Il Mediterraneo Europa ed Islam tra coabitazione e
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Il Mediterraneo Europa ed Islam tra coabitazione e
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” Dipartimento di Discipline Storiche CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN Storia dell’Occidente: Cultura e Religione Esercitazione finale Il Mediterraneo Europa ed Islam tra coabitazione e conflitto Perfezionando Dott. Luigi Del Prete Anno Accademico 2005-2006 1 INDICE CAPITOLO I IL MEDITERRANEO ............................................................................... p.3 CAPITOLO II EUROPA ED ISLAM TRA COABITAZIONE E CONFLITTO …………….. p.11 CONCLUSIONE ……………………………………………………………...... p.27 BIBLIOGRAFIA ..………………………………………………………………. p.33 2 IL MEDITERRANEO Il mediterraneo alla fine riappare, popolato da tutti i suoi antichi annegati Paul Nizan1 Parlare di Islam e Europa oggi è un’inevitabile necessità, gli ultimi anni hanno visto un fiorire di studi, libri e occasioni accademiche in cui il problema è stato affrontato con crescente attenzione. La presenza in Europa di milioni di musulmani, è il segno di un'evoluzione generale della nostra società verso livelli di integrazione sempre maggiori che oltre a porre in primo piano l’elemento fondamentale della multiculturalità, propone in modo prepotente le questioni relative al rapporto tra differenti tradizioni religiose e culturali, che se da un lato si mostrano sempre più evidentemente intrecciate, alla stesso tempo sono destinate ad affrontare più direttamente, date le distanze ravvicinate, i problemi sollevati dalla loro diversità. L’immaginario collettivo occidentale fin dal Medioevo ha creato una rappresentazione dell’Islam in cui la paura è il minimo comune denominatore, Tommaso D’Acquino « nel breve De rationibus fidei contra Saracenos, Graecos et Armenos, stabiliva in quattro punti l’assunto controversistico destinato a restar a lungo nella tradizione: l’Islam come deformazione della verità; l’Islam religione della violenza e della guerra; l’Islam religione fondata sulla licenza sessuale; Muhammad falso profeta»2. Oggi come allora, statistiche e sondaggi registrano una tendenza ad esasperare, esagerare, focalizzare l’attenzione solo su certi aspetti dell’Islam; terrorismo e jihad, velo e sharia sono gli argomenti più utilizzati per giustificare paura e rifiuto dell’Islam, nutrendo la retorica politica populista che vuole l'Islam un elemento di disordine che mette in pericolo la coesione nazionale. Dalle Crociate alla guerra d’Algeria, dagli attacchi terroristici alla crisi del petrolio 1 2 P. NIZAN, Aden Arabia, Mondadori, Milano, 1996, p.139. F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Roma-Bari, 2005³, p. 133. 3 negli anni settanta, dagli ostaggi occidentali sequestrati alle violenza in Medioriente, tutto questo ha sedimentato nell’opinione un’immagine negativa dell'Islam, che si aggiunge alla tensione causata dalla crisi sociale che l'Europa sta attraversando con la disoccupazione, l'emarginazione e la violenza urbana. «Il confronto tra Europa ed Islam, comunque lo si voglia impostare, comporta sempre un sentore di opposizione: forse perché si continua a considerarlo – o almeno a implicitamente ad avvertirlo – come una sorta di continuazione o di ripresa dell’incontro-scontro fra Cristianità ed Islam»3. Oggi più che mai, il passato di questo incontro-scontro ha visto occultarsi la complessità dell’incontro, enfatizzando le fasi di scontro e di rapina, nutrendo un allarmismo mediatico tanto fittizio quanto ingiusto, contribuendo ad appesantire il presente di coloro che in Europa si trovano a dover convivere con l’Islam quotidiano di uomini e donne, in buona parte immigrati, che lo rivendicano come identificazione culturale e spirituale. Nessun dialogo, quali ne siano i soggetti, è possibile a prescindere da un maggiore e più corretto riconoscimento nella storia, che non può essere ridotta alle sue frazioni coloniali o crociate. La storia dei rapporti fra Islam e Europa deve essere descritta all’insegna del concetto di reciprocità, segno di un rapporto che va e viene, che fluisce e rifluisce, una relazione che presuppone e giustifica lo scambio. Come insegna la matematica algebrica, disciplina perfettamente araba, il reciproco è il risultato di un rapporto non nullo, cioè razionale e positivo, in cui i due termini, funzionali l’uno all’altro, specie nel prodotto, non si annullano mai, ma danno come risultato sempre l’Uno. E ancora: nella nostra logica formale, una qualsivoglia proposizione o proposta esattamente reciproca è quella che si ricava dall’altra per «conversione». La storia, con la sua intrinseca umiltà emerge 3 Ivi, p.5. 4 come una categoria imprescindibile dei riconoscimenti, garante di reciprocità che non possono essere meta-storiche o solo ideologiche o religiose o politiche. Oggi non è più possibile parlare di Cristianità ed Islam, in quanto la secolarizzazione, elemento distintivo della modernità occidentale, non ci consente di continuare a considerare il continente Europeo come il luogo della Cristianità, o almeno di una sola cristianità. Il progressivo affermarsi di un processo di razionalizzazione dell’agire sociale che ha sancito la definitiva rottura dell’unità Cristiana e l’acquisizione di autonomia delle varie sfere della vita (economica, politica, intellettuale, artistica, sessuale) dalla sfera religiosa, ha esteso il campo di confronto rendendo necessario parlare di Islam-Europa, due termini che sembrano asimmetrici ma «l’asimmetria è più apparente che reale. “Europa” è un concetto europeo, così come l'intero sistema geografico dei continenti, fra i quali l’Europa fu il primo. L’Europa ha concepito e fatto l’Europa; l’Europa ha scoperto l’America, le ha dato il nome e in un certo senso l’ha fatta. Secoli prima, l’Europa aveva inventato sia l’Asia che l'Africa, i cui abitanti, fino al XIX secolo - l'era della supremazia mondiale europea - erano del tutto inconsapevoli dei nomi, delle identità e persino di queste classificazioni inventate dagli europei a loro uso e consumo. L'Islam non è un luogo; è una religione. Ma per i musulmani la parola “religione” non ha la stessa connotazione che ha per i cristiani o che aveva per i cristiani del medioevo [ ... ] . Per i musulmani l’Islam non è soltanto un sistema di fede e di culto [ ... ] Esso indica piuttosto il complesso della vita e le sue norme comprendono elementi di diritto civile, di diritto penale e persino di quello che noi chiameremmo diritto costituzionale»4. Sulla stessa linea si colloca Ventura quando afferma che «è difficile separare la storia dell’Islam in quanto religione da quella che è stata la sua vicenda 4 B. LEWIS, L’Europa e l’Islam, Laterza, Roma-Bari, 20054, pp. 5-6. 5 terrena come stato e come società. Forse, più di ogni altro fenomeno religioso, sin dalla sua nascita la nuova fede ha visto spesso intrecciarsi gli elementi spirituali e teologici con l’organizzazione di una comunità ogni giorno crescente, per la quale la definizione dei rapporti tra gli uomini, nel pubblico e nel privato, è stata altrettanto importante del culto da attribuire a Dio. […]In breve si può dire, che l’Islam non concepisce, in via di principio, alcun tipo di distinzione fra aspetti sacri ed evenienze profane della vita»5. L’ Islam come condotta di vita, come comunità complessa, è un termine che rischia di divenire nella falsificazione mass mediatica comune denominatore con cui rappresentare tutto il mondo musulmano nonostante la sua diversità: un concetto generico, in cui l’immaginario storico occidentale, sviluppatosi per diversi secoli, fa confluire molti inconsci sottintesi. Europa ed Islam, sono due facce simmetriche della luna-Mediterraneo, molto più intime di quanto non si possa pensare, hanno ciclicamente alternato fasi di conoscenza reciproca e pacifica integrazione ad altre di viscerale conflitto. Non è difficile intuire a quale categoria appartiene l’attuale congiunzione; più complicato diventa comprendere la vera natura dell’Islam e dell’attrito che è in atto con la storia e la cultura che definiamo occidentale. L’Islam “copre” un’area geografica molto grande che va dall’Indonesia fino alla parte più occidentale del nord Africa, nella quale sono compresi molti paesi a maggioranza musulmana. C’è, inoltre, una forte diaspora musulmana che fa sì che l’Islam sia sparso in tutto il mondo. Oltre a questo è da considerare che esso non ha un vero centro, non ha chiese, non ha un’organizzazione gerarchica unitaria. Un miliardo e mezzo di persone, un quarto circa dell’intera popolazione mondiale, professa la religione islamica. «La plurisecolare storia dell’Islam ha peraltro, come sappiamo, conosciuto solo brevi e rari momenti di unità effettiva: a differenza di 5 A. VENTURA, L’Islam Sunnita nel periodo classico (VII – XVI SECOLO), in G Filoramo(a cura di), Islam, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 77-78. 6 quel si sarebbe ritenuto nel corso del medioevo, quando si tendeva a scorgere nella sua compagine un’unità simile a quella che non c’era nemmeno tra i cristiani, per quanto concordemente si dicesse che avrebbe dovuto esservi»6. Europa ed Islam sono termini di una dicotomia plurisecolare, sviluppatasi su scenari storici e geografici diversi e molto spesso distanti tra di loro, ma il “nostro” Islam è quello bagnato dalle acque placide del Mar Mediterraneo; fino al XV secolo l’Europa ha conosciuto l’Islam arabo-mediterraneo, poi quello turco, mentre non ha praticamente avuto rapporti con quello indiano, quello persiano, quello del sud-est asiatico, «l’Islam qui preso in considerazione è anzitutto e soprattutto quello mediterraneo. Ciò è legittimo e sotto un certo profilo obbligatorio vista la realtà del processo storico preso in esame, dal momento che è con esso che gli europei sono entrati presto e sono rimasti soprattutto in contatto»7. La storia del Vecchio Continente, eurasiatico e mediterraneo, non è leggibile a prescindere dagli scambi fra le culture innervate nell'ebraismo, nel cristianesimo e nell'islam. Non lo è la storia della scienza, delle idee, delle religioni, dell’arte, della filosofia oltre che, naturalmente, la storia dei conflitti. «Noi siamo talmente avvezzi a fondare la nostra visione del mondo e l'intera nostra concezione della storia sull'idea dell’Europa, che ci riesce difficile renderci conto dell'esatta natura di questa idea. L'Europa non è un’unità naturale, come l’Australia o l’Africa; essa è il risultato di un lungo processo di evoluzione storica e di sviluppo spirituale. Dal punto di vista geografico, l’Europa è semplicemente il prolungamento nord-occidentale dell’Asia, e possiede una minore unità fisica dell’India, della Cina, o della Siberia. Antropologicamente, è un miscuglio di razze, e il tipo dell’uomo europeo rappresenta un’unità piuttosto sociale che razziale. E anche nella cultura l’unità dell'Europa non è 6 7 F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.18 Ivi, p.1. 7 la base e il punto di partenza della storia europea, ma il fine ultimo e irraggiungibile verso cui questa si è tesa per più di mille anni»8. Il rapporto fra Islam ed Europa è descrivibile solo se inscritto in questa evidenza; il Mediterraneo è, già nella sua etimologia (dal latino mediterranĕu, comp. di medĭus ‘medio’ e un deriv. di tĕrra ‘terra’. Propr. “in mezzo alla terra”) un mare tra le terre, che distingue e, contemporaneamente, unisce, mette in contatto; «i suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo. Non sappiamo come fare a determinarli e in che modo: sono irriducibili alla sovranità o alla storia, non sono né statali né nazionali: somigliano al cerchio di gesso che continua a essere descritto e cancellato, che le onde e i venti, le imprese e le ispirazioni allargano o restringono. Lungo le coste di questo mare passava la via della seta, s’incrociavano le vie del sale e delle spezie, degli oli e dei profumi, dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della sapienza e della conoscenza, dell’arte e della scienza. Gli empori ellenici erano a un tempo mercati e ambasciate. Lungo le strade romane si diffondevano il potere e la civiltà. Dal territorio asiatico sono giunti i profeti e le religioni. Sul Mediterraneo è stata concepita l'Europa»9. Europa, figlia del Re di Tiro, innamorata di Zeus, il quale, sotto le sembianze di un toro bianco, la condusse fino a Creta, cavalcando le onde del Mediterraneo e dalla loro unione sarebbe derivata l’intera stirpe dei fenici, Minosse, re di Creta, Sarpedonte, re della Licia, Radamanto, giudice degli inferi. La donna, rapita e ingannata, è anche colei che alla fine doma il suo divino seduttore, simbolo di autorità e potere, ma anche di inganno e seduzione, in un’ambivalenza di significati che evoca un’ambiguità, un’incertezza di fondo sul criterio di distinzione tra Oriente ed Occidente e, quindi, sui contorni culturali e geografici del concetto di Europa. L’ambiguità del rapporto tra Europa ed Islam, è l’ambiguità insita in un 8 9 C. DAWSON, La formazione dell'unità europea dal secolo V al XI, Torino, Einaudi, 1939, p. 3. P. MATVEJEVIC, Breviario Mediterraneo, Garzanti, Milano, 1994², p.17. 8 Mediterraneo che ancora oggi è luogo di legame e divisione, culla e centro propulsore dell’Europa nel suo dinamismo tra Est e Ovest, tra Sud e Nord, luogo di coabitazione e conflitto, colonne d’Ercole della fine del mondo e porta d’accesso all’infinità atlantica, abisso marino da cui risorgono corpi umani in fuga dalla miseria, giaciglio odierno di navi non più guerreggianti ma carene stracolme di vite umane alla ricerca di un orizzonte. «Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all'incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. E il resto è mitologia. Non dimentichiamo che anch'essa è nata accanto alle sponde del Mediterraneo»10. Nell’ampio spazio intorno al mare Mediterraneo si è svolto, e si svolge, un plurimillenario processo storico, essenzialmente caratterizzato da contatti e da influenze, da scambi di uomini e di cose, di elementi di cultura materiale e intellettuale, tra imperi, stati, regioni, città, popolazioni e dunque fra le civiltà presenti sulle rive del mare. E questo essenziale processo di influenze, di scambi, di trasferimenti e di appropriazioni è tale che nel Mediterraneo, la storia di ogni popolo, ogni cultura, ogni civiltà è si se stessa ma al tempo stesso è segnata da numerose eredità e influenze da varie parti provenienti. A questo processo, che è la storia stessa del Mediterraneo, non vi è cultura e popolo mediterranei che non abbiano in qualche modo contribuito ed è perciò sciocco, oltre che vano, voler asserire primati e affermare gerarchie. Ricordiamo le parole di Braudel: «Che cos’è il Mediterraneo? 10 Ivi, p.133. 9 Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia. Significa sprofondare nell’abisso dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta o alle piramidi d’Egitto. Significa incontrare realtà antichissime, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno: accanto a Venezia, nella sua falsa immobilità, l’imponente agglomerato industriale di Mestre; accanto alla barca del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere. Significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupirsi di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Tutto questo perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere»11. Prima di Braudel come dimenticare la grande eredità lasciataci da Pirenne, la consapevolezza, al di là delle “fratture”, che la nostra vita da occidentali prima della partenza di Colombo, la nostra vita da Europei dopo il ritorno di Colombo «si concentra sulle sponde del grande lago»12 , che, «fra tutti i caratteri di quella mirabile costruzione umana che fu l’impero romano, il più sorprendente e anche il più essenziale è il suo carattere mediterraneo. Ed è grazie ad esso che sebbene greco ad oriente e latino ad occidente, l’impero estende la sua unità all’insieme delle province. Il mare, con tutta la potenza del termine Mare Nostrum, è veicolo di idee, religioni, mercanzie»13. 11 F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 1987, p.7. 12 H. PIRENNE, Maometto e CarloMagno, Newton, Roma, 1997², p. 27. 13 Ivi, p. 27. 10 EUROPA ED ISLAM TRA COABITAZIONE E CONFLITTO I tramonti di quell’inferno africano si rivelavano straordinari. Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come mostruosi assassinii del sole. Un immenso Bluff. Soltanto che c’era troppo da ammirare per un uomo solo Louis Ferdinand Céline14 Lunghi sono i secoli del confronto tra Europa e Islam, certamente caratterizzati da crociate e controcrociate con evidenti episodi violenti e scontri sanguinosi, ma non è possibile parlare di una guerra “totale di religione”. Quando tra la fine dell’XI secolo e il successivo, in Spagna, nelle acque del tirreno e in Sicilia, si crearono le condizioni, per l’impresa “crociata”, nello svilupparsi di quelle situazioni e di quegli stati d’animo influirono molti fattori; «la necessità della lotta contro i musulmani dalla penisola iberica alla Sicilia (e poco più tardi alla Siria); l’impressione – errata, ma comprensibile – che l’Islam costituisse una compatta e unitaria compagine dall’Oriente asiatico all’Occidente iberico e Maghrebino; infine il sentimento che i riformatori della Chiesa erano riusciti a imporre alle stesse coscienze di parte dell’aristocrazia laica e guerriera del tempo, guadagnata in un modo o nell’altro alle loro tesi e partecipe del movimento della Pax Dei che – imponendo tregue e sospensioni nelle guerre feudali, endemiche nella Cristianità occidentale – determinava la prospettiva della guerra contro gli infedeli come cespiti di risorse nuove […] Così “l’esportazione della violenza guerriera” fuori dai confini della cristianità, la sanzione ecclesiale e in qualche modo la santificazione (attraverso l’indulgenza e la consegna del vexillum) delle prospettive che ne derivavano e il rapporto che veniva a stabilirsi tra conquiste cristiane e ampliamento del raggio e della portata dei commerci ad esse conseguenti, divenivano i vettori di una dinamica 14 L.F.CÉLINE, Viaggio al termine della notte, Tea, Milano, 2002, p.190. 11 nuova in cui ragioni religiose, politiche ed economiche convergevano»15. All’interno della cristianità stessa molti furono i dubbi sul valore della crociata, basta pensare a Raimondo di Lullo o al scienziato minorita Ruggero Bacone che pur non condannando la crociata in sé, ritiene che essa non serva e venga «meno al principio della carità, in quanto gli infedeli vengono uccisi ma non convertiti: anzi la guerra provoca in loro maggior odio contro il nome cristiano, il che fa si che essi muoiano dannati; mentre Dio non vuole che muoiano e brucino all’inferno, bensì che si convertano e vivano. Si fa più forte un elemento nuovo: il giudicar crociata e missione parallelamente in rapporto al tema della conversione degli infedeli, che è scopo originariamente estraneo alla crociata ma alla luce della quale è ora sempre più spesso giudicata»16. Con la grande impresa missionaria di San Francesco si determina una svolta dell’“amore” nell’atteggiamento della Cristianità nei confronti dell’Islam infedele, mostrando come «la crociata è insomma una e al tempo stesso molteplice; non può essere intesa se non attraverso la sua dinamica interna; conosce una legislazione coerente e rigorosa, ma si articola in una pluralità di casi fenomenologicamente parlando diversi tra loro e muta sia nei differenti obiettivi volta per volta proposti, sia nel tempo e nel contesto in cui viene bandita. E’ una realtà proteiforme, una sorta di balena bianca all’interno della cristianità: uno strumento giuridico-politico e un’idea-forza, una fonte inesauribile di metafore, un mito, un oggetto infinito di apologie, di condanne, di polemiche e di malintesi capace di riproporsi in situazioni diverse e soggetta a impensati revivals»17. La guerra tra musulmani e cristiani è stata caratterizzata da momenti di grande e feroce entusiasmo religioso, ma molto spesso quello che di gran lunga è prevalso, sono stati il costante, continuo, profondo rapporto amichevole nel teatro del mare Mediterraneo, «passati i 15 F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., pp. 61-62. Ivi, pp.148-149. 17 Ivi, p.104. 16 12 primi tempi dell’urto violento, le guerre furono soltanto i fenomeni transitori di una situazione eminentemente pacifica, cordiale e feconda di grandi vantaggi per la civiltà. Tutto il mondo orientale bizantino e musulmano entrò, attraverso il mediterraneo, in stretto rapporto col mondo cristiano, a partire dal secolo XII, e vi rimase per più secoli»18. Un'amicizia a livello economico, diplomatico, culturale, che per molti secolo ha dato moltissimo all’Europa, basta pensare che l’Islam, soprattutto dalla Spagna, diffuse su tutto il continente innovazioni e scoperte scientifiche, la Sicilia «conobbe per circa un secolo un periodo di floridezza e di benessere, di cui era espressione il rigoglio della vita urbana, descritto dai geografi arabi. Palermo, in particolare, divisa in cinque quartieri, era ricca di splendidi edifici sacri e profani, e centro di attività commerciali e artigianali, assai intense nei quartieri in cui si concentravano i negozi e il mercato. La ricchezza di sorgenti e di acque correnti, oltre ad assicurare il rifornimento idrico della popolosa città, consentì anche lo sviluppo nelle zone circostanti di quella che può essere considerata l’agricoltura più avanzata del tempo[..] Crebbe, pertanto, fortemente la produzione di grano, frutta, ortaggi, cotone e canapa, prodotti tipici dell’agricoltura siciliana, che alimentarono una forte esportazione sia verso l’Africa sia verso il mondo cristiano; ma furono introdotte anche nuove culture, come quelle degli agrumi, dei gelsi, della palma di dattero e del papiro, che consentirono a loro volta lo sviluppo di industrie di varia natura, promosse e gestite direttamente dallo stato. […]La Sicilia non era fiorente solo di traffici e di attività produttive, ma anche di studi, sia quelli tradizionali di diritto e di interpretazione del Corano e della sunna sia quelli sviluppatisi più di recente, quali la filologia e la storiografia. Un posto di particolare rilievo ebbe sempre la poesia, che era stata assai praticata nel mondo arabo già in età 18 P. SILVA, Il Mediterran : dall'unita di Roma all'impero italiano, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 19427, p.104. 13 preislamica»19. A questo rapporto intenso tra Europa ed Islam, dobbiamo la rinascita dei commerci e della civiltà urbana dopo la stasi altomedievale; dobbiamo la nascita del sistema monetario e creditizio moderno; con la conquista musulmana l’Europa ha «ripreso contatto con le civiltà orientali e, attraverso queste, con i grandi movimenti mondiali del commercio e della cultura. Mentre le grandi invasioni barbariche del quarto e del quinto secolo avevano provocato il regresso economico dell’Occidente merovingio e poi carolingio, la creazione del nuovo impero islamico diede il via, sempre in Occidente, a uno stupefacente progresso. Se le invasioni barbariche fecero precipitare la decadenza dell’Occidente, le invasioni musulmane produssero il rilancio di una nuova civiltà. In altre parole, a proposito dell’arrivo dei barbari in Occidente, possiamo discutere di continuità e di regresso economico; invece della conquista araba sull’insieme dei territori musulmani possiamo affermare che non causò fratture e che generò anzi uno slancio prodigioso»20. Per le repubbliche marinare lo scontro-incontro con il mondo islamico fu occasione del fiorire di nuove relazioni commerciali, di ulteriori contaminazioni scientifico-culturali e di ulteriore diffusione della presenza pisana. Infatti, mentre nel secolo XI il rapporto con le terre musulmane era stato caratterizzato da scontri ed azioni militari, nel successivo si evolvono verso una forma di convivenza e di consolidamento delle reciproche posizioni, rendendo possibili accordi commerciali con i quali Pisa si garantì l’accesso ai maggiori mercati d’Egitto, Palestina, delle Baleari e delle coste barbaresche, Tunisi in particolare. Alla stesso modo la Repubblica Pisana non si fece scrupolo di assicurare al Maghreb il rifornimento di merci esplicitamente vietate da leggi imperiali e da decisioni conciliari, quali il ferro dell’Isola d’Elba ed altri metalli, ma soprattutto legname lavorato per utilizzazione nautica e persino imbarcazioni 19 G. VITOLO, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2000, pp.102103 20 M. LOMBARD, Splendore e apogeo dell’Islam (VIII-XI secolo), Rizzoli, Milano, 1980, p. 9. 14 realizzate nell’arsenale pisano. Pisa assunse l’aspetto di un crogiolo di lingue e di razze, descritta in alcune fonti coeve come una vera Babele, «i documenti dell’Archivio di Stato di Pisa dimostrano che i rapporti con i principati costieri musulmani d’Africa erano buoni e furono precoci: il dotto biografo di Matilde, il monaco Donizone, segnalava scandalizzato come in pieno XI secolo il porto della città toscana fosse visitato dai tetri Africani»21. All’Islam dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili traduttori arabi, ebrei e cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto in Spagna, nella città di Toledo - la stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della filosofia, dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina, della matematica, della tecnologia moderna. Anche quando alla fine dell’XI secolo, in Al-Andalus, si affermò il potere della rigorosa confraternita dei murabit, “uomini dei Ribat”, gli austeri abitanti dei conventi-fortezza, tenebrosi e spietati fanatici, provenienti dal deserto del Senegal, non si fermò lo scambio culturale con l’Europa, non «si deve pensare che il misticismo delle confraternite dei Ribat avesse soffocato la vita intellettuale: al contrario, il dibattito teologico e giuridico vi era molto vivo. Le biblioteche e le madrase di Cordoba conobbero allora uno slancio straordinario, che superò i fasti dell’età califfale e che costituì la base di uno sviluppo culturale di cui a partire dal secolo successivo, avrebbe beneficato lo stesso Occidente»22. Senza l'apporto dell'Islam - riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle persiana, indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai nata la splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa dalla quale è scaturita quella stessa modernità di cui tanto andiamo fieri; «tra il mondo musulmano e quello cristiano occidentale non si notava soltanto contrasto per le condizioni di potenza, ma 21 22 F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.75. Ivi, p.65. 15 anche contrasto per le condizioni di sviluppo economico e di civiltà. Mentre, infatti, l’occidente cristiano languiva nella paralisi dell’irrigidimento e del frazionamento feudale, tutto il vasto mondo musulmano ferveva di vita intensa, si abbelliva di una grande fioritura artistica, si arricchiva dei portati di una mirabile attività economica, scientifica, intellettuale, alla quale l’umanità è debitrice in gran parte se i focolari del progresso e della civiltà non si estinsero totalmente lungo le rive mediterranee, nei secoli del più fosco medioevo»23. Come dimenticare i due Imperatori “intellettuali” Federico II di Svevia e Alfonso X Re di Leon e Castiglia, che con l’impulso dato alle traduzioni dall’arabo e dall’ebraico, con la loro fervente passione culturale contribuirono a fare del Duecento sia il secolo intellettuale per eccellenza, sia il secolo in cui Europa ed Islam, nonostante l’impresa crociata, furono in grado di avvicinarsi in modo irreversibile. «Grazie ai pellegrinaggi, alla mercatura, alle crociate, in tutta l’Europa bassomedievale erano penetrate profondamente, con le spezie e le merci di là provenienti, le usanze orientali […] Si dice che Alberto Magno, giungendo a Parigi nel 1245, si vestisse all’araba non tanto in segno di provocazione, quanto per sottolineare il suo ruolo di studioso: ormai i musulmani non erano più “pagani” bensì “filosofi”»24. L’Europa, sia pure e spesso per ragioni di espansione economica, ha fatto della curiosità una delle prerogative dell’incontro con le altre civiltà. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i greci chiamavano barbari, e cioè balbuzienti, coloro che non parlavano la loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei greci più maturi come gli stoici (forse perché alcuni di loro erano di origine fenicia) hanno ben presto avvertito che i barbari usavano parole diverse da quelle greche, ma si riferivano agli stessi pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con grande 23 24 P. SILVA, Il Mediterraneo : dall'unita di Roma all'impero italiano, cit., p.90. F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.151. 16 rispetto usi e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia cristiana medievale cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici e astrologi arabi, gli uomini del Rinascimento hanno persino esagerato nel loro tentativo di recuperare perdute saggezze orientali, dai Caldei agli Egizi; Montesquieu ha cercato di capire come un persiano potesse vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i loro primi studi sui rapporti dei salesiani, che andavano sì presso i Bororo per convertirli, se possibile, ma anche per capire quale fosse il loro modo di pensare e di vivere – forse memori del fatto che missionari di alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le civiltà dell’America Latina e ne avevano incoraggiato lo sterminio. Lo stesso è accaduto per l’Europa nei confronti dell’Islam, se «il mondo medievale aveva mostrato per i musulmani, come abbiamo già visto, un interesse che dalla leggenda di Maometto era passata alla traduzione del Corano e dalle fantasie sul mondo degli “infedeli” immaginati come pagani - e collegate alle meraviglie e alle magie dell’Asia profonda - alle notizie, spesso ricche di osservazioni precise e realistiche, dei mercanti, dei diplomatici e dei pellegrini a partire dal tardo medioevo. Anche gli schiavi e i manufatti che dall’oriente arrivavano in Europa avevano contribuito al crescere d’un interesse nel quale sempre più spesso s’impiantavano forme di crescente conoscenza e di evidente simpatia»25. I sostenitori del dialogo, che ci richiamano al rispetto del mondo islamico, ricordano che l’Islam ci ha dato uomini come Avicenna e Averroè ma spesso si dimenticano Al Kindi, Avenpace, Avicebron o quel grande storico del XIV secolo che fu Ibn Khaldun, che l'Occidente considera addirittura l'iniziatore delle scienze sociali. Perchè non parlare della Baghdad della prima metà del IX secolo dove ci furono rivoluzioni poetiche che hanno determinato in campo sociale e culturale la stessa 25 Ivi, p.274. 17 frattura avviata dalla rivoluzione poetica che ha avuto luogo in Francia nell’Ottocento. Ci furono poeti che sono l’equivalente di Baudelaire, di Verlaine, di Rimbaud e di Mallarmé, capaci di far emergere l’individuo profondamente contestatore che invoca con grande forza la trasgressione come motore della poesia. Uno degli esempi più importanti è Abu Nuwas, un poeta arabo-persiano che scriveva in arabo, che nella raccolta Amori ha cantato in modo molto provocatorio e impetuoso il vino, che nell’Islam è proibito, e gli amori omosessuali, tutto raccontato in un lingua pura e passionale, molto in anticipo rispetto all’Europa di quel tempo, dove questo non esisteva. Lo spirito della civiltà islamica ha trovato la sua materializzazione e la sua realizzazione negli oggetti di artigianato e di arte minore, e nell’arte monumentale; l’arte è sempre sostenuta dalle condizioni della scienza e della tecnica. Si può dire che, riguardo alla connessione fra scienza e fede e a livello della tecnica e delle arti, la civiltà islamica è stata idealmente contemporanea a quanto è accaduto in Europa fino all’epoca barocca e neoclassica. Con la differenza che, per l’Islam, tutto questo è avvenuto nell’XI, XII, e XIII secolo, e ha dato luogo all’equivalente di ciò che accadrà con le tre grandi rivoluzioni di Cartesio, Keplero e Copernico, rivoluzioni cominciate nel XVII secolo, che sono alla base dell’Illuminismo del XVIII secolo, quello straordinario movimento che ha staccato l’Europa da tutte le altre civiltà, da quella islamica come da quelle cinese e indiana. Ancora alla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento, quando la razionalità occidentale era entrata in quel tramonto irreversibile che la condurrà nel dramma della Grande Guerra, poeti come Rimbaud, scrittori come Nizan e filosofi come Spengler guardarono all’Oriente con rinnovato entusiasmo. Nizan nel pieno dei suoi vent’anni, giunse alla certezza che Aden era una possibilità di redenzione, quindi «la nostra conclusione era scontata, perché ci avevano abituato a pensare all’Oriente 18 come al contrario dell’Occidente: dal momento che la caduta e la putrefazione d’Europa erano fatti assolutamente semplici, chiari e distinti, la rinascita e la fioritura dell’Oriente erano fatti altrettanto evidenti. L’oriente racchiudeva la salvezza e la nuova vita degli europei, aveva rimedi ed amore da vendere»26. Rimbaud immerso nei sui inferni scriveva: «Avendo ritrovato in me due soldi di ragione - passa presto! io vedo che i miei malanni vengono dal non essermi figurato molto presto che noi siamo in Occidente. La palude occidentale! Non che io creda la luce alterata, la forma estenuata, il movimento sconvolto... Bene! ecco che il mio spirito vuole assolutamente gravarsi di tutti gli sviluppi crudeli che ha subito lo spirito dopo la fine dell’Oriente... Ne vuole, il mio spirito! ... I miei due soldi di ragione sono terminati! Lo spirito è autorità, vuole che io sia in Occidente. Bisognerebbe farlo tacere per concludere come volevo. Io mandavo al diavolo le palme dei martiri, i raggi dell’arte, l’orgoglio degli inventori, l’ardore dei predoni; io ritornavo all’Oriente e alla saggezza primitiva ed eterna. - Sembra che sia un sogno di rozza indolenza!»27. Tutto questo per sottolineare come la prospettiva modernizzante dell’Occidente sia in verità analoga a quella vissuta in passato dall’Islam, ma anche come la prospettiva di quest’ultimo si sia poi arrestata progressivamente. L’intreccio storico Islam-Europa, osservato nell’ottica della reciprocità, ha quindi comportato la nascita di preziosi e prolifici incontri, senza i quali il cammino della civiltà europea avrebbe percorso probabilmente altre strade. Ma la storia, nel momento in cui si trasforma in ricordo collettivo mistificato e mistificante, preferisce soffermarsi, anche per una maggiore divulgazione, sulla realtà “centralizzante” dello scontro, della minaccia e della conquista, concentrandosi sul potere persuasivo delle 26 27 P. NIZAN, Aden Arabia, cit., p.68. A. RIMBAUD, L’impossibile, in A. RIMBAUD, Opere, Milano, Feltrinelli, 20044, p. 235. 19 atrocità e del sangue versato. Carlo Martello e il falso mito di Poitiers, le crociate, la reconquista, l'assedio di Vienna da parte dei turchi, il colonialismo europeo, il conflitto arabo-palestinese, questi eventi, uniti alle religiosità per loro natura conflittuali, costituiscono un'eredità molto pesante che però non può confluire in un riduzionismo e in un revisionismo, che oltre ad essere intellettualmente “immorale”, favorisce una percezione reciproca unilaterale, falsa e pericolosa. Bisogna tener presente che se nei tempi moderni la civiltà europea è diventata sinonimo di «civiltà» in assoluto, a tal punto che noi siamo tratti, anche involontariamente, a misurare il livello raggiunto da altri popoli e paesi in rapporto al paradigma europeo, ciò non è però vero né esatto sul piano storico. Vi sono state antiche civiltà non europee, ed altre forme di «civiltà» sono forse in formazione fuori d'Europa. Occorre, dunque, fissare l'attenzione sui caratteri storici peculiari della civiltà europea, ma anche in questo caso non si può dimenticare che tale civiltà non rappresenta un punto fermo, qualcosa di ben definito e conchiuso, bensì un processo in perenne elaborazione e tuttora aperto. L’Europa deve molto all’islam non solo per i momenti di coabitazione ma anche per quelli che furono momenti di scontro e guerra feroce, infatti se «ci poniamo il problema di come e quando sia nata una coscienza moderna dell’Europa e dell’identità europea, ci rendiamo conto di quanto e fino a che punto l’Islam ne sia, magari “al negativo”, tra i fattori che l’hanno aiutata a definirsi. La reiterata aggressione musulmana all’Europa – tra VII-VIII e X secolo, quindi tra XIV e XVIII secolo - obiettivamente effettiva o comunque come tale dagli europei interpretata, è stata una “levatrice violenta” d’Europa. E se qualche storico ha (paradossalmente?) salutato dunque il Profeta come «padre fondatore» d'Europa, c'è da chiedersi se analogo ruolo non sia più tardi spettato anche ai sultani turchi Maometto II e a 20 Solimano il Magnifico che, obbligando il continente a, difendersi e a cercare le vie e i modi per un'azione unitaria, lo hanno indotto anche, in prospettiva, a meglio definirsi dinanzi a se stesso e all' “Altro”»28. Il passaggio da un confronto plurisecolare con Islam “mediterraneo” medievale fatto di arabi e saraceni, al quattrocento “turco” destabilizza fortemente la stessa Europa creando il mostro della “scimitarra mozzante”. Di nuovo, quella che potremmo definire “la propaganda della paura” entra in gioco creando un mito al negativo assolutamente falso. Se osserviamo bene le cose e soprattutto leggiamo attentamente le carte della storia, possiamo dire che mentre nel medioevo «i mercanti occidentali potevano liberamente circolare per il dar al-Islam, lo stesso non potevano fare almeno fino al XVI secolo – ma poco anche in seguito – i mercanti musulmani nel dar al-Harb: e non solo perché ne avessero scarsa convenienza. […] Solo con i primi del cinquecento, una volta accettato ormai di fatto che l’impero ottomano si fosse definitivamente radicato al posto del vecchio impero bizantino e ammesso sia pur tacitamente che i turchi fossero un irrinunciabile partner commerciale e potessero proporsi anche come interlocutore diplomatico, gli ambasciatori turchi e persiani divennero ospiti più frequenti delle corti d’Europa e oggetto di curiosità per settori di solito limitati delle società occidentali»29. Nonostante il bagaglio anti-storico su cui viene formata l’opinione pubblica e la necessità di partire dall’ottica della reciprocità, non possiamo negare che il mondo islamico, sia esso “moro”, “turco” o “persiano”, non si è mai rassegnato alla propria destituzione, «per molti secoli il mondo islamico è stato all'avanguardia della civiltà umana e delle sue conquiste. Il termine stesso di Islam, fra i musulmani, era avvertito come sinonimo di civiltà: oltre i suoi confini c'erano solo barbari e infedeli»30.«La conquista araba, che si scatena contemporaneamente sull’Europa e sull’Asia, non ha 28 F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., pp. 7-8. Ivi, p.276. 30 B. LEWIS, Il suicidio dell'Islam, Mondadori "Saggi", Milano 2002, p. 6. 29 21 precedenti: la rapidità dei suoi successi può essere paragonata soltanto a quella con cui si costituirono gli imperi mongoli di un Attila, o, più tardi, di Genghiz Khan o di un Tamerlano. Ma quelli furono tanto effimeri quanto la conquista dell’Islam fu duratura. Questa religione ha ancora oggi i suoi fedeli in quasi tutte le terre in cui si era imposta sotto i primi califfi. La sua diffusione fulminea è un vero miracolo paragonata alla lenta espansione del cristianesimo»31. Dopo un grandissimo periodo di civiltà, dopo un grandissimo periodo di egemonia, l’Islam entra in crisi, con la cosiddetta capitale-mondo – riprendendo l’espressione di Fernand Braudel sul concetto di capitale-mondo – che inizia a spostarsi in Occidente. La funzione esercitata dalla Baghdad del IX -X secolo, dal Cairo del XIII secolo, si sposta verso il nord del Mediterraneo, con il fiorire di Genova e Venezia, per poi esiliarsi ulteriormente, allontanandosi ancora di più dal mondo islamico e installandosi ad Amsterdam nel XVII secolo, a Londra nel XIX e infine a New York nel XX. Dunque una capitale-mondo che si allontana geograficamente sempre di più dallo spazio islamico, e a partire dal momento in cui, da parte dei musulmani, alla fine del XVIII secolo c’è stata l’improvvisa e drammatica constatazione del proprio ritardo storico. «E’ un fatto indubitabile che la cultura occidentale nel Medioevo crebbe all’ombra della più progredita civiltà islamica, e fu da quest’ultima, più che non dal mondo bizantino, che la cristianità medievale recuperò la sua parte dell’eredità scientifica e filosofica. Fu solamente nel sec. XII, dopo l’età delle crociate e la grande catastrofe delle invasioni mongoliche, che l’incivilimento della cristianità occidentale cominciò a raggiungere, in una relativa uguaglianza, quello dell’islam; e anche allora esso restò pervaso d’influssi orientali. Soltanto nel secolo XV, con il Rinascimento e la grande espansione marittima degli Stati europei, l’occidente cristiano acquistò la 31 H. PIRENNE, Maometto e CarloMagno, cit., p.133 22 supremazia»32. A rendere più complesso il rapporto con l’Islam, c’è anche quello che lo storico Cardini definisce il malinteso, che nasce quando gli europei nell’Ottocento, avendo bisogno di legittimare la loro politica colonialista, hanno interpretato la storia come contrasto tra Cristianità e Islam, perché avevano interesse a dimostrare di aver sempre tentato di esportare cultura e civiltà; poi, gli stessi musulmani hanno creduto a questa chiacchiera romantica ed hanno creduto davvero che la storia dell’Europa fosse quella di una continua tensione tra religioni; e, infine, il cosiddetto fondamentalismo musulmano ha ripreso, per ragioni prettamente politiche, questa idea presentando la propria azione come la reazione, giustificabile e giustificata, del mondo musulmano ad un’annosa politica di aggressione e spoliazione subita. Come abbiamo già detto questa impostazione dimentica che l’Occidente non si può più definire con il termine di Cristianità da almeno tre secoli, da quando si sono avviati profondi processi di laicizzazione degli Stati. Certo, l'Islam di oggi non è più quello di allora, ma Europa e Islam hanno potuto incontrarsi in piena reciprocità finché sono stati più o meno sullo stesso piano. Nel XVIII secolo in Europa emerse la nozione di libertà e l’idea radicale della separazione del fattore politico da quello religioso, che fino ad allora erano stati uniti, l’illuminismo determinava una distanza non ancora rimarginata tra Europa ed Islam. «Mozart e Rossini amavano scherzare: e si poteva ben scherzare con giannizzeri ed eunuchi, con harem e minareti, tra sette ed ottocento. Si scherzava, forse, con sollievo: usciti dal lungo incubo del turco che incatenava e impalava, del barbaresco che saccheggiava e uccideva. Ormai, turbante e scimitarra potevano divenir oggetti di scena, harem e moschee fondali di commedia e d’opera buffa»33. Paura e derisione, i due volti del fondamentalismo occidentale. Quasi contemporaneamente nel XVIII secolo appare Mohamed Bin Abdel Wahab (170332 33 C. DAWSON, La formazione dell’unità europea dal secolo V al XI, cit., p. 115. F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.289. 23 1792), che dà origine a quello che sarà chiamato wahabismo, nasce questo movimento purista che sarà all’ origine dell’Arabia Saudita, che come tutti i movimenti che predicano in nome della lettera pura di una qualunque religione, si colloca su posizioni radicali ed estremiste. Nella seconda metà del XIX secolo, appare, il fenomeno del colonialismo, prodotto dallo sviluppo industriale e dall'emergente classe borghese, il mondo non europeo si trova ad essere svalorizzato, privato di dignità e l'arsenale polemico medievale nei riguardi dell'Islam risorge. «La predicazione della fede - un tema tuttavia, bisogna riconoscerlo, abbastanza messo in sordina: né sarebbe stato credibile il contrario -, l'espansione degli interessi coloniali, la “missione” del portare libertà politica e progresso civile, sociale e tecnologico ai popoli fuori d'Europa concorrevano, variamente miscelati, alla giustificazione delle avventure asiatiche e africane rispetto alle quali capitava talvolta di veder balenare magari come espediente propagandistico - il vessillo della crociata. Sarebbe accaduto mutatis mutandis lo stesso nella spedizione francese in Tunisia nel 1881-83; nella campagna del 1884-85 del generale Gordon contro il Mahdi Muhamad Ahmad; nell'occupazione italiana della Tripolitania del 1911-12; nella campagna spagnola del Rif tra 1921 e 1926 durante la quale si distinse il galiziano Francisco Franco, più tardi caudillo di un'altra cruzada; e perfino nelle due guerre italiane contro l'Etiopia, che era pur cristianissima e che era pur stata semmai un'alleata quanto meno nei progetti crociati genovesi e portoghesi del Quattro-Cinquecento»34. In occasione della prima guerra mondiale l’asse anglo-francese puntando sullo spirito unitario del mondo arabo, aizzò le genti arabe a ribellarsi al sultano turco con la promessa di una “Grande Arabia” sotto la guida dello sharif Hussein. In pieno stile coloniale, le due potenze europee dopo aver ottenuto il successo contro i turchi operarono la spartizione del 34 Ivi, p. 294. 24 vicino oriente, con la Siria ed il Libano che passavano alla Francia, mentre la Palestina, Transgiordania e la Mesopotamia erano soggette al controllo Inglese; l’Arabia venne organizzata in una monarchia sotto il controllo della famiglia wahabita dei sauditi. Ancora una volta gli arabi erano depredati, umiliati come comunità, utilizzati come bestie da soma, ma da lì a poco sarebbero ritornati utili per contrastare l’aliyah beth ebraica in Palestina (Eretz Israel). Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo visto un enorme sviluppo della rivoluzione coloniale, probabilmente il più grande movimento dei popoli oppressi nella storia umana. In Asia, Africa, America Latina, decine di popoli combatterono per la propria emancipazione nazionale. Il mondo arabo, oggi al centro degli interessi economici e strategici dell’imperialismo, fu teatro di un risveglio imponente: dall’Algeria all’Iraq, passando per l’Egitto, la Siria, la Palestina ed altri ancora, tutti i paesi arabi furono attraversati da movimenti rivoluzionari laici e progressisti, a dispetto della propaganda borghese che tende a dipingere le popolazioni arabe come “naturalmente inclini” al fondamentalismo islamico. I movimenti rivoluzionari nei paesi coloniali del secondo dopoguerra furono dunque il tentativo messo in atto dai popoli arabi di avviarsi verso l’effettiva indipendenza. Ovunque si formarono repubbliche democratico-borghesi i cui governi, in un primo momento, si fecero spesso promotori di politiche progressiste. La super potenza imperiale degli Stati Uniti, nell’ottica della guerra fredda, si occupò di nutrire con armi ed odio i vari fondamentalismi annientando le speranze laiche e aprendo la strada al fanatismo islamico(o islamismo). Siamo giunti, anche se con grandi salti, all’11 settembre 2001, l’attacco alle torri gemelle, ma questa è un’altra storia, no! forse è sempre la stessa storia fatta di coabitazione e conflitto, in cui le informazioni sono poche e come nel Medioevo 25 manipolate dal potere politico-economico, in cui uomini e donne subiscono il peso di quello che Foucault chiamerà “microfisica del potere” e cioè un potere che agisce in molti luoghi del sociale, in forma capillare, appunto micrologica, che penetra nelle coscienze attraverso i corpi, attraverso il minuto controllo di gesti, di posizioni, di atteggiamenti fisici, stabilendo l’ordine di una disciplina, e rendendo così i soggetti docili alle finalità del potere. «L’homo Oeconomicus ha la sua illusione di felicità, parla della sua potenza e mantiene uomini che gli fabbricano illusioni: romanzieri, storici, poeti epici e filosofi»35. Dobbiamo finirla con le illusioni, riscoprire il senso della reciprocità, ritornare alle periferie per ritrovare dei centri che creino prospettive nuove e orizzonti inesplorati, abbandonarci al folle volo di Ulisse che cerca l’oceano per dare un senso al suo mare, riappropriarsi degli ulivi, sorprendersi per la stessa scoperta che un giorno ho fatto vagando per Pantelleria: la folta vegetazione, la bellezza dei dammusi e poi improvvisa la folgorazione di una scritta: “Località Khaddiuggia”, l’incontro era avvenuto, è ancora in atto, la bellezza del Mediterraneo. 35 P. NIZAN, Aden Arabia, cit., p.150. 26 CONCLUSIONE L’olivo è la costanza della forza e del lavoro Garcìa Lorca36 «La questione arabo-israeliana, insieme con il modificarsi degli equilibri demografici e produttivi del mondo negli ultimi due-tre decenni e con l’eclisse dell’Europa come potenza mondiale, seguita dopo il 1989 all’affermarsi di un nuovo assetto del globo caratterizzato dalla presenza di un’unica superpotenza, gli Stati Uniti d’America: tutto ciò ha potentemente condizionato, e profondamente mutato, i rapporti fra Europa ed Islam»37. L’Europa, che supera oggi i suoi confini tradizionali per allargarsi in un mondo sempre più globale, deve guardare al Mediterraneo come alla sede di un grande incontro culturale e storico, culla del diritto alla vita e capace di un grande sviluppo, di pace e di civiltà. L’Europa ha una politica del mediterraneo, ma la deve sviluppare radicandola nei popoli dei Paesi Mediterranei, rendendoli protagonisti. Solo il confronto diretto tra culture, farà crescere la forza degli interlocutori e renderà più facile una politica europea, soprattutto in questa nuova era della globalizzazione. Il Mediterraneo è un antico spazio geografico e politico, ma costituisce anche la rappresentazione che oggi racchiude il bisogno di dialogo tra le culture, di pace, di integrazione tra innovazione e tradizione, di diritti individuali e di solidarietà sociale. Dialogo tra le culture ma non appiattimento, nell'uniformità non c'è cultura, non c'è pensiero, iniziativa, nulla di personale, nessuna emozione e soprattutto nessuna passione. La cultura è per definizione (come affermano gli etnologi) diversità, deve confrontarsi, porsi a fianco delle altre culture, e qualche volta scontrarsi. Uniformare la cultura è una assurdità, è impossibile. Per me, il dialogo tra due culture non è uno scambio tra gruppi, ma soprattutto una scambio tra 36 37 G. LORCA, Canzone orientale, in G. Lorca, Poesie-Libro de Poemas, Newton, Roma, 1995³, p.179. F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.312. 27 individui. Le culture non sono entità distinte, esistono solo attraverso le persone che le rappresentano, che non sono mai identiche. In un Paese, individui portatori di varie culture spesso coabitano in una stessa città, in un quartiere, una scuola, un'azienda. E' nella loro capacità di convivere, ascoltarsi reciprocamente, influenzarsi, che risiede il dialogo delle culture. Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Esse sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Il Mediterraneo non deve più essere oggetto di programmi politici decisi altrove ma soggetto di strategie che siano espressione diretta dei bisogni reali di ciascun popolo: è per questo che occorre prendere coscienza dei rischi di destrutturazione e marginalizzazione della regione euromediterranea ed impegnarsi per la costruzione di “Alleanze tra le Civiltà” del Grande Mediterraneo, anche al fine di non creare barriere artificiali nel mondo arabo, separando i Paesi mediterranei da quelli del Golfo. Il Grande Mediterraneo non intende allargare il mito della Mediterraneità ad uno spazio più ampio, ma è la contestazione della retorica di uno spazio mentale dove le differenze e le comuni visioni vengono annullate da una rappresentazione artificiale e superficiale. Il mare è fatto di donne e di uomini diversi e anche in conflitto ma che vogliono giustizia sociale e democrazia. E’ per questo che parlando di Grande Mediterraneo non si pala di un’entità astratta che si colloca in antichità remote, ma di donne e uomini del XXI secolo alle prese con la necessità di governare i processi globali per non esserne divorati e subordinati. Riconoscere che Europa ed Islam nascono dalla stessa culla non è un atto di subordinazione, ma il riconoscimento della verità su cui fondare “incontri tra Civiltà”. Mediterraneo, 28 Europa e Islam costituiscono i pilastri fondamentali su cui costruire il nostro futuro, luoghi centrali nella storia dell’umanità, capaci di grande sintesi, essenziale per la costruzione di un concetto di “co-tradizione culturale” e di coabitazione di civiltà, religioni, pratiche di vita differenti, unica alternativa possibile, oggi, alla prospettiva drammatica della “pulizia etnica” e del genocidio sistematico. Il Mediterraneo come “vitalismo”, ossia come primato dei ritmi naturali su quelli meccanici e di un fondamentale senso della misura, rispetto, attenzione a non violare l’integrità umana. La cultura mediterranea come modo di vita, più che come pensiero riflesso, rifiuta l’eccesso, non solo spazio geografico, ma spazio sincronico che esalta la distinzione contro la tragica opposizione, invitando alla coesistenza di tradizioni culturali diverse e anche contrapposte. A dispetto della tragica guerra nei Balcani, il Mediterraneo continua a suggerire l’idea di mediazione già nata in Grecia. La sua vocazione è quella di unire il diverso, tenendo conto che qui, più che altrove, la società, i rapporti primari faccia a faccia vengono prima della struttura statuale. Il fondamentalismo, parafrasando Cassano, non è l’attributo di una religione, ma si dà ogni volta che una cultura guarda a se stessa come il modello e le altre come una versione inferiore o degradata di quel modello. Il carattere distintivo della vocazione mediterranea resta la vocazione universalistica, la capacità di fondere e far convivere tradizioni di pensiero e pratiche quotidiane e di vita diverse, originariamente eterogenee e anche contrapposte. Il Mediterraneo è molto più di un semplice “crocevia di culture”. L’incontro tra culture diverse ha creato da tempi immemorabili un’“identità mediterranea”. E’ necessario riscoprire la complessa natura meticcia di tante città e paesi del nostro Mezzogiorno, i tanti nomi arabi che ancora popolano la Sicilia e non solo essa, le colonie greche o albanesi, i Normanni e gli Svevi dei nostri castelli, gli spagnoli e i francesi della lunga storia stratificatasi in questa terra di arrivi e partenze, 29 di approdi ed incroci. Dobbiamo essere orgogliosi di questa natura meticcia, del rimescolo inquieto e continuo dei nostri geni, di questo “noi” pieno di altri, di questa indisponibilità alle pulizie etniche e a tutti i fondamentalismi, per una pedagogia dell’accoglienza, ma anche per guardare al di là dell’emergenza, dell’aiuto per chi arriva disperato, costruendo una grande patria mediterranea. «L'Occidente dovrebbe cessare di guardare con un orrore comodo e superbo alla barbarie del fondamentalismo, del nazionalismo e dell'economia criminale e tentare di combatterli iniziando con il controllare il proprio fondamentalismo, quello dell'economia. Solo limitando l'homo currens si può sbarrare la strada allo sradicamento e agli usi reattivi della tradizione, al suo ritorno violento e soffocante. Prendere atto del lato oscuro e aggressivo della propria cultura significa finalmente uscire dall'etnocentrismo. Esistono una pluralità di vie per arrivare a Dio, una pluralità di lingue per dargli un nome. Se ogni cultura prendesse atto del proprio lato oscuro, di quei frutti avvelenati che essa produce (e che ama disconoscere imputandoli ad altri) si potrebbe iniziare a parlare. Finché gli homines prodotti dalle altre culture saranno considerati soltanto stadi intermedi sulla via del raggiungimento dell'homo currens sarà perfettamente normale che i perdenti non accettino di stringere la mano a coloro che hanno imposto il gioco nel quale vincono sempre. All'Occidente spetta il compito difficilissimo (ma non nuovo) di diffidare del proprio nobile universalismo che corre in soccorso e in aiuto, di non pensare che le proprie istituzioni siano un campo neutro sul quale le culture si sfidano e si incontrano ad armi pari»38. Samuel P. Huntington, il teorico più esplicito del “clash of civilisation”, cioè dello “scontro fra le civiltà”, è convinto che dai conflitti regionali stiamo pericolosamente scivolando verso uno scontro di civiltà, in particolare, tra islamismo 38 F. CASSANO, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 64-65. 30 e Occidente. Dobbiamo rispondere a queste affermazioni con la superbia di una storia che ci racconta una narrazione diversa, capace riparlarci di un rapporto tra Europa ed Islam dove il Mediterraneo è il centro della storia del mondo, il suo animatore, la sua condizione di vita, con la piena consapevolezza che «nel paesaggio fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale. Come spiegarla? Come spiegare l’essenza profonda del Mediterraneo? Sarà necessario moltiplicare gli sforzi. La spiegazione non risiede soltanto nella natura, che pure molto ha operato in tal senso, né soltanto nell’uomo, che ha ostinatamente legato insieme il tutto, ma nel confluire dei favori e delle maledizioni – numerosi entrambi - della natura e degli sforzi molteplici degli uomini, ieri come oggi. In un susseguirsi interminabile, insomma, di casi, incidenti, reiterati successi. Il fine di questo libro è di dimostrare che tali esperienze e tali successi si comprendono soltanto se considerati complessivamente, e soprattutto che devono essere posti a raffronto, che spesso è opportuno esaminarli alla luce del presente, che è a partire da quanto si vede oggi che si può giudicare e capire l’ieri – e viceversa. Il Mediterraneo è una buona occasione per presentare un “altro” modo di accostarsi alla storia. Il mare infatti, quale lo conosciamo e lo amiamo, offre sul proprio passato la più sbalorditiva e illuminante delle testimonianze”39. Dobbiamo rifiutare l'immagine di un'Europa “sentinella dell'impero atlantico”, bisogna operare un recupero della dimensione euro-mediterranea, come possibile alternativa politica, economica e sociale, allo strapotere statunitense. Un'Europa che riscopre le sue radici mediterranee potrebbe garantirci uno spazio di mediazione, socializzazione, convivenza e passione in grado di neutralizzare gli opposti fondamentalismi. Ma non 39 F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Einaudi, 1987,p.9. 31 ci sono soltanto gli arcaici fondamentalismi etico-religiosi con cui confrontarsi, c’è anche il radicalismo contenuto nella parola modernità, una vera ideologia politica e culturale che al di fuori del cerchio della modernità vede solo barbarie, violenza, tirannia, oppressione delle donne e terrore. Nel mondo occidentale trionfa imperterrita la logica consumistica, dominata dalla competizione, dalla velocità, dal lento dilaniarsi della reciprocità affettiva, una società senza misura e senza bellezza, nel quale lo sviluppo economico e tecnico viene utilizzato per assoggettare l’uomo, creare una dimensione di sperequazione sociale, favorire le dinamiche sociali dello scontro e del dominio di una civiltà su un’altra civiltà. Un recupero dello “spazio mediterraneo” potrebbe fornire risorse di consapevolezza culturale e politica capaci di produrre effetti identitari per gli attori di entrambe le sponde del Mediterraneo, in particolare per i paesi maghrebini, spingendoli ben oltre l'orizzonte dell'Unione del Maghreb arabo. Un rilancio del programma di collaborazione euromediterranea e una critica severa del nuovo disegno egemonico degli Stati Uniti, improntato all’esportazione della democrazia nel mondo islamico, in un’area che va dalla Mauritania al Pakistan, dovrebbero essere i cardini di una politica dell’Unione Europea improntata alla realizzazione dell’unità nel mediterraneo. L’Europa deve impegnarsi nel favorire il pieno riconoscimento del popolo palestinese, allontanare il più possibile lo spettro di un attacco all’Iran, riqualificarsi come soggetto attico della politica internazionale. Una strategia mediterranea dove proporsi di ostacolare ogni progetto imperiale e ritornare a navigare sul “mare nostrum” con imbarcazioni che partendo da porti lontani, solcando mari da riscoprire, portino con se la consapevolezza che nello spazio mediterraneo ci sono genti “diverse”, brezze leggere come l’incontro e luoghi che nascono dall’acqua: «Terra rossa terra nera, tu vieni dal 32 mare, dal verde riarso, dove sono parole antiche e fatica sanguigna e gerani tra i sassi - non sai quanto porti di mare parole e fatica, tu ricca come un ricordo»40. 40 C. PAVESE, La terra e la morte, in C. PAVESE, Poesie, Oscar mondatori, Milano, 19704, p.181. 33 BIBLIOGRAFIA F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Einaudi, 1987; F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Roma-Bari, 2005³; F. 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