No al cartello elettorale della sinistra, serve un progetto
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No al cartello elettorale della sinistra, serve un progetto
Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi Anno IV - n. 234 lunedì 15 dicembre 2008 Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma • Direttore responsabile: Enrico Fontana • Editore: undicidue srl, via del Portofluviale, 9/a - Roma • Stampa: Rotopress, via E. Ortolani, 33 - Roma Registrazione Tribunale di Roma n. 34 del 7/2/2005 • Redazione: via del Portofluviale, 9/a - 00154 Roma - tel. 0645470700 - fax 0642013131 - [email protected] • Stampato su carta ecologica • La testata fruisce dei contributi di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250 Il papa: basta fame nel mondo Secondo la Fao sono 963 milioni i senza cibo: tra il 2005 e il 2007 sono diventati 115 milioni in più «I prezzi dei principali cereali - si legge in un rapporto dell’Onu sono calati di oltre il 50% rispetto al picco raggiunto agli inizi del 2008, ma rimangono più alti del 20% rispetto all’ottobre 2006». Sempre più lontano l’obiettivo di dimezzare i morti per fame entro il 2015 Cleto Romantini a pagina 2 La beffa del carbone pulito L’Ue stanzia sei miliardi di euro per un progetto di “sequestro” della CO2. C’è anche l’Italia Diego Carmignani La “mal’aria” del Belpaese 2 La satira anti premier 3 L a parola “pulito” associata al carbone stride un po’, ma va sempre più di moda in Europa. L’acronimo tecnico Ccs sta per Carbon capture and storage, vale a dire cattura e stoccaggio geologico della CO2, soluzione utilizzata per ridurre le emissioni delle centrali alimentate a combustibile fossile, ma anche per disporre di fonti energetiche nel medio periodo, come si è già pensato di fare in Germania. I ventisette Stati membri dell’Ue hanno stanziato sei miliardi di euro per lo sviluppo della tecnologia e anche l’Italia è convinta della sua utilità. Tra le tre nostre richieste, su quattro accolte a Bruxelles, c’è anche quella, già avanzata dalla Gran Bretagna, dei 12 impianti dimostrativi per applicare il Ccs, ottenendo l’aumento del ricavato dai diritti di emissione da destinare ai progetti sulla “cattura e stoccaggio” e una distribuzione geografica equa. Avere il carbone pulito però è un’operazione lunga (il 2020 l’anno in cui potrebbe essere disponibile) e poco conveniente, essendo necessario il 30% d’energia in più, L’Enel e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia hanno individuato i siti: al largo di Fusina, di Porto Tolle, di Brindisi e di Civitavecchia, tutti in prossimità di centrali alimentate a carbone per catturare l’anidride carbonica e sotterrarla. Di queste lapalissiane contraddizioni, l’Italia, come il resto d’Europa, non sembra prendere atto, anzi è già disponibile una mappa dei siti individuati per attuare il processo di Ccs. L’Enel e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia li hanno resi noti: al largo di Fusina (provincia di Venezia), di Porto Tolle (Rovigo), di Brindisi sull’Adriatico e di Civitavecchia, sul Tirreno, tutti in prossimità di centrali Enel alimentate a carbone e fornite di sistemi di filtraggio. Come spiegato dalla geologa dell’Ingv Fedora Quattrocchi, questi siti «sono tutti caratterizzati dall’esistenza di acquiferi salini profondi da 800 a 3.000 metri: serbatoi di rocce carbonatiche o silicatiche, molto porose e fratturate, ricoperte da strati di argilla impermeabile, spessi centinaia di metri, che ne garantiscono la tenuta». A Brindisi, l’anno prossimo, si partirà con l’impianto pilota, per sperimentare il processo di separazione “post combustione” della CO2 dai fumi di una piccola unità. L’anidride carbonica non sarà sotterrata in loco, ma trasportata con autobotti a Cortemaggiore e pompata in un pozzo esausto di metano di proprietà dall’Eni. Nulla di verde, né di redditizio in queste prospettive. Se i luoghi destinati allo stoccaggio non rimarranno a tenuta stagna, l’anidride carbonica avvelenerà l’atmosfera, così come le autobotti, che dovranno essere ad alto isolamento termico, senza considerare l’inquinamento provocato dal loro incessante passaggio. A conti fatti, qualunque piega prenderanno gli eventi, il futuro delle località in questione si preannuncia piuttosto grigio, in nome di una distorta concezione dell’ecologia. Per conoscere le altre innumerevoli controindicazioni in merito, vi consigliamo un giro sul blog dell’Aspo Italia, Associazione italiana per il picco del petrolio. Grazia Francescato: «No al cartello elettorale della sinistra, serve un progetto» Nel corso dell’assemblea “Per la sinistra, le primarie delle idee” Grazia Francescato ha bocciato l’idea di un mero cartello elettorale, così come un “no” a una riedizione dell’Arcobaleno lo ha detto anche Claudio Fava (Sd). «Per noi la cosa importante è che non sia un cartello elettorale, una riedizione del 14 aprile», spiega Francescato, chiarendo: «Non siamo interessati, se facciamo le cose sot- to l’urto delle scadenze elettorali facciamo una cosa transgenica. Questo è un processo lungo. Non ci interessa un copia e incolla e poi niente funziona; se c’è un progetto politico lo prendiamo in considerazione». Su posizioni molto simili anche Claudio Fava. «Il cartello è una proposta riduttiva, anche perché dietro non ci sono i tre soggetti: Ferrero, Diliberto e la Francescato hanno già detto di non essere interessati. Di fronte al Paese l’ipotesi di un cartello sarebbe ingiustificabile, non lo capirebbero, non lo accetterebbero e resteremmo inchiodati al risultato del 14 aprile. Non stiamo costruendo un circolo culturale, ma un luogo in cui le fazioni, la politica e i cittadini elettori devono avere il coraggio delle scelte, anche istituzionali. C’è bisogno - conclude Fava - di tempo». Con il fiato sospeso Valerio Ceva Grimaldi [email protected] La piena del Tevere avvenuta negli ultimi giorni è un evento che ha certamente carattere d’eccezionalità: erano decenni che a Roma non pioveva tanto. Centinaia di migliaia di persone sul web e in tv, altre centinaia stipate nei pressi dei ponti, hanno seguito con ansia l’evolversi della situazione. Pur essendo arrivata a livelli record, la tanto temuta ondata di piena non ha provocato danni ingenti. Eppure, c’è qualcosa di inquietante e misterioso che si cela dietro a una dimostrazione così plastica di forza della natura. Qualcosa anche di molto pericoloso. I fenomeni meteorologici che si abbattono su una natura piegata, violentata, distrutta dalle attività umane, dalla speculazione edilizia, dall’urbanizzazione selvaggia, dalla canalizzazione forzosa dei corsi d’acqua fatta con il cemento e non con interventi rispettosi dell’equilibrio idrogeologico, dagli incendi dolosi, possono rivelarsi estremamente dannosi, se non addirittura letali. Una natura siffatta diventa anche più vulnerabile. E questo accade solo ed esclusivamente per colpa dell’uomo. Secondo un recente rapporto dell’Apat le vittime delle frane negli ultimi cinquant’anni sono state 2.552, più di 4 al mese. Tutto questo accade perché nel nostro Paese si preferisce troppo spesso orientare le politiche di manutenzione del territorio solo su interventi tampone che a nulla servono se non addirittura, a volte, a peggiorare la situazione. Nelle nostre città e nelle nostre periferie si continuano a tagliare alberi, a produrre colate di cemento, ad ampliare i centri urbani senza che si valuti ex ante la ricaduta sul territorio dell’aumento della pressione urbanistica, che diventa vero e proprio accanimento criminale con le dissennate politiche di condoni edilizi. Il 5 maggio 1998 un fiume di fango non avrebbe ucciso oltre cento persone a Sarno, Quindici e Bracigliano se lì si fosse costruito con un minimo di criterio; il 30 aprile 2006 un’intera famiglia non sarebbe stata uccisa a Ischia dalla frana di un costone se qualcuno avesse impedito di edificare la casa, poi colpita, in un luogo così pericoloso. Sono alcuni esempi di tragedie che si sarebbero potute evitare se solo si fosse cominciato a ricorrere, invece di annunciare infrastrutture mirabolanti, alla prima, vera opera pubblica di cui il nostro Paese ha bisogno: un’accorta manutenzione del territorio e una rigorosa tutela dell’equilibrio idrogeologico. La piena del Tevere, nella sua potenza stavolta per fortuna poco dannosa, deve rappresentare per tutti un monito: non aspettiamo la tragedia per intervenire. Stanziare dei fondi per le opere di tutela del territorio deve diventare una priorità assoluta, non una voce di spesa come le altre dove tagliare indiscriminatamente. Magari per dirottare i fondi su altri interventi solo perché dal carattere tipicamente più “elettorale”. 2 lunedì 15 dicembre 2008 Troppi speculatori dietro la crisi Il messaggio del pontefice in occasione della “Giornata mondiale della pace 2009”: «A rischio i bisogni di base» dalla prima D ietro l’attuale crisi alimentare, che «mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni di base» non c’è tanto «l’insufficienza di cibo», quanto piuttosto la «difficoltà di accesso a esso» e i «fenomeni speculativi» a esso collegati. L’analisi non è di un estremista “no global” né di un pericoloso sovversivo, bensì di sua santità Benedetto XVI, ed è contenuta nel messaggio per la “Giornata mondiale della pace 2009”, in programma il prossimo primo gennaio. Un’osservazione che sembrerebbe peraltro confermata dagli ultimi dati della Fao, secondo cui i senza cibo del pianeta sono ben 963 milioni (circa il 14% della popolazione mondiale), 40 milioni in più dell’anno scorso e 115 milioni in più rispetto al biennio 20032005. Il tutto non tiene però ancora conto della crisi in corso, che quasi certamente ha ulteriormente aggravato il già pesante bilancio. Il pontefice ha avuto parole dure anche nei confronti dei governi, ricordando che la crisi alimentare è provocata da «fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione - ha aggiunto il papa - può anche provocare gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle energie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di povertà. E questo - ha continuato il papa nell’appello - contribuisce ad allargare la UN PO’ DI PEPE forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull’andamento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumento del divario tra ricchi e poveri». Le «cause principali di tale fenomeno», secondo Benedetto XVI, sono da una parte «il cambiamento tecnologico, i cui benefici si con- centrano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall’altra, la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocemente dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesi più poveri. Capita così - ha concluso papa Ratzinger - che la maggior parte della popolazione dei Paesi più poveri soffra di una Tra le cause principali del fenomeno, per Benedetto XVI, «il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concentrano nella fascia più alta della distribuzione del reddito, e la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali» doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più bassi sia di prezzi più alti». Parole che sembrano trovare una triste conferma nei dati contenuti nello “Stato dell’insicurezza alimentare nel mondo (Sofi)” dell’agenzia Onu. Alla base del «drammatico quanto rapido» aumento del numero di affamati cronici nei Paesi del Sud del mondo c’è l’impennata dei prezzi delle materie prime agricole, che ha fatto precipitare nell’insicurezza alimentare milioni di poveri e ridotto drasticamente la quantità e la qualità del cibo a loro disposizione. «I prezzi dei principali cereali - si legge nel rapporto - sono calati di oltre il 50% rispetto al picco raggiunto agli inizi del 2008, ma rimangono più alti del 20% rispetto all’ottobre 2006». La situazione più grave si registra nell’Africa subsahariana, dove una persona su tre, ovvero circa 236 milioni, soffre cronicamente la fame. Quello che colpisce particolarmente è il deciso peggioramento avvenuto nel corso degli anni: se infatti dal 1992 al 1997, sempre dati Fao alla mano, il numero degli affamati era sceso del 12% (da 842 a 832 milioni circa), un decennio dopo, negli ultimi tre anni (dal 2005 al 2007), il numero delle persone a rischio di fame è aumentato di 115 milioni di unità (dagli 848 milioni del 2005 agli attuali 963 milioni, +14%). Un’ecatombe che, in assenza di una seria inversione di marcia, rischia di irridere gli “obiettivi del millennio” Onu, che fissavano per il 2015 il dimezzamento dei morti per fame. La “mal’aria” del Belpaese Da un’indagine di Legambiente emerge che il 65% dei capoluoghi ha sforato i limiti consentiti di Pm10 Antonio Barone [email protected] L’ Natale Lenticchie biologiche in oltre 60 piazze d’Italia Un piatto di lenticchie caldo, saporito e benefico, al costo di 5 euro. È l’iniziativa natalizia della Lega italiana protezione uccelli per aiutare la tutela della biodiversità, favorire il ritorno di specie in forte diminuzione e garantire prodotti sicuri per la nostra salute. I volontari dell’associazione sono stati ieri in 63 piazze di città italiane, tra cui Milano, Torino, Roma, Palermo, Venezia, Perugia, Padova e Verona e centri minori, oasi e riserve per offrire le “Lenticchie della Lipu”. La manifestazione sostiene i progetti dell’associazione in favore di un’agricoltura più sana e rispettosa dell’ambiente e degli uccelli selvatici. Le lenticchie, realizzate attraverso coltivazioni biologiche, nel pieno rispetto dell’ambiente, sono state offerte al pubblico in cambio di un contributo a partire da 5 euro. A Milano il banchetto si è tenuto in Piazza San Babila, a Torino in Via Roma, a Palermo in Via Cavour e a Roma in Via Aldrovandi presso il Centro recupero fauna selvatica Lipu al Bioparco. Testimonial del “Natale per la natura”, che quest’anno giunge alla sua 13esima edizione, è stato Danilo Mainardi, presidente onorario dell’associazione, che spiega: «Le lenticchie della Lipu portano con sé un messaggio forte: la tutela dell’ambiente, la salute degli agricoltori e dei consumatori, ma anche il ritorno di numerose specie di uccelli selvatici tipiche dell’habitat agricolo, alcune delle quali dimezzate negli ultimi 30 anni, passa attraverso un modello di agricoltura sana, che non utilizza prodotti chimici, e che fa bene all’ambiente». aria delle città italiane è malata. A confermare quella che, purtroppo, è una quotidiana certezza dei cittadini è stata un’iniziativa di Legambiente che, attraverso un blitz nelle vie dello shopping natalizio, ha diffuso i dati sulla qualità dell’aria nelle maggiori città italiane. A giudicare dai dati dell’associazione ambientalista il superamento dei livelli di Pm10 nei nostri centri urbani è diventato, ormai, una drammatica abitudine. Anche il 2008, come gli anni precedenti, ha visto alti livelli di polveri sottili in molte città. Il 65% dei capoluoghi di provincia monitorati non ha rispettato il limite consentito, superando i 50 μg/m3 in alcuni casi ben oltre i 35 giorni consentiti dalle normative nazionali ed europee. In testa alla classifica stilata da Legambiente, confrontando i livelli di Pm10 di 78 capoluoghi, c’è Torino con ben 118 superamenti. Seconda è Venezia dove il limite è stato oltrepassato per 102 giorni. Ma anche altre grandi città non riescono a tenere i livelli delle polveri sottili sotto i valori consentiti: Milano (94 superamenti), Firenze (86), Roma (67), Salerno (63), Bologna (57) e Bari (44). Le città più virtuose della classifica sono Siena e Isernia con 4 e 6 superamenti, gli unici due capoluoghi a rimanere sotto la soglia dei 10 giorni di superamento. Secondo il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, questi dati «dimostrano come il problema della qualità dell’aria nelle nostre città sia ancora tutto da risolvere, in particolare per alcuni inquinanti, come il Pm10, che costituiscono una grave minaccia anche per la salute». Viene da chiedersi che fine abbiano fatto le risorse che il precedente governo di centrosinistra aveva destinato per combattere lo smog e l’inquinamento delle nostre metropoli. Già nella prima finanziaria del governo dell’Unione erano stati previsti 270 milioni di euro in tre anni (90 per ogni anno) per migliorare la qualità dell’aria nelle città italiane. Si trattava di risorse indirizzate a progetti per la mobilità sostenibile, per favorire l’intermodalità e per potenziare il trasporto pubblico. Altri 210 milioni erano stati invece destinati in modo specifico ai “Piani per la qualità dell’aria”, nota spesso dolente della programmazione regionale e che è costata all’Italia diverse procedure d’infrazione comunitaria. A poco meno di sei mesi dall’inse- In testa alla classifica c’è Torino con ben 118 superamenti. Seconda è Venezia dove il limite è stato oltrepassato per 102 giorni. Ma anche altre grandi città non mantengono le polveri sottili sotto i valori di legge diamento del governo Berlusconi di molte di queste risorse si sono perse le tracce. In larga parte sono state le prime vittime del ministro Tremonti che considera le politiche ambientali un bancomat da cui prelevare per realizzare le promesse elettorali (vedi taglio dell’Ici), nell’assoluta indifferenza (o complicità) del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. È il caso, ad esempio, dei 150 milioni per i nuovi parchi cittadini, che di sicuro avrebbero contribuito a migliorare la qualità della vita in aree assediate dallo smog. Certo è che tutti noi, quotidianamente, continuiamo a respirare veleni. Che le nostre città assomigliano sempre più a lugubri camere a gas e che le normative europee a tutela della salute restano, per lo più, lettera morta. A pochi giorni dall’accordo europeo sul “pacchetto energia e clima”, sottoscritto nonostante l’imbarazzante ritrosia italiana e i patetici mercanteggiamenti di Berlusconi, ormai in balia della parte più retriva di Confindustria, l’Italia continua a essere la cenerentola della lotta all’inquinamento e all’orizzonte non si profila alcuna inversione di marcia. lunedì 15 dicembre 2008 MUSICA Dario Parascandolo - [email protected] The Killers - “Day & Age” Che la musica popolare occidentale stia vivendo, se non sopravvivendo, grazie a vari revival dei bei tempi che furono, e grazie a un numero infinito di citazioni, è cosa già risaputa. Fra new wave, dark, elettro-pop, il gioco dei rimandi a queste o a quelle sonorità pare divertire chiunque, dal musicista fino ai discografici e al pubblico. Come accostarsi all’ultimo disco dei The Killers, la band americana più “british” del pianeta, pioniera del recupero del suono dei primi anni Ottanta (leggi Cure, U2, New Order, Killing Joke) in salsa dance? Capaci di irrompere nel mercato con singoli irresistibili (come dimenticare il tormentone “Somebody told me”?), i quattro di Las Vegas hanno licenziato un disco a metà strada fra il dirompente esordio al fulmicotone di Hot Fuss e l’inutile Sam’s Town, che tentava di coniugare la tradizione rock americana con la loro rock-dance, con risultati disastrosi. In Day & Age le canzoni hanno recuperato freschezza e immediatezza e, in questo, i The Killers hanno dimostrato di essere una band che ha ancora cartucce da sparare, senza contare una giusta ruffianeria che tante strade ha spianato nel music business. Il singolo “Human” è tutto ciò che il pubblico attendeva da loro: melodia epica e d’impatto, voce limpida e rassicurante, perennemente a metà strada fra Bono e Robert Smith senza possederne il carisma, loop ritmico ballabile e incessante, chitarre ridotte a meno dell’essenziale e un tappeto di sintetizzatori invadente e pomposo. Sulle stesse coordinate si muove tutto il disco, che nelle intenzioni vuole essere un’opera rock variegata e universale, ma che è stato appiattito da un cantante sempre identico a se stesso, e quindi ad altri di cui potremmo sentire la mancanza, e da una ricerca perenne dell’epicità a tutti i costi, pasticciando anche buone canzoni come il funk di “Joy ride” o la trascinante “This is your life”, che affogano in un mare ridondante di banalità, eccezion fatta per la conclusiva e stupenda “Goodnicht, travel well”, che può realmente darci l’illusione di trovarci di fronte a una grande band, in grado di commuoverci con un maestoso crescendo come solo i grandi maestri hanno insegnato. Non un brutto disco di sicuro, Day & Age si lascia ascoltare con piacere. Ma ne avevamo realmente bisogno? CINEMA D.P. “Stella” Un film di Sylvie Verheyde. Cast: Leora Barbara, Karole Rocher, Benjamin Biolay, Guillaume Depardieu, Thierry Neuvic Francia 2008, drammatico, 102’ Distribuzione Sacher Toccante, sensibile, commovente, reale e mai retorico. Presentato allo scorso Festival del cinema di Venezia, Stella, il film di Sylvie Verheyde tocca le corde dell’animo umano più labili senza mai limitarsi a strappar lacrime fini a se stesse, ma raccontando una storia che rimane incisa nel cuore. Ma, si sa, il cinema francese da sempre ha raccontato le storie più belle di tutta la filmografia mondiale, andando sempre ben oltre la scorza superficiale con gusto e delicatezza. Quando poi al centro della vicenda vi è una bambina disadattata che lotta con l’aiuto delle sue sole forze per emergere in un ambiente di fatto ostile, il gioco è fatto. Parigi 1977. Stella è nata e cresciuta nel bar dei genitori, perennemente in crisi fra bugie e tradimenti. Gli unici suoi amici ed educatori sono i clienti del bar, ovvero giocatori e alcolisti che però non mancano mai di dare tanto affetto alla bambina. Stella sa tutto sul gioco delle carte, sul flipper, sul campionato di calcio, ma «nulla delle cose importanti», fino a quando non viene ammessa alla scuola media più ricca della città, frequentata da ragazzi di elevata estrazione sociale. La piccola Stella qui è un pesce fuor d’acqua, lenta nell’apprendimento e nella socializzazione, trova nell’amica Gladys, peraltro brava e studiosa, l’unica alleata nell’affrontare le nuove difficoltà. Il bar non è più l’unico mondo a renderla felice e protetta, e la scuola diventerà l’unica chance nella ricerca di una felicità che stenta ad aprire le porte alle realtà più difficili. L’impenetrabile sguardo della piccola Leora Barbara scruta ostile lo spettatore, che non esiterà nel sentirsi colpevole e inerme di fronte alla forza e alle insicurezze, talvolta paranoiche, di una preadolescente sola, o quasi, nel combattere contro un mondo più ostile. Fino a una meritata vittoria. 3 La satira anti premier Gli strali del Cavaliere hanno investito tutti, ma il vero fronte sono i comici e gli anchorman Alessio Postiglione [email protected] politiche.wordpress.com I più indomabili “nemici” del governo si chiamano Fabio Fazio, Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi, Maurizio Crozza, Luciana Littizzetto e Beppe Grillo. O, almeno, questa è la visione di Berlusconi. Una visione che riduce tutto a percezione e ignora la realtà. Già: perché la realtà è che Berlusconi, come imprenditore, controlla le principali tre reti commerciali d’Italia. Come premier, influenza le reti pubbliche. E, grazie a Villari, ha il pallino anche della commissione di Vigilanza Rai. Questi sono i fatti. Ma la percezione pidiellina è un’altra. Berlusconi sarebbe «attaccato in modo incivile, violento e continuo» dai principali mezzi d’informazione. In atto, c’è una «campagna orchestrata contro di lui». Ma, in realtà, controllando quasi tutto quello che vomita il tubo catodico, più di “orchestra”, si tratta di “pochi solisti” che - nonostante il conformismo imperante dicono quello che pensano: e quello che pensano non piace a Berlusconi. Gli strali del premier hanno investito tutti: Corsera, Stampa, Biagi, Annunziata, Primo piano, Tg3, Santoro, Travaglio, Report… Ma il vero fronte, per il nostro cavaliere, oramai, è un altro. I comici e gli anchorman. Sono loro i moderni “monarcomaci”. Alcuni potrebbero legittimamente sostenere che Berlusconi esagera. Malignare che si tratti di una vera e propria ossessione televisiva. Visioni mistiche come quella dei cosacchi a San Pietro: la paura di sentirsi zar durante la presa del palazzo d’Inverno; il timore di una “presa del palazzo dei Cigni”, con i cosacchi che fanno breccia a Milano 2: con l’edilizia palazzinara a sostituire i colonnati michelangioleschi. E Mike Bongiorno spedito in Siberia. Insomma, Fazio è il nuovo Lenin, Che tempo che fa la nuova “Pravda”. Ma chi crede che Berlusconi esageri, sbaglia. Egli ha perfettamente ragione ad avercela con Fazio. Nonostante alcuni opinionisti credano che le televisioni del cavaliere in politica non contino molto, Berlusconi sa che è perfettamente vero il contrario. Le televisioni, per l’unto dell’auditel, contano. E non basta che il 90% dei programmi Berlusconi controlla quasi tutta la televisione, eppure è spaventato da Fazio, Grillo, Littizzetto, perché nella teledemocrazia un personaggio tv muove più voti di un intellettuale di professione non sia contro di lui. Anche un solo oppositore televisivo - pur non essendo giornalista e socialmente legittimato a esprimere opinioni politiche - dà fastidio. Ecco che quelle che per molti di noi sarebbero solo flebili voci di dissenso, diventano una “campagna orchestrata” che mina il consenso del teleautocrate. Le Stützen der Gesellschaft, le “colonne della società” di Berlusconi, non sono i “padroni del ferro e del vapore”, ma i “volti tv”. È più facile per Mussolini avere un Benedetto Croce contro, che per un teleautocrate tollerare una Sabrina Ferilli che vota Pd. Ad avercela Sabrina ministra delle Pari opportunità! Preso il capo della ’Ndrangheta Ecco chi è Giuseppe De Stefano, ricercato dal 2003 e catturato dalla squadra mobile di Reggio Calabria Simone Di Meo [email protected] è il capo di una delle cosche più potenti di Reggio Calabria, Giuseppe De Stefano, latitante da oltre cinque anni, catturato il 10 dicembre scorso dal personale della squadra mobile reggina. Erede del boss Paolo De Stefano, ucciso in un agguato nel 1985, “Peppe”, 39 anni, inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia del ministero dell’Interno, era assieme alla moglie e ai due figli in un appartamento nella zona Eremo, zona alta della città. In casa, dove forse si era ricongiunto alla famiglia in vista delle festività natalizie, De Stefano, condannato a 28 anni dai Tribunali di Messina e Reggio Calabria per traffico di sostanze stupefacenti e associazione mafiosa e a 30 per omicidio, è stato bloccato nel primo pomeriggio. Quando gli uomini della sezione “Catturandi” della Questura hanno bussato all’appartamento, Giuseppe De Stefano ha aperto la porta al sesto piano dello stabile e non ha opposto alcuna resistenza. La latitanza del capo del clan De Stefano durava dal 2003. A portare gli investigatori al nascondiglio del latitante è stato anche un suo fiancheggiatore, Giovanni Tavella, uno dei “fedelissimi” del boss, che abita nello stesso edificio. De Stefano era con la moglie e i due figli, gli stessi bambini per i quali, Il padrino di una delle cosche più potenti della città si era rifugiato in un appartamento con la moglie e i due figli, gli stessi bambini per i quali, in base a una sentenza del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, il boss aveva perso la patria potestà in base a una sentenza del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, aveva perso la patria potestà. Nella recente decisione che aveva destato clamore, i giudici avevano sostenuto che Giuseppe De Stefano «finora appare essere rimasto estraneo all’educazione dei figli, che è stata gestita totalmente dalla moglie. Il suo prolungato stato di latitanza ha privato i figli dell’ineliminabile figura paterna e del ruolo che essa è chiamata a svolgere nell’equilibrata formazione del carattere». Soddisfatti i vertici di polizia di Stato e magistratura. «Oggi - ha detto il procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone incontrando i giornalisti - è stato conseguito un risultato di particolare valore perché Giuseppe De Stefano significa il “top” della ’Ndrangheta. Da oggi in poi - ha proseguito - cominceremo alacremente a lavorare per ulteriori obiettivi. Nei prossimi giorni comunque, con il prosieguo delle indagini, cercheremo di capire quali ripercussioni avranno gli assetti di mafia in città con l’arresto di Giuseppe De Stefano». 4 lunedì 15 dicembre 2008 Europa chiama Italia di Alessandro Zan [email protected] Il Vaticano contro i diritti umani In Mauritania due uomini adulti che commettano sodomia sono uccisi tramite lapidazione, come recita l’articolo 308 del Codice penale del 1984. In Nigeria un omosessuale può cavarsela con quattordici anni di prigione, ma non se vive in uno dei 14 Stati del Nord in cui è in vigore la legge islamica, che prevede la morte per lapidazione, come anche in Arabia Saudita, Yemen, Emirati Arabi Uniti, Sudan. In altri 79 Stati l’omosessualità è illegale e comporta lunghe carcerazioni o addirittura l’ergastolo. In altri 7 Paesi un gay rischia l’arresto anche in assenza di una legge specifica, Se l’argomento, com’è accaduto vaapplicato alle rie volte negli ultirichieste nostrane mi anni in Egitto. Di fronte a tale ordi una legge un governo di contro l’omofobia, rore, destra come quello francese aveva poteva preso l’iniziativa sembrare poco e annunciato una misericordioso, proposta per la depenalizzazione uniappare davvero versale dell’omosesdisumano sualità. Nei giorni se riferito al scorsi il ministro francese per i Diritti fenomeno umani, Rama Yade, tanto brutale ha formalizzato quanto esteso all’Assemblea genedell’uccisione rale delle Nazioni unite la richiesta, o della che aveva registrato carcerazione di anche il consenso uomini e donne del ministro italiano alle Pari opporsolo perché tunità Mara Carfaamano una gna («sono pronta a persona dello sollecitare il nostro ambasciatore italiastesso sesso no presso le Nazioni unite perché si faccia portavoce della richiesta di depenalizzazione universale dell’omosessualità» aveva dichiarato in giugno). Arriva quindi come una doccia fredda la presa di posizione di monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa sede presso le Nazioni unite, che ha annunciato l’opposizione vaticana alla proposta francese. Non pago di una storia costellata da persecuzioni e roghi contro i “sodomiti” (a cui nessun papa ha mai chiesto scusa) il Vaticano continua a perorare la criminalizzazione dei comportamenti omosessuali. Perché? C’è una motivazione più ottusamente politica dietro queste posizioni. Le dichiarazioni recenti riprendono, a un livello di crudeltà inaudito, la teoria del piano inclinato che è il leit motiv di “oltretevere” quando si parla di diritti di gay e lesbiche: se si riconosce un qualche minimo diritto a gay e lesbiche, si finirà inesorabilmente per delegittimare chi non sia disposto a riconoscere la piena dignità alle persone omosessuali e alle loro unioni. Se l’argomento, applicato alle richieste nostrane di una legge contro l’omofobia, poteva sembrare poco misericordioso, appare davvero disumano se riferito al fenomeno tanto brutale quanto esteso dell’uccisione o della carcerazione di uomini e donne solo perché amano una persona dello stesso sesso. A questo punto il Vaticano, com’è accaduto in casi analoghi, cercherà di fare asse con i Paesi islamici per bloccare l’iniziativa francese: sarà interessante vedere quanto queste posizioni peseranno sul comportamento dell’Italia. Se hai un termosifone che poggia su una parete esterna inserisci tra il termosifone e la parete un pannello di polistirolo avvolto dall’alluminio. Ridurrai notevolmente la dispersione di calore! Francesco Benetti [email protected] La guerra fredda è finita La Russia si dimostra intrinsecamente legata agli andamenti del resto del mondo, una debolezza cui forse non si era abituati. Le possibili ripercussioni di una crisi industriale del colosso euroasiatico, per i mercati energetici di mezza Europa, è solamente intuibile D opo la “zona euro”, anche la Russia è entrata in crisi. È ufficiale, dichiarato dal ministro dello Sviluppo economico Andréi Klepach, e lo riportano le maggiori agenzie di stampa europee. Il quotidiano spagnolo El Pais sottolinea però che, comunque, «nonostante l’annunciata caduta di quest’ultimo trimestre, nei primi nove mesi dell’anno il Pil è cresciuto del 7,3%». La Russia, quindi, non più Unione sovietica, mostra il fianco e, per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, si dimostra intrinsecamente legata agli andamenti del resto del mondo, una debolezza cui forse non si era abituati. Le possibili ripercussioni di una crisi industriale del colosso euroasiatico, per i mercati energetici di mezza Europa, è solamente intuibile. Dall’altra parte del mondo, intanto, continua la discesa verso gli inferi del “sogno americano”: la sua città industriale più rappresentativa, Detroit, è sull’orlo del collasso non solo economico, ma anche del degrado sociale e urbano, dopo che il Senato Usa ha bocciato il piano da 14 miliardi di dollari che era stato preparato per salvare i due colossi statunitensi dell’automobile: General motors e Chrysler. L’amministrazione Bush, ormai definitivamente uscente, ha incassato così l’ultima pugnalata da ex amici e neo nemici, obbligata ad annunciare la possibile perdita di oltre un milione di posti di lavoro. In mezzo alle intemperie dei due poli del mondo, intanto, naviga a vista la “vecchia Europa”, un tempo auspicato terzo polo (economico, tecnologico, sociale, ambientale…) e oggi più che mai legato agli sbalzi d’umore delle lavagne luminose di Wall street e/o alle condizionalità del Cremlino. La stabilità e la forza della nostra moneta, in crescita rispetto a tutte le altre valute internazionali, non ci assicura infatti sonni tranquilli: il settore finanziario sta perdendo posti di lavoro a un ritmo costante. Il gruppo spagnolo Santander ha annunciato un taglio di quasi 2.000 lavorato- ri nelle sue filiali inglesi, pari a circa l’8% del totale del personale. Giusto appena prima di Natale, “it’s business, baby!”. The Guardian, da Londra, conferma intanto i peggiori timori dei sudditi della regina: l’isolamento della moneta inglese, che negli anni passati aveva rafforzato la Gran Bretagna rispetto all’euro, oggi potrebbe essere un pesante macigno attaccato ai piedi dell’economia della sterlina: «La Gran Bretagna potrebbe entrare in una recessione ancora più grave di quella prospettata… la produzione industriale è scesa del 5,2% dall’inizio dell’anno, il declino più veloce da l991». Riscontro immediato: i lavoratori stanno perdendo il loro posto di lavoro. In Irlanda, fino a qualche mese fa ancora la “tigre celtica”, Vodafone si appresta a licenziare 150 persone, il 10% esatto dei suoi impiegati sul territorio nazionale. Secondo l’Irish Independent, «la compagnia spera di realizzare questa misura di riduzione dei costi attraverso un programma di riduzione volontaria del personale». La Nissan, in Catalunya, secondo quanto riportato da El Pais, ha approvato un programma di sospensione pre-licenziamento per 3.500 operai: a questi, si sono sommati 200 casi di licenziamento volontario, evidentemente la nuova moda per la regolazione dei contratti d’impiego. Sembra sempre più che la crisi sia colpa degli operai, così ansiosi di ricevere lo stipendio ogni fine del mese. In Francia, a far fronte di una simile ondata di licenziamenti (nell’ordine delle migliaia per il colosso delle telecomunicazioni Alcatel), è arrivato un piano di rilancio del governo che dovrebbe creare, secondo il ministro dell’Economia Christine Lagarde, circa 100mila nuovi posti di lavoro attraverso sovvenzioni alle piccole aziende. Ma un allarme per ora trascurato arriva da una voce indipendente, il settimanale spagnolo Diagonal: «La recessione si sfamerà con i lavoratori stagionali». Secondo la cronaca, la crisi del mercato delle costruzioni sta spostando importanti flussi di lavoratori verso le campagne, rendendo la già difficile situazione degli immigrati lavoratori stagionali ancora più insostenibile per la concorrenza: i permessi di lavoro non vengono rinnovati, nelle campagne si sta assistendo ai primi episodi di violenza e giustizia sommaria. Il risultato è un incremento drammatico della schiavitù moderna, che vede questi immigrati offrire la propria forza lavoro per miserie ingiustificabili nella società moderna nella quale ci fregiamo di vivere. Area marina protetta “Punta Campanella” Gianni Milano - [email protected] Anche questo lunedì condividerò con i lettori di Notizie Verdi una sintesi della pubblicazione che ho personalmente curato per conto del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare intitolata Alla scoperta delle ventisei Aree Marine Protette italiane, attualmente distribuita gratuitamente dallo stesso ministero. Visitiamo allora insieme, seppur virtualmente, un’incantevole parte della Campania A pochissimi chilometri da Sorrento, da Vico Equense, da massa Lubrense e da Positano, di fronte alla magnifica isola di Capri è situato il promontorio di Punta Campanella, che ospita l’Area marina protetta (Amp) e che deve il suo nome ovviamente a una campana. Esistono due differenti versioni circa il legame tra il territorio e la campana. La più semplice delle due teorie sostiene che sulla Torre Minerva, dove si trovavano i soldati di guardia per avvistare eventuali navi saracene in avvicinamento, esisteva una piccola campana che veniva suonata in caso di pericolo. L’altra è molto più colorita e fantasiosa e di conseguenza anche più conosciuta. Si narra che in una delle scorribande dei Saraceni nella Penisola Sorrentina (probabilmente proprio in quella tristemente famosa del 1558) fu saccheggiata anche la chiesa di Sant’Antonino Abate, protettore di Sorrento. Quando la flotta pirata giunse alla Punta della Campanella, la nave che trasportava la campana e gli altri oggetti trafugati nella chiesa fu bloccata da una forza misteriosa e, nel tentativo di procedere e di raggiungere le altre imbarcazioni che intanto si allontanavano, i predoni cominciarono ad alleggerire l’imbarcazione gettando in mare parte del loro bottino. Ma solo quando si liberarono della campana di bronzo di Sant’Antonino riuscirono a doppiare la punta. La leggenda vuole che, non appena la campana fu gettata in mare, si levò un improvviso e fortissimo vento che consentì al vascello pirata di raggiungere in pochi attimi le altre imbarcazioni. C’è anche chi sostiene che ogni 14 febbraio, festa del santo protettore di Sorrento, si sente la campana suonare sott’acqua. Il territorio interessato da questa AMP è gremito di turisti in ogni periodo dell’anno, ma c’è sempre l’opportunità di godere in serenità di queste magnifiche zone, fare un bagno nelle acque cristalline della spiaggia bandiera blu di Massa Lubrense oppure in quella della Marinella a Sant’Agnello, visitare Positano, la spiaggia bandiera blu, che con il suo borgo aggrappato alla roccia e i suoi negozi caratteristici e romantici fa innamorare anche i più scettici e solitari, provare la famosa pizza a metro di Vico Equense e poi assolutamente assaggiare una fetta di provolone del monaco e una delizia al limone nel centro storico di Sorrento. Le acque della “Terra delle Sirene”, celano mutevoli habitat da scoprire in entusiasmanti immersioni. Falesie a picco si alternano a pareti dolcemente degradanti; più al largo dal fondo si ergono improvvisamente alcune secche, vere e proprie oasi naturalistiche in cui si concentrano paesaggi subacquei tra i più belli del Mediterraneo. In questo tratto di mare è possibile incontrare una notevole varietà di organismi animali e vegetali che vivono stabilmente a contatto con il fondo, a partire dai primi metri per procedere verso ambienti più profondi. Numerose specie di vegetali iniziano a colonizzare il substrato fin dalla fascia di marea; in questa zona predominano le alghe verdi, brune e rosse. La posidonia oceanica, la più diffusa tra le piante superiori marine, forma in alcune aree, estese e verdi praterie. Fra le fronde e i rizomi della posidonia vivono migliaia di organismi: ricci, stelle di mare, rosse ascidie, chiocciole, lumache e tantissimi altri molluschi gasteropodi e altre specie che vivono sulle foglie della pianta, come i graziosi cavallucci di mare, o tra le radici sotto la sabbia. L’intrigo delle fronde rappresenta l’habitat per scorfani, labridi, castagnole e salpe. All’aumentare della profondità cambia il paesaggio e si incontrano scenari spettacolari: colonie di Parazoanthus axinellae giallo-arancio che tappezzano intere pareti, la paramuricea o gorgonia con i suoi ventagli arborei fatti dai polipi espansi elegantemente come ad accarezzare l’acqua e, ovviamente, i più noti anemoni di mare multicolori. Le corolle color fagiano degli anellidi sedentari, i cosiddetti spirografi, ondeggiano in corrente come se danzassero una sinfonia della natura. Ogni centimetro di roccia disponibile è soggetto a una continua competizione per il substrato dove milioni di piccoli animali invertebrati, di alghe, anemoni di mare e altri organismi si fanno spazio tra le coloratissime spugne. Sullo sfondo di questo incantevole scenario si muovono numerose specie di pesci che si spostano freneticamente alla ricerca di cibo. Si possono ammirare guizzanti cefali a cui fanno compagnia branchi di salpe, latterini, guarracini neri, ma anche argentei saraghi, sospettose spigole e timide orate, e ancora piccoli serranidi come cernie e sciarrani e diverse schiere variopinte di labridi.