Natale e l`Europa
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Natale e l`Europa
Avvenire – 27 dicembre 2011 Natale. Cosa c’è sotto la stella Il Natale riporta all’attenzione di tutti alcuni elementi, che sono strettamente legati a questa grande festa della cristianità, prima di tutto la data stessa dell'evento, poi la grotta, che tradizionalmente ospitò il Salvatore appena nato, o ancora la stella, che guidò i Magi ad adorare il Piglio di Dio. Ma si tratta solo di pie tradizioni, oppure lo studio attento delle fonti letterarie e delle testimonianze archeologiche ha consentito di acquisire elementi concreti in merito a questi aspetti apparentemente di contorno, ma in realtà importanti, connessi con tale ricorrenza? La data dell'evento Nel più antico calendario della Chiesa di Roma che ci sia pervenuto, il Cronografo Romano del 354, si legge per la prima volta la celebrazione del Natale al 25 dicembre. Solo nel pieno IV secolo, quindi, un testo ufficiale riporta la data rimasta ancora oggi nella tradizione. Non è documentata, comunque, per questa festività una tradizione di origine apostolica; tanto è vero che ben presto gli scrittori cristiani si posero il problema di determinare il giorno in cui era venuto alla luce il Salvatore. Clemente Alessandrino, vissuto all'incirca fra il 150 e il 215, già riporta tre opinioni diverse, diffuse ai suoi tempi: alcuni proponevano il 20 maggio, altri il 10 gennaio, ma i più il 6 gennaio. Altri pensavano che, individuando nell'equinozio di primavera (fissato prima il 25, poi il 21 marzo) l'inizio della creazione dell'universo, simbolicamente la medesima data avrebbe segnato la nascita del Figlio di Dio. In ogni modo, in Occidente si affermò sempre più la data tradizionale del 25 dicembre, avallata anche da sant'Agostino. D'altro canto, nel 274 l'imperatore Aureliano aveva fissato proprio al 25 dicembre la festa del «sole invitto«, che dopo il solstizio invernale a poco a poco riprendeva il sopravvento sulle tenebre. Non erano estranei a questa celebrazione influssi del culto orientale di Mitra, che ebbe grande seguito nella Roma tardo-imperiale. Perciò, sostituire ad una solennità profana una cristiana, legata all'incarnazione del Cristo, «Sole di giustizia«, fu certamente un'operazione carica di significati simbolici, oltre che polemici nei confronti del paganesimo, ormai al declino, tanto è vero che, intorno alla metà del V secolo, il papa san Leone Magno in un suo sermone ammonì i cristiani a non confondere la nascita di Cristo con la celebrazione del sole naturale, ricorrenti nello stesso giorno. Quindi, in base all'esame delle diverse fonti disponibili, si può giungere alla conclusione che la data tradizionale del Natale fu t'issata per un insieme di ragioni e di considerazioni di carattere astronomico, profetico, scritturistico e simbolico, nonché probabilmente per la coincidenza di una desta civile profana molto popolare, che era ;tata istituita in epoca taro-imperiale. Se ciò avvenne in quello orientale; in ogni modo, risulta che l'imperatore Giustiniano intorno alla metà del VI secolo proclami 25 dicembre anche solennità civile. Appurato che il Natale fu una festa celebrata prima in Occidente e poi passa in Oriente, per l'Epifania avvenne esattamente il contrario. Il termine «epifania», che in età classica indicava qualsiasi manifestazione della presenza di una divinità, passò a designare dapprima (probabilmente agli inizi del IV secolo) l’incarnazione del Figlio di Dio, poi le rivelazioni più significative della sua divinità, commemorate in un unico giorno il 6 gennaio. Anche se in seguito, specialmente nel mondo occidentale, prese il sopravvento la celebrazione dell'atto di omaggio compiuto dai Magi, rimasto ancora oggi legato alla festa, in Oriente, invece, prevalse siigli altri il ricordo del battesimo nel Giordano. Tornando alla Natività, a proposito dell'anno in citi si verificò il prodigioso evento, si può affermare che il mondo moderno si porta ancora dietro un errore di computo di un dotto monaco originar della Dobrugia, vissuto nella prima metà del VI secoli Dionigi il Piccolo, ritenuto uno dei fondatori della cultura medievale. Egli, su incarico imperiale, intendeva sostituire l'era cristiana a quella dioclezianea, fino ad allora diffusa specie nelle province orientali, e rese come punto di partenza proprio la nascita di Gesù, ma essa fu da lui calcolata, in base alla convergenza di fatti storici e di riferimenti contenuti nei Vangeli, posponendo in realtà la data reale della nascita almeno di 4, se non - più verisimilmente - di 6 o 7 anni. La sua proposta fu comunque accettata e si diffuse dovunque, ma, a ben vedere, oggi noi saremmo, m realtà, alla fine del 2012 (o addirittura nel 2013) e non del 2006, anche se ormai una correzione sarebbe improponibile, perché rivoluzionerebbe tutta la storia. La Stella Fin dall'antichità lo studio degli astri esercitò un particolare fascino, tanto è vero che per i Babilonesi le stelle costituivano un segno di scrittura celeste, che poteva essere interpretato. Così gli astronomi di allora, che erano insieme astrologi ed esperti nell'arte divinatoria, pensavano di poter individuare nei corpi celesti luminosi segni premonitori di guerre, siccità, carestie, ma anche eventi positivi, come la nascita di sovrani e l’avvento di epoche di floridezza e fulgore. Tale scienza sr diffuse anche in epoca romana e soprattutto le comete erano osservate con particolare attenzione, attribuendo loro la funzione di messaggere di eventi importanti. Certamente la stella più conosciuta di questo tipo è quella di cui parla il Vangelo di Matteo (2,2), ma, a rigore, il testo evangelico non specifica la sua vera natura. In uno scritto apocrifo, poi, il Protovangelo di Giacomo, si legge che quando nel tredicesimo giorno dalla nascita del Bambino si presentarono i Magi, un'enorme stella - come mai se ne erano viste - splendeva sulla grotta dalla sera al mattino. Tuttavia, già un Padre della Chiesa della prima metà del III secolo, Origene, pensò che si trattasse di una cometa e altre fonti condivisero tale teoria, tanto è vero che anche oggi è opinione comune che proprio una cometa apparisse ai Magi, che erano profondi conoscitori dell'astronomia e delle leggi dell'universo. Alcuni studiosi hanno pensato che la cometa vista allora fosse quella di Halley, che, però, secondo i calcoli effettuati, passò vicina alla terra solo nel 12 a.C., prima della nascita di Gesù. Per altri il fenomeno luminoso celeste, al quale si allude nei testi fu in realtà la rara congiunzione di Saturno, Giove e Marte, verificatasi nell'anno 7 (o nel 6) a.C. Accettando quest'ultima teoria, si avrebbe conferma dell'errore di computo, già ricordato, del monaco Dionigi il Piccolo. D'altronde, ulteriori considerazioni porterebbero ad escludere che l'astro, di cui parla l'evangelista Matteo, potesse avere relazione con un fenomeno celeste. Nel passo in questione, infatti, si dice che la stella apparve ai Magi ad Oriente e li precedette, «finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino» (Mi 2,9). Secondo l'interpretazione di molti esegeti, la luce di cui si parla sarebbe simbolicamente quella del Redentore e, quindi, si farebbe metaforicamente riferimento all'avvento messianico, escludendo qualsiasi fenomeno reale dell'ordine naturale del cosmo. Questo concetto fu sviluppato e ribadito in molti scritti dei Padri: secondo alcuni si sarebbe trattato di una stella effimera, apparsa e subito scomparsa; più precisamente, per altri, di una meteora, creata da Dio nell'atmosfera celeste e poi dissolta. Come si vede, le ipotesi sono molteplici, ma non sembra, comunque, privo di significato il fatto che a questo astro sia stato riservato fin dall'epoca paleocristiana nell'iconografia del presepe e in altre raffigurazioni del ciclo della Natività un ruolo ben preciso, facendone anzi uno degli elementi chiave della composizione. Fra i tanti esempi noti, si può almeno ricordare, oltre ad un celebre affresco del 220230 della catacomba romana di Priscilla, raffigurante un profeta (forse Balaam) che indica una stella, la lastra incisa della defunta Severa, conservata al Museo Pio Cristiano, con la scena dell'offerta dei doni da parte dei Magi, riferibile alla prima metà del IV secolo. Sopra il Bambino compare un irregolare astro a sei punte di grandi dimensioni, mentre alle spalle di Maria con il piccolo Gesù, seduta sii un sedile dall'alto schienale, una figura profetica addita la stella. La Grotta Scriveva nel III secolo Origene: «Se qualcuno vuole assicurarsi... che Gesù e nato a Betlemme, sappia che, a conferma di quanto narra il Vangelo, si mostra a Betlemme la grotta, nella quale Egli nacque. Tutti lo sanno nel paese e i pagani stessi ripetono a chi vuol saperlo che in quella caverna è nato un certo Gesù, che i cristiani adorano e ammirano». Questo brano prova che la tradizione della grotta della Natività è molto antica (la fonte evangelica parla solo di una mangiatoia, non dell'ambiente in cui essa era ubicata) e proprio al di sopra di una grotta, sulla colina orientale di Betlemme, Costantino, esortato anche dalla madre Elena, costruì una basilica, che voleva ricordare degnamente l'evento. Per fare ciò, i suoi architetti trasformarono quel luogo in cripta, collegata tramite due scale direttamente al coro della chiesa e il soffitto naturale, che non avrebbe retto al peso delle strutture sovrastanti, fu coperto da una volta in muratura. Sul finire del IV secolo la grotta apparve alla pellegrina Egeria ornata di paramenti di seta ricamati, arredi liturgici, lumi, torce e candelabri preziosi, mentre il pavimento era a mosaico. Molte trasformazioni interessarono la grande basilica costantiniana a cinque navate nei secoli successivi, ma quell'ambiente, largo meno di 4 metri e lungo 12, tanto frequentato da folle di pellegrini, si mantenne sostanzialmente immutato, a parte l'aggiunta di un altare rivestito di marmi e di altri arredi liturgici. Precisamente sotto l'altare principale di questo luogo venerato oggi appare, inserita nel pavimento, una stella d'argento dorato con un'iscrizione, posta nel XVIII secolo, mentre superiormente si notano tuttora frammenti dell'antica decorazione musiva. La continuità di una tradizione antichissima costituisce quindi una provo per sostenere che proprio quella grotta, un tempo ubicata nell'area del caravanserraglio di Betlemme, costituisse il ricovero di fortuna in cui nacque il Salvatore. A circa un miglio da lì, nella località di Bet-Sahur, le fonti attestano che già nel IV secolo esistevano un edificio di culto e un convento, con annesso un vasto impianto agricolo, sorti su altre grotte, indicate come quelle in cui i pastori sostavano di notte all'epoca di Erode e quel sito è conosciuto proprio come il «Campo dei Pastori». I Magi Si sa che nel Vangelo di Matteo si parla di Magi venuti dall'Oriente, senza specificare il loro numero e ben poco di preciso e storicamente attendibile aggiungono gli scruti apocrifi di epoca successiva. I Magi erano certamente astrologi, verosimilmente appartenenti ad una casta sacerdotale, diffusa in quell'epoca in Persia, in Mesopotamia e nella Media, che seguiva gli insegnamenti di Zoroastro, fondatore della religione nota come mazdeismo. Numerosi autori cristiani, da Clemente Alessandrino a Cirillo di Alessandria, da Giovanni Crisostomo a Prudenzio, ritengono che essi fossero proprio persiani, mentre altri pensano che fossero arabi, caldei o babilonesi. Molti studiosi, comunque, sono del parere che non fossero propriamente re e che l'espressione di Tertulliano, che li definisce «quasi re», non sia da interpretare in senso letterale, ma ritenendoli personaggi dotati di grande autorità e prestigio. Anche il repertorio iconografico paleocristiano non li presenta mai come sovrani, almeno fino al pieno Medioevo, quando cominciano ad essere effigiati con la corona sul capo, mentre in precedenza apparivano semplicemente in abiti orientali, con il berretto frigio e una sorta di pantaloni. Tornando al numero ternario, è logico supporre che esso fin dall'antichità fosse desunto da quello dei doni che essi portavano (oro, incenso e mirra), anche se proprio l'iconografia dei primi secoli cristiani attesta che doveva esserci qualche incertezza in proposito, visto che in alcune raffigurazioni (qualche pittura delle catacombe, una scultura, alcuni vetri dorati e un reliquiario argenteo) essi appaiono in numero variabile di due, quattro, o addirittura - in un caso - sei. Si è obiettato che ciò potrebbe essere posto in relazione con un'esigenza di simmetria delle composizioni, ma, volendo considerare in parte valida questa teoria per la riduzione a due, riuscirebbe difficile spiegarlo per l'aumento a quattro o più personaggi. In ogni caso, è pur vero che si tratta di esempi abbastanza sporadici e che già la più antica testimonianza pittorica conservata, nella cosiddetta Cappella greca del cimitero di Pri- scilla a Roma, della metà circa del 111 secolo, mostra i Magi nel consueto numero di tre. Riguardo, poi, ai nomi tradizionali di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, essi si fissarono e si diffusero solo a partire dal XII secolo, anche se il più antico documento noto con tale menzione è un manoscritto parigino, che risale ad uri epoca compresa fra la fine del VII e il IX secolo. In ambito archeologico, solo una ventina di anni or sono su un'iscrizione di VII-VIII secolo dipinta su un muro di monastero del vasto complesso delle Kellia, in Egitto, si sono letti i nomi Gaspar, Belchior e Bathesalsa. Si tratta di una scoperta importante, perché è la prima attestazione nota nei monumenti dell'esistenza di tale tradizione. L'asino inesistente Quante sono le cose che crediamo di sapere sul Natale, e che invece non stanno affatto così nei Vangeli, o pure dipendono solo da tradizioni seguenti? La data, la grotta, la stella, il numero dei Magi... Ma anche il fatto che Gesù sia nato di notte, anzi a mezzanotte, è tutt'altro che sicuro: nessun Vangelo lo sostiene,almeno esplicitamente; l'unico accenno a una scena notturna sta nel versetto che parla dei «pastori che vegliavano facendo la guardia alloro gregge». Anche altri particolari - la ricerca di un alloggio da pane di Giuseppe e Maria, la presenza della cometa, eccetera - fanno pensare alla Natività come a un evento notturno. Ma ancor di più pesa il riferimento ella liturgia, che celebra la sua veglia natalizia appunto di notte, e anche l'effetto psicologico di intimità e raccoglimento che il buio sa creare; nonché l'analogia con due notti celebri: quella delle creazione e quella della resurrezione. Discusso è pure il particolare della Sacra Famiglia alla ricerca di ricovero: com'è possibile, data la proverbiale ospitalità dell'Oriente, che Giuseppe non trovi un tetto proprio nel suo villaggio d'origine? Forse la soluzione la fornisce Luca: «Non c'era posto per loro», scrive l'evangelista, quasi a sottintendere che i caravanserragli dell'epoca potevano offrire albergo, sì, ma non. la riservatezza... indispensabile per una partoriente. Nemmeno del bue e dell'asino, infine, si trova traccia nei Vangeli canonici; i due animai derivano invece dagli scritti apocrifi (usati forse come conferma delle profezie) e la loro coppia è spesso stata interpretata in senso allegorico: l'Antico e il Nuovo Testamento, gli ebrei e i pagani, la pazienza e l'umiltà, il male e il bene... Avvenire, 12 dicembre 2006 Natale, un estraneo in Europa? In nome del politicamente corretto spariscono i simboli religiosi. Londra, Gesù eliminato anche dai francobolli, e i coristi non entrano più in ospedale Elisabetta Del Soldato Gli spazzini di Kingston upon Hull non possono più indossare il cappello rosso natalizio perché secondo il municipio sarebbe «poco professionale». Ed è un gran peccato, ci spiega uno di loro, «perché era una tradizione che andava avanti da anni: ci metteva di buon umore e faceva ridere i bambini». Un gruppo di coristi di canti natalizi viene bandito dall'ospedale di Torquay in Cornovaglia perché con i loro raffreddori invernali potrebbero mettere a rischio la salute dei pazienti. Un portavoce dell'ospedale spiega che si tratta di una «precauzione necessaria» mentre per i coristi, tutti anziani e membri dell'esercito della salvezza che cantano lì ogni Natale da quarant'anni, la decisione «è assolutamente ridicola e profondamente offensiva». Secondo una recente indagine, il settanta per cento degli uffici britannici avrebbe vietato le decorazioni natalizie perché potrebbero turbare gli impiegati appartenenti alle altre fedi e il Comune di Luton avrebbe addirittura chiesto ai suoi cittadini, sempre per non offendere i non cristiani, rinunciare ai festeggiamenti per Natale, che è stato soprannominato «Luminous». Un esempio adottato anche dalla più grande città di Birmingham che ha deciso di cancellare il nome Natale dai suoi registri e rimpiazzarlo con quello «più corretto» di Winterval. Nella patria della political correctness qualcuno sta dando i numeri, scriveva qualche giorno fa il Daily Express sottolineando «l'assurdità di voler cancellare le nostre tradizioni più care per paure infondate e irrazionali». Ma la lista che comprende marce indietro e cancellazioni continua: una settimana fa un signore di Reading ha dovuto pagare una multa perché si era rifiutato di obbedire all’ordine del Comune di non accendere il suo grande display natalizio di fronte a una folla di consueti spettatori i quali, come ogni anno, avrebbero pagato un piccolo contributo che sarebbe poi stato devoluto in beneficenza. Bandite anche le opere di bene. Nelle scuole statali britanniche è molto più facile che i bambini sappiano cosa sia il Corano che la Bibbia, e anche questa è una conseguenza della political correctness: nel curriculum è necessario far rientrare tutte le fedi. Peccato però che il cristianesimo, quando non ignorato del tutto, venga sempre per ultimo. E ancora: le Poste di sua maestà hanno deciso di sostituire le immagini cristiane sui classici francobolli natalizi con immagini laiche». E tosi sui sei francobolli di Natale che hanno presentato quest'anno, al posto del presepe, della Stella Cometa o dei Re Magi, hanno fatto la loro comparsa Babbo Natale, il pupazzo di neve e le renne. E non è la prima volta che le Poste decidono di ignorare il Natale Cristiano: lo avevano già fatto nel 2002, 2003 e 2004, con una pausa nel 2005. «L'anno scorso - spiega un portavoce della Chiesa anglicana - avevano proposto design innovativi di scene cristiane che ci erano molto piaciute. Ma quest'anno siamo tornati daccapo». Il quotidiano The Sun titolava qualche giorno fa in prima pagina che una parte della società ha deciso di «fare guerra al Natale» e s’impegnava ad aprire una campagna, tra l'altro già seguitissima, contro questa deriva che intende demolire la festa più amata. L’iniziativa è stata appoggiata dal gruppo londinese campaign against political correcmess e da altri gruppi cristiani che intendono difendere le tradizioni. Qualche giorno fa l'arcivescovo di York John Sentamu, secondo nella Chiesa Anglicana dopo l'Arcivescovo di Canterbury, ha accusato «gli atei aggressivi di questo Paese» di voler rimuovere i simboli cristiani del Natale dalla vita pubblica. «Esiste nella nostra società ha detto una tendenza preoccupante degli atei illiberali si sono aggregati a secolaristi aggressivi per creare una situazione assurda dove quelli che non credono in Dio hanno deciso che il Natale offende le altre fedi». E ancora: «Queste persone stanno cercando di farci credere che è possibile entrare nel cuore del Natale ignorando Gesù Cristo». Un parere condiviso anche da molti musulmani del Regno Unito e in - particolare dal Muslim Council of Britain secondo il quale il vero nemico - in questa Gran Bretagna sempre più intrappolata nella sua political correctness e dove solo un dieci per cento della popolazione si reca regolarmente in chiesa -è la secolarizzazione. Madrid, Laicità a scuola: un ottimo alibi per eliminare la festa natalizia Michela Coricelli Quest'anno gli alunni dell'istituto pubblico Hilarión Gimeno di Saragozza non faranno la tradizionale recita natalizia e non canteranno nessuna canzone con riferimenti religiosi. La direzione della scuola ha deciso di abolire la classica festa natalizia. I motivi? Sarebbero due: non c'è spazio né tempo per fare tutte queste «attività». E poi (ed è questa la vera ragione), non si devono offendere i bambini di altre religioni, meglio un'educazione del tutto «laica». La decisione dell'istituto ha suscitato le proteste dei genitori. Dopo uri animata riunione, mamme e papà sono arrivati a un accordo con la scuola: la festa si farà, almeno il prossimo anno. La vicenda arriva in un momento particolare. Pochi giorni fa il partito socialista (Psoe) ha presentato un manifesto intitolato «Costituzione, laicità ed educazione per la cittadinanza». In teoria, un omaggio alla Carta Magna dei 1978 in occasione del suo ventottesimo anniversario. Ma il documento è andato ben oltre, alimentando un’accesa polemica. I socialisti spagnoli affermano che la laicità è il «requisito per la libertà e l’uguaglianza» e che «i fondamentalismi monoteisti o religiosi seminano frontiere fra i cittadini». La laicità, continua il manifesto, è l'unica forma per non «subordinare l'azione politica delle istituzioni dello stato sociale e democratico di diritto a nessun credo e a nessuna gerarchia religiosa». «Senza laicità - sostiene il Psoe - non ci sarebbero nuovi diritti della cittadinanza, sarebbero delitti civili alcune libertà come l'interruzione volontaria della gravidanza o il matrimonio fra persone dello stesso sesso». Infine, aggiunge il testo, dato che il «fenomeno migratorio sta trasformando la società spagnola in una società multiculturale», è d'obbligo «ricordare e riaffermare il valore del principio costituzionale della laicità». Il documento è stato accolto da una valanga di critiche, e non solo da parte del centrodestra. In Spagna, sottolineano vari analisti, si è andata affermando una crescente confusione fra aconfessionalità dello Stato, laicità e laicismo. La sinistra-ha scritto in un editoriale il direttore del quotidiano ABC, José Antonio Zarzalejos - ritorna ai vecchi errori, «si dirige chiaramente contro la presenza del cattolicesimo nell'ambito pubblico spagnolo». E la «maggiore benevolenza verso altre religioni, come l'islamica - continua Zarzalejos, in realtà mira a «ridimensionare il protagonismo del cattolicesimo in Spagna». Secondo l'arcivescovo di Pamplona, Fernando Sebastiàn, il manifesto del Psoe traccia una «visione impoverita e sfigurata della religione,considerandola quasi come «un'attività pericolosa» o una fonte «intolleranza». Secondo l'arcivescovo di Valencia, Augustín García-Gasco, «sotto l'etichetta di laicità in realtà si vuole imporre il laicismo escludente». Monaco, i turchi divisi tra estraneità e «partecipazione» Diego Vanzi Il primo segnale che qualcosa era cambiato è venuto l'11 novembre, Festa di San Martino. Un avvenimento che vede in Germania i bambini dei Kindergarten girare con una lanterna e cantando. In molte località si è deciso di non cambiare nome alla ricorrenza: non più festa di San Martino ma festa delle lanterne. Nel segno del politicamente corretto, per non creare problemi ai bambini di religione musulmana che in certi quartieri raggiungono il 70 per cento delle presenze. Anche molte scuole quest'anno non orga- nizzano le tradizionali Weihnachtsfeste sempre per un malinteso senso di riguardo nei confronti dei bambini di altre religioni. E se nella scuola si apre il tradizionale Weihnachtsbasar (il mercato di Natale), è lo stesso preside, al contempo insegnante di religione, a denominare il mercato «Milleniumbasar» per rispetto verso gli scolari musulmani. «Natale per noi non significa nulla-dice uno dei giovani turchi -, noi abbiamo a pena festeggiato il nostro Id-el-Fitr (la festa che cade alla fine del Ramadan)». Non manca però chi cerca di avvicinarsi alla tradizione locale e molte famiglie turche preparano doni peri più piccini per la notte del 24 dicembre. Una famiglia musulmana, gli Ozman, 5 bambini, giunta a Monaco dal Kosovo 15 anni fa, festeggia il Natale come i vicini tedeschi. Il padre, infermiere presso un ospedale monacense, dice di aver osservato le tradizioni natalizie dai suoi colleghi tedeschi. «Abbiamo acquistato e addobbato l'albero, mia moglie prepara i dolci e i bambini riceveranno dei regali». Nella cattolicissima Baviera l'aspetto religioso è predominante. La messa della vigilia, il presepe, le cerimonie religiose sono parte integrante del modo di vivere e dell'atmosfera di questo periodo. Diverso il mondo di Berlino, dall'altro capo della Germania, con la sua società spiccatamente multietnica. La capitale tedesca è anche la seconda città turca dopo Istanbul. Qui l'islam ha messo da tempo solide radici. E ha creato una società parallela, chiusa al suo interno. In questo contesto il dialogo interreligioso si presenta difficile si presenta quello interreligioso in tali contesti. A Colonia il cardinal Joachim Meisner quest'anno ha vietato nella sua diocesi le feste multireligiose. A buon intenditor... Ma in Francia segni di ripensamento Daniele Zappalà Secondo il tradizionale epiteto, è «figlia primogenita della Chiesa». Ma la Francia è divenuta nell'ultimo se colo la patria della laïcité repubblicana: una forma tutta francese di laicità talora tanto aggressiva e intransigente da trasformarsi in ideologia antireligiosa. La legge che nel 2004 ha vietato di introdurre simboli religiosi. «vistosi» nelle scuole pubbliche era stata interpretata da alcuni come il definitivo trionfo del laicismo più oltranzista. Quello che vuole espellere il fatto religioso dalla vita pubblica. Passati i clamori, le cose sono però andate diversamente. Negli ultimi mesi, in particolare, una miriade di fatti piccoli e grandi sembra di nuovo dare credito al vecchio epiteto. Come se la «figlia primogenita» recuperasse pian piano la memoria. Il segnale più forte giunge dalla scuola, dove si registra un boom di iscrizioni nei collegi e licei cattolici. A frequentarli sono più di 2 milioni di allievi e quest’anno sono state rifiutate 30mila richieste per mancanza di posti. Anche nell'altro settore cardine dell'identità francese, la cultura, il fronte laicista fa i conti con «strani» segnali. Il filosofo René Cirard, strenuo difensore dei valori cristiani, è stato da poco eletto fra gli immortali dell'Académie française. E il più prestigioso cenacolo letterario d'Oltralpe, quell'Académie Concourt che assegna l'omonimo premio, ha eletto come segretario generale lo scrittore cattolico Didier Decoro. Riscuotono grande successo anche gli ultimi romanzi di due ammirate penne transalpine molto sensibili alla fede, Sylvie Germain e Eric Emmanuel Schmitt. Quanto ai noti filosofi non credenti Régis Debray e André Conte Sponville, difendono ormai con convinzione l'idea della «centralità del sacro» nella società. Il circuito dei siti cluniacensi ha vinto la prestigiosa palma di itinerario culturale europeo. Sempre più pellegrini francesi, poi, seguono le tappe verso Santiago de Compostela. Anche dalla politica giungono segnali significativi. Il candidato neogollista Nicolas Sarkozy pensa che il fatto religioso sia centrale nella società e che occorre potare i rami più spinosi della legge potare di separazione fra Stato e Chiesa. L’agguerrito centrista François Bayru non esita a citare il Vangelo. E persino la socialista Ségolène Royal, che fece battezzare i propri figli sotto gli sguardi contriti dei compagni di partito, dice che occorre più attenzione alla famiglia come base della società. Chi è, poi, il nuovo beniamino del Parlamento francese? Il deputato neogollista appena trentunenne Laurent Wauquiez, fervente cattolico che ha passato molti mesi in Egitto coi più diseredati nelle missioni di suor Emmanuelle. In Francia è l'autunno più caldo da cinque secoli a questa parte. Farà evaporare il più algida laicismo?