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SUR 20
Julio Cortázar
Un certo Lucas
titolo originale: Un tal Lucas
traduzione di Ilide Carmignani
Opera pubblicata nell’ambito del Programma «Sur»
di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri
e Culto della Repubblica Argentina.
Obra editada en el marco del Programa «Sur»
de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores
y Culto de la República Argentina.
© Eredi di Julio Cortázar, 1979
© SUR, 2014
Tutti i diritti riservati
I capitoli inclusi nell'appendice sono tratti da:
Julio Cortázar, Carte inaspettate
traduzione di Jaime Riera Rehren
© 2012, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
Edizioni SUR
redazione: via della Polveriera, 14 • 00184 Roma
tel. e fax 06.83514309
sede legale: viale Parioli, 73 • 00197 Roma
[email protected]
www.edizionisur.it
I edizione: maggio 2014
ISBN 978-88-97505-37-2
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli
Composizione tipografica degli interni:
Miller (Matthew Carter, 1997)
Julio
Cortázar
Un certo
Lucas
traduzione di Ilide Carmignani
UN PICCOLO PARADISO
L
e forme della felicità sono assai varie e non deve stupire che gli abitanti del paese governato
dal generale Orangu si considerino contenti e
beati a partire dal giorno in cui hanno il sangue pieno
di pesciolini d’oro.
In realtà i pesciolini non sono d’oro ma semplicemente dorati, però basta vederli perché i loro guizzi
splendenti si traducano immediatamente in un’urgente brama di possesso. Lo sapeva benissimo il governo
quando un naturalista catturò i primi esemplari, che si
riprodussero velocemente in ambiente adatto. Scientificamente noto come z-8, il pesciolino d’oro è estremamente piccolo, al punto che se si potesse immaginare
una gallina delle dimensioni di una mosca, il pesciolino
d’oro avrebbe le dimensioni di quella gallina. Ecco perché è molto semplice incorporarli al flusso sanguigno
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degli abitanti nel momento in cui questi compiono diciotto anni; la legge fissa l’età e il procedimento tecnico
adeguati.
Così ogni giovane del paese aspetta con ansia il giorno in cui gli sarà concesso di entrare in uno dei centri
d’inoculazione, circondato dalla sua famiglia e dall’allegria che accompagna le grandi cerimonie. Una vena
del braccio viene collegata a un tubicino che scende da
un flacone trasparente pieno di soluzione fisiologica,
nella quale giunto il momento vengono introdotti venti pesciolini d’oro. La famiglia e il beneficiario possono
ammirare a lungo gli scintillii e le evoluzioni dei pesciolini d’oro nel flacone di vetro, fin quando non vengono risucchiati uno dopo l’altro dal tubo, discendono
immobili e forse un po’ perplessi come gocce di luce, e
scompaiono nella vena. Mezz’ora dopo il cittadino possiede il suo numero completo di pesciolini d’oro e se ne
va a festeggiare a lungo il suo ingresso nella felicità.
A ben guardare, gli abitanti sono contenti più per
effetto dell’immaginazione che per il contatto diretto
con la realtà. Benché non possano vederli, sanno che i
pesciolini d’oro percorrono il grande albero delle loro
arterie e delle loro vene, e prima di addormentarsi hanno l’impressione di assistere nella concavità delle loro
palpebre a un viavai di scintille splendenti, più dorate
che mai contro lo sfondo rosso dei fiumi e dei torrenti
in cui guizzano. Ad affascinarli maggiormente è l’idea
che i venti pesciolini d’oro non tarderanno a moltiplicarsi, e così li immaginano da tutte le parti, innumerevoli e radiosi, mentre scivolano sotto la fronte o arrivano alla punta delle dita o si concentrano nelle grandi
arterie femorali, nella giugulare, o s’infilano agilissimi
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nei punti più stretti e segreti. Il passaggio periodico dal
cuore costituisce l’immagine più deliziosa di questa visione interna, perché lì i pesciolini d’oro troveranno
scivoli, laghi e cascate per i loro giochi e raduni, ed è sicuramente in quel gran porto rumoroso che si riconoscono, si scelgono e si accoppiano. Quando i ragazzi e le
ragazze s’innamorano, lo fanno convinti che anche nei
loro cuori qualche pesciolino d’oro abbia trovato la sua
metà. Perfino certi solleticamenti eccitanti sono subito
attribuiti all’accoppiamento dei pesciolini d’oro nelle
zone interessate. I ritmi essenziali della vita trovano
così una loro corrispondenza interna ed esterna; sarebbe difficile immaginare una felicità più armoniosa.
L’unico ostacolo in questo quadro è periodicamente
costituito dalla morte di qualche pesciolino d’oro. Longevi, giunge tuttavia il giorno in cui uno di loro perisce
e il suo corpo, trascinato dal flusso sanguigno, finisce
per ostruire il passaggio da un’arteria a una vena o da
una vena a un capillare. Gli abitanti conoscono i sintomi, peraltro molto semplici: la respirazione diventa
difficoltosa e a volte si avvertono capogiri. In tal caso si
ricorre a una delle fiale iniettabili che tutti hanno in
casa. In pochi minuti il prodotto disintegra il corpo del
pesciolino morto e la circolazione ritorna alla normalità. Secondo le previsioni del governo, ogni abitante è
chiamato a utilizzare due o tre fiale al mese, visto che i
pesciolini d’oro si sono enormemente riprodotti e il loro tasso di mortalità tende a salire nel tempo.
Il governo del generale Orangu ha fissato il prezzo
di una fiala all’equivalente di venti dollari, il che presuppone entrate annuali per svariati milioni; se per gli
osservatori stranieri tutto questo equivale a una gravo6
sa imposta, gli abitanti non l’hanno mai vista così, perché ogni fiala restituisce la felicità ed è giusto pagare.
Quando si tratta di famiglie prive di mezzi, cosa molto
comune, il governo fornisce le fiale a credito, al doppio
del prezzo in contante, è logico. Se anche così c’è qualcuno che resta senza fiale, si può sempre ricorrere a un
fiorente mercato nero che il governo, comprensivo e
indulgente, lascia prosperare per la felicità del suo popolo e di alcuni colonnelli. Cosa importa la miseria, dopotutto, quando si sa che ognuno ha i suoi pesciolini
d’oro e che presto arriverà il giorno in cui una nuova
generazione li riceverà a sua volta e ci saranno feste e ci
saranno canti e ci saranno balli?
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LUCAS, I SUOI OSPEDALI (I)
S
iccome la clinica dove si è ricoverato Lucas è una
clinica a cinque stelle, i-malati-hanno-sempreragione, e dire loro di no quando chiedono cose
assurde è un problema serio per le infermiere, una più
carina dell’altra e tutte pronte a dire quasi sempre di sì
per le suddette ragioni.
Ovviamente non è possibile accogliere la richiesta
del ciccione della camera 12, che in piena cirrosi epatica reclama ogni tre ore una bottiglia di gin, ma invece
con che piacere, con che soddisfazione le ragazze dicono sì, certo, come no, quando Lucas che è uscito nel
corridoio mentre gli arieggiano la stanza e ha scoperto
un mazzo di margherite in sala d’attesa, chiede quasi timidamente il permesso di portarne una in camera per
rallegrare l’ambiente.
Dopo aver posato il fiore sul comodino, Lucas suona
il campanello e chiede un bicchier d’acqua per dare al-
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la margherita una sistemazione più adeguata. Non appena gli portano il bicchiere e ci mettono il fiore, Lucas
fa notare che il comodino è strapieno di flaconi, riviste,
sigarette e cartoline, per cui forse si potrebbe piazzare
un tavolino in fondo al letto, ubicazione che gli permetterebbe di godere della presenza della margherita senza doversi slogare l’osso del collo per scorgerla fra i vari oggetti che proliferano sul comodino.
L’infermiera porta subito quanto richiesto e mette il
bicchiere con la margherita nell’angolazione visiva più
favorevole, cosa di cui Lucas la ringrazia facendole al
contempo notare che avendo molti amici in visita e così poche sedie, sarebbe un’ottima cosa approfittare della presenza del tavolino per aggiungere due o tre confortevoli poltrone e creare un ambiente più adatto alla
conversazione.
Non appena le infermiere arrivano con le poltrone,
Lucas dice che si sente estremamente in obbligo verso
gli amici che gli fanno tanta compagnia in un brutto
momento, ragion per cui il tavolino si presterebbe alla
grande, previa collocazione di una tovaglietta, a reggere due o tre bottiglie di whisky e una mezza dozzina di
bicchieri, magari di quelli sfaccettati di cristallo, per
non parlare di un thermos con del ghiaccio e qualche
bottiglia di soda.
Le ragazze si sparpagliano in cerca di tutta l’attrezzatura che poi dispongono artisticamente sul tavolo,
momento in cui Lucas si permette di osservare che la
presenza di bicchieri e bottiglie danneggia considerevolmente la valenza estetica della margherita, piuttosto
sperduta nell’insieme, anche se la soluzione è semplicissima perché quello che manca davvero nella stanza è
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un armadio per sistemarci vestiti e scarpe, malamente
ammucchiati nel guardaroba del corridoio, per cui basterà collocare il bicchiere con la margherita in cima
all’armadio perché il fiore domini l’ambiente e gli conferisca quel fascino un po’ segreto che è la chiave di
ogni buona convalescenza.
Travolte dagli avvenimenti, ma fedeli alle norme
della clinica, le ragazze trascinano a fatica nella stanza
un grande armadio sul quale finisce la margherita come un occhio leggermente stupefatto ma colmo di benevolenza. Le infermiere si arrampicano sull’armadio
per aggiungere un po’ d’acqua fresca al bicchiere, e allora Lucas chiude gli occhi e dice che ora è tutto perfetto e che cercherà di dormire un po’. Non appena chiudono la porta si alza, toglie la margherita dal bicchiere
e la butta dalla finestra, perché non è un fiore che gli
piaccia particolarmente.
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LUCAS, I SUOI OSPEDALI (II)
U
na vertigine, una brusca irrealtà. È allora che
l’altra, la realtà ignorata, nascosta, gli salta come un rospo in mezzo alla faccia, diciamo in
mezzo alla strada (ma quale strada?) una mattina d’agosto a Marsiglia. Piano, Lucas, una cosa alla volta, così non si può raccontare nulla di coerente. Certo che.
Coerente. Vabbè, d’accordo, ma cerchiamo di prendere
il filo dall’inizio del gomitolo, di solito capita che negli
ospedali si entri come malato ma ci si può arrivare anche in qualità di accompagnatore, è quello che ti è successo tre giorni fa, e più esattamente la notte dell’altro
ieri quando un’ambulanza ha portato Sandra e te con
lei, tu con la sua mano nella tua, tu che la vedevi in coma e delirante, tu con giusto il tempo d’infilare in un
borsone quattro o cinque cose tutte sbagliate o inutili,
tu con quello che avevi addosso che è così poco d’agosto
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in Provenza, pantaloni e camicia ed espadrillas, tu che
risolvi in un’ora la faccenda dell’ospedale e l’ambulanza
e Sandra che non vuole e un medico con l’iniezione di
sedativo, di colpo gli amici del tuo paesino sulle colline
che aiutano i barellieri a caricare Sandra sull’ambulanza, vaghi accordi per il giorno dopo, numeri di telefono,
auguri, il doppio portellone bianco che si chiude capsula o cripta e Sandra sulla barella che delira leggermente e tu che sobbalzi in piedi accanto a lei perché l’ambulanza deve scendere lungo un sentiero di pietre sconnesse per raggiungere la strada, mezzanotte con Sandra
e due infermieri e una luce che è già d’ospedale, tubi e
flaconi e odore di ambulanza perduta in piena notte
sulle colline fino ad arrivare all’autostrada, dove sbuffa
come per prendere la rincorsa e parte a tutta velocità al
doppio suono della sirena, lo stesso ascoltato tante volte fuori dall’ambulanza e sempre con la stessa contrazione allo stomaco, lo stesso rifiuto.
Ovviamente conoscevi l’itinerario ma Marsiglia enorme e l’ospedale in periferia, due notti senza dormire non
aiutano a capire le curve né gli accessi, l’ambulanza scatola bianca senza finestrini, solamente Sandra e gli infermieri e tu quasi due ore fino a un’entrata, pratiche, firme, letto, medico, assegno per l’ambulanza, mance, tutto
in una nebbia quasi gradevole, un sopore amico ora che
Sandra dorme e anche tu dormirai, l’infermiera ti ha
portato una poltrona allungabile, una cosa che solo a vederla fa presagire i sogni che ci si fanno sopra, né orizzontali né verticali, sogni con traiettorie oblique, reni castigate, piedi che penzolano a mezz’aria. Ma Sandra dorme e quindi va tutto bene, Lucas fuma un’altra sigaretta
e stranamente la poltrona gli sembra quasi comoda e
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siamo già alla mattina dell’altro ieri, stanza 303 con una
grande finestra che dà su montagne lontane e parcheggi
troppo vicini dove operai dai movimenti lenti si spostano fra tubi e camion e spazzatura, quello che ci vuole per
tirar su il morale a Sandra e a Lucas.
Va tutto benissimo perché Sandra si sveglia sollevata e più lucida, scherza con Lucas e arrivano gli interni
e il primario e le infermiere e succede tutto quello che
deve succedere la mattina in un ospedale, la speranza
di essere dimessa subito per tornare in collina a riposo, yogurt e acqua minerale, termometro nel culetto,
pressione arteriosa, altre carte da firmare all’amministrazione ed è allora che Lucas, sceso a firmare le carte, al ritorno si perde e non trova i corridoi né l’ascensore, ha come una prima e ancora debole sensazione di
rospo in mezzo alla faccia, non dura nulla perché va
tutto bene, Sandra non si è mossa dal letto e gli chiede
di andare a comprarle le sigarette (buon segno) e a telefonare agli amici perché sappiano che va tutto bene e
che Sandra ritornerà prestissimo con Lucas sulle colline e alla calma, e Lucas dice sì amore mio come no, anche se sa che questa cosa di tornare presto non sarà
per niente presto, cerca i soldi che per fortuna si è ricordato di prendere, annota i numeri di telefono e allora Sandra gli dice che non hanno dentifricio (buon
segno) né asciugamani perché negli ospedali francesi
bisogna portarsi gli asciugamani e il sapone e a volte le
posate, e allora Lucas fa una lista di acquisti sanitari e
aggiunge una camicia di ricambio per sé e un altro
paio di slip e per Sandra una camicia da notte e dei
sandali perché naturalmente Sandra è stata portata
via scalza per farla salire sull’ambulanza e chi sta a
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pensare a cose del genere a mezzanotte quando sono
due giorni che non dormi.
Stavolta Lucas azzecca al primo tentativo la strada
per uscire che non è così difficile, ascensore al piano
terra, un corridoio provvisorio con pannelli di compensato e pavimentazione in terra battuta (stanno ristrutturando l’ospedale e bisogna seguire le frecce che
indicano i passaggi anche se a volte non li indicano o
li indicano in due direzioni diverse), poi un lunghissimo corridoio ma questo vero, diciamo il corridoio titolare con infinite sale e uffici ai lati, ambulatori e radiologia, barelle con barellieri e malati o solamente
barellieri o solamente malati, una svolta a sinistra e
un altro corridoio con tutto quanto già descritto e
molto altro ancora, un passaggio angusto che dà su un
incrocio e finalmente l’ultimo passaggio che porta
all’uscita. Sono le dieci di mattina e Lucas un po’ sonnambulo domanda alla signora delle informazioni
dove trovare gli articoli della lista e la signora gli dice
che bisogna uscire dall’ospedale a destra o a sinistra, è
uguale, alla fine si arriva ai centri commerciali, ma
certo non c’è niente di davvero vicino perché l’ospedale è enorme e si trova in un quartiere decentrato, descrizione che Lucas avrebbe trovato perfetta se non
fosse stato così stravolto, così rimbambito, così ancora immerso nell’altro contesto in collina, di modo che
ecco Lucas con le sue scarpe da casa e la sua camicia
stropicciata dalle dita della notte sulla poltrona d’ipotetico riposo, ecco che sbaglia direzione e finisce in un
altro padiglione dell’ospedale, fa a ritroso il percorso
interno e alla fine trova un’uscita, per ora tutto bene,
anche se di tanto in tanto un po’ il rospo in faccia, ma
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lui si attacca al filo mentale che lo lega a Sandra là sopra in quel padiglione ormai invisibile e gli fa bene
pensare che Sandra sta un po’ meglio, che le porterà
una camicia da notte (se la trova) e il dentifricio e i
sandali. Giù per la strada seguendo il muro dell’ospedale che fa orridamente pensare a quello di un cimitero, un caldo che ha fatto scappare la gente, non c’è nessuno, solo le auto che passando lo sfiorano perché la
strada è stretta, senza alberi né ombra, l’ora dello zenit cantata dal poeta che schiaccia Lucas un po’ scoraggiato e sperduto, mentre aspetta di vedere finalmente un supermercato o almeno due o tre botteghe
ma nulla, più di mezzo chilometro per poi scoprire
dopo una virata che Mammone non è morto, una stazione di servizio che è già qualcosa, negozio (chiuso) e
più giù il supermercato con vecchie canestrate che
escono ed entrano e carrelli e parcheggi pieni di automobili. Là Lucas vaga nei diversi reparti, trova il sapone e il dentifricio ma gli manca tutto il resto, non
può tornare da Sandra senza l’asciugamano e la camicia da notte, domanda alla cassiera che gli consiglia di
prendere a destra e poi a sinistra (non è esattamente a
sinistra ma quasi) e il boulevard Michelet dove c’è un
grande supermercato con asciugamani e cose del genere. Tutto suona come in un brutto sogno perché
Lucas sta crollando dalla stanchezza e fa un caldo terribile e non è zona di taxi e ogni nuova indicazione lo
allontana sempre di più dall’ospedale. Vinceremo, si
dice Lucas asciugandosi la faccia, è chiaro che è tutto
un brutto sogno, Sandra orsetta, ma vinceremo, vedrai, avrai l’asciugamano e la camicia da notte e i sandali, brutti figli di puttana.
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Due, tre volte si ferma ad asciugarsi la faccia, questo
sudore non è normale, è quasi una specie di paura, un
assurdo smarrimento in mezzo (o alla fine) di una popolosa metropoli, la seconda di Francia, è una specie di
rospo che gli cade di colpo in mezzo agli occhi, ormai
non sa più dove si trova realmente (è a Marsiglia, ma
dove, e quel dove non è nemmeno il posto dove si trova), sembra tutto ridicolo e assurdo e proprio mezzogiorno, allora una signora gli dice ah il supermercato,
vada giù di lì, poi giri a destra e arriva sul viale, davanti c’è Le Corbusier e subito dopo il supermercato, certo,
camicie da notte di sicuro, la mia per esempio, di nulla,
si ricordi prima giù di lì e poi giri.
A Lucas scottano le scarpe, i pantaloni sono tutti appiccicati per non parlare degli slip che sembrano diventati sottocutanei, prima giù di lì e poi giri e di colpo
la Cité Radieuse, di colpo e contraccolpo è davanti a un
viale alberato e di fronte ecco il celebre edificio di Le
Corbusier che vent’anni prima aveva visitato fra due
tappe di un viaggio nel Sud, solo che allora alle spalle
dell’edificio radioso non c’era nessun supermercato e
alle spalle di Lucas non c’erano vent’anni di più. Niente
di tutto questo è davvero importante perché il radioso
edificio è così rovinato e così poco radioso come la prima volta che l’ha visto. Non è questo l’importante ora
che sta passando sotto il ventre dell’immenso animale
di cemento armato per avvicinarsi alle camicie da notte
e agli asciugamani. Non è questo ma comunque accade
lì, proprio nell’unico posto che Lucas conosce di quella
periferia marsigliese a cui è arrivato senza sapere come, una specie di paracadutista lanciato alle due di
notte in un territorio ignoto, in un ospedale labirintico,
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in un avanzare e avanzare lungo istruzioni e strade vuote di uomini, unico pedone fra automobili come bolidi
indifferenti, ed è là sotto il ventre e le zampe di calcestruzzo della sola cosa che conosce e riconosce nell’ignoto, è là che il rospo gli cade davvero in piena faccia,
una vertigine, una brusca irrealtà, ed è allora che l’altra, la realtà ignorata, nascosta, si apre per un secondo
come uno squarcio nel magma che lo circonda, Lucas
vede soffre trema fiuta la verità, si è perso madido di
sudore lontano dai pilastri, dagli appoggi, dalle cose
note, familiari, la casa in collina, le cose in cucina, la
deliziosa routine, lontano perfino da Sandra che è così
vicina; ma dove, perché ora dovrà chiedere di nuovo
per tornare indietro, non troverà mai un taxi in quella
zona ostile e Sandra non è Sandra, è un animaletto dolorante in un letto d’ospedale e invece sì, quella è Sandra, quel sudore e quell’angoscia sono sudore e angoscia, Sandra è quella cosa lì, vicina nell’incertezza e nel
vomito, e la realtà ultima, lo squarcio nella bugia è l’essersi perso a Marsiglia con Sandra malata e non la felicità con Sandra nella casa in collina.
È chiaro che questa realtà non durerà, per fortuna, è
chiaro che Lucas e Sandra usciranno dall’ospedale,
Lucas dimenticherà questo momento in cui solo e sperduto si scopre nell’assurdo di non essere né solo né
sperduto, eppure, eppure. Pensa vagamente (si sente
meglio, comincia a prendersi gioco di queste puerilità)
a un racconto letto secoli prima, la storia di una finta
banda di musicisti in un cinema di Buenos Aires. Deve
esserci qualche somiglianza fra lui e il tizio che ha inventato quel racconto, chissà che cosa, in ogni caso
Lucas si stringe nelle spalle (lo fa davvero) e finisce per
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trovare la camicia da notte e i sandali, peccato che non
ci siano espadrillas per lui, cosa insolita e persino scandalosa in una città proprio del mezzogiorno.
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