Coni, alle sezioni giudicanti sono rispettivamente assegnate le controversie
inerenti a:
a) questioni tecnico sportive;
b) questioni disciplinari;
c) questioni amministrative, ivi comprese quelle relative alle assemblee e
agli altri organi federali, inclusi i procedimenti elettivi e il commissariamento;
d) questioni meramente patrimoniali.
3. Alla Sezione consultiva, oltre all’adozione di pareri su richiesta del
Coni e, per suo tramite, delle Federazioni, anche in relazione all’interpretazione delle disposizioni di cui al presente codice, spetta pronunciarsi su
eventuali istanze di ricusazione dei componenti del Collegio di Garanzia.
4. È istituito, nell’ambito del Collegio di Garanzia dello Sport, l’organo
denominato Sezioni unite del Collegio di Garanzia, costituito dal Presidente
del Collegio di Garanzia dello Sport, che lo presiede, e dai Presidenti delle
Sezioni giudicanti.
5. Il Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport, anche su proposta
del Presidente di una Sezione, può stabilire che una determinata controversia,
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per i profili di rilevanza e di principio che essa riveste, debba essere decisa
dalle Sezioni unite. Le Sezioni unite si pronunciano sulle controversie relative
agli atti e ai provvedimenti del Coni.
Art. 57.
(Sede e compiti dei Presidenti)
1. Il Collegio di Garanzia dello Sport ha sede presso il Coni ed è
coadiuvato da un segretario designato dal Coni. Composizione e funzioni
dell’ufficio di segreteria sono disciplinati nel regolamento di cui al comma 8
dell’art. 12 bis dello Statuto del Coni.
2. Il Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport:
a) stabilisce, a inizio di ciascuna stagione sportiva, il numero dei collegi
per ogni Sezione giudicante;
b) stabilisce, a inizio di ciascuna stagione sportiva, la composizione di
ciascuna delle Sezioni nominando il relativo Presidente;
c) assegna ciascuna controversia alla sezione di competenza ovvero alle
Sezioni unite.
3. Il Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport è sostituito, in caso
di assenza o impedimento, dal più anziano tra i Presidenti delle sezioni
giudicanti.
4. Il Presidente della Sezione alla quale è assegnata la controversia
designa il giudice relatore, se non creda di procedere egli stesso.
CAPO II
PROCEDIMENTI
Art. 58.
(Disposizioni generali)
1. La parte non può stare in giudizio se non col ministero di un difensore,
munito di apposita procura.
2. Il regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 bis dello Statuto del Coni
determina i requisiti per avvalersi del gratuito patrocinio nonché il funzionamento del relativo ufficio.
3. Il procedimento davanti al Collegio di Garanzia dello Sport viene
definito entro 60 giorni dal deposito del ricorso.
Art. 59.
(Instaurazione del giudizio)
1. Il ricorso è proposto mediante deposito al Collegio di Garanzia dello
Sport entro trenta giorni dalla pubblicazione della decisione impugnata. Copia
del ricorso è trasmessa alla parte intimata e alle altre parti eventualmente
presenti nel precedente grado di giudizio ovvero alle stesse parti personalmente.
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2. Il ricorso, unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza, è in
ogni caso trasmesso, a cura della Segreteria del Collegio:
a) alla Federazione interessata, che ha facoltà di intervenire o comunque
di depositare memoria;
b) alla Procura Generale dello Sport, che ha facoltà di intervenire, di
depositare memoria ovvero di prendere conclusioni orali nel corso dell’udienza fissata per la discussione.
3. Il ricorso, sottoscritto dal difensore, contiene:
a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e degli
eventuali soggetti nei cui confronti il ricorso è proposto;
b) l’indicazione dell’atto o della decisione impugnata;
c) l’esposizione dei fatti essenziali alla decisione domandata;
d) l’indicazione dei motivi a norma dell’art. 12 bis, comma 2, dello
Statuto del Coni;
e) gli atti e i documenti rilevanti;
f) le conclusioni e istanze di cui, previa riforma della decisione impugnata, è domandato l’accoglimento, nei limiti di quelle già proposte davanti
all’organo di giustizia che ha emesso la decisione impugnata.
g) l’indicazione della procura al difensore
4. Al ricorso sono allegate:
a) l’attestazione di versamento del contributo per l’accesso al servizio di
giustizia del Coni;
b) l’attestazione dell’avvenuto invio del ricorso agli altri destinatari
indicati dal comma 1.
5. La parte intimata e le altre parti destinatarie della comunicazione di cui
al comma 1, possono presentare non oltre dieci giorni prima dell’udienza la
eventuale impugnazione dalla quale non siano già decadute. L’atto di impugnazione incidentale presenta il contenuto di cui al comma 3, in quanto
compatibile.
6. Il regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 bis dello Statuto del Coni
disciplina modalità e termini del versamento del contributo per l’accesso al
servizio di giustizia del Coni, a pena di irricevibilità.
7. Il ricorrente o la Procura Generale dello Sport, se intervenuta, possono
in ogni caso domandare l’acquisizione del fascicolo relativo al procedimento
presso l’organo di giustizia che ha emesso la decisione impugnata. L’acquisizione viene disposta anche d’ufficio dal Collegio di Garanzia dello Sport.
Art. 60.
(Difesa della parte intimata)
1. La parte intimata e le altre destinatarie della comunicazione di cui al
comma 1 dell’art. 59, fermo quanto previsto per l’eventuale impugnazione
incidentale, hanno facoltà di presentare memorie nel termine di dieci giorni
dal ricevimento del ricorso, mediante deposito al Collegio di Garanzia dello
Sport e contestuale trasmissione al ricorrente.
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2. La memoria contiene:
a) gli elementi identificativi della parte intimata e del suo difensore;
b) l’indicazione della procura al difensore;
c) le difese in relazione ai motivo di ricorso proposti dal ricorrente,
nonché le conclusioni o istanze di cui, nel caso di riforma della decisione
impugnata e nei limiti di quelle già proposte davanti all’organo di giustizia che
l’ha emessa, si domanda l’accoglimento.
3. Alla memoria sono allegate:
a) l’attestazione di versamento del contributo per l’accesso al servizio di
giustizia del Coni in caso di impugnazione incidentale;
b) l’attestazione dell’invio della memoria al ricorrente.
4. Nel termine di dieci prima dell’udienza, le parti hanno facoltà di
presentare memorie, contenenti in ogni caso le conclusioni o istanze di cui, nel
caso di riforma della decisione impugnata e nei limiti di quelle già proposte
davanti all’organo di giustizia che l’ha emessa, domandano l’accoglimento.
Art. 61.
(Svolgimento delle udienze)
1. Le decisioni del Collegio di Garanzia dello Sport sono adottate in
camera di consiglio previa pubblica udienza.
2. Il Presidente del collegio può tuttavia, qualora ricorrano eccezionali
circostanze, stabilire che l’udienza si svolga a porte chiuse.
3. Nell’udienza i difensori delle parti e il rappresentante della Procura
Generale dello sport possono illustrare le rispettive conclusioni.
Art. 62.
(Decisioni)
1. Se non dichiara l’inammissibilità del ricorso, il Collegio di Garanzia
dello Sport provvede all’accoglimento a norma dell’art. 12 bis, comma 3,
Statuto del Coni, decidendo la controversia senza rinvio solo quando non
siano necessari ulteriori accertamenti di fatto ovvero le parti ne abbiano fatto
concorde richiesta entro il termine di chiusura della discussione orale.
2. In ogni caso di rinvio, il Collegio di Garanzia dello Sport, con la
decisione di accoglimento, enuncia specificamente il principio al quale il
giudice di rinvio deve uniformarsi.
3. Quando rigetta il ricorso, il Collegio di Garanzia dello Sport provvede
sul rimborso delle spese in favore delle parti resistenti.
4. Con la decisione che definisce il giudizio, il Collegio di Garanzia dello
Sport può indicare al Procuratore generale dello sport fatti o circostanze nuovi
che, risultanti dagli atti del procedimento o dalla discussione, appaiono
connessi con gli ulteriori accertamenti necessari per il giudizio di rinvio o
comunque rilevanti ai fini dell’art. 51, comma 4.
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TITOLO VII
REVISIONE E REVOCAZIONE
Art. 63.
(Revisione e revocazione)
1. Contro le decisioni della Corte di appello federale per le quali sia
scaduto il termine per il ricorso dell’incolpato al Collegio di Garanzia dello
Sport ovvero contro le decisioni di quest’ultimo qualora il ricorso non sia stato
accolto è ammesso il giudizio di revisione, quando la sanzione è stata applicata
sulla base di prove successivamente giudicate false o in difetto di prove
decisive successivamente formate o comunque divenute acquisibili.
2. Le altre decisioni della Corte federale di appello per le quali sia
scaduto il termine per il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport ovvero la
decisione di quest’ultimo qualora il ricorso non sia stato accolto possono
essere revocate, su ricorso della parte interessata, quando la decisione dipende
esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da
documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante.
3. Il termine per proporre la revisione o la revocazione decorre rispettivamente dalla conoscenza della falsità della prova o della formazione di quella
nuova ovvero dall’acquisizione del documento. In ogni caso, il giudizio si
svolge in unico grado e allo stesso si applicano le norme relative al procedimento di reclamo davanti alla Corte d’Appello Federale. Se la revisione è
accolta, non è più ammesso ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport; ogni
altra pronuncia rimane impugnabile con ricorso al Collegio di Garanzia dello
Sport.
4. Fuori dei casi precedenti, nessuna decisione di organi di giustizia può
essere revocata quando sia scaduto il termine per la impugnazione o il giudizio
sia stato comunque definito dal Collegio di Garanzia dello Sport con decisione
nel merito.
5. La revisione o la revocazione non sono più ammesse quando la parte
interessata ha agito davanti all’autorità giudiziaria contro la decisione dell’organo di giustizia della Federazione o del Collegio di Garanzia dello Sport.
TITOLO VIII
NORME TRANSITORIE E FINALI
Art. 64.
(Entrata in vigore del Codice di giustizia sportiva)
1. Salvo quanto disposto ai successivi commi, il presente Codice entra in
vigore il 12 giugno 2014.
2. In tempo utile per l’inizio della prima stagione sportiva successiva al
termine di cui al comma 1, ciascuna Federazione provvede a conformare al
Codice i rispettivi statuti e regolamenti di giustizia. Entro il medesimo
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termine, con provvedimento del Consiglio federale, i componenti degli organi
di giustizia presso la Federazione e della Procura federale in carica all’atto
dell’entrata in vigore del Codice e in possesso dei requisiti da esso previsti,
sono riassegnati ai nuovi organi di giustizia e rispettiva procura fino alla
scadenza del mandato e comunque non oltre la scadenza del quadriennio
olimpico. Di tali atti è data immediata comunicazione al Coni.
3. Fino al recepimento delle presenti disposizioni negli Statuti e nei
regolamenti federali, i procedimenti davanti agli organi di giustizia presso la
Federazione continuano a svolgersi in base a quelle previgenti.
4. Le disposizioni del Codice relative alle indagini preliminari si applicano
ai fatti iscritti nel Registro tenuto con le modalità di cui all’art. 53.
5. Fatto salvo quanto previsto dai precedenti commi, in deroga all’art. 63
ed entro un anno dall’entrata in vigore del presente Codice, laddove la
Federazione non abbia provveduto a conformarsi a quanto previsto dallo
stesso, qualunque decisione non più impugnabile assunta da un organo di
giustizia può essere revocata, su istanza del Procuratore generale dello Sport,
anche a seguito di segnalazione della parte interessata, il quale vi abbia
rilevato una manifesta violazione dei principi inderogabili sull’ordinamento o
sullo svolgimento del giudizio stabiliti dal presente Codice. L’istanza è presentata al Collegio di garanzia dello sport. Il Collegio di garanzia dello sport,
qualora revochi la decisione, decide sempre nel merito. Si applicano gli artt. 58
e ss. in quanto compatibili.
6. Entro un anno dall’entrata in vigore del Codice, la Giunta Nazionale
del Coni propone al Consiglio Nazionale del Coni l’adozione delle eventuali
norme correttive e integrative, anche in base alle osservazioni eventualmente
formulate dalle singole Federazioni. Il Presidente del Coni è autorizzato a
disporre correzioni di eventuali errori materiali o di coordinamento delle
disposizioni del presente Codice.
Art. 65.
(Devoluzione delle controversie al Collegio di garanzia dello sport)
1. Al Collegio di Garanzia dello Sport è devoluta la cognizione delle
controversie la cui decisione non altrimenti impugnabile nell’ambito dell’ordinamento federale è pubblicata a far data dal 1° luglio 2014.
2. Le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento
federale e per le quali il termine per l’istanza di arbitrato davanti al TNAS o
di ricorso all’Alta Corte scade in data successiva al 30 giugno 2014 sono
devolute al Collegio di Garanzia dello Sport, che decide in funzione rispettivamente di Collegio arbitrale o di Alta corte secondo le rispettive disposizioni
previgenti, in quanto applicabili. Le modalità di composizione dei collegi è
stabilita col regolamento di cui al comma 8 dell’art. 12 bis Statuto del Coni. La
disposizione di cui al presente comma si applica anche ai procedimenti speciali
di cui all’art. 54, comma 3, del presente Codice, ivi compresi quelli di cui ai
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Regolamenti per la risoluzione delle controversie relative all’applicazione del
Manuale per l’ottenimento della licenza Uefa e all’iscrizione e all’ammissione
ai campionati. In tali casi, il Collegio di Garanzia decide in funzione di Alta
corte. Per le controversie relative all’iscrizione ai campionati nazionali di
calcio professionistico e di iscrizione delle società professionistiche ai campionati nazionali di pallacanestro il Collegio di Garanzia decide in funzione di
Alta corte secondo la procedura speciale di cui all’art. 21 del previgente
Codice dell’Alta corte.
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica se la decisione non
altrimenti impugnabile nell’ambito dell’ordinamento federale e per la quale il
termine per l’istanza di arbitrato davanti al TNAS o di ricorso all’Alta Corte
scade in data successiva al 30 giugno 2014 sia stata già impugnata davanti al
TNAS o all’Alta Corte entro quest’ultima data.
Art. 66.
(Provvedimenti di nomina)
1. Qualora la Federazione non provveda alla nomina dei componenti
degli organi di giustizia e della rispettiva Procura entro sessanta giorni dalla
scadenza del relativo mandato, alla stessa provvede su ricorso di chiunque vi
abbia interesse o d’ufficio la Commissione di Garanzia di cui all’art. 13 ter
Statuto del Coni, sentito il Presidente della Federazione.
Art. 67.
(Provvedimenti sullo status dei componenti del Collegio di Garanzia
dello Sport e della Procura generale dello sport)
1. I provvedimenti riguardanti lo status dei componenti del Collegio di
Garanzia dello Sport e dei componenti della Procura generale dello sport sono
assunti dal Consiglio Nazionale del Coni, su proposta della Giunta Nazionale,
previo parere vincolante della Commissione di Garanzia di cui all’art. 13 ter
Statuto del Coni.
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