il testo - Scuola dell`infanzia e Secondaria di I

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il testo - Scuola dell`infanzia e Secondaria di I
IL TESTO
Con la parola testo intendiamo qualsiasi messaggio di senso compiuto, scritto o orale, lungo o
breve, che esprima un contenuto (è un testo anche il cartello “vietato fumare”). La parola testo
deriva dal latino textus, che significa “tessuto”: ogni parola, ogni frase, ogni parte è intrecciata alle
altre da legami logici e sintattici come i fili di un tessuto sono intrecciati tra loro a formare un
qualcosa di unitario; le informazioni sono in relazione tra loro e formano un contenuto unito e
coerente. Ogni testo è formato da PAROLE che sono costituite da due elementi, il significante e il
significato:
• IL SIGNIFICANTE è l’insieme dei suoni che vengono prodotti pronunciando una parola
o, se la parola non viene pronunciata, l’insieme delle lettere che la compongono sulla
pagina (per capire meglio, bisogna pensare ad una lingua che non si conosce: se non
conosco il latino e sento o leggo una parola come LEX, l’unica cosa che percepisco è
l’insieme dei suoni o delle lettere che compongono questa parola [L – E – X], ma nella
mia mente non appare nessuna “immagine mentale” legata a quel suono o a quella
parola scritta, perché non so “cosa voglia dire”, appunto cosa significhi).
• IL SIGNIFICATO è l’idea che ci si forma nella mente quando sentiamo il suono di una
parola o la leggiamo, ovviamente se conosciamo la lingua in questione (cioè quando
sappiamo cosa significhi una parola): se sento pronunciare o se leggo il significante A –
L – B – E – R – O, nella mia mente si formerà l’immagine di un albero; ogni parola,
dunque, è associata ad un’immagine mentale che dà, appunto, significato all’insieme di
suoni e di lettere che formano la parola. Insomma, se non si conosce il significato delle
parole l’unica cosa che noi percepiamo è un insieme di suoni o di lettere che non ha
alcun senso (quindi, perché il messaggio sia chiaro, ci deve essere comprensione del
significato; tant’è vero che quando sentite o leggete una parola per voi “nuova”, chiedete
subito cosa significhi, altrimenti il messaggio che il testo vuole emanare vi rimane
oscuro).
Perché un testo sia tale, deve possedere requisiti determinati, ossia:
• ORDINE SINTATTICO: l’ordine delle parole deve garantire la comprensione del
messaggio che, attraverso il testo, si vuole trasmettere; ho comprato un quaderno nuovo,
NON nuovo io comprato quaderno ho.
• COMPLETEZZA: il messaggio che il testo veicola deve essere completo, NON posso
dire “voglio parlare con” ed interrompere la frase, è incompleta.
• COERENZA: il testo deve avere continuità di senso logico (non si può, cioè, passare da
un argomento all’altro, senza passaggi logici; tutti i concetti espressi devono essere in
relazione tra loro).
• COESIONE: in un testo, le parole e le frasi sono collegate tra loro da legami
grammaticali e lessicali che danno senso e chiarezza al messaggio del testo. La
coesione del testo si ottiene tramite coesivi testuali (solo per fare un paio di esempi:
aggettivi, verbi, pronomi debitamente concordati – ad es: Maria è bella; NON Maria sono
belli –, oppure la ripetizione quando serve per evidenziare maggiormente un concetto –
ad es: Mia moglie vuole andare al mare, ma a me il mare non piace) e connettivi
(congiunzioni, locuzioni, avverbi, e preposizioni che mettono in relazione le varie parti del
testo tra loro – ad es: Non parlare mentre mangi; da quello che abbiamo detto, si deduce
che...; io ho la febbre, mia moglie la tosse e mio figlio il raffreddore, insomma siamo
messi male).
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IL TESTO SCRITTO
La prima importante distinzione all’interno della categoria “testo scritto” è quella tra TESTO
LETTERARIO (romanzi, racconti, poesie ecc...) e TESTO NON LETTERARIO (codici di leggi,
istruzioni d’uso di oggetti, fogli informativi, relazioni ecc...); le due tipologie di testo si
differenziano per tre punti fondamentali: lo scopo, il linguaggio, il contenuto.
SCOPO
LINGUAGGIO
CONTENUTO
TESTO LETTERARIO
TESTO NON LETTERARIO
Piacere del leggere e dello
spaziare con la mente; non
esiste uno scopo pratico, ma
un diletto personale che
suscita emozioni e riflessioni.
Linguaggio ricco e vario;
spesso il testo letterario è
polisemico (ossia una parola
può avere un significato
letterale, ma anche uno
simbolico) e vi è necessità di
interpretarlo.
Reale o immaginario (la
finzione letteraria).
Utilità pratica: se leggo un
foglio di istruzioni non provo
piacere alcuno, ma lo faccio
solo per necessità.
Linguaggio univoco, non c’è
da interpretare (se nelle
istruzioni, mi viene detto di
pigiare un tasto, devo farlo e
basta, senza possibilità di
fraintendimenti).
Solo reale.
Più specificamente, i testi non letterari, a loro volta, si suddividono in:
• testi narrativi non letterari: cronache, relazioni di viaggio ecc...;
• testi descrittivi: trattati tecnico-scientifici, guide turistiche ecc...;
• testi informativi: enciclopedie, libri scolastici, saggi ecc...;
• testi regolativi: leggi, regolamenti, istruzioni ecc...;
• testi persuasivi: messaggi pubblicitari;
• testi argomentativi: editoriali, recensioni di film, libri ecc...
I testi letterari, invece, si suddividono in:
•
•
•
TESTI NARRATIVI
TESTI POETICI
TESTI TEATRALI
IL TESTO NARRATIVO
Si tratta di un testo scritto in prosa, che racconta una vicenda ambientata in un determinato luogo
ed in un determinato tempo, di cui sono protagonisti uno o più personaggi.
Del testo narrativo fanno parte le seguenti tipologie:
• favola (attenzione: la favola può essere anche scritta in versi ed essere dunque un testo
poetico);
• fiaba;
• racconto e novella;
• romanzo:
d’avventura
storico
giallo
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psicologico
naturalista / realista / verista
di fantascienza
rosa
di fantasia
sociale
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TESTO NARRATIVO
Ogni testo narrativo è scritto da UN AUTORE, la persona reale che materialmente scrive il testo,
ed è composto da:
• UNA STORIA: può essere reale, immaginaria ma realistica o immaginaria e fantastica.
• UN NARRATORE: è la voce immaginaria che narra la storia; non va confuso con
l’autore: il narratore, lo si ribadisce, è, nella finzione letteraria, la voce che ci racconta la
storia. Esempio: Il treno ha fischiato ha come AUTORE Luigi Pirandello, ma come
NARRATORE (la voce narrante della vicenda) il vicino di casa del protagonista, che
diventa quindi lo “strumento” di Pirandello per narrare la vicenda (solo in certi tipi di testo,
come l’autobiografia, la distanza tra autore e narratore si annulla, visto che è l’autore
stesso a narrare le vicende di cui è stato protagonista). Il narratore può essere:
interno alla vicenda narrata, esserne protagonista o testimone diretto: in tal caso
si chiama narratore OMODIEGETICO e narra in prima persona; anche in
questo caso è importante ribadire la differenza tra autore e narratore tramite un
esempio: «Sono nato nell’anno 1632, nella città di York, da una buona famiglia
[...]» è la frase con cui inizia il romanzo La vita e le strane sorprendenti
avventure di Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Ebbene, la persona nata nel
1632 non è Defoe, autore del romanzo, ma Robinson, personaggio immaginario
e protagonista del libro al quale l’autore, nella finzione letteraria, fa raccontare in
prima persona le vicende di cui è stato protagonista;
esterno alla vicenda, non ne fa parte, e in questo caso si chiama narratore
ETERODIEGETICO e narra in terza persona.
• UN PUNTO DI VISTA: è la prospettiva che il narratore assume nel presentare i fatti (il
punto di vista si chiama anche FOCALIZZAZIONE); il narratore può dunque osservare e
raccontare la storia attraverso vari punti di vista: può osservare i fatti come se fosse
“l’occhio di Dio”; può osservarli attraverso gli occhi di uno dei personaggi della vicenda;
oppure osservarli da un punto di vista più collettivo, come quello popolare. La
focalizzazione non è un concetto semplice, per cui proporrò un esempio che dovrebbe
chiarire meglio le idee: poniamo il caso che io, autore, voglia scrivere una vicenda i cui
protagonisti siano un bambino e una mamma: posso utilizzare un narratore che racconti
la vicenda dal punto di vista dell’ “occhio di Dio”, quindi che tutto vede e tutto sa, anche i
pensieri più intimi dei personaggi e le loro intenzioni; posso, però, far sì che la vicenda
venga narrata dal punto di vista di uno dei personaggi: se, infatti, la vicenda fosse narrata
attraverso gli occhi del bambino, essa apparirà differente rispetto alla medesima vicenda
narrata attraverso gli occhi della mamma (se il bambino vuole un gelato e la mamma
glielo nega, posso narrare questo fatto in maniera “oggettiva” e dire quello che succede;
oppure posso narrarlo dal punto di vista del bambino, per il quale la mamma è cattiva per
avergli negato il gelato; posso pure raccontare, però, lo stesso fatto dal punto di vista
della mamma, per la quale il no è per il bene del bambino, o perché ne ha già mangiato
uno, o perché potrebbe fargli male). Vi sono tre casi di focalizzazione:
FOCALIZZAZIONE ZERO: il narratore è completamente al di fuori del racconto,
ne è esterno e racconta i fatti in maniera completa, conoscendo tutto dei
personaggi e della vicenda, può esprimere giudizi e fare commenti e guidarci
nella narrazione, è in grado di dirci cosa succeda contemporaneamente ai vari
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personaggi in luoghi e situazioni differenti, insomma è l’ “occhio di Dio”: è il caso
del narratore ONNISCIENTE, ossia “che sa tutto” (ad esempio il narratore scelto
da Manzoni ne I Promessi Sposi).
FOCALIZZAZIONE INTERNA: il narratore può essere di entrambi i tipi:
♣ a) esterno, ma decide di assumere temporaneamente il punto di vista di
un personaggio (succede ad esempio ne I Promessi Sposi quando il
narratore “entra” per un momento nella mente di Renzo appena arrivato
a Milano e racconta ciò che succede dal punto di vista di un Renzo
ingenuo e sprovveduto; un altro esempio può essere Verga, che utilizza
un narratore esterno, ma che narra le vicende dal punto di vista interno
del popolo o dei vari personaggi che popolano la storia);
♣ b) interno alla vicenda e ci racconta i fatti in prima persona secondo il
suo punto di vista, come avviene, ad esempio, ne La coscienza di Zeno
di Svevo: qui il protagonista Zeno Cosini ci racconta la vicenda
presentandoci il suo punto di vista, facendoci vedere le cose come è lui
che le vede; viene così a mancare un narratore che dice come stiano
“oggettivamente” le cose.
FOCALIZZAZIONE ESTERNA: in questo caso il narratore è esterno, ma
nascosto, non interviene coi suoi commenti nella narrazione, ma è come se
fosse una videocamera che registra ciò che succede davanti al suo sguardo,
senza però conoscere i pensieri, le intenzioni e le coscienze dei personaggi. La
narrazione è, infatti, ricca di dialoghi.
NOTA BENE: AL TERMINE DI QUESTA DISPENSA TROVERAI UN’APPENDICE
(NUM. 1) SULLE VARIE TIPOLOGIE DI NARRATORI E DI FOCALIZZAZIONI.
• UN ORDINE: il narratore può raccontarci i fatti seguendo l’ordine cronologico (prima
succede X, poi succede Y, infine succede Z), oppure ridisporli intrecciandoli (succede Z,
perché prima era successo Y, perché prima ancora era successo X). La serie degli
eventi nel suo ordine cronologico si chiama FABULA; il modo in cui il narratore intreccia
la vicenda si chiama INTRECCIO. Ogni testo ha sia una fabula, sia un intreccio: anche
se un narratore ci racconta la storia intrecciando i fatti, noi possiamo comunque
ricostruire l’ordine logico e cronologico ideale. Esempio: un romanzo giallo inizia con UN
omicidio e poi il detective ricostruisce tutto ciò che è accaduto prima, per giungere a
scoprire chi ha commesso quell’omicidio; l’intreccio sarà dunque: omicidio, indagine del
detective che scopre i fatti che hanno portato all’omicidio e scoperta dell’identità
dell’omicida; la fabula sarà invece: fatti che causano l’omicidio, l’omicida decide di
uccidere, omicidio, indagine del detective. Un altro breve esempio: «La regina muore di
dolore perché un mese prima era morto il re»; INTRECCIO: morte della regina – morte
del re; FABULA (ordine cronologico): morte del re – morte della regina.
COME SI CREA UN INTRECCIO? Attraverso tre artifici:
ANALESSI, o flashback: inserimento nella narrazione di fatti relativi al passato
(esempio: il proemio dell’Iliade inizia con l’ira di Achille, ma noi lettori non
sappiamo da cosa è stata causata; allora Omero ferma la narrazione e spiega i
fatti accaduti che hanno portato Achille ad adirarsi; si tratta di analessi anche
quando in un film la scena si interrompe e appare la scritta “cinque anni prima”,
per cui la narrazione filmica si trasferisce al passato per farci meglio
comprendere ciò che sta succedendo. Sono analessi anche tutti quei casi in cui
un personaggio della storia ricorda avvenimenti della sua vita passata, ecc...).
PROLESSI, o flash-forward: anticipazione di fatti che accadranno in futuro (ad
esempio La morte di Ivan Ilic di Tolstoj si apre con l’annuncio che il protagonista
morirà, cosa che, appunto, avviene alla fine).
ALTERNANZA: avviene quando in un testo vengono alternate nella narrazione
le vicende dei protagonisti; Manzoni, ad esempio, anziché raccontarci prima tutte
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le vicende di Renzo e poi tutte quelle di Lucia, alterna la narrazione,
raccontandoci contemporaneamente ciò che succede a Lucia, poi a Renzo, poi
ancora a Lucia, poi ancora a Renzo e così via.
• UNO O PIU’ PERSONAGGI: ogni testo può avere da uno a tanti personaggi, con ruoli
differenti; in genere si tratta di esseri umani, ma possono essere anche animali o
creature fantastiche. I personaggi si possono classificare seguendo tre criteri:
a seconda della loro importanza: possono essere principali, secondari o
comparse;
a seconda delle caratteristiche: possono essere “a tutto tondo”, se descritti
nella loro complessità psicologica, o “piatti”, se rappresentati in maniera
schematica e poco approfondita;
a seconda della loro funzione (o ruolo): possono essere protagonisti o
antagonisti (questi ultimi sono coloro che ostacolano il protagonista nel
raggiungimento dei suoi obiettivi); vi sono anche gli aiutanti, positivi, se si
schierano dalla parte del protagonista, negativi, se stanno dalla parte
dell’antagonista.
• UN TEMPO E UN RITMO: un testo può condensare in poche righe un periodo di anni,
oppure, al contrario, dedicare pagine e pagine alla descrizione di pochi istanti. Questo
comporta che tra il tempo della storia (la durata della storia nella realtà) ed il tempo del
racconto (la durata della storia stessa nel racconto, ossia, semplificando, la lunghezza
del racconto in relazione ai fatti narrati) vi può essere una notevole discrepanza: posso
cioè avere un romanzo di 200 pagine che racconta una sola giornata, oppure un
romanzo sempre di 200 pagine che racconta una vicenda che dura due secoli.
Il ritmo con cui si raccontano le vicende può dunque risultare, rispetto alla durata effettiva
della vicenda stessa, accelerato, rallentato o uguale, attraverso alcune tecniche:
sommario: si tratta di una narrazione veloce che in poche righe o in poche
pagine riassume molti avvenimenti o un lungo periodo (tempo storia > tempo
racconto);
ellissi: è il salto temporale; in una narrazione, come in un film, è possibile
passare sotto silenzio periodi più o meno lunghi; in genere il “salto” viene
segnalato da espressioni come qualche ora più tardi; il giorno dopo; passarono
alcuni anni ecc... (esempi: nel raccontare la vita di un personaggio X, passo da
quando nasce e compie i primi anni di vita a quando ha vent’anni, in quanto non
ritengo fondamentale la narrazione di tutti gli anni intermedi; oppure, quando in
un film vediamo la scritta “cinque anni dopo”; si tratta, appunto, di ellissi);
scena: si tratta delle scene di dialogo diretto tra i vari personaggi, momento in
cui il tempo della storia coincide col tempo del racconto;
pausa: sono i momenti in cui il narratore si ferma per descrivere un ambiente, o
per fare una precisazione, o per proporre una riflessione (tempo della storia <
tempo racconto);
•
•
rallenti: è forse più cinematografico, ma consiste nel rallentare la storia al punto
che qualche secondo di tempo reale viene descritto tramite varie pagine; si usa
soprattutto nei testi che presentano un colpo di scena e consente di descrivere
più approfonditamente una sensazione o il pensiero di un personaggio (tempo
storia molto minore del tempo racconto)
UNO SPAZIO: è reso mediante la descrizione o le parole dei personaggi; può essere
aperto o chiuso, esterno o interno.
UNA STRUTTURA: in un testo vi sono alcune fasi fondamentali (poi è ovvio che tutto
dipende dalla tipologia del testo che si ha di fronte):
l’esordio: la situazione iniziale;
la complicazione: la situazione iniziale viene sconvolta da un avvenimento
improvviso;
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•
le peripezie: le vicende compiute per riportare una situazione di ordine;
lo Spannung: il momento di massima tensione della vicenda;
lo scioglimento finale: l’evento che conclude la vicenda.
UNO STILE: in un testo vi può essere mescolanza di stili, ma in genere possiamo trovare
un registro formale o informale, presenza o assenza di discorsi diretti ecc...
IL TESTO POETICO
Si tratta di un testo scritto in versi, che può trattare tendenzialmente qualunque tipo di argomento.
Bisogna affrontare una prima grande distinzione all’interno dei testi poetici: vi sono, infatti testi
poetico-narrativi e testi poetico-lirici:
• TESTO POETICO-NARRATIVO: si tratta di un testo che NARRA una vicenda sotto
forma di poesia; fanno parte di questo gruppo tutti i grandi poemi, da quelli classici,
Iliade, Odissea, Eneide, a quelli medievali, La Divina Commedia, a quelli rinascimentali,
Orlando Innamorato, Orlando Furioso, La Gerusalemme Liberata ecc...; oppure testi
anche più brevi, come La leggenda di Teodorico di Carducci; ciò che è evidente è che si
tratta di testi in poesia che, però, narrano vicende più o meno complesse.
• TESTO POETICO-LIRICO: si tratta del testo poetico forse più diffuso, quello in cui
l’autore non racconta vicende e fatti, ma parla di sé, dei suoi sentimenti, delle sue
emozioni, dei suoi dubbi; insomma un testo in poesia che esprime TUTTO L’IO DEL
POETA. NB: la poesia lirica non ha nulla a che vedere con l’opera lirica; la poesia si
chiama lirica solo perché gli antichi Greci che l’hanno “inventata” erano soliti recitarla con
l’accompagnamento della lira (i primi grandi poeti lirici sono Ipponatte, Saffo, Alceo,
Anacreonte, Alcmane ecc...).
Un’altra importante distinzione è quella tra poesia classica e poesia moderna:
• POESIA CLASSICA: è la poesia scritta rispettando regole metriche ben precise della
tradizione; i versi, le strofe, le rime sono composti con esattezza e precisione. Esempio:
nella tradizione italiana, il sonetto è un testo poetico composto da due quartine e due
terzine di versi endecasillabi e con rima che può essere di vario tipo, ma essere
presente; se dunque decido di scrivere un sonetto, dovrò sottostare a queste regole,
altrimenti ciò che scrivo non è un sonetto.
• POESIA MODERNA: la poesia moderna, che si sviluppa a partire dall’Ottocento, è la
poesia che non rispetta le strutture metriche della tradizione; alcuni autori, infatti, si
sentono come ingabbiati dalle regole poetiche e decidono di non rispettarle: i versi e le
strofe iniziano ad essere di lunghezza varia, non più prestabilita, e scompare l’uso della
rima.
NOTA BENE: non si deve commettere l’errore di pensare che fino all’Ottocento i poeti
scrivessero in maniera “classica” e che, da quel periodo fino ad ora, scrivano solo in
modo “moderno”: nell’Ottocento e nel Novecento, infatti, vari autori, da Pascoli, a Saba,
fino ai più contemporanei come la Merini, hanno scritto poesie sia moderne, sia
classiche. La distinzione, pertanto, non è cronologica, ma riguarda il modo col quale un
poeta scrive il suo testo poetico (anche oggi, nel 2012, io posso scrivere un testo poetico
tradizionale!).
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ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TESTO POETICO
Ogni testo poetico, caratterizzato da RITMO e MUSICALITÀ, è formato da:
• VERSI: il verso è l’unità di misura della poesia; è la “riga” del testo poetico ed è formato
da parole che presentano un determinato numero di sillabe. Il verso, infatti, prende il
nome proprio dalla quantità di sillabe che contiene; possono esservi, infatti:
versi bisillabi, formati da due sillabe (molto raro, in genere composto da una
sola parola): die / tro;
versi trisillabi, formati da tre sillabe: tos / si / sce;
versi quadrisillabi (o quaternario), formati da quattro sillabe: da / mi / gel / la;
versi quinari;
versi senari;
versi settenari: Da / to-il / mor / tal / so / spi / ro;
versi ottonari: In / quel / mez / zo-il / ca / val / ne / ro;
versi novenari: Le / stel / le / lu / ce / va / no / ra / re;
verso decasillabo: S’o / de-a / de / stra-u / no / squil / lo / di / trom / ba;
verso endecasillabo (il più diffuso nella tradizione, composto da 11 sillabe): Nel
/ mez / zo /del / cam / min / di / no / stra / vi / ta.
NOTA BENE: AL TERMINE DI QUESTA DISPENSA TROVERAI UN’APPENDICE
(NUM. 2) SUL COMPUTO SILLABICO, che è il conteggio delle sillabe nella poesia,
diverso dal conteggio delle sillabe per “andare a capo”.
•
STROFE: la strofa è un raggruppamento di versi (in genere tra una strofa e l’altra vi è
uno spazio bianco per separarle ed identificarle a “colpo d’occhio”); le strofe prendono il
nome dalla quantità di versi che le compongono:
distico: è la strofa composta da due versi;
terzina: strofa di tre versi;
quartina: strofa di quattro versi;
sestina: strofa di sei versi;
ottava: strofa di otto versi.
•
RIME: le rime sono utilizzate dai poeti per creare un effetto ritmico; sono in rima due
parole che, poste al termine di due differenti versi, possiedono la parte conclusiva uguale
a partire dall’ultima vocale accentata (esempio: fratèllo e salterèllo sono in rima; fratèllo e
si ribellò non sono in rima, perché, anche se sono uguali le ultime lettere, l’accento è
posto in posizione differente). Vi sono vari tipi di rime:
baciata: AA BB
alternata: AB AB
incrociata: AB BA
incatenata: ABA BCB
replicata: ABC ABC
PRINCIPALI TIPOLOGIE DI TESTI POETICI CLASSICI ( O TRADIZIONALI)
La poesia classica o tradizionale ha fissato norme ben precise per la composizione di varie
tipologie di testo poetico; qui mi limiterò ad elencare le tre strutture poetiche più frequenti:
• SONETTO: è formato da due strofe quartine e due terzine di versi endecasillabi in rima;
• BALLATA: è articolata in strofe, ognuna delle quali è preceduta da un ritornello (o
ripresa) di due, tre, o quattro versi; i versi sono endecasillabi e/o settenari;
• CANZONE: è composta da una serie di strofe di uguale lunghezza, con versi settenari o
endecasillabi; al termine della canzone c’è il commiato, una strofa di chiusura in cui il
poeta, in genere, si rivolge direttamente alla sua canzone, chiedendole di diffondere il più
possibile il messaggio che essa contiene.
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NOTA BENE: IL VERSO LIBERO
A partire dall’Ottocento, i poeti tesero ad acquisire maggiore libertà rispetto alle regole della
METRICA (ossia la disciplina che si occupa delle regole relative alla composizione di versi
poetici): diventa perciò molto frequente l’uso del verso libero, ossia un verso poetico che non ha
più un numero prestabilito di sillabe, inserito in strofe di diversa lunghezza e non caratterizzato
dalla rima; se, infatti, in un componimento tradizionale troviamo versi di lunghezza uguale (ad
esempio, tutti endecasillabi), strofe precise e presenza della rima, in un componimento
caratterizzato dal verso libero, i versi hanno lunghezza varia e differente (potremo quindi avere
una poesia col primo verso da 7 sillabe, il secondo da 3, il terzo da 10 e così via).
LE PAROLE CHIAVE E IL CAMPO SEMANTICO (caratteristica che può comunque appartenere
anche al testo narrativo e al testo teatrale).
• Le parole chiave sono in genere messe in posizione di rilievo, magari all’inizio o nel
centro del verso, o sono ripetute: esse sono le parole che racchiudono in sé le tematiche
principali del componimento e che ne forniscono la chiave di lettura.
• Il campo semantico è, invece, l’insieme di parole che si riferiscono ad un argomento
comune; esempio: del campo semantico della musica fanno parte parole come chitarra,
spartito, orchestra, coro, assolo, nota ecc...
SIGNIFICATO DENOTATIVO E SIGNIFICATO CONNOTATIVO DELLA PAROLA
Le parole che compongono una poesia devono essere analizzate sia per quanto riguarda il loro
significato denotativo, sia per quello connotativo:
• SIGNIFICATO DENOTATIVO: si tratta del significato vero e proprio, da vocabolario, del
termine; il livello denotativo è importantissimo perché ci fa capire il senso letterale del
testo in oggetto (questo aspetto viene analizzato tramite la PARAFRASI); ad esempio,
nella poesia Meriggiare pallido e assorto Montale fa riferimento ad una “muraglia”: dal
punto di vista denotativo, questa parola significa proprio una costruzione in mattoni o
sassi che serve per delimitare una proprietà.
• SIGNIFICATO CONNOTATIVO: si tratta del significato figurato, simbolico, che una
parola può assumere a seconda del contesto; ad esempio, la stessa parola “muraglia”,
analizzata più a fondo ed interpretata, nel contesto di quella poesia, sta a significare
l’impossibilità per l’uomo, intrappolato all’interno di questa “muraglia”, di evadere e
trovare la felicità. In poesia, dunque, ogni parola deve essere compresa nel suo senso
figurato, per poter capire il significato profondo del testo e poterlo così interpretare.
Questa pluralità di significati (reali da una parte, figurati e simbolici dall’altra) che la parola può
assumere si chiama POLISEMIA della parola.
LE FIGURE RETORICHE
Le figure retoriche sono dei procedimenti stilistici che i poeti utilizzano per arricchire la
musicalità e il senso delle loro poesie; potrebbero essere paragonate a degli “effetti speciali” che
rendono più particolare e più ricercato il testo poetico (non si dimentichi, però, che le figure
retoriche sono molto utilizzate anche in prosa e nel linguaggio parlato di tutti i giorni, anche quello
colloquiale tra amici). Tali figure si dividono in tre tipi, a seconda dell’effetto che producono.
• Figure di suono (quelle che contribuiscono a rendere più musicale il testo):
assonanza: quando due parole contengono, nelle ultime sillabe, le stesse vocali
(porta / colpa);
consonanza: quando due parole contengono, nelle ultime sillabe, le stesse
consonanti (monte / guanti);
allitterazione: è la ripetizione delle stesse consonanti o gruppi di consonanti
all’interno di un verso (m’illumino / d’immenso);
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•
•
onomatopea: è la riproduzione di un suono naturale o artificiale mediante parole
(miao, drinn ecc...; oppure parole che richiamano che ricordano il suono reale,
ad esempio il termine ticchettio, che richiama il tic tac da cui deriva);
paronomasia: accostamento di due parole molto simili, ma dal significato
diversissimo (mente / monte).
Figure di significato (quelle utilizzate per ottenere un arricchimento di senso):
anafora: ripetizione ad inizio verso della stessa parola o gruppo di parole (Per
me si va... / per me si va... / per me si va...);
climax: accostamento di alcuni termini in progressione ascendente (bello,
bellissimi, meraviglioso) o discendente (corse, rallentò, si fermò);
litote: è la negazione del contrario di ciò che si vuole affermare (quando, invece
di dire che una persona è abbastanza simpatica, dico «non è antipatica»; oppure
«oggi non fa freddo», per dire che c’è un clima più mite del solito.
ironia: è il dire il contrario di ciò che si pensa («vedo che per oggi hai studiato!»,
per dire che in realtà l’allievo è del tutto impreparato);
similitudine: è il paragone tra due immagini diverse, ma accomunate da una
caratteristica («la notte nera come il nulla...»; «quel ragazzo è forte come un
toro»);
metafora: è costituita dal confronto tra due termini, ma, a differenza della
similitudine, è meno esplicita (invece di dire «i suoi capelli sono biondi come
l’oro» – similitudine – dico: «i suoi capelli d’oro»);
allegoria: è un’immagine che, al di là del proprio significato letterale, ne
nasconde uno più lontano e profondo, allusivo e nascosto (esempio: nella Divina
Commedia, la lupa è allegoria dell’avarizia);
sinestesia: associazione, in una stessa espressione, di due parole che si
riferiscono a sfere sensoriali differenti (amara luce: amara si riferisce al gusto,
luce alla vista; pigolio di stelle: il pigolio è legato all’udito, le stelle alla vista);
ossimoro: accostamento di due o più termini dal significato opposto (un morto
vivente; una luce buia; un silenzio chiassoso)
altre (alcune sono molto importanti, ma, essendo un po’ complesse, non le
tratterò, le studierete al liceo): sineddoche, metonimia, iperbole, antitesi,
antonomasia.
Figure di ordine (quelle che, per rendere più particolare il testo, modificano l’ordine della
sintassi abituale):
anacoluto: costruzione sintattica irregolare (ma voluta!) per dare un senso di
spontaneità al testo («E cielo e terra si mostrò qual era»: soggetto plurale, ma
verbi al singolare);
chiasmo: è la disposizione incrociata, a X, degli elementi sintattici che
compongono un verso o due versi contigui; se nel verso 1 ho un sostantivo
seguito dal suo aggettivo, nel verso 2 avrò un aggettivo e poi il sostantivo: se
collego con due linee i due sostantivi e i due aggettivi, risulta una X (in greco chi,
da cui deriva la parola chiasmo). Esempio: «Nell’aria spasimante / involontaria
rivolta» (sostantivo+aggettivo / agg+sost); «Brilla nell’aria / e per li campi esulta»
(verbo+sost / sost+verbo);
altre: ipallage, ellissi, inversione, zeugma.
L’ENJAMBEMENT
Si tratta della “spezzatura” del verso e si verifica quando un verso viene spezzato nella sua
unità sintattica mediante “l’a capo”. Vediamo, come esempio, una poesia di Penna, ricca di
enjambements:
La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
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fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente
Come si può notare tutte le parole in grassetto sono legate al verso precedente, in quanto
fungono rispettivamente da attributo, complemento oggetto, complemento oggetto e attributo
dell’ultima parola del verso precedente. Il verso risulta quindi “spezzato” nella sua interezza
sintattica, ma il poeta utilizza questa tecnica proprio per dare un senso di continuità al testo, per
fare in modo che tutti i verso siano legati tra loro e non siano entità isolate e sintatticamente
autonome.
IL TESTO TEATRALE
Si tratta di un testo scritto, destinato sia alla lettura personale, sia, soprattutto, alla recitazione: il
testo teatrale, infatti, nasce per essere poi rappresentato da attori.
Ogni testo letterario destinato alla rappresentazione è definito TESTO DRAMMATICO:
quest’ultima parola, in questo caso, non ha nulla a che vedere con il significato che oggi
comunemente le attribuiamo (si pensi ai film, drammatico è il contrario di comico), in quanto in
origine il DRAMMA era una qualunque azione teatrale dialogata. Il testo drammatico, dunque, nel
suo significato di testo teatrale, comprende tutti i generi, dalla commedia, alla tragedia, al
dramma borghese ottocentesco, al teatro dell’assurdo e così via (da qui, derivano anche le parole
DRAMMATURGO, lo scrittore di testi teatrali, e DRAMMATURGIA, l’arte e la tecnica di scrittura
del testo drammatico – si pensi, inoltre, all’Accademia per diventare attori che si chiama,
appunto, Accademia di Arti Drammatiche).
La caratteristica principale del testo teatrale è l’assenza di un narratore, in quanto lo sviluppo
della vicenda è reso noto tramite le battute dei personaggi (possono, tuttavia, esserci casi in cui
vi sia la presenza di un narratore, o come voce fuori campo, o come personaggio che entra in
scena e narra, ad esempio, un antefatto).
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL TESTO TEATRALE
Da non dimenticare, però, che non in tutte le epoche i drammaturghi hanno utilizzato questa
struttura. In ogni caso un testo teatrale, oltre che dal TITOLO, è caratterizzato da:
• ELENCO DEI PERSONAGGI: l’autore riporta, all’inizio del testo, i nomi di tutti i
personaggi (che possono essere di numero variabile, da uno in su, ma comunque
limitato – sarebbe assurdo creare, ad esempio, 100 personaggi, si creerebbe troppa
confusione nel lettore/spettatore) ed il loro RUOLO (esempio: Nora: moglie; Torvald:
marito ecc...).
• ATTI: sono gli episodi principali della vicenda, come fossero i capitoli di un romanzo, o i
tempi di un film; il loro numero varia da uno (in questo caso si parla di ATTO UNICO) a
cinque. Al termine di ogni atto vi è un piccolo intervallo; ogni atto è poi diviso in:
• SCENE: esse sono le sequenze in cui si dividono gli atti; il cambio di una scena può
avvenire anche semplicemente con l’ingresso di un nuovo personaggio (IMPORTANTE:
nella rappresentazione, il passaggio da un atto all’altro è palesato tramite la chiusura del
sipario e l’intervallo, mentre il passaggio da una scena all’altra avviene direttamente di
fronte al pubblico o, talvolta, vengono abbassate le luci, ma non vi è mai la chiusura del
sipairio).
• DIDASCALIE: esse sono le indicazioni che l’autore del testo fornisce ai fini della
rappresentazione; possono contenere indicazioni sull’abbigliamento che l’attore dovrà
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•
indossare, sulle scenografie, sulla gestualità da tenere in scena, sulle luci, sulla musica;
in genere la didascalia è scritta in corsivo, o comunque con un carattere differente dal
resto.
BATTUTE: sono le parole pronunciate dai personaggi nel testo teatrale. La forma più
diffusa di battuta è il DIALOGO, quando due o più personaggi parlano tra loro (una forma
particolare di dialogo è la STICOMITìA, che consiste nel dialogo serrato tra due
personaggi, il classico “botta e risposta”; quando il personaggio riflette a voce alta si
parla di MONOLOGO se c’è qualcuno presente in scena, di SOLILOQUIO se è
completamente da solo; quando poi un personaggio è sulla scena con altri, ma fa una
battuta rivolta al pubblico (quindi, nella finzione teatrale, gli altri personaggi non la
sentono) si parla di BATTUTA A PARTE.
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APPENDICE UNO
ESEMPI DI NARRATORI E DI FOCALIZZAZIONI
Per comprendere come una stessa storia possa essere narrata tramite diverse tecniche narrative
e diversi punti di vista, leggi attentamente gli esempi qui riportati.
Narratore esterno onnisciente (focalizzazione zero)
a) QUANDO INTERVIENE NELLA NARRAZIONE CON PROLESSI E COMMENTI:
Quella mattina Luisa si alzò, fece colazione e chiese a sua madre, che si stava preparando un
ottimo caffé, quale vestito avrebbe potuto indossare per il colloquio di lavoro. Ella non sapeva che
il dirigente dell’azienda presso cui sarebbe andata di lì a poco non si sarebbe presentato
(prolessi). Fu quindi del tutto inutile vestirsi bene e con cura, ma, si sa, le ragazze della sua età ci
tengono molto all’aspetto fisico, talvolta troppo.
b) QUANDO NON INTERVIENE NELLA NARRAZIONE (NARRAZIONE OGGETTIVA):
Quella mattina Luisa si alzò, fece colazione e chiese a sua madre, che si preparava il caffé, quale
vestito avrebbe potuto indossare per il colloquio di lavoro. Si vestì con molta eleganza, andò al
colloquio, ma il dirigente d’azienda non si presentò all’appuntamento.
Narratore esterno non onnisciente (focalizzazione esterna)
Luisa si alzò e fece colazione. Vide sua madre prepararsi il caffé e iniziarono a parlare.
«Mamma, che vestito posso mettere per il colloquio?»
«Io metterei la camicetta bianca».
«Ah, è pronta?»
«Sì, l’ho messa nell’armadio, pulita.»
«Grazie, non l’avevo vista».
«Con quella stai molto bene e sarai elegantissima».
Luisa si preparò; come le sarebbe andato quel colloquio di lavoro?
Narratore interno (focalizzazione interna)
a) NARRATORE TESTIMONE:
Mia figlia, quella mattina, si svegliò. Era molto agitata perché avrebbe avuto dopo alcune ore un
colloquio di lavoro al quale teneva molto. Ci incontrammo in cucina, mentre io mi preparavo il
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caffé e Luisa, questo è il nome di mia figlia, mi chiese quale vestito avrebbe potuto indossare per
quell’appuntamento. Io le consigliai la camicetta bianca di cotone, con la quale sta veramente
bene.
Tornò a casa verso le undici e mi disse che il suo ipotetico datore di lavoro non si era presentato
all’appuntamento. Mi dispiacque moltissimo.
b) IO NARRANTE:
Mi alzai tutta raggiante quella mattina. Avevo un colloquio di lavoro, al quale mi stavo preparando
da tempo. Chiesi a mia madre quale vestito avrei potuto indossare per l’appuntamento e lei mi
consigliò una bellissima camicetta bianca. In effetti ero straordinaria. Peccato che quando arrivai
in azienda, l’idiota che doveva farmi il colloquio non si presentò. Tornai a casa amareggiata, ma
mi convinsi che ci sarebbero state altre occasioni.
c) NARRATORE POPOLARE:
Luisa è la figlia di Carmen, la fruttivendola di piazza Sant’Ambrogio. Uscì di casa presto perché
andava a parlare col direttore di una fabbrica per un posto di lavoro. Era vestita bene, ma in
paese si dice che quella mattina rimase a bocca asciutta perché il colletto bianco che le doveva
parlare non arrivò mai.
APPENDICE DUE
IL CÓMPUTO SILLABICO
(id est il conteggio delle sillabe per determinare la “lunghezza” di un verso poetico)
Per contare il numero di sillabe in un verso è, ovviamente, necessario dividere in sillabe tutte le
parole del verso stesso e contarle; se il verso è regolare (non presenta, cioè, particolarità
metriche) il computo è fatto.
ESEMPIO: nel mez/zo del cam/min di no/stra vi/ta (come si può notare sono 11 sillabe, quindi il
verso è ENDECASILLABO.
Non sempre, però, il computo è così semplice: vi sono, infatti, alcune regole che dobbiamo
conoscere per poter svolgere un lavoro corretto (ne riporterò solo alcune, non si vuole qui
proporre un manuale di metrica italiana).
1) SINALEFE: si tratta dell’unione, in sillaba metrica (quindi tale regola è valida solo in poesia,
non nella suddivisione “normale” sillabica delle parole) della vocale finale di una parola e della
vocale iniziale della parola che segue.
ESEMPIO: dato il mortal sospiro. Se contiamo le sillabe esse sono 8, ma, applicando il fenomeno
della sinalefe vediamo che le sillabe sono 7 (il verso è infatti un settenario): da/to-il/mor/tal
so/spi/ro.
2) DIALEFE: è il contrario della sinalefe; le vocali rimangono separate (la dialefe è molto più
complessa da individuare della sinalefe; tuttavia, in certe edizioni si trova il segno grafico della
dieresi (¨) che ci fa capire che le vocali non si uniscono).
ESEMPIO: ché la diritta via ëra smarrita. La divisione sarà dunque così: ché la dirit/ta via e/ra
smar/ri/ta (ENDECASILLABO; se, invece applicassimo sinalefe nelle parole “via” ed “era” il verso
diverrebbe decasillabo e non andrebbe bene).
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3) REGOLA DELLA PAROLA SDRUCCIOLA: quando l’ultima parola del verso è sdrucciola
(cioè ha l’accento sulla terzultima sillaba) le ultime due sillabe di questa parola formano sillaba
unica.
ESEMPIO: così percossa attonita. Contando normalmente le sillabe, tale verso ne avrebbe 9,
invece è un SETTENARIO; infatti si applica la sinalefe tra percossA e Attonita; in più attonita è
una parola sdrucciola (attònita) quindi, secondo la regola, ha solo 3 sillabe (non 4); il computo
sillabico risulta, pertanto, il seguente:
co/sì per/cos/sa-at/to/nita (= 7 sillabe metriche).
4) REGOLA DELLA PAROLA TRONCA: quando l’ultima parola del verso è tronca (ha, cioè,
l’accento sull’ultima sillaba – es: città), si aggiunge una sillaba (fittizia, in realtà non esiste, ma va
conteggiata).
ESEMPIO: la terra al nunzio sta. Sta, che graficamente non riporta accento, è però una parola
tronca, quindi, nel computo sillabico, non è formata da una sillaba, ma da due (1 reale + 1
inesistente, attribuita “d’ufficio”); il computo, pertanto, è il seguente: la ter/ra-al (sinalefe) nun/zio
sta/(+1) = SETTENARIO.
Le regole sarebbero molte di più (sineresi, dieresi, episinalefe, sinafia ecc...), ma, per avere
un’idea generale della metrica italiana, quelle che ho elencato bastano e avanzano...
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