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TERZA RELAZIONE INCORPORAZIONE SACRAMENTALE E OPEROSA Tocchiamo ora le altre due dimensioni della nostra incorporazione a Cristo e in Cristo. Qua il discorso si fa più complesso e richiede da parte nostra una più profonda intelligenza del mistero di Dio. Per “mistero di Dio” intendo indicare ciò che dice Paolo apostolo nella Lettera agli Efesini. Il mistero di Dio o mistero di Cristo è il suo Disegno salvifico riguardante la salvezza degli ebrei e dei pagani nell’unica Chiesa di Gesù Cristo: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo…” (Ef 3,1-12). Incorporazione mediante l’intervento sacramentale della Chiesa, Sposa di Cristo e Madre dei cristiani Mentre nella dimensione strettamente teologale, operante mediante l’infusione delle tre virtù teologali nei nostri cuori, agisce solo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e la nostra corrispondenza personale alla loro azione, nella dimensione sacramentale interviene un’altro personaggio divino-umano, che si chiama la Chiesa di Cristo. Infatti i sacramenti sono opera della Chiesa di Cristo, che crea e comunica i sacramenti ai fedeli in vista della loro incorporazione a Cristo e in Cristo. Per noi cattolici la Chiesa non è costituita dalla somma numerica dei fedeli di Cristo, ma è una realtà eletta e creata da Dio, che precede la nascita dei figli di Dio e fedeli di Cristo, come una madre precede la nascita dei figli. Dopo Cristo, viene la Chiesa, poi vengono i figli di Dio, che sono anche figli della Chiesa. L’incorporazione dei credenti a Cristo è nel medesimo tempo anche incorporazione alla Chiesa, di cui si diventa membri a somiglianza di quanto avviene in una famiglia, che si arrichisce di nuovi membri, quando nascono nuovi figli. Lo scopo della venuta di Cristo sulla terra, oltre a quello di compiere la redenzione del genere umano, è stato quello di formarsi la Chiesa, Sua Sposa e Madre dei figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo. L’elezione della Chiesa-Sposa è stata fatta da Gesù con la scelta dei dodici apostoli e dei primi credenti, fra cui al primo posto c’è Maria. Nel periodo seguente la risurrezione di Gesù, mediante le apparizioni ai discepoli, Gesù si manifesta come lo Sposo Nuovo, che si vuole ora sposare con la sua Chiesa. Nel Cenacolo di Gerusalemme vediamo questa Chiesa-Sposa radunata in preghiera per ricevere il dono dello Spirito e contrarre matrimonio stabile con Cristo. Noi ordinariamente interpretiamo l’evento di Pentecoste in vista della missione. Ma prima della missione, c’è il matrimonio con Cristo. La prima Pentecoste fu un evento matrimoniale. In quel momento si manifestò pubblicamente il matrimonio tra Cristo e la sua Chiesa-Sposa. Ma ogni matrimonio è in vista della generazione di figli. Ciò avviene nell’ordine della natura, ma anche della soprannatura. I figli di Dio nascono direttamente dalla Paternità di Dio, ma attraverso la mediazione generativa del matrimonio tra Cristo e la Chiesa. Anche nell’ordine della natura noi uomini siamo creati direttamente da Dio, ma mediante il potere generativo dei nostri genitori, diventati marito e moglie. Quindi tutta l’economia salvifica passa attraverso l’opera sacramentale della Chiesa. Essa non opera i sacramenti da sola, ma in stretta comunione col mistero di Dio e di Cristo, cui è unita con vincolo sponsale. I sacramenti della Chiesa, che in senso stretto per la Chiesa cattolica sono sette, ma in senso allargato sono molto di più, sono segni sensibili, umani, percepibili da tutti, del mistero di Dio e di Cristo operante in mezzo agli uomini. L’unione tra la Chiesa e Cristo appartiene all’ordine puramente teologale e mistico e sta al di là dei sacramenti e prima di essi. I sacramenti sono il frutto più alto e più mistico di questa unione. I sacramenti nel loro aspetto umano e sensibile trasmettono lo Spirito Santo ai fedeli come Spirito di verità e di vita, che fa nascere gli uomini come figli di Dio e li incorpora a Cristo e alla Chiesa come avviene in una famiglia, in cui i figli generati fanno parte della famiglia che li genera e in essa vengono educati. In conclusione l’incorporazione sacramentale è la manifestazione visibile della nostra incorporazione ecclesiale. I sacramenti fanno il credente, oltre che membro di Cristo, in diretto rapporto con lui e mediante lui con l’intera Trinità, anche membro della Chiesa. Per questo il cristiano che vive e si nutre dei sacramenti della Chiesa deve collaborare con la grazia che riceve alla crescita e buona salute dell’intera Chiesa. Non posso parlare di tutti gli aspetti inerenti alla dimensione sacramentale ed ecclesiale della nostra incorporazione a Cristo. Ne potremo parlare nel momento delle domande. Voglio sottolineare soltanto tre punti. L’aspetto misterico dei sacramenti è segno che la nostra incorporazione a Cristo si realizza in virtù della nostra unione col mistero di Dio Il primo è l’aspetto misterico dei sacramenti. I sacramenti sono realizzati dalla Chiesa per mezzo di un rito sacro, carico di simbolismo. Tutto il rito sacramentale è simbolico e il sacramento è il simbolo più alto di tutto il rito. Il simbolismo dei sacramenti ha una funzione mistagogica. Ha la funzione di comunicarci e, nello 1 stesso tempo, di elevarci alle dimensione più alte e più teologali della nostra incorporazione a Cristo. E’ l’incorporazione al mistero della SS. Trinità, con cui veniamo divinizzati e messi in grado di vivere come vive Dio, della sua stessa vita. nel Mistero dei misteri, come io chiamo “il mistero della SS. Trinità”. I sacramenti ci divinizzano e ci fanno vivere di vita divina. I sacramenti sono un modo umano e sensibile di rappresentarci e realizzare tutto questo. I sacramenti sono intrinsecamente realtà teologali, che mettono immediatamente in contatto Dio e i fedeli tra loro. Sono percorsi dalla energia mistica dello Spirito, che noi comunemente chiamiamo “grazia”, così come il filo elettrico è percorsa dalla corrente elettrica. I sacramenti quindi sono, oltre che rito, Parole Divine efficaci ed operative nella misura della nostra accoglienza. Se non operano quello che esprimono non è perché non sono carichi di grazia, ma perché non collaboriamo come dovremmo alla loro operazione in noi. Da parte loro i sacramenti fanno quello che esprimono in virtù della loro simbologia e traggono la loro efficacia dell’unione tra Cristo Sposo e Chiesa Sposa da cui derivano. I sacramenti e la nostra partecipazione ai sacramenti stanno a testimoniare che la nostra incorporazione a Cristo e in Cristo non è solo un fatto umano, operato dalla volontà dell’uomo, ma è un fatto divino, che Dio opera in noi, infondendoci le tre virtù teologali della fede, speranza e carità, ma anche operando in noi mediante i sacramenti. La dimensione sacramentale dell’incorporazione a Cristo, punto di disunione tra i cristiani Il secondo punto che vorrei mettere in evidenza è l’aspetto ecumenico. A mio parere, è qui che si concentra la sorgente di quella malattia della Chiesa dei fedeli, che si chiama “disunione dei cristiani”. Come un medico, visitando un malato, individua dove la malattia si concentra, così l’analisi che sto facendo della nostra incorporazione a Cristo e in Cristo mi fa individuare nella dimensione sacramentale di questa incorporazione il luogo o la fonte delle nostre disunioni ecclesiali. I cristiani non celebrano più assieme gli stessi sacramenti, ma in chiese divise e dando ad essi significati diversi. Nella nostra unione come cristiani non possiamo prescindere dalla nostra partecipazione ai sacramenti della Chiesa, perché la nostra incorporazione a Cristo e tra noi in Cristo non si realizza nella pura e sola dimensione teologale, ma anche in quella sacramentale ed ecclesiale. Questa non è un’aggiunta estrinseca e secondaria, di cui si può fare a meno, ma essenziale alla realizzazione del Disegno di Dio con cui egli ci salva e ci santifica, incorporandoci a Cristo e tra noi in Cristo. Fin quando si tratta di pregare e di parlare di Cristo e di Dio, i cristiani possono ancora manifestarsi uniti, ma quando si tratta di celebrare i sacramenti, i cristiani si dividono nelle proprie chiese. Perché? Perché le chiese che celebrano i sacramenti professano convinzioni di fede diverse riguardo ai sacramenti. sacramenti allora diventano segni della disunione tra i cristiani. Essi, che dovrebbero esprimere l’unità del Corpo di Cristo, sono diventati i segni della sua divisione. E’ questo il punto che merita ampi approfondimenti, che qui non possiamo fare. Voglio però esprimere alcune mie riflessioni. Per la Chiesa cattolica i sacramenti sono sette e tutti hanno a che fare con l’incorporazione dei fedeli a Cristo e alla Chiesa, ma non tutti allo stesso modo. Essi sono in relazione reciproca tra loro e nell’interazione tra loro realizzano l’intero progetto di Dio riguardante l’incorporazione a Cristo dei credenti. Brevemente, a volo di uccello, consideriamo in che modo i sacramenti esprimono e producono l’incorporazione a Cristo. Parlerò, per ragione di tempo, soltanto di quattro sacramenti, che più hanno a che fare con l’unità dei cristiani: il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia e l’Ordine sacro o Episcopato. Il Battesimo è l’inizio dell’incorporazione, essendo il sacramento della nascita dell’uomo nuovo in Cristo; chi è nato non è ancora né sviluppato né tanto meno perfetto, ma orientato alla crescita. Dopo il Battesimo, ecco la Cresima o Confermazione, che comunicando la pienezza dello Spirito Santo al battezzato, lo abilita a diventare perfetto in santità e testimone intrepido di Cristo nel mondo. Questi due sacramenti strutturano l’uomo interiore del cristiano a immagine di Cristo, di cui il cristiano si deve rivestire per diventare sua immagine. Ma qual è il fine ultimo del cristiano? E’ vivere una vita di comunione d’amore con Cristo e, mediante Cristo, con il Padre. Inoltre è vivere una vita di comunione d’amore con tutti gli altri fratelli, nati da Dio. Ed ecco, l’Eucaristia, che è il sacramento della Comunione d’amore con Dio e della comunione tra i fratelli nell’amore di Dio. Mettendo in relazione i sacramenti con i carismi, di cui Paolo parla al cap. 13 della Prima Lettera ai Corinti, possiamo dire che la Cresima dispensa tutti i carismi, meno il più grande di tutti, la carità perfetta. Questo carisma è dispensato dall’Eucaristia. Per questo l’Eucaristia è il più grande dei sacramenti, rappresentando sacramentalmente la carità di Dio. Esso è il sacramento della carità e quindi è anche il sacramento dell’unità cristiana, unità con Dio e unità tra i credenti in Dio nell’amore. Nella Chiesa dei Padri, l’Eucaristia veniva anche chiamata “sinassi”, che vuol dire “raduno”. Questo termine non esprimeva il fatto fisico del radunarsi in uno stesso luogo dei fedeli, ma aveva un significato teologico. Indicava il radunarsi dei fedeli nell’’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, una realtà mistica altissima, di cui l’Eucaristia era segno sensibile ed efficace. 2 Da questa presentazione del significato di ognuno di questi tre sacramenti, risalta evidente perché le nostre divisioni si concentrano e si manifestano maggiormente intorno all’Eucaristia che non davanti al Battesimo. Il Battesimo e la Cresima fanno esistere i singoli cristiani, ma è l’Eucaristia che li unisce in solo corpo e li fa esistere in comunione d’amore con Dio e tra loro. Nel Rinnovamento carismatico abbiamo riscoperto l’unità esistente tra cristiani evangelici, anglicani, cattolici, ortodossi, in virtù del Battesimo nello Spirito Santo e dell’esperienza carismatica, che si può ricondurre alla Cresima, ma davanti all’Eucaristia carismatici cattolici, evangelici, anglicani e ortodossi si dividono per celebrare la Cena del Signore. In un certo qual senso celebriamo tutti Eucaristie “appannate”, “annebbiate”, perché un’unica celebrazione della Cena del Signore non raccoglie più nell’unità tutti i seguaci di Cristo. L’Eucaristia farà risplendere tutta la ricchezza di grazia che possiede, in virtù della pienezza di Cristo presente in essa, solo quando sarà celebrata da tutti i cristiani uniti in una sola fede battesimale, in una sola Chiesa e in un solo amore. Cristo è sempre presente nelle nostre Eucaristie, ma non è presente tutto il Suo Corpo. Ora l’Eucaristia non è solo il sacramento della Presenza di Cristo in mezzo a noi, ma è il sacramento dell’unione di Cristo con tutto il suo Corpo, del matrimonio di Cristo Sposo come la Chiesa Sposa, presente con tutti i figli generati da questa unione. Da qua si vede chiaramente come tutte le nostre Eucaristie sono tutte Eucaristie “ferite” dalle nostre divisioni e queste ferite sono molto bene simboleggiate dalle vesti del Signore Gesù, che i soldati romani si divisero in quattro parti. Mentre la tunica rimase intatta, le vesti furono divise in quattro parti. La tunica simboleggia l’unico Cristo, le quattro parti delle vesti le divisioni cristiane. Finora non ho parlato del sacramento dell’Ordine sacro. Anche qua ci troviamo davanti a un sacramento più o meno gravemente diviso. Ci sono intime relazioni tra le nostre divisioni attorno all’Eucaristia e intorno all’Episcopato. La realtà è che siamo divisi davanti all’Eucaristia perché siamo divisi intorno all’Episcopato. E’ importante la stretta unità esistente tra Episcopato, Eucaristia e Unità di tutti i cristiani. A questo scopo offro le seguenti riflessioni. Per noi cattolici, ma anche per gli ortodossi, gli anglicani e altre chiese sacramentali un fedele di Cristo diventa vescovo o semplice sacerdote ricevendo un sacramento. Che cosa indica la sacramentalità dell’episcopato? Indica che i vescovi in virtù del sacramento vengono incorporati a Cristo sacerdote, diventando segni sensibili ed efficaci di Gesù Cristo, unico e universale Sacerdote degli uomini presso il Padre. Poiché il sacerdote e mediatore tra Dio e gli uomini è uno solo, Gesù Cristo, tutti i vescovi vengono incorporati all’unico Cristo e quindi sono una sola cosa in Cristo e tra loro. Un vescovo dovrebbe essere equivalente all’altro nelle sue funzioni episcopali. Come il Battesimo getta le basi dell’unità dei cristiani, perché fa nascere l’unico Figlio di Dio in tanti figli, così il sacramento dell’Ordine Sacro fa nascere un solo episcopato, profondamente unito, perché tutti rappresentano l’unico sommo sacerdote, Gesù Cristo. Non tocco la particolare posizione che secondo noi cattolici ha il vescovo di Roma, come successore di Pietro apostolo, nell’esprimere l’unità dell’episcopato della Chiesa. Non è qui il caso di parlarne. Quindi abbiamo due generi di unità, che stanno a fondamento dell’unità della Chiesa: l’unità del Battesimo, che suppone l’unità della fede in cui è battezzati; l’unità dell’episcopato, che rappresenta l’unico ed eterno sacerdote dei cristiani, Gesù Cristo. Il terzo genere di unità, il più perfetto, rappresentato dall’Eucaristia, nasce dalla convergenza nell’Eucaristia dall’unità dei battezzati e dall’unità dei vescovi. Ora che cosa è successo? E’ successo che l’unità del Battesimo e dell’unità dell’Episcopato è stata infranta e quindi verso l’Eucaristia convergono le disunioni intorno al Battesimo e all’Episcopato. Per quanto riguarda l’unità del Battesimo, la disunione nasce non nel valore del Battesimo, ma nella diversa fede in cui si viene battezzati e poi si cresce. Più che il Battesimo, è la fede battesimale che ci rende diversi. Per “fede battesimale” non intendo la fede circa che cosa è il battesimo, ma la fede intera che la Chiesa, che dà il battesimo, comunica al battezzato e in cui lo fa crescere. Il Battesimo viene dato in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma a questo bisogna aggiungere anche in nome della Chiesa che dà il battesimo e che, oltre il battesimo, dà anche al battezzato la sua fede. Per portare un esempio, poiché la fede evangelica è in genere anticattolica, ecco che l’evangelico, mentre si sviluppa in lui battesimo e la fede ricevuta, si sviluppa anche l’anticattolicesimo. Col battesimo i cristiani sono uniti nel Padre comune in cui sono battezzati, ma sono divisi in virtù delle diverse mogli di questo Padre comune, che sono le chiese, da cui vengono battezzati. Queste poi litigano tra loro per stabilire quale di esse è la vera moglie e quale no. Sembra una battuta, ma la realtà è proprio così. Le Scritture però testimoniano chiarissimamente che Dio ha una sola moglie, è monogamo nello sposarsi con gli uomini e la sua Sposa è una sola Chiesa, madre di una moltitudine immensa di figli. Il fatto è che ciò non si vede a livello visibile, ma appare piuttosto il contrario, che cioè Dio ha più mogli che litigano tra loro. Ciò è un vero e proprio scandalo della fede. La stessa disunione avviene per l’Episcopato. Ogni comunità cristiana divisa si fa i vescovi secondo la propria fede e questi eserciteranno il ministero episcopale secondo la fede della propria chiesa e in nome di Cristo, di cui sono stati resi sacramento. Le chiese disunite fanno vescovi disuniti e, viceversa, vescovi disuniti fanno chiese disunite. Di fronte a questa situazione, non si può non sentire il grido angosciato di Paolo apostolo: “Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “io invece sono di Apollo”, “E 3 io di Cefa”, “ E io di Cristo”. Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?” (1 Cor 1,11-13). Ai nostri giorni al posto di “Io sono di Paolo, di Apollo, di Cefa o di Cristo”, mettiamo: “Io sono cattolico, Io sono ortodosso, Io sono evangelico, Io sono battista, Io sono anglicano”. E’ la stessa cosa. Queste proclamazioni di appartenenza a chiese diverse farebbe oggi gridare a Paolo, molto di più di quanto lo gridò ai Corinti: “Cristo è stato forse diviso?”! Se l’unità battesimale e l’unità episcopale sono state infrante, è logico che il grande sacramento della carità e dell’unità cristiana, l’Eucaristia, riceva gli urti potenti di queste disunioni, e quando viene celebrata, anche se per la fede e la consacrazione episcopale e sacerdotale Cristo è realmente nel sacramento, l’Eucaristia non effonde più la pienezza della carità e dell’unità, che pure naturalmente significa. Quando, disuniti come siamo, celebriamo l’Eucaristia, celebriamo insieme a quella parte di unità che abbiamo ancora, grazie a Dio, anche le nostre disunioni, che, in campo ecumenico, non sono di poco conto. Con questo noi non santifichiamo l’Eucaristia, che è il Sacramento massimamente santo, ma in parte lo profaniamo, come facevano i Corinti del tempo di Paolo, che celebravano indegnamente la Cena del Signore (1 Cor 11,17-24). La mancanza di carità e di unione che i cristiani di Corinto manifestavano, proprio quando si radunavano per partecipare al Corpo e Sangue del Signore, faceva sì che peccassero contro il Corpo del Signore e la partecipazione si risolveva a loro danno piuttosto che a loro vantaggio. A me piace dire che le nostre celebrazioni eucaristiche, che non esprimono ancora l’unità dei cristiani, sono celebrazioni “appannate”, “annebbiate”. Il cammino ecumenico verso l’unità deve far sì che arrivi il giorno in cui la celebrazione di Cristo Capo in mezzo a noi con la sua opera di salvezza e di unità degli uomini si esprima con reale visibilità e universalità, in tutto lo splendore della sua potenza. Non voglio proseguire oltre in queste riflessioni, perché il tempo non lo permette, ma, mentre scrivevo queste cose e ancora adesso che ve le esprimo, sento nel mio cuore la percezione di quanto le nostre divisioni offendano e rattristino la santità e l’unità del Battesimo, dell’Episcopato e dell’Eucaristia, che Cristo ci ha lasciato per produrre l’unità dell’incorporazione in lui di tutti i credenti nel suo nome e non per essere motivo di divisione. Il nostro spirito, in sintonia con lo Spirito Santo, non può non sentire le ferite che lo stesso Spirito Santo avverte in sé in virtù delle divisioni delle molteplici membra di Cristo in cui vive ed opera. Importanza della partecipazione teologale ai sacramenti perché essi realizzino l’incorporazione a Cristo e in Cristo, ciascuno secondo la propria natura. Voglio concludere queste riflessioni sulla nostra incorporazione sacramentale a Cristo, ribadendo il primato della dimensione teologale su quella sacramentale. Ogni sacramento è fatto di un elemento umano esterno, che fa da simbolo, e di un elemento divino nascosto, che è simboleggiato. I due elementi poi fanno una sola cosa. Ogni sacramento ammette, secondo una triplice distinzione di san Tommaso d’Aquino, tre modi di essere ricevuto e celebrato: in modo solo spirituale. Per esempio: il battesimo di desiderio nell’impossibilità di riceverlo realmente. In modo spirituale e sacramentale, quando ciò che si celebra esteriormente è vissuto adeguatamente in modo interiore. In modo solo sacramentale e non spirituale: quando, pur partecipando al sacramento esteriormente, mancano le disposizioni interiori positive perché si sia l’adesione all’elemento divino interiore. E’ il caso di Giuda, che si fa la comunione eucaristica. Al posto dell’aggettivo “spirituale” mettiamo l’aggettivo “teologale”, di cui ho parlato nella seconda relazione. E’ la stessa cosa. Noi possiamo partecipare ai sacramenti in modo puramente teologale, mediante l’esercizio delle tre virtù della fede, speranza e carità nei loro confronti, anche se non lo riceviamo, come nel caso del battesimo e della comunione di desiderio; in modo teologale-sacramentale, quando lo riceviamo con le debite disposizioni interiori e in modo sacramentale e non-teologale, come quel ragazzo che faceva la cresima, ma non credeva al suo valore, ma soltanto perché tutto lo ricevevano e non voleva fare brutta figura. Questa verità ha importanti conseguenze per la nostra incorporazione a Cristo a livello sacramentale. Evidentemente questa incorporazione si realizza solo per i primi due modi di ricevere i sacramenti: il modo puramente teologale e quello teologale-sacramentale. Questo modo soltanto teologale di vivere la grazia del sacramento, anche senza riceverlo, può capitare per certe situazioni di impossibilità canonica di partecipare ai sacramenti della Chiesa a cui non si appartiene. Porto un esempio. Un cattolico partecipa ad una liturgia ortodossa e secondo le disposizioni canoniche non può farsi la comunione. Quindi non può partecipare alla comunione eucaristica in modo teologale-sacramentale, ma certamente può parteciparvi in modo teologale soltanto, unendosi in virtù della fede, speranza e carità teologale e della devozione personale a Gesù eucaristico della Liturgia ortodossa. A mio parere questo cattolico partecipa alla grazia dell’Eucaristia come se la mangiasse sacramentalmente. Facciamo il caso di un fedele ortodosso, che si accosta sacramentalmente all’Eucaristia con minori disposizioni interiori di quel cattolico. A mio parere, riceve meno grazia di Dio che quel cattolico, che vi partecipa solo spiritualmente. Questo principio si rifà alla parola di Gesù: “E’ lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla” (Gv 6,53). Ciò indica una chiara distinzione tra il livello teologale dei sacramenti e il suo livello esterno, letterale, carnale. Ciò che comunica grazia è mettersi con tutto i mezzi possibili in sintonia con il livello teologale dei 4 sacramenti, anche se per la natura dei sacramenti questi tendono ad essere vissuti anche in modo esterno e visibile. Potremo fare delle utili applicazioni di questo principio a molti punti della vita spirituale e dell’uso dei mezzi di salvezza e santificazione che Dio ci mette a disposizione, ma non abbiamo tempo per approfondire questa questione. L’incorporazione operosa Parliamo ora del terzo aspetto della nostra incorporazione a Cristo, con cui si manifestano i frutti di questa incorporazione a livello dell’esistenza cristiana. Una sola espressione, che ha una grande significato teologico, definisce questo aspetto. E’ l’espressione: “le opere buone”. Paolo dice che Dio vuole la nostra giustificazione in vista delle opere buone, che ha preordinato per noi perché le compissimo (Ef 2,10). La nostra vita teologale e la nostra vita sacramentale sono come la linfa di un albero; le opere buone ne sono i frutti. Le opere buone, però, nascono dalle virtù evangeliche, che ne sono la causa immediata. Consideriamo quindi come frutti della nostra incorporazione in Cristo sia la vita virtuosa secondo Dio che conduciamo sia le opere buone che le nostre virtù producono. Poiché questa opere buone gettano la loro radice nella nostra incorporazione a Cristo, esse sono manifestazioni di Cristo e di Dio Padre, dimoranti e operanti in noi. Queste opere buone hanno diverse manifestazioni: alcune sono di tipo strettamente verticale, nel senso che sono una testimonianza di fede che diamo al Dio vivente. L’opera buona massima di tipo verticale a cui la grazia ci può portare è il martirio per amore di Cristo. La seconda opera buona è l’evangelizzazione. La terza è una vita consacrata alla preghiera e al culto di Dio. Altre opere buone sono poi di tipo orizzontale, nel senso che si manifestano nell’aiuto e amore fraterno che le membra di Cristo si scambiano reciprocamente. Cristo ha detto che dall’amore reciproco si manifesterà se siamo veramente incorporati in lui. Se non c’è amore noi come Cristo ci ama, vuol dire che non siamo ancora pienamente incorporati in lui. Lo siamo col corpo, sacramentalmente, ma non spiritualmente. Altre opere buone sono di tipo discensionale, cioè sono rivolte a soccorrere i poveri di diverso genere nelle loro necessità. Gesù ha siglato l’importanza di queste opere buone, dicendo che ciò che viene fatto al più piccolo degli uomini in necessità, viene fatto a lui. L’incorporazione operosa nella ricerca dell’unità cristiana Noi cristiani possiamo fare opere a favore e contro l’unità cristiana. L’importanza delle opere buone per mantenere in vita l’unità dei cristiani si evince dalle pressanti esortazioni degli apostoli, soprattutto di san Paolo, ad esercitare una serie di virtù in vista dell’unità dei credenti. Leggo il testo più famoso a riguardo: “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,1-3). Paolo vede che l’incorporazione in Cristo dei credenti può fallire e non portare frutto se questi non esercitano virtù e opere buone atte a manifestare questa unità e a conservarla. Le opere cattive dei cristiani non sono solo opere che danneggiano ciascuno singolarmente in vista della salvezza eterna, ma danneggiano anche il Corpo di Cristo, di cui ogni salvato fa parte in virtù della sua incorporazione a Cristo. Il cammino di unità dei cristiani a cui lo Spirito ci chiama oggi deve essere un cammino lastricato di nuove opere buone in tutti i campi che interessano le relazioni dei cristiani tra loro e delle chiese tra loro a tutti i livelli, ufficiale e gerarchico, e a livello dei rapporti dei singoli fedeli di diverse chiese. Se questa rete di opere buone diventa sempre più ricca e più forte, già diamo un segno di unità esistente fra noi messo in pratica. Lo Spirito ci può suggerire di fare opere buone nuove, inedite, ma necessarie per far progredire l’unità dei cristiani. Allora avremo il merito di collaborare più da vicino a questa grande opera di restaurazione dell’unità dei cristiani, che è opera divina per eccellenza. Quando parliamo di opere buone, non possiamo pensare solo al significato positivo, che questo termine evoca. Quando Dio scelse il profeta Geremia, gli assegnò il compito di “sradicare e demolire, distruggere e abbattere” oltre che “edificare e piantare” (Ger 1,10). Le opere buone del profeta Geremia furono anche quelle di andare contro le diverse idolatrie del popolo eletto fino a demolirle e distruggerle. In campo ecumenico questo atteggiamento di sradicare e demolire consiste nel demolire quella massa di pregiudizi e contrapposizioni con cui ingiustamente colpiamo i fratelli di fede di altre confessioni cristiane e aumentano le distanze tra le chiese e i cristiani. I nostri dialoghi teologici sono pure tesi a demolire le differenze dottrinali in vista della ricomposizione dell’unità dottrinale almeno circa i punti fondamentali della fede. Possiamo dire che i chiamati da Dio a lavorare in vista dell’unità cristiani possono fare proprio il programma che Dio assegnò al profeta Geremia: “sradicare e demolire, distruggere e abbattere” ciò che è causa di separazione e viene dal maligno, “edificare e piantare” ciò che viene da Dio e unisce i cristiani. 5 Termino qui le mie osservazioni sull’incorporazione sacramentale e operosa. Questa incorporazione getta le sue radice nell’incorporazione teologale. Quando un cristiano o una comunità cristiana vive intensamente queste tre dimensioni dell’incorporazione a Cristo e in Cristo, può dire di essere veramente un membro di Cristo e Cristo è veramente suo Capo. P. Carlo Colonna s.j. Bari 13/2/2009 6