Linguistica acquisizionale: tappe di apprendimento dell`italiano L2

Transcript

Linguistica acquisizionale: tappe di apprendimento dell`italiano L2
Linguistica acquisizionale: tappe di apprendimento dell’italiano L2 in contesto naturale
R. Solarino
In L. Revelli (a cura di), Italiano L2. Problemi scientifici, metodologici, didattici, FrancoAngeli, Milano, 2009,
pp.78-95
0. Introduzione
Scopo di questo corso è di mettere in condizione gli insegnanti che hanno allievi di
origine straniera di intervenire consapevolmente nella facilitazione del loro
apprendimento dell’italiano. A questo fine risultano a nostro parere estremamente utili
alcune conoscenze di psicolinguistica e di linguistica acquisizionale, discipline che si
sono occupate, rispettivamente, della prima acquisizione dell’italiano come lingua
materna (o L1) e dell’italiano come lingua seconda (o L2). In questo modulo
introduttivo delineeremo rapidamente i confini di queste discipline e i motivi per cui la
conoscenza dei loro principali risultati possono giovare ad un insegnante di italiano.
La psicolinguistica si occupa delle tappe attraverso cui passa la prima acquisizione
di una lingua materna e degli stretti rapporti che intercorrono tra sviluppo cognitivo e
sviluppo linguistico.
La linguistica acquisizionale (LA)
si è invece specializzata nello studio
l’acquisizione di una lingua non materna, convenzionalmente detta lingua seconda, che
si giova a questo fine, del confronto tra i dati della prima acquisizione e quelli di una
L2.
Lo scopo della LA è la descrizione e spiegazione dei processi di apprendimento di
lingue non prime, che hanno luogo in età successiva a quella in cui si è appresa la o le
lingue materne (è questo i caso di bilingui perfetti), sia in contesto sociale che in
contesto guidato; è di norma compreso pure l’apprendimento di lingue straniere non
parlate al di fuori di corsi di lingue, altrimenti dette Ls. La LA non si occupa né di
bilinguismo precoce né dell’ apprendimento di una L2 che sia di poco successivo a
quello di una L1 (è il caso, per esempio, di figli di immigrati, esposti ad una lingua
seconda fin dalla più tenera età), apprendimento che sembra avere caratteristiche simili
(anche se non ancora studiate in profondità) a quelle di una L1 (Chini 2005).
Uno dei concetti fondamentali della LA è quello di interlingua. Un’interlingua si
può definire uno stadio intermedio nel progressivo avvicinamento ad una L2, che
presenta errori caratteristici. Nell’apprendimento di uno o di gruppi di apprendenti si
possono individuare diversi stadi di interlingua, sempre più vicini alla lingua
‘bersaglio’, cioè alla lingua che si vuole imparare, che presentano errori tipici diversi.
Nella maggior parte dei casi questi errori sembrano generati da regole provvisorie
relative alla L2, basate su generalizzazioni o semplificazioni delle sue caratteristiche
(per esempio il nome tigro, il participio passato aprito o il passato remoto facé. Alcuni
di questi errori si osservano sia per la L1 che per la L2, altri sono invece tipici di una
delle due condizioni di apprendimento: li vedremo meglio in seguito. A volte invece,
molto meno spesso di quanto ipotizzato in precedenza dalla cosiddetta analisi
contrastiva, questi errori si possono far risalire all’influenza della L1, alla cosiddetta
interferenza (per approfondimenti, cfr. Chini 2005).
E’ nostra convinzione che nonostante l’apparente complessità del quadro che
andremo delineando, queste dimensioni di studio siano molto utili per l’insegnante di
italiano, sia L1 che L2: non solo perché sempre più spesso egli si trova ad interagire
con entrambi i processi di apprendimento, ma anche perché molte delle ipotesi di
spiegazione che incontreremo possono utilmente essere usate in entrambi i casi. Gli
studi di LA si sono ispirati al cosiddetto approccio funzionale, che guarda alla lingua
come un mezzo per trasmettere dei significati nel modo più economico possibile (per
maggiori particolari cfr. Giacalone Ramat 2003 p.17-20): l’accostamento a questa
prospettiva di studio permette perciò di aggiornare la terminologia e le nozioni
grammaticali già note agli insegnanti. A questo fine introdurremo delle brevi
spiegazioni grammaticali ogniqualvolta le conoscenze o la terminologia utilizzata si
distanziano da quelle tradizionali, che rappresentano ancora il punto di partenza
ineliminabile per qualunque discorso sulla lingua. Ove questo non fosse possibile nei
limiti di questo corso, rinvieremo a letture di approfondimento.
1. Morfologia del nome
A. In italiano L1
L’acquisizione dell’italiano L1 può ormai contare su numerosi studi di riferimento,
che hanno chiarito le tappe attraverso cui un bambino si avvicina, con strategie che
sembrano universali, a dominare le regole proprie della nostra lingua. Ne daremo una
rapida sintesi, sulla base di Chini 1995: 129-151.
Per quanto riguarda la morfologia del nome, per poter formulare delle strutture
nominali corrette in italiano l’apprendente deve aver capito (in modo implicito,
ovviamente, ma non per questo meno efficace sulle sue produzioni):
- che in italiano ogni nome appartiene a una classe flessiva e a un genere;
- che in molti contesti è necessario far precedere il nome da un articolo che marchi
la definitezza o meno del nome;
- che è necessario concordare in genere e numero alcuni elementi che si riferiscono
al nome: articoli, aggettivi attributivi e determinativi, participi e pronomi anaforici, che
si riferiscono cioè a nomi o altri elementi che li precedono: per es. Mario incontrò
Giorgio e lo salutò; aveva fame, ma non aveva il coraggio di dirlo;
- che esistono vari paradigmi di forme flessive a cui far riferimento nell’accordo
degli elementi che si riferiscono al nome.
Questo compito è reso più complicato da alcune caratteristiche della morfologia
italiana che conviene tenere presenti:
- relativa arbitrarietà dell’assegnazione del genere: a parte i casi di assegnazione del
genere naturale e dei campi semantici a genere omogeneo (nonno/nonna, cugino/cugina,
gatto/gatta ecc.), il genere ha in italiano uno scarso contributo semantico funzionale,
non serve cioè a capire meglio il significato di quanto si ascolta, ma solo a stabilire certi
nessi sintattici;
- scarsa salienza percettiva (si tratta infatti di piccolissime parti di parola, poco
percepibili) delle desinenze di genere e di numero e degli articoli, che rende difficile
percepirle nel parlato di nativi;
- carattere flessivo-fusivo della morfologia nominale, per cui in molti casi i
morfemi flessivi che si aggiungono alla radice lessicale cumulano più valori, col
risultato di una scarsa trasparenza (in buon-e, per esempio, –e cumula i significati
‘femminile’ e ‘plurale’);
- l’omonimia : per esempio -e, -i, -o possono veicolare diversi valori: di genere, di
numero, di persona verbale).
I dati raccolti con bambini seguiti longitudinalmente concordano nel tracciare il
seguente quadro relativo alle varie tappe di acquisizione della morfologia nominale:
Genere
Per i nomi, i bambini apprendono quasi contemporaneamente le flessioni ‘centrali’
dell’italiano, quelle in -o e -a, probabilmente per la frequente esposizione a coppie di
genere naturale diverso, come nonno/nonna, bimbo/bimba, zio/zia. Molto rari in L1
sono gli errori di terminazione del nome ( del tipo una ventaglia, una disenna, per un
ventaglio, un disegno). L’opposizione tra –o e -a viene talora sovraestesa, cioè applicata
a nomi per i quali l’italiano possiede una parola diversa: i bambini possono dire per
esempio fatella invece di sorella, malita per moglie. L’aggiunta della specificazione di
genere attraverso un’altra parola (il tipo leone femmina per leonessa) è invece attestata
piuttosto tardi.
Appare precocemente nei bambini anche la derivazione di genere, del tipo
gelataio/a dottore/dottoressa, che permette di produrre nomi di esseri della stessa specie
ma di sesso diverso ed è quindi dotata di una chiara base semantica.
All’opposizione -o/-a seguono poi il maschile e femminile in -e (il stivale, a febbe),
infine i maschili in -a (un golilla). Prima dell’apprendimento di queste ultime desinenze,
sono frequenti le sovraestensioni delle desinenze più centrali e frequenti dell’italiano (-o
e -a): su quelle meno frequenti (-e masch. e femm., -a masch.). I bambini producono per
esempio forme come il buo (“il bue”) o la pobema (“il problema”).
Numero
Le forme del plurale (nomi, articoli, aggettivi, pronomi tonici e clitici) compaiono
dopo il singolare. I nomi plurali sono i primi a comparire, verso i due anni, ma si
affermano rapidamente: un indizio prezioso dell’avvenuta acquisizione sono i plurali
analogici, come diti, foti (foto) batti (braccia.) E’ interessante notare che il plurale dei
nomi si afferma subito dopo l’acquisizione della categoria semantica del numero, a
conferma dello stretto legame esistente tra sviluppo cognitivo e linguaggio nella prima
acquisizione..
Articoli.
Sembra acquisito prima l’articolo determinativo nella forma più ‘tipica’ dell’italiano
la, segue il (reso all’inizio con i), poi il plurale le/i, infine lo e gli, il cui uso registra
qualche incertezza (i stivali). Gli articoli indeterminativi vengono prodotti prima da soli,
con valore di numerale, poi con valore indeterminato, nelle forme ’piene’ uno e una :
uno pole (“un fiore”), una atta (”un’altra”), uno cabbiano (”un gabbiano”).
Accordo di genere e numero
E’ visibile prestissimo in L1. I bambini commettono pochi errori di sovraestensione:
i duccolo (lo zucchero), i batti (le braccia), mii. I participi variabili sono subito flessi per
genere e numero (papà ndato), Non sembra che i bambini abbiano problemi ad
accordare i target del nome più lontani con il nome ‘controllore’: si parte dall’accordo
con il nome degli aggettivi possessivi: mio tattoe (“il mio trattore”), poi degli aggettivi
dimostrativi, nella forma piena: quello papà, quello tappeto e degli aggettivi
qualificativi immediatamente vicini al nome: mani pocche (“mani sporche”), bello piole
(“fiore”) per passare poi all’accordo con gli aggettivi e i participi passati in funzione di
predicato, che nella frase sono i più lontani dal nome : papà ndato (“papà se n’è
andato”), a luti è bella (“la luce è bella”).
Pronomi personali
I pronomi clitici non sono tardivi nell’acquisizione né pongono problemi di accordo,
semmai di posizione e di segmentazione (io la c’ ho, per io ce l’ho) ; in qualche caso
precedono addirittura i tonici lui e lei. La sequenza di acquisizione sembra comunque
essere la seguente (Calleri 1983, Berretta 1986)
1. prima dei due anni: nessun pronome, né tonico, né atono
2. a due anni e mezzo: tonici io , tu; atoni mi (dat.), ti (dat. e acc.) ci particella
desemantizzata (c’è) , si impersonale
3. a tre anni: tonico: io, tu e noi; atoni mi, ti, gli (masch. sing.) si anche rifl., lo
flesso, ci locativo, nessi te lo;
4. a tre anni e mezzo: compaiono i tonici lui e lei, i nessi me lo e te lo;
5. a quattro anni: compare le 'a lei',
6. a cinque anni (circa): compare il ne isolato, nell'uso partitivo (ma perché Rosa ne
ha tre di figli?); altri usi di ne compaiono più tardi ancora.
7. ci e vi plurali compaiono anch'essi più tardi: rispettivamente tra i 4 e 5 anni il
primo e intorno ai 5 anni il secondo.
A.
In italiano L2
Le principali differenze (Calleri et al. 2003: 221-228) nell’acquisizione della
morfologia nominale in italiano L2 riguardano la difficoltà dell’acquisizione del genere:
mentre i bambini apprendono prestissimo la prima opposizione di genere o/a, è molto
frequente in stranieri che imparano l’italiano l’uso di un’unica forma basica per
maschile e femminile, che spesso termina in –a (uoma, filma, corpa, pranza).
E’ frequente anche in adulti che apprendono l’italiano l’evitamento della difficoltà
opposta dal genere attraverso la lessicalizzazione (figlio femmina). La stessa strategia
viene usata anche per coniare plurali (due mano invece di mani). Molto più frequente
che nei bambini appare poi la sovraestensione analogica usata per sostituire l’
eteronimia (malita per moglie, fatella per sorella). Negli stranieri che imparano
l’italiano perdura inoltre a lungo il mancato accordo dei target più lontani dal nome
(altri amici …tutto bravo, i capelli sono grigio, i negozi sono molto più caro, è vero che
oggigiorno la vita è più semplice e anche molto diverso).
Tipica dell’italiano L2 è anche la difficoltà nell’ acquisizione dell’articolo, evitato o
sostituito a lungo con questo/quello:
++ visto macchina passaggio (= ha visto passare una macchina) + ariva questo
signore
questa ….matrigna era- molto- invidiosa di- di- questa filia di questa bellezza eh?).
Infine, per quanto riguarda i pronomi si osserva la precedenza dei tonici sui clitici:
\IT\ cos'ha fatto il principe?
\FR\ + äh principe ha- ha- ++ ha visto lei (= l’ha vista)
e soprattutto la superutilizzazione dei pronomi tonici soggetto (lui/lei) che nei primi
stadi apprendimento consente di evitare la flessione verbale:
IT\ Ti sembra che sia bello che lui guardi dentro il portafoglio?
\TU\ belo, sì + giusto + lui molto grazie + contento, sì
ma perdura a lungo anche in stadi avanzati:
…questo (la delinquenza organizzata) funziona come la mafia e la polizia non può
far niente xxx loro fanno le cose brutte xxx loro rubano xx per esempio xx rubano le
persone.
Accanto a queste differenze tra i due percorsi, esistono però delle analogie
interessanti, che consistono principalmente
- nella sovraestensione analogica dei morfemi flessivi ‘centrali’ dell’italiano: se i
bambini producono forme come il buo, i tigri, reamo, gli stranieri dicono ragazza
giovana, droga forta, questa problema;
- nell’ uso produttivo, con sovraestensione, delle regole di derivazione: i bambini
dicono per esempio combattitore, elettricitore, controllatore, cucitore, recitatore,
giardinaio, negoziaio, cucinaio, fruttaio (Lo Duca 1990), gli stranieri coniano parole
possibili ma inesistenti come biblioteco per bibliotecario, buonità per bontà, incortire
da corto per accorciare, presidentale per presidenziale, familiale per familiare (Berretta
1987), assicurezza, sicuranza ecc..
In conclusione, la principale differenza tra le due situazioni di apprendimento per
quanto riguarda la morfologia del nome è che i bambini appaiono molto più rapidi degli
adulti nel giungere a dominare le complesse regole di flessione e di accordo richieste
dalla morfologia del nome italiano e presentano un periodo pre-morfologico molto più
breve di quanto si osserva negli adulti che imparano l’italiano come L2. I bambini si
dimostrano infatti, in generale, particolarmente sensibili alle caratteristiche ‘centrali’
della lingua che stanno apprendendo: nel caso dell’italiano si dimostrano perciò molto
attenti per esempio a quelli che si possono chiamare morfemi liberi, cioè gli articoli, le
copule, le preposizioni, ‘parolette’ brevi, di scarso significato e che quindi vengono
evitate in genere da apprendenti adulti, che mirano invece a trascurare questi elementi a
favore delle parole ‘piene’, ricche di significato.
E’vero che nelle primissime fasi dell’acquisizione anche lo stile delle prime frasi del
bambino si può definire telegrafico, perché vengono omessi articoli, preposizioni e
pronomi. Questo fenomeno è però molto più evidente negli adulti che imparano
l’italiano come lingua seconda, i quali tendono decisamente ad omettere, per esempio, i
pronomi atoni e a sostituirli con forme toniche o dimostrativi e producono frasi come ho
visto lui o mangia questo piuttosto che l’ho visto, o mangialo. I bambini tendono invece
molto presto a pronunciare qualcosa di indistinto nel posto del pronome atono o
dell’articolo, che non vengono però decisamente omessi o sostituiti con forme toniche.
In sostanza il bambino è molto più precocemente orientato alla morfologia, perché è
più motivato ad apprendere e ha più plasticità neurofisiologica.
A differenza dei bambini che entrano precocemente nella morfologia, gli adulti che
imparano l’italiano acquisiscono con difficoltà e lentamente le regole di morfologia sia
flessiva che nominale: poiché i loro bisogni comunicativi sono molto più complessi di
quelli dei bambini e poiché essi possiedono già le concettualizzazioni che i bambini
acquisiscono spesso insieme alla lingua, essi ricorrono piuttosto, e molto presto, a
strategie lessicali per esprimere significati che altrimenti sarebbero espressi dalla
morfologia (è il caso di leone femmina e di due mano).
2. Il sistema di tempo, modo e aspetto
A. In italiano L1
Ogni lingua possiede delle risorse per esprimere le diverse nozioni legate al tempo. In
italiano per dire quando si è svolta un’azione rispetto al momento dell’enunciazione e
rispetto ad altri eventi precedenti e successivi (tempo) , o per indicare il processo indicato
dal verbo (aspetto perfettivo o imperfettivo), o per esprimersi in merito alla certezza di un
evento o alle intenzioni di chi parla (modalità), è necessario crearsi dei paradigmi verbali,
cioè degli insiemi strutturati di forme (per una prima informazione sul sistema di TMA si
può utilmente consultare Lo Duca-Solarino 2006, per approfondimenti si veda BanfiBernini 2003).
Tempo e aspetto
In una lingua flessiva come l’italiano queste nozioni si realizzano con lo stesso
‘materiale’ linguistico: una desinenza verbale può infatti realizzare contemporaneamente
un’idea di tempo e di aspetto, come avviene per l’imperfetto e il passato prossimo. Questo
rende difficile stabilire delle sequenze di acquisizione: poiché la morfologia italiana usa
morfemi obbligatori e manca quindi la possibilità di omissione, il bambino italiano è
costretto alla scelta di un morfema finale, nel quale si cumulano di necessità valori diversi.
Le prime forme a comparire sembrano, comunque, quelle del presente (Pizzuto e Caselli
1992). Ciò avviene probabilmente perché sono più frequenti nell’input e risultano più
semplici cognitivamente e dal punto di vista articolatorio. Molto probabilmente si tratta di
forme prelevate dall’input come una parola unica, non segmentata cioè in pezzi più piccoli:
si spiegano così forme come (io) aggiusta, (tu) apre, (Marco) piango.
La prima forma che compare dopo il presente e si oppone ad esso è il participio passato,
che indicherebbe più che un’azione passata, un’azione compiuta, perfettiva i cui effetti
perdurano al momento dell’enunciazione (finita pappa): ciò starebbe a dimostrare la
precedenza dell’aspetto rispetto al tempo. La nozione di passato, usato per descrivere azioni
completamente trascorse, i cui risultati non siano più visibili al presente, emergerebbe
invece dapprima con l’imperfetto (buttavo la cipolla, l’ammazzavo, cadevo): in seguito,
quando il participio passato comincia a completarsi con entrambi gli ausiliari, questo
assume su di sé i significati temporali, lasciando libero l’imperfetto di coprire il valore
aspettuale imperfettivo:
S: /C'ea quel bimbo che ea a (m)mae/
M: e cosa faceva?
S: /faceva bagnetto
M: ma la mamma le dava la pappa
S: /e no(n) a mangiava/
M: e allora?
S: /(n)ie(n)te mae [...] chiuso a rete/
M: Chiuso la rete? Chi l'ha chiusa?
S: /i signoe/
(Margherita, 20 mesi, dal corpus Ferraris 1999).
Precoce è la comparsa di un uso modale dell’imperfetto, generalmente indicato come
imperfetto ludico: tu eri questa e il papà era questo che scendeva (Calleri 1995).
Per quanto riguarda il futuro, vanno distinti i suoi due valori fondamentali, quello
epistemico, che esprime una congettura del parlante riferita al presente (Che ore saranno?
Saranno le tre) e quello proprio, futurale, riferito ad avvenimenti che si collocano in un
tempo futuro rispetto al momento dell’enunciazione. Nell’acquisizione il futuro compare
prima con valore epistemico: il pollo dove sarà? (Calleri 1995) e solo più tardi, verso i 3
anni, con valore proprio: ciò è stato spiegato da un lato con la scarsa frequenza del futuro
vero e proprio nel parlato informale (in cui si tende sempre di più a sostituire il futuro con il
presente, accompagnato da avverbi temporali: domani vengo e ti racconto tutto), dall’altro
con la frequenza del futuro epistemico nel ‘maternese’: le madri tendono infatti,
specialmente nei primi tre anni di vita, a ottenere un feedback dai loro bambini e
producono un alto numero di interrogazioni che richiedono una reazione del bambino, che
spesso si presenta sotto forma di ipotesi: Suonano: chi sarà?.
Modo
Il primo modo che appare è l’indicativo, e simultaneamente l’imperativo: la cosa si
spiega facilmente con l’emergenza precoce della funzione volitiva nel bambino. Il segnale
dell’avvenuta acquisizione dell’imperativo è nella produzione di imperativi ‘scorretti’ della
prima coniugazione in –i: (parli, lasci, torni), che sta ad indicare che la forma è stata
‘processata’, sia pure in modo errato, e non invece ripresa semplicemente dall’input.
Interessante è la precoce comparsa nella lingua dei bambini di un infinito non retto da
alcun verbo: appare con una funzione modale richiestivo-iussiva e configura una struttura
ellittica, priva di verbo modale, che mette in superficie solo l’elemento semanticamente più
forte (andare lì,bere, anch’io parlare).
Compaiono piuttosto presto anche i verbi modali (Voio tornae su viale) seguiti
dall’infinito e successivamente strutture sintattiche più complesse, come guardo scrivere la
mamma.
Il gerundio preceduto da stare è usato presto con significato progressivo, anche con
ellissi di stare (mamma cadendo). Il verbo reggente è coniugato al presente e poi
all’imperfetto, al futuro con valore modale (starà dormendo).
Il congiuntivo entra piuttosto tardi ed è caratterizzato da variabilità maggiore di altre
forme. In parte il ritardo nell’apprendimento dipende dalla difficoltà che hanno i bambini
nel discernere le ragioni del suo uso, in parte dalla sua somiglianza, nel presente, con la
forma dell’ indicativo. Esso coincide infatti con l’indicativo in gran parte della prima
coniugazione (quella cui appartengono la maggior parte dei verbi italiani), mentre solo la
seconda e la terza coniugazione manifestano apertamente che in certi contesti e costruzioni
è richiesta una forma non indicativa. Va poi tenuto presente che il congiuntivo è in regresso
in molte varietà regionali di italiano. I bambini osservati in Calleri 1995 si comportano in
modo diverso, a conferma della importanza dell’input nella sua acquisizione: Giulia non ne
produce fino a due anni e sette mesi, mentre Giovanni usa il primo congiuntivo presente a
due anni: Aspettiamo Beppe ivi (=arrivi) su.
Condizionale. Compaiono prima i condizionali non analizzati (vorrei, potrei) e quelli
indotti da domande (se tu fossi Nerone che cosa faresti? Farei bau bau) e infine quelli
spontanei, come in Giovanni a due anni e quattro mesi: io ti daresti ++ io ti daresto questo
gioco (Calleri 1995).
Dal punto di vista morfologico, va notato in generale che nella flessione dei verbi
compare
nei bambini la sovrestensione analogica dei morfemi flessivi ‘centrali’
dell’italiano (specie della 1 e 3a coniugazione): aprito, diciò, venì, facete, spede (spedisce),
cadando daccio (da dare, sul modello di faccio da fare) ecc.
B. In italiano L2
Ancora più che per la morfologia del nome, appaiono sorprendenti per il sistema di
TMA le analogie tra i due percorsi di acquisizione: la progressione di aspetto tempo e modo
in L1 e L2 avviene nello stesso ordine e cioè, per quanto riguarda l’aspetto, il perfettivo
precede l’imperfettivo; per il tempo, il presente precede il passato; per il modo, il modo
fattuale (indicativo) precede i modi non fattuali (congiuntivo, condizionale, imperfetto
modale). Analoga è anche la sovrestensione analogica dei morfemi flessivi ‘centrali’
dell’italiano: morono, l'ha prenso (per preso), volie (=vuole) et sim.
Tuttavia la differenza è nella durata delle diverse fasi: mentre nei bambini la fase
dell’unica forma basica se c’è, dura pochissimo, in L2 essa si protrae a lungo:
In Cina fa tecnica di labolatolio ++ lavolare benissimo + giusto? ++ più belo +più
classe+ più su++ qua fa cameriere ++ no mi piace ++ brutto (Banfi- Bernini 2003)
. Lo stesso dicasi per l’omissione degli ausiliari e per la lessicalizzazione dei
riferimenti temporali:
+++ adesso io + detto Gurkaran che questo anno io vado India + Gurkaran detto che
no (Penitenti 2006)
che perdura a lungo in L2.
Da segnalare in L2 anche l’ uso quasi inesistente del trapassato indicativo e l’ampio
uso dell’infinito come forma base, specie con valori modali (volitivo: adesso andare casa) e
la tardiva comparsa della perifrasi progressiva stare + gerundio e, a maggior ragione, degli
usi modali e strumentali del gerundio.
3. Sintassi della frase
A.
In italiano L1
Sia che partiamo dalla definizione tradizionale di frase minima -“qualcosa che si dice
(predicato) rispetto a un soggetto”- sia che in termini più moderni la definiamo come
l’insieme di un predicato e dei suoi argomenti (o valenze) , diamo per scontato che la frase
si organizza intorno al verbo. In realtà gli enunciati delle varietà di apprendimento non
sono sempre organizzati intorno a un nucleo verbale. Nelle fasi iniziali di apprendimento
l’organizzazione dell’enunciato si articola piuttosto in accordo con funzioni pragmatiche
legate alla sua struttura informativa, come quella di topic e comment (per approfondire la
questione si veda Andorno 2003: 127-140, Andorno et al. 2003:116-127) che travalicano
o sostituiscono l’ordinamento a base sintattica. Questo fenomeno è stato osservato in
apprendenti di diverse L1, ed è un dato importante perché avalla l’ipotesi che gli
apprendenti percorrano tappe evolutive comuni indipendentemente dalla lingua di
partenza e dalla vicinanza tipologica delle lingue in contatto.
Così i bambini quando intorno ai due anni cominciano a mettere insieme due –tre
parole e producono degli enunciati omettono qualche argomento che può essere ricostruito
dal contesto e conservano solo gli elementi più informativi. A volte un bambino ‘cancella’
uno degli elementi necessari, come in mamma ape (”la mamma apre”), a volte conserva
gli argomenti e omette il predicato: io palla (”io gioco a palla”): quello che gli preme di
più è esprimere l’informazione nuova, quella che per lui è più rilevante.
Anche quando più sistematicamente gli enunciati dei bambini presentano un verbo, si
osserva nella loro lingua una tendenza più marcata che nel parlato adulto ad omettere degli
argomenti necessari, in particolare ciò accade se essi sono recuperabili dal contesto
extralinguistico, specie con argomenti di luogo e con clitici: guadda , ho salutato, voio
provare, e paccheggiate? tira questa, porta la Camilla,? non dale, io prendo, dopo la dai
ancora?;
In qualche caso si nota invece il fenomeno opposto: c’è un’espansione del numero
degli argomenti in gioco mediante un dativo pronominale (il cosiddetto dativo di
vantaggio): è probabile l’influsso dell’input colloquiale in cui l’espressione di un clitico di
coinvolgimento è molto frequente: mi tagli con contello? Mi prendi il biglietto?Mi compri
le caramelle? Mi prendilo! Me lo potti su? Me lo carichi tu?
Molto frequenti sono poi le cosiddette reggenze improprie, si usano cioè per introdurre
argomenti delle preposizioni diverse da quelle ‘regolari’ in italiano: Cosa giochi? Voio
andare laghetto, Papà è già livato da casa?.
B. In italiano L2
Anche gli stranieri che imparano l’italiano (Calleri et al. 2003:236-245) omettono
frequentemente degli argomenti necessari recuperabili dal contesto: comincia aprile
(comincio a lavorare in aprile), cominci tu (a giocare), ah, ho dimenticato, lui ha dato un
colpo, metta un po’ di sale, è andata a comprare; mentre più frequenti che nei bambini
sono negli stranieri le omissioni di argomenti che sono stati appena nominati o stanno per
esserlo: - ma i miei genitori abitano.. così anche sono nato in Costa d’Avorio,
Per le stesse ragioni che nei bambini, e cioè per influsso di input colloquiale, si nota
negli stranieri l’espansione del numero degli argomenti in gioco mediante un dativo
pronominale: mi scrivo le parole, Io mi prendo il blu, si ruba una macchina, Si prende la
moglie
Quanto alle reggenze improprie, si osservano anche negli stranieri: Per avere il posto di
lavoro ti serve sempre de una spinta, Per aiutare ai poveri, Dipende che cosa parliamo,
Ho bisogno tanto tempo per dire, Avevo la sigaretta a mano.
Mentre però i bambini italofoni raggiungono precocemente un uso corretto delle
preposizioni, negli apprendenti stranieri perdurano a lungo le omissioni e le oscillazioni
nell’uso delle preposizioni:
se noi chiudiamo le frontiere qui in paese aumenterà la criminalità ++ aumenterà +
non so+ furbi + tutt/ tutto questo++ e anche malattie++ di questa gente che non avrà
diritto di medico+ (dati personali)
4. Sintassi del periodo
Generalità
A differenza che nella sintassi del periodo tradizionale, con le sue ripartizioni
esclusivamente semantiche, attualmente si fanno risalire i tipi delle subordinate alla
struttura argomentale della frase, in modo da ricondurre le diverse frasi subordinate
all’argomento corrispondente. Si distinguono così (Ferraris 1999, Andorno 2003):
1. Frasi argomentali o completive (corrispondono ai cosiddetti argomenti
necessari della frase): soggettive, oggettive, completive oblique (con verbi come
dimenticarsi, dubitare, confidare ecc. che si costruiscono con di, in /che) e
interrogative indirette. Vengono considerate argomentali anche le frasi implicite
introdotte da sostantivi e aggettivi come ho paura di uscire da solo, e sono
desideroso di fare la sua conoscenza
2. Frasi avverbiali: sono subordinate che modificano il SV della reggente (per
esempio è morto perché correva troppo) o l’intera proposizione l’economia è
entrata in crisi perché la concorrenza orientale è diventata insostenibile
specificandone le circostanze: temporali, causali, modali, concessive, condizionali,
consecutive, avversative (con mentre, solo che), comparative
3. Frasi relative: equivalgono a dei modificatori di una testa nominale che si
trova nella reggente. Si distinguono in restrittive ( i ragazzi che devono fare
ginnastica vadano in palestra) e non restrittive o appositive (i ragazzi, che devono
fare ginnastica, vadano in palestra) nominali (con chi, dove, quando) e
pseudorelative, distinte a loro volta in relative scisse (è Gianni che vedo tutte le
mattine), relative costruite con verbi di percezione (vedo tua madre che si affaccia
alla finestra) o con essere (i bambini sono in camera che giocano)
Posizione
Causali: le causali dette rematiche (che esprimono una causa nuova e sono introdotte
da perché) sono a destra della principale; le causali tematiche (in cui la causa è nota e si
costruiscono con siccome, dato che) la precedono, come avviene con la protasi del periodo
ipotetico.
Le temporali possono apparire a sinistra (più frequentemente) che a destra della
principale, oltre che in posizione parentetica, come avviene anche con le altre avverbiali.
Le completive si collocano di norma dopo il verbo; se per motivi pragmatici vengono
dislocate a sinistra o a destra, vengono richiamate davanti al verbo con un clitico: che la
cosa era strana, lo avevamo capito tutti/ lo avevamo capito tutti, che la cosa era strana.
Nella ricostruzione delle fasi di acquisizione della sintassi del periodo particolarmente
utile risulta l’adozione di un’ottica funzionale. Guardando infatti alla lingua come un
mezzo per trasmettere dei significati, appare evidente che una stessa funzione logicosemantica (casualità, concessione ecc.) può essere codificata mediante costruzioni
sintattiche diverse anche all’interno di una stessa lingua.
Per esempio in italiano la relazione causa-effetto può essere espressa in maniera
paratattica, mediante la coordinazione (piove: non esco/ non esco: piove) o ipotattica,
attraverso strategie di subordinazione (non esco perché piove/dal momento che piove non
esco ecc.): nel caso della paratassi l’inferenza causale viene sviluppata in base alla
conoscenza del mondo tanto da un parlante nativo quanto da un apprendente.
E’ infine importante tenere conto del fatto che le varietà di apprendimento (e dunque
sia in L1 che in L2) mostrano una più stretta vicinanza con le varietà parlate di italiano che
con le varietà scritte anche per quanto riguarda il rapporto tra coordinazione e
subordinazione.
A.
In italiano L1
Il primo dato che sembra assodato (Ferraris 1999:34-42) è che nell’apprendimento i
legami coordinanti appaiono prima di quelli subordinanti. Esisterebbe inoltre una scala di
difficoltà crescente delle varie strategie sintattiche: dalla paratassi si passa all’ipotassi e
infine all’incassamento, ovvero alle cosiddette frasi parentetiche. Per quanto riguarda i
tipi sarebbe documentata nei bambini una sequenza di acquisizione che vede emergere
prima le avverbiali causali, seguite dalle temporali, dalle finali, dalle ipotetiche e più
sporadicamente dagli altri tipi di avverbiali (modali, avversative con mentre, concessive);
comparirebbero dopo,quasi contemporaneamente le frasi relative e le completive dirette.
A partire dai 3-4 anni compaiono poi quasi tutti i tipi di relative: prima le restrittive,
poi le nominali con antecedente generico: tutte le cose che avevo fatto, di tutto quello che
abbiamoscritto, accanto a qualche occorrenza di strutture simili a quelle rintracciabili
nell’italiano popolare (il papà ha lassato la moto che si è rotto lo specchio della moto),
con uso del che polivalente e ripresa pronominale, che tendono a sostituire le relative che
contengono casi obliqui.
Si è anche notato che i bambini producono più facilmente le relative introdotte da che
soggetto di quelle introdotte da che oggetto, probabilmente perché mentre le prime
seguono un ordine ‘normale’ in italiano, Soggetto Verbo Oggetto (il bambino che ha
preso la cartella), le altre richiedono un ordine delle parole non canonico, Oggetto
Soggetto Verbo (il bambino che il maestro ha sgridato).
Dai 4-5 anni appaiono infine le non restrittive o appositive, che interrompono la frase
e sono dunque di più difficile gestire la strega cattiva, che aveva due sorelle..., quello che
ho a casa mia, che è Sbrodolino tante mosse,..., e le pseudorelative (era proprio dentro
l’orologio che guardava).
Forme esplicite ed implicite
Altri dati raccolti da Ferraris 1999 riguardano le forme esplicite ed implicite: nei
bambini appaiono più frequentemente le frasi esplicite perché più semplici da gestire,
probabilmente perché sono più trasparenti e veicolano con maggiore chiarezza
l’informazione. Fanno eccezione le finali con per/a, che compaiono molto presto, prima dei
tre anni ( alloa uno mettiamo per cuarlo).
I bambini mostrano anche di saper produrre delle frasi coordinate alle subordinate: le
subordinate che presentano più frequentemente una coordinata sono le relative, seguono le
avverbiali e le argomentali. La maggior parte delle coordinate sono esplicite e non ripetono
il connettivo (c’era uno zio che si chiamava zio Tex e doveva stare...)
B. In italiano L2
Anche nelle varietà iniziali di apprendimento dell’italiano L2 si registra assenza di
subordinazione e coordinazione: di norma c’è giustapposizione e paratassi asindetica
(Ferraris 1999:53-62).
Dopo questa fase iniziale comincia ad apparire la coordinazione, che precede di solito la
subordinazione: dai dati emerge che la prima forma di connessione è la congiunzione
copulativa e seguita dal subordinatore perché (io non so cosa dire perché no parlo molto
bene).
Nell’ambito delle congiunzioni coordinanti sembra esserci la seguente progressione:
congiunzioni copulative >avversative (ma, però) >disgiuntive (o)> conclusive (così,
quindi).
Per quanto riguarda la subordinazione, come nei bambini, anche negli stranieri
compaiono sicuramente prima le avverbiali, poi secondo alcuni appaiono le relative, che
precedono le completive; per altri il che completivo precede il relativo. All’interno delle
avverbiali si osserva la stessa sequenza che per la L1: causali> temporali> finali>
ipotetiche > concessive
Forma esplicita e implicita
Si conferma per gli stranieri la strategia acquisizionale che vede prima lo sviluppo di
forme esplicite e successivamente di forme implicite (per esempio il gerundio compare
tardi, ad eccezione che nella forma progressiva stare +gerrundio: ). E’ anche vero però che
vi sono alcune implicite (completive introdotte da verbi modali e dai cosiddetti verbi fasali,
che indicano le fasi di un’azione- incomincio, continuo, finisco, e anche frasi implicite di
tipo finale) che compaiono prima delle frasi esplicite: ciò accade probabilmente per la loro
maggiore facilità elaborativa.
Completive
Sono presenti soprattutto completive implicite con verbi modali e fasali seguite da
infinito.
Tra le completive esplicite le più frequenti sono quelle introdotte da dire (spesso seguito
da discorso diretto) e penso, con frequente omissione di che, cosa che fa dubitare sia una
specie di commento indipendente con valore epistemico.
Le completive esplicite sono per lo più posteriori anche alle avverbiali causali, temporali
e ipotetiche.
Relative
Nelle prime fasi di acquisizione non emergono frasi relative costruite secondo la norma,
soprattutto in parlanti cinesi ci sono delle pre-relative con omissione del pronome e
contorno intonativo unico:
queste commesso sendi eh sende nela borse di :signore c’è un ladio +canta (“il
commesso si accorge che nella borsa del signore c’è una radio che suona”)
D. che cosa prenderesti in caso di terremoto?
R. prendi mio una dialio io porto cinese (“prenderei un mio diario che ho portato dalla
Cina”)
Altre prerelative vanno considerate strutture paratattiche con la ripetizione del SN pieno:
quelo persona siedi quela una machina quelo machina passa quela dentro (“una persona è
seduta in una macchina che passa dentro un tunnel”) a strutture presentative e ripresa
pronominale: c’è mio amico lui si chiama Lorenzo.
Anche negli stranieri le relative restrittive costruite sul soggetto sono più frequenti,
mentre diminuisce la presenza di quelle realizzate sull’oggetto e altre funzioni sintattiche .
Tanto più si va verso le relative oblique tanto più frequenti sono le realizzazioni non
standard, con che sovraesteso su cui , anche per effetto dell’input) per esempio:
mia amica che io lavorato insieme era cattolica.
Riferimenti bibliografici
Andorno C., La grammatica italiana, B. Mondadori, Milano 2003
Banfi E., Bernini G., ‘Il verbo’, in A. Giacalone Ramat (a cura di), Verso l’italiano, Carocci,
Roma, 2003: 70-115.
Berretta M., ‘Bricolage di parole in lingua straniera’, IeO, 5/87, 222-226
Berretta, Monica, 1986 ‘Per uno studio sull'apprendimento dell'italiano in contesto naturale: il caso
dei pronomi personali atoni’. In Giacalone Ramat A. (a cura di) L'apprendimento spontaneo di
una seconda lingua, Il Mulino, Bologna: 329-352.
C.Andorno, G. Bernini, A. Giacalone Ramat, A. Valentini, ‘Sintassi’, in A. Giacalone Ramat (a
cura di), Verso l’italiano, Carocci, Roma, 2003, 116-127.
Calleri D., ‘Acquisizione della modalità in italiano L1 e L2’, in Giacalone Ramat A., Crocco Galèas
G. (a cura di), From Pragmatics to Syntax.. Modalità and Language Acquisition, Narr, Tubingen,
1995.
Calleri D., Chini M., Cordin P., Ferraris P.,’ Confronti tra l’acquisizione di italiano L1 e
l’acquisizione di italiano L2’ in A. Giacalone Ramat (a cura di), Verso l’italiano, Carocci, Roma,
2003, 220-253.
Calleri D., Ricerca sui clitici nel linguaggio infantile. Università di Torino, Istituto di Dialettologia
italiana, tesi di laurea non pubblicata, 1983.
Chini M., .Ferraris S., Valentini A. e Fusinaro B., ‘Aspetti della testualità’, in A. Giacalone Ramat
(a cura di), Verso l’italiano, Carocci, Roma, 2003, 179-21.
Chini M., Che cos’è la linguistica acquisizionale, Carocci, Roma, 2005.
Ferraris S., Imparare la sintassi, Mercurio, Bergamo 1999.
Giacalone Ramat, A., ‘Introduzione’ in A. Giacalone Ramat (a cura di), Verso l’italiano, Carocci,
Roma, 2003.
Lo Duca M.G., Creatività e regole, Il Mulino, Bologna 1990.
Lo Duca M.G., Solarino R., Lingua italiana. Una grammatica ragionevole, Unipress, Padova, 2006
Penitenti S., L’ interlingua di un apprendente punjabi: analisi di un caso, tesina Master italiano L2
non pubblicata, Padova, 2006.
Pizzuto E., Caselli M.C., ‘The acquisition of italian morphology: implications for models of
language development’, In Journal of Child Language, 19 (1992): 491-557.