DA STILIDA A STILO. PRIME ANNOTAZIONI SU FORME E

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DA STILIDA A STILO. PRIME ANNOTAZIONI SU FORME E
Caulonia – Area urbana (Fig. 1)
va di ipotizzare la presenza di insediamenti sparsi, secondo
il tipico modello romano delle ville.
In effetti l’Orsi aveva fermato la sua attenzione sulla
presenza nell’Itinerarium Marittimum 490, della statio
“Stilida” e per primo ne aveva proposto l’ubicazione “nell’agro o nell’area stessa di Caulonia” (ORSI 1891, p. 68).
L’archeologo sosteneva infatti che il sito di Cocinto dell’Itinerarium Antonini, quello di Caulon della Tabula
Peutingheriana e dell’Anonimo Ravvennate e, infine, quello di Stilida dell’Itirerarium Marittimum, fossero una sola
cosa e che si dovessero identificare con l’antica città di
Caulonia, dall’Orsi stesso scoperta a Punta Stilo.
Recenti studi sulla viabilità in Calabria hanno permesso, tra l’altro, di definire in maniera più puntuale il percorso di età romana della via costiera ionica, da sempre ritenuto problematico sia per le distanze segnate negli Itinerari,
che per l’identificazione delle stationes citate (GIVIGLIANO
1994, pp. 320-322); a questo proposito sembra ormai un
dato acquisito l’identificazione del Promontorio Cocinto con
Punta Stilo e quindi con la colonia greca di Caulonia. Tale
identificazione diventa “un punto fermo” nella ricostruzione di quell’itinerario stradale. Comunque, prescindendo dai
dubbi che possono ancora sussistere anche dopo la più recente ricostruzione dell’itinerario in questione, la cosa che
a noi qui interessa rimarcare è la possibile presenza, suggerita per altro dalle fonti, lungo il tracciato viario romano
che collegava Crotone a Reggio Calabria, di una statio nel
sito dell’antica Caulonia,
In effetti, i più recenti rinvenimenti nella città di
Caulonia testimoniano, al contrario di quanto conosciuto in
passato e finora sostenuto, una massiccia presenza di materiali romani, insieme con una serie di tombe, concentrati
nel tratto della città antica intra moenia, in località S. Marco, e rinvenuti nel corso delle ricerche e delle ricognizioni
effettuate tra il 1988 e il 1994.
Già durante le prime campagne di scavo effettuate nella località S. Marco, in corrispondenza dell’attuale rudere
dell’omonima chiesetta, di cui si dirà in seguito, si erano
rinvenuti vasti e consistenti strati superficiali di frequentazione romana che inglobavano parecchi materiali (Tav. I,
nn. 3-8); qui di seguito si indicano solo alcune forme ceramiche importanti per definire i limiti cronologici della vita
del complesso:
– ceramica campana: sono presenti alcuni piatti riconducibili alla seconda metà del II sec. a.C.; – ceramica africana:
questo tipo di ceramica è stata rinvenuta in grande quantità
e copre un arco cronologico compreso tra il I-II ed il VI sec.
d.C.; si segnalano: alcune scodelle databili tra la fine del IV
e l’inizio del V sec. d.C.; due di esse risalgono al IV-VI sec.
d.C., che è il termine cronologico più tardo, rinvenuto in
questo contesto.
Per quanto riguarda l’età romana, l’analisi non può ovviamente prescindere da una messa a punto dei più recenti
dati relativi alla città di Caulonia. Un elemento importante,
acquisito nel corso delle indagini sulla città greca, era che il
sito dell’antica Caulonia non fosse stato più frequentato in
età romana, vista l’assoluta mancanza di materiali relativi a
quell’età; le indagini successive a quelle dell’Orsi avevano
confermato l’abbandono della città in quel periodo
(TOMASELLO 1972, p. 632); naturalmente di questo dato si
era tenuto conto negli studi successivi, sia in quelli di carattere generale sull’età romana in Calabria (GUZZO 1981, p.
121), sia in quelli più specifici su questo territorio (SABBIONE 1985, p. 54; IANNELLI 1987, p. 133).
Si sosteneva, pertanto, che la mancanza di materiali
romani all’interno delle mura di cinta della città indicasse il
completo abbandono del sito dopo il IV sec. a.C., con una
ridotta frequentazione fino al II sec. a.C.; mentre sul territorio, il rinvenimento di strutture di età romana nelle contrade Mataloni (odierna Maddaloni in comune di Stilo) e
Fontanelle (nel comune di Monasterace Marina) permette-
Nel corso delle suddette indagini a S. Marco furono individuate due tombe di cui una in anfora, l’altra utilizzava
alcuni tegoloni piatti con decorazione circolare incisa a stecca, simili a quelle rinvenuti nelle strutture tombali ad
Altavilla Silentina (BISOGNI 1984, tav. LVI, 5); le sepolture,
in pessimo stato di conservazione a causa dei lavori agricoli che avevano fortemente danneggiato lo strato superficiale, erano tagliate nello strato di frequentazione di età romana; in una di esse fu rinvenuto un bronzo di Costante II,
databile al 347-348 d.C. Le tombe sono, probabilmente, tutte
relative ad età tardo romana.
Sempre dagli strati più tardi di S. Marco provengono
alcune monete tutte di età imperiale e tardo imperiale: un
sesterzio di Commodo databile al 188-189 d.C.; un bronzo
di Antoniniano Gallieno del 261 d.C.; un follis di Galerio
Cesare del 296-305 d.C.; un bronzo di Licinio del 308-313
d.C.; un follis di Costantino I del 318-319 d.C.; due bronzi
di Costante II del 337-361 d.C.; altri due bronzi sempre di
Costante II di cui è illeggibile la zecca; una moneta poco
leggibile di età imperiale, un bronzo del Divo Claudio.
DA STILIDA A STILO. PRIME ANNOTAZIONI
SU FORME E SEQUENZE INSEDIATIVE
IN UN’AREA CAMPIONE CALABRESE
di
FRANCESCO ANTONIO CUTERI, MARIA TERESA IANNELLI
I. CARTA ARCHEOLOGICA DELL’ETÀ ROMANA E
TARDO ANTICA
L’area presa in esame è ubicata sul versante ionico dell’attuale Calabria, nel tratto di territorio compreso tra le fiumare Assi a nord ed Allaro a sud. Si tratta di un’ampia zona
costiera che a monte raggiunge le prime propaggini dell’Appennino calabrese costituito dai massicci del monte
Pecoraro, monte Stella, monte Consolino.
Dal punto di vista storico-archeologico l’area, se si prescinde dalle indagini effettuate sul sito dell’antica Caulonia
(attuale Monasterace Marina), non è stata finora oggetto di
studio e pertanto è poco nota; infatti, se lo studio sulla polis
achea è progredito rispetto a quello effettuato a suo tempo
dall’Orsi (ORSI 1891, 1916), la ricerca sull’età romana e
tardo antica si può considerare solo agli inizi; mentre datano ad epoca recente le indagini avviate dalla Soprintendenza Archeologica sui siti di Stilo e Bivongi, grazie anche
alla collaborazione delle locali Amministrazioni comunali
che si sono fatte carico, nella maggior parte dei casi, del
finanziamento delle indagini.
Il lavoro che qui si presenta tiene conto sia delle ricognizioni effettuate nel territorio, nel costante impegno di
tutela, sia delle campagne di scavo. È però utile precisare
che quest’ultime non hanno avuto carattere di continuità e
soprattutto hanno risentito della mancanza di una specifica
programmazione, adeguandosi spesso alle progettazioni legate ad esigenze ben diverse da quelle della ricerca; un programma organico, invece, si è potuto seguire esclusivamente
per il sito dell’antica Caulonia.
La mancata programmazione della ricerca costituisce
un grosso limite alla conoscenza e alla comprensione storico-archeologica di questo territorio e visto che in questa
fase i dati risultano senz’altro frammentari e preliminari, si
ritiene utile tracciare, seppure a grandi linee, una carta archeologica che sia comprensiva di tutti i dati finora raccolti
in riferimento alle età prese in esame. Il quadro che si presenta, sebbene incompleto relativamente alle reali potenzialità, rappresenta un primo importante passo verso una
più puntuale conoscenza del territorio.
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Fig. 1 – Pianta della città di Caulonia.
Immediatamente più a sud dello scavo appena descritto un’indagine, eseguita nel 1998 sul ciglio della duna che
attualmente separa la città antica dalla spiaggia, ha messo
in luce un’altra sepoltura in anfora (Tav. I, n. 1). Questa,
riconosciuta come tomba di bambino e priva di corredo,
risulta, a giudicare dalla tipologia dell’anfora, di età tardoantica.
È necessario precisare che sempre nella stessa località,
ma a monte della strada ferrata e nei pressi della sopracitata
chiesetta di S. Marco, si infittiscono in superficie i rinvenimenti di materiali romani costituiti soprattutto da parecchi
frammenti di sigillata africana del tipo chiara D; mentre
nella corrispondente area a mare sono state rinvenute, frutto di ricognizioni, altre quattro monete riferibili: ad
Antoniniano Gallieno del 253-26; a Teodosio I del 378-392;
ad Arcadio del 378-383; ad imperatore incerto, ma comunque databile al IV sec. d.C.; un’altra moneta, rinvenuta sempre lungo il mare è databile anch’essa al IV sec. d.C.
Nel 1994, uno scavo ad opera della società SIETI, per
conto ANAS, effettuato lungo la SS 106 lato monte, ha
messo in luce tra l’altro due tombe di età romana, come le
definiscono sia la tecnica costruttiva che il materiale ceramico inglobato; infatti le due tombe, di cui una (US 6) in
buono stato di conservazione, erano costruite con muretti
laterali di mattoni e tegoloni piatti tenuti insieme da malta
giallastra abbastanza dura e sul fondo erano sistemati due
embrici. Nello strato di riempimento della tomba meglio
conservata sono stati rinvenuti: un frammento di fondo di
padella a vernice rossa interna; un frammento di fondo di
vaso di impasto grossolano ma lisciato all’esterno, genericamente riferibile all’età romana ed infine un piccolo frammento di sigillata chiara di tipo D di imitazione.
Sempre al fine della comprensione storico-archeologica di questo territorio, assumono importanza e rilievo i rinvenimenti subacquei effettuati nel corso degli anni ’80 dall’Associazione Culturale Kodros per conto della Soprinten-
denza Archeologica della Calabria, nel tratto di costa compreso tra il tempio dorico e la fiumara Assi; le prospezioni
subacquee hanno messo in luce un complesso architettonico relativo ad un tempio ionico non finito o in corso di lavorazione databile all’inizio del V sec. a.C. (IANNELLI 1992;
IANNELLI-LENA-MARIOTTINI 1993, IANNELLI 1997); ma quello
che a noi interessa evidenziare in questa sede è la presenza,
in quel contesto, di alcuni reperti mobili databili ad età romana e tardo antica (MEDAGLIA c.s.); si tratta di un frammento d’anfora Dressel 2/4, databile al I-metà del II sec.
d.C.; di un frammento di anfora di forma Ostia IV, 147, di
produzione nord-africana della fine del II-V sec. d.C; di una
brocca frammentaria databile al V-VII sec. d.C. A seguito
dei rinvenimenti subacquei, sembra abbastanza probabile
la presenza a Caulonia di un porto-canale lungo la fiumara
Assi e di una zona d’approdo nelle vicinanze del tempio
dorico. Lo dimostrano le due bitte da ormeggio, alcuni blocchi con grappe in piombo trovati sott’acqua e la presenza,
evidenziata dal Medaglia, di opere di cantieristica subacquea (due puntazze in ferro e una ghiera di testa in piombo), che sono da considerarsi strumenti usati per le fondazioni subacquee o per il consolidamento delle rive.
In verità ancora tutto da dimostrare è l’utilizzo in età
romana e tardo antica del porto cauloniate, di cui però i
materiali citati potrebbero essere un primo flebile indizio.
Alla luce di questi rinvenimenti si viene a delineare
un’ampia area, all’interno della cinta muraria greca, nella
quale è presente in maniera inequivocabile un complesso di
età romana; di questo, come abbiamo visto, sono noti solo
alcuni strati di frequentazione che, anche se al momento non
è possibile riferire a strutture, sembrano individuare, ad una
prima disamina, un complesso abitativo in parte riutilizzato,
forse in età tardo antica, come area di necropoli. Rimane
tuttavia da precisare che alcune tombe, ad esempio quelle
lungo la SS 106, potrebbero essere coeve all’insediamento
romano. In conclusione, in questa vasta area sembrano esse-
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Tav. I – Nn. 1, 3-8: Monasterace M., loc. S. Marco; n. 2: Monasterace M., loc. Fontanelle; nn. 9-13: Stilo, Via Cattolica.
re presenti due fasi d’uso databili, grosso modo, l’una tra il
II sec. a.C. e V-VI sec. d.C. (insediamento in villa?) e l’altra
a partire dal VI sec. d.C. (necropoli). L’ipotesi di identificare il complesso rinvenuto in località S. Marco con la statio
Caulon-Stilida degli Itinerari antichi (ORSI 1916, col. 752;
DE SANCTIS 1916, col. 698) appare molto suggestiva. Del
resto, va messo in evidenza che le strutture rinvenute erano
probabilmente in corrispondenza dell’importante asse viario jonico che, come si è ipotizzato, non doveva discostarsi
molto dall’attuale tracciato della SS 106; senza contare che,
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Fig. 2 – Monasterace M.:Villa romana di Fontanelle.
e qui ritorna un’altra suggestione, dalla località S. Marco
erano probabilmente visibili, anche in età tarda, le vestigia
oppidi Caulonis di pliniana memoria.
Il territorio (Fig. 3)
Nell’aggiornamento dei dati relativi al territorio in esame cominceremo da Nord verso Sud segnalando la presenza, nelle vicinanze dell’attuale letto del Guardavalle, in proprietà Curtale, di un complesso in villa che non sembra essere molto esteso ma che, a giudicare dal materiale scaricato lungo il corso di quella fiumara, perché distrutto dai lavori agricoli, doveva essere sicuramente monumentale; purtroppo una campagna di prospezioni e carotaggi, fatta eseguire dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, ha
evidenziato la distruzione quasi totale degli strati archeologici scoraggiando la ben che minima azione di tutela. Tra il
materiale mobile raccolto durante i sopralluoghi si segnalano le seguenti tipologie ceramiche: sigillata italica, sigillata africana chiara D, parecchi frammenti di anfore e grandi
quantità di materiale acromo da cucina con grande prevalenza di pentole.
Più a Sud, in località Campo Marzo, su una collinetta in
ottima posizione ora coltivata a vigneto, durante una ricognizione effettuata nel 1990 con i volontari dell’Associazione Kodros, è stata rinvenuta in superficie grande abbondanza di materiale archeologico relativo ad una villa per lo
sfruttamento agricolo del territorio. Vi sono numerosi frammenti ceramici a vernice nera del tipo campana A e B, ma
sono presenti anche: ceramica da cucina del tipo a vernice
rossa interna, sigillata italica con decorazione a rotellature,
ma priva di bolli, quella africana di tipo A nelle prime forme Hayes, anfore, tutte del tipo Dressel 2/4 e, tra i contenitori, un frammento di spatheion con una particolare forma a
fiasca ascrivibile al IV-V sec. d.C.
A sud dello Stilaro, sui bassi pianori di contrada Ellera,
è stata segnalata la presenza di materiali di età romana, tanto che si è ipotizzata l’esistenza di uno o più insediamenti
relativi a quell’età (SABBIONE 1985, p. 60).
A qualche km dalla costa lungo l’attuale strada che sale
da Manasterace a Stilo è ubicata la villa di contrada Fontanelle (Fig. 2), di cui Orsi aveva in passato segnalato i resti
(ORSI 1891); l’area è stata oggetto di indagini regolari nel
corso degli anni ’80. Si sono rinvenuti una serie di ambienti
di cui alcuni pavimentati con cocciopesto, uno solo pavimentato con bei mattoni quadrati, ed un ampio cortile privo
di copertura, in cui erano ubicati una fornace circolare ed
un pozzo; è molto probabile che questo settore della villa
fosse adibita alle lavorazioni, visto anche l’assenza di ambienti di rappresentanza particolarmente curati nelle rifiniture, mentre consoni a tutto il contesto sono grossi frammenti di contenitori presenti su tutta l’area e il cortile che
costituisce l’area artigianale. Si sono definite varie fasi di
utilizzo del complesso che ebbe una vita particolarmente
lunga che si sviluppò in un arco cronologico compreso tra
il II sec. a.C. ed il V sec. d.C.; dopo questo periodo il complesso cadde in disuso, come confermato dalla presenza di
una quarantina circa di tombe che riutilizzano i muri ed i
pavimenti di tutto il complesso. Dette sepolture, costituite
nella maggior parte dei casi da tegoloni piatti che spesso
presentano una decorazione incisa, simile a quella osservata nella località S. Marco, sono quasi sempre prive di corredo; ad eccezione di due tombe il cui corredo è costituito,
rispettivamente, da una brocchetta acroma, materiali questi
ormai noti e diffusi in tutta la Calabria, che sono datati tra
VI e VII sec. d.C. (DI GANGI-LEBOLE 1999, pp. 416-417);
brocchette simili erano state segnalate a suo tempo, dal De
Franciscis in località Lesa, rinvenute in alcune tombe che
erano state sconvolte da lavori agricoli (DE FRANCISCIS 1957,
pp. 188-189, fig. 11).
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Fig. 3 – Carta archeologica dell’area di Punta Stilo: ● Ville romane; ✙ Necropoli;
ˆ Casali rurali; ▲ Nuclei rupestri.
Si presenta qui di seguito una scelta di materiali ceramici rinvenuti nel corso delle indagini in località Fontanelle, che documentano le varie fasi d’uso del complesso:
– ceramica campana: sono presenti pochi frammenti del tipo
A; mentre più numerosi sono i materiali del tipo B e C; –
ceramica a pareti sottili: si tratta di pochi pezzi relativi a
boccaletti di cui alcuni decorati con motivo a rotella, databili al II-I sec. a.C.; – ceramica sigillata italica: le forme
attestate con maggior numero di esemplari sono riconducibili alle forme Goudineau 15, 38, 43; sono presenti alcuni
frammenti con bolli; – ceramica africana fine da mensa:
tipo A 1/2: sono attestate le forme Hayes 6,8,9,36, databili
tra il I e II sec. d.C.; tipo A2: presente in minore percentuale con la forma Hayes 27, databile al 160-220 d.C.; tipo D:
sono presenti esemplari d’imitazione, la forma più tarda
attestata è la Hayes 61a, databile al 325-400/420 d.C.; –
ceramica africana da cucina: tra la gran quantità di questo
tipo di ceramica si segnalano le forme più tarde che sono
costituite in gran numero da tegami relativi alle forme: Lamboglia 10a-Hayes 23b; Lamboglia 10b-Hayes 23a; databili
alla seconda metà del II-fine IV/inizi V sec. d.C.; ma non
mancano frammenti di coperchi databili tra la fine del IVinizi del V sec. d.C.
Nella località Maddaloni del comune di Stilo, nella proprietà del barone Giuseppe Crea, già fin dalla fine dell’800,
il Fiorelli segnalava la presenza di almeno due stanze con
pavimenti in mosaico policromo e geometrico relativi ad
una villa romana, molto probabilmente di età imperiale
(FIORELLI 1893); i sopralluoghi effettuati nella zona, ora piantata ad agrumeto, hanno evidenziato ai piedi del pendio col-
●
Grotte eremitiche; ■ Monasteri; ✕ Chiese;
linare la presenza di strutture relative a muretti di terrazzamento che inglobano materiali antichi.
All’ingresso dell’attuale centro storico di Stilo, proprio
alle falde della collina su cui è costruito il settore moderno
della città, l’espansione edilizia che rischia di soffocare la
bella chiesetta di S. Nicola da Tolentino ha determinato l’intervento della Soprintendenza Archeologica; nella zona
denominata Loco, dov’era stata segnalata la presenza di una
necropoli con deposizioni in pithoi, sono state rinvenute due
tombe scavate nel banco di argilla che costituisce il rilievo
collinare di cui si è detto; le sepolture, ricavate entrambe
nella nuda terra, avevano come corredo tre anforette di cui
una sola intera e le altre frammentarie, tutte databili al II
sec. d.C.; al momento non vi è traccia del probabile complesso abitativo cui i rinvenimenti sono connessi, che pure
dovrebbe essere ubicato non molto distante.
In località Zija, nei pressi del villaggetto moderno lungo la SS che conduce a Serra S. Bruno, in passato sono stati
segnalati materiali romani; si tratta di una località interna ubicata lungo una via di penetrazione verso il massiccio delle Serre
calabresi, la cui importanza per la presenza di un redditizio
paesaggio boschivo era nota anche in età romana; è possibile che le due vie fluviali Stilaro ed Assi, abbiano avuto un
ruolo importante nel collegamento con l’entroterra.
L’analisi della carta archeologica del territorio preso in
esame, pur nei limiti evidenziati in premessa, mette in rilievo la presenza diffusa di complessi in villa, probabilmente
legati allo sfruttamento agricolo del territorio, secondo un
modello insediativo ormai ben noto per il mondo romano.
In questa età sembra confermato l’abbandono del centro
urbano di Caulonia che seppure sopravvive, come stazione
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di posta, certo non può avere avuto il ruolo di centro urbano cui in genere le ville romane fanno riferimento; sembra
ipotizzabile, perciò, almeno per i dati disponibili a questo
stadio della ricerca, che il polo economico di questo territorio sia da identificarsi con la vicina città di Locri che
sopravvive come municipium oppure con la non lontana
colonia Minervia Nervia Scolacium (attuale Roccelletta,
in comune di Borgia), dove recenti scavi hanno messo in
evidenza un centro molto attivo in questa età; l’estensione
di campagne di scavo anche al territorio e un puntuale studio dei materiali, potranno fare luce su questo punto.
Mentre pochi argomenti di riflessione offre la carta
archeologica delineata, relativamente alla problematica
connessa alla probabile continuità tra gli insediamenti greci
e i nuovi nuclei insediativi romani, un dato affermativo sembra venire dallo scavo in località S. Marco, per la presenza
di materiali di III-II sec. a.C. nello stesso sito del complesso insediativo romano; del resto, in più punti della città di
Caulonia, si era già riscontrata una diffusa presenza di materiali databili a quell’età che dovette segnare un cambiamento importante nel modelli insediativi e di sfruttamento
del territorio.
Per quanto riguarda l’età tardo antica, se ancora non
siamo in grado di valutare correttamente il fenomeno insediativo, è certa una sempre maggiore attestazioni delle necropoli, seppur povere, che riutilizzano talvolta costruzioni
precedenti ormai cadute in disuso. Esse sembrano presupporre l’esistenza di piccoli e non molto floridi complessi
insediativi.
Infine, per lo studio dell’economia di questo territorio
sembra quanto mai fondamentale riuscire a definire meglio
il ruolo che assume il porto sia nell’età romana che in quella tardo antica.
M.T.I.
II. L’ETÀ BIZANTINA
A differenza di altri centri costieri attivi in età romana,
ad esempio Locri o Scolacium, l’area dell’antica Kaulon si
presenta da tempo fortemente contratta e con i caratteri di
ager publicus (FIOCCADORI 1994, p. 738).
Maria Teresa Iannelli ha già messo in evidenza sia il
ruolo del centro in rapporto alla viabilità di età imperiale
che il perdurare di traffici, diretti o indiretti che fossero,
con le regioni nord-africane fino a tutto il V secolo. Tra
l’età tardoantica ed il primo medioevo si colloca l’inserimento in questo nucleo insediativo di una chiesa di modeste dimensioni. Già segnalata dall’Orsi, che ne fornisce la
localizzazione all’interno della planimetria urbana, conserva oggi solo il muro perimetrale meridionale, con tre finestrelle strombate, e una piccolissima parte del muro occidentale. Tutta la parte absidale venne distrutta durante i lavori di costruzione del tracciato ferroviario. Ho proposto
una datazione tra V e VI secolo basandomi sull’analisi del
contesto e su un preliminare studio della muratura. Tale
costruzione è stata realizzata con l’utilizzo di ciottoli fluviali, calcare, embrici, qualche frammento di trachite vulcanica e malta grossolana. Qualora il riferimento cronologico venisse confermato con saggi archeologici, ci troveremmo alla presenza di una tra le più antiche chiese calabresi, e numerosi sarebbero gli spunti di riflessione sull’evangelizzazione di quest’area. La chiesa, che nella tradizione locale è detta di San Marco, è unicamente citata in un
testo del 1677: …essendoci ancora in quel luogo molte fabbriche, e chiese; fra l’altre, una al lito del mare, sotto il
titolo dell’Evangelista S. Marco, et un’altra più dentro terra, dedicata a S. Nicolò il Grande (CUNSOLO 1987, p. 15).
Per ricostruire le vicende dell’area dell’antica polis nella
prima età bizantina si può al momento contare solo su alcune indicazioni di carattere numismatico. Due monete definite genericamente bizantine, furono rinvenute dall’Orsi sul
versante settentrionale della collina del faro (ORSI 1916, p.
121) e non è da escludere che sulla piccola altura, indicata
già a partire dal XVI secolo come Castellone, vi fosse qualche piccola struttura difensiva. Due monete fortemente corrose, ma riferibili al gruppo dei folles, sono state recuperate
sulla spiaggia antistante la chiesa di S. Marco. Alcune monete infine, provenienti dal territorio di Monasterace ma
senza specifica indicazione, sono presenti nella collezione
Cimino (GUZZETTA 1998, p. 29): follis di Giustiniano I (5512, Antiochia), follis di Giustino II (570-1, Nicomedia), decanummio di Maurizio (590-602, Catania), follis di Leone V (813-820, Siracusa), quattro folles di Leone VI (886912, Costantinopoli), due folles anonimi, uno di classe A2
(976?-ca. 1030-35) e l’altro di classe C (1042-ca. 1050).
Nel territorio sono quasi esclusivamente i piccoli e medi
cimiteri a testimoniare una frequentazioni sia lungo i percorsi fluviali che sulle ridotte alture di mezza costa (Fig. 3).
Come nel caso della villa di Fontanelle, localizzata a margine del letto dello Stilaro, si assiste a una diversa occupazione degli ambienti, così sulle alture di contrada Lesa, l’insediamento sembra svincolato da schemi preesistenti.
In entrambi i casi la documentazione archeologica è
costituita da sepolture che hanno restituito manufatti ceramici (Tav. II, nn. 1-10) ampiamente inquadrabili nelle produzioni tipiche del VI- VII secolo (ROTELLA-SOGLIANI 1988,
con bib. prec.; DI GANGI-LEBOLE 1997b, p. 155, fig. 2). Ci si
limita ad osservare in tale sede che l’impasto delle anforette è di migliore qualità rispetto a quello delle brocchette.
Aggiungo che alcuni esemplari sono privi di una piccola
parte del bordo. Credo che questa caratteristica sia dovuta
all’intenzione di rendere il vaso simbolicamente inutilizzabile per sottolineare l’unicità del rito praticato (probabilmente battesimo o matrimonio).
Non molto tempo addietro Vera von Falkenhausen ha
proposto di identificare la sfuggente città di Myria con la
Mystia che le fonti latine collocano sul litorale Jonico nei
pressi di Caulonia e ha avanzato l’idea che in un periodo
successivo Mystia abbia dato il nome ad una massa che
comprendeva i territori dell’antica Caulonia, ove fu istituita, come nella massa Nicoterana, una sede vescovile
(FIACCADORI 1994, pp. 737-738). A tal riguardo è necessario sottolineare che i dati archeologici non permettono al
momento di localizzare la città. Tuttavia, in un documento
scritto nell’XI secolo si fa esplicito riferimento all’esistenza nel territorio compreso tra gli attuali centri di Stignano e
Camini, del prètorion di Sumpesa. Tale struttura è forse
un’eredità dell’antico centro, tappa intermedia nel processo che porterà alla nascita in età medio-bizantina dell’importante kastron di Stilo?
Spingendoci verso l’interno, disponiamo di un unico
importante ritrovamento. Nel 1987, nel corso della realizzazione di un muro di contenimento in Via Cattolica a Stilo, furono messi in vista i resti di un muro e un pavimento
in malta e furono recuperati alcuni manufatti ceramici. Il
dato è particolarmente significativo sia per il tipo di ceramica rinvenuta, sia perché ci troviamo in un contesto non
funerario. I dati raccolti ci permettono di supporre l’esistenza di un’abitazione di una certa consistenza. Le ceramiche sono rappresentate da tre anfore frammentarie del
tipo a fondo umbonato (Tav. I, n. 12, 13), da due brocchette
frammentarie, l’una dipinta in bruno e l’altra con decorazione
incisa (Tav. I, nn. 9, 11), ed infine da un recipiente probabilmente monoansato (Tav. I, n. 10). La forma di quest’ultimo è
simile alle anfore precedentemente descritte ma l’impasto è
grezzo. L’ansa è a sezione ellittica e il bordo, rientrante, è
assottigliato. Vistose tracce di annerimento da fuoco sul fondo e sulle pareti ne sottolineano la versatilità funzionale.
Le anfore trovano confronti con i materiali di LocriPaleapoli, Tiriolo e Tropea, datati tra la fine del VI e l’VIII
secolo d.C. (DI GANGI-LEBOLE 1997b; RAIMONDO 1998). È
prematuro esprimerci sulle aree di provenienza ma potrebbe trattarsi di una produzione locale.
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Tav. II – Nn. 1,2: Monasterace M., loc. Fontanelle; nn. 2-7: Monasterace M., c.da Lesa; nn. 11, 12: Stili, Cattolica; n. 13: Stilo,
centro storico; n. 14: Bivongi, Chiesa di S. Giovanni Decollato; n. 15: Stilo, area esterna Cattolica.
Il ritrovamento di Via Cattolica risulta al momento isolato ma possiamo ipotizzare l’esistenza, tra VI e VIII secolo, di un abitato disposto alla base orientale del massiccio
calcareo del monte Consolino. Potrebbero avvalorare tale
ipotesi sia i marmi altomedievali reimpiegati nel centro storico (CUTERI 1997b), parte dei quali da riferire ad un edificio di culto, sia il riferimento in un documento del 1094 a
veteres muros da localizzare nell’area ora compresa tra il
Borgo e la località Pilatello (VARGAS 1765, p. XV, par. XV).
Tale abitato è da intendersi come tappa preliminare al
grande sviluppo che caratterizzerà Stilo a partire dal IX secolo, quando avverrà il trasferimento nella parte sommitale
del monte Consolino.
L’integrazione tra i dati derivanti dalle ricognizioni di
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superficie, dagli scavi archeologici e dalla lettura delle fonti
documentarie, consente di delineare un quadro ben dettagliato sulle forme insediative tra IX e XII secolo.
Il Kastron bizantino di Stilo
L’esistenza del kastron è documentata da alcune fonti
di età bizantina mentre la presenza, nel 1071, di una fortificazione interna, il castellum, è testimoniata dalla cronaca
del Malaterra. (MARTORANO 1986, p. 164).
Gli scavi condotti nell’ambito del progetto di riqualificazione del centro storico hanno evidenziato la quasi totale
assenza di strutture murarie e reperti mobili anteriori al XIII
secolo (vetrina sparsa: Tav. II, n. 13), mentre pochi frammenti di ceramica a vetrina pesante e sparsa sono stati recuperati nei riempimenti cinquecenteschi della Chiesa Matrice. Questi dati, unitamente alla presenza di strutture murarie sui terrazzi calcarei che sovrastano l’abitato attuale, localizzano il kastron bizantino sul monte Consolino, nel cui
punto più alto domina il castello. Una conferma è offerta da
un documento della prima metà del XVI secolo: Et da dicto
loco sagle per le ripe ad monti et ense ad la terra vecchia
antiqua de Stilo, quale ey sopra lo monti alto et lassa lo
viscopato antiquo, quale ey dirrupato sopra dicto monti
(MOSINO 1986, p. 164).
Il riferimento al viscopato antiquo ripropone una questione a lungo discussa ma ancora sostanzialmente irrisolta: l’istituzione o meno a Stilo di una sede vescovile. Infatti, anche se in molti documenti bizantini e normanni si fa
esplicito riferimento al vescovo di Stilo e ai suoi possedimenti, per alcuni studiosi ci troviamo unicamente in presenza di una “distaccamento” della sede vescovile di
Squillace, divenuta dal 1096 di rito latino. Rimane comunque il fatto che, sia nell’uno che nell’altro caso, le struttura
del vescovado antico, ancora ben riconoscibili su di un terrazzo del monte, occupavano all’interno del contesto urbano una posizione di tutto rilievo.
Le già ricordate indagini archeologiche del centro storico e le ricerche condotte da Giorgio Metastasio sulla documentazione catastale hanno permesso di approfondire la
conoscenza topografica dell’insediamento e di riscontrare
forti analogie con i coevi centri di Santa Severina, Gerace e
Rossano. Il quadro che emerge è quello di una diffusa presenza, al di sotto degli edifici moderni, di grotte di varie
dimensioni scavate in progressione nelle arenarie compatte
seguendo le curve di livello e di cunicoli di notevole lunghezza finalizzati ad intercettare le vene d’acqua (CUTERI
1997a, p. 351). Purtroppo sono del tutto assenti gli elementi utili a proporre sicure annotazioni cronologiche, anche
perché molte grotte sono rimaste in uso per lungo tempo,
ma in via ipotetica si può pensare all’esistenza di un “quartiere” rupestre disposto ai margini del kastron bizantino e
inizialmente destinato a frequentazioni di tipo stagionale o
comunque connesse alle pratiche agrarie (CUTERI 1998, pp.
73 ss.; DI GANGI-LEBOLE DI GANGI 1997a, p. 211). È riferibile al XIII secolo l’inserimento all’interno di questo “quartiere “di una chiesa dedicata, secondo quanto indicato da
fonti tardo-medievali, a S. Maria di Ognissanti. Recenti
campagne di scavo hanno permesso di ricostruire le differenti fasi edilizie dell’edificio e di individuare un importante ciclo di affreschi, circa venti metri lineari, da riferire
alla fine del XIV-XV secolo (CUTERI 1997b, p. 70, n. 11).
La presenza lauritica
«Cos’è una laura? Si tratta di un villaggio monastico
nel quale i monaci restano uniti dalla lode che si eleva al
Signore dalla grande e dalle piccole grotte, celle eremitiche
che costellano questa montagna. Qui si capisce come eremo e cenobio non costituiscano nell’ascetismo cristiano due
poli privi di comunicazione: la laura si pone come sintesi di
entrambe le esperienze che caratterizzano le Vitae dei Santi
italo-greci». (VATOPEDINO c.s.).
Le ricognizioni condotte sul monte Consolino e sul
monte Stella hanno permesso di individuare la presenza di
numerose grotte (Fig. 3). Si tratta di anfratti naturali di piccole e grandi dimensioni talvolta regolarizzati e adattati alle
esigenze del culto. Si trovano localizzati esclusivamente sul
versante orientale dell’imponente massa di calcare dolomitico, creando una “fascia sacra” tra il sovrastante kastron e
il sottostante nucleo rupestre descritto precedentemente.
Due di queste grotte esicastiche conservano importanti
testimonianze pittoriche:
– Grotta di S. Maria della Stella: si apre sulla parete del
monte omonimo, l’antico Cuccumella, dominando l’ampia
valle dello Stilaro. L’ambiente ipogeo, che raggiunge la profondità lineare di oltre venti metri, conserva all’interno un
affresco che rappresenta la scena della comunione di S.
Maria Egiziaca, datato da Marina Falla Castelfranchi alla
fine del X secolo. Sempre secondo la studiosa la posizione
dell’affresco sottolinea la funzione eremitica della grotta e
il tema iconografico prescelto sembrerebbe collegarsi alla
presenza di un eremo femminile. Nelle vicinanze dell’altare barocco si conserva la parte inferiore di un affresco raffigurante un santo vescovo. Anche questo affresco potrebbe
essere riferito al X secolo.
– Grotta dell’Angelo: anche questa grotta si apre verso la
valle dello Stilaro ma si presenta in posizione più nascosta.
È larga circa 7 metri e profonda 3. La parte superiore presenta una piccola cupola a trullo, ora solo in parte affrescata, e la parete sud una piccola nicchia. Qui si notano tracce
di affreschi datati al X secolo: si tratta dell’Incontro fra i
SS. Apostoli Pietro e Paolo (LEONE 1996, p. 28, n. 92).
Altre grotte importanti sono quella della Pastorella o di
S. Maria di Tramontana, ancora oggi luogo di venerazione,
la grande grotta situata sopra il piazzale antistante la Cattolica, con all’interno resti di edifici tardo-medievali e quella
presente al di sopra della strada per Pazzano. Qui sgorga
una sorgente d’acqua.
Ai fini di una migliore comprensione della presenza
monastica nell’area, assume un significato di rilievo la presenza della piccola chiesa nota come la Cattolica. Si tratta
di un edificio datato al X secolo, con pianta a croce greca
inscritta in un quadrato e tre piccole absidi rivolte ad oriente (BOZZONI 1998).
La sua più antica menzione si ha in un documento del
1094: Et per dexteram catholici, conscendit in cacumen
ardui montis… (VARGAS 1765, pp. XVI-XVII). Un analogo
riferimento compare in un documento del XVI secolo:
lassando la Chatolica antiqua de dicta terra ad mano
dextra… (MOSINO 1986, p. 163).
La sua funzione originaria è molto discussa: per alcuni
si tratta del Katholikon di un nucleo monastico in grotta,
per altri del Katholikè del kastron e dunque della Cattedrale
o della chiesa principale.
Recenti ricognizioni condotte nei terreni circostanti all’edificio hanno portato all’individuazione di strutture murarie isolate e di ambienti adattati ai terrazzi rocciosi e al
rinvenimento di frammenti di ceramica (Tav. II, n. 15). La
presenza di queste strutture e l’esistenza di una porta, ora
murata, nel muro nord della chiesa, lasciano intendere che
ci si trovi in presenza di un complesso monastico. Tali elementi portano ad interpretare la piccola chiesa come un
Katholikon.
Gli scavi condotti all’esterno della chiesa, sul lato orientale, hanno permesso, con il rinvenimento di alcuni contrafforti, di integrare la restituzione planimetrica dell’edificio (Fig. 5). Negli spazi presenti fra i contrafforti sono state
rinvenute due sepolture riferibili probabilmente al bassomedioevo. Tale dato integra quanto già segnalato in proposito dall’Orsi per il versante occidentale (CUTERI 1997, p.
62, n. 7). Sono stati inoltre recuperati numerosi frammenti
ceramici acromi e decorati a bande rosse ed alcuni frammenti di lucerne del XII-XIII secolo (Tav. II, nn. 11-12).
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Concludiamo questa parte dedicata alla Cattolica con
due piccole segnalazioni.
La prima riguarda la presenza del bollo RCM su alcuni
dei mattoni di III sec. d.C. utilizzati nei muri perimetrali
dell’edificio. Considerando che tale bollo è al momento riferibile solo a botteghe operanti a Scolacium e che il materiale impiegato per la costruzione della chiesa è da riferire a
edifici romani presenti nell’area dello Stilaro, possiamo ipotizzare che in età imperiale l’area dell’antica Kaulonia gravitasse nell’orbita dell’importante centro romano. Ciò spiegherebbe la successiva appartenenza di questo territorio alla
diocesi di Squillace, che trovava nel fiume Allaro il proprio
limite meridionale. (D’AGOSTINO 1995, p. 104).
La seconda segnalazione riguarda la scoperta su una
delle colonne in marmo di una doppia iscrizione in arabo:
nel rigo superiore troviamo la professione di fede Non c’è
Dio all’infuori del Dio unico, mentre il rigo inferiore recita: A Dio la lode. Per tale iscrizione, che offre nuovi spunti
di ricerca, ho proposto una datazione all’XI secolo (CUTERI
1997b, pp. 74-76).
L’esistenza di un complesso lauritico è attestata anche
in una zona più interna della vallata dello Stilaro. Infatti,
lungo il torrente che conserva significativamente il nome di
Cellia, troviamo la presenza di alcune grotte. Tale sito è da
identificare con la collina delle celle che compare nel 1098
in una sentenza del Giudice di Stilo. L’esistenza in quest’area di un monastero rupestre era stata già ipotizzata
(GUILLOU et al. 1980, p. 66).
I centri monastici
Il territorio di Stilo è interessato da una notevole e articolata presenza di istituzioni monastiche.
Le numerose fonti documentarie disponibili, da riferire
prevalentemente all’XI e XII secolo, consentono non solo
di seguire le vicende di fondazione di alcuni centri monastici, ma anche di distinguere quelli di diritto vescovile da
quelli di diritto metropolitano.
Di particolare importanza è un testamento del 1040 con
il quale un primikerios lascia le sue terre in dotazione al
monastero di S. Maria da lui stesso fondato. Questo documento, in cui sono tra l’altro ricordati terreni seminativi,
oliveti, vigneti e gelsi, oltre a mettere in evidenza il notevole frazionamento della proprietà terriera, sottolinea il ruolo
svolto dai privati nell’edificazione dei centri monastici (VON
FALKENHAUSEN 1982, p. 68). Ugualmente significativo è il
documento che ricorda l’istituzione del monastero di S.
Giovanni Theristìs, su terre di sua proprietà, ad opera di
Geronimos Atulinos intorno alla metà dell’XI secolo
(GUILLOU et al. 1980, p. 66).
La maggiore presenza di strutture monastiche favorì,
tra X e XI secolo, la messa a coltura di nuovi terreni. Nel
quadro di questa riassetto rurale assumono particolare rilievo i metochia, piccoli monasteri soggetti all’igumeno del
monastero principale e finalizzati all’amministrazione di un
territorio circoscritto. Per la nostra area ricordiamo il
metochio di S. Pantaleimon, dipendente da S. Maria di
Arsafia e quelli di S. Cosma e Damiano, S. Bartolomeo il
Giovane, S. Nicola al Limite e S. Nicola il Compassionevole, dipendenti da S. Giovanni Theristìs.
Nel caso di alcuni centri monastici è possibile, incrociando i dati delle diverse fonti, ricostruirne l’estensione
territoriale, individuarne le colture praticate e coglierne i
segni di attività estrattive (sale e metalli) o produttive (mulini e forni da calce o per metalli).
Una lettura finalizzata ad individuare i territori di pertinenza è stato fatta, con risultati soddisfacenti, da Domenico Minuto in riferimento ai monasteri di S. Leonzio di Stilo, S. Pietro di Sùmpesa e S. Maria di Arsafia (MINUTO 1998).
Partendo dalle ricostruzioni di Minuto si può sottolineare
come una fascia di territorio disposta intorno all’area del
Kastron non sia toccata dalle proprietà monastiche, lascian-
done supporre una gestione laica tutta da definire. Anche
alcuni dei casali, parte dei quali individuati nel corso di ricognizioni di superficie, confinano con le proprietà ecclesiastiche, lasciando supporre una loro preesistenza.
Lo studio della toponomastica ed alcune ricognizioni
mirate hanno permesso negli ultimi anni di individuare buona parte dei monasteri, metochia e chiese presenti nelle fonti
documentarie (Fig. 3).
Il toponimo Evraikì, riportato dal Brebion, lascia supporre l’esistenza di una sinagoga nell’area compresa tra
Stignano e Camini. Ancora oggi, nella stessa area, troviamo una zona chiamata Iudari.
I choria
È stato più volte sottolineato come questi insediamentiunità fiscali compaiano nelle fonti solo a partire dal IX secolo.
I choria o casali rurali presenti nell’area dello Stilaro,
ben documentati nell’XI e XII secolo, sono prevalentemente localizzati su piccole alture e in prossimità di sorgenti o
piccoli corsi d’acqua. Nel caso dei casali Rosito e Bivongi,
è da mettere in evidenza la notevole vicinanza allo Stilaro,
sempre ricordato nelle fonti come il fiume del kastron. La
loro distanza media dalla costa è di circa 6-7 chilometri. È
sempre presente, al loro interno o nelle immediate vicinanze, una chiesa.
I casali rurali che conosciamo sono i seguenti (GUILLOU
1974; GUILLOU et al. 1980):
– Trogion o Troiano, posto non lontano dalla via pubblica,
dai confini del vescovado di Stilo e dal monastero di S.
Leonte. È alimentato da una sorgente posta nelle vicinanze
e vi sono attestate opere di canalizzazione. Non lontano
sorgeva l’oratorio di S. Giorgio.
– Rousiton, o Rosito, ha nei pressi una sorgente utilizzata
per irrigare;
– Kannaboutzoi, i cui campi risultano divisi, nel 1054, in
sei parti;
– Sakrai, non identificato, compare in una sentenza del giudice di Stilo del 1098;
– S. Andrea, non lontano dalla fiumara Assi; è presente un
omonimo luogo di culto;
– Kourtzanon, Buttaria, sulla sinistra orografica della fiumara Assi. Nel 1154 la chiesa della Théotokos e gli edifici
annessi sono donati da Zoe, vedova di Genesios Moschatos,
al monastero di S. Giovanni Theristìs.
Si deve al Lipinsky la segnalazione di un anello in argento proveniente dal Casale di Cursano e un tempo conservato presso la famiglia Carnovale di Stilo. La datazione
dell’oggetto, che reca tra l’altro incisa una iscrizione in lettere greche, oscilla tra il VI e l’XI secolo. È interessante il
fatto che l’anello sia stato ritrovato in una località dove per
lo più erano cocci e frammenti di mattoni non dissimili a
quelli che si incontrano nella famosa Cattolica, in S. Giovanni vecchio ed in ruderi bizantini. Il Lipinsky riporta inoltre come nella località fossero state trovate in passato delle
armi (LIPINSKY 1944, pp. 219-221).
– Bivongi, posto ai piedi del versante nord-orientale del
monte Consolino. Recenti indagini archeologiche compiute nella chiesa di S. Giovanni Decollato, hanno portato al
ritrovamento dei resti di un edificio di culto del XIV secolo. Sono stati inoltre recuperati frammenti di ceramica a
vetrina sparsa databili tra X e XI secolo (Tav. II, n. 14) che
evidenziano una più antica frequentazione del casale. Nelle
vicinanze di questo casale esisteva quello di Bingi.
Anche se quanto rinvenuto a Cursano e Bivongi è poco
rappresentativo, possiamo supporre che già nel corso del
IX secolo i casali rurali o choria fossero così diffusi da anticipare, probabilmente, lo sviluppo delle istituzioni monastiche e della Chiesa metropolitana di Reggio. Ciò testimonierebbe una presenza forte dello Stato e la precisa volontà di
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promuovere o incrementare una ripresa del mondo rurale.
Integriamo questa nota sugli insediamenti segnalando
che sono presenti, nelle zone in cui affiorano le arenarie compatte e in prossimità dei corsi d’acqua, gruppi di unita rupestri.
Di tali “villaggi”, definiti dalle fonti tardo-medievali antra et
porcarias, non troviamo alcun riferimento nei documenti bizantini. Si può dunque pensare ad insediamenti funzionali
alla messa a coltura dei terreni, non censiti fiscalmente.
Un’ultima nota riguarda la presenza delle case rustiche: i documenti normanni ne ricordano una non lontana
dalla contrada Lesa (a. 1100) ed un’altra nei pressi di Stilo
(a. 1105). I resti di un edificio sono stati recentemente scoperti nel corso degli scavi condotti nell’area della chiesa di
S. Nicola da Tolentino, alle porte di Stilo. Si tratta di un
lungo muro realizzato con pietre legate da terra che si data,
sulla base dei pochi materiali raccolti, tra XI e XII secolo.
Per sottolineare le potenzialità archeologiche del territorio di Stilo, segnaliamo infine un ritrovamento avvenuto
in contrada Mindosso nel 1912: si tratta di quattro vasi in
metallo, uno dei quali reca graffita, in lettere greche, l’iscrizione tardo-bizantina: Leon i dorea, dono per Leon. È forse
possibile riconoscere in tale figura uno di quei personaggi
che, a giudicare dalle fonti bizantino-normanne, occupavano nell’area di Stilo una posizione sociale di tutto rispetto
(GUILLOU 1974; GUILLOU et al., 1980). Nelle stesso contesto
furono recuperati numerosi oggetti in ferro destinati al cavallo (MOSINO 1974).
F.A.C.
III. IL MONASTERO DI S. GIOVANNI THERISTÌS
Nel 1990, nell’ambito dei lavori di restauro avviati dal
Comune di Bivongi con finanziamenti regionali, la Soprintendenza Archeologica della Calabria ha condotto all’interno del complesso monastico di S. Giovanni Theresti uno
scavo stratigrafico.
Nello studio del monumento, noto in letteratura fin
dall’800, è stato privilegiato l’edificio di culto, mentre sono
rimasti del tutto trascurati alcuni ambienti del complesso
monastico presenti a sud della chiesa, solo parzialmente
osservati dall’Orsi (ORSI 1929, p. 44). L’interpretazione cronologica e filologica di questi ambienti è, purtroppo, ormai
definitivamente compromessa, a causa della scriteriata e mai
troppo deprecata demolizione effettuata nel corso dei lavori di “restauro”.
Le ricerche archeologiche, avviate in quell’occasione,
hanno dovuto innanzitutto tenere conto delle esigenze di
restauro che consigliavano un prioritario intervento nella
chiesa; mentre sarebbe stato anche di grande interesse potere indagare integralmente alcuni ambienti, tuttora interrati e pertinenti al monastero, posti a sud della chiesa, e l’area
di una grande cisterna presente nell’attuale cortile del complesso monumentale; in questo settore è stata messa in evidenza, tra l’altro, una lunga aula con più colonne portanti a
sostegno della copertura, da tempo crollata.
Per dare l’opportunità di effettuare il restauro della chiesa, se ne è effettuato lo scavo all’interno e si è estesa l’indagine anche ad un settore esterno, lungo il perimetrale sud.
Lo scavo ha consentito di datare intorno alla seconda
meta’ del XII secolo la costruzione della chiesa ad unica
navata, con transetto sporgente, parte presbiteriale triabsidata e ingresso sul perimetrale sud; ha confermato la continuità della frequentazione della chiesa almeno fino al XVIII
secolo, cosa peraltro già testimoniata dalle fonti in riferimento a tutto il complesso monastico; ha messo in luce una
fase precedente al XII secolo che, al momento, costituisce
la testimonianza costruttiva più antica di tutto il complesso.
In un primo periodo, databile a prima del XII secolo, su
un banco geologico costituito da argilla, roccia e sabbia,
viene costruito un ambiente quasi quadrato, con ingresso a
sud, successivamente tamponato; questo è pavimentato con
laterizi disposti “a spina di pesce”, ed intorno alle pareti
corre uno zoccolo-sedile, anch’esso in laterizi, alto circa 50
cm e delimitato da un intonaco di buona fattura dipinto a
fasce rosse; in fase con la pavimentazione sono anche alcuni gradini relativi ad un ingresso aperto nella parete est. Il
terreno intorno a questo ambiente viene adibito a necropoli; anch’essa scavata in parte nella roccia, ma in maggior
parte nella sabbia, comprende povere tombe a fossa e a cassa costituita da lastroni di pietre. I corredi sono completamente assenti, ma la posizione stratigrafica di tutte le tombe pone la necropoli in fase con l’ambiente quasi quadrato
precedentemente descritto; si sono riconosciute almeno due
sepolture di bambini.
Successivamente, nella seconda metà del XII secolo,
viene costruita la chiesa, il cui muro perimetrale sud si appoggia a quello dell’ambiente quadrato preesistente; chiaramente leggibile, soprattutto nella facciata esterna, risulta
il punto di contatto tra le due murature che sono nettamente
diverse tra di loro. Nella prima parte della parete sud, iniziando dal presbiterio, la muratura è costituita da letti di
ciottoli legati con malta, delimitati con regolarità da file
orizzontali di mattoni; mentre nella restante parte, che corrisponde all’originaria parete dell’ambiente quadrato, sono
utilizzati solo ciottoli, sempre legati con malta, ma senza
l’uso dei mattoni; nella parte alta della parete è presente
una decorazione a dentelli fatta con mattoni messi di taglio.
La chiesa, pertanto, con le sue belle strutture architettoniche, è successiva all’ambiente quadrato, che pare abbia
inglobato e che per un certo periodo è stato senz’altro utilizzato contemporaneamente alla chiesa stessa; infatti, sempre nel corso del XII secolo, il pavimento in laterizi viene
sfondato per la costruzione di una tomba monumentale, un
ossario; questo è coperto a volta, con muratura costituita da
mattoni, interi e spezzati, e pietre legate con malta; le spallette W e S della copertura risultano in faccia a vista su due
lati, perché sono ricoperte con intonaco lisciato; una siffatta sistemazione porta ad ipotizzare che l’ambiente pavimentato in laterizi sia stato frequentato, per un certo periodo,
mentre la tomba era in vista. Questa obliterava l’altro accesso aperto nella parete nord dell’ambiente, il cordolo lungo
il perimetrale dello stesso lato e lungo quello est. All’interno dell’ossario sono stati rinvenuti materiali databili al XIIXIII secolo (ceramica dipinta a fasce strette ed ondulate,
invetriata dipinta in bianco e bruno, invetriata trasparente
da fuoco, ingubbiata, invetriata verde e dipinta in rosso e
manganese). In ogni caso, il pavimento in mattoni dell’ambiente quadrangolare risulta abbandonato intorno alla fine
del XIII sec. per la presenza, nello strato di obliterazione,
di ceramica invetriata e dipinta in verde e bruno, relativa a
quell’età; si confermerebbe così, anche per il periodo più
tardo, il carattere funerario che il vano in questione ebbe,
con molta probabilità, fin dalla sua costruzione.
Al momento attuale, la navata unica della chiesa risulta
divisa dall’ambiente quadrato tramite un muro conservato
in elevato, che poggia sulle strutture preesistenti (il pavimento in cotto, il muro perimetrale dell’ambiente quadrato,
le spallette dell’ossario prima descritto), segno inequivocabile, come del resto già aveva intuito l’ Orsi, che si tratta di
un muro posteriore alla costruzione della navata. I perimetrali di quest’ultima risultano poggiati in parte sul banco
roccioso, in parte su una fondazione realizzata in grossi ciottoli di fiume e pietre di grandi dimensioni, legati con malta;
nel perimetrale sud è appena accennata la risega di fondazione, mentre quello nord è in parte crollato per un movimento franoso che, a detta dei geologi, è tuttora in atto. Nel
muro nord è stata praticata un’apertura ad arco per consentire l’accesso ad un ambiente adibito a cappella, il cui altare
è forse databile al XVI-XVII secolo.
Da segnalare nella navata centrale, nelle immediata vicinanze del perimetrale sud della chiesa, la presenza di una
piccola fornace in mattoni costruita in epoca anteriore al muro
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Fig. 4 – Bivongi: Monastero di S. Giovanni Theristìs.
Fig. 5 – Stilo: La Cattolica.
stesso. Forse è possibile collegare la presenza di questa
struttura alle fasi di cantiere della chiesa, oppure, meno probabilmente, essa è stata funzionale alle costruzioni precedenti.
Alla fase di utilizzo della chiesa sono da collegarsi almeno un ossario, esterno alla navata, ed una tomba – ossario, ubicata all’interno di essa. L’ossario esterno è delimita-
to da un muro che corre parallelo al perimetrale sud della
navata, che è in parte utilizzato per sostenere la copertura
dell’ossario voltato; la struttura sembra avere ignorato la
presenza delle tombe con lastre di pietra costruite nel primo periodo, di cui abbiamo detto. La tomba-ossario interna
alla navata risulta molto interessante dal punto di vista del-
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Fig. 6 – Bivongi: Monastero di S. Giovanni Theristìs.
la struttura. Si tratta di una cassa in muratura di forma rettangolare, con pareti interne e fondo intonacati accuratamente; la copertura, probabilmente a botte, era superiormente intonacata e dipinta, come sembrerebbero indicare i
numerosi frammenti ricurvi rinvenuti nel riempimento. L’intonaco è dipinto con motivi geometrici, con bande rosse e
nere, dritte e serpentiformi; in alcuni frammenti si notano
lettere dell’alfabeto ma, almeno a questo stadio della ricerca, non sembra potersi ricostruire alcuna scritta. L’interno
della cassa è diviso in due scomparti da una lastra posta in
verticale; il riempimento dello scomparto più stretto era
omogeneo e ben depurato, assolutamente privo di reperti
ceramici e con pochissimi frammenti di ossa, che invece
erano del tutti assenti nell’altro scomparto. Forse non è azzardato collegare la presenza di questa tomba al racconto
dell’Agresta relativo alla traslazione delle reliquie di S.
Giovanni, asportate da una cassa in muratura; giustificherebbe questo collegamento la particolare ricercatezza costruttiva della tomba che certo doveva essere dedicata, almeno in una prima fase, ad un personaggio di una certa
rilevanza. Un’ultima e ben più recente fase di utilizzo della
chiesa, probabilmente di età tardo medievale, è documentata dalla presenza di un altro ossario, ubicato a ridosso del
perimetrale nord della navata. All’interno della copertura
sono evidenti le tracce delle assi utilizzate per la centina di
costruzione e, sempre all’interno, l’ossario, si presenta completamente rivestito di malta lisciata; il riempimento era
costituito da ossa deposte alla rinfusa, tanto da fare pensare
a sconvolgimenti; tra il materiale rinvenuto si notano: grani
di rosario in osso, alcune monete in bronzo ed argento, tutti
reperti databili tra il XVI ed il XVII secolo.
L’Istituto di Paleontologia dell’Università di Pisa ha
eseguito una prima schedatura degli scheletri rinvenuti riconoscendo quaranta individui di cui: un bambino di età
non determinabile, due adolescenti tra i 13 e i 17 anni, due
giovani di circa 18-20 anni, e 35 adulti superiori ai 20 anni.
I soggetti maschili sono in maggioranza, con un totale di 22
individui rispetto a quelli femminili che sono 11; si è inoltre notato che la componente maschile ha avuto una certa
longevità, poiché almeno 9 decessi sono avvenuti in età pienamente matura o senile, e che gli individui sono stati soggetti ad una notevole attività fisica con esposizione a gravi
rischi. Ciò è documentato dalla presenza, in almeno tre casi,
di esiti di fratture, una delle quali particolarmente grave,
tanto da causare il sensibile accorciamento dell’arto e l’insorgere di una zoppia permanente.
Molto interessanti, per lo studio e la ricostruzione cronologica delle varie fasi, possono essere gli strati pavimentali rinvenuti, che sono parecchi e spesso conservati in piccoli lacerti ubicati in vari punti della chiesa; la difficoltà
consiste proprio nella correlazione dei vari pavimenti e nella
identificazione di brandelli dello stesso pavimento conservatisi in punti diversi del piano di calpestio. Nell’ambiente
quasi quadrato, di cui si è detto, al di sopra della prima pavimentazione in mattoni, se ne è rinvenuta un’altra costituita da un battuto di calce, con relativa preparazione in ciottoli di fiume di medie dimensioni e pietre legate con malta;
in questo ambiente, il dislivello tra la pavimentazione in
mattoni e l’ultima in calce era colmato con uno strato di
calce disfatta, in cui erano presenti numerosi frammenti di
intonaco dipinto e qualche frammento di ceramica di XII
secolo. Il battuto in calce di questo ambiente corrisponde,
per manifattura e quote ad alcuni brandelli di pavimento
rinvenuti nella navata e ad un consistente piano di calce
ben leggibile e presente nell’ambiente centrale del presbiterio. I dati di scavo permettono di interpretare questo strato, costituito da argilla compatta mista con calce e ben lisciato in superficie, come piano pavimentale relativo all’ultima fase di frequentazione della chiesa; esso sembra essere contemporaneo al muro divisorio tra la navata e l’ambiente quadrangolare, poiché sembra coprire la tomba monumentale tagliata nel pavimento in mattoni posti a spina
di pesce. La sua datazione puntuale è connessa allo studio
degli intonaci dipinti rinvenuti che è in corso e pertanto, al
momento, non è precisabile; si potrebbe tuttavia pensare ad
un’età posteriore al XIII secolo.
Con una breve campagna di scavo, finanziata dalla Soprintendenza Archeologica, si è pure intervenuto all’esterno della chiesa, nel settore posto a sud est dell’attuale accesso al complesso monastico. Sono stati messi in luce una
serie di ambienti con strutture a carattere artigianale, come
quello con vasca per la premitura del vino; gli strati scavati
sono quasi tutti inquinati dai lavori agricoli, ma anche dalla
recentissima frequentazione dell’area; non è comunque da
escludere che queste strutture fossero state utilizzate anche
in qualche fase precedente e fossero connesse alla vita conventuale. In ogni caso, come sempre, solo la prosecuzione
dello scavo potrà chiarire questa e le altre problematiche
ancora non risolte, in considerazione del fatto che l’indagine, interessando come già detto quasi esclusivamente l’interno della chiesa, non è stata esaustiva.
M.T. I.
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APPENDICE
I. Per la bibliografia relativa a Caulonia si rimanda a IANNELLI 1992.
In riferimento all’età romana, quest’area è presente nel catalogo
della ville di GUZZO 1981, p. 133, nn. 176-177; da ultimo SANGINETO
1994, tav. IV, nn. 49 e 50; tav. V, n. 102: i due complessi romani,
indicati rispettivamente ai nn. 50 (contrada Fontanelle di Stilo) e 102
(contrada Fontanelle di Monasterace), sono in realtà un unico sito,
già individuato e segnalato in ORSI 1891, pp. 69-71 (e non dal Fiorelli, come annota invece il Sangineto), ed in seguito, negli anni 19811982, parzialmente scavato con regolari campagne d’indagine dirette da chi scrive. Per l’età più recente cfr. da ultimi: ZINZI 1998;
CUTERI 1997; BOZZONI 1999; MINUTO-VENOSO 1999. Le indagini archeologiche, nella stragrande maggioranza dei casi, sono state effettuate in seguito al finanziamento di progetti presentati dalle varie
Amministrazioni, scaturiti da esigenze legate a problemi urbanistici, come
i lavori di restauro di monumenti ecclesiastici (le chiese di Stilo e Bivongi),
oppure quello per il recupero del centro storico di Stilo che, tra l’altro, ha determinato il rifacimento della pavimentazione stradale.
La problematica delle identificazioni delle varie statio lungo la
via costiera ionica da Locri a Punta Stilo è ripresa in SABBIONE 1985,
pp. 54-55.
Nella località S. Marco, ubicata in prossimità delle mura di
cinta greche, lato nord della città, sono state condotte parecchie
campagne di scavo già a partire dal 1986 e continuate anche nel
corso degli anni ’90. I materiali ceramici rinvenuti trovano confronto con le seguenti forme: Morel pl. 11, n. 13112, e pl. 23, n.
1534, h2; Atlante I, tavv. XXIV, fig. 2 e tav. XXXV, fig. 2; Atlante I, tav. CVI, fig. 6; Atlante I, tav. XXXIV, fig. 8; Atlante I, tav.
CVI, fig. 9; Atlante I, tav. XXXVII, fig. 10; Atlante I, tav. CVI,
fig. 6; Atlante I, tav. XLVII; Atlante I, tav. CVI, fig. 6.
Lo scavo lungo la duna nei pressi di S. Marco è stato eseguito
nel 1989 con la collaborazione di H. Tréziny del CNRS francese,
Centro Camille Jullian, che ha rinvenuto edifici di età greca; la
tomba in questione (US. 6), riferibile a un bambino, è stata rinvenuta nel quadrato AE10.
L’intervento ANAS-SIETI lungo la statale 106 mise in luce,
oltre alle tombe, due strutture murarie in ciottoli (USM 2 e 11), la
seconda meglio conservata, con andamento NE-SO, insieme ad
alcuni strati relativi alla vita delle due strutture che devono assegnarsi ad età greca; il materiale rinvenuto è costituito da frammenti ceramici a vernice nera di età compresa tra il V e IV sec.
a.C. Si segnala inoltre un frammento di arula con scene zoomorfe
su tutti i lati e Kymation ionico sul listello di base. Le due tombe
(US 5 e 6) erano tagliate in uno strato di argilla mista a terra di
colore rossiccio (US7), e la n. 6 era riempita con uno strato sempre di argilla e terra di colore scuro (US8).
Le indagini nella villa di località Fontanelle si sono svolte
negli anni 1981 e 1982; brevi rapporti preliminari, quando lo scavo era in corso, sono apparsi nell’attività della Soprintendenza
archeologica della Calabria, negli atti del XXI Convegno di Taranto (Taranto 2-5 ott. 1981), Taranto 1982, a cura di E. Lattanzi,
pp. 230-232, e eadem in atti del XXII Convegno (Taranto 7-11
ott. 1982), Taranto 1983, p. 556; cfr. anche SABBIONE 1985, p. 60. Le
ceramiche di tale località trovano confronto con le forme Goudineau
15, Goudineau 38, Goudineau 43; Hayes 6, Hayes 8, Hayes 9, Hayes
36; Lamboglia 10a-Hayes 23b, Lamboglia 10b-Hayes 23a.
II. Le ceramiche di contrada Lesa, rinvenute all’interno di tombe in
muratura coperte da mattoni o lastre di pietra, sono descritte in DE
FRANCISCIS 1957, p. 189; gli esemplari nn. 4 e 10 che presentiamo alla
tav. II sono rispettivamente decorati con bande brune e arancio.
Sul significato del termine prètorion possiamo osservare come
per Guillou indichi un borgo fortificato (GUILLOU 1974, p. 48 e n.
4); Per Minuto il termine assume dalla tarda-antichità il significato
di Palazzo, signorile o governativo (MINUTO 1998, p. 484 e n. 9). È
una residenza fortificata in VON FALKENHAUSEN 1982, pp. 58, 65.
Per quanto riguarda la più antica attestazione del kastron di
Stilo possiamo fare riferimento a un documento che ricorda la
presenza del rappresentante dello stratego di Calabria proprio in
tale centro. La Martorano considera il documento, di cui sono
noti solo il mese e l’indizione, dell’861. Credo sia invece da riferire a dopo la metà del X secolo, quando il titolo di stratego di
Calabria compare ufficialmente nelle fonti: cfr MARTORANO 1996,
p. 70, n. 8. Per altre attestazioni del kastron cfr. GUILLOU 1974, pp.
33-35; LUCÀ 1998, p. 256. Del castello di Stilo rimangono cospicui avanzi di età bassomedievale. È riferibile all’età bizantina la
cinta muraria mentre sono posteriori le piccole torri circolari. Si
conservano i resti della chiesa dedicata a San Giorgio.
III. Lo scavo della chiesa di S. Giovanni Theristìs è stato in gran
parte finanziato dal Comune di Bivongi, cui si è aggiunto un piccolo
contributo della Soprintendenza Archeologica della Calabria. Il complesso monastico è noto anche come S. Giovanni Vecchio di Stilo, ma
ora ricade nel Comune di Bivongi; per gli studi relativi al monumento
cfr. BOZZONI 1974, pag. 54, nota 61; per una bibliografia aggiornata
cfr. IDEM 1999, pp. 293-295; ZINZI 1998.
Nel progetto di restauro, gli ambienti monastici conservati in
elevato sono stati interpretati come “inutile superfetazione” che
deturpava il corpo architettonico ecclesiale; la loro demolizione
ha messo in evidenza la continuazione verso ovest del muro che
si aggiunge al perimetrale sud della chiesa. I lavori di restauro
avevano inizialmente interessato anche la parte centrale di un lungo
ambiente, dov’era stato praticato uno scasso meccanico che aveva messo in luce un pilastro circolare in muratura, tuttora visibile.
Le indagini archeologiche, dirette da M.T. Iannelli, sono state eseguite da un’èquipe costituita da due archeologhe: dott.sse
M. D’Andrea ed F. Sogliani, dall’Arch.V. Ammendolia della Soprintendenza, dal Disegnatore L. Rodinò; nel corso dello scavo è
stato eseguito un breve intervento sugli intonaci dipinti rinvenuti,
a cura di A. Muleo e collaboratori; il CNR di Bari, nella persona
del Dott. Milella, ha effettuato il rilievo fotogrammetrico delle
strutture in elevato.
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