Un´inedita epistola sulla morte di Guglielmo de Luna, maestro
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Un´inedita epistola sulla morte di Guglielmo de Luna, maestro
Recherches de Théologie et Philosophie médiévales Forschungen zur Théologie und Philosophie des Mittelalters 2007 LXXIV, l Revue fondée en 1929 par l’Abbaye du Mont César sous le titre de Recherches de Théologie ancienne et médiévale Poursuivie par le Thomas-Institut der Universität zu Köln et le De Wulf-Mansion Centrum, Katholieke Universiteit Leuven PEETERS UN’INEDITA EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA, MAESTRO PRESSO LO STUDIUM DI NAPOLI, E LE TRADUZIONI PRODOTTE ALLA CORTE DI MANFREDI DI SVEVIA Fulvio DELLE DONNE Abstract In this study is edited and examined a letter (with 12 leonine hexameters in the end), in which magister Crissius de Fulgineo announces the death of the astronomer Guillelmus de Luna. In the first part are studied the typology and the rhetorical tradition of the letter, then is discussed the question of translations attributed to Guillelmus de Luna or de Lunis or Lunense, and are advanced hypotheses on the translations that Manfredi of Swabia sent at the University of Paris, probably in 1263. In questo saggio viene edita e studiata una lettera (contenente in coda 12 esametri leonini) con cui il maestro Crissius de Fulgineo annuncia la morte dell’astronomo Guillelmus de Luna. La lettera – di cui vengono studiate innanzitutto la tipologia e la tradizione retorica – offre l’occasione di affrontare la questione delle traduzioni attribuite a Guillelmus de Luna o de Lunis o Lunense, e di avanzare ipotesi su quali furono le traduzioni che furono inviate, probabilmente nel 1263, all’Università di Parigi da Manfredi di Svevia. Il manoscritto del XIV secolo conservato a Palermo, presso la Biblioteca della Società Siciliana di Storia Patria, I B 25, anche noto come «codice Fitalia», è stato più volte oggetto di studio, perché offre una raccolta di epistole piuttosto importanti per la ricostruzione di alcuni aspetti della storia del regno svevo dell’Italia meridionale1. Molte epistole sono contenute anche in altri mano1. Per una descrizione del codice, cartaceo, cfr. soprattutto A. GIANNONE, «Il codice di Fitalia. Studio diplomatico-storico», in: Archivio storico siciliano N.S. 39 (1914), pp. 93-135; H.M. SCHALLER, Handschriftenverzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea (Monumenta Germaniae Historica, Hilfsmittel 18), Hannover 2002, pp. 225-30, da cui è possibile ricavare ulteriore bibliografia, che va integrata almeno Recherches de Théologie et Philosophie médiévales 74(1), 225-245. doi: 10.2143/RTPM.74.1.2022840 © 2007 by Recherches de Théologie et Philosophie Médiévales. All rights reserved. 226 F. DELLE DONNE scritti e sono state già pubblicate in varie sedi. Ne rimane, tuttavia, ancora qualcuna, tuttora inedita, che può offrire diversi spunti di interesse. È questo il caso della lettera riportata alla c. 60r-v, scritta da Crissio di Foligno (Crissius de Fulgineo) per la morte del maestro Guglielmo (Guillelmus) de Luna, che viene edita in appendice2. Sui problemi legati all’identificazione di questi personaggi tornerò in seguito, anche per discutere di una proposta di datazione dell’epistola. La tipologia della lettera sulla morte di Guglielmo de Luna — La lettera in questione rientra nel genere delle consolationes, piuttosto praticato in ambiente tardo-svevo, tanto che ad esse è dedicato un intero libro, il quarto, del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna3. In particolar modo trovò sviluppo il tipo di consolatio per la morte di maestri dello Studium di Napoli, tanto che si conoscono quella attribuita a Pier della Vigna per la morte di Giacomo Balduini, indirizzata ai «iuris civilis professoribus universis»4; quella pure attribuita a Pier della Vigna, composta in occasione della morte di maestro G., probabilmente Gualtiero d’Ascoli5, inviata ai «sedentibus super aquas amaricon M. DEL GIUDICE, «La ‘Contentio de nobilitate generis et animi probitate’, secondo il codice di Fitalia», in: Bollettino del centro di studi filologici e linguistici siciliani 14 (1980), pp. 393-400; e F. DELLE DONNE, «Una disputa sulla nobiltà alla corte di Federico II di Svevia», in: Medioevo Romanzo 23 (1999), pp. 3-20; e C. VILLA, «Raccolte documentarie e ambizioni storiografiche: il ‘progetto’ del manoscritto Fitalia», in: Confini dell’Umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, III, Roma 2003, pp. 1417-27. 2. Questa lettera è registrata da H.M. SCHALLER, Handschriftenverzeichnis, cit., al nr. 58, ed è preceduta dalla seguente rubrica: «Epistola quam fecit magister Crissius de morte magistri de Luna astronomi, qui prescivit diem mortis sue». 3. Cfr. F. DELLE DONNE, «Le ‘consolationes’ del IV libro dell’epistolario di Pier della Vigna», in: Vichiana s. III, 4 (1993), pp. 268-90. Forse una lontana ascendenza di questo genere si può ritrovare nella Commemoratio professorum Burdigalensium di Ausonio, per la quale si può vedere l’edizione curata, introdotta e commentata da M.G. BAJONI, Firenze 1996. Si avverte che qui, quando si parla genericamente dell’epistolario di Pier della Vigna si fa riferimento alla cosiddetta redazione «piccola in sei libri», nota attraverso le edizioni a stampa: per comodità si farà riferimento all’edizione di J. R. ISELIUS (Iselin), Petri de Vineis judicis aulici et cancellarii Friderici II Imperatoris epistolarum libri VI, Basilea 1740 (rist. anast. Hildesheim 1991), che verrà citata come PETRUS DE VINEA, Epistolae. 4. J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865 (rist. an. Aalen 1966), p. 299, nr. 5; PETRUS DE VINEA, Epistolae, IV 9. 5. È l’unico professore noto di grammatica dell’Università di Napoli il cui nome comincia per G. E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, Milano 1976 (ed. or. Berlin UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 227 tudinis, et in salicibus organa suspendentibus, Neapolitani studii doctoribus universis»6; quella, inclusa nell’epistolario di Pier della Vigna ma in realtà di maestro Terrisio, scritta per la morte del famoso grammatico Bene da Firenze (che ebbe senz’altro rapporti con lo Studium di Napoli), rivolta ai «vagientibus adhuc in cunis artis grammaticae natis discipulis et maioribus professionis cuiuslibet in amoena Bononia docentibus»7; infine, quella, sempre di Terrisio, per la morte del filosofo Arnaldo Catalano8, indirizzata ai «Neapolitani studii doctoribus venerandis»9. In tutte queste lettere che abbiamo menzionato il destinatario non è mai una persona singola, parente del defunto, ma sono i suoi colleghi e discepoli, non colpiti dal lutto familiare e quindi non tanto bisognosi di consolazione quanto, piuttosto, di un elogio che, esaltando i meriti di qualcuno che lavorava nella stessa istituzione in cui essi lavorano, gratifichi anche loro. Neanche in quella di Crissio di Foligno per Guglielmo de Luna i destinatari sono i parenti del defunto, ma tutti coloro che si trovano «in amaritudinis salo»10: da 1927-31), p. 717, suppone, infatti, che a lui si riferisca tale lettera. Ma bisogna stare attenti all’affidabilità delle iniziali dei nomi riportati nelle lettere, perché tali lettere, spesso, vennero usate e trascritte per essere usate come modelli retorici. 6. J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance, cit., p. 394, nr. 98; PETRUS DE VINEA, Epistolae, IV 8. Viene qui citato liberamente un passo della Bibbia (Ps. CXXXVI 1, 2). 7. J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance, cit., p. 300, nr. 6; PETRUS DE VINEA, Epistolae, IV 7. Anche qui il nome di Bene viene, talvolta, sostituito con quello di Bernhardus o di Benedictus. Che l’autore sia Terrisio ce lo fa sapere il ms. di Palermo, Società Siciliana di Storia Patria, I B 25 (lo stesso in cui è conservata anche la lettera per la morte di Guglielmo de Luna), c. 61(bis)v; cfr. anche H. M. SCHALLER, Handschriftenverzeichnis, cit., p. 227, nr. 62. 8. Questo Arnaldo Catalano non può essere identificato con Arnaldo di Villanova, pure talvolta chiamato Catalano, innanzitutto perché i termini della sua vita non coincidono con quelli della vita di Terrisio di Atina (su cui si veda quanto verrà detto dopo), e poi perché, in questa lettera, si dice che Arnaldo Catalano è sepolto a Napoli. 9. F. TORRACA, «Maestro Terrisio di Atina», in: Archivio storico per le province napoletane 36 (1911), p. 247; già pubblicato da G. PAOLUCCI, «Documenti inediti del tempo svevo», in appendice a «Il parlamento di Foggia del 1240 e le pretese elezioni di quel tempo nel Regno di Sicilia», in: Atti dell’Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo s. III, 4 (1897), pp. 44-45. Anche questa lettera è conservata nel ms. di Palermo, Società Siciliana di Storia Patria, I B 25, cc. 59v-60r; cfr. anche H. M. SCHALLER, Handschriftenverzeichnis, cit., p. 226, nr. 58. 10. L’espressione è molto simile a quella usata nella citata salutatio della lettera per la morte di maestro G., indirizzata ai «sedentibus super aquas amaritudinis». Tuttavia, cfr. anche GUILLELMUS DE CONCHIS, Glossae super Boetium (Corpus Christianorum, Continuatio Medievalis 158), ed. L. NAUTA, I, 3, Turnhout 1999, p. 72, 124. 228 F. DELLE DONNE quello che viene detto nel resto della lettera si intuisce che l’autore si rivolge a maestri e uomini dotti. Il contenuto della lettera sulla morte di Guglielmo de Luna — La lettera per Guglielmo de Luna comincia con una affermazione del dolore provocato dalla morte del maestro: «Dolor est scribendi materia et scriptori prebet anxietas actramentum»11; un topos che si ritrova anche nelle altre lettere dello stesso genere12, ma che qui viene subito collegato con l’altro topos del planctus naturae13: «non enim bene possunt terrena gaudere cum celestia contristantur, neque tellus potest tantum esse sub tenebris cum supra celestibus solis deficit claritudo». Il topos del planctus naturae pure è molto ricorrente nel genere: infatti, anche nelle altre lettere dello stesso tipo gli elementi naturali non possono non rimanere sconvolti dalla morte degli esimi maestri che vengono commemorati. Così, nella lettera per la morte di maestro G., si dice che «ad cuius transitum studii Parthenopensis obscuratus est sol, et luna eversa est in eclipsin»14; e similmente per la morte di maestro Bene si afferma che «ad cuius transitum, quasi sole petente occasum, tenebrae factae sunt super universam faciem terrae»15; e ancora nella lettera scritta da Terrisio per la morte di Arnaldo Catalano si dice che «ad cuius transitum, licet impresencia11. Il termine actramentum va inteso nel senso di atramentum, ovvero inchiostro; a meno che non si voglia correggere in accrementum. Desidero ringraziare il prof. Giovanni Polara (Università di Napoli «Federico II») e il dr. Guy Guldentops (Thomas-Institut der Universität zu Köln), che mi hanno fornito alcuni preziosi suggerimenti riguardanti l’edizione del testo. 12. Cfr. F. DELLE DONNE, Le ‘consolationes’, cit., p. 281. Tuttavia, per vedere come i topoi della consolatio vengono utilizzati lungo tutta la produzione medievale, si rimanda a P. VON MOOS, Consolatio, Monaco 1971-72, 4 voll. C’è, d’altronde, nel Medio Evo una notevole produzione sull’argomento della morte e su come prepararsi ad affrontarla. Sui trattati di ars moriendi cfr. R. RUDOLF, Ars moriendi, Köln-Graz 1957. Sulle composizioni più generalmente funerarie del medioevo, invece, cfr. C. THIRY, La plainte funèbre, Turnhout 1978, e W. GOEZ, Die Einstellung zum Tode im Mittelalter, in: Der Grenzbereich zwischen Leben und Tod, Göttingen 1976. 13. Cfr. F. DELLE DONNE, Le ‘consolationes’, cit., pp. 283-84; cfr. anche Cf. E. R. CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo latino, Firenze 1992 (ed. or. Bern 1948), pp. 107-10. 14. J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance, cit., p. 395, nr. 98; PETRUS DE VINEA, Epistolae, IV 8. Sull’oscuramento del sole e la sparizione della luna menzionati nella citazione, cfr. Matt. 24, 29 (Marc. 13, 24). 15. Cfr. Matt. 27, 45 (Marc. 15, 33; Luc. 23, 44). UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 229 liter, forte obscurata sunt sidera»16. Tuttavia, nella lettera per la morte di Guglielmo de Luna il richiamo alla compartecipazione del dolore non si esaurisce in un semplice riferimento alla topica del dolore, ma diventa quasi l’argomento stesso della lettera. Innanzitutto, perché il toponimico de Luna (forse identificabile con la zona di Luni, tra le attuali Toscana e Liguria) con cui viene chiamato Guglielmo permette di passare facilmente a giochi verbali che coinvolgono il satellite della terra. Così, si parte con l’assimilazione tra sole e luna, perché Guglielmo è come il sole che illumina con la sua dottrina e sapienza; poi, con una vorticosa ripetizione di luna si passa all’assimilazione tra il tramonto della luna e quello di Guglielmo, in quanto entrambi spariscono sotto la terra, anche se il satellite può risorgere, mentre Guglielmo è destinato a rimanere per sempre sotto terra: «Guillelmus, ille doctor eximius natus de Luna, sub luna velut luna defecit, sed utinam resurgeret quasi luna»17. Dopo una ripetuta — ed editorialmente problematica — invocazione al giorno che ha strappato Guglielmo al mondo dei vivi18, i 16. F. TORRACA, Maestro Terrisio, cit., p. 247; G. PAOLUCCI, Documenti inediti, cit., p. 44. Sull’oscuramento delle stelle menzionato nella citazione, cfr. Ioel 2, 10. Nella lettera per la morte di maestro Giacomo Balduini (J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance, cit., p. 299, nr. 5; PETRUS DE VINEA, Epistolae, IV 9) sono assenti espressioni di questo genere; tuttavia, pure si dice: «de cuius occasu non solum Lombardia sole privata suo…». 17. Forse l’espressione sub luna sarebbe da emendare in sub terra, pensando a un errore di duplicazione dovuto alla frequente ripetizione della parola luna, ma si è pensato che qui l’autore abbia insistito volutamente sul gioco di parole, e che sub luna stia a significare «sotto il cielo della luna», ovvero sulla terra, magari con un’allusione al biblico «nil sub sole novum» (Eccle., 1, 10). Su simili giochi di parole in queste lettere cfr. F. DELLE DONNE, Le ‘consolationes’, cit., p. 281. Comunque, è da segnalare che, restando nello stesso ambiente a cui dovette essere legato Crissio di Foligno, nel proemio delle Costituzioni Melfitane di Federico II si parla dell’uomo che si trova «globo circuli lunaris inferius»: cfr. Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, ed. W. STÜRNER (MGH Const. II Suppl.), München 1996, p. 146, 1. 18. I problemi editoriali risiedono nel fatto che il ms. scrive così: «dies plena doloribus et lamentis, dies autem satira ferienda gravi aut trenis [poi corretto successivamente, da altra mano, in terrenis] ululando tristisonis Ieremie». Si è pensato, innanzitutto, che la correzione di trenis in terrenis, operata aggiungendo una sorta di apostrofo sopra la t, sia stato il frutto di un intervento di un lettore che non capiva il termine. Poi, si potrebbe supporre che satira debba essere corretto in sagitta, pensando alla grave saetta della morte; oppure che debba essere corretto in satura nel senso di «piena» (costruendo la frase come se fosse «et lamentis dies autem satura», nonostante la ridondante compresenza nella stessa unità sintattica sia di et sia di autem): ma satira potrebbe essere riferito anche allo stesso componimento epistolare, che contiene sia prosa sia versi, come la satira menippea. Poi, ululando potrebbe essere corretto, come si è fatto, in ululanda (intendendo il verbo 230 F. DELLE DONNE giochi verbali, arricchiti dalle frequenti allitterazioni, continuano nella descrizione dei meriti e delle qualità del defunto19. Guglielmo, che numerabat il moto delle stelle, moriendo diminuit numerum sapientum; inoltre, egli, che mensurabat il circolo della terra, ora mensuratur nel tumulo della vile terra; egli che studiava la proporzione dei suoni che produce la melodia20 ora costringe a gemiti e lamenti. La lettera continua con l’invocazione ai cieli e ai pianeti, perché piangano la scomparsa, sotto l’ombra della terra, di chi li aveva illuminati con la sua sapienza21. E, proseguendo con il richiamo agli abitanti di Samaria22 e di Babilonia, passa ad esprimere il concetto dell’ineluttabilità della morte e dell’inanità di tutti gli sforzi umani, che sono destinati a finire23. A nulla, infatti, è servito a Guglielmo prevedere il giorno della propria morte grazie a calcoli astronomici, mentre era ammalato da quattro giorni24. La morte comunque l’ha vinto: l’unica consolazione che rimane è che potrà vedere Dio, grazie al quale non si muore davvero, se morendo si passa a miglior vita. L’epistola si conclude con 12 versi25, in cui si celebrano ancora le virtù di Guglielmo, dalla sua dottrina nelle arti del quadrivio alla sua in senso transitivo, comunque attestato), per ricomporre un parallelismo con l’altro gerundivo ferienda. Ancora, si potrebbe intervenire su ferienda, correggendolo in ferianda, che rimanderebbe a un’idea di celebrazione del triste giorno. Tuttavia, oltre alla correzione di ululando in ululanda, si è preferito non intervenire ulteriormente, non riuscendo a trovare soluzioni emendatorie pienamente convincenti. 19. Su tali questioni nella tradizione del genere cfr. anche F. BERTOLINI, «Tre carmi risguardanti la storia degli studi di grammatica in Bologna nel sec. XIII», in: Atti e memorie della R. deputazione di storia patria per le province di Romagna s. III, 7 (1888-89), pp. 130-39; e R. AVESANI, «Il primo ritmo per la morte del grammatico Ambrogio e il cosiddetto ‘Liber Catonianus’», in: Studi Medievali s. III, 4 (1965), pp. 464 ss. 20. Il termine melodiama, di genere neutro, è usato, nello stesso ambiente, anche in NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. F. DELLE DONNE, Firenze 2003, p. 6. 21. Nella frase è forse possibile riscontrare un richiamo a Is. 45, 8. 22. Qui potrebbe essere possibile un richiamo a Is. 9, 8. 23. Cfr. F. DELLE DONNE, Le ‘consolationes’, cit., p. 283. Sull’espressione della lettera: «Est enim illud impossibile consiliabile fieri quod necessarium comprobatur» cfr. Auctoritates Aristotelis, 16, 8, ed. J. HAMESSE (Philosophes médiévaux XVII), Louvain-Paris 1974, p. 263, 33-35: «De necessariis et impossibilibus non consiliamur…». 24. Anche questo tema sembra rimandare a un topos, perché nella già citata lettera di Terrisio di Atina per la morte di Arnaldo Catalano si dice: «legitur enim Martinum longo tempore ante sui obitum prescivisse». Cfr. F. TORRACA, Maestro Terrisio, cit., p. 247; G. PAOLUCCI, Documenti inediti, cit., p. 44. 25. Il primo verso è registrato anche da H. WALTHER, Initia carminum ac versuum medii aevi posterioris Latinorum, Göttingen 1959, n. 15346, che lo legge dallo stesso manoscritto palermitano che è stato qui usato per l’edizione della lettera. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 231 conoscenza delle lingue, dimostrata nelle sue traduzioni, anche se non viene detto più specificamente quali lingue conoscesse e quali traduzioni avesse approntato. I versi sono esametri leonini, piuttosto corretti26, divisibili in sei coppie: i primi otto versi presentano rime bisillabiche27 che legano in coppie i versi, con la ripetizione delle medesime sillabe sia a fine verso sia in cesura pentemimera; i versi 9 e 10 mettono in rima bisillabica le parole in fine di verso e in rima monosillabica le parole in cesura tritemimera (v. 9) ed eftemimera (v. 10), ovvero in rima bisillabica (diversa da quella usata in fine verso) le parole che sono in cesura pentemimera; i versi 11 e 12, infine, mettono in rima bisillabica le parole in fine di verso e in rima monosillabica le parole in cesura, eftemimera per il v. 11 e pentemimera per il v. 1228. Anche l’aggiunta di versi alla conclusione dell’epistola consolatoria sembra che risponda a una tradizione ricorrente nella produzione di ambito svevo, dal momento che essi si trovano anche in due lettere consolatorie, già menzionate, di Terrisio di Atina, una per la morte di maestro Bene Fiorentino, l’altra per la morte del maestro Arnaldo Catalano29. 26. Si segnala solo, al v. 1, l’allungamento in cesura della a finale di Luna, comunque ammissibile. 27. Solo la parola finale del v. 6, inanum, non contiene rima bisillabica ma monosillabica. A questo proposito va detto che nel manoscritto è scritto ianu e che le lettere non sono legate tra di loro: per questo, l’abbreviazione potrebbe, forse, anche essere sciolta in in annum, che però non sembra che abbia molto significato, come anche inanum, del resto. Potrebbe essere plausibile una correzione in ignarum (nel senso di «ignoto»), pensando che il nesso gn viene talvolta scritto nn nei manoscritti dell’epoca; oppure si potrebbe prendere in considerazione la correzione in irarum, pensando a una cattiva lettura di un originale in cui r e n (oppure le loro abbreviazioni) non erano ben distinte: queste ipotesi avrebbero il vantaggio di far tornare la rima bisillabica. Il dr. Guy Guldentops suggerisce l’ipotesi che si possa correggere in Icarium (con sineresi del nesso -iu-), con riferimento a una parte del mare Egeo, che Guglielmo potrebbe aver attraversato spesso (forse per ragioni commerciali, diplomatiche o scientifiche). 28. Per quanto riguarda il iaces posto in cesura nell’ultimo verso, si può pensare a una rima monosillabica — per dir così — «per l’orecchio» con variis, loquelis e fidelis, magari ipotizzando che venisse pronunciato quasi come iacis, con un esito vocalico dimostrato dall’evoluzione volgare del termine. 29. Nella prima lettera gli esametri leonini sono 8, distribuibili in quattro coppie, in cui le prime due presentano rime bisillabiche identiche sia in fine verso sia in cesura; i versi delle ultime due coppie, invece, presentano ognuno rima bisillabica tra fine verso e cesura, e assonanza «baciata» (semplice allitterazione per gli ultimi due versi) tra le parole in fine verso. Nella seconda lettera, gli esametri leonini sono 6, in cui i primi 2 versi met- 232 F. DELLE DONNE Guglielmo de Luna e Guglielmo de Lunis — A questo punto, esaminata la lettera, proviamo a capire chi siano i personaggi di cui abbiamo parlato finora. Su Crissio di Foligno non mi è stato finora possibile rintracciare alcuna notizia. Discorso ben diverso, invece, va fatto per Guglielmo de Luna. Infatti, Guglielmo de Luna, o de Lunis, o Lunense, risulta piuttosto noto a chi si occupa della ricezione medievale di Aristotele e della storia delle matematiche, dal momento che a lui furono attribuite alcune traduzioni dall’arabo, di argomento filosofico e di argomento matematico. Tuttavia, a lungo si è dubitato se tutte queste traduzioni fossero da attribuire allo stesso autore. Infatti a Guglielmo de Luna sono attribuite cinque traduzioni filosofiche in latino: tre sono quelle del commentum medium di Averroè alla logica vetus (Isagoge, Categorie, Peri Hermeneias); le traduzioni dei commenti all’Isagoge e alle Categorie sono attribuite esplicitamente a Wilhelmus de Luna nel manoscritto di Erfurt, CA 2° 318 (fol. 36v, 37ra, 44ra), dove esse sono immediatamente seguite dalla traduzione del commento al Peri Hermeneias, e ci sono argomenti per attribuire quest’intero gruppo di traduzioni a Guglielmo30; a lui sono anche attribuite le due traduzioni del commentum medium di Averroè agli Analytica: priora e posteriora31. tono in rima bisillabica, separatamente, solo la parola in cesura con quella di fine verso; i vv. 3-4 presentano la medesima rima bisillabica sia in cesura sia in fine verso; i vv. 5-6, infine, sono accoppiati solo in fine verso da rima bisillabica. 30. Uno degli argomenti consiste nell’unità codicologica di questo gruppo nel ms. di Erfurt; cfr. R. HISSETTE, «Die Handschrift CA 2o 318 und die Mittleren Kommentare des Averroes zur ‘Logica Vetus’», in: K. PAASCH - E. DÖBLER (edd.), Der Schatz des Amplonius. Die große Bibliothek des Mittelalters in Erfurt (Begleitbuch zur gleichnamigen Ausstellung der Stadt- und Regionalbibliothek Erfurt und des Angermuseums Erfurt vom 2. September bis 4. November 2001), Erfurt 2001, p. 134. Il dr. Roland Hissette mi ha inoltre segnalato che le traduzioni dei commenti al Peri Hermeneias e alle Categorie presentano notevoli similitudini nel modo in cui rendono il testo arabo; si possono leggere i risultati dei primi lavori di comparazione nel suo studio: «Le vocabulaire philosophique des traductions d’Averroès attribuées à Guillaume de Luna», in: J. HAMESSE - C. STEEL (edd.), L’élaboration du vocabulaire philosophique au Moyen Âge (Actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve et Leuven, 12-14 septembre 1998), Turnhout 2000, pp. 102-8. Desidero ringraziare il dr. Roland Hissette (Thomas-Institut der Universität zu Köln) per i preziosi suggerimenti e le stimolanti osservazioni che mi ha fornito nella stesura di questo contributo. 31. Cf. R. HISSETTE prefazione a AVERROES LATINUS, Commentum medium super libro Peri Hermeneias Aristotelis. Translatio Wilhelmo de Luna attributa (Averrois Opera, Series B: Averroes Latinus, XII), Lovanii 1996, p. 2*; ID., Le vocabulaire philosophique des traductions d’Averroès, cit., pp. 99-100. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 233 Quanto all’attribuzione a Guglielmo de Lunis o Lunense di traduzioni di argomento matematico, si tratta di una traduzione in latino (e, forse, di un’altra in italiano) dell’al-Jabr d’al-Khwarizmi32. Così si è supposto spesso che i traduttori fossero differenti: l’uno sarebbe stato Guglielmo de Luna; l’altro sarebbe stato Guglielmo de Lunis o Lunense. Tanto più che le traduzioni del primo vengono generalmente collocate intorno agli anni Trenta del XIII secolo, quando sarebbero state approntate presso la corte di Federico II; mentre quelle dell’altro vengono generalmente collocate nei decenni successivi, fino ad arrivare all’inizio del XIV secolo33. La collocazione cronologica di quest’ultimo può essere basata sulla datazione, spesso problematica e incerta34, di alcuni manoscritti, ma soprattutto su un’informazione di Giovanni Nicolò Pasquali Alidosi, che, in un repertorio di professori di Bologna, ricordava: «Giovanni di Guglielmo Lunense l’anno 1302 fu lettore d’Astrologia e di Filosofia»35; e, dato che Giovanni è stato visto come il figlio del Guglielmo traduttore, i calcoli potrebbero essere conseguenti. La collocazione cronologica agli anni Trenta del XIII sec. dell’attività di Guglielmo de Luna, invece, è stata basata soprattutto su una attestazione presunta dell’uso delle sue traduzioni a Parigi già nel quarto 32. Su quest’argomento e sull’ipotesi molto fragile di una traduzione, fatta da Guglielmo, di un’altra opera: l’al-Jabr di Abu Kamil, cfr. R. HISSETTE, «Guillaume de Luna a-t-il traduit Abu Kamil?», in: G. ENDRESS - J.A. AERTSEN (edd.), Averroes and the Aristotelian Tradition. Sources, Constitution and Reception of the Philosophy of Ibn Rushd (1126-1198) (Proceedings of the Fourth Symposium Averroicum, Cologne 1996), Leiden 1999, pp. 300-15; ID., L’al-Jabr d’al-Khwarizmi dans les mss. Vat. lat. 4606 et Vat. Urb. lat. 291 et Guglielmo de Lunis, in: Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, X, Città del Vaticano 2003, pp. 141 ss. 33. Cfr. R. HISSETTE, prefazione a AVERROES LATINUS, Commentum medium, ed. cit., pp. 1*-7*; ID., Guillaume de Luna ou de Lunis ou Lunense, cit., pp. 121-29; ID., L’al-Jabr d’al-Khwarizmi, cit., pp. 141, 146-151. 34. Cfr. R. HISSETTE, Guillaume de Luna ou de Lunis ou Lunense, cit., pp. 122-28; ID., L’al-Jabr d’al-Khwarizmi, cit., pp. 141, 146-151. 35. G. N. PASQUALI ALIDOSI, Li dottori forestieri, che in Bologna hanno letto teologia, filosofia, medicina et arti liberali, Bologna 1623, p. 27. Di un maestro Giovanni de Luna, astrologo del popolo bolognese, parlano anche M. SARTI - M. FATTORINI, De claris Archigynnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XV, n. ed. a cura di C. ALBICINI e C. MALAGOLA, Bononiae 1888-1896, I, p. 585, che, tuttavia, nella nota di riferimento citano un documento del 1304 che menziona il maestro Giovanni de Luca astrologo e professore di arte fisica. Il dr. Roland Hissette mi segnala che in G. N. PASQUALI ALIDOSI, I dottori bolognesi di teologia, filosofia, medicina, e d’arti liberali, Bologna 1623, p. 79, si menziona «Giovanni di Guglielmo 234 F. DELLE DONNE decennio del Duecento. Questa attestazione consisterebbe nell’allusione a una delle traduzioni di Guglielmo fatta in un corso sull’Isagoge attribuito a Giovanni Pago (Johannes Pagus); egli sarebbe stato professore alla facoltà delle arti di Parigi negli anni 1225-1231/35 circa e il suo corso sull’Isagoge avrebbe fatto parte di un corso sulla logica vetus tenuto dopo l’interruzione dell’insegnamento all’università di Parigi negli anni 1229-3136. Tuttavia, è stato notato che alcuni passaggi del corso sulla Logica Vetus di Giovanni Pago sembrano citare un analogo corso tenuto intorno al 1240 da Robert Kilwardby e i Tractatus di Pietro Ispano scritti verso il 1230-4537. Pertanto, anche la supposta citazione delle traduzioni di Guglielmo de Luna fatta da Giovanni Pago non offre più un terminus ante quem utile a datare l’attività di Guglielmo de Luna. Così, si è giunti alla formulazione dell’ipotesi che Guglielmo de Luna abbia approntato le sue traduzioni posteriormente agli anni Venti-Trenta del Duecento, fino ad arrivare all’epoca di Manfredi di Svevia, ovvero agli anni tra il 1258 e il 126638. Ora, senza avere la pretesa di risolvere un problema complesso e intricato, la lettera sulla morte di Guglielmo de Luna può offrire qualche ulteriore spunto utile di riflessione. Innanzitutto, possiamo collocare l’attività di Guglielmo presso la corte sveva, e più specificadella Luna, della Capella di S. Martino di Caccianemici 1308». Al momento, in base alle informazioni che possediamo, non è possibile stabilire se tale Giovanni di Guglielmo della Luna sia da mettere in qualche relazione con Giovanni di Guglielmo Lunense. 36. Cfr. R. HISSETTE, Guillaume de Luna ou de Lunis ou Lunense, cit., pp. 125-26. Tuttavia, D. PICHÉ, Le problème des universaux à la Faculté des arts de Paris entre 1230 et 1260, Paris 2005, p. 134, sulla base dell’analisi dei caratteri strutturali e formali, data il commento di Johannes Pagus al 1260 circa. 37. Cfr. C. LAFLEUR, «La ‘Philosophia’ d’Hervé le Breton (alias Henri le Breton) et le recueil d’introductions à la philosophie du ms. Oxford, Corpus Christi College 282», in: Archives d’Histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge 61 (1994), pp. 196-97 n. 97; A. TABARRONI, «Lo pseudo Egidio (Guglielmo Arnaldi) e un’inedita continuazione del commento di Tommaso al ‘peryermeneias’», in: Medioevo 44 (1988), pp. 404-5, n. 46; O. LEWRY, «Robert Kilwardby on Meaning: A Parisian Course on the Logica Vetus», in: W. KLUXEN (ed.), Sprache und Erkenntnis im Mittelalter, Berlin-New York 1981, p. 380. 38. Cfr. R. A. GAUTHIER, prefazione a S. THOMAE DE AQUINO Expositio libri Peryermeneias (S. Thomae de Aquino Opera omnia iussu Leonis XIII P. M. edita), I, 1*, RomaParis 1989, p. 81*, in base alla considerazione, dimostrata alle pp. 78*-80*, che le uniche attestazioni certe, a Parigi, delle traduzioni di Guglielmo de Luna risalgono al 1275 circa, quando vennero usate da Martino di Dacia e da Egidio Romano; cfr. anche R. HISSETTE, Guillaume de Luna ou de Lunis ou Lunense, cit., p. 127. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 235 mente presso lo studium di Napoli39. A dire il vero, la lettera non ci dice niente a questo proposito, tuttavia, il fatto che essa sia collocata nel «codice Fitalia», dove sono tràdite anche altre lettere legate a quell’ambiente (come quelle di Terrisio di Atina per la morte di Bene Fiorentino e di Arnaldo Catalano, o quelle scherzose in cui Terrisio invita gli scolari a fargli doni, o invita alcune meretrici a non sottrargli gli alunni40), ci permette di supporre con una certa verosimiglianza che sia Guglielmo de Luna sia l’autore della sua commemorazione, Crissio di Foligno (probabilmente un maestro di retorica), abbiano insegnato a Napoli. Infatti, non risulta plausibile che essi abbiano insegnato altrove, tanto più che, eccetto lo studium di Napoli, nel Regno erano esplicitamente vietate tutte le scuole locali41. Del resto, nel ms. di Erfurt, che riporta tre traduzioni di Guglielmo de Luna, si dice esplicitamente a proposito della traduzione del commento alle Categorie che essa fu realizzata dal maestro Guglielmo de Luna presso Napoli42. Oltre a ciò abbiamo notato anche che le lettere di consolazione per la morte di maestri costituiscono una tipologia epistolare piuttosto praticata in ambiente svevo; e, in particolar modo, risulta piuttosto caratteristico, per i loro autori, l’uso di concludere tali lettere con versi, a mo’ di epitaffio: uso che — come 39. Non possediamo un elenco dettagliato dei maestri che furono attivi presso lo Studium di Napoli in epoca sveva, poiché i documenti archivistici di quell’epoca sono andati quasi completamente distrutti. Sui maestri dello Studium cfr. soprattutto F. TORRACA, «Le origini. L’età sveva», in: Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 1-16; E. KANTOROWICZ, Federico II, pp. 714-17. 40. Queste lettere si trovano raccolte in F. TORRACA, Maestro Terrisio, cit., pp. 243-44, 247-51; G. PAOLUCCI, Documenti inediti, cit., pp. 44-47. 41. Cfr. le generales litterae di fondazione del 5 giugno o 5 luglio 1224, di Federico II, riportate al cap. 11 del libro III dell’epistolario di Pier della Vigna, e la lettera di Manfredi del 1258, in: Una silloge epistolare della seconda metà del XIII sec. proveniente dall’Italia Meridionale. I dictamina del ms. Paris, Bibl. Nat. Lat. 8567, ed. F. DELLE DONNE, in corso di stampa nell’Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini, per la SISMEL di Firenze, nr. 173. Sulle altre edizioni di questi testi cfr. Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV., Friedrich II., Heinrich (VII.), Conrad IV., Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard 1198-1272 (Reg. Imp. V, 1-3), edd. J. F. BÖHMER - J. FICKER - E. WINKELMANN, Innsbruck 1881-1901 (rist. an. Hildesheim 1971), nnr. 1537 e 4677, e i Nachträge und Ergänzungen (Reg. Imp. V, 4), ed. P. ZINSMAIER, Köln-Wien 1983, n. 1537. 42. Alla c. 37ra si dice: «Incipit Averrois super librum predicamentorum Aristotilis translatus a magistro Wilhelmo de Luna apud Neapolim»: e alla c. 44ra si dice: «Explicit Averroys super librum predicamentorum Aristotilis translatus a magistro Wilhelmo de Luna apud Neapolim». Cfr. R. HISSETTE prefazione a AVERROES LATINUS, Commentum medium, cit., p. 2*. 236 F. DELLE DONNE abbiamo visto — si riscontra, oltre che nella lettera di Crissio di Foligno per Guglielmo de Luna, anche nelle lettere di Terrisio di Atina per la morte di maestro Bene e per quella di maestro Arnaldo Catalano. Ora, se la data di morte di Bene Fiorentino è sicuramente anteriore al 124243, la data di morte di Arnaldo Catalano non è collocabile cronologicamente, anche se può essere circoscrivibile agli anni di attività di Terrisio, attestata ancora nel 124644. E dato che anche in altre occasioni Terrisio di Atina si cimentò nella compilazione di lettere contenenti versi, o di opere interamente scritte in versi45, si può supporre che egli sia stato, forse, l’iniziatore di quel tipo di consolatio che univa prosa e versi: conclusione, questa, a cui si può giungere sulla base del fatto che egli era uno stimato e celebrato maestro di retorica, e le sue attestazioni sono piuttosto frequenti, a differenza di Crissio di Foligno, che invece è noto solo per la lettera riportata nel «codice Fitalia». Dunque è presumibile che anche la lettera di commemorazione scritta da Crissio di Foligno per Guglielmo de Luna risalga agli stessi anni in cui operò Terrisio, oppure che sia successiva. Le traduzioni inviate da Manfredi ai maestri di Parigi — A questo punto, proviamo anche a fare qualche ulteriore passo. Nel cosiddetto epistolario di Pier della Vigna è conservata, come emanata da Federico II di Svevia, una lettera (la nr. 67 del III libro) che annuncia ai maestri dello Studium di Bologna l’invio della traduzione latina di alcune opere scritte in greco e in arabo. Tuttavia, a far scrivere quella lettera non fu Federico II, ma suo figlio Manfredi, probabilmente nel 1263, e destinataria fu non l’università di Bologna, ma quella di 43. Cfr. l’introduzione di G. C. Alessio alla sua edizione di BENE FLORENTINUS, Candelabrum, Padova 1983, p. XXVII. 44. Sul personaggio cfr. F. TORRACA, Maestro Terrisio, cit., pp. 231-42; H. M. SCHALLER, Zum ‘Preisgedicht’ des Terrisius von Atina auf Kaiser Friedrich II., in: K. HAUCK H. MORDEK (edd.), Geschichtsschreibung und geistiges Leben im Mittelalter (Festschrift für Heinz Löwe zum 65. Geburtstag), Köln-Wien 1978, pp. 503-18 (ristampato in: ID., Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, MGH Schriften 38, Hannover 1993, pp. 85-101); F. DELLE DONNE, Il potere e la sua legittimazione: letteratura encomiastica in onore di Federico II di Svevia, Arce, 2005, pp. 131-56. C. H. HASKINS, Studies in the History of Medieval Science, Cambridge Mass. 1924 (rist. New York 1960), p. 251, leggendo la lettera di Terrisio, giunge a supporre che Arnaldo Catalano sia morto nel mezzo di un commento al De anima di Aristotele. 45. Sull’attività e gli scritti, in prosa e in versi, di Terrisio di Atina cfr. i contributi citati alla nota precedente. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 237 Parigi, come attesta il ms. Lat. 8567 della Bibliothèque Nationale di Parigi, un codice che riporta una redazione estravagante e spesso affidabile di molte lettere che costituiscono il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna46. Detto questo, viene spontaneo pensare che tra le traduzioni inviate da Manfredi ci possano essere anche quelle di Guglielmo de Luna, che, come abbiamo visto, sembra che siano state sicuramente note a Parigi almeno a partire dal 127547. Tuttavia, questa è un’ipotesi tutta da verificare, perché non sappiamo quali traduzioni Manfredi abbia effettivamente inviato a Parigi. Della questione si è occupato soprattutto R.A. Gauthier, che ha anche ripubblicato il testo della lettera48. Ma vediamo più nel dettaglio cosa viene detto nella lettera in questione. Il sovrano, dopo aver ricordato che la scienza è necessaria a innalzare i fastigi della regalità, e che sin da fanciullo si era dedicato allo 46. Nel ms. di Parigi, Bibl. Nat. lat. 8567, che tramanda, in maniera piuttosto affidabile, documenti svevi non raccolti sistematicamente entro l’epistolario di Pier della Vigna, questa lettera, riportata a c. 104v, risulta, infatti, emanata da Manfredi e indirizzata all’Università di Parigi. Per la datazione cfr. J. F. BÖHMER - J. FICKER - E. WINKELMANN, Die Regesten des Kaiserreichs, cit., e le integrazioni di P. ZINSMAIER, Nachträge und Ergänzungen, cit., n. 4750. Sul ms. parigino cfr. soprattutto l’introduzione a NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., e l’introduzione a La silloge epistolare del ms. 8567, cit. 47. Cfr. R. A. GAUTHIER nella prefazione a S. THOMAE DE AQUINO Expositio libri Peryermeneias, cit., p. 81*. Charles Burnett (Warburg Institute, London), propone l’ipotesi — suggestiva, ma che necessita di un più attento e sistematico esame — che in Guglielmo de Luna possa essere identificato il traduttore di Manfredi menzionato nell’Opus tertium di Ruggero Bacone (ed. J. S. BREWER, Fr. Rogeri Bacon Opera hactenus inedita, I, London 1859, Kraus repr. 1965, p. 91, 1. 15-19), dove si legge: «Alii vero… infinita quasi converterunt in Latinum ut Gerardus Cremonensis, Michael Scotus, Aluredus Anglicus, Hermannus Alemannus, et translator Meinfredi nuper a domino rege Carolo devicti». Va detto, tuttavia, che — come si accenerà anche più avanti, a p. 240 — lavorarono per Manfredi anche altri traduttori; cfr. R. A. GAUTHIER, «Notes sur les débuts (1225-1240) du premier ‘averroïsme’», in: Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques 66 (1982), pp. 328-29. 48. R. A. GAUTHIER, Notes, cit., pp. 323-24, ha riedito la lettera servendosi delle edizioni precedenti e di alcuni manoscritti conservati nella Bibliothèque Nationale di Parigi (Lat. 8567, c. 104v; Lat. 17912, cc. 61v-62r; il Lat. 8565, cc. 97v-98r; Lat. 8566, cc. 106r-107r). Qui verrà seguito il testo della sua edizione. La lettera, comunque, è edita anche in Veterum scriptorum et monumentorum historicorum, dogmaticorum, moralium amplissima collectio, edd. E. MARTÈNE - U. DURAND, II, Paris 1724, col. 1220 (dal ms. Lat. 8567 della Bibl. Nat. di Parigi); in Historia diplomatica Friderici secundi, ed. J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, IV, Paris 1854, pp. 383-85; in Chartularium universitatis Parisiensis, edd. H. DENIFLE - A. CHATELAIN, I, Paris 1889, pp. 435-36 (dal ms. Lat. 8567 della Bibl. Nat. di Parigi). 238 F. DELLE DONNE studio, afferma che, mentre studiava i volumi conservarti nella sua biblioteca, cadevano spesso sotto i suoi occhi «compilationes uarie, ab Aristotile aliisque philosophis sub grecis arabicisque uocabulis antiquitus edite, in sermocinalibus et mathematicis disciplinis» che non erano mai state tradotte in latino. E proseguendo dice: «Volentes igitur, ut reuerenda tantorum operum senilis auctoritas apud nos non absque multorum comodis uocis organo traducere iuuenescat49, ea per uiros electos et utriusque lingue prolatione peritos, instanter duximus uerborum fideliter seruata uirginitate transferri». Poi continua: «Considerantes uerumtamen quorum conspectibus quorumque iudiciis operis cepti primicie possent decentius deputari, ecce uobis potissime uelut philosophie preclaris alumpnis, de quorum pectoribus promptuaria plena fluunt, libros aliquos, quos curiosum studium translatorum et lingua iam potuit fidelis instruere, consulto prouidimus presentandos». Infine, dopo aver invitato i «uiri docti» ad accettare con gratitudine il dono inviato («libros ipsos tanquam amici regis enxenium gratanter excipite»), conclude così: «tum mittentis fauore commoniti, tum etiam clari transmissi operis meritis persuasi, ad communem utilitatem studentium et euidens fame uestre preconium publicetis». I problemi editoriali della lettera di Manfredi ai maestri di Parigi — Abbiamo già detto che questa lettera è stata sicuramente scritta per conto di Manfredi, ma essa è trasmessa anche dal cosiddetto epistolario di Pier della Vigna, dove viene riportata come scritta per conto di Federico II e inviata ai maestri di Bologna. Per chi si occupa della tradizione e della trasmissione di questo tipo di epistolari, tale contraddizioni informative non sorprendono molto. Infatti, il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna contiene circa 550 tra manifesti, mandati, epistole e documenti di vario genere risalenti al periodo che va dal 1198 al 1264: molti di essi, dunque, sicuramente non possono essere 49. L’espressione «traducere iuuenescat» appare problematica a causa dell’infinito «traducere». Al posto di questa lezione, i manoscritti che riportano la redazione «piccola in sei libri» dell’epistolario di Pier della Vigna propongono generalmente «traductione innotescat». Tuttavia, va detto che la sostituzione di «iuuenescat» con «innotescat» fa perdere il contrasto tra l’antica autorità («senilis auctoritas») delle opere di Aristotele e degli altri filosofi e il loro ringiovanimento («iuuenescat») per mezzo delle traduzioni: cfr. R. A. GAUTHIER, Notes, cit., p. 326. Sui problemi editoriali che pone la lettera si ritornerà più sotto. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 239 usciti dalla penna del dictator capuano, che dovette entrare a far parte della cancelleria federiciana intorno al 1220 e morì all’inizio del 124950. Dunque, la costituzione dell’epistolario di Pier della Vigna dovette essere determinata soprattutto dall’esigenza di raccogliere modelli di lettere che i maestri di retorica potessero utilizzare ogni volta che se ne fosse presentata la necessità: anche per questo nelle raccolte sistematiche le epistole sono ordinate in libri in base all’argomento. Tuttavia, tale lavoro di raccolta non venne condotto in maniera univoca, dal momento che l’epistolario di Pier della Vigna ci è giunto secondo quattro tipologie di redazione ben distinte: la «grande in sei libri», tramandata da 12 codici, che contiene un numero massimo di 477 lettere; la «piccola in sei libri», che ha goduto della maggiore diffusione in quanto tramandata da circa 95 codici e che riporta in genere 366 lettere; la «grande in cinque libri», tramandata da 7 codici, che accoglie in genere 279 lettere; la «piccola in cinque libri», tramandata da 3 codici, che riunisce in genere 133 lettere. Tutti questi gruppi sono naturalmente legati tra loro, ma non è ancora chiaro il modo in cui essi si vennero a formare. Hans Martin Schaller ha avanzato con cautela l’ipotesi che la redazione «grande in sei libri» sia quella più recente, formatasi come un ampliamento della redazione «piccola in sei libri», pur senza escludere del tutto il percorso inverso51. A quanto finora detto si deve aggiungere che la lettera che stiamo esaminando è riportata solo dalla redazione «piccola in sei libri», che secondo Schaller dimostra un interesse verso gli argomenti di ambito francese minore rispetto a quello dimostrato dalla redazione «grande in sei libri»52: cosa che, però, sembra contraddetta dalla lettera che stiamo esaminando, che è indirizzata ai maestri di Parigi, anche se, però, risulta non facilmente comprensibile per quale motivo siano stati cambiati i destinatari, non più parigini, ma bolognesi53. 50. Sui problemi relativi alla redazione di questo epistolario cfr. soprattutto H. M. SCHALLER, «Zur Entstehung der sogenannten Briefsammlung des Petrus de Vinea», in: ID., Stauferzeit, cit., pp. 225-70 (pubblicato originariamente in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 12 (1956), pp. 114-59); ID., «L’epistolario di Pier della Vigna», in: Politica e cultura nell’Italia di Federico II, a c. di S. GENSINI, Pisa 1986, pp. 95-111 (ristampato in tedesco in: ID., Stauferzeit, cit., pp. 463-78). 51. Cfr. H. M. SCHALLER, Zur Entstehung, cit., pp. 241-42; ID., L’epistolario, cit., pp. 108-9. 52. Cfr. H. M. SCHALLER, Zur Entstehung, cit., p. 242. 53. Generalmente, nelle lettere che venivano usate come modelli retorici venivano omessi i nomi di persona e di luogo, sostituiti da puntini sospensivi: potrebbe essere proba- 240 F. DELLE DONNE Dunque, il testo della lettera tràdito dalla redazione «piccola in sei libri», che risulta emanata da Federico II, non costituisce — come talvolta è stato affermato — una falsificazione del testo della lettera fatta scrivere da Manfredi54, ma una redazione della stessa, modificata in maniera tale da risultare congruente con il contenuto di un epistolario prodotto da chi, di fatto, reggeva la cancelleria di Federico II. Tali modifiche, del resto, risultano giustificate dal fatto che l’epistolario di Pier della Vigna veniva usato non come fonte di informazioni storiche, ma come raccolta di lettere-modello usata da maestri di retorica. Anche il testo tràdito dal ms. 8567 della Bibl. Nat. di Parigi, che attribuisce la lettera a Manfredi, d’altro canto, va considerato una redazione di quella lettera; una redazione, comunque, molto significativa, perché quel manoscritto costituisce probabilmente uno «scartafaccio» di copie di minute prodotte da dictatores vicini a Nicola da Rocca, un apprezzato dictator della cancelleria, e che quindi si pone sicuramente su un ramo della tradizione di quelle lettere assolutamente autonomo, certamente precedente alla formazione della redazione «piccola in sei libri» dell’epistolario di Pier della Vigna55. Quali traduzioni Manfredi inviò a Parigi? — Fatta questa necessaria premessa, torniamo al problema delle traduzioni che vennero inviate a Parigi da Manfredi, provando a seguire il ragionamento di R. A. Gauthier, che si è occupato attentamente della questione56. Manfredi racconta di avere nella sua biblioteca testi di Aristotele e di altri autori in greco e in arabo, relativi a discipline logiche e matematiche; e che ha deciso di farli tradurre in latino da uomini esperti e competenti. Il lavoro non è stato ancora completato, ma l’opera attenta dei traduttori ha permesso di completare alcuni libri — sicuramente pochi o forse uno solo, perché a un certo punto Manfredi parla di «clari transmissi operis» — che il sovrano ha deciso di inviare ai bile, quindi, che anche nella lettera di Manfredi, destinata allo stesso uso, siano stati, in un primo momento, cancellati i nomi, e che poi siano stati reinseriti modificati quando essa è entrata a far parte della redazione «piccola in sei libri» dell’epistolario di Pier della Vigna. 54. Cfr. R. A. GAUTHIER, Notes, cit., pp. 325-26. 55. Cfr. l’introduzione a NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., e l’introduzione a La silloge epistolare del ms. 8567, cit. 56. Cfr. R. A. GAUTHIER, Notes, cit., pp. 327-30. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 241 maestri di Parigi. Perciò, le traduzioni inviate da Manfredi non potevano essere quelle del corpus di Averroè, ma forse erano quelle approntate da altri traduttori che lavorarono presso la sua corte: ovvero quelle di Bartolomeo di Messina, o, ancora più probabilmente, quelle di Stefano di Messina e di Giovanni de Dumpno, di ambito più specificamente astronomico. E che non si tratti di traduzioni di Aristotele o di logica non conta, perché Manfredi, tra tutte quelle che possedeva nella sua biblioteca, aveva inviato solo le opere che già aveva fatto tradurre57. Certo, le ipotesi di Gauthier sono ben studiate e argomentate58. Tuttavia, va detto che può lasciare un po’ perplessi l’idea che Manfredi dapprima abbia annunciato ai maestri di Parigi di aver dato ordine di tradurre in latino opere di ambito logico e matematico scritte da Aristotele e da altri filosofi, e poi abbia loro donato testi di tutt’altro tipo. Tanto più che Manfredi si aspetta gratitudine dai destinatari del proprio dono: «libros ispos tanquam amici regis enxenium gratanter excipite», dice; e, immediatamente dopo, aggiunge: «et ipsos antiquis philosophorum operibus… ut expedit congregantes…». Evidentemente i maestri parigini possedevano già altri testi di filosofi antichi, ma perché Manfredi avrebbe dovuto richiamarli alla memoria — usando, del resto, l’aggettivo antiquus che rimanda alle compilazioni antiquitus edite conservate nella sua biblioteca — se non fossero state dello stesso tipo anche le traduzioni da lui inviate? Di certo, in questo modo, imponendo subito un confronto, l’entità del suo dono sarebbe risultata irrimediabilmente svilita agli occhi di coloro da cui si aspettava, invece, grande gratitudine. Inoltre, nella conclusione della lettera sembra più plausibile leggere «euidens fame nostre preconium publicetis», piuttosto che «euidens fame uestre preconium publicetis», quindi un invito rivolto ai maestri parigini a celebrare le lodi di Manfredi, e non a cercare la gratificazione della loro propria fama: innanzitutto, perché generalmente i codici che riportano la redazione «piccola in sei libri» dell’epistolario di Pier della Vigna — l’unica redazione siste57. Cfr. R. A. GAUTHIER, Notes, cit., pp. 327-30. 58. Sembra, tuttavia, che, implicitamente, R. A. GAUTHIER abbia riconsiderato la questione nella prefazione a S. THOMAE DE AQUINO Expositio libri Peryermeneias, cit., p. 81*, quando giunge a ipotizzare che Guglielmo de Luna sia stato attivo all’epoca di Manfredi, forse pensando proprio alla lettera di quest’ultimo ai maestri di Parigi. 242 F. DELLE DONNE maticamente ordinata che tramanda questa lettera, come abbiamo già visto — riportano, in maniera piuttosto chiara, proprio la lezione nostre59, e poi perché il desiderio di ottenere fama imperitura e di perpetuare il ricordo del proprio nome è spesso dichiarato dai sovrani svevi dell’Italia meridionale60. In questo caso, sarebbe davvero sorprendente se Manfredi chiedesse ai maestri parigini di celebrarlo dopo che, avendo loro decantato i pregi di qualcosa che viene fatto baluginare dinanzi ai loro occhi, poi viene fatto sparire per lasciare spazio a qualcosa che offriva un interesse sicuramente minore: insomma, più probabilmente, quei maestri che si aspettavano Aristotele, lungi dal tessere le lodi di Manfredi, si sarebbero sentiti presi in giro. Procedendo su questa linea, poi, si può osservare che non necessariamente i libri inviati in traduzione furono pochi, o addirittura uno solo, perché l’espressione aliquos libros non significa necessariamente «pochi libri», e il singolare opus va senz’altro inteso nel senso complessivo di «opera di traduzione data in offerta»; e così il termine primicie usato nella lettera non deve essere inteso nel senso di «anticipo di qualcosa di più ampio», ma può anche stare a significare la novità assoluta del lavoro di traduzione che Manfredi aveva fatto fare, con l’uso di una metafora che continua anche dopo, quando si parla dei «uirtutum grana» che «fructificant». 59. L’incertezza di lettura tra l’abbreviazione di uestre e quella di nostre è, del resto, onestamente segnalata anche da R. A. GAUTHIER, Notes, cit., p. 324, nell’apparato della sua edizione. 60. Federico II, ad es., nel 1240 fece ricostruire un acquedotto «ad laudem et gloriam nostri nominis»: Historia diplomatica, cit., V, p. 907 (Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 3000). L’aspirazione al conseguimento della gloria terrena si ritrova, poi, nel preconium di Federico II, che costituisce il cap. 44 del libro III dell’epistolario di Pier della Vigna, e anche nella produzione di altri personaggi della corte, che pure ricordavano come le imprese dell’imperatore fossero strumenti per acquistare fama: cfr. PETRUS DE VINEA, Epistolae, II 1 (Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 2294); Acta imperii inedita, ed. E. WINKELMANN, I, Innsbruck 1880, n. 919, p. 693, r. 38 (Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 3650); ivi, n. 811, p. 630, r. 21 (Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 2304); inoltre Historia diplomatica, cit., V, p. 1048 (Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 3148); ivi, VI, p. 571 (PETRUS DE VINEA, Epistolae, II, 37; Die Regesten des Kaiserreichs, cit., V, 3646); per un ambito più specificamente universitario si veda anche la lettera di rifondazione dello Studium del 1239: Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-40, ed. C. CARBONETTI VENDITTELLI, I, Roma 2002, nr. 156, p. 146. Cfr. E. KANTOROWICZ, Federico II, cit., p. 511; ID., I due corpi del re, Torino 1989 (ed. or. Princeton 1957), p. 238 n. 10; F. DELLE DONNE, Il potere, cit., pp. 77 ss. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 243 Conclusione — Insomma, mi sembra che la questione delle traduzioni inviate da Manfredi possa considerarsi ancora aperta. E per tornare a Guglielmo de Luna, si può avanzare l’ipotesi che tra queste traduzioni inviate da Manfredi a Parigi ci fossero anche quelle dei commentari d’Averroè attribuiti a Guglielmo de Luna. Ipotesi, questa, che confermerebbe anche la conclusione a cui, all’incirca, eravamo già giunti, mettendo in relazione la lettera di commemorazione scritta da Crissio di Foligno con il genere consolatorio epistolare con versi, seguito e forse inaugurato da Terrisio di Atina. In questo modo, senza pretendere di risolvere una questione che, come si è visto, si presenta molto problematica e ancora aperta — soprattutto per quanto riguarda la datazione delle traduzioni attribuibili a Guglielmo de Luna e a Guglielmo de Lunis e quella del loro presunto uso —, si potrebbe giungere alla conclusione che queste traduzioni siano opera di un medesimo autore61: la distanza cronologica tra le attestazioni relative a Guglielmo de Luna da una parte, e quelle relative a Guglielmo de Lunis dall’altra, infatti, non sarebbe più tale da far pensare a diversi individui. E, su tale base, si potrebbe concludere che un unico autore, Guglielmo de Luna, de Lunis o Lunense, operò presso lo studium di Napoli soprattutto durante il regno di Manfredi, e più precisamente entro il 1263. 61. Sembra, del resto, notevole che nel ms. di Firenze, Biblioteca Nazionale, Conv. soppr., J V 18, in margine all’inizio di una traduzione del libro d’al-Jabr di al-Khwarizmi (cc. 80r-86v) si legge: «Incipit liber gebre de numero translatus a magistro guillelmo de lunis in quadriviali scientia peritissimo». Anche se la traduzione in causa è quella di Gerardo da Cremona e non quella attribuita a Guglielmo de Lunis (cfr. R. HISSETTE, L’alJabr d’al-Khwarizmi, cit., pp. 141-42), è interessante notare che a questo Guglielmo vengono qui concessi gli stessi attribuiti che, nella lettera di Crissio di Foligno, caratterizzano Guglielmo de Luna. 244 F. DELLE DONNE APPENDICE Consolatio scritta da Crissio di Foligno per la morte di maestro Guglielmo de Luna, astronomo, che aveva previsto il giorno della propria morte. Cod.: Biblioteca della Società Siciliana di Storia Patria, I B 25, c. 60r-v (siglato P), che riporta questa rubrica: «Epistola quam fecit magister Crissius de morte magistri Guillelmi de Luna astronomi, qui prescivit diem mortis sue». In amaritudinis salo degentibus Crissius de Fulgineo salutem et eterne dulcedinem civitatis. Dolor est scribendi materia et scriptori prebet anxietas actramentum: non enim bene possunt terrena gaudere cum celestia contristantur, neque tellus potest tantum esse sub tenebris cum supra celestibus solis deficit claritudo. Profecto sol nuper est aureus obscuratus, splendore cuius universe stelle posite in firmamento sapiencie relucebant. Corpus egregium sub terra reconditur, cuius anima nobilis suo submictebata ingenio syderum summitates. Guillelmus, ille doctor eximius natus de Luna, sub lunab velut luna defecit, sed utinam resurgeret quasi luna. Sane dies rapiens tantum virum de terra vivencium, dies angustie, dies plena doloribus et lamentis dies autem satirac ferienda gravi aut trenisd ululandae tristisonis Ieremie. Ecce qui motus stellarum in arismetice numerabat, moriendo diminuit numerum sapientum. Ecce qui mensurabat orbem terrarum theurematibus geometrie, nunc in vilis terre tumulo mensuratur. Ecce qui proporcione sonorum dulcisonumf formabat virtute musice melodiamag, cunctos militantes sub sapiencie studio, defectu suo, coegit ad gemitus et lamenta. Ecce qui ductu racionis volitabat in astra, nunc sub telluris glebula sepelitur. Plorate itaque, celi, desuper et terra misera congemiscat. Insonet dolentis aeris terremotus et gemat circulus orizontis. Plora, plora, societas planetarum, quia medius vestrum iam subiacet umbre terre, qui vos illuminabat ad plenum, cuius sapiencie speculo natura vestra fiebat mortalibus manifesta. Iudicate, habitantes Samariam, et attendatis, incole Babilonis, quid potuit sapiencia tanti viri nisi prenoscere diem mortis, qui decernens in quarto die infirmitatis sue coniuncionem solis et lune, que coniuncio combustio dicitur, combustionem vite sue quasi divino presagio prophetavit. In coniuncione vero Martis et Lune, a Marte mortis, pro dolor, est devictus. Nimirum, cum supereminet dies mortis, periit omnis consilii claritudo. Est enim illud impossibile consiliabile fieri quod necessarium comprobatur. a submictebat] submictebant P: emend. bluna] riguardo a questa lezione cfr. sopra la nota 17 csatira] riguardo a questa lezione cfr. sopra la nota 18 dtrenis] corr. succ., per altra mano, in terrenis P eululanda] ululando P: emend. fdulcisonum] dulcisonam P: emend. g melodiama] melodiana P: emend. UN EPISTOLA SULLA MORTE DI GUGLIELMO DE LUNA 245 Non igitur fortis in fortitudine sua, non pulcher in pulchritudine sua, non sapiens in sapiencia, glorietur cognoscere Deum vivum, cui nullus moritur, sed moriendo mictitur in melius, de tenebris transit ad lucem et de labore doloris ad requiem sempiternam. Quem genuit Luna, qui quadruvialis et una clara fuit luna, thorus est huic terrea cuna. Sol fuit iste soli, patuit cui celica soli ars, flent astra poli desuntque lumina soli. Gloria linguarum Guillelmus erat variarum, hoc mare quod rarum felix transivit inanumh. Hic en translator erat optimus enucleatori, clarus plantator morum, virtutis amator. Qui coluit celos, nunc sub tellure quiescit, cuius ab ore melos fluxit, dare famina nescit. Doctor quadruvii, variis dotate loquelis, hic, Guillelme, iaces, translator mente fidelis. h inanum] riguardo a questa lezione cfr. sopra la nota 27 i enucleator] et nudeator P: cong.