R. NISBET, I fitoliti nella ricerca paleoecologica e
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R. NISBET, I fitoliti nella ricerca paleoecologica e
I FITOLITI NELEA RICERCA PALEOECOLOGICA E ARCHEOLOGICA 1. La formazione dei fitoliti Tutte le piante superiori assorbono per via radicale soluzioni ioniche e molocolari dal terreno. Fra le sostanze assorbite, si può trovare in varia concentrazione l'acido monosilicico (H4SiO4) che sarà dunque fra i costituenti chimici normali del succo cellulare. L'assorbimento della sostanza è un fenomeno controllato dalla concentrazione del Silicio nelle soluzioni circolanti nel suolo, dal pH e dalla traspirazione della pianta. L'acido monosilicico resterà in soluzione nella cellula finché contenuto a bassa concentrazione. Nelle parti più soggette a traspirazione (tutte le parti aeree, ma soprattutto le foglie e i fiori) la perdita di acqua comporterà la precipitazione dell'acido sotto forma di silice idrata (SiO2 nH2O) o opale di origine biologica. La deposizione di opale biogeno può causare la formazione di sottili pellicole sulla superficie cellulare (mineralizzazione della cellula) o di bastoncelli allungati fra cellula e cellula. Se il processo avviene all'interno della cellula, questa può venire completamente occlusa. Si viene così a formare una particella minerale che rappresenta il calco perfetto della cellula in cui si è formata, assumendo una forma caratteristica (Fig. 1). Di solito queste particelle, cosi formate, vengono definite fitoliti, ma alcuni Autori estendono questo termine anche ad altre strutture silicizzate, come peli o aculei, o addirittura ad elementi cristallini di composizione chimica diversa (come i cristalli di ossalato di calcio). I fitoliti sono dunque particelle trasparenti alla luce, solide, isotrope; hanno contorni ben definiti. Osservati al microscopio in luce trasmessa, appaiono incolori, o di colore bruno opaco. Il colore scuro può dipendere dalla presenza di Carbonio di origine organica incluso all'interno del corpuscolo; questo Carbonio può essere estratto e datato per via radiometrica (WIEDING 1967). Le loro dimensioni variano a seconda dell età della cellula, dell'entità dei processi fisiologici, della forma e delle dimensioni della cellula; dipendono ovviamente anche dalla specie vegetale. In genere, comunque, sono comprese fra 1 mm e 1 µ. La silice idrata che compone i fitoliti differisce dal Quarzo e dal Calcedonio (una varietà criptocristallina di Quarzo) per il fatto che non ha struttura cristallina; peso specifico e indice di rifrazione sono sensibilmente inferiori (Tab. 1). Dato il diverso peso specifico i fitoliti del suolo possono essere separati dagli altri componenti minerali mediante liquidi pesanti. Fra questi è generalmente preferito il bromuro di zinco a peso specifico 2.3; con moderata centrifugazione si può ottenere una separazione sufficientemente accurata. La netta differenza nel comportamento ottico permette invece un agevole riconoscimento microscopico se il preparato viene immerso in liquidi opportuni (come il Balsamo del Canada). I fitoliti assumono allora un contorno netto, in quanto hanno un indice di rifrazione molto inferiore a quello del mezzo includente. I maggiori produttori di fitoliti sono le Monocotiledoni, e in particolare, fra le Monocotiledoni erbacce, alcune importanti famiglie (Gramineae, Juncaceae e Cyperacene). È noto tuttavia che anche piante arboree legnose o i cespugli producono talora buone quantità di corpi silicei. Sembra comunque che le Monocotiledoni contengano ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale concentrazioni di Silicio da 10 a 20 volte maggiori rispetto alle Dicotiledoni; le erbe contengono percentuali di Silicio molto elevate in peso secco (3-5%). Per queste ragioni le ricerche sulla morfologia dei fitoliti si sono concentrate per lunghi anni sulle Graminacce e sulle Ciperacee. Recentemente tuttavia numerosi Autori si sono dedicati alla descrizione dei corpi silicei delle piante arboree, di cui è ovvia l'importanza negli ecosistemi vegetali. Questi fitoliti presentano variazioni che sembrano da collegare, come per le Graminacce, con i diversi taxa (talora a livello di specie); ma la loro frequenza è nettamente inferiore rispetto alle Monocotiledoni (GEIS 1973). Relativamente alte percentuali sono presenti soprattutto nelle Ulmacce, llioraceae e Aceraceae. Lo studio dei fitoliti delle piante arboree è reso complicato dallo stato frammentario al quale generalmente si trovano; grazie a questo fatto, tuttavia, essi saranno distinguibili con una certa facilità dai corpi silicei delle erbe. 2. Morfologia e tassonomia dei fitoliti L'applicazione dei fitoliti nell'archeologia o in paleoecologia si basa essenzialmente—come avviene per i pollini—sull'individuazione delle piante mediante la morfologia dei corpi silicei. Si assume cioè che le piante producano morfologie fitolitiche specifiche. Purtroppo la tassonomia dei fitoliti non è ancora così avanzata come quella dei pollini; inoltre le forme distintive e caratteristiche sono relativamente poco frequenti. Talune morfologie fitolitiche si ripetono costante mente in taxa diversi e sistematicamente lontani, e quindi non possono essere utilizzate per la determinazione a livello di specie, di genere, e talora neppure di sottofamiglia. Inoltre, benché non manchino elementi altamente diagnostici, l'analisi fitolitica sembra più affidabile quando, anziché prendere in esame singole particelle, vengano considerati insiemi morfologici. Nella loro classificazione, TWISS et alii (1969) hanno individuato quattro classi morfologiche, di cui le prime tre corrispondono ad altrettante sottofamiglie di Gramineae (Festucoideae, Panicoidene, Eragrostoidene), la quarta appartiene in modo indifferenziato a tutte le Graminacee. In questa classificazione, le Festucoidi sono dominate da forme fitolitiche geometriche e relativamente isodiametriche (circolari, rettangolari, quadrate, ellittiche). Le Panicoidi hanno prevalentemente forme allungate ad estremità sferoidali, le Eragrostoidi hanno forme piuttosto tozze, spesso a margine ondulato. Tuttavia va sottolineato che questa classificazione, proposta sulla base di un numero piuttosto ridotto di piante, ha trovato successivamente numerose eccezioni, e pertanto la sua affidabilità è piuttosto relativa. Altri sistemi tassonomici sono stati elaborati, ma, come è ovvio, hanno importanza esclusivamente regionale. Brown (BROWN 1984) ha proposto una classificazione applicabile per gli Stati Uniti centrali con alto grado di dettaglio, individuando inoltre morfologie differenziate a seconda del tipo di processo fotosintetico in atto. Altri Autori hanno applicato proprie tassonomie fitolitiche, adatte a specifici problemi paleoecologici (aree a mangrovie, PIPERNO 1985; evoluzione di praterie, WITTY KNOX 1964). In altri casi, anziché prendere in considerazione le forme fitolitiche diagnostiche da un punto di vista botanico, si sono correlati insiemi fitolitici fossili con insiemi fitolitici estratti da suoli attuali. Si costruisce pertanto un diagramma che porta in ascissa le classi morfologiche presenti nel campione moderno e in ordinata si riportano le percentuali, ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale costruendo così una curva cumulativa la cui forma potrebbe essere "caratteristica" di un determinato microambiente. Dal confronto fra la curva del campione fossile e le curve di riferimento attuali potrebbe essere possibile ottenere informazioni paleoecologiche. È quanto fu tentato in via sperimentale da Carbone (CARBONE 1977) in una ricostruzione delle vicende paleoclimatiche di età olocenica in alcuni siti nordamericani. L'Autore ha proposto di considerare cause climatiche per spiegare le fluttuazioni fitolitiche che indicano variazioni ambientali da ecosistemi a aperti ” (prevalenza di fitoliti, fasi “ fredde ” a prateria) ad ecosistemi “ chiusi (fasi “ caldo-umide ” a foresta). 3. La formazione delle associazioni fitolitiche La composizione chimica dei fitoliti li rende praticamente indistruttibili nel suolo (almeno alle condizioni più frequenti). Essi possono perciò dar luogo ad accumuli, particolarmente evidenti nell'orizzonte A di un suolo prativo. Se le condizioni ecologiche rimangono stabili per lunghi periodi di tempo, i fitoliti possono essere contenuti nel suolo in quantità estremamente elevate, comprese fra i 5 e i 16 kg/m2 JONES-BEAVERS 1964; VERMA-RUST 1969). I fitoliti delle classi più fini sono spesso trasportati a distanza dai venti; si ritrovano pertanto nell’ atmosfera anche sopra gli oceani (Fo~GER et alii 1967) o nei sedimenti di mare profondo. Accumuli di fitoliti si trovano come conseguenza di combustione di erbe entro livelli di ceneri, e pertanto possono trovare una chiara applicazione archeologica nello studio della composizione di focolari. Piuttosto dibattuto è il problema della variazione della loro forma, se sottoposti a particolari agenti chimici. Risulta che alcune specie vegetali producono fitoliti più resistenti di altri, forse come conseguenza di un minore grado di idratazione o di un basso contenuto di ossidi di Fe(III) e di Al JONES-HANDRECK 1963). Altrettanto controversa è l'azione del pH sulla solubilità dei corpi silicei. WIEDING et alii (1977) hanno dimostrato che la solubilità della silice nel suolo aumenta nettamente a pH superiori a 9. In tali contesti i fitoliti dovrebbero pertanto essere distrutti. Ciò nonostante, non mancano ottimi esempi del contrario, con forti accumuli di fitoliti in grotte a sedimento carbonatico, come si è registrato per esempio alle Arene Candide (MACPHATE et alii 1989). La combustione non sembra alterare in modo determinante la forma dei corpuscoli; non è escluso che una deformazione possa subentrare negli elementi più idratati. Ceneri di urne funerarie, originate dalla combustione di erbe dunari nell'accensione dei roghi, si sono dimostrate ricche di fitoliti perfettamente conservati (NISBET 1980). Contrariamente ai pollini, che hanno dimensioni inferiori, i fitoliti tendono ad essere relativamente stabili nel suolo, e a non subire importanti movimenti verticali. Naturalmente tali movimenti sono possibili, in funzione della tessitura e del drenaggio, oltre che delle loro dimensioni; ma tale fenomeno sembra avvenire in modo molto meno vistoso di quanto può succedere per i pollini, ed in ogni caso pare ininfluente nell'applicazione paleoecologica. Per verificare l'entità di questi fenomeni può essere utile il confronto fra le distribuzioni verticali delle diverse classi morfometriche all'interno del profilo, supponendo che, in caso di migrazioni verticali, gli elementi più piccoli siano quelli più suscettibili allo spostamento (Fig. 2). ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4. Analisi e interpretazione dei dati L'estrazione dei fitoliti dal suolo richiede tecniche non dissimili da quelle palinologiche. Tuttavia sarà opportuno ricordare che i corpi silici possono essere estratti anche da terreni non favorevoli all'analisi pollinica. Pertanto potranno essere presi in considerazione terreni calcarei (almeno, come si è detto, fino ad un valore di pH attorno a 9-10), oppure, dal momento che i fitoliti sono soggetti a trasporto eolico in misura molto inferiore rispetto ai pollini, anche i contesti esposti a moderata deflazione. I campioni vanno raccolti in profilo colonnare, ad intervalli di non oltre cinque centimetri. In recenti studi sulla paleoecologia di siti archeologici dell'Appennino ligure orientale si è proceduto a campionature più fitte, soprattutto in corrispondenza di paleosuperfici (2.5 cm). In sedimenti sabbiosi o più fini, il volume di terreno da raccogliere per l'analisi non è superiore ai 50 cc per campione; la preparazione per l'estrazione viene effettuata, secondo una delle tecniche più collaudate, su 1 g di sedimento asciutto setacciato a 1 mm. Quando si abbia a disposizione una superficie piuttosto estesa, e sia legittima l'ipotesi di un uso differenziato del suolo (aree interne/esterne di capanna; depositi di cereali ecc.) sarà opportuno procedere ad una campionatura orizzontale più o meno fitta, a giudizio dell'archeologo e del paletnobotanico e a seconda dei problemi che si vogliono risolvere. La distribuzione e la variazione dei fitoliti in questo caso può dare utili informazioni sull'uso e la destinazione funzionale del suolo. I campioni, opportunamente preparati e montati su vetrino, (si rivela ad esempio POWERS-GILBERTSON 1987) vengono esaminati con buon successo a luce trasmessa a contrasto di fase. Gli ingrandimenti necessari variano ordinariamente da 400x a 600x. I conteggi vengono fatti su areecampione del vetrino, e nella stessa frequenza. Andranno diversificate le classi morfologiche riconosciute, e queste, in percentuale, saranno riportate sul diagramma fitolitico. Le morfologie specie-specifiche (ove presenti) saranno rappresentate a parte. Il diagramma è costruito in modo sostanzialmente simile a quello pollinico (PIPERNO 1988). Sull’ asse orizzontale si porranno le percentuali dei diversi taxa (o delle diverse classi morfologiche riconosciute). Sull'asse verticale sono indicati i livelli da cui sono stati estratti i campioni (colonna stratigrafica). L'analisi quantitativa, fatta attraverso la sezione, e relativa alla semplice variazione nel numero di fitoliti per livello, darà di per sé delle indicazioni piuttosto interessanti sulla variazione dell'ambiente locale. Per esempio, nette variazioni fitolitiche sono state evidenziate in successioni pedologiche originate da un'alternanza di associazioni forestali (a basso contenuto fitolitico) ed associazioni prative (forti produttrici di corpi silicci). In questo modo Jones e Beavers DONES-BEAVERS 1964) hanno potuto tracciare la storia paleoccologica dell'Olocene recente nell'Illinois; con la stessa tecnica Lewis (LEWIS 1981) e Kurmann (KURMANN 1985) hanno potuto individuare successioni a prateria in diversa aree degli Stati Uniti. Oltre a queste applicazioni paleoccologiche, la presenza di fitoliti può dare interessanti indicazioni in altre direzioni. L'analisi di resti di cibo carbonizzati o di croste aderenti alle pareti di vasi, permette di stabilire talvolta se il cibo era fatto con cereali (DIMBLEBY 1978). Fitoliti sono stati osservati su denti fossili di erbivori (ARMITAGE 1975). Variazioni significative nel contenuto di corpi silicei si sono ottenute lungo profili archeologici contenenti strutture terrazzate. Analisi di questo tipo, in Italia, sono state condotte sulle Alpi piemontesi e sull'Appennino ligure, ove terrazzi preistorici di versante, ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale costruiti con pietre a secco hanno permesso l'accumulo di fitoliti sulla superficie utilizzata a scopo agro-pastorale o per sostegno di capanne (NISBET 1982; DEL SIGNORE, NISBET 1986). In almeno uno di questi casi, l'accumulo di corpi silicei è stato determinato dalla decomposizione, per incendio o per altre cause, di fasci di erbe trasportate sul sito per uso probabilmente abitativo. Messi in confronto con i diagrammi pollinici, i fitoliti possono fornire dati altamente significativi nell'interpretazione dell'evoluzione dei sistemi ecologici in rapporto con la presenza umana. Ad esempio, fasi di diboscamento con fuoco sono chiaramente evidenziabili nei due diversi diagrammi a causa del rapido incremento di erbe nelle zone aperte. In alcuni casi si è anzi potuto dimostrare (PIPERNO 1985) che i fitoliti sono più attendibili dei pollini, in quanto si conservano meglio nel terreno bruciato; inoltre, la combustione determina un forte aumento di Carbonio incluso alI'interno dei corpuscoli e quindi causa un sensibile iscurimento della loro superficie. Essi diventano pertanto utilizzabili come indicatori di tecniche slash-and-burn nell'agricoltura preistorica. Lo studio dei fitoliti si è dimostrato prezioso anche nelle ricerche su forme primitive di coltivazione (ROVNER 1987). In questo caso si dimostrano particolarmente utili le analisi su paleosuoli, su vasi (HELBAEK 1961), SU mattoni di fango. Purtroppo i fitoliti di molti cereali preistorici sono poco diagnostici, ma alcuni risultati si sono ricavati per il mais, il riso, l'avena e il frumento. È ovvio che questi dati rivelano tutta la loro utilità particolarmente in quei siti che non forniscono resti macroscopici di piante coltivate; ma anche se tali resti sono presenti l'analisi fitolitica areale potrebbe individuare zone di diversa utilizzazione nelle pratiche agricole con elevato grado di dettaglio (aree a frumento, aree a orzo ecc.). In qualche modo collegato a questo aspetto si può considerare lo studio dei fitoliti aderenti agli strumenti in pietra usati per attività agricole, la cui usura appunto è causata dal ripetuto sfregamento della lama contro le pareti vegetali silicizzate; è possibile che la patina sia anche conseguenza del prolungato contatto con le soluzioni contenenti silice piuttosto che con vere e proprie strutture solide (ROVNER 1983). In qualche caso si è potuto dimostrare che la variazione del numero e della forma dei fitoliti è una conseguenza di fattori climatici. Per esempio, l'elevata piovosità e l'alta temperatura delle regioni equatoriali favoriscono la formazioni di corpi silicei di grosse dimensioni e di particolari morfologie (WATANABE 1968). Come si vede, l'analisi fitolitica, benché ai suoi inizi, si mostra dinamica e dotata di un elevato potenziale di sviluppo pratico e teorico. Essa copre settori molto diversi, che vanno dalla paleoecologia allo studio della tecnologia e dell'agricoltura preistoriche, dalla paleoalimentazione all'uso del territorio. Questa analisi pertanto, da sola o unitamente allo studio di altri resti vegetali come i pollini e i carboni, può fornire informazioni di notevole portata, soprattutto nella misura in cui saranno chiariti ed approfonditi i problemi che riguardano la tassonomia dei corpi silicei. RENATO NISBET ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Bibliografia P. L. 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