Il ROMANZO CRIMINALE BRUZIO - COSENZA E LA SUA STORIA DI

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Il ROMANZO CRIMINALE BRUZIO - COSENZA E LA SUA STORIA DI
Il ROMANZO CRIMINALE BRUZIO - COSENZA E LA SUA STORIA DI 'NDRANGHETA (seconda puntata)
LA STORIA (Seconda Puntata)
Sulla piazza di Cosenza gli uomini di Raffaele Cutolo
Nell'illustrare la storia della criminalità cosentina si è voluto suddividere i periodi in uno spazio
temporale di cinque anni. Nella prima parte si è sottolineato come la morte di Luigi Palermo,
avvenuta nel 1977, abbia segnato un chiaro spartiacque ed un momento di forte evoluzione del
sistema criminale. Da quel momento si assiste ad una dura e cruenta guerra di mafia che non
risparmia nessuno. Nel solo 1981 nella sola città di Cosenza si consumano ben sedici omicidi. Il
28 giugno del 1982 viene ucciso nel suo studio il noto e stimato penalista Silvio Sesti. L’omicidio
viene commesso da Alfonso Pinelli e Sergio Bianco, due killer napoletani legati alla Nco, Nuova
Camorra Organizzata, di Don Raffaele Cutolo.
Ciò conferma che in quegli anni il clan Pino con il suo alleato Basile che agiva sul basso tirreno
cosentino, disponevano di Killer della camorra garantendo, in cambio delle loro prestazioni,
periodi di latitanza ed assistenza. Periodi di latitanza offerti soprattutto nelle montagne di
Falconara Albanese. Alcuni pentiti hanno indicato in Franco Pino il mandante dell'omicidio
Sesti, lo stesso Franco Pino nelle dichiarazioni rese da pentito affermò che la decisione di
eliminare l'avvocato fu presa autonomamente dal Nelso Basile ucciso il 20 febbraio del 1983 a
San Lucido nella guerra di mafia che vedeva
contrapposti clan del tirreno. Il 1983 si apre con l'omicidio avvenuto il 28 gennaio di Mariano
Muglia, legato al clan Perna e sospettato di voler trasmigrare nel clan avversario. Nello stesso
anno subisce un attentato Francesco Pagano, legato a Franco Pino. Svanisce nel nulla con il
metodo della lupara bianca, Maurizio Valder. Si assiste ad altri omicidi fino al 1985, anno in cui
si consuma a Cosenza il primo delitto eccellente che pone la stessa città sulla ribalta nazionale
e che dimostra in modo inequivocabile a che livello sia giunto il potere e la tracotanza delle
organizzazioni criminali imperanti sul territorio.
Il 12 marzo 1985 subisce un attentato che gli costerà la vita il direttore del carcere di Via Popilia
Sergio Cosmai Un funzionario statale ligio al suo dovere che, senza alcuna scorta e protezione,
aveva imposto delle regole all'interno del penitenziario. Nativo di Bisceglie, comune pugliese,
Cosmai cadde sotto il fuoco di un commando composto dai fratelli Dario e Nicola Notargiacomo
e dai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo.
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Cosmai muore in una clinica specialistica della sua regione ed il processo di omicidio viene
celebrato a Trani. In primo grado si assiste a condanne all'ergastolo. In appello gli imputati
vengono assolti. Su tale assoluzione rimane l'ombra di alcuni pentiti che affermarono di aver
consegnato settanta milioni delle vecchie lire destinate ad un importante personaggio pugliese
per addomesticare la sentenza. Dichiarazioni rimaste tali e mai suffragate da prove certe.
Essendo la sentenza d'assoluzione passata in giudicato, e non essendo possibile modificarla
l'omicidio Cosmai rimase impunito con la consapevolezza che una assurda norma giuridica non
consente l'individuazione del mandante dell'efferato atto criminale.
I fratelli Bartolomeo moriranno nella guerra di mafia. I fratelli Notargiacomo vivono con il regime
di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. L’omicidio Cosmai attira i riflettori nazionali su
Cosenza e questo impone una serie di contromisure da parte di chi gestiva le consorterie
mafiose. Da quel momento si intensificano i rapporti e le azioni mirate a far decollare una tregua
armata fra i fronti contrapposti dei clan in guerra. Una tregua che nasce nel 1986 e che diviene
pace vera e propria in un incontro fra i capi clan nel 1990. La tregua impone dei garanti al di
sopra delle parti. La funzione di garanti per la tregua viene assunta da due capi storici della
'ndrangheta calabrese, Giuseppe Pesce di Rosarno e Giuseppe Piromalli di Gioia Tauro.
Personaggi che hanno fatto la storia della 'ndrangheta calabrese. Un periodo, quello degli anni
ottanta che si identifica anche a Cosenza con omicidi eccellenti.
La morte dell'avvocato Sesti e del direttore del carcere Cosmai ben chiariscono il livello di
evoluzione di una criminalità che si è trasformata in una terribile e temibile organizzazione in
grado di infiltrarsi nell'economia cittadina, in grado di divenire imprenditrice ed in grado di
incutere timore e paura.
Svanisce la leggenda voluta da buona parte della classe politica di allora per la quale Cosenza
era immune dalla piovra mafiosa e che la mafia doveva identificarsi solo in alcune zone della
provincia di Reggio Calabria. La tesi di Cosenza «isola felice» è in realtà dura a morire
considerando che ancora oggi vi è chi si ostina a sottovalutare il fenomeno criminale. Ma nel
1986 avviene un qualcosa che ben chiarisce, soprattutto alla luce di quanto avvenne in seguito,
qual'era il clima sociale ed il consenso «esterno» che sosteneva la criminalità cittadina. Agli inizi
del 1986 vengono ritrovati i corpi di Francesco Lenti e di Marcello Gigliotti, uccisi dai loro stessi
amici perché accusati di «agire» in proprio senza l'assenso del capo. Antonio De Rose,
appartenente al clan Pino ed amico intimo di Lenti e Gigliotti sospettando di dover subire la
stessa triste sorte, decide di collaborare con la giustizia. Il 10 marzo di quell'anno De Rose si
presenta ai carabinieri e racconta tutta una serie di particolari inediti ed interessanti. Svela di
essere stato affiliato in carcere con il grado di picciotto, il primo scalino della gerarchia della
'ndrangheta. Parla anche di Pietro Pino, fratello di Franco Pino. Un personaggio avvolto da un
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alone di mistero. Riconosciuto da tutti come persona dotata di grande intelligenza e di enormi
capacità di mediazione, nessuno è mai riuscito a capire quale fosse il vero ruolo di Pietro Pino.
Nella sua cella personaggi come Umber- to Bellocco di Rosarno e Nino Gangemi di Gioia Tauro
avevano con lui un rapporto alla pari.
Nessuno sa dove sia. De Rose è il primo a definire gli intrecci fra i vari clan che agivano nella
provincia di Cosenza, fu il primo a raccontare i rapporti strettissimi di Franco Pino con i
cutoliani, considerando che lo stesso boss venne arrestato a Napoli in un summit organizzato
da Don Raffaele Cutolo. Fu il primo a svelare lo scambio di killer e di azionisti fra la Nco
cutoliana e la 'ndrangheta cosentina. Le rilevazioni di De Rose determinarono numerosissimi
arresti ma la gestione di tale inchiesta fu travagliata e complicatissima anche perché allora non
esisteva alcuna normativa che definisse come trattare le dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia. Un pentito «ad litteram» che indusse i capi a mediare e ricercare le condizioni per una
tregua. Tregua che condusse ad una grande espansione economica ed imprenditoriale delle
organizzazioni criminali. Inutile precisare che in quel clima di complicità diffuse e di connivenze
più o meno evidenti tutti coloro i quali vennero arrestati sulle dichiarazioni del collaborante De
Rose vennero, dopo alcuni giorni, rilasciati tranne poi poter osservare, negli anni successivi,
che i racconti dei numerosi pentiti cosentini combaciavano perfettamente con le dichiarazione
del De Rose che ritrattò tutte le dichiarazioni fatte avendo capito di aver osato troppo rispetto ai
tempi. Lo stesso De Rose non ottenne in seguito alcun riconoscimento di collaborante e venne
abbandonato al suo destino.
Del resto Gaspare Pisciotta, che fu il primo collaborante della storia della mafia siciliana venne
avvelenato e fatto passare per pazzo. E non solo i fatti descritti da De Rose non determinarono
alcunché dato il proscioglimento in fase istruttoria degli imputati da ogni accusa ma addirittura il
reato di associazione mafiosa subisce la derubricazione in associazione a delinquere semplice.
Tale vicenda ben chiarisce il clima di connivenze, di coperture, di ambiguità di quegli anni.
Il cosiddetto livello dei colletti bianchi, da sempre impunito, riusciva, probabilmente, a
condizionare tutto e tutti. L’illegalità diffusa ed ambientale, le complicità esterne mai chiarite
hanno costituito l'asse portante e determinante per la strutturazione di una mafia imprenditrice
che nel mondo della politica ritrova le giuste complicità per poter agire indisturbata. In quel
periodo si possono citare solo due iniziative degne di nota. Il convegno «Gangsters a Cosenza»
svoltosi il 10 gennaio del 1982 con la partecipazione dell'Università della Calabria e
magistratura democratica ed il lavoro svolto dal centro di ricerca e documentazione sul
fenomeno mafioso dell'Università di Arcavacata, allora sorretto dal professore Pino Arlacchi,
noto studioso del fenomeno criminale, «Criminalità a Cosenza e provincia» commissionato
dall'amministrazione provinciale di Cosenza nel 1982. Nei due lavori si intravedono le basi
analitiche che ben definiscono gli scenari futuri contraddistinti da una criminalità sempre più
organizzata e ben addentrata nel mondo economico ed imprenditoriale. Su tale aspetto ne
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discuteremo nelle prossime puntate.
Gianfranco Bonofiglio
“La Provincia Cosentina”
22 luglio 2003
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