Il Mediterraneo Europa ed Islam tra coabitazione e

Transcript

Il Mediterraneo Europa ed Islam tra coabitazione e
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
“FEDERICO II”
Dipartimento di Discipline Storiche
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN
Storia dell’Occidente: Cultura e Religione
Esercitazione finale
Il Mediterraneo
Europa ed Islam tra coabitazione e conflitto
Perfezionando
Dott. Luigi Del Prete
Anno Accademico 2005-2006
1
INDICE
CAPITOLO I
IL MEDITERRANEO ............................................................................... p.3
CAPITOLO II
EUROPA ED ISLAM TRA COABITAZIONE E CONFLITTO …………….. p.11
CONCLUSIONE ……………………………………………………………...... p.27
BIBLIOGRAFIA ..………………………………………………………………. p.33
2
IL MEDITERRANEO
Il mediterraneo alla fine riappare,
popolato da tutti i suoi antichi annegati
Paul Nizan1
Parlare di Islam e Europa oggi è un’inevitabile necessità, gli ultimi anni hanno visto
un fiorire di studi, libri e occasioni accademiche in cui il problema è stato affrontato
con crescente attenzione. La presenza in Europa di milioni di musulmani, è il segno
di un'evoluzione generale della nostra società verso livelli di integrazione sempre
maggiori che oltre a porre in primo piano l’elemento fondamentale della
multiculturalità, propone in modo prepotente le questioni relative al rapporto tra
differenti tradizioni religiose e culturali, che se da un lato si mostrano sempre più
evidentemente intrecciate, alla stesso tempo sono destinate ad affrontare più
direttamente, date le distanze ravvicinate, i problemi sollevati dalla loro diversità.
L’immaginario
collettivo
occidentale
fin
dal
Medioevo
ha
creato
una
rappresentazione dell’Islam in cui la paura è il minimo comune denominatore,
Tommaso D’Acquino « nel breve De rationibus fidei contra Saracenos, Graecos et
Armenos, stabiliva in quattro punti l’assunto controversistico destinato a restar a
lungo nella tradizione: l’Islam come deformazione della verità; l’Islam religione
della violenza e della guerra; l’Islam religione fondata sulla licenza sessuale;
Muhammad falso profeta»2. Oggi come allora, statistiche e sondaggi registrano una
tendenza ad esasperare, esagerare, focalizzare l’attenzione solo su certi aspetti
dell’Islam; terrorismo e jihad, velo e sharia sono gli argomenti più utilizzati per
giustificare paura e rifiuto dell’Islam, nutrendo la retorica politica populista che
vuole l'Islam un elemento di disordine che mette in pericolo la coesione nazionale.
Dalle Crociate alla guerra d’Algeria, dagli attacchi terroristici alla crisi del petrolio
1
2
P. NIZAN, Aden Arabia, Mondadori, Milano, 1996, p.139.
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Roma-Bari, 2005³, p. 133.
3
negli anni settanta, dagli ostaggi occidentali sequestrati alle violenza in Medioriente,
tutto questo ha sedimentato nell’opinione un’immagine negativa dell'Islam, che si
aggiunge alla tensione causata dalla crisi sociale che l'Europa sta attraversando con la
disoccupazione, l'emarginazione e la violenza urbana. «Il confronto tra Europa ed
Islam, comunque lo si voglia impostare, comporta sempre un sentore di opposizione:
forse perché si continua a considerarlo – o almeno a implicitamente ad avvertirlo –
come una sorta di continuazione o di ripresa dell’incontro-scontro fra Cristianità ed
Islam»3. Oggi più che mai, il passato di questo incontro-scontro ha visto occultarsi la
complessità dell’incontro, enfatizzando le fasi di scontro e di rapina, nutrendo un
allarmismo mediatico tanto fittizio quanto ingiusto, contribuendo ad appesantire il
presente di coloro che in Europa si trovano a dover convivere con l’Islam quotidiano
di uomini e donne, in buona parte immigrati, che lo rivendicano come identificazione
culturale e spirituale. Nessun dialogo, quali ne siano i soggetti, è possibile a
prescindere da un maggiore e più corretto riconoscimento nella storia, che non può
essere ridotta alle sue frazioni coloniali o crociate. La storia dei rapporti fra Islam e
Europa deve essere descritta all’insegna del concetto di reciprocità, segno di un
rapporto che va e viene, che fluisce e rifluisce, una relazione che presuppone e
giustifica lo scambio. Come insegna la matematica algebrica, disciplina
perfettamente araba, il reciproco è il risultato di un rapporto non nullo, cioè razionale
e positivo, in cui i due termini, funzionali l’uno all’altro, specie nel prodotto, non si
annullano mai, ma danno come risultato sempre l’Uno. E ancora: nella nostra logica
formale, una qualsivoglia proposizione o proposta esattamente reciproca è quella che
si ricava dall’altra per «conversione». La storia, con la sua intrinseca umiltà emerge
3
Ivi, p.5.
4
come una categoria imprescindibile dei riconoscimenti, garante di reciprocità che
non possono essere meta-storiche o solo ideologiche o religiose o politiche.
Oggi non è più possibile parlare di Cristianità ed Islam, in quanto la secolarizzazione,
elemento distintivo della modernità occidentale, non ci consente di continuare a
considerare il continente Europeo come il luogo della Cristianità, o almeno di una
sola cristianità. Il progressivo affermarsi di un processo di razionalizzazione
dell’agire sociale che ha sancito la definitiva rottura dell’unità Cristiana e
l’acquisizione di autonomia delle varie sfere della vita (economica, politica,
intellettuale, artistica, sessuale) dalla sfera religiosa, ha esteso il campo di confronto
rendendo necessario parlare di Islam-Europa, due termini che sembrano asimmetrici
ma «l’asimmetria è più apparente che reale. “Europa” è un concetto europeo, così
come l'intero sistema geografico dei continenti, fra i quali l’Europa fu il primo.
L’Europa ha concepito e fatto l’Europa; l’Europa ha scoperto l’America, le ha dato il
nome e in un certo senso l’ha fatta. Secoli prima, l’Europa aveva inventato sia l’Asia
che l'Africa, i cui abitanti, fino al XIX secolo - l'era della supremazia mondiale
europea - erano del tutto inconsapevoli dei nomi, delle identità e persino di queste
classificazioni inventate dagli europei a loro uso e consumo. L'Islam non è un luogo;
è una religione. Ma per i musulmani la parola “religione” non ha la stessa
connotazione che ha per i cristiani o che aveva per i cristiani del medioevo [ ... ] . Per
i musulmani l’Islam non è soltanto un sistema di fede e di culto [ ... ] Esso indica
piuttosto il complesso della vita e le sue norme comprendono elementi di diritto
civile, di diritto penale e persino di quello che noi chiameremmo diritto
costituzionale»4. Sulla stessa linea si colloca Ventura quando afferma che «è difficile
separare la storia dell’Islam in quanto religione da quella che è stata la sua vicenda
4
B. LEWIS, L’Europa e l’Islam, Laterza, Roma-Bari, 20054, pp. 5-6.
5
terrena come stato e come società. Forse, più di ogni altro fenomeno religioso, sin
dalla sua nascita la nuova fede ha visto spesso intrecciarsi gli elementi spirituali e
teologici con l’organizzazione di una comunità ogni giorno crescente, per la quale la
definizione dei rapporti tra gli uomini, nel pubblico e nel privato, è stata altrettanto
importante del culto da attribuire a Dio. […]In breve si può dire, che l’Islam non
concepisce, in via di principio, alcun tipo di distinzione fra aspetti sacri ed evenienze
profane della vita»5. L’ Islam come condotta di vita, come comunità complessa, è un
termine che rischia di divenire nella falsificazione mass mediatica comune
denominatore con cui rappresentare tutto il mondo musulmano nonostante la sua
diversità: un concetto generico, in cui l’immaginario storico occidentale, sviluppatosi
per diversi secoli, fa confluire molti inconsci sottintesi. Europa ed Islam, sono due
facce simmetriche della luna-Mediterraneo, molto più intime di quanto non si possa
pensare, hanno ciclicamente alternato fasi di conoscenza reciproca e pacifica
integrazione ad altre di viscerale conflitto. Non è difficile intuire a quale categoria
appartiene l’attuale congiunzione; più complicato diventa comprendere la vera natura
dell’Islam e dell’attrito che è in atto con la storia e la cultura che definiamo
occidentale. L’Islam “copre” un’area geografica molto grande che va dall’Indonesia
fino alla parte più occidentale del nord Africa, nella quale sono compresi molti paesi
a maggioranza musulmana. C’è, inoltre, una forte diaspora musulmana che fa sì che
l’Islam sia sparso in tutto il mondo. Oltre a questo è da considerare che esso non ha
un vero centro, non ha chiese, non ha un’organizzazione gerarchica unitaria. Un
miliardo e mezzo di persone, un quarto circa dell’intera popolazione mondiale,
professa la religione islamica. «La plurisecolare storia dell’Islam ha peraltro, come
sappiamo, conosciuto solo brevi e rari momenti di unità effettiva: a differenza di
5
A. VENTURA, L’Islam Sunnita nel periodo classico (VII – XVI SECOLO), in G Filoramo(a cura di),
Islam, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 77-78.
6
quel si sarebbe ritenuto nel corso del medioevo, quando si tendeva a scorgere nella
sua compagine un’unità simile a quella che non c’era nemmeno tra i cristiani, per
quanto
concordemente
si
dicesse
che
avrebbe
dovuto
esservi»6.
Europa ed Islam sono termini di una dicotomia plurisecolare, sviluppatasi su scenari
storici e geografici diversi e molto spesso distanti tra di loro, ma il “nostro” Islam è
quello bagnato dalle acque placide del Mar Mediterraneo; fino al XV secolo l’Europa
ha conosciuto l’Islam arabo-mediterraneo, poi quello turco, mentre non ha
praticamente avuto rapporti con quello indiano, quello persiano, quello del sud-est
asiatico, «l’Islam qui preso in considerazione è anzitutto e soprattutto quello
mediterraneo. Ciò è legittimo e sotto un certo profilo obbligatorio vista la realtà del
processo storico preso in esame, dal momento che è con esso che gli europei sono
entrati presto e sono rimasti soprattutto in contatto»7.
La storia del Vecchio Continente, eurasiatico e mediterraneo, non è leggibile a
prescindere dagli scambi fra le culture innervate nell'ebraismo, nel cristianesimo e
nell'islam. Non lo è la storia della scienza, delle idee, delle religioni, dell’arte, della
filosofia oltre che, naturalmente, la storia dei conflitti. «Noi siamo talmente avvezzi a
fondare la nostra visione del mondo e l'intera nostra concezione della storia sull'idea
dell’Europa, che ci riesce difficile renderci conto dell'esatta natura di questa idea.
L'Europa non è un’unità naturale, come l’Australia o l’Africa; essa è il risultato di un
lungo processo di evoluzione storica e di sviluppo spirituale. Dal punto di vista
geografico, l’Europa è semplicemente il prolungamento nord-occidentale dell’Asia, e
possiede una minore unità fisica dell’India, della Cina, o della Siberia.
Antropologicamente, è un miscuglio di razze, e il tipo dell’uomo europeo rappresenta
un’unità piuttosto sociale che razziale. E anche nella cultura l’unità dell'Europa non è
6
7
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.18
Ivi, p.1.
7
la base e il punto di partenza della storia europea, ma il fine ultimo e irraggiungibile
verso cui questa si è tesa per più di mille anni»8. Il rapporto fra Islam ed Europa è
descrivibile solo se inscritto in questa evidenza; il Mediterraneo è, già nella sua
etimologia (dal latino mediterranĕu, comp. di medĭus ‘medio’ e un deriv. di tĕrra
‘terra’. Propr. “in mezzo alla terra”) un mare tra le terre, che distingue e,
contemporaneamente, unisce, mette in contatto; «i suoi confini non sono definiti né
nello spazio né nel tempo. Non sappiamo come fare a determinarli e in che modo:
sono irriducibili alla sovranità o alla storia, non sono né statali né nazionali:
somigliano al cerchio di gesso che continua a essere descritto e cancellato, che le
onde e i venti, le imprese e le ispirazioni allargano o restringono. Lungo le coste di
questo mare passava la via della seta, s’incrociavano le vie del sale e delle spezie,
degli oli e dei profumi, dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della
sapienza e della conoscenza, dell’arte e della scienza. Gli empori ellenici erano a un
tempo mercati e ambasciate. Lungo le strade romane si diffondevano il potere e la
civiltà. Dal territorio asiatico sono giunti i profeti e le religioni. Sul Mediterraneo è
stata concepita l'Europa»9. Europa, figlia del Re di Tiro, innamorata di Zeus, il quale,
sotto le sembianze di un toro bianco, la condusse fino a Creta, cavalcando le onde del
Mediterraneo e dalla loro unione sarebbe derivata l’intera stirpe dei fenici, Minosse,
re di Creta, Sarpedonte, re della Licia, Radamanto, giudice degli inferi. La donna,
rapita e ingannata, è anche colei che alla fine doma il suo divino seduttore, simbolo
di autorità e potere, ma anche di inganno e seduzione, in un’ambivalenza di
significati che evoca un’ambiguità, un’incertezza di fondo sul criterio di distinzione
tra Oriente ed Occidente e, quindi, sui contorni culturali e geografici del concetto di
Europa. L’ambiguità del rapporto tra Europa ed Islam, è l’ambiguità insita in un
8
9
C. DAWSON, La formazione dell'unità europea dal secolo V al XI, Torino, Einaudi, 1939, p. 3.
P. MATVEJEVIC, Breviario Mediterraneo, Garzanti, Milano, 1994², p.17.
8
Mediterraneo che ancora oggi è luogo di legame e divisione, culla e centro
propulsore dell’Europa nel suo dinamismo tra Est e Ovest, tra Sud e Nord, luogo di
coabitazione e conflitto, colonne d’Ercole della fine del mondo e porta d’accesso
all’infinità atlantica, abisso marino da cui risorgono corpi umani in fuga dalla
miseria, giaciglio odierno di navi non più guerreggianti ma carene stracolme di vite
umane alla ricerca di un orizzonte. «Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne
sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi
simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare
comune e all'incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le
differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le
somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a
prevalere, talvolta le ultime. E il resto è mitologia. Non dimentichiamo che anch'essa
è nata accanto alle sponde del Mediterraneo»10.
Nell’ampio spazio intorno al mare Mediterraneo si è svolto, e si svolge, un
plurimillenario processo storico, essenzialmente caratterizzato da contatti e da
influenze, da scambi di uomini e di cose, di elementi di cultura materiale e
intellettuale, tra imperi, stati, regioni, città, popolazioni e dunque fra le civiltà
presenti sulle rive del mare. E questo essenziale processo di influenze, di scambi, di
trasferimenti e di appropriazioni è tale che nel Mediterraneo, la storia di ogni popolo,
ogni cultura, ogni civiltà è si se stessa ma al tempo stesso è segnata da numerose
eredità e influenze da varie parti provenienti. A questo processo, che è la storia stessa
del Mediterraneo, non vi è cultura e popolo mediterranei che non abbiano in qualche
modo contribuito ed è perciò sciocco, oltre che vano, voler asserire primati e
affermare gerarchie. Ricordiamo le parole di Braudel: «Che cos’è il Mediterraneo?
10
Ivi, p.133.
9
Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma
un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle
altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la
preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam
turco in Iugoslavia. Significa sprofondare nell’abisso dei secoli, fino alle costruzioni
megalitiche di Malta o alle piramidi d’Egitto. Significa incontrare realtà
antichissime, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno: accanto a Venezia, nella sua
falsa immobilità, l’imponente agglomerato industriale di Mestre; accanto alla barca
del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio devastatore dei fondi
marini o le enormi petroliere. Significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari
e nello stesso tempo stupirsi di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche,
aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e
consumano il mare. Tutto questo perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo.
Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da
soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere»11. Prima di Braudel come
dimenticare la grande eredità lasciataci da Pirenne, la consapevolezza, al di là delle
“fratture”, che la nostra vita da occidentali prima della partenza di Colombo, la
nostra vita da Europei dopo il ritorno di Colombo «si concentra sulle sponde del
grande lago»12 , che, «fra tutti i caratteri di quella mirabile costruzione umana che fu
l’impero romano, il più sorprendente e anche il più essenziale è il suo carattere
mediterraneo. Ed è grazie ad esso che sebbene greco ad oriente e latino ad occidente,
l’impero estende la sua unità all’insieme delle province. Il mare, con tutta la potenza
del termine Mare Nostrum, è veicolo di idee, religioni, mercanzie»13.
11
F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani,
1987, p.7.
12
H. PIRENNE, Maometto e CarloMagno, Newton, Roma, 1997², p. 27.
13
Ivi, p. 27.
10
EUROPA ED ISLAM TRA COABITAZIONE E CONFLITTO
I tramonti di quell’inferno africano
si rivelavano straordinari.
Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come
mostruosi assassinii del sole. Un immenso Bluff.
Soltanto che c’era troppo da
ammirare per un uomo solo
Louis Ferdinand Céline14
Lunghi sono i secoli del confronto tra Europa e Islam, certamente caratterizzati da
crociate e controcrociate con evidenti episodi violenti e scontri sanguinosi, ma non è
possibile parlare di una guerra “totale di religione”. Quando tra la fine dell’XI secolo
e il successivo, in Spagna, nelle acque del tirreno e in Sicilia, si crearono le
condizioni, per l’impresa “crociata”, nello svilupparsi di quelle situazioni e di quegli
stati d’animo influirono molti fattori; «la necessità della lotta contro i musulmani
dalla penisola iberica alla Sicilia (e poco più tardi alla Siria); l’impressione – errata,
ma comprensibile – che l’Islam costituisse una compatta e unitaria compagine
dall’Oriente asiatico all’Occidente iberico e Maghrebino; infine il sentimento che i
riformatori della Chiesa erano riusciti a imporre alle stesse coscienze di parte
dell’aristocrazia laica e guerriera del tempo, guadagnata in un modo o nell’altro alle
loro tesi e partecipe del movimento della Pax Dei che – imponendo tregue e
sospensioni nelle guerre feudali, endemiche nella Cristianità occidentale –
determinava la prospettiva della guerra contro gli infedeli come cespiti di risorse
nuove […] Così “l’esportazione della violenza guerriera” fuori dai confini della
cristianità, la sanzione ecclesiale e in qualche modo la santificazione (attraverso
l’indulgenza e la consegna del vexillum) delle prospettive che ne derivavano e il
rapporto che veniva a stabilirsi tra conquiste cristiane e ampliamento del raggio e
della portata dei commerci ad esse conseguenti, divenivano i vettori di una dinamica
14
L.F.CÉLINE, Viaggio al termine della notte, Tea, Milano, 2002, p.190.
11
nuova in cui ragioni religiose, politiche ed economiche convergevano»15. All’interno
della cristianità stessa molti furono i dubbi sul valore della crociata, basta pensare a
Raimondo di Lullo o al scienziato minorita Ruggero Bacone che pur non
condannando la crociata in sé, ritiene che essa non serva e venga «meno al principio
della carità, in quanto gli infedeli vengono uccisi ma non convertiti: anzi la guerra
provoca in loro maggior odio contro il nome cristiano, il che fa si che essi muoiano
dannati; mentre Dio non vuole che muoiano e brucino all’inferno, bensì che si
convertano e vivano. Si fa più forte un elemento nuovo: il giudicar crociata e
missione parallelamente in rapporto al tema della conversione degli infedeli, che è
scopo originariamente estraneo alla crociata ma alla luce della quale è ora sempre più
spesso giudicata»16. Con la grande impresa missionaria di San Francesco si
determina una svolta dell’“amore” nell’atteggiamento della Cristianità nei confronti
dell’Islam infedele, mostrando come «la crociata è insomma una e al tempo stesso
molteplice; non può essere intesa se non attraverso la sua dinamica interna; conosce
una legislazione coerente e rigorosa, ma si articola in una pluralità di casi
fenomenologicamente parlando diversi tra loro e muta sia nei differenti obiettivi
volta per volta proposti, sia nel tempo e nel contesto in cui viene bandita. E’ una
realtà proteiforme, una sorta di balena bianca all’interno della cristianità: uno
strumento giuridico-politico e un’idea-forza, una fonte inesauribile di metafore, un
mito, un oggetto infinito di apologie, di condanne, di polemiche e di malintesi capace
di riproporsi in situazioni diverse e soggetta a impensati revivals»17. La guerra tra
musulmani e cristiani è stata caratterizzata da momenti di grande e feroce entusiasmo
religioso, ma molto spesso quello che di gran lunga è prevalso, sono stati il costante,
continuo, profondo rapporto amichevole nel teatro del mare Mediterraneo, «passati i
15
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., pp. 61-62.
Ivi, pp.148-149.
17
Ivi, p.104.
16
12
primi tempi dell’urto violento, le guerre furono soltanto i fenomeni transitori di una
situazione eminentemente pacifica, cordiale e feconda di grandi vantaggi per la
civiltà. Tutto il mondo orientale bizantino e musulmano entrò, attraverso il
mediterraneo, in stretto rapporto col mondo cristiano, a partire dal secolo XII, e vi
rimase per più secoli»18. Un'amicizia a livello economico, diplomatico, culturale, che
per molti secolo ha dato moltissimo all’Europa, basta pensare che l’Islam, soprattutto
dalla Spagna, diffuse su tutto il continente innovazioni e scoperte scientifiche, la
Sicilia «conobbe per circa un secolo un periodo di floridezza e di benessere, di cui
era espressione il rigoglio della vita urbana, descritto dai geografi arabi. Palermo, in
particolare, divisa in cinque quartieri, era ricca di splendidi edifici sacri e profani, e
centro di attività commerciali e artigianali, assai intense nei quartieri in cui si
concentravano i negozi e il mercato. La ricchezza di sorgenti e di acque correnti,
oltre ad assicurare il rifornimento idrico della popolosa città, consentì anche lo
sviluppo nelle zone circostanti di quella che può essere considerata l’agricoltura più
avanzata del tempo[..] Crebbe, pertanto, fortemente la produzione di grano, frutta,
ortaggi, cotone e canapa, prodotti tipici dell’agricoltura siciliana, che alimentarono
una forte esportazione sia verso l’Africa sia verso il mondo cristiano; ma furono
introdotte anche nuove culture, come quelle degli agrumi, dei gelsi, della palma di
dattero e del papiro, che consentirono a loro volta lo sviluppo di industrie di varia
natura, promosse e gestite direttamente dallo stato. […]La Sicilia non era fiorente
solo di traffici e di attività produttive, ma anche di studi, sia quelli tradizionali di
diritto e di interpretazione del Corano e della sunna sia quelli sviluppatisi più di
recente, quali la filologia e la storiografia. Un posto di particolare rilievo ebbe
sempre la poesia, che era stata assai praticata nel mondo arabo già in età
18
P. SILVA, Il Mediterran : dall'unita di Roma all'impero italiano, Milano, Istituto per gli studi di
politica internazionale, 19427, p.104.
13
preislamica»19. A questo rapporto intenso tra Europa ed Islam, dobbiamo la rinascita
dei commerci e della civiltà urbana dopo la stasi altomedievale; dobbiamo la nascita
del sistema monetario e creditizio moderno; con la conquista musulmana l’Europa ha
«ripreso contatto con le civiltà orientali e, attraverso queste, con i grandi movimenti
mondiali del commercio e della cultura. Mentre le grandi invasioni barbariche del
quarto e del quinto secolo avevano provocato il regresso economico dell’Occidente
merovingio e poi carolingio, la creazione del nuovo impero islamico diede il via,
sempre in Occidente, a uno stupefacente progresso. Se le invasioni barbariche fecero
precipitare la decadenza dell’Occidente, le invasioni musulmane produssero il
rilancio di una nuova civiltà. In altre parole, a proposito dell’arrivo dei barbari in
Occidente, possiamo discutere di continuità e di regresso economico; invece della
conquista araba sull’insieme dei territori musulmani possiamo affermare che non
causò fratture e che generò anzi uno slancio prodigioso»20. Per le repubbliche
marinare lo scontro-incontro con il mondo islamico fu occasione del fiorire di nuove
relazioni commerciali, di ulteriori contaminazioni scientifico-culturali e di ulteriore
diffusione della presenza pisana. Infatti, mentre nel secolo XI il rapporto con le terre
musulmane era stato caratterizzato da scontri ed azioni militari, nel successivo si
evolvono verso una forma di convivenza e di consolidamento delle reciproche
posizioni, rendendo possibili accordi commerciali con i quali Pisa si garantì l’accesso
ai maggiori mercati d’Egitto, Palestina, delle Baleari e delle coste barbaresche,
Tunisi in particolare. Alla stesso modo la Repubblica Pisana non si fece scrupolo di
assicurare al Maghreb il rifornimento di merci esplicitamente vietate da leggi
imperiali e da decisioni conciliari, quali il ferro dell’Isola d’Elba ed altri metalli, ma
soprattutto legname lavorato per utilizzazione nautica e persino imbarcazioni
19
G. VITOLO, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2000, pp.102103
20
M. LOMBARD, Splendore e apogeo dell’Islam (VIII-XI secolo), Rizzoli, Milano, 1980, p. 9.
14
realizzate nell’arsenale pisano. Pisa assunse l’aspetto di un crogiolo di lingue e di
razze, descritta in alcune fonti coeve come una vera Babele, «i documenti
dell’Archivio di Stato di Pisa dimostrano che i rapporti con i principati costieri
musulmani d’Africa erano buoni e furono precoci: il dotto biografo di Matilde, il
monaco Donizone, segnalava scandalizzato come in pieno XI secolo il porto della
città toscana fosse visitato dai tetri Africani»21.
All’Islam dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili traduttori arabi, ebrei e
cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto in Spagna, nella città di
Toledo - la stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della filosofia,
dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina, della matematica, della
tecnologia moderna. Anche quando alla fine dell’XI secolo, in Al-Andalus, si
affermò il potere della rigorosa confraternita dei murabit, “uomini dei Ribat”, gli
austeri abitanti dei conventi-fortezza, tenebrosi e spietati fanatici, provenienti dal
deserto del Senegal, non si fermò lo scambio culturale con l’Europa, non «si deve
pensare che il misticismo delle confraternite dei Ribat avesse soffocato la vita
intellettuale: al contrario, il dibattito teologico e giuridico vi era molto vivo. Le
biblioteche e le madrase di Cordoba conobbero allora uno slancio straordinario, che
superò i fasti dell’età califfale e che costituì la base di uno sviluppo culturale di cui a
partire dal secolo successivo, avrebbe beneficato lo stesso Occidente»22. Senza
l'apporto dell'Islam - riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle
persiana, indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai nata la
splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa dalla quale è scaturita
quella stessa modernità di cui tanto andiamo fieri; «tra il mondo musulmano e quello
cristiano occidentale non si notava soltanto contrasto per le condizioni di potenza, ma
21
22
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.75.
Ivi, p.65.
15
anche contrasto per le condizioni di sviluppo economico e di civiltà. Mentre, infatti,
l’occidente cristiano languiva nella paralisi dell’irrigidimento e del frazionamento
feudale, tutto il vasto mondo musulmano ferveva di vita intensa, si abbelliva di una
grande fioritura artistica, si arricchiva dei portati di una mirabile attività economica,
scientifica, intellettuale, alla quale l’umanità è debitrice in gran parte se i focolari del
progresso e della civiltà non si estinsero totalmente lungo le rive mediterranee,
nei secoli del più fosco medioevo»23. Come dimenticare i due Imperatori
“intellettuali” Federico II di Svevia e Alfonso X Re di Leon e Castiglia, che con
l’impulso dato alle traduzioni dall’arabo e dall’ebraico, con la loro fervente passione
culturale contribuirono a fare del Duecento sia il secolo intellettuale per eccellenza,
sia il secolo in cui Europa ed Islam, nonostante l’impresa crociata, furono in grado di
avvicinarsi in modo irreversibile. «Grazie ai pellegrinaggi, alla mercatura, alle
crociate, in tutta l’Europa bassomedievale erano penetrate profondamente, con le
spezie e le merci di là provenienti, le usanze orientali […] Si dice che Alberto
Magno, giungendo a Parigi nel 1245, si vestisse all’araba non tanto in segno di
provocazione, quanto per sottolineare il suo ruolo di studioso: ormai i musulmani
non erano più “pagani” bensì “filosofi”»24.
L’Europa, sia pure e spesso per ragioni di espansione economica, ha fatto della
curiosità una delle prerogative dell’incontro con le altre civiltà. Molte volte le ha
liquidate con disprezzo: i greci chiamavano barbari, e cioè balbuzienti, coloro che
non parlavano la loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei
greci più maturi come gli stoici (forse perché alcuni di loro erano di origine fenicia)
hanno ben presto avvertito che i barbari usavano parole diverse da quelle greche, ma
si riferivano agli stessi pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con grande
23
24
P. SILVA, Il Mediterraneo : dall'unita di Roma all'impero italiano, cit., p.90.
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.151.
16
rispetto usi e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia cristiana medievale
cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici e astrologi arabi, gli uomini del
Rinascimento hanno persino esagerato nel loro tentativo di recuperare perdute
saggezze orientali, dai Caldei agli Egizi; Montesquieu ha cercato di capire come un
persiano potesse vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i loro primi
studi sui rapporti dei salesiani, che andavano sì presso i Bororo per convertirli, se
possibile, ma anche per capire quale fosse il loro modo di pensare e di vivere – forse
memori del fatto che missionari di alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le
civiltà dell’America Latina e ne avevano incoraggiato lo sterminio. Lo stesso è
accaduto per l’Europa nei confronti dell’Islam, se «il mondo medievale aveva
mostrato per i musulmani, come abbiamo già visto, un interesse che dalla leggenda di
Maometto era passata alla traduzione del Corano e dalle fantasie sul mondo degli
“infedeli” immaginati come pagani -
e collegate alle meraviglie e alle magie
dell’Asia profonda - alle notizie, spesso ricche di osservazioni precise e realistiche,
dei mercanti, dei diplomatici e dei pellegrini a partire dal tardo medioevo. Anche gli
schiavi e i manufatti che dall’oriente arrivavano in Europa avevano contribuito al
crescere d’un interesse nel quale sempre più spesso s’impiantavano forme di
crescente conoscenza e di evidente simpatia»25.
I sostenitori del dialogo, che ci richiamano al rispetto del mondo islamico, ricordano
che l’Islam ci ha dato uomini come Avicenna e Averroè ma spesso si dimenticano
Al Kindi, Avenpace, Avicebron o quel grande storico del XIV secolo che fu Ibn
Khaldun, che l'Occidente considera addirittura l'iniziatore delle scienze sociali.
Perchè non parlare della Baghdad della prima metà del IX secolo dove ci furono
rivoluzioni poetiche che hanno determinato in campo sociale e culturale la stessa
25
Ivi, p.274.
17
frattura avviata dalla rivoluzione poetica che ha avuto luogo in Francia
nell’Ottocento. Ci furono poeti che sono l’equivalente di Baudelaire, di Verlaine, di
Rimbaud e di Mallarmé, capaci di far emergere l’individuo profondamente
contestatore che invoca con grande forza la trasgressione come motore della poesia.
Uno degli esempi più importanti è Abu Nuwas, un poeta arabo-persiano che scriveva
in arabo, che nella raccolta Amori ha cantato in modo molto provocatorio e
impetuoso il vino, che nell’Islam è proibito, e gli amori omosessuali, tutto raccontato
in un lingua pura e passionale, molto in anticipo rispetto all’Europa di quel tempo,
dove questo non esisteva. Lo spirito della civiltà islamica ha trovato la sua
materializzazione e la sua realizzazione negli oggetti di artigianato e di arte minore, e
nell’arte monumentale; l’arte è sempre sostenuta dalle condizioni della scienza e
della tecnica. Si può dire che, riguardo alla connessione fra scienza e fede e a livello
della tecnica e delle arti, la civiltà islamica è stata idealmente contemporanea a
quanto è accaduto in Europa fino all’epoca barocca e neoclassica. Con la differenza
che, per l’Islam, tutto questo è avvenuto nell’XI, XII, e XIII secolo, e ha dato luogo
all’equivalente di ciò che accadrà con le tre grandi rivoluzioni di Cartesio, Keplero e
Copernico, rivoluzioni cominciate nel XVII secolo, che sono alla base
dell’Illuminismo del XVIII secolo, quello straordinario movimento che ha staccato
l’Europa da tutte le altre civiltà, da quella islamica come da quelle cinese e indiana.
Ancora alla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento, quando la razionalità
occidentale era entrata in quel tramonto irreversibile che la condurrà nel dramma
della Grande Guerra, poeti come Rimbaud, scrittori come Nizan e filosofi come
Spengler guardarono all’Oriente con rinnovato entusiasmo. Nizan nel pieno dei suoi
vent’anni, giunse alla certezza che Aden era una possibilità di redenzione, quindi «la
nostra conclusione era scontata, perché ci avevano abituato a pensare all’Oriente
18
come al contrario dell’Occidente: dal momento che la caduta e la putrefazione
d’Europa erano fatti assolutamente semplici, chiari e distinti, la rinascita e la fioritura
dell’Oriente erano fatti altrettanto evidenti. L’oriente racchiudeva la salvezza e la
nuova vita degli europei, aveva rimedi ed amore da vendere»26. Rimbaud immerso
nei sui inferni scriveva: «Avendo ritrovato in me due soldi di ragione - passa presto!
io vedo che i miei malanni vengono dal non essermi figurato molto presto che noi
siamo in Occidente. La palude occidentale! Non che io creda la luce alterata, la
forma estenuata, il movimento sconvolto... Bene! ecco che il mio spirito vuole
assolutamente gravarsi di tutti gli sviluppi crudeli che ha subito lo spirito dopo la fine
dell’Oriente... Ne vuole, il mio spirito! ... I miei due soldi di ragione sono terminati! Lo spirito è autorità, vuole che io sia in Occidente. Bisognerebbe farlo tacere per
concludere come volevo.
Io mandavo al diavolo le palme dei martiri, i raggi dell’arte, l’orgoglio degli
inventori, l’ardore dei predoni; io ritornavo all’Oriente e alla saggezza
primitiva
ed
eterna.
-
Sembra
che
sia
un
sogno
di
rozza
indolenza!»27. Tutto questo per sottolineare come la prospettiva modernizzante
dell’Occidente sia in verità analoga a quella vissuta in passato dall’Islam, ma anche
come la prospettiva di quest’ultimo si sia poi arrestata progressivamente.
L’intreccio storico Islam-Europa, osservato nell’ottica della reciprocità, ha quindi
comportato la nascita di preziosi e prolifici incontri, senza i quali il cammino della
civiltà europea avrebbe percorso probabilmente altre strade. Ma la storia, nel
momento in cui si trasforma in ricordo collettivo mistificato e mistificante, preferisce
soffermarsi, anche per una maggiore divulgazione, sulla realtà “centralizzante” dello
scontro, della minaccia e della conquista, concentrandosi sul potere persuasivo delle
26
27
P. NIZAN, Aden Arabia, cit., p.68.
A. RIMBAUD, L’impossibile, in A. RIMBAUD, Opere, Milano, Feltrinelli, 20044, p. 235.
19
atrocità e del sangue versato. Carlo Martello e il falso mito di Poitiers, le crociate, la
reconquista, l'assedio di Vienna da parte dei turchi, il colonialismo europeo, il
conflitto arabo-palestinese, questi eventi, uniti alle religiosità per loro natura
conflittuali, costituiscono un'eredità molto pesante che però non può confluire in un
riduzionismo e in un revisionismo, che oltre ad essere intellettualmente “immorale”,
favorisce una percezione reciproca unilaterale, falsa e pericolosa. Bisogna tener
presente che se nei tempi moderni la civiltà europea è diventata sinonimo di «civiltà»
in assoluto, a tal punto che noi siamo tratti, anche involontariamente, a misurare il
livello raggiunto da altri popoli e paesi in rapporto al paradigma europeo, ciò non è
però vero né esatto sul piano storico. Vi sono state antiche civiltà non europee, ed
altre forme di «civiltà» sono forse in formazione fuori d'Europa. Occorre, dunque,
fissare l'attenzione sui caratteri storici peculiari della civiltà europea, ma anche in
questo caso non si può dimenticare che tale civiltà non rappresenta un punto fermo,
qualcosa di ben definito e conchiuso, bensì un processo in perenne elaborazione e
tuttora aperto.
L’Europa deve molto all’islam non solo per i momenti di coabitazione ma anche per
quelli che furono momenti di scontro e guerra feroce, infatti se «ci poniamo il
problema di come e quando sia nata una coscienza moderna dell’Europa e
dell’identità europea, ci rendiamo conto di quanto e fino a che punto l’Islam ne sia,
magari “al negativo”, tra i fattori che l’hanno aiutata a definirsi. La reiterata
aggressione musulmana all’Europa – tra VII-VIII e X secolo, quindi tra XIV e XVIII
secolo - obiettivamente effettiva o comunque come tale dagli europei interpretata, è
stata una “levatrice violenta” d’Europa. E se qualche storico ha (paradossalmente?)
salutato dunque il Profeta come «padre fondatore» d'Europa, c'è da chiedersi se
analogo ruolo non sia più tardi spettato anche ai sultani turchi Maometto II e a
20
Solimano il Magnifico che, obbligando il continente a, difendersi e a cercare le vie e i
modi per un'azione unitaria, lo hanno indotto anche, in prospettiva, a meglio definirsi
dinanzi a se stesso e all' “Altro”»28. Il passaggio da un confronto plurisecolare con
Islam “mediterraneo” medievale fatto di arabi e saraceni, al quattrocento “turco”
destabilizza fortemente la stessa Europa creando il mostro della “scimitarra
mozzante”. Di nuovo, quella che potremmo definire “la propaganda della paura”
entra in gioco creando un mito al negativo assolutamente falso. Se osserviamo bene
le cose e soprattutto leggiamo attentamente le carte della storia, possiamo dire che
mentre nel medioevo «i mercanti occidentali potevano liberamente circolare per il dar
al-Islam, lo stesso non potevano fare almeno fino al XVI secolo – ma poco anche in
seguito – i mercanti musulmani nel dar al-Harb: e non solo perché ne avessero scarsa
convenienza. […] Solo con i primi del cinquecento, una volta accettato ormai di fatto
che l’impero ottomano si fosse definitivamente radicato al posto del vecchio impero
bizantino e ammesso sia pur tacitamente che i turchi fossero un irrinunciabile partner
commerciale e potessero proporsi anche come interlocutore diplomatico, gli
ambasciatori turchi e persiani divennero ospiti più frequenti delle corti d’Europa e
oggetto di curiosità per settori di solito limitati delle società occidentali»29.
Nonostante il bagaglio anti-storico su cui viene formata l’opinione pubblica e la
necessità di partire dall’ottica della reciprocità, non possiamo negare che il mondo
islamico, sia esso “moro”, “turco” o “persiano”, non si è mai rassegnato alla propria
destituzione, «per molti secoli il mondo islamico è stato all'avanguardia della civiltà
umana e delle sue conquiste. Il termine stesso di Islam, fra i musulmani, era avvertito
come sinonimo di civiltà: oltre i suoi confini c'erano solo barbari e infedeli»30.«La
conquista araba, che si scatena contemporaneamente sull’Europa e sull’Asia, non ha
28
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., pp. 7-8.
Ivi, p.276.
30
B. LEWIS, Il suicidio dell'Islam, Mondadori "Saggi", Milano 2002, p. 6.
29
21
precedenti: la rapidità dei suoi successi può essere paragonata soltanto a quella con
cui si costituirono gli imperi mongoli di un Attila, o, più tardi, di Genghiz Khan o di
un Tamerlano. Ma quelli furono tanto effimeri quanto la conquista dell’Islam fu
duratura. Questa religione ha ancora oggi i suoi fedeli in quasi tutte le terre in cui si
era imposta sotto i primi califfi. La sua diffusione fulminea è un vero miracolo
paragonata alla lenta espansione del cristianesimo»31. Dopo un grandissimo periodo
di civiltà, dopo un grandissimo periodo di egemonia, l’Islam entra in crisi, con la
cosiddetta capitale-mondo – riprendendo l’espressione di Fernand Braudel sul
concetto di capitale-mondo – che inizia a spostarsi in Occidente. La funzione
esercitata dalla Baghdad del IX -X secolo, dal Cairo del XIII secolo, si sposta verso il
nord del Mediterraneo, con il fiorire di Genova e Venezia, per poi esiliarsi
ulteriormente, allontanandosi ancora di più dal mondo islamico e installandosi ad
Amsterdam nel XVII secolo, a Londra nel XIX e infine a New York nel XX. Dunque
una capitale-mondo che si allontana geograficamente sempre di più dallo spazio
islamico, e a partire dal momento in cui, da parte dei musulmani, alla fine del XVIII
secolo c’è stata l’improvvisa e drammatica constatazione del proprio ritardo storico.
«E’ un fatto indubitabile che la cultura occidentale nel Medioevo crebbe all’ombra
della più progredita civiltà islamica, e fu da quest’ultima, più che non dal mondo
bizantino, che la cristianità medievale recuperò la sua parte dell’eredità scientifica e
filosofica. Fu solamente nel sec. XII, dopo l’età delle crociate e la grande catastrofe
delle invasioni mongoliche, che l’incivilimento della cristianità occidentale cominciò
a raggiungere, in una relativa uguaglianza, quello dell’islam; e anche allora esso restò
pervaso d’influssi orientali. Soltanto nel secolo XV, con il Rinascimento e la grande
espansione marittima degli Stati europei, l’occidente cristiano acquistò la
31
H. PIRENNE, Maometto e CarloMagno, cit., p.133
22
supremazia»32. A rendere più complesso il rapporto con l’Islam, c’è anche quello che
lo storico Cardini definisce il malinteso, che nasce quando gli europei nell’Ottocento,
avendo bisogno di legittimare la loro politica colonialista, hanno interpretato la storia
come contrasto tra Cristianità e Islam, perché avevano interesse a dimostrare di aver
sempre tentato di esportare cultura e civiltà; poi, gli stessi musulmani hanno creduto a
questa chiacchiera romantica ed hanno creduto davvero che la storia dell’Europa
fosse quella di una continua tensione tra religioni; e, infine, il cosiddetto
fondamentalismo musulmano ha ripreso, per ragioni prettamente politiche, questa
idea presentando la propria azione come la reazione, giustificabile e giustificata, del
mondo musulmano ad un’annosa politica di aggressione e spoliazione subita. Come
abbiamo già detto questa impostazione dimentica che l’Occidente non si può più
definire con il termine di Cristianità da almeno tre secoli, da quando si sono avviati
profondi processi di laicizzazione degli Stati. Certo, l'Islam di oggi non è più quello
di allora, ma Europa e Islam hanno potuto incontrarsi in piena reciprocità finché sono
stati più o meno sullo stesso piano. Nel XVIII secolo in Europa emerse la nozione di
libertà e l’idea radicale della separazione del fattore politico da quello religioso, che
fino ad allora erano stati uniti, l’illuminismo determinava una distanza non ancora
rimarginata tra Europa ed Islam. «Mozart e Rossini amavano scherzare: e si poteva
ben scherzare con giannizzeri ed eunuchi, con harem e minareti, tra sette ed ottocento.
Si scherzava, forse, con sollievo: usciti dal lungo incubo del turco che incatenava e
impalava, del barbaresco che saccheggiava e uccideva. Ormai, turbante e scimitarra
potevano divenir oggetti di scena, harem e moschee fondali di commedia e d’opera
buffa»33. Paura e derisione, i due volti del fondamentalismo occidentale. Quasi
contemporaneamente nel XVIII secolo appare Mohamed Bin Abdel Wahab (170332
33
C. DAWSON, La formazione dell’unità europea dal secolo V al XI, cit., p. 115.
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.289.
23
1792), che dà origine a quello che sarà chiamato wahabismo, nasce questo
movimento purista che sarà all’ origine dell’Arabia Saudita, che come tutti i
movimenti che predicano in nome della lettera pura di una qualunque religione, si
colloca su posizioni radicali ed estremiste. Nella seconda metà del XIX secolo,
appare, il fenomeno del colonialismo, prodotto dallo sviluppo industriale e
dall'emergente classe borghese, il mondo non europeo si trova ad essere svalorizzato,
privato di dignità e l'arsenale polemico medievale nei riguardi dell'Islam risorge. «La
predicazione della fede - un tema tuttavia, bisogna riconoscerlo, abbastanza messo in
sordina: né sarebbe stato credibile il contrario -, l'espansione degli interessi coloniali,
la “missione” del portare libertà politica e progresso civile, sociale e tecnologico ai
popoli fuori d'Europa concorrevano, variamente miscelati, alla giustificazione delle
avventure asiatiche e africane rispetto alle quali capitava talvolta di veder balenare magari come espediente propagandistico - il vessillo della crociata. Sarebbe accaduto
mutatis mutandis lo stesso nella spedizione francese in Tunisia nel 1881-83; nella
campagna del 1884-85 del generale Gordon contro il Mahdi Muhamad Ahmad;
nell'occupazione italiana della Tripolitania del 1911-12; nella campagna spagnola del
Rif tra 1921 e 1926 durante la quale si distinse il galiziano Francisco Franco, più tardi
caudillo di un'altra cruzada; e perfino nelle due guerre italiane contro l'Etiopia, che
era pur cristianissima e che era pur stata semmai un'alleata quanto meno nei progetti
crociati genovesi e portoghesi del Quattro-Cinquecento»34. In occasione della prima
guerra mondiale l’asse anglo-francese puntando sullo spirito unitario del mondo
arabo, aizzò le genti arabe a ribellarsi al sultano turco con la promessa di una “Grande
Arabia” sotto la guida dello sharif Hussein. In pieno stile coloniale, le due potenze
europee dopo aver ottenuto il successo contro i turchi operarono la spartizione del
34
Ivi, p. 294.
24
vicino oriente, con la Siria ed il Libano che passavano alla Francia, mentre la
Palestina, Transgiordania e la Mesopotamia erano soggette al controllo Inglese;
l’Arabia venne organizzata in una monarchia sotto il controllo della famiglia
wahabita dei sauditi. Ancora una volta gli arabi erano depredati, umiliati come
comunità, utilizzati come bestie da soma, ma da lì a poco sarebbero ritornati utili per
contrastare l’aliyah beth ebraica in Palestina (Eretz Israel).
Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo visto un enorme sviluppo della
rivoluzione coloniale, probabilmente il più grande movimento dei popoli oppressi
nella storia umana. In Asia, Africa, America Latina, decine di popoli combatterono
per la propria emancipazione nazionale. Il mondo arabo, oggi al centro degli interessi
economici e strategici dell’imperialismo, fu teatro di un risveglio imponente:
dall’Algeria all’Iraq, passando per l’Egitto, la Siria, la Palestina ed altri ancora, tutti i
paesi arabi furono attraversati da movimenti rivoluzionari laici e progressisti, a
dispetto della propaganda borghese che tende a dipingere le popolazioni arabe come
“naturalmente inclini” al fondamentalismo islamico. I movimenti rivoluzionari nei
paesi coloniali del secondo dopoguerra furono dunque il tentativo messo in atto dai
popoli arabi di avviarsi verso l’effettiva indipendenza. Ovunque si formarono
repubbliche democratico-borghesi i cui governi, in un primo momento, si fecero
spesso promotori di politiche progressiste. La super potenza imperiale degli Stati
Uniti, nell’ottica della guerra fredda, si occupò di nutrire con armi ed odio i vari
fondamentalismi annientando le speranze laiche e aprendo la strada al fanatismo
islamico(o islamismo).
Siamo giunti, anche se con grandi salti, all’11 settembre 2001, l’attacco alle torri
gemelle, ma questa è un’altra storia, no! forse è sempre la stessa storia fatta di
coabitazione e conflitto, in cui le informazioni sono poche e come nel Medioevo
25
manipolate dal potere politico-economico, in cui uomini e donne subiscono il peso di
quello che Foucault chiamerà “microfisica del potere” e cioè un potere che agisce in
molti luoghi del sociale, in forma capillare, appunto micrologica, che penetra nelle
coscienze attraverso i corpi, attraverso il minuto controllo di gesti, di posizioni, di
atteggiamenti fisici, stabilendo l’ordine di una disciplina, e rendendo così i soggetti
docili alle finalità del potere. «L’homo Oeconomicus ha la sua illusione di felicità,
parla della sua potenza e mantiene uomini che gli fabbricano illusioni: romanzieri,
storici, poeti epici e filosofi»35. Dobbiamo finirla con le illusioni, riscoprire il senso
della reciprocità, ritornare alle periferie per ritrovare dei centri che creino prospettive
nuove e orizzonti inesplorati, abbandonarci al folle volo di Ulisse che cerca l’oceano
per dare un senso al suo mare, riappropriarsi degli ulivi, sorprendersi per la stessa
scoperta che un giorno ho fatto vagando per Pantelleria: la folta vegetazione, la
bellezza dei dammusi e poi improvvisa la folgorazione di una scritta: “Località
Khaddiuggia”, l’incontro era avvenuto, è ancora in atto, la bellezza del Mediterraneo.
35
P. NIZAN, Aden Arabia, cit., p.150.
26
CONCLUSIONE
L’olivo è la costanza
della forza e del lavoro
Garcìa Lorca36
«La questione arabo-israeliana, insieme con il modificarsi degli equilibri demografici
e produttivi del mondo negli ultimi due-tre decenni e con l’eclisse dell’Europa come
potenza mondiale, seguita dopo il 1989 all’affermarsi di un nuovo assetto del globo
caratterizzato dalla presenza di un’unica superpotenza, gli Stati Uniti d’America:
tutto ciò ha potentemente condizionato, e profondamente mutato, i rapporti fra
Europa ed Islam»37. L’Europa, che supera oggi i suoi confini tradizionali per
allargarsi in un mondo sempre più globale, deve guardare al Mediterraneo come alla
sede di un grande incontro culturale e storico, culla del diritto alla vita e capace di un
grande sviluppo, di pace e di civiltà. L’Europa ha una politica del mediterraneo, ma
la deve sviluppare radicandola nei popoli dei Paesi Mediterranei, rendendoli
protagonisti. Solo il confronto diretto tra culture, farà crescere la forza degli
interlocutori e renderà più facile una politica europea, soprattutto in questa nuova era
della globalizzazione. Il Mediterraneo è un antico spazio geografico e politico, ma
costituisce anche la rappresentazione che oggi racchiude il bisogno di dialogo tra le
culture, di pace, di integrazione tra innovazione e tradizione, di diritti individuali e di
solidarietà sociale. Dialogo tra le culture ma non appiattimento, nell'uniformità non
c'è cultura, non c'è pensiero, iniziativa, nulla di personale, nessuna emozione e
soprattutto nessuna passione. La cultura è per definizione (come affermano gli
etnologi) diversità, deve confrontarsi, porsi a fianco delle altre culture, e qualche
volta scontrarsi. Uniformare la cultura è una assurdità, è impossibile. Per me, il
dialogo tra due culture non è uno scambio tra gruppi, ma soprattutto una scambio tra
36
37
G. LORCA, Canzone orientale, in G. Lorca, Poesie-Libro de Poemas, Newton, Roma, 1995³, p.179.
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, cit., p.312.
27
individui. Le culture non sono entità distinte, esistono solo attraverso le persone che
le rappresentano, che non sono mai identiche. In un Paese, individui portatori di varie
culture spesso coabitano in una stessa città, in un quartiere, una scuola, un'azienda. E'
nella loro capacità di convivere, ascoltarsi reciprocamente, influenzarsi, che risiede il
dialogo delle culture. Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in
seno a un solo Mediterraneo. Esse sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e
per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e
all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le
differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Il
Mediterraneo non deve più essere oggetto di programmi politici decisi altrove ma
soggetto di strategie che siano espressione diretta dei bisogni reali di ciascun popolo:
è per questo che occorre prendere coscienza dei rischi di destrutturazione e
marginalizzazione della regione euromediterranea ed impegnarsi per la costruzione
di “Alleanze tra le Civiltà” del Grande Mediterraneo, anche al fine di non creare
barriere artificiali nel mondo arabo, separando i Paesi mediterranei da quelli del
Golfo. Il Grande Mediterraneo non intende allargare il mito della Mediterraneità ad
uno spazio più ampio, ma è la contestazione della retorica di uno spazio mentale
dove le differenze e le comuni visioni vengono annullate da una rappresentazione
artificiale e superficiale. Il mare è fatto di donne e di uomini diversi e anche in
conflitto ma che vogliono giustizia sociale e democrazia. E’ per questo che parlando
di Grande Mediterraneo non si pala di un’entità astratta che si colloca in antichità
remote, ma di donne e uomini del XXI secolo alle prese con la necessità di governare
i processi globali per non esserne divorati e subordinati. Riconoscere che Europa ed
Islam nascono dalla stessa culla non è un atto di subordinazione, ma il
riconoscimento della verità su cui fondare “incontri tra Civiltà”. Mediterraneo,
28
Europa e Islam costituiscono i pilastri fondamentali su cui costruire il nostro futuro,
luoghi centrali nella storia dell’umanità, capaci di grande sintesi, essenziale per la
costruzione di un concetto di “co-tradizione culturale” e di coabitazione di civiltà,
religioni, pratiche di vita differenti, unica alternativa possibile, oggi, alla prospettiva
drammatica della “pulizia etnica” e del genocidio sistematico. Il Mediterraneo come
“vitalismo”, ossia come primato dei ritmi naturali su quelli meccanici e di un
fondamentale senso della misura, rispetto, attenzione a non violare l’integrità umana.
La cultura mediterranea come modo di vita, più che come pensiero riflesso, rifiuta
l’eccesso, non solo spazio geografico, ma spazio sincronico che esalta la distinzione
contro la tragica opposizione, invitando alla coesistenza di tradizioni culturali diverse
e anche contrapposte. A dispetto della tragica guerra nei Balcani, il Mediterraneo
continua a suggerire l’idea di mediazione già nata in Grecia. La sua vocazione è
quella di unire il diverso, tenendo conto che qui, più che altrove, la società, i rapporti
primari faccia a faccia vengono prima della struttura statuale. Il fondamentalismo,
parafrasando Cassano, non è l’attributo di una religione, ma si dà ogni volta che una
cultura guarda a se stessa come il modello e le altre come una versione inferiore o
degradata di quel modello. Il carattere distintivo della vocazione mediterranea resta
la vocazione universalistica, la capacità di fondere e far convivere tradizioni di
pensiero e pratiche quotidiane e di vita diverse, originariamente eterogenee e anche
contrapposte. Il Mediterraneo è molto più di un semplice “crocevia di culture”.
L’incontro tra culture diverse ha creato da tempi immemorabili un’“identità
mediterranea”. E’ necessario riscoprire la complessa natura meticcia di tante città e
paesi del nostro Mezzogiorno, i tanti nomi arabi che ancora popolano la Sicilia e non
solo essa, le colonie greche o albanesi, i Normanni e gli Svevi dei nostri castelli, gli
spagnoli e i francesi della lunga storia stratificatasi in questa terra di arrivi e partenze,
29
di approdi ed incroci. Dobbiamo essere orgogliosi di questa natura meticcia, del
rimescolo inquieto e continuo dei nostri geni, di questo “noi” pieno di altri, di questa
indisponibilità alle pulizie etniche e a tutti i fondamentalismi, per una pedagogia
dell’accoglienza, ma anche per guardare al di là dell’emergenza, dell’aiuto per chi
arriva disperato, costruendo una grande patria mediterranea. «L'Occidente dovrebbe
cessare di guardare con un orrore comodo e superbo alla barbarie del
fondamentalismo, del nazionalismo e dell'economia criminale e tentare di
combatterli iniziando con il controllare il proprio fondamentalismo, quello
dell'economia. Solo limitando l'homo currens si può sbarrare la strada allo
sradicamento e agli usi reattivi della tradizione, al suo ritorno violento e soffocante.
Prendere atto del lato oscuro e aggressivo della propria cultura significa finalmente
uscire dall'etnocentrismo. Esistono una pluralità di vie per arrivare a Dio, una
pluralità di lingue per dargli un nome. Se ogni cultura prendesse atto del proprio lato
oscuro, di quei frutti avvelenati che essa produce (e che ama disconoscere
imputandoli ad altri) si potrebbe iniziare a parlare. Finché gli homines prodotti dalle
altre culture saranno considerati soltanto stadi intermedi sulla via del raggiungimento
dell'homo currens sarà perfettamente normale che i perdenti non accettino di
stringere la mano a coloro che hanno imposto il gioco nel quale vincono sempre.
All'Occidente spetta il compito difficilissimo (ma non nuovo) di diffidare del proprio
nobile universalismo che corre in soccorso e in aiuto, di non pensare che le proprie
istituzioni siano un campo neutro sul quale le culture si sfidano e si incontrano ad
armi pari»38. Samuel P. Huntington, il teorico più esplicito del “clash of civilisation”,
cioè dello “scontro fra le civiltà”, è convinto che dai conflitti regionali stiamo
pericolosamente scivolando verso uno scontro di civiltà, in particolare, tra islamismo
38
F. CASSANO, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 64-65.
30
e Occidente. Dobbiamo rispondere a queste affermazioni con la superbia di una
storia che ci racconta una narrazione diversa, capace riparlarci di un rapporto tra
Europa ed Islam dove il Mediterraneo è il centro della storia del mondo, il suo
animatore, la sua condizione di vita, con la piena consapevolezza che «nel paesaggio
fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si
presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si
fonde e si ricompone in un’unità originale. Come spiegarla? Come spiegare l’essenza
profonda del Mediterraneo? Sarà necessario moltiplicare gli sforzi. La spiegazione
non risiede soltanto nella natura, che pure molto ha operato in tal senso, né soltanto
nell’uomo, che ha ostinatamente legato insieme il tutto, ma nel confluire dei favori e
delle maledizioni – numerosi entrambi - della natura e degli sforzi molteplici degli
uomini, ieri come oggi. In un susseguirsi interminabile, insomma, di casi, incidenti,
reiterati successi. Il fine di questo libro è di dimostrare che tali esperienze e tali
successi si comprendono soltanto se considerati complessivamente, e soprattutto che
devono essere posti a raffronto, che spesso è opportuno esaminarli alla luce del
presente, che è a partire da quanto si vede oggi che si può giudicare e capire l’ieri – e
viceversa. Il Mediterraneo è una buona occasione per presentare un “altro” modo di
accostarsi alla storia. Il mare infatti, quale lo conosciamo e lo amiamo, offre sul
proprio passato la più sbalorditiva e illuminante delle testimonianze”39. Dobbiamo
rifiutare l'immagine di un'Europa “sentinella dell'impero atlantico”, bisogna operare
un recupero della dimensione euro-mediterranea, come possibile alternativa politica,
economica e sociale, allo strapotere statunitense. Un'Europa che riscopre le sue radici
mediterranee potrebbe garantirci uno spazio di mediazione, socializzazione,
convivenza e passione in grado di neutralizzare gli opposti fondamentalismi. Ma non
39
F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Einaudi,
1987,p.9.
31
ci sono soltanto gli arcaici fondamentalismi etico-religiosi con cui confrontarsi, c’è
anche il radicalismo contenuto nella parola modernità, una vera ideologia politica e
culturale che al di fuori del cerchio della modernità vede solo barbarie, violenza,
tirannia, oppressione delle donne e terrore. Nel mondo occidentale trionfa
imperterrita la logica consumistica, dominata dalla competizione, dalla velocità, dal
lento dilaniarsi della reciprocità affettiva, una società senza misura e senza bellezza,
nel quale lo sviluppo economico e tecnico viene utilizzato per assoggettare l’uomo,
creare una dimensione di sperequazione sociale, favorire le dinamiche sociali dello
scontro e del dominio di una civiltà su un’altra civiltà. Un recupero dello “spazio
mediterraneo” potrebbe fornire risorse di consapevolezza culturale e politica capaci
di produrre effetti identitari per gli attori di entrambe le sponde del Mediterraneo, in
particolare per i paesi maghrebini, spingendoli ben oltre l'orizzonte dell'Unione del
Maghreb arabo. Un rilancio del programma di collaborazione euromediterranea e una
critica severa del nuovo disegno egemonico degli Stati Uniti, improntato
all’esportazione della democrazia nel mondo islamico, in un’area che va dalla
Mauritania al Pakistan, dovrebbero essere i cardini di una politica dell’Unione
Europea improntata alla realizzazione dell’unità nel mediterraneo. L’Europa deve
impegnarsi nel favorire il pieno riconoscimento del popolo palestinese, allontanare il
più possibile lo spettro di un attacco all’Iran, riqualificarsi come soggetto attico della
politica internazionale. Una strategia mediterranea dove proporsi di ostacolare ogni
progetto imperiale e ritornare a navigare sul “mare nostrum” con imbarcazioni che
partendo da porti lontani, solcando mari da riscoprire, portino con se la
consapevolezza che nello spazio mediterraneo ci sono genti “diverse”, brezze leggere
come l’incontro e luoghi che nascono dall’acqua: «Terra rossa terra nera, tu vieni dal
32
mare, dal verde riarso, dove sono parole antiche e fatica sanguigna e gerani tra i sassi
- non sai quanto porti di mare parole e fatica, tu ricca come un ricordo»40.
40
C. PAVESE, La terra e la morte, in C. PAVESE, Poesie, Oscar mondatori, Milano, 19704, p.181.
33
BIBLIOGRAFIA
F. BRAUDEL, Il Mediterraneo. Lo Spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano,
Einaudi, 1987;
F. CARDINI, Europa ed Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Roma-Bari, 2005³;
F. CASSANO, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 2003;
L.F.CÉLINE, Viaggio al termine della notte, Tea, Milano, 2002;
C DAWSON, La formazione dell’unità europea dal secolo V al XI, Einaudi,
Torino,1939;
B. LEWIS, L’Europa e l’Islam, Laterza, Roma-Bari, 2005³;
B. LEWIS, Il suicidio dell'Islam, Mondadori "Saggi", Milano 2002;
M. LOMBARD, Splendore e apogeo dell’Islam (VIII-XI secolo), Rizzoli, Milano,
1980;
G. LORCA, Canzone orientale, in G. Lorca, Poesie-Libro de Poemas, Newton,
Roma, 1995³;
P. MATVEJEVIC, Breviario Mediterraneo, Garzanti, Milano, 1994²;
C. PAVESE, Poesie, Oscar mondatori, Milano, 19704;
P. NIZAN, Aden Arabia, Mondatori, Milano, 1996;
H. PIRENNE, Maometto e CarloMagno, Newton, Roma, 1997²;
A. RIMBAUD, Opere, Milano, Feltrinelli, 20044;
P. SILVA, Il Mediterraneo: dall'unita di Roma all'impero italiano, Milano, Istituto
per gli studi di politica internazionale, 19427;
A VENTURA, L’Islam Sunnita nel periodo classico (VII – XVI SECOLO), in
G. Filoramo(a cura di), Islam, Laterza, Roma-Bari, 2003;
34