Considerazioni sull`insegnamento delle Arti Marziali

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Considerazioni sull`insegnamento delle Arti Marziali
Considerazioni sull’insegnamento
delle Arti Marziali
Mentore Siesto
Giugno 2007
Revisionato nel dicembre 2008
1 INTRODUZIONE.
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Introduzione.
L’insegnamento delle Arti Marziali richiede un’importante assunzione di responsabilità da parte del praticante che passi dalla qualifica di Istruttore a
quella di Maestro, e intenda operare seriamente nel suo ruolo. È necessaria
una riflessione approfondita su argomenti anche molto delicati, sicuramente di
complessa trattazione.
Cercherò qui di evidenziare certi aspetti profondi della pratica dell’Arte, e
alcuni concetti che ritengo fondamentali nell’insegnamento delle arti marziali,
ponendo in particolare l’accento sul Karate Do.
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Aspetti essenziali dell’insegnamento.
“L’allenamento del karate mira al miglioramento di sé. . . ”
– Sensei Gichin Funakoshi
Dopo il conseguimento della qualifica di Maestro, è necessario riflettere approfonditamente sulle responsabilità aggiuntive che un Sensei deve assumersi
nei confronti suoi e dei propri allievi.
In particolare, l’insegnamento di un’Arte marziale richiede, rispetto a un
meno formale sport di combattimento, l’esame dettagliato di molteplici aspetti
che vanno oltre la tecnica, l’allenamento fisico/tecnico e la strategia di gara.
La qualifica di Maestro, in definitiva, impone un percorso di crescita molto
importante e delicato nell’insegnante.
2.0.1
Alcune differenze tra arti marziali e sport da combattimento.
In questo paragrafo traccerò alcune caratteristiche peculiari, che diversificano
un’arte marziale da un’attività sportiva. Questo è il punto di partenza per
esaminare meglio l’argomento principale di questa trattazione.
La differenza principale tra le due discipline sta proprio nell’obiettivo.
Mentre lo sport da combattimento richiede di realizzare dei risultati specifici dell’ambiente di gara (che siano gare di forme, di combattimento o altro
ancora) in tempi relativamente brevi, l’arte marziale si pone un obiettivo più di
lungo termine e, se vogliamo, più ambizioso e difficile da realizzare, ma proprio
per questo motivo più prezioso e importante da raggiungere.
Lo sport da combattimento (sia detto senza voler fare opera denigratoria)
è, comunque, una pratica agonistica: segue pertanto particolari regole, prevede periodi di allenamento pre–gara e cicli segnati dalle competizioni. A questi
cicli una società sportiva impegnata dal punto di vista agonistico si deve necessariamente riferire, specialmente se vuole portare i propri allievi a livelli
elevati e ottenere risultati considerevoli.
2 ASPETTI ESSENZIALI DELL’INSEGNAMENTO.
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Inoltre, raggiungere livelli molto elevati nell’agonismo richiede sempre un
sacrificio notevole da parte degli atleti, che molto spesso si paga con infortuni
e danni a lungo termine, il che è piuttosto lontano da quel “rispetto di sé”
professato dalle arti marziali.
L’obiettivo principale dell’Arte marziale in genere, e del Karate Do nel
nostro caso particolare, è invece un’attività formativa globale del corpo, dello
spirito e della personalità del praticante, che procede a studiare e analizzare
se stesso da solo e nel confronto con gli altri (compagni e avversari), allo scopo
di raggiungere una massima integrazione tra corpo (tai), mente (shin, kokoro)
e spirito (ki).
In un’ottica come questa, le regole dell’agonismo non hanno spazio a sufficienza; piuttosto, spesso costituiscono un limite formativo, e potrebbe essere
bene trascurarle o addirittura tralasciarle, a favore di un lavoro più accorto e
approfondito sugli aspetti psicofisiologici, morali e mentali della pratica.
D’altro canto, non si può trascurare una preoccupante evidenza: molti
specialisti degli sport da combattimento (Kick boxing, Savate, Boxe, Brazilian
Ju Jitsu e altre ancora), a parità di allenamento, dimostrano una conoscenza
del combattimento superiore a quella di molti marzialisti, almeno nel breve
termine.
Questo vero e proprio segnale d’allarme per praticanti e insegnanti deve far
pensare molto seriamente all’accezione in cui si tiene comunemente il termine
“Arte Marziale”.
3 ALCUNE INFORMAZIONI PRELIMINARI.
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Alcune informazioni preliminari.
“(. . . )Bisogna essere ispirati e (. . . ) riconoscere il ’tono atono’ e la ’forma senza forma’.”
– Sensei Shoshin Nagamine, Matsubayashi Ryu Okinawa
Un Maestro di Karate che desideri ritenersi degno di tale qualifica non
può limitarsi all’acquisizione del titolo dopo qualche anno di allenamenti, aver
seguito corsi e una manciata di stage più o meno mirati.
È interessante, in questo paragrafo, sottolineare alcune particolari differenze tra l’impostazione tradizionale Orientale antica e quella occidentale degli
anni più recenti (in media), a riguardo dell’insegnamento delle Arti Marziali.
In Oriente (tradizionalmente e nell’antichità):
• il Maestro sceglie gli allievi, che gli danno disponibilità materiale e spirituale invece che pagarlo;
• la formazione segue il metodo dell’insegnare senza insegnare: il Maestro
mostra la tecnica, ma sta all’allievo interiorizzarla, comprenderla appieno e inserirla in un bagaglio personale di conoscenze, e la spiegazione
non viene data in dettagli approfonditi ma solo in parte, allo scopo di
stimolare l’allievo a uno studio particolareggiato. Ciò opera anche una
selezione dei migliori allievi;
• l’istruzione dell’allievo è ad ampio spettro e comprende anche filosofia, religione e cultura, argomenti questi molto diversi da ciò che comunemente
si intende per allenamento;
• non esistono limiti di tempo nel corso dell’allenamento. Il concetto di
“corso” e di “orario” non ha senso, l’allenamento può aver luogo anche
di notte e fuori dal dojo;
• i gradi e le cinture non hanno importanza. Nella formazione tradizionale
antica non esistevano riconoscimenti, né diplomi garantiti da associazioni
o federazioni, divenute necessarie con l’espansione delle scuole;
• per lo stesso motivo, il concetto di “esame” non ha senso, se non è inserito
nell’opportuno contesto.
In Occidente (mediamente):
• l’allievo sceglie la palestra, in molti casi per comodità di posizione, sotto la spinta dei genitori oppure per l’attrazione esercitata dai richiami
pubblicitari e dal “nome” dell’insegnante/palestra;
3 ALCUNE INFORMAZIONI PRELIMINARI.
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• l’allievo paga in denaro e “pertanto” pretende risultati, sotto forma di
gradi (cinture, diplomi) e qualifiche, e non sempre è interessato a sacrificarsi e impegnarsi senza una contropartita evidente (risultati agonistici,
titoli tecnici, qualifiche nella società sportiva);
• l’insegnante viene considerato tale perché dotato di un titolo riconosciuto
più o meno ufficialmente, o per il suo curriculum agonistico, piuttosto
che per le capacità di formatore e di educatore;
• la formazione è spesso informazione, con il classico “effetto fast–food”
a causa della brevità del tempo disponibile per la pratica (spesso puramente hobbystica);
• le necessità extra–pratica (gare, dimostrazioni) influenzano spesso i ritmi
e i carichi di lavoro;
• il Maestro vede alle volte il suo ruolo ridursi a quello di ‘contenitore’ di
tecniche e forme;
• per mancanza di tempo e per necessità diverse, molto spesso è difficile
approfondire argomenti più o meno importanti;
• alle volte, le iniziative delle federazioni — peraltro animate da intenti
positivi — possono avere effetti negativi sulla programmazione e la tipologia dei periodi di allenamento, a causa delle iniziative adottate nel
corso degli anni (agonismo, esami ecc. . . );
• l’arte marziale, considerata da molti una moda, viene spesso trattata
superficialmente, con il solo intento di crearsi un’immagine di “guerriero”
nei confronti degli altri. In passato sono stati molti i manager a passare
alle discipline di combattimento per questa errata concezione dell’Arte.
La pratica nelle palestre italiane non è immune a queste problematiche, di
difficile gestione.
Per un insegnante è necessario trovare un ponte tra le necessità della tradizione, esigente e complessa ma foriera di un risultato pieno e duraturo, e
la visione occidentale, per molti versi “fisiologicamente” diversa e peraltro di
notevole rilievo.
Bisogna, quindi, riuscire a sviluppare un metodo di insegnamento che riesca
ad accorpare in sé il meglio delle due visioni, a seconda della situazione e del
“parco” di atleti.
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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Obiettivi fondamentali.
“Il corpo e la mente: nessuno dei due dovrebbe guidare l’altro”
Shinmen Takezou (Miyamoto Musashi), Gorin no Sho
Uno dei principali obiettivi di un Maestro dovrebbe essere l’occuparsi di
formare in senso globale quanti decidano di seguirne l’impostazione, senza per
questo trascurare coloro che — per qualunque motivo — frequentino la palestra
senza la stessa dedizione di altri o con interessi, diciamo, più “leggeri” (attività
fisica, difesa personale, agonismo. . . ).
4.1
Istruzione: tecnica, tattica, pratica.
Senza dubbio questo è l’argomento che per primo salta agli occhi. Un insegnante di arti marziali è, innanzitutto e soprattutto, istruttore di tecniche e strategie di combattimento; egli insegna una disciplina di movimento finalizzata al
combattimento.
4.1.1
Attività fisica e tecnica. Didattica.
Il suo primo compito è dunque quello di mantenere la propria competenza
tecnica a livello più alto possibile, osservando con onestà e sincerità le proprie
carenze e cercando continuamente di migliorare e limare i limiti della sua preparazione. È oltremodo demotivante, per un allievo, rendersi conto che il suo
insegnante si “lascia andare” e non fa quanto è in suo potere per mantenere la
propria tecnica al livello che gli compete; difficilmente un praticante si sentirà
invogliato a seguire un insegnante cosı̀ poco motivante.
Allo stesso modo è necessario mantenere un’efficienza fisica elevata, oltre
la media ancorché (comunque) commisurata all’età e ai possibili infortuni; un
Istruttore o un Maestro lavorano principalmente con il proprio corpo, pertanto
devono averne cura e rendere conto della loro efficienza fisica ai propri allievi.
Nell’insegnare, un Maestro cerca di fornire all’allievo i mezzi per padroneggiare la tecnica, lasciando peraltro a questi il compito di interiorizzarla e
farla completamente sua: questo è il compito dell’allievo, nel quale il Maestro
non può sostituirlo. Ecco dunque la validità del metodo detto “insegnare senza insegnare”: i particolari della tecnica e i mezzi per conseguirla sono dati
dal Maestro, il lavoro di approfondimento viene lasciato all’allievo, che in studi come questo non può — comunque — pretendere di seguire un approccio
“comodo” e oltremodo semplificato.
La didattica, dunque, è un parametro fondamentale per la valutazione di
un Maestro: un vero insegnante cerca sempre il metodo migliore per dare a tutti ciò che cercano, nel modo migliore e con la maggiore efficienza possibile. Questo discende da uno studio pedagogico preliminare e, successivamente, dall’at-
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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tenta osservazione degli allievi, dei loro interessi e delle loro caratteristiche
psico–fisiche, nonché dall’esperienza dei propri precedenti insegnanti.
L’insegnante deve tenere sempre conto che, per un allievo, è meglio passare
un anno a cercare un Maestro competente, piuttosto che a seguire un inetto;
proprio per questo, sarà bene che l’insegnante si assicuri di non trovarsi a
rivestire i panni dell’inetto in questione. . .
4.1.2
Nel karate do: lo studio tradizionale e i kata.
In particolare, nello studio del karate do, la pratica del kata deve essere considerata il nucleo fondamentale dal quale non si può prescindere. Nelle sue fasi
principali (studio a vuoto, kaisetsu o applicazione dimostrativa e bunkai, ossia
l’applicazione a coppie di studi tratti dagli schemi motori e delle metodiche
di allenamento che il kata contiene), cosı̀ come negli aspetti più profondi e
nascosti dello studio (come i legami con le tecniche del progenitore quan fa
cinese), il kata rappresenta il vero ponte tra lo studio formale dello stile che
si pratica e l’applicazione libera (tipica del Jiyu kumite e molto diversa dallo
Shiai kumite, legato come detto alle regole dell’agonismo).
Non solo: il kata è anche lo studio complesso e sfaccettato di una disciplina
fisica e mentale, e ancora comporta un’analisi della componente emotiva e
psicologica nella pratica. Un esempio particolarmente evidente sono gli enkai
kata, forme sviluppate a Okinawa e — purtroppo — andate perse circa 70
anni or sono, eseguite con il canto e uno specifico accompagnamento musicale,
che ponevano l’accento soprattutto su respirazione e interpretazione emotiva
(controllo delle emozioni).
Lo studio del kata, per questa ragione e per altre ancora, non finisce mai,
e non si limita soltanto alla ricerca della perfezione stilistica: va molto oltre
e molto più in profondità. Anche per questo, limitarsi alle versioni “da gara”
del kata e a bunkai “spettacolari” è quantomeno riduttivo, se non addirittura
dannoso ai fini dello studio completo dell’Arte. Non sono rari, purtroppo, gli
esempi di Atleti anche molto anziani che ritengono i kata archeologia inutile,
fine soltanto alle competizioni e al superamento degli esami, dimostrando cosı̀
una perniciosa ignoranza.
4.1.3
Aggiornamenti e approfondimenti.
È importante che un Maestro si mantenga aggiornato in genere, e in particolare a riguardo della propria disciplina: esistono sempre argomenti non completamente noti, ed è bene disporre di informazioni sperimentate e dimostrate.
Questo, sicuramente, vale dal punto di vista agonistico, in cui regolamenti e
strategie di allenamento e di gara sono soggette a cambiamenti nel tempo e
anche a seconda degli Enti e delle Federazioni preposte a stilarli, ma può riguardare anche la possibilità di conoscere aspetti a volte ignoti della propria
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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stessa arte, tenuti nascosti dalle evoluzioni del passato. La cosa si nota particolarmente nel Karate Do, nel quale molti aspetti dell’origine sino–okinawense
sono passati in secondo piano in seguito alle decisioni prese dalla JKA nei
decenni successivi. Tra gli aspetti in cui è importante tenersi al passo si possono citare le metodiche di allenamento tecnico e il potenziamento fisico, lo
stretching e cosı̀ via.
È bene che un Maestro sia a conoscenza dei minimi aggiustamenti necessari
per rendere correttamente una tecnica o una combinazione; che ne conosca
applicazioni e controindicazioni, validità (in gara o meno) ed efficienza, nonché
efficacia reale e applicabilità a seconda della morfologia e della situazione (uno
contro uno, più persone contro una, in ambienti diversi. . . ).
La stessa terminologia, la pronuncia dei nomi e delle tecniche, la loro descrizione, dovrebbero essere oggetto di studio approfondito. Le risorse per lo
studio della pronuncia e delle corrette denominazioni, spesso viziate da errori di vario genere (quando non da parole inesistenti nella lingua originale!),
sono accessibili a prezzi relativamente ridotti, o addirittura gratuitamente e
legalmente, tramite Internet e biblioteche specializzate.
Infine, sottolineo l’utilità e anzi la necessità di intraprendere discussioni e
scambi tecnici con insegnanti di altre discipline. È molto interessante e istruttivo conoscere l’approccio preso da altre arti marziali, spesso anche per scoprire
un’altra prospettiva nel vedere la propria stessa disciplina. Le comunanze tra
scuole di combattimento diverse sono spesso sorprendenti, ed è utile poter
colmare le lacune di una con le peculiarità di un’altra.
Si deve, comunque, considerare come fondamentale l’arte che si pratica e si
insegna, e bisogna insistere nel suo perfezionamento e approfondimento, dando
il giusto peso ai contributi esterni a essa. L’obiettivo è e deve essere sempre
e comunque il perfezionamento globale della tecnica e dell’efficienza, anche
aiutandosi con altre informazioni, senza per questo rischiare di perdere un
“cammino” globale sicuro e ben saldo. Anche per questo, sono molti i Maestri
che sconsigliano a un allievo di intraprendere lo studio di altre discipline prima
di un tempo più o meno lungo.
4.2
Aspetti psicologici ed emotivi.
Le arti marziali sono un importante percorso psicofisico per il miglioramento
della persona. Un vero Maestro tratta un praticante come un unico insieme
psico–fisico, aiutando i propri allievi a fare importanti confronti con sé stessi
e le proprie paure, i propri traumi, e a liberarsi dai blocchi emotivi e culturali
che ne limitano la crescita e la maturazione.
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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Questo vale per qualsiasi età e condizione sociale. Il confronto fisico, con se
stessi o con i compagni, è un banco di prova nel quale difficilmente è possibile
mentire, e quasi impossibile è farlo senza che altri se ne accorgano.
Senza improvvisarsi psicologo, un Maestro deve badare alla corretta formazione del praticante e aiutare ognuno dei propri allievi a studiarsi e correggersi,
esaminandosi da tutti i punti di vista.
Un primo passo per questo è aiutare gli allievi a ottenere un corretto radicamento a terra, tramite lo studio delle posizioni codificate e della posizione
di guardia libera (Il Maestro Anko Itosu sosteneva: “Il karate si pratica con
il corpo diritto, i polmoni aperti, le spalle abbassate e i piedi ben piantati a
terra”): imparando a gestire le tensioni che falsano e rendono problematiche
le posture, l’allievo prende confidenza con il proprio corpo e ne comprende il
legame con il terreno, acquisendo maggiore conoscenza di se stesso.
Lo studio dei movimenti e degli spostamenti insegna invece a generare
l’energia e trasferirla nel bersaglio (kime); in questo modo il praticante comprende ancor meglio il suo legame con la terra, insieme al rapporto con gli
altri, grazie alla pratica a coppie o in gruppi. Anche per questo è bene saper
unire la pratica al vuoto con quella a contatto più o meno profondo e intenso
(kote kitai, pratica con scudi e racchette, combattimenti a contatto medio o
pieno praticati assieme al lavoro no– o light–contact. . . ).
Lo studio della respirazione e l’allenamento alla gestione del territorio, l’integrazione tra respiro, movimento e apporto emotivo, unitamente alle complesse strategie di combattimento e all’uso delle tecniche in combinazione e
in combattimento libero “continuato”, portano ai livelli successivi del perfezionamento. Infine, l’allenamento all’assorbimento e alla gestione dei colpi
subiti (kime difensivo) consentono al praticante di comprendere sempre meglio
i propri limiti (fisici e caratteriali) e di capire come superarli.
Tutte queste componenti hanno notevole influenza nella sfera emotiva e
personale del praticante, ed è bene che il Maestro tenga conto dell’aspetto emotivo della pratica e dell’insegnamento (Miyamoto Musashi parlava in proposito
di “colpire veramente”); un attacco lanciato con il giusto apporto emotivo è
completamente diverso dallo stesso attacco, lanciato senza la determinazione
e l’intensità implicata da una opportuna partecipazione della sfera emotiva.
D’altro canto, un combattimento che veda il praticante cadere in preda
all’emotività è un sicuro percorso verso la sconfitta; è necessario quindi che
ogni allievo riesca a vivere correttamente le proprie emozioni, nel dojo come
fuori da esso.
Per ottenere questi obiettivi, è di estrema importanza che il Maestro si
disponga all’insegnamento in dettaglio, con attenzione e rivolgendosi a ognuno
nel modo più adatto. Questo implica, da parte del Maestro, la capacità di
“ascoltare”, non solo con le orecchie, ma anche con l’osservazione attenta e
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non invadente, le reazioni del singolo allievo, mettendo da parte pregiudizi e
conflitti caratteriali, ed eventualmente di entrare in un rapporto confidenziale
con almeno una parte di essi, per poter dar loro il meglio di sé e ottenere da
essi il massimo.
Un altro passo importante in questo senso è il tentativo di creare un gruppo
affiatato, che comprenda per quanto possibile agonisti e non agonisti, in modo
che i praticanti avvertano un senso di accoglienza nell’entrare in palestra (dojo,
dojang o kwoon che sia); formare quindi un ambiente in cui la collaborazione
e un senso di appartenenza permettano agli allievi di apprendere meglio, e
all’insegnante di insegnare meglio, in un contesto armonico e stimolante.
Sapere che si fa parte di un gruppo di amici, pronti all’aiuto e alla considerazione attenta e affettuosa, migliora enormemente l’interesse verso la pratica e
i risultati ottenuti dall’allievo; lo spirito di emulazione tra compagni, potente
stimolo all’apprendimento, può aiutare ogni allievo a sentirsi membro di un
gruppo e non indesiderato, senza quindi lasciarlo frustrato e con la dolorosa
sensazione di essere abbandonato nei suoi tentativi di miglioramento. A questo
scopo, è il Maestro stesso a dover per primo mostrare un trattamento equo e
non viziato da conflitti caratteriali o personali con gli allievi, o anche da banali
antipatie più o meno “di pelle”.
un cenno speciale meritano i bambini e gli adolescenti, sul cui insegnamento si sono già scritte pagine e pagine di studi: per essi l’insegnamento va
condotto secondo criteri di particolare delicatezza e attenzione, instradandoli
soprattutto tramite il gioco creativo alla pratica, alla disciplina e in particolare
al rapporto con i compagni. In questo senso sarà importante aiutare i bambini
a capire che l’arte marziale non è un complesso di salti, acrobazie, colpi più
o meno segreti e devastanti e urla da supereroe, o un cruento scontro tutti
contro uno dal quale uscire vincitori senza problemi; tantomeno un modo per
stabilire una sorta di supremazia nei confronti degli altri. Tramite il gioco, la
relazione con i compagni e la pratica fisica attenta a un corpo in pieno fermento (che sia bambino o adolescente), il Maestro insegnerà al piccolo praticante
la coordinazione neuromuscolare, l’attenzione e l’acutezza mentale, ma anche
il rispetto per gli altri, per i compagni e per le autorità meritevoli, precetti
presenti nel “codice d’onore” (Hagakure) dei Samurai.
Niente eccessiva durezza, quindi, né la forzatura a instradare i ragazzi o i
bambini verso un tipo esclusivo di carriera marziale (agonistica, di combattimento o altro), ma uno sguardo attento e paziente alla crescita di bambini e
ragazzi verso una fase di maggiore maturità, perché possano divenire adulti
completi e responsabili senza dimenticare il loro lato più innocente e prezioso.
Proprio per questo, e specialmente con i bambini, un Maestro si deve egli stesso impegnare a dimenticare la sua età e una malintesa “dignità” di “adulto”,
ideando giochi sempre nuovi e stimolanti, e creando situazioni in cui i bambini
possano confrontarsi su un piano di assoluta parità, e aiutando cosı̀ i piccoli
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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a formare una corretta scala di valori e a ottenere una vera considerazione
dell’altro come persona.
Simile, e altrettanto delicato, è il discorso per gli adolescenti, nei quali la
pubertà — con i cambiamenti fisici e comportamentali che procura — può
generare vari tipi di problemi. Il Maestro non può comportarsi in maniera
autoritaria senza razionalità né comprensione, ma deve cercare di conoscere le
peculiarità di ognuno di questi allievi allo scopo di aiutarli a prendere coscienza
della trasformazione in atto; in questo modo, un adolescente può maturare e
scendere più facilmente a patti con una crescita emotiva e fisica spesso fonte
di notevoli complicazioni.
E ancora, un vero Sensei non può “emarginare” più o meno intenzionalmente le donne rispetto agli uomini. Se è vero che, costituzionalmente, il
maschio è dotato di maggiore forza fisica (in media e a parità di allenamento), è altrettanto vero che questo non costituisce un problema reale. Il Karate
Do e le altre arti marziali dispongono di un’infinità di movimenti e tecniche,
strategie e tattiche, alle volte particolarmente nascoste (Vale la pena qui citare
due kata Shotokan, Chinte e Nijushiho, dei quali si dice siano stati sviluppati
specificamente per le donne), che rendono questo cammino vantaggioso per
qualsiasi praticante che voglia impegnarsi, senza costringere una donna a fare
una ridicola parodia di “Soldato Jane”.
Attraverso l’impegno fisico e mentale, l’auto–analisi e il rapporto con compagni e avversari di ambo i sessi, una donna può (se vuole davvero) identificare
e mitigare tutti quegli aspetti culturali e falsamente moraleggianti che generalmente le impediscono di esprimersi appieno, e di liberare sentimenti ed emozioni bloccate nell’atteggiamento corporeo, esattamente come per gli uomini può
essere possibile accettare ed esprimere il loro lato più delicato e tenero, senza
lasciarsi condizionare da quelle imposizioni culturali e sociali che tendono ad
assegnare ruoli determinati e cristallizzati al “maschio” e alla “femmina”; tutto questo viene realizzato sempre e comunque nel tentativo di aiutare se stessi
e gli altri a raggiungere una fase di maggiore maturità e libertà espressiva.
4.3
Aspetti relazionali.
L’insegnamento delle arti marziali implica anche la possibilità di toccare punti
estremamente delicati del corpo e anche dell’animo delle persone. Un Maestro
lavora con “materiale umano” che spesso attraversa o ha attraversato fasi
critiche della propria vita; nella mia pluriennale esperienza di praticante, ho
personalmente notato che molti atleti hanno subito qualche tipo di trauma
emotivo, o hanno problemi relazionali o comportamentali, oppure una visione
distorta di se stessi.
Altri atleti, i quali non evidenzino questi problemi, non sono comunque
da considerare una “tabula rasa” su cui è possibile scrivere con leggerezza: il
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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praticante va considerato nella sua interezza, come persona completa in formazione (bambino, adolescente) o formata e quindi più o meno matura (adulto), e
pertanto come un intero corpo–mente–spirito da tenere sempre in considerazione, con l’attenzione, la sensibilità e la delicatezza necessaria quando si toccano
le corde dell’animo umano, e allo stesso momento con l’autorità necessaria a
stabilire un rapporto di correttezza e rispetto reciproco.
Questo potrebbe contrastare con la superficiale immagine di “duro” che generalmente si associa al concetto di “Maestro” qui in Occidente; bisogna invece
tener presente che un Maestro, secondo il concetto orientale e in un’accezione
completa, è una persona dotata di un grande spirito di misericordia e comprensione e che per questo mette se stesso a disposizione degli altri, aderendo
a un ideale di servizio (Samurai).
L’insegnante deve dunque fare sempre attenzione nel rapportarsi ai propri
allievi. Il Maestro che desideri un certo tipo di condotta nel dojo (e possibilmente fuori da esso) deve per primo osservare la condotta che desidera dagli
allievi, cercando un giusto rapporto tra rigore e affabilità: mantenere un certo
distacco e l’autorità nei confronti dei suoi allievi, ma allo stesso tempo non
essere inutilmente distante da essi. Anzi, tramite il suo comportamento, potrà
far sı̀ che gli allievi stessi lo sentano come un punto di riferimento valido.
Allo stesso modo è molto importante che riesca a trattare gli allievi con la
massima equità, senza accordare preferenze o lasciarsi prendere da antipatie
personali, che per quanto possano apparire comprensibili sono decisamente
da rifuggire. Le persone percepiscono facilmente le differenze di approccio
e di atteggiamento, e conseguentemente possono farsi un’opinione negativa
dell’insegnante, o addirittura rimanerne feriti; è bene che il Maestro cerchi
sempre l’approccio più corretto e responsabile verso i propri allievi, osservando
con onestà il suo comportamento con essi prima ancora di quello degli allievi
tra di loro. Ancora una volta questo vuol dire “ascoltare” e “sentire”, un
ascolto che stavolta viene riferito a se stessi anziché agli altri.
La necessità di un corretto rapporto con gli allievi è molto importante per
mantenere il rispetto reciproco, stimolare l’apprendimento, creare un giusto
legame tra gli allievi e tra questi e il Maestro: anche per questo, il Maestro ha
per primo la responsabilità della migliore condotta nel dojo. Una volta fatto
ciò, con il tempo saranno gli allievi “storici” a fare essi stessi da appoggio e
sostegno al Maestro, in un’ottica di scambio mutuo e solidarietà (Jita Kyoei:
amicizia e mutua prosperità) che Maestri fondatori come Gichin Funakoshi e
Jigoro Kano hanno sempre cercato di porre come primo obiettivo della loro
arte, e che è il nucleo fondamentale dell’Aikido di Soke Morihei Ueshiba.
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
4.3.1
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Sulla questione morale.
È senza dubbio importante l’aspetto morale della pratica dell’arte marziale.
Uno degli asserti del nijukkyu di Gichin Funakoshi è: “Il Karate è il completamento della giustizia”, frase che chiarisce bene quanto fosse importante per
questi l’attenzione alla giustizia e a una condotta morale retta e giusta.
Anche per questo è necessario che l’insegnante si ponga come esempio.
Questo significa che egli deve tenere sotto attento esame la propria condotta
morale, e che dovrebbe (deve), con onestà e sincera umiltà, accettare i propri
difetti e non nasconderli, fingendo cosı̀ di fronte agli allievi di essere una sorta
di perfetta guida spirituale e morale.
Seguendo precetti provenienti da molto pensiero filosofico (di varie origini:
greco antico, taoista, religioso o altro), è di grande importanza che il Maestro
osservi le proprie pecche morali e cerchi di correggerle, senza nasconderle o
fingere di non esserne affetto.
L’ipocrisia è un serio vizio della natura umana, perdipiù difficile da mascherare a lungo, cosı̀ come l’invidia e la superbia, difetti gravi della condotta
morale e che impediscono di creare un buon rapporto con i propri allievi. Pertanto, l’insegnante che voglia meritare il titolo di Maestro deve sempre essere
all’erta su se stesso prima ancora che sui propri allievi, per correggere le sue
mancanze e i suoi difetti e migliorare la propria condotta. Anche questo collima con il principale obiettivo dell’arte marziale, cosı̀ come dovrebbe essere:
migliorare la persona globalmente, nel fisico, nella mente e nell’animo.
Nel rapporto con i propri allievi, i quali possono attraversare problemi contingenti o di lunga durata, è molto importante mantenere un atteggiamento attento e sinceramente dedito a essi: uscendo dall’ambito del puro insegnamento
tecnico–tattico, il Maestro, con il suo comportamento corretto e la tranquillità
che emana da una effettiva maturità, può venire visto come un valido sostegno
per gli allievi che stiano attraversando qualche situazione critica. Anche per
questo è bene che il Maestro non finga di essere una persona lontana e inarrivabile, ma piuttosto metta da parte ogni tentazione di presunzione o superbia,
e che con estrema attenzione misuri le parole e il tono dei suoi discorsi, senza
lasciarsi andare a pareri, opinioni o giudizi azzardati e malaccorti.
Anche nel rapporto con i propri colleghi, l’onestà di un Maestro si nota
nell’atteggiamento sinceramente modesto, gentile e servizievole, ma non servile né ipocrita, e nella onesta considerazione delle qualità e dei difetti di ognuno
e di ogni situazione, senza avanzare giudizi presuntuosi e immaturi. Questo
permette al Maestro di non assumere una posizione di torto rispetto a compagni e colleghi, e di poter con loro in qualsiasi situazione intrattenere relazioni
comunque vantaggiose da tutti i punti di vista e per tutti.
Allo stesso modo, se incorre in un errore, un insegnante maturo e responsabile sa ammetterlo, e nello stesso tempo accettare la responsabilità di riparare
4 OBIETTIVI FONDAMENTALI.
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a tale errore, muovendosi per primo a chiarire ogni cosa senza accampare scuse
più o meno plausibili, anzi scusandosi per primo per quanto possa essere fonte
per lui di imbarazzo presso coloro che possano essere offesi da tale errore.
L’onestà, un valore molto difficile da curare, richiede estrema attenzione e
pensiero critico, e un costante interrogarsi sulla correttezza delle proprie azioni
e dei propri pensieri. Il vero Sensei è sempre all’erta prima su se stesso, poi
sugli altri.
5 CONCLUSIONI.
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Conclusioni.
“Non è l’arte che fa l’uomo, ma l’uomo che fa l’arte”
– Soke Gichin Funakoshi
Il termine “Sensei” non indica semplicemente un insegnante, quanto qualcuno dotato, per età ed esperienza, di una vera autorità e di una profonda
conoscenza ad ampio spettro. “Conoscenza” non semplicemente intesa come
bagaglio tecnico, ma anche e soprattutto (in un’accezione, se vogliamo, filosofica del termine) conoscenza della nobiltà e della miseria della persona umana,
delle sue pecche e delle sue potenzialità come complesso fisico e spirituale.
Ottenere la qualifica di “Maestro” è quindi solo un passo verso un cammino
estremamente complesso e irto di difficoltà e responsabilità. Il Maestro non può
limitarsi a insegnare tecniche, strategie e regole: deve cercare una formazione
a tutto tondo degli allievi che vogliano ascoltarlo, e questo impone che egli per
primo sia sotto costante autocontrollo.
Senza imporsi rigidamente un atteggiamento forzato e precostituito di “inarrivabilità”, una maschera di perfezione, o peggio comportarsi in maniera
ipocrita, predicando ciò che per primo non riesce a (o non intende) seguire, il
Maestro deve essere conscio di avere dei doveri molto profondi e un compito
importante nei confronti dei propri allievi; per questo motivo, deve studiarsi
ancor più a fondo di quanto abbia fatto fino a quel momento, cercando in ogni
momento della sua esistenza di ottenere quell’integrazione tra mente, corpo
e spirito che dovrebbe essere l’obiettivo finale nei confronti dei propri allievi.
Divenire un punto di riferimento per i suoi praticanti significa, ogni giorno,
confrontarsi con le proprie meschinità e i propri difetti, tecnici, caratteriali e spirituali, e senza inutilmente autocommiserarsi (tantomeno accampare
futili giustificazioni) provvedere immediatamente a cercare di correggerli, o
comunque a mantenere sempre alta l’attenzione sul proprio comportamento.
Questo comporta un atteggiamento di fondamentale umiltà e modestia,
assieme all’onesta, a volte spietata, osservazione di se stesso.
Il vero Maestro si prende seriamente cura dei propri allievi, ciascuno secondo le proprie possibilità e inclinazioni; non li giudica, tantomeno li deride o li
ridicolizza, ma tenta sempre di porsi come aiuto, mantenendo comunque una
giusta scala di valori e di ruoli, in un rapporto corretto maestro–allievo che,
senza lasciare spazio a una futile e malintesa “complicità”, consenta piuttosto
una relazione corretta, rispettosa e di stimolo per entrambi.
In questo senso, l’atteggiamento di modestia e umiltà dev’essere mediato dalla conoscenza sincera non solo dei propri difetti, ma anche dei propri
pregi e delle proprie effettive qualità umane migliori: la disponibilità all’ascolto, l’accoglienza e la riservatezza, la temperanza e l’autocontrollo, tutte doti
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dell’animo che le Arti Marziali possono aiutare a sviluppare e rendere pilastri
di un’intera esistenza.
Il cammino della maestria è disseminato di difficoltà, ma proprio per questo
è fonte di preziose conoscenze e destinato a durare tutta una vita.
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Bibliografia.
• Rosa Maria Distefano: Psiche Marziale - arti del combattimento per la
crescita psicofisica, Ed. Mediterranee.
• Tomas Kurz: Stretch yourself, edizioni Stadion Publishing
(http://www.stadion.com).
• Werner Lind: I Kata classici - Nell’insegnamento dei grandi maestri, Ed.
Mediterranee.
• Kiyoshi Arakaki: La potenza segreta del karate di Okinawa - Principi e
tecniche delle origini, Ed. Mediterranee.
• Dario Zaccagnini: L’arte della mano vuota - dal cucciolo all’Uomo. Tesi
di laurea.
• Gianni Tucci: Karate katas Shotokan - da cintura bianca a cintura nera,
Ed. Sperling & Kupfer.
• Gichin Funakoshi: Karate do Kyohan, Ed. Mediterranee.
• Masatoshi Nakayama: Karate, Oscar guide, Ed. Mondadori.
• Masatoshi Nakayama: Super Karate - Kumite, voll. 3 e 4, Ed. Mediterranee.
• Maria Luisa Carbone: Vox Arcana - teoria e pratica della voce. Ed.
Rugginenti.
• Lao Tse: Tao te Ching - il libro della Via e della Virtù. Ed. Baldini
Castoldi Dalai.
• Cheng Man Ching: Tredici saggi sul Tai Chi Chuan, Ed. Feltrinelli.
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Ringraziamenti.
Nel completare questa tesi, mi corre l’obbligo di ringraziare alcune persone
che hanno contribuito alla mia formazione marziale e personale.
Ringrazio anzitutto il mio Maestro Gianni Tucci, che in molti momenti mi
è stato di grande aiuto da vari punti di vista, offrendomi la sua esperienza e la
sua competenza in tante situazioni. Allo stesso modo, e per gli stessi motivi,
ringrazio il Maestro Massimo Serani, che ha cercato sempre di essere presente
nella vita dei suoi compagni e di contribuire a formare un compatto gruppo
di praticanti che fossero innanzitutto amici all’interno del dojo; ringrazio infine il Maestro Alessandro Fasulo, sempre disponibile ed entusiasta nel suo
tramandare l’arte del Karate, insieme al suo staff tecnico.
I miei ringraziamenti vanno anche alle persone che hanno voluto ricevere da
me aiuto tecnico e personale, durante i periodi di gara come di esame, e aldilà
di questi: ringrazio in particolar modo Alessandra Bellantoni, che ha sempre
ascoltato con atteggiamento critico ogni mia affermazione, portandomi cosı̀
ad approfondire molti aspetti tecnici e non della pratica del Karate do e del
Taiji Quan; assieme a lei ringrazio qui tutti coloro che hanno voluto onorarmi,
chiedendomi di aiutarli nella preparazione per esami, gare e in generale hanno
voluto lavorare con me.
Ringrazio altresı́ i compagni e gli amici (presenti e passati) di allenamento
del dojo che frequento, assieme a tutti coloro che ho conosciuto nella pratica
marziale; i colleghi dei corsi, gli amici marzialisti del gruppo I.S.A.M. e i
Maestri che ho incontrato finora, grazie ai quali la mia formazione è arrivata
ai livelli attuali — per quanto da migliorare.
Gli altri si ribellano, io sono immobile
Trascinati dai loro desideri, io sono immobile
Udendo le parole dei saggi, io sono immobile
Mi muovo solo a modo mio
– Lu Yu, poesia al pensiero di Bodidharma
Mentore Siesto
Finito il 28 giugno 2007