Delta Machine dei Depeche Mode, ritorno alle origini?
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Delta Machine dei Depeche Mode, ritorno alle origini?
Delta Machine dei Depeche Mode, ritorno alle origini? di ANTONELLA BELLIFEMINE E anche loro dopo 4 anni di silenzio son tornati con il tredicesimo capitolo di questa saga trentennale. “Delta Machine” è un disco che in tanti aspettavano e che da pronostico sta dividendo pubblico e critica. Sarebbe ingiusto affermare che siamo alle prese con il loro album peggiore (anche perché i ragazzi sanno benissimo come muoversi e non hanno mai dato grosse fregature) eppure è un album che non decolla, fatto bene, con maestria ma manca il guizzo e l’emozione. 1/2 Delta Machine dei Depeche Mode, ritorno alle origini? Siamo nel regno del sound sintetico, arrangiamenti elettronici complessi e synth pop in abbondanza, bassi e toni cupi e minacciosi, tutto molto preciso e senza grandi sorprese, quasi a voler tornare ai suoni del passato. Martin Gore porta in dote dieci brani mentre Dave Gahan ha scritto tre pezzi, probabilmente i migliori del disco. Disco che Gahan ha etichettato come “figlio della consapevolezza, non solo delle domande. Le tematiche sono le stesse che abbiamo percorso e approfondito nei 12 album precedenti: religione, sesso, in definitiva la vita. Col tempo però sono cambiate le angolazioni, e questo perché siamo arrivati ad accettare noi stessi. Questi siamo noi”. Molti i brani lenti come “Heaven”, il primo singolo apripista, una ballad con striature rock, mentre “Slow” è un electro blues sensuale e “Goodbye” è la cupa e conclusiva traccia di questo disco. Gahan dà un’ottima prova di sé in “Angel”, più aggressiva rispetto alle altre tracce e qui ti viene da pensare che il carisma di Dave resta intatto come la sua voce, forse l’unica vera sorpresa di questo album. “Broken” potrebbe essere la loro firma, lo stile Depeche riconoscibile in ogni tempo, “Secret To The End” ha un bel gioco di cori e l’onirica “The Child Inside” ha accenni di falsetto. Il nuovo singolo “Soothe My Soul” invece potrebbe essere il classico inno da stadio. L’esecuzione è impeccabile, lo stile è facilmente riconoscibile ma l’impressione all’ascolto è che l’impalcatura sonora sia troppo perfetta, troppo calcolata e poco spontanea. A questo giro ci si aspettava qualcosa in più dal trio di Basildon. 2/2